I reati elettorali, con particolare riferimento alla riforma dell`art. 416
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I reati elettorali, con particolare riferimento alla riforma dell`art. 416
Anno Accademico 201 3/201 4 Classe di Scienze Sociali Settore di Scienze Giuridiche I reati elettorali, con particolare riferimento alla riforma dell'art. 416‐ter c.p. Candidato: Giuseppe Lauri Tutor: Ch.mo Prof. Alberto di Martino Relatore: Ch.mo Prof. Tullio Padovani Indice 1. 2. 3. Introduzione ................................................................................................................ 3 Punti di partenza: per una definizione del concetto di “reato elettorale” ........ 4 Le fonti del diritto penale elettorale ....................................................................... 6 3.1 Un sistema stabile nel tempo ........................................................................... 6 3.2 Due casi particolari tra legislazione e giurisprudenza .............................. 12 4. L’art. 416-ter c.p. nell’alveo del diritto penale elettorale .................................. 19 4.1. La genesi del reato di scambio elettorale politico-mafioso ........................... 21 4.2. Prima del 1992: i reati di cui agli artt. 96 e 97 del d.p.r. 361/1957 (e i relativi problemi di coordinamento con la “nuova” fattispecie codicistica). La giurisprudenza successiva tra sforzo chiarificatore e aperture alla novità ........ 25 4.3. Dalle proposte di modifica dell’art. 416-ter c.p. alla legge 62/2014 ............. 36 5. Conclusioni .................................................................................................................... 40 2 1. Introduzione Dopo una certa quiescenza che l’ha accompagnato, almeno nel dibattito pubblico, nel corso dell’ultimo ventennio, il reato di scambio elettorale-politico mafioso previsto dall’art. 416-ter c.p. è improvvisamente tornato d’attualità all’indomani della campagna “Liberiamo il futuro”, promossa agli inizi del 2013 da alcune associazioni impegnate nel campo dell’antimafia. Questo vero e proprio ritorno di fiamma dell’argomento offre intanto la possibilità di analizzare una branca del diritto penale fortemente legata alla norma in questione, vale a dire quel nutrito corpus di disposizioni che si suole definire in dottrina quale diritto penale elettorale; insieme, a dire il vero, cui gli studiosi hanno guardato poco e con poca affezione, nonostante costituisca un corredo necessario per il funzionamento del sistema democratico, che sulla elettività fonda la gran parte delle procedure. Primo passo di questo lavoro sarà dunque inquadrare nel suo insieme la famiglia del diritto penale elettorale, a partire dalla nozione di reato elettorale; successivamente, andremo ad analizzare il sistema delle fonti che la compongono, seguendone il graduale sviluppo sin dagli inizi della storia costituzionale italiana per giungere fino ai giorni nostri. Vedremo poi come negli anni Novanta del secolo scorso la lotta alla criminalità organizzata si sia necessariamente incrociata con il diritto penale speciale elettoralistico, un incrocio che, come un rampicante che si sviluppa intorno ad un ramo di rosa, non si è rivelato semplice, richiedendo imponenti sforzi dottrinali e giurisprudenziali che hanno riguardato anzitutto la stessa essenza della condotta criminale contemplata dall’art. 416-ter c.p., in una continua azione di rilancio che evitasse a questa disposizione di finire (come tante norme del nostro ordinamento) nel limbo dell’inapplicabilità sostanziale. Seguirà poi una panoramica sulle proposte di riforma avanzate, nel corso degli anni, del dettato codicistico, fino a giungere al recentissimo dibattito che ha portato, lo 3 scorso aprile, all’approvazione del nuovo testo in materia di scambio elettorale politico-mafioso. 2. Punti di partenza: per una definizione del concetto di “reato elettorale” Nonostante l’importanza del genus “reato elettorale”, nel corso del tempo la dottrina non vi ha dedicato molta attenzione. Certamente, contribuisce a tale situazione una doppia serie di problematiche gravanti su questa categoria penale. Da un lato, non può sfuggirne l’eccessiva specializzazione. Il diritto penale elettorale costituisce un diritto “di nicchia”, che deve necessariamente seguire – come vedremo- le varie fasi della competizione elettorale e che ha inizio e fine nella competizione elettorale stessa. Si tratta, dunque, di leggi speciali la cui azione è giocoforza limitata allo svolgimento del procedimento elettorale. Il secondo aspetto suscettibile di rendere poco agevole lo studio analitico del diritto penale elettorale è dato dalla sistemazione che le norme in materia hanno nel nostro ordinamento. Il principio di democraticità alla base –tra gli altri – del nostro sistema giuridico fa sì che ogni consultazione elettorale (ciascuna corrispondente ai diversi livelli dell’organizzazione statale, oltreché per i referendum) sia destinataria di una propria legge di disciplina, a sua volta recante una serie di disposizioni sanzionatorie nei confronti di chi voglia viziare l’ordinato svolgimento delle votazioni. La molteplicità delle fattispecie da disciplinare, unita all’elevato numero di casi cui si è ritenuto opportuno apporre norme penali, ha come risultato “una fitta selva di rimandi e rinvii che determina una ipertrofica sovrapposizione di figure criminose anche reciprocamente speculari, meritevole di una rigorosa opera di razionalizzazione selettiva”1. Ecco, allora, che si può ben parlare della nozione di “reati elettorali” quale “locuzione ellittica con la quale si intende indicare tutte le violazioni penalmente sanzionate delle diverse norme che disciplinano lo svolgimento delle operazioni elettorali Sono parole di NUNZIATA, Diritto penale elettorale, Maurizio Minchella Editore, Milano, 2000, p.6. Analogo parere è espresso da GARAVELLI, che parla di “coacervo di norme eterogenee, sparse in testi non coordinati tra loro” (vd. s.v. “Elezioni - reati elettorali”, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. XI, UTET, Torino, 1996). 1 4 nelle singole fasi” 2. La ratio di tali norme si sostanzia nel “peculiare interesse dello Stato di assicurare, oltre al libero esercizio dei diritti politici del cittadino, la regolarità della propaganda, la veridicità, la genuinità e l’assoluta regolarità di tutti i documenti e di tutte le operazioni comunque inerenti alle elezioni, nonché la precisione e la conformità al vero dei risultati di esse da ogni fatto che vada a turbare, a menomare o a ledere”3 tali beni giuridici. Si tratta dunque di condotte delittuose ben inquadrabili nella descrizione che fa l’art. 8, u.c., c.p. del reato politico4. Per quanto riguarda la suddivisione dei reati elettorali in species, la dottrina più risalente tendeva a configurarne una visione in chiave oggettiva, rapportando ogni gruppo di reati alla singola fase del procedimento elettorale. Lo schema che scaturisce da questa impostazione propone una ripartizione dei reati elettorali tra a) ipotesi generali di reato (p.e., l’art. 294 c.p.5); b) reati in tema di propaganda elettorale (p.e., la sottrazione o distruzione di stampati, giornali murali e manifesti 6) ; c) reati concernenti la formazione delle liste e di altri atti elettorali (p.e., la coercizione elettorale relativa alla dichiarazione di presentazione di candidatura7); d) reati riguardanti l’esercizio del diritto elettorale (p.e., l’introduzione con le armi nei locali elettorali8); e) reati concernenti la genuinità e l’esattezza dei risultati elettorali (p.e., lo sviamento di voto9)10. BERTOLINI, s.v. “Elezioni (reati elettorali)”, in Enciclopedia giuridica, vol. XII, Treccani, Roma, 1989, p.3. L’Autore, a sua volta cita MAZZANTI, s.v. “Elezioni (reati elettorali)”, in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Giuffrè, Milano, 1965. Vd. anche MAZZANTI, I reati elettorali, Giuffrè, Milano, 1966, p. 3. 3 MAZZANTI, op.ult.cit., pp.3-ss. 4 Nel disciplinare il delitto politico commesso all’estero, l’art. 8, u.c., c.p. definisce delitto politico ogni delitto “che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino”, nonché “il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”. Sull’afferenza dei reati elettorali alla sfera dei delitti politici, la Corte di Cassazione (sent. 22 gennaio 1951) ha ritenuto oggettivamente politici i primi in quanto il diritto elettorale rappresenta la “massima espressione” dei diritti politici (CRESPI-FORTI-ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice Penale, CEDAM, Padova, 20085, p. 38). 5 Vd. infra, nota 17. 6 Art.8, l. 212/1956. 7 Artt. 97 del d.p.r. 361/1957 e 87 del d.p.r. 570/1960. 8 Artt. 109 del d.p.r. 361/1957 e 91 del d.p.r. 570/1960. 9 Artt. 103, c.2, del d.p.r. 361/1957 e 94 del d.p.r. 570/1960. 2 5 Accanto a questa tassonomia, alcuni studiosi ne hanno poi proposta un’altra di matrice soggettiva, in cui si assume a discrimine la qualità personale del soggetto attivo11. In virtù di essa, i reati elettorali possono essere divisi tra a) reati elettorali comuni12; b) reati elettorali propri dei componenti degli uffici elettorali (p.e., l’iscrizione o cancellazione abusiva nelle liste elettorali13); c) reati elettorali propri degli elettori (p.e., la mancata riconsegna della scheda o della matita14); d) reati elettorali propri dei candidati o di soggetti ad essi collegati (p.e., la corruzione elettorale15); e) reati elettorali propri di pubblici agenti (p.e., la concussione elettorale16). Infine, è stata pure proposta una terza classificazione di natura mista che, secondo taluna dottrina, sarebbe preferibile alle precedenti in quanto più rispondente ai principi del diritto penale. Unendo i canoni della tipologia di aggressione (corrispondente all’azione incriminata) e del tipo di risultato lesivo ottenibile tramite essa, si avrebbe una summa divisio tra a) reati elettorali di menomazione dell’interesse pubblico statuale alla regolarità complessiva delle consultazioni e b) reati elettorali incisivi del diritto elettorale politico del cittadino individualmente considerato”17. 3. Le fonti del diritto penale elettorale 3.1 Un sistema stabile nel tempo Vd. MAZZANTI, op.ult.cit., p. 5. Il lavoro di questo studioso ha influenzato la trattazione dei reati elettorali dagli anni Sessanta alle soglie degli anni Novanta del secolo scorso, e costituisce tuttora una solida base per qualunque studio della materia. 11 Vd. NUNZIATA, op.cit., p. 9, che, rendendo conto di tale classificazione, raffina una prima proposta di distinzione dei reati elettorali ratione personae – per quanto legata, in uno schema misto, anche alla distinzione oggettiva – avanzata da BERTOLINI, voce citata. 12 Coincidente con l’analoga categoria della classificazione precedente. 13 Artt. 55 del d.p.r. 20 marzo 1967, n. 223. Tale decreto presidenziale reca il Testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali). 14 Artt. 110 del d.p.r. 361/1957 e 99 del d.p.r. 570/1960. 15 Artt. 96 del d.p.r. 361/1957 e 86 del d.p.r. 570/1960. Vd., più diffusamente, infra. 16 Artt. 98 del d.p.r. 361/1957 e 88 del d.p.r. 570/1960. 17 È uno schema fatto proprio da NUNZIATA in op.cit., p. 9, che sembra non aver avuto ulteriore seguito in dottrina. 10 6 Entrambe le classificazioni sopra esposte vedono quale principale esempio di figura generale di reato elettorale l’art. 294 c.p.18, in materia di attentato ai diritti politici del cittadino. Per il resto, il diritto penale elettorale, come tutti i diritti penali speciali, si basa su una legislazione prettamente extracodicistica, espressa dalle varie fonti normative emerse nel tempo con lo sviluppo (sempre più articolato) del sistema costituzionale contemporaneo. Ai sensi dell’art. 15 c.p., è anzitutto la disciplina speciale ad entrare in gioco nella difesa del particolare bene giuridico costituito dalla genuinità nelle procedure elettorali, lasciando all’art. 294 c.p. il ruolo di norma generale e sussidiaria volta a sanzionare qualunque forma violenta di impedimento dell’esercizio dei diritti politici che non rientri nelle fattispecie penali speciali. L’affermarsi del principio democratico, l’estensione graduale del diritto di voto, la necessità di regolare in maniera specifica le singole tipologie di consultazioni ha poco a poco intaccato un assetto dove la disciplina in materia trovava spazio principalmente (se non esclusivamente) all’interno delle raccolte codicistiche. Tale era il caso del Codice Penale sardo del 1859 (esteso poi al neonato Regno d’Italia nel 186519), unico esempio di testo preunitario che contemplasse un regime sanzionatorio per le irregolarità commesse in sede elettorale20. Erano qualificati come attentati all’esercizio dei diritti politici21 delitti non solo l’impedimento dell’esercizio di detti diritti (art. 19022), ma anche fattispecie quali l’aggiunta, Si riporta, per comodità, il testo della disposizione: “Attentato contro i diritti politici del cittadino – Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. 19 Eccezion fatta, come è noto, per la Toscana. 20 Essendo anche il Regno di Sardegna l’unico Stato preunitario ad essersi dotato di una Camera elettiva con lo Statuto Albertino del 1848. 21 A loro volta inseriti nel più ampio novero dei reati contro i diritti garantiti dallo Statuto, a loro volta afferenti ai reati contro la pubblica amministrazione. 22 “1. Allorché con violenze, o vie di fatto, o minaccie (sic), o tumulti, sarà stato impedito ad uno o più cittadini l’esercizio dei propri diritti politici, i colpevoli saranno puniti col carcere estensibile a due anni, e con multa maggiore o minore secondo la gravità e conseguenze del reato. 2. Qualora i diritti, di cui siasi come sopra impedito l’esercizio, fossero diritti elettorali, alle dette pene verrà sempre aggiunta la sospensione 18 7 sottrazione o falsificazione di schede (art. 19123), la compravendita del voto proprio o altri (art. 19224) e l’abuso di funzioni perpetrato da pubblici ufficiali o ministri di culto (art. 19325). In particolare, l’art. 190 contemplava specificamente, al secondo comma, l’interdizione dai pubblici uffici in caso di violazione dei diritti elettorali. Non prevedeva norme in materia di reati elettorali la legge politica del 185926, evidenziando così la scelta del legislatore di far rientrare l’ambito nella disciplina codicistica. L’attuale assetto normativo (consistente in una predominanza delle disposizioni extracodicistiche accanto ad una sola disposizione codicistica) si afferma in Italia sul finire del XIX secolo. Già nel 1882, infatti, il Testo unico della legge elettorale politica27 aveva raccolto al Titolo V (“Disposizioni generali e penali”, artt. 86-98) le dall’esercizio dei pubblici uffizi. 3. Le disposizioni del presente articolo hanno luogo, salve sempre le pene maggiori in caso di reato più grave; e salve eziandio le speciali disposizioni delle leggi per le elezioni”. 23 “1. Chiunque nel corso delle operazioni elettorali sarà sorpreso in atto o di sottrarre, o di aggiungere schede, o di falsarne il contenuto, sarà punito con la pena della reclusione, e coll’interdizione dai pubblici uffizi. 2. Se il reato sarà stato commesso da un membro dell’ufficio elettorale, la pena della reclusione non sarà minore di anni cinque”. 24 “Chiunque abbia al tempo delle elezioni comprato, o venduto un voto, a qualsiasi prezzo, incorrerà nella pena dell’interdizione dai pubblici uffizi, ed in una multa maggiore o minore secondo la gravità e conseguenze del reato”. 25 “1. Fuori dei casi preveduti nei tre precedenti articoli, i pubblici uffiziali od impiegati che con abuso delle rispettive funzioni avranno cercato di vincolare i suffragi degli elettori in favore od in pregiudizio di determinate candidature, saranno puniti colla esclusione dal’esercizio dei diritti elettorali per tempo non minore di cinque anni, né maggiore di dieci, se il reato è stato commesso nelle elezioni dei Deputati al Parlamento Nazionale, non minore di tre, né maggiore di sei, se è stato commesso nelle altre elezioni; e con una multa di lire duecentocinquanta a duemila nel primo caso, e di cento a mille nel secondo. 2. La stessa pena è applicabile ai ministri della religione dello Stato o dei culti tollerati, i quali avranno cercato di vincolare i suffragi degli elettori in favore od in pregiudizio di determinate candidature, sia con istruzioni dirette alle persone da essi in via gerarchica dipendenti, sia con discorsi tenuti nei luoghi consacrati al culto, od in riunioni aventi carattere religioso, sia con promesse o minaccie (sic) spirituali. 3. Per i fatti in questo articolo preveduti, sempreché non sieno connessi con reati comuni, non si potrà procedere ad istruzione giudiziaria se non dopo che le operazioni elettorali saranno compiute colla chiusura del relativo processo verbale”. Il tema dell’influenza dei ministri di culto sull’espressione dei suffragi è stato oggetto di alcune sentenze della magistratura ordinaria tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del secolo scorso, incrociandosi con problematiche di più ampio respiro quali le garanzie concordatarie. Si è preferito non affrontare in questo lavoro un argomento che per vastità, importanza e implicanze richiede necessariamente di essere approfondito in specifica trattazione. 26 Legge del 20 novembre 1859, Riforma della legge elettorale del 17 marzo 1848. Neanche quest’ultima (che dalla disciplina del 1859 differiva in maniera trascurabile) contemplava ipotesi di reati elettorali. 27 Regio decreto 24 settembre 1882, n. 999. 8 norme in materia di reati elettorali presenti nel Codice del 1859, ampliando il novero delle situazioni delittuose; quando, nel 1882, si varò il nuovo Codice Penale per il Regno d’Italia, esso poté ben destinare alla punizione dei “delitti contro le libertà politiche” il solo art. 139 (costituito dal precedente art. 190 privato dell’aggravante prevista per l’offesa ai diritti elettorali). Tale disposizione costituirà, a sua volta, il nucleo di quello che sarà nel Codice Penale del 1930 l’art. 234, tuttora vigente. Nel disciplinare il diritto penale elettorale, la legge del 1882 (cui lavorò lo stesso Zanardelli) si adeguava al nuovo sistema di voto, caratterizzato, in primis, da un allargamento del suffragio; ecco allora comparire, tra le altre, disposizioni in materia di irruzione violenta (art. 93) o comunque abusiva (art. 94) nei locali elettorali, di voto abusivo (art. 95), di alterazione dei risultati (art. 96, c. 2). Veniva inoltre confermata l’interdizione dai pubblici uffici da uno a cinque anni (art. 98, c. 2, irrogata in ogni caso di condanna al carcere e indipendentemente dalla qualifica personale del reo) e introdotta (art. 97) l’azione penale promuovibile da ogni elettore. Tale sorta di “azione popolare”28 fu molto apprezzata dalla dottrina, e fu contemplata da tutte le leggi elettorali politiche succedutesi nel periodo monarchico (nel periodo repubblicano fu invece adottata solo dalla legge elettorale comunale del 195129). Ben poco cambiò con la legge elettorale del 191230, dove la novità più rilevante era data dalle disposizioni in materia di turbamento della sottoscrizione delle candidature (fase della competizione elettorale introdotta dal nuovo sistema di voto) e dall’inapplicabilità della sospensione condizionale della pena ai reati Oggi prevista dal d.p.r. 570/1960 all’art. 82, c. 2. Molto si è discusso sulla natura di questa possibilità data ad ogni elettore di denunciare i reati elettorali e di costituirsi parte civile nel processo. In realtà, più che di “azione popolare”, la dottrina prevalente ha chiarito come si tratti di un semplice impulso che non intacca la titolarità dell’azione penale da parte del pubblico ministero (vd., su tutti, GARAVELLI, voce citata, p. 233). 29 Cfr. PRETI, Diritto elettorale politico, Giuffrè, Milano, 1957, p. 420. 30 Legge 30 giugno 1912, n. 666/1912. Anche qui le disposizioni generali e penali erano raccolte al Titolo V (artt. 113-131). Tale titolo sarà recepito in integro dal testo unico elettorale del 1919 (r.d. n. 1495/1919) e fatto oggetto di trascurabili modifiche dalla successiva legge n. 2444 del 1923 (Modificazioni alla legge elettorale politica, testo unico 2 settembre 1919, cd. “legge Acerbo”). 28 9 elettorali31. Notevole era l’art. 130, che sanciva un’interessante possibilità di interdizione temporanea al voto per i cittadini della sezione i cui risultati fossero stati annullati per due volte di seguito dalla Camera dei Deputati32. Quali dunque le fonti del diritto penale elettorale attualmente in vigore? Dal punto di vista della legislazione speciale a carattere nazionale, la disciplina più importante è quella recata dal Testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei Deputati (approvato con d.p.r. 30 marzo 1957, n. 361). Il testo unico dedica alle disposizioni penali il Titolo VII (artt. 94-114), cui rinvia l’art. 27 del Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica (d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533)33. Analogo rinvio è contenuto nel Titolo VIII della legge sull’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia (l. 24 gennaio 1979, n. 18), con alcune differenze peculiari. L’elezione di un organo caratterizzato da una base elettorale ampia e sovranazionale richiede necessariamente che le disposizioni di cui al d.p.r. n. 361/1957 ricevano un’estensione per quanto riguarda la platea dei destinatari, suscettibili di essere cittadini dell’Unione non italiani, eventualmente operanti in territorio estero (art. 4834, che peraltro deroga agli artt. 8 e 9 c.p.); va poi contemplata l’ipotesi delittuosa dell’elettore che partecipi fraudolentemente alla votazione in più Paesi (art. 4935). Sempre alla legge elettorale per la Camera dei Deputati si rifà la disciplina dei referendum e delle proposte di legge d’iniziativa popolare Vd. infra, in questa sezione. “Quando la votazione di una sezione di un collegio elettorale è stata annullata due volte di seguito con deliberazione della Camera motivata per causa di corruzione o violenza, la Camera può deliberare che per gli elettori inscritti nella lista della sezione stessa sia sospeso l’esercizio del diritto di elettore per un periodo di cinque anni a decorrere dalla comunicazione fatta dal presidente della Camera al ministro dell’interno”. 33 “Per l'esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni”. 34 “1. Il cittadino o lo straniero che commette in territori estero taluno dei reati previsti dalla presente legge o dal testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, è punito secondo la legge italiana. 2. Le norme di cui agli articoli 8 e 9, secondo comma del codice penale, concernenti la richiesta del Ministro di grazia e giustizia, non si applicano al cittadino italiano”. 35 “Chi, in occasione della elezione dei membri del Parlamento europeo, partecipa al voto per l'elezione dei membri spettanti all'Italia e per l'elezione dei membri spettanti ad altro Paese membro della Comunità è punito con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da L. 100.000 a L. 500.000”. 31 32 10 (l. 25 giugno 1970, n. 352, ove svolge funzione di rinvio, nell’ambito delle disposizioni finali, l’art. 5136). Per quanto concerne le consultazioni per gli Enti locali, la principale fonte è costituita dalla legge elettorale comunale (approvata col d.p.r. n. 570/1960)37. In essa, al Capo IX (artt. 86-103), sono contenute le disposizioni penali cui fanno rinvio le analoghe leggi previste per gli altri livelli del governo locale. Tali rinvii sono garantiti, all’interno dei singoli testi: - per la legge elettorale provinciale (l. 8 marzo 1951, n.122, Norme per la elezione dei Consigli provinciali), dall’art. 8, c. 2; - per la legge elettorale delle Regioni a Statuto ordinario (l. 17 febbraio 1968, n.108, Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a Statuto normale), dall’art. 1., u.c. Si deve inoltre notare come l’art. 3 della l. 10 agosto 1964, n. 66338 abbia esplicitamente esteso alle elezioni comunali e provinciali il disposto dell’art. 95 del d.p.r. 361/1957. Discorso a parte merita la disciplina prevista per l’elezione dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli Regionali a Statuto speciale. All’inizio delle diverse esperienze di autonomia, era costante il rinvio delle leggi regionali in materia di diritto penale elettorale alla disciplina del d.p.r. 361/1957; in seguito, il “1. Le disposizioni penali, contenute nel Titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge. 2. Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei Titoli I, II e III della presente legge. 3. Le sanzioni previste dall'articolo 103 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti previsti nell'articolo medesimo riguardino espressioni di voto relative all'oggetto del referendum”. Si noti come il comma 2 si preoccupi di calare nella realtà referendaria le sanzioni previste per gli atti maggiormente offensivi della libera volontà dell’elettore. 37 Decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali. Tale legge non si applica all’elezione delle Amministrazioni comunali della Sicilia, dove norme penali sono recate (nella congerie di normative in materia creatasi in maniera alluvionale nella regione) dal d.p.Reg.Sic. 20 agosto 1960, n. 3 (Capo IX, artt. 63-79). 38 Modificazioni alle norme per la elezione dei Consigli comunali di cui al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, ed alle norme per la elezione dei Consigli provinciali di cui alle leggi 8 marzo 1951, n. 122, e 10 settembre 1960, n. 962. 36 11 riavvicinamento tra le due diverse forme statutarie (ordinaria e speciale) verificatosi tra il 1999 e il 2001 ha avuto come risultato la graduale emersione – nell’ultimo ventennio – di un nuovo assetto, basato ora, per taluni organi legislativi regionali , sul rinvio alla l. 108/196839. Infine, come visto nella precedente sezione, va pure considerato quale parte dell’ambito l’apparato sanzionatorio previsto per la violazione delle norme in materia di propaganda elettorale40. Si evince da tale rassegna quanto sia (fin troppo) complesso il quadro normativo che va sotto il nome di diritto penale elettorale, spesso difficilmente ricostruibile, data la mole di disposizioni non di rado in contrasto tra loro. Il rischio principale è costituito dalle possibili disparità di trattamento sanzionatorio per condotte di identica portata; né basta a chiarire il quadro la presenza, come abbiamo visto, di due testi base (la legge elettorale della Camera dei Deputati e la legge elettorale comunale) intorno alle quali si situano vere e proprie “normative-satellite” che ne fanno una sorta di leges generales del diritto penale elettorale41. 3.2 Due casi particolari tra legislazione e giurisprudenza Sembra dunque emergere un sistema basato su due grandi testi fondamentali, relativamente risalenti nel tempo, di conseguenza poco permeabile a modifiche di Rinviano al Titolo VII del d.p.r. 361/1957 il testo unico per l’elezione del Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige (l. reg. 8 agosto 1983, n. 7, art. 75) e la legge per l’elezione del Consiglio Provinciale di Trento (l. prov. 5 marzo 2003, n. 2, art. 82); la legge per l’elezione del Consiglio e del Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano (l. prov. 14 marzo 2003, n. 4, art. 1) rinvia al testo unico regionale del 1983. Sempre alla legge elettorale per la Camera rinvia (anche in materia di propaganda) l’art. 89 della legge elettorale per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia (l. reg. 18 dicembre 2007, n. 28). Alla l. 108/1968 rinviano la legge elettorale siciliana (l. reg. 20 marzo 1951, n.29, art. 67, come da modifica del 1996) e la legge elettorale sarda (l. reg. statutaria 12 novembre 2013, n. 1). Peculiare il caso della l. reg. 12 gennaio 1993, n. 3 sull’elezione del Consiglio Regionale della Valle d’Aosta (da ultimo modificata nel 2007), che non contiene più esplicito rinvio alla normativa statale, limitandosi a contemplare unicamente sanzioni in materia di spese elettorali. 40 Vd. la l. 4 aprile 1956, n. 212, Norme per la disciplina della campagna elettorale (ampiamente modificata dalla l. 24 aprile 1975, n. 130); l’art. 15 della l. 10 dicembre 1993, n. 515, Disciplina delle campagne per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica; gli artt. 10 ss. della l. 22 febbraio 2000, n. 28, Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica. 41 Cfr. NUNZIATA, op.cit., p. 7. 39 12 un certo tenore. Dal 1957, infatti, sono stati soltanto due gli interventi legislativi di rilievo in materia, entrambi oggetto d’attenzione (seppur da prospettive diverse) della giurisprudenza costituzionale. Il primo è costituito dalla l. 27 dicembre 1973, n. 933, recante l’abolizione espressa dell’art. 113, u.c., del d.p.r. 361/1957. Tale comma dichiarava non applicabili ai reati elettorali le disposizioni di cui agli artt. dal 136 al 167 e 175 del Codice Penale e dell’art. 487 del Codice di procedura penale42, relative alla sospensione condizionale della pena e alla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. La normativa del 1957 era peraltro già stata oggetto tanto di dibattito parlamentare, quanto di ricorso alla Corte costituzionale, che con la sentenza n. 26/197043 aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal pretore di Stradella per contrasto all’art. 3 Cost. A parere del giudice remittente, infatti, la norma violava il principio di uguaglianza impedendo il ricorso alla sospensione condizionale e alla non menzione nel casellario per reati non determinanti “un allarme sociale diverso e maggiore di quello di alcuni reati comuni, ai quali sono applicabili i detti benefici”. La Corte, nel dichiarare la questione infondata, fece riferimento ad un’altra sentenza (la n. 48 del 196244) che aveva avuto ad oggetto l’art. 102, u.c., del d.p.r. 570/1960, disposizione pedissequa all’art. 113, u.c. della legge elettorale politica. Tale disposizione, secondo il Tribunale di Catanzaro, era da ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., in quanto non veniva garantita al giudice la valutazione della personalità Trattasi, ovviamente, del Codice di procedura penale del 1930, non più in vigore, il cui art. 487 giova riportare: “Provvedimenti relativi alla sospensione condizionale della pena e alla non menzione della condanna nel certificato penale – 1. Quando la legge consente il beneficio della sospensione condizionale dell’esecuzione dell pena, il Giudice, se ritiene di concederlo, provvede con la sentenza di condanna a norma degli artt. 163, 164 e 165 del codice penale. 2. Quando il Giudice, nei casi preveduti dall’art. 175 del codice penale, intende disporre che non sia fatta menzione della condanna nel certificato penale rilasciato a richiesta di privati, provvede con la sentenza in conformità dell’articolo stesso”. 43 Sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 12 febbraio 1970, presidente BRANCA, redattore CHIARELLI. 44 Sentenza della Corte costituzionale n.48 del 29 maggio 1962, presidente AMBROSINI, redattore CASSANDRO. 42 13 dell’imputato richiesta dall’art. 164 c.p.45 onde valutare l’applicazione della sospensione condizionale della pena, istituto che per il giudice calabrese aveva lo scopo di “evitare che un incensurato che può essere ricuperato alla società e rieducato, debba essere ristretto in carcere, in un ambiente cioè non sufficientemente idoneo al ricupero e alla rieducazione”. La Corte aveva dichiarato la questione non fondata per mancata violazione del parametro. Nel dispositivo di sentenza, il giudice delle leggi ricordava come “il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 non impedisc[a] al legislatore ordinario di regolare con norme speciali situazioni speciali, sempre che il regolamento di queste situazioni non urti contro gli espliciti divieti di quel medesimo articolo, e non sia manifestamente arbitrario o irrazionale”, arbitrio non ravvisabile nella disposizione sottoposta a giudizio di legittimità “essendo ovvi i motivi che possono aver[e] indotto [il legislatore] a ritenere opportuno un trattamento differenziato per i reati elettorali, sia per la natura della materia alla quale essi si riferiscono, che è di fondamentale importanza in un regime democratico, sia per l'efficacia immediata che in tali casi deve essere riconosciuta alla pena e alle misure che alla pena conseguono”; la lagnanza sull’art. 27 fu invece censurata con l’affermazione secondo cui la norma costituzionale si riferisce al modo di esecuzione delle pene e non ha, come unico obiettivo, la rieducazione del condannato, essendo inoltre possibile “l'applicabilità del beneficio [della sospensione della pena] anche con riferimento alla qualità dei reati, quando questi, cioè, siano di tale natura da richiedere che la pena irrogata esplichi senza limitazioni la sua propria funzione intimidativa e reintegrativa del diritto”, purché si rispettino sempre le garanzie costituzionali da detta norma previste. Dopo la sentenza n. 26/1970, tuttavia, riemerse un certo movimento di opinione volto a mitigare il tenore della normativa speciale oggetto delle due sentenze citate, onde consentire l’applicazione degli istituti di diritto comune da essa preclusi all’ambito del diritto penale elettorale. Il rapporto tra sospensione condizionale e diritto elettorale, infatti, rappresentava una questione che veniva da lontano. Introdotta nell’ordinamento penale italiano 45 Nel testo vigente all’epoca, prima delle modifiche occorse con la l. 220/1974. 14 nel 190446, la sospensione condizionale fu dichiarata inapplicabile ai reati elettorali dalla legge elettorale politica del 191247, a seguito di un acceso dibattito parlamentare che vide contrari alla norma i fautori della Legge Ronchetti. Le ragioni più importanti poste a sostegno della scelta furono essenzialmente due: l’estensione del suffragio ad un’ampia platea di cittadini (e il conseguente pericolo della commissione di un maggior numero di reati elettorali) e la necessità di sottrarre i giudici dalle pressioni esterne di quanti avrebbero potuto invocare, a discolpa degli imputati, una “passione politica” resa ancor più forte nel periodo delle consultazioni. Recepita da tutti gli altri testi unici elettorali (politici e comunali) dell’Italia monarchica, la disposizione giunse indenne all’esame della Consulta Nazionale, incaricata di scrivere la nuova legge elettorale per l’Assemblea Costituente. L’atteggiamento dell’organo fu di generale rigore nella repressione di qualunque attentato alla libertà dell’elettore, al punto che quando il consultore Pietriboni propose l’espunzione della norma dal nuovo testo elettorale, essa fu respinta ad ampia maggioranza48. Si voleva rendere certa l’esecuzione delle pene in materia, resa di capitale importanza in un momento particolarmente turbolento dal punto di vista dell’ordine pubblico. La disposizione del 1912, ormai divenuta tralaticia, entrava dunque nel nuovo testo unico per l’elezione della Camera del 1948, e da lì in quelli del 1957 e del 1960. Come visto sopra, gli anni Settanta videro riaprirsi il dibattito sulla natura derogatoria dell’art. 113, u.c del d.p.r. 361/1957. Nel 1972 fu presentata una proposta di legge49 mirante a rendere meno rigorosa la disposizione (definita, senza mezzi termini, “ingiusta inumana, ed anticostituzionale”) , rendendola L. 2 giugno 1904, n. 267 sulla sospensione dell’esecuzione delle sentenze di condanna, anche nota come Legge Ronchetti. 47Art. 128, u.c. 48 Resoconto stenografico dell’Assemblea plenaria della Consulta Nazionale, seduta del 22 febbraio 1946, pp. 906-ss. 49 A.C. n. 1413 della VI legislatura, Modificazione dell’art. 113, ultimo comma, del testo unico 30 marzo 1957, n. 361, sulla elezione della Camera dei deputati, presentata il 21 dicembre 1972 dagli onn. TOZZI CONDIVI e P.RICCIO. 46 15 operante “esclusi i casi di particolare lievità e di età giovanile del colpevole”. Il dibattito parlamentare fece tesoro degli argomenti portati a sostegno della norma approvata nella legge elettorale per l’Assemblea Costituente del 1946, andando ben oltre lo spirito mitigatore della proposta. La Commissione Affari Costituzionali della Camera, infatti, oltre al dubbio di costituzionalità (causato dall’eccessiva diversità del trattamento penale per i cittadini, a secondo che commettessero un reato elettorale, piuttosto che un reato comune50) argomentò che le deroghe approvate dalla Consulta Nazionale non avessero più il fondamento che aveva ispirato la ferrea disciplina allora vigente, costituito dal momento particolare che viveva il Paese appena uscito dal secondo conflitto mondiale e dalla guerra di liberazione51, e approvò all’unanimità – d’accordo i proponenti – un nuovo testo, recante, questa volta, l’abrogazione integrale della disposizione. La formulazione posta dalla Commissione fu approvata ad amplissima maggioranza dalla Camera dei Deputati nella seduta del 12 aprile 1973; lo stesso fece il Senato il 20 dicembre successivo, facendo diventare il testo presentato la l. 933/1973 di abrogazione espressa dell’art. 133, u.c. Bisognò tuttavia aspettare ancora qualche anno perché la deroga in peius prevista dal diritto elettorale sulla concessione della sospensione condizionale della pena e sulla non iscrizione nel casellario giudiziario venisse definitivamente meno. Come infatti si è avuto modo di accennare nel corso della trattazione, la disposizione – ormai divenuta tralaticia, nel continuo susseguirsi di testi unici in materia elettorale verificatosi nel secondo dopoguerra – persisteva per l’altra fonte maggiore del diritto penale elettorale, ovvero il d.p.r. 570/1960. Con la sentenza n. 121/198052), la Corte costituzionale ebbe di nuovo modo di esprimersi sull’argomento, questa volta dal punto di vista della legge elettorale Tale assunto trovava maggior forza alla luce della recente approvazione delle nuove norme sulla libertà vigilata (art. 277 c.p.p. allora vigente) ad opera della l. 15 dicembre 1972, n. 773. 51 Cfr. l’A.C. 1413/VI, contenente la relazione fatta il 28 febbraio 1973 alla Commissione dall’on. S.RICCIO. 52 Sentenza della Corte costituzionale n.121 del 17 luglio 1980, presidente AMADEI, relatore ELIA. 50 16 comunale. Se nel 1970 la disposizione abrogata dalla legge del 1973 era stata “salvata” dal giudice costituzionale facendo riferimento all’art. 102, u.c. del testo sulle elezioni comunali, essa stessa ora veniva sottoposta al giudizio di legittimità. La Corte non poté non riconoscere il valore di ius superveniens assunto dalla l. 933/1973, capace di determinare una distinzione “irrazionale ed arbitraria”53 tra fattispecie criminose coincidenti. Accogliendo il ricorso, dunque, la disposizione fu dichiarata costituzionalmente illegittima. Un secondo caso di modifiche alla normativa penale di matrice elettoralistica è rappresentato dalle sorti subite dalla l. 61/200454. Il provvedimento partì come stralcio da un più ampio disegno di legge55 in materia di semplificazione del procedimento elettorale preparatorio, e agì sugli artt. 100 e 106 del d.p.r. 361/1957 e 90 e 93 del d.p.r. 579/1960, in materia di falso elettorale. Se da un lato la dottrina ebbe modo di apprezzare la razionalizzazione di un sistema che precedentemente prevedeva pene diverse a seconda del tipo di competizione elettorale, dall’altro criticò la scelta di attenuare la disciplina speciale del falso elettorale rispetto alla fattispecie comune di reato. La legge prevedeva, infatti, che fossero puniti con l’ammenda (e non più con la reclusione da uno a sei anni, come prima previsto per tutti i reati in materia di alterazione, sostituzione, soppressione o distruzione di schede ed altri atti elettorali) i reati previsti dai Capi III e IV del Titolo VII del Libro secondo del codice penale quando si trattasse di autenticazione delle sottoscrizioni di liste di elettori o candidature o di falsa formazione delle stesse. Il legislatore procedeva a determinare queste ultime fattispecie delittuose come una forma a sé di falso elettorale, conferendo minore allarme sociale a fenomeni precedenti il momento elettorale. Si parlò di una bagatellizzazione messa in campo Al massimo, ricordava la Corte, sarebbe stato possibile trovare una ratio distinguendi ove fosse stata la normativa elettorale politica (e non quella comunale) ad essere più rigida di quella comunale, “considerata la maggior importanza [dal punto di vista del principio democratico] delle elezioni politiche nazionali ed europee” (punto 6, quarto paragrafo del considerato in diritto). 54 Legge 2 marzo 2004, n. 61, Norme in materia di reati elettorali. 55 Vd. A.C. 1619-2451-2676-bis/XIV, formato da proposte di legge degli onn. STUCCHI, VITALI e DUSSIN. 53 17 “con un disinvolto tratto di penna” , che trasformava questi delitti in contravvenzioni oblazionabili, incidendo su condotte che “minano, pesantemente, la regolarità intrinseca […] delle competizioni elettorali”56. Non solo: introducendo il riferimento tout court ai Capi III e IV del codice, si determinava una situazione in cui si qualificavano come contravvenzioni fattispecie delittuose del tutto estranee al procedimento elettorale, tantomeno preparatorio (quali, ad esempio, la falsità in scrittura privata ex art. 485 c.p. e l’usurpazione di titoli e onori ex art. 498 c.p.), indice della scarsa qualità normativa dell’intervento. Altro punto dolente era l’abbassamento dei termini prescrizionali. La configurazione del falso elettorale come fenomeno sanzionato dalla normativa speciale con l’ammenda portava gli anni necessari a prescrivere a non più di due. La fissazione di un termine prescrizionale così breve in un ambito non devoluto alla giurisdizione onoraria (almeno per le elezioni locali) non poteva che ingenerare, a detta della dottrina e dell’opposizione parlamentare, in una sorta di “amnistia mascherata o di indultone indiretto per i reati elettorali”, per giunta maturato in un contesto in cui si era utilizzata la proposta originaria in materia di semplificazione delle procedure di presentazione delle liste per approvare in gran fretta solo una parte sanzionatoria diretta ad una depenalizzazione de facto. All’abbondanza di proscioglimenti andava pure aggiunto l’effetto che avrebbe avuto (e che effettivamente ebbe) il fatto che la nuova normativa costituiva un palese caso di lex mitior, come tale operante sui processi in corso ai sensi dell’art. 2, c. 3, c.p. Infine, va notato che la legge del 2004, agendo sulle procedure di autenticazione delle liste di sottoscrizione di candidature, si traduceva in un vero e proprio beneficio per quella determinata categoria di autenticatori costituita dagli amministratori locali. Era questo, a detta di taluna dottrina, un dato da non sottovalutare, in quanto si 56 Vd. RIVERDITI, Norme in materia di reati elettorali, in Legislazione penale, 2004, IV, p. 620. 18 veniva a creare una vera e propria platea di impuniti per il solo fatto di ricoprire una carica politica57. La disparità di trattamento del falso in atto tra diritto comune e diritto elettorale fu oggetto di ricorso alla Corte costituzionale. I Tribunali di Roma e Firenze, e il g.i.p. del Tribunale di Pescara ravvisavano una violazione degli artt. 3 e 27 Cost.; a ciò il Tribunale di Roma aggiunse la considerazione che “l’attitudine del falso in liste di candidati a compromettere in modo diretto valori costituzionalmente garantiti – quale, in primis, la libertà del diritto di voto (art. 48 Cost.) – avrebbe dovuto suggerire non già un’attenuazione, ma semmai un irrigidimento della risposta punitiva prefigurata in via generale dall’art. 479 cod. pen. per la falsità in autenticazione di firme”58. Con una sentenza che viene ricordata più per essere un importante intervento della nostra Corte costituzionale sulle norme penale di favore, che per il profilo meramente attinente i reati elettorali, il giudice delle leggi censurò l’eccessiva disparità del falso elettorale rispetto alla figura generale prevista dal Codice, e dichiarò costituzionalmente illegittimi gli artt. 100, c.3, del d.p.r. 361/1957 e 90, c.3, del d.p.r. 570/1960. 4. L’art. 416-ter c.p. nell’alveo del diritto penale elettorale Qualificare l’art. 416-ter c.p. come norma del diritto penale elettorale è un esercizio, come si vedrà nel corso della trattazione, non facile. Nonostante il conforto di taluna dottrina che non esita a includere la disposizione codicistica nell’ambito di studio in oggetto59, non si deve dimenticare che essa afferisce sì al diritto penale elettorale, ma non nasce come norma immediatamente afferente a tale ambito, ponendosi obbiettivi di tutela che vanno ben oltre la trasparenza e In questo la dottrina confermava i dubbi espressi, in sede di approvazione finale del provvedimento, dagli onn. BOATO, LEONI, MARONE, PISAPIA e SODA (riportate da NATALINI, Reati elettorali e ius superveniens: un’amnistia mascherata? - nota a Cass., sez. III, 26 maggio 2004, Guareschi Marosi, in Cassazione Penale, 2004, XI, p. 3595). 58 Vd. il punto 1.2 del considerato in diritto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 394 dell’8 novembre 2006, presidente BILE, redattore FLICK. 59 Vd., da ultimo, NUNZIATA, op.cit., p. 18-ss. 57 19 correttezza delle operazioni elettorali. Del resto, analogo discorso va fatto per l’art. 294 c.p., norma che come abbiamo visto si pone in chiave di tutela generale di tutti i diritti politici del cittadino, agente in via sussidiaria nel momento in cui venga a mancare specifica disciplina di casi particolarmente controversi60. All’indomani dell’approvazione della riforma codicistica del 1992, la dottrina si trovò a constatare come nel 1982 (anno di approvazione della cd. “legge Rognoni-La Torre)61 si fosse agevolata, con l’introduzione dell’art. 416-bis c.p., la repressione giudiziaria nei confronti del fenomeno mafioso, tralasciando, però, di affrontare, come vedremo, le contiguità tra mafia e politica. Questo perché alle soglie degli anni Novanta dello scorso secolo il fenomeno mafioso si presentava ancora come caratterizzato da “un’interpretazione scientificamente controversa”, costituendo un concetto “‘sovradeterminato’, nel senso che si presta[va] a condensare o fondere significati diversi e storicamente stratificati: esso indicava[va], nel medesimo tempo, una associazione criminale, una realtà storica, un codice culturale, una struttura di potere” capace di interagire col sistema legale in tutte le sue sfaccettature politiche, economiche e sociali62. Non solo: nonostante già negli anni Sessanta fossero emerse le prime avvisaglie di una nuova, più moderna tipologia di infiltrazione mafiosa nei gangli della vita socio-economica del Paese (si pensi alle partecipazioni statali, messe in campo dallo stato in un’ottica di rilancio del Mezzogiorno d’Italia), continuava a mancare un controllo penale su un fenomeno che molti ritenevano essere sociologicamente fisiologico. Si continuava a guardare al fenomeno mafioso (e a tutte le sue implicazioni ed articolazioni) come al portato di un vero e proprio sistema sottoculturale, configurazione, questa, causa di non poche resistenze e Anticipando quanto si dirà nel corso della trattazione, si può fare l’esempio del procacciamento di voto effettuato con metodi mafiosi da organizzazioni criminali non mafiose. 61 Legge 13 settembre 1982, n. 646, “Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia”. Il nome deriva dai proponenti del provvedimento (il comunista Pio La Torre, ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982 e il democristiano Virginio Rognoni, Ministro dell’Interno dell’epoca). La svolta decisiva all’approvazione della legge fu data dall’assassinio, il 3 settembre 1982, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo. 62 Cfr. FIANDACA, Riflessi penalistici del rapporto mafia-politica, in Il Foro Italiano, 1993, V, col. 137. 60 20 cautele della magistratura nel momento in cui pure sarebbe stata necessaria una maggior repressione. A questa visione non sfuggiva il fenomeno della cd. “mafia in guanti gialli”, espressione usata per cristallizzare forme di rapporti tra sfere apicali delle organizzazioni mafiose e mondo della politica e della imprenditoria. Al di là e prima dell’aspetto giuridico, non va dunque dimenticato che l’approvazione dell’art. 416-ter c.p. rispondeva ad esigenze di ordine pubblico ormai indifferibili e strettamente connaturate ad una situazione di contrasto ad un sistema di azioni e valori che lo Stato, finalmente, venne a qualificare come deprecabili con lo strumento dell’azione penale. 4.1. La genesi del reato di scambio elettorale politico-mafioso L’iter affrontato dall’attuale art. 416-ter c.p. in materia di scambio elettorale politico-mafioso risulta alquanto travagliato. Al di là del dato fattuale, al di là del mero intervento legislativo, si deve dunque tenere conto della temperie storica ben precisa, nonché del “quadro sociologico” nel solco del quale si decise di mettere mano – dopo l’intervento della Legge Rognoni-La Torre di pochi anni prima – al Codice penale63. Intanto, il dato storico: la l. 6 agosto 1992, n. 35664 andava a convertire il d.l. 8 giugno 1992 n. 306 (cd. “decreto Scotti-Martelli”, dal nome dei Ministri degli Interni e di Grazia e Giustizia dell’epoca). Tale decreto costituiva la risposta dello Stato alla spirale violenta delle stragi di mafia, che avevano avuto il culmine nei violenti assassini di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e di Paolo Borsellino con le relative scorte armate (rispettivamente, 23 maggio e 19 luglio 1992). L’ondata emotiva provocata nel Paese dalla violenza di quella che era diventata una vera e propria lotta (che voci sempre più insistenti, poi in parte confermate, volevano inquinata da insinuazioni, all’interno dell’apparato statale, di uomini “di fiducia” di Cosa Nostra) incise fortemente sulla qualità del dibattito parlamentare Cfr. supra al paragrafo precedente. Legge 7 agosto 1992, n. 356 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”. 63 64 21 in sede di conversione del decreto. Come notava la critica dottrinale coeva all’approvazione della l. 356/1992, il decreto Scotti-Martelli non conteneva alcuna norma sulla vexata quaestio dei rapporti tra mafia e politica, nonostante l’opinione pubblica fosse sempre più convinta che si dovesse invece intervenire radicalmente su ogni pur minima collusione tra forze per propria natura antagoniste. Si era venuto a creare una situazione in cui la classe politica, chiamata a rispondere del lassismo (e di movimenti poco chiari) che molti ritenevano avesse mostrato nel contrasto di quelle associazioni a delinquere che la l. 646/1982 aveva definito “di tipo mafioso”, ancora una volta aveva rinunciato ad affrontare il problema65. Si era cominciato a parlare dello scambio elettorale all’indomani del decreto grazie ad un documento66 – stilato da alcuni magistrati palermitani antimafia, tra cui i componenti del cd. “pool di Palermo” – che puntava l’obiettivo di sanzionare la “zona grigia della contiguità politico mafiosa” con una modifica dell’art. 416-bis c.p. La strada che i magistrati indicavano era quella di un intervento che facesse dell’art. 416-bis c.p. una disposizione organica in materia di contrasto alle associazioni a delinquere di stampo mafioso. A ben vedere, però, più che di una questione di organicità, si trattava di far rientrare nello schema-base di questo particolare tipo di associazione criminale il controllo del suffragio elettorale esercitato dagli associati, tassello, questo, che si sarebbe aggiunto a quelli già componenti il “programma mafioso” individuato dalla Legge Rognoni-La Torre67. I magistrati concretizzavano la loro analisi in un comma da aggiungere all’art. 416bis: “Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì a coloro i quali si avvalgono, anche indirettamente, del sostegno intimidatorio delle associazioni mafiose per procacciarsi Cfr. VISCONTI, Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, in L’Indice penale, 1993, II, pp. 276 e 283. Ivi, in particolare, viene riportato il negativo giudizio che BRICOLA diede di una normativa che, rinunciando a perseguire le contiguità tra politica e mafia, nasceva con la macchia di un vero e proprio “deficit di coraggio del legislatore”. 66 Un indispensabile salto di qualità: proposte dei magistrati palermitani per l’assemblea nazionale dell’A.n.m. del 20 giugno 1992, cit. in VISCONTI, op.cit., p. 276, nota 10. 67 Aggiungendosi dunque agli elementi dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà finalizzata alla commissione di delitti e del controllo, in qualsiasi forma, di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti o servizi pubblici, nonché dell’ottenimento di profitti e vantaggi ingiusti. Cfr. art. 416-bis, c. 3, c.p. 65 22 voti nelle competizioni elettorali in cambio di denaro o della promessa di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti, contributi, finanziamenti pubblici, o comunque, la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti”. Nonostante questo contributo, il disegno legge di conversione del d.l. 306/1992 presentato dal Governo non recava alcuna norma in merito. La questione passò allora al dibattito parlamentare. In Commissione Giustizia al Senato un emendamento delle opposizioni (a firma dell’on. Brutti) proponeva di sanzionare, sempre nell’ambito dell’art. 416-bis, “coloro i quali nel corso delle campagne elettorali, al fine di procurare voti a sé o ad altri, ricorrano al sostegno intimidatorio delle associazioni mafiose”. Questa proposta (che, rispetto a quella avanzata dai magistrati siciliani, disegnava una fattispecie molto ampia di scambio elettorale politico-mafioso, rendendo necessario come unico elemento decisivo della fattispecie il ricorso all’intimidazione operata per conto altrui dall’organizzazione mafiosa) venne respinta dalla Commissione, che approvò un altro emendamento, questa volta della maggioranza (a firma dell’on. Pinto) che andò a modificare l’art. 416-bis c.p. nella parte delle finalità associative68, senza accennare ad una sanzione per il politico che ricorresse alla mafia per ottenere consensi elettorali. Fu il dibattito in sede di Commissione Giustizia della Camera a dare forma alla nuova fattispecie, stralciandone altresì la previsione dal disposto dell’art. 416-bis c.p. L’embrione del 416-ter attuale è da rintracciare in un emendamento – anch’esso proveniente dalle opposizioni – (a firma degli onn. Galasso e Palermo), che nell’ottica di un recepimento (non proprio preciso, come vedremo) delle indicazioni provenienti dal pool palermitano era di questo tenore: “Le pene stabilite dai primi due commi dell’art. 416 bis si applicano anche a chi, per ottenere a proprio od altrui vantaggio il voto elettorale, si avvale, anche indirettamente, della forza d’intimidazione del vincolo associativo di cui all’art. 416 bis accettando la promessa di Modifica, questa, che tramite un ulteriore intervento operato nel successivo esame alla Camera dei Deputati aggiunse, alle finalità di cui all’art. 416-bis, c.3, c.p., l’ipotesi di impedimento del libero esercizio del voto e quella di procacciamento di voti per sé o per altri. 68 23 sostegno elettorale da persone sottoposte a procedimento di prevenzione o a procedimento penale per il delitto di associazione mafiosa in cambio della somministrazione di denaro o della promessa di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti, contributi, finanziamenti pubblici o, comunque, la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti”. Una formulazione del genere, peraltro, presentava non poche problematiche; in particolare, c’era il rischio di rendere esclusiva la configurazione del momento genetico dello scambio elettorale esclusivamente come di un avvicinamento e di un’offerta fatta dall’organizzazione mafiosa al politico e non viceversa. Comunque fosse, questo testo fu accantonato dalla Commissione, che ne propose al voto in Assemblea un altro, elaborato come alternativo da un comitato ristretto: “La pena stabilita dal primo comma dell’art. 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal 3° comma69 in cambio della somministrazione di denaro o della promessa di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti, contributi, finanziamenti pubblici o, comunque, alla realizzazione di profitti”. Il pregio di questa formulazione, rispetto a quella avanzata dall’opposizione, era il “capovolgimento di prospettiva” operato, riportando il profilo sanzionatorio nell’ambito del politico che anzitutto si rivolge sua sponte all’associazione ottenendone la promessa di voti. Nonostante il favore che pure aveva riscosso questa nuova proposta, si registrarono non poche perplessità tra la maggioranza e, soprattutto, tra gli operatori del diritto. Come ebbe modo di riferire il Ministro Martelli alla Camera dei Deputati, “la norma proposta dalla commissione, a giudizio dei magistrati e dei funzionari che lavorano al ministero e di quelli che seguono la commissione stessa, si presta ad interpretazioni diverse ed eventualmente ad arbitri”70, ragion per cui il Guardasigilli propose il voto sull’emendamento a parti separate (limitando la prima di esse al testo fino alle parole “somministrazione di denaro”). Vd. nota precedente. ATTI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, seduta del 4 luglio 1992, citato da VISCONTI, op.cit., p. 278, nota 16. 69 70 24 Peraltro, l’argomentazione del Governo è stata ritenuta dalla dottrina come “controvertibile”, in quanto pure accettabili erano le ragioni di garanzia a tutela dell’uomo politico poste – a parere delle opposizioni – dall’intero testo scaturito dall’esame in Commissione71. L’elemento della promessa, infatti, si sarebbe configurato come un ulteriore elemento di discrimine tra uomo politico colluso con la mafia e uomo politico associato alla mafia. Il voto per parti della proposta portò all’approvazione della prima e al respingimento della seconda. La seconda lettura al Senato della Repubblica fu caratterizzata da un esame altrettanto convulso, con il timore che una dilazione dei tempi parlamentari avrebbe portato alla decadenza del decreto-legge per decorrenza dei termini di conversione. Ragioni di urgenza portarono al respingimento di tutti gli emendamenti in gran parte presentati dall’opposizione, non ultimi uno (a firma dei senn. Salvato ed altri) che riproponeva il testo presentato alla Camera dagli onn. Galasso e Palermo e un secondo (avanzato dal sen. Covi) che riproponeva il tema della contropartita della promessa nella forma non solo del denaro, ma anche – alternativamente – “di altra utilità”. Con la conversione in legge del decreto Scotti-Martelli, appariva nel nostro ordinamento penale l’art. 416-ter c.p. in materia di scambio elettorale politico-mafioso72. 4.2. Prima del 1992: i reati di cui agli artt. 96 e 97 del d.p.r. 361/195773 (e i relativi problemi di coordinamento con la “nuova” fattispecie codicistica). La giurisprudenza successiva tra sforzo chiarificatore e aperture alla novità. Una problematica non irrilevante che pone l’art. 416-ter c.p. quale disposizione afferente al diritto penale elettorale è rappresentata dalla necessità di un coordinamento con alcune fattispecie precedentemente previste dalla legge Vd. VISCONTI, op.cit., ibidem. Il cui testo, vigente fino all’entrata in vigore della recentissima riforma operata dalla legge 17 aprile 2014, n. 62, giova riportare: “La pena stabilita dal primo comma dell’art. 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della erogazione di denaro”. La disposizione era contenuta nell’art. 11-ter del d.l. 306/1992, aggiunto al testo originario del decreto Scotti-Martelli dalla legge di conversione. 73 Per quanto riguarda la legge elettorale comunale, disposizioni analoghe sono contemplate dagli artt. 86 e 87 del d.p.r. 570/1960, che tralasceremo. 71 72 25 speciale. In particolare, il testo unico del 1957 sull’elezione della Camera dei Deputati – in questo recependo una serie di disposizioni già presenti nelle precedenti leggi elettorali politiche74 – ha recato sin dalla sua emanazione norme per la tutela del libero esercizio del voto da episodi di corruzione (art. 96) e coercizione (art. 97). Tali norme rientrano, per la dottrina più risalente, nella categoria dei reati riguardanti l’esercizio del diritto elettorale, caratterizzata da figure aventi di per sé struttura, condotta ed evento particolari, previste però da norme ispirate dalla medesima ragione ed obiettività giuridica, ovvero “assicurare e garantire la libertà del cittadino, nell’esercizio del diritto elettorale, da ogni e qualsiasi fatto che valga a menomare, turbare od impedire la libertà in parola, presupposto necessario della regolarità e della esattezza dei risultati delle consultazioni elettorali” 75. Il primo articolo contempla due ipotesi di corruzione per il voto elettorale (in sede di sottoscrizione delle liste o di votazione), consistenti l’una nella sanzione di chiunque “offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori o, per accordo con essi, ad altre persone”, l’altra nella sanzione dell’elettore che accetti o riceva tali offerte o promesse. È lampante la differenza tra la disposizione in parola e quella dell’ 416-ter c.p.76, prevedendo la normativa speciale una gamma più vasta di contropartite offerte all’elettore (ed eventualmente da esso accettate) rispetto a quelle contemplate dalla novella codicistica del 1992. Il secondo articolo è dedicato, invece, all’ipotesi di coercizione per il voto elettorale, integrato dalla condotta di un soggetto che costringa la libera scelta dell’elettore (anche qui in relazione a tutto il procedimento elettorale, fin dalla fase preparatoria) con violenza o minaccia, raggiri o artifizi – compreso il caso particolare, previsto dalla littera legis, dell’uso di false notizie –, o comunque con qualunque mezzo illecito atto a diminuire la libertà degli elettori. Il discrimine tra Vd., su tutti, gli artt. 111 e 112 della legge elettorale politica del 1928. MAZZANTI, op.cit., pp. 131-ss. 76 Il riferimento, ovviamente, è al testo precedente alla riforma approvata con la l.62/2014. 74 75 26 questa disposizione e quella del 416-ter c.p. è dato, anzitutto, dalla presenza di un’intimidazione, che però non deriva dal vincolo associativo proprio della criminalità organizzata. Tale basilare distinzione si collega al secondo elemento di differenziazione che pure emerge, costituito dall’ampio raggio di mezzi con cui si effettua pressione sul libero cittadino. Guardando alla normativa del 1957 dalla posizione di chi ha già avuto esperienza dell’intervento legislativo del 1992, si nota come l’elencazione di precisi mezzi di coazione si renda necessaria, dal momento che nel delitto di scambio elettorale politico-mafioso essi sono ricompresi nel più ampio genus della forza d’intimidazione citata quale costituente necessaria dell’associazione a delinquere di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p. Si pone, allora, una questione non irrilevante sul rapporto tra la norma codicistica e il disposto della legge elettorale politica, un rapporto su cui la dottrina non ha mancato di porre l’attenzione. Orbene, per quanto riguarda i rapporti tra l’art. 416-ter c.p. e l’art. 96 del d.p.r. 361/1957, un primo punto interessante è dato dallo stabilire se si possa guardare alla prima come disposizione speciale ricompresa nella seconda. Potrebbe essere uno schema sussumibile ove si consideri che la presenza del vincolo associativo mafioso nella fattispecie codicistica non faccia altro che specificare quanto disposto dall’art. 96 del testo unico. Basta però l’esemplificazione di un caso pratico a confutare questa ricostruzione77: si pensi ad un mafioso che venga scoperto, a seguito di intercettazioni telefoniche, ad accordarsi con un candidato alle elezioni, onde garantire a quest’ultimo, in cambio di denaro, il procacciamento di voti da parte di alcuni affiliati alla cosca; si pensi, altresì, di punire quest’atteggiamento – costitutivo, in fin dei conti, della più basilare ipotesi di scambio elettorale – non già ricorrendo all’art. 416-ter c.p., bensì all’art. 96 del testo unico. Anzitutto, non si potrebbe pretendere di perseguire l’uomo politico per concorso esterno in associazione mafiosa, mancando (come più volte affermato dalla dottrina, e successivamente dalla giurisprudenza) quel sostegno costante 77 È un ragionamento che pone VISCONTI, op.cit., pp. 301-ss. 27 all’organizzazione criminale decisivo per fare del politico un favoreggiatore del consorzio criminale. Non siamo in presenza di una serie di fitte relazioni, quanto, piuttosto, di un patto negoziale indice di un rapporto occasionale e di per sé recante un disvalore giuridico. A meno che il politico non sia un affiliato (nel qual caso si dovrebbe guardare non al 416-ter c.p., ma al 416-bis c.p.), si deve ritenere che il patto negoziale abbia un che di episodico, scaturendo da un contatto che avviene tra mala politica e mafia in occasione delle singole consultazioni78. Che fare, allora, del politico e del mafioso della nostra intercettazione? Va detto che l’art. 96 del d.p.r. 361/1957 presenta un limite ben definito, rappresentato dal fatto che viene punito chi mercanteggia esclusivamente il proprio voto (al massimo per ottenere favori per un terzo che però non partecipa al patto, né tantomeno vincola il proprio suffragio come fa, invece, l’elettore che lo indica al corruttore come beneficiario). In una tale ottica, dunque, il mafioso sarà punibile a titolo di corruzione elettorale solo ed esclusivamente nel momento in cui ponesse, quale contropartita del rapporto, il proprio voto. Emerge dunque chiaramente il diverso tenore delle due ipotesi e, soprattutto, l’impossibilità di ricondurre quella prevista dal Codice nell’ambito di quella contemplata dal testo unico sull’elezione della Camera dei Deputati. Quest’ultima descrive necessariamente un rapporto diretto tra corruttore ed elettore corrotto; la prima, invece, va a colpire un più ampio progetto di intermediazione e di raccolta dei suffragi che esorbita la dimensione del voto di un singolo elettore, ponendosi inoltre ad un livello ben più ampio (la promessa di cui all’art. 416-ter c.p. situandosi in un incontro a sfere ben più alte, qual è quello che si tiene tra l’organizzazione mafiosa e il candidato). L’elettore o la pluralità di elettori corrotti, onde rendere operante l’art. 96 del testo unico, dovrà essere ben individuato, e l’utilità messa sul piatto dal corruttore dovrà andare a diretto beneficio del corrotto o della persona da esso indicata79. Cfr. VISCONTI, op.cit., p. 295. Tale tesi si rinviene nelle considerazioni svolte dai magistrati della Procura della Repubblica di Napoli in sede di richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di alcuni deputati; vd. VISCONTI, op.cit., p. 302, nota 65. 78 79 28 Ovviamente, impostando il rapporto tra la normativa elettorale e quella codicistica nel senso in cui la prima non è suscettibile di attrarre (almeno non completamente) la seconda, vale anche il discorso inverso. La differenza tra le due fattispecie è direttamente derivante dalla configurazione di modelli criminologici diversi. La legge del 1957 (come del resto avevano già fatto le precedenti leggi elettorali politiche) andava ad affrontare il fenomeno di uno scambio definibile come al minuto, profondamente radicato in aree del nostro Paese caratterizzate da grande degrado sociale e da fenomeni clientelistici diffusi; l’art. 416-ter c.p., invece, prende in considerazione il sistematico controllo e procacciamento del consenso elettorale esercitato dall’organizzazione criminale nell’ambito del proprio bacino territoriale. Altra questione da affrontare è la presenza, o meno, della stessa rationis materiae, sulla quale, a questo punto, restano ben pochi dubbi. Non avrebbe senso ricondurre l’art. 416-ter c.p. nella famiglia dei reati elettorali se esso non si ponesse a tutela anticipata dello stesso bene giuridico da questi contemplato, ovvero la libertà e trasparenza delle operazioni di voto80. Comparando in chiave formale le due fattispecie, abbiamo visto come il rapporto tra esse assuma una forma di “specialità reciproca bilaterale”81; quel che cambia, però, è la modalità di aggressione al medesimo bene giuridico previsto dalle due disposizioni, modalità di aggressione che si distinguono intanto per le ragioni di politica criminale che ne ispirano il contrasto; poi, per le origini sociologiche e storiche che ne costituiscono il sostrato; infine, per la differenza fattuale-sistematica e quantitativa esistente tra le due aggressioni (essendo l’art. 96 del d.p.r. 361/1957 destinato, come abbiamo visto, a contrastare un fenomeno molto meno vasto, organizzato e pericoloso del grande movimento di voti che si vuole affrontare con l’art. 416-ter c.p.). Si tratta di una tutela su cui la Corte di Cassazione ha avuto modo di puntualizzare, come si vedrà nel corso della trattazione. 81 L’espressione è di VISCONTI, op.cit., p. 303. 80 29 Va peraltro notato, comunque, come la legge di conversione del decreto ScottiMartelli abbia previsto, all’art. 11-quater82, la modifica dell’art. 96, primo comma, del testo unico, colla quale fu aumentata la pena detentiva prevista – insieme alla multa – per corruttore ed elettore corrotto, elevando i limiti da sei mesi ad un anno nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo edittali. Come si diceva all’inizio della sezione, altra norma del diritto penale elettorale che necessita di un coordinamento con il disposto dell’art. 416-ter c.p. è quella recata dall’art. 97 del d.p.r. 361/1957, in materia di coercizione elettorale. Va anzitutto detto che tale condotta criminale è portatrice di per sé un disvalore giuridico, concretizzandosi nell’uso di mezzi particolarmente odiosi (violenza, raggiro, false notizie) allo scopo di limitare la libertà dell’elettore, senz’altro inquadrabile come specificazione dell’art. 294 c.p. Nel rapporto coll’art. 416-ter c.p., già la dottrina contemporanea alla riforma del 1992 ravvisava il porsi di seri problemi sul possibile concorso tra i due reati83. Se non si fosse tenuto presente, infatti, che la violenza e l’intimidazione sono elementi costitutivi, ex art. 416-bis c.p., dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, si sarebbe rischiato di ammettere un concorso (apparente) sfociante, però, in una violazione del principio del ne bis in idem, nel momento in cui si contestasse all’uomo politico non solo il patto di scambio con la mafia, ma anche la responsabilità di aver ingenerato il procacciamento di voti effettuato coi mezzi di cui all’art. 97 del testo unico sull’elezione della Camera. La fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. assorbe necessariamente quanto contemplato dalla disposizione speciale sulla coercizione al voto intanto per l’intrinseca pericolosità del patto stipulato tra il politico e l’associazione mafiosa; e poi perché si rischia di punire (due volte, e con pene detentive incidenti non poco sulla libertà personale del singolo) una condotta che viene ad essere tipica per la normativa codicistica e, contemporaneamente, atipica per la normativa speciale. 82 83 Significativamente successivo all’art. 11-ter, che introdusse nel Codice penale l’art. 416-ter. Cfr. VISCONTI, op.cit., p. 305. 30 Fin qui quanto è stato scritto, a proposito dei rapporti tra la nuova fattispecie codicistica e le disposizioni ad essa più vicine, dalla dottrina all’indomani della conversione in legge del decreto Scotti-Martelli. Nel corso del tempo, come spesso accade, è stata la Corte di Cassazione a tracciare (per la verità in maniera non sempre univoca e lineare) le direttrici in base alle quali leggere le interazioni dell’ art. 416-ter c.p. con le disposizioni speciali, e, non ultimo, con l’art. 416-bis c.p. Partendo da questo aspetto, grande è stato lo sforzo chiarificatore della giurisprudenza di legittimità, che nel 2000 ha contribuito a segnare importanti paletti tra le due fattispecie codicistiche. A quell’anno risale infatti la sentenza Frasca84, che ha ritenuto sussistente il concorso esterno in associazione mafiosa allorchè il politico si impegni a favorire l’organizzazione criminale una volta eletto: “Mentre nel reato di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) non è necessario, ed anzi è improbabile che il politico aderisca, quale componente o concorrente esterno, alla struttura malavitosa […], nell’ipotesi in cui la associazione mafiosa si impegni per ostacolare il libero esercizio del diritto di voto o per procurare voti ad un determinato candidato (art. 416-bis comma 3, ultima parte c.p.), quest’ultimo o sarà un aderente, a pieno titolo, alla suddetta associazione, ovvero, in quanto uomo politico estraneo alla associazione, ma disponibile al soddisfacimento delle esigenze della stessa, potrà eventualmente rivestire, in ragione del suo concreto comportamento, il ruolo di concorrente esterno”85. Questo perché l’estraneità all’associazione mafiosa diventa la base su cui stringere rapporti di reciproca utilità più o meno stabili, rapporti di cui il politico non avrebbe bisogno nel momento in cui fosse egli stesso un associato. In questo la Suprema Corte andava a discostarsi da quanto affermato in una precedente sentenza86 (anteriore alla novella codicistica del 1992) che aveva ricondotto il voto di scambio nell’alveo del concorso interno perché sintomatico Cass., sez. V, 16 marzo 2000, Frasca, in Il Foro Italiano, 2001, II, col. 80, con nota di MOROSINI, Riflessi penali e processuali del patto di scambio politico-mafioso. 85 Vd. la massima della sentenza in MANTOVANI, nota a Cass., sez.III, 23 settembre 2005, Foti ed altri, in Giurisprudenza Italiana, 2006, V, p. 1027. 86 Cass., sez. I, 8 giugno 1992, Battaglini, in Il Foro Italiano, 1993, II, col. 133. 84 31 della condivisione intimidatoria propria dell’associazione mafiosa da parte del candidato e del riconoscimento da parte dell’associazione stessa del politico quale fonte di prestazioni diffuse a favore della associazione87. Con la sentenza Frasca, invece, viene configurato come concorrente interno il solo aderente pleno iure, personalità, cioè, già esponente della cosca (in virtù anche solo di un rapporto stabile, prescindendo dunque dalla presenza o meno dei rituali di affiliazione), identificabile con essa e che introduce, all’interno delle relazioni con essa, fenomeni di scambio elettorale. Il 416-ter c.p. viene dunque, secondo il collegio giudicante il caso de quo, a tipizzare una condotta di compartecipazione solo eventuale nell’associazione, incentrata sulla promessa elargizione di una utilità in denaro in favore del sodalizio mafioso. Non solo: la sentenza in esame introduce un elemento su cui la giurisprudenza tornerà spesso, quale quello del bene giuridico tutelato dalla disposizione codicistica. In parte smentendo la dottrina immediatamente coeva all’intervento del legislatore, la Corte di Cassazione vide il bene giuridico tutelato anzitutto nell’ordine pubblico, “vulnerato per il solo fatto che una associazione mafiosa ‘scenda in campo’, più o meno apertamente a favore di un candidato”. Con questa affermazione veniva esclusa la rilevanza penale della sola richiesta di voti alla mafia, situandosi la realizzazione della condotta criminale nel momento in cui l’uomo politico si impegni “seriamente, una volta eletto, a contraccambiare […] l’aiuto ricevuto”. Questo perché (come ha avuto modo di dire anche la giurisprudenza ordinaria88) “il patto di scambio voti-favori si traduce in un contributo idoneo a consolidare il sodalizio criminale”, nel momento in cui l’uomo politico si metta a disposizione di quest’ultimo. Un’altra importante tappa per la definizione del non facile confine tra l’associazione a delinquere di tipo mafioso e lo scambio elettorale è stata segnata nel 2005. La sentenza di annullamento della condanna in secondo grado per Calogero Mannino (personalità politica di spicco non solo in Sicilia, ma anche a 87 88 Cfr. MOROSINI, nota citata. Trib. Palermo, 27 gennaio 2001, Scalone, in Il Foro Italiano, 2002, II, col. 68. 32 livello nazionale)89 precisava i criteri necessari per la configurazione del concorso esterno, individuati a) nella serietà e concretezza degli impegni assunti dal politico in rapporto all’affidabilità dei contraenti, ai caratteri strutturali dell’associazione, al contesto di riferimento e alla specificità dei contenuti e b) nell’effettiva e significativa incidenza degli impegni assunti dal politico sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera associazione criminale o di sue articolazioni settoriali. Il secondo requisito ha fatto molto discutere, in quanto non è sicuramente facile accertare l’esistenza o meno di quello che non sarà mai un patto scritto (bensì un insieme di contatti accompagnati da una vasta gamma di eventi utili a palesarlo90) e dei relativi giovamenti venuti all’associazione mafiosa dalla pattuizione. La Suprema Corte ha fatto tesoro di tutta una serie di spunti dottrinali in materia che hanno ricordato come la mafia sia, prima di tutto, un fenomeno sociologico non irrilevante91, aprendo ad una dimostrazione dell’accordo occulto basata su “massime di esperienza dotate di empirica plausibilità”92. Non solo: non è sfuggito alla dottrina come la necessità, per il sodalizio mafioso, di conseguire, grazie alle attività del politico, conservazione e rafforzamento sia un concetto frutto di un sforzo ermeneutico che presenta non pochi profili di incertezza93. Il principio di diritto secondo cui la consumazione del reato di scambio elettorale politico-mafioso si sostanzia nello scambio delle reciproche promesse94 è stato, da Cass., SS.UU., 12 luglio 2005, Mannino, in Studium iuris, 2006, I, p. 86, con nota di CALLEGARI. Bastino alcune delle azioni descritte nella sentenza Frasca di cui sopra: oltre ai contatti telefonici con diversi boss del mandamento, il candidato sindaco chiamato in causa si era reso protagonista di un giro elettorale in auto insieme ad uno di essi, e aveva altresì avallato il sequestro di persona ai danni del diretto rivale per invitarlo a ritirare la candidatura, episodi, questi, “difficilmente confinabili nell’area delle pure coincidenze” (cfr. e vd. MOROSINI, nota citata). 91 Vd., su tutti, FIANDACA, op.cit. 92 Vd. la massima della sentenza annotata da CALLEGARI. 93 Cfr., più diffusamente, FIANDACA-VISCONTI, Il patto di scambio politico-mafioso al vaglio delle sezioni unite, nota alla sentenza Mannino, in Il Foro Italiano, 2006, II, col. 86. 94 E non nel momento della materiale erogazione di denaro dal politico al rappresentante dell’associazione mafiosa, come pure avevano ritenuto taluna giurisprudenza e dottrina precedenti. Vd., oltre alla sentenza Frasca, anche Cass., sez. V, 13 novembre 2002, Gorgone. 89 90 33 ultimo, confermato dalla Corte di Cassazione in una sentenza del 201295, che si pone al culmine di un ragionamento iniziato con la sentenza Frasca e più volte ripreso (anche dalla sentenza Mannino), che ha visto in tale momento consumativo il sorgere necessario di un concorso esterno in associazione mafiosa per il politico promittente, “perché è lo stesso accordo che di per sé avvicina l’associazione mafiosa alla politica, facendola in qualche misura arbitro anche delle sue vicende elettorali, e rendendola altresì consapevole della possibilità di influenzare perfino l’esercizio della sovranità popolare, e cioè del suo potere” 96. Nella motivazione di tale sentenza, peraltro, si faceva un accenno alla critica mossa dalla dottrina maggioritaria all’art. 416-ter c.p.97 sull’inadeguatezza della previsione del solo denaro quale contropartita per la promessa di voti. Su questo criterio vanno segnalate due sentenze della Cassazione, che hanno avallato un indirizzo giurisprudenziale in un certo qual senso “di apertura”, affermando come l’oggetto materiale dell’erogazione possa consistere non solo nel denaro, ma anche in “qualsiasi bene traducibile in un valore di scambio immediatamente quantificabile in termini economici (ad es., mezzi di pagamento diversi dalla moneta, preziosi, titoli, valori mobiliari, ecc.)”98, restando invece escluse tutte le altre utilità che “solo in via mediata possono essere trasformate in ‘utili’ monetizzabili e, dunque, economicamente quantificabili”99. Per quanto concerne i rapporti tra 416-ter c.p. e le norme di diritto penale elettorale precedenti ad esso, le linee salienti possono essere riassunte nei seguenti orientamenti: Cass., sez. I, 2 marzo 2012, Battaglia, in Giurisprudenza Italiana, 2013, IV, con nota di APREA, Il momento consumativo dello scambio elettorale politico-mafioso, p. 939. Interessante notare come questa sentenza riguardi il caso dei contatti tra un uomo politico e una ramificazione della ‘ndrangheta in Piemonte. 96 Vd. APREA, nota citata, p. 941. 97 Nel testo antecedente la riforma operata dalla l. 62/2014. 98 Vd., in CED Cass., rv. 251374 (m), la massima della sentenza Cass., sez. II, 30 novembre 2011, M.F. 99 Vd. in CED Cass., rv. 251609 (m), la massima della sentenza Cass., sez. II, 30 novembre 2011, D’Auria Petrosino. 95 34 - sul bene giuridico del reato di scambio elettorale politico-mafioso, una serie di pronunce della Suprema Corte – smentendo parte della dottrina contemporanea alla novella codicistica – ha chiarito come esso consista principalmente nell’ordine pubblico (che va tutelato da infiltrazioni provenienti dalla criminalità organizzata), e solo strumentalmente nell’interesse elettorale, la cui tutela immediata e diretta è affidata, invece, agli artt. 96 e 97 del d.p.r. sull’elezione della Camera dei Deputati100; - il discrimine tra la fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. e l’art. 96 del d.p.r. 361/1957 è dato dal ricorso, necessario per configurare lo schema codicistico, ai mezzi dell’intimidazione e della prevaricazione propri dell’agire mafioso da parte dell’appartenente all’associazione, prima che dalla semplice elargizione di denaro al membro del sodalizio mafioso101; - l’orientamento sopraesposto non ha avuto conferma, venendo preferito ad un altro, emerso successivamente, secondo cui è sufficiente a qualificare una condotta come ricadente nella fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. il fatto che – al di là di singoli e individuabili atti di sopraffazione o minaccia – “l’indicazione di voto sia percepita all’esterno come proveniente dal ‘clan’ e come tale sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo”102 , cosa che destina al rango di post factum (non rilevante, dunque, ai fini della valutazione del giudice) l’eventuale effettivo movimento di voti causato dall’intervento mafioso103; - la promessa di indebiti favori diversi dal denaro, ma monetizzabili, integra(va)104 il reato di scambio elettorale politico-mafioso, e non di Vd., su tutte, le sentenze Cass., sez. I, 25 marzo 2003, Cassata e Cass., sez. VI, 19 febbraio 2004, Falco. 101 Anche questo punto di diritto è stato inaugurato dalla sentenza Cassata e confermato dalla sentenza Falco, nonché da Cass., sez. III, 3 dicembre 2003, Saracino. 102 Cass., sez. I, 14 gennaio 2004, Milella, massima riportata in MANTOVANI, nota citata. 103 Su quest’ultimo aspetto, vd. anche l’ordinanza del Tribunale di Palermo, ord. 17 marzo 2004, Pizzo, citata in MANTOVANI, nota citata. 104 Prima della riforma operata ex l. 62/2014. 100 35 corruzione elettorale di cui all’art. 96 del testo unico sull’elezione della Camera dei Deputati105. 4.3. Dalle proposte di modifica dell’art. 416-ter c.p. alla legge 62/2014 Successivamente alla riforma del 1992, con tutti i suoi limiti, si sono fatte spazio varie ipotesi di novellazione dell’art. 416-ter c.p. Tali tentativi sono poi confluiti nella recentissima l. 62/2014106. L’aspetto principale su cui l’analisi dottrinale e l’attività giurisprudenziale hanno fatto emergere la necessità di operare è stato fin da subito ravvisato nel forte limite posto all’esclusività del denaro quale contropartita del sostegno promesso dall’associazione mafiosa all’uomo politico. Eloquenti, sotto questo punto di vista, sono state le sentenze della Corte di Cassazione107 che hanno sempre confermato come invalicabile la littera legis del 1992 (ammettendo, al massimo, che valori diversi dal denaro fossero tenuti in conto ai fini della sanzione penale solo ove suscettibili di una valutazione monetaria). D’altro canto, tale rilievo era stato preceduto da importanti contributi dottrinali in materia immediatamente successivi alla conversione in legge del decreto Scotti-Martelli108. Nonostante l’applicazione dell’art. 416-ter c.p., come visto, abbia sollevato non poche questioni, l’iniziativa parlamentare in materia è stata piuttosto scarsa, se si considera che dalla XIII alla XVI legislatura i disegni di legge miranti a modificare la disposizione penale sono stati in tutto otto109, nessuno dei quali giunto mai andato in porto. Vd., supra, alla nota 99. Legge 17 aprile 2014, n. 62, Modifica dell’art. 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico mafioso, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 90 del 17 aprile 2014 ed entrata in vigore il giorno successivo. 107 Vd. supra, alla precedente sezione. 108 Vd., su tutti, COLLICA, Scambio elettorale politico mafioso: deficit di coraggio o questione irrisolvibile?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, III, 1999, p. 879-ss. 109 Uno per la XIII legislatura (A.C. 6335, onn. GAMBALE e altri, presentato il 14 settembre 1999), due per la XIV legislatura (A.S. 34, sen. CAMBURSANO, presentato il 31 maggio 2001; A.C. 2097, anch’esso a firma dell’ on. GAMBALE, presentato il 13 dicembre 2001), nessuno per la XV legislatura, cinque per la XVI legislatura (A.C. 1218, on. CAMBURSANO, presentato il 30 maggio 2008; A.C. 5080, on. EVANGELISTI, presentato il 22 marzo 2010; A.S. 2199, senn. LI GOTTI e altri, presentato il 20 maggio 2010; A.S. 2305, senn. DELLA MONICA e altri, presentato il 28 luglio 2010; A.C. 4391, onn. RAO e altri, 105 106 36 Alla vigilia delle elezioni politiche, il 6 gennaio 2013 una serie di associazioni impegnate nel campo dell’antimafia110 ha lanciato la campagna “Riparte il futuro”, che è consistita in una raccolta di firme per chiedere ai candidati per il nuovo Parlamento un impegno serio per approvare la riforma dell’art. 416-ter c.p. e altre norme per il contrasto della corruzione. Oltre alla raccolta di firme, i promotori hanno chiesto l’adesione degli stessi candidati, definiti “braccialetti bianchi” dal nome del simbolo dell’iniziativa. La campagna, con oltre 300.000 firme raccolte al 24 febbraio (primo giorno delle elezioni) e l’elezione di 274 “braccialetti bianchi”111, si è contraddistinta per aver sensibilizzato la classe politica e l’opinione pubblica sugli argomenti da essa trattati. Scopo principale, per quanto riguarda la fattispecie codicistica in esame, era l’aggiunta del riferimento alle altre utilità quale contropartita del sostegno elettorale procurato dall’associazione mafiosa. La campagna ha dunque costituito la premessa per la presentazione, all’esordio della XVII legislatura, di otto proposte di legge (poi unificate) . Il 16 luglio la 112 Camera dei Deputati approvava all’unanimità dei presenti il testo elaborato dalla Commissione Giustizia, innovativo sostanzialmente, oltre che per il riferimento all’erogazione di utilità diverse dal denaro, per il richiamo all’accettazione consapevole del procacciamento di voti operato dall’associazione mafiosa (indice della dolosità della condotta messa in atto dall’uomo politico) e per la pena (sganciata da quella prevista per il reato di associazione a delinquere di stampo presentato il 27 maggio 2011). Ad eccezione dei ddl A.S. 2199 e A.S. 2305 (giunti alla fase dell’esame in Commissione), nessuno degli altri testi ha proseguito l’iter legis. 110 Principalmente Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e Gruppo Abele. 111 Vd. l’infografica disponibile all’url http://www.riparteilfuturo.it/sicomincia. 112 Si tratta dei ddl A.C. 204 (on. BURTONE, presentato il 15 marzo 2013), A.C. 251 (onn. VENDOLA e altri, presentato il 15 marzo 2013), A.S. 200 (senn. DE PETRIS e altri, presentato il 15 marzo 2013), A.C. 328 (onn. SANNA e altri, presentato il 18 marzo 2013), A.C. 923 (onn. MICILLO e altri, presentato il 10 maggio 2013), A.S. 688 (senn. FRAVEZZI e altri, presentato il 22 maggio 2013), A.S. 887 (senn. GIARRUSSO e altri, presentato il 27 giugno 2013), A.S. 948 (senn. BURTONE e altri, presentato il 17 luglio 2013) e A.S. 957 (senn. LUMIA e altri, presentato il 19 luglio 2013). I testi presentati sono stati poi assorbiti, in base al ramo parlamentare di competenza, alla Camera dei Deputati dal ddl A.C. 204; al Senato della Repubblica dal ddl A.S. 948. 37 mafioso e fissata nella reclusione da quattro a dieci anni, prevedendone l’applicazione anche a chi procacciasse voti con le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis c.p.), caratterizzando dunque la proposta di novella per una struttura bilaterale sconosciuta all’art. 416- ter c.p. come approvato nel 1992113. Il passaggio in Senato portava all’approvazione, il 28 gennaio 2014, di un nuovo testo, elaborato dalla Commissione competente. A differenza del testo licenziato dalla Camera, all’erogazione del denaro o di altra utilità si aggiungeva la disponibilità del candidato a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa114 e, soprattutto, si modificavano i limiti di pena, riconducendoli a quelli previsti dal primo comma dell’art. 416-bis c.p. (pena detentiva da sette a dodici anni) e riportando il momento genetico del reato a quello dell’accettazione delle rispettive promesse (tanto di procacciamento di voti ottenuto col metodo mafioso effettuata dall’associazione, quanto dei favori di qualunque genere effettuata dal politico). Veniva inoltre eliminato il requisito della consapevolezza, ritenuto – in sede di discussione generale – superfluo, quanto foriero di problemi interpretativi115. Sennonché il collegamento alle sanzioni previste dall’art. 416-bis c.p. è stato oggetto di revisione in sede di seconda lettura alla Camera, in quanto da non poche parti si è ricordato come il principio costituzionale di ragionevolezza delle pene imponga che alla diversa configurazione delle due fattispecie Il testo della novella codicistica come licenziato dalla Camera dei Deputati era il seguente: “1. Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. 2. La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità indicate al primo comma”. 114 Requisito di cui il Sottosegretario alla Giustizia FERRI ha dichiarato, in sede di dibattito in Assemblea, l’importanza, sottolineando come “per la prima volta nella fattispecie del voto di scambio di tipizza[sse] il concorso esterno, di cui per tanti anni abbiamo parlato, sia in giurisprudenza che nella dottrina” (vd. il dossier “Scambio elettorale politico mafioso. Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale”, a cura del SERVIZIO STUDI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, 17 marzo 2014). 115 Il testo dell’art. 416-ter c.p. trasmesso in seconda lettura alla Camera risultava essere il seguente: “Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità ovvero in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione è punito con la stessa pena stabilita nel primo comma dell’art. 416-bis. 2. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”. 113 38 corrispondessero sanzioni differenti. Tale esigenza era stata peraltro fatta presente, nel gennaio del 2014, da una Commissione governativa per l’elaborazione delle proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità (cd. “rapporto Garofoli”, dal nome del presidente della Commissione)116. Questi elementi hanno fatto sì che il 3 aprile la Camera dei Deputati licenziasse il testo che aveva già approvato in prima lettura con alcune modifiche (ovvero eliminando il riferimento alla consapevolezza e recependo quello sulla promessa di procacciamento del voto)117. Nonostante il caotico iter della seconda lettura al Senato (e le molte, spesso strumentali polemiche ad esso collegate), il 16 aprile l’Assemblea di Palazzo Madama ha approvato in quest’ultimo testo la novella dell’art. 416-ter c.p., entrata in vigore il 18 aprile. La disposizione codistica vigente, dunque, si presenta caratterizzata dai seguenti elementi chiave: - momento genetico del reato anticipato allo scambio delle reciproche promesse, indipendentemente dall’effettivo sostegno elettorale ricevuto dall’uomo politico; - configurazione del bene promesso o richiesto in cambio dell’appoggio come un qualunque apporto alla consorteria criminale; - struttura bilaterale dell’elemento soggettivo; - sistema sanzionatorio autonomo rispetto a quello previsto dall’art. 416-bis c.p. (che resta comunque la norma di riferimento, nel suo terzo comma, per quanto riguarda la descrizione delle modalità mafiose di procacciamento dei suffragi). Vd. COMMISSIONE PER L’ELABORAZIONE DELLE PROPOSTE IN TEMA DI LOTTA, ANCHE PATRIMONIALE, Per una moderna politica antimafia. Analisi del fenomeno e proposte di intervento e riforma, Roma, 2014, p. 120. La Commissione era stata istituita il 7 giugno 2013 dal Presidente del Consiglio LETTA. 117 “1. Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. 2. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”. 116 ALLA CRIMINALITÀ, 39 Quest’ultimo punto, peraltro, ha lasciato in parte insoddisfatte le associazioni promotrici della campagna “Liberiamo il futuro”, che pur avendo apprezzato, nel complesso, il risultato dell’iter parlamentare, chiedono un innalzamento delle pene attualmente previste118. 5. Conclusioni Siamo così giunti al termine della nostra trattazione. Abbiamo visto come il sistema del diritto penale elettorale, al di là di tutto, sia una branca del diritto penale viva, caratterizzata da importanti evoluzioni e da cambiamenti spesso sottaciuti; abbiamo inoltre constatato l’importanza di una norma come quella recata dall’art. 416-ter c.p. all’interno del nostro sistema penale, e come la recente riforma tenti di dare una risposta alle mancanze che pure la disposizione ha mostrato nel corso del tempo e della sua applicazione giuridica. Più che porre conclusioni definitive, credo sia opportuno porsi due quesiti. Il primo: “Ha ancora un senso occuparsi del diritto penale elettorale?” La risposta non può che essere affermativa. In un sistema democratico maturo, dove la partecipazione popolare a mezzo del suffragio universale è ormai acquisita e imprescindibile, non si può vivere senza un insieme di norme che si ponga a difesa del principio democratico. La trasparenza e il buon andamento delle operazioni elettorali, la tutela da qualunque interferenza illecita più o meno ampia sono obiettivi cui non si può rinunciare, soprattutto in una realtà come quella italiana dove troppo spesso si è assistiti a collusioni tra potere politico e potere mafioso, o comunque a dinamiche poco chiare (e del tutto intollerabili) di procacciamento del consenso ad ogni livello di governo. Le norme rientranti nel diritto penale elettorale dovrebbero anzi essere studiate e conosciute meglio, in quanto poste a difesa del diritto di voto, e capaci di sensibilizzare contro ogni Vd., da ultimo, la nota dell’UFFICIO DI PRESIDENZA DI LIBERA “La riforma del 416ter è legge: una buona notizia con un errore da correggere”, 16 aprile 2014, disponibile all’url http://www.riparteilfuturo.it/la-riforma-del-416ter-e-legge-una-buona-notizia-con-un-errore-dacorreggere. 118 40 forma di inquinamento della volontà popolare. L’esperienza degli ultimi anni (ne è un lampante esempio l’approvazione frettolosa della l. 61/2004, la cui pessima qualità è stata certificata dalla censura costituzionale occorsa nel 2006) mostra come si possa riuscire a far passare sotto silenzio l’approvazione di norme capaci di modificare (anche con veri e propri tratti di penna, ma con enormi, disastrose conseguenze) il sistema di garanzie poste dalla legge nei confronti dei procedimenti elettorali. Quella che sembrava essere diventata una vera e propria tendenza di leggi elaborate ad uso e consumo della sola classe politica (o, meglio ancora, della maggioranza parlamentare del momento) ha avuto un brusco freno negli ultimi anni. L’emersione dei tanti, inammissibili scandali politici locali, il riaccendersi dei riflettori su una “questione morale” che si riteneva ormai superata, la crisi economica hanno reso conto di quanto fosse indifferibile un serio intervento di responsabilizzazione dei rappresentanti dei cittadini, un intervento che andasse ad affrontare temi per troppo tempo ai margini del dibattito pubblico quali i costi della politica e la corruzione. In questo senso, una decisiva frattura si è avuto con la cd. “Legge Severino”119, che in attuazione di importanti accordi internazionali sulla lotta alla corruzione politica si distingue per essere il più ampio ed apprezzato intervento legislativo in materia degli ultimi anni. È in questo clima sociale di incessante attenzione sull’impiego del pubblico denaro e sulla dignità delle condotte di chi rappresenta i cittadini italiani nelle assemblee elettive che viene ad assumere valore un attento studio delle dinamiche penali connesse al procedimento elettorale. Un procedimento elettorale che si riveli sano fin dalle sue prime battute temporali presenterà sicuramente maggiori garanzie di un procedimento analogo ove non fossero messe in campo le opportune cautele giuridiche, contribuendo non solo al funzionamento del sistema rappresentativo, D.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, Testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'art. 1, c. 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190. 119 41 ma rispondendo anzitutto alle pericolose bordate dell’antipolitica montante e variamente strumentalizzata. La seconda domanda che mi viene in mente è necessariamente destinata a restare (almeno per ora) senza una risposta: “Dove va il reato di scambio elettorale-politico mafioso?” Sarà il tempo a dirci se la recentissima riforma sarà all’altezza della situazione, riuscendo a colpire condotte che il testo del 1992 non era riuscito a perseguire. Sicuramente, il dibattito legato alla novella codicistica ci ha ricordato come nel nostro Paese non si possa (né tantomeno si debba) abbassare la guardia sul fenomeno mafioso; anzi, la nuova norma, andando finalmente a colpire le zone di contiguità politico-mafiosa fin dal momento in cui gli attori principali si mettono l’uno a disposizione dell’altro, prende atto di un allarme che da tempo magistrati, sociologi e criminologi hanno lanciato sul processo costante di evoluzione della criminalità organizzata. Il mafioso, il camorrista, lo ‘ndranghetista di oggi non rispondono alla figura “classica” dell’uomo d’onore armato di lupara a difesa di interessi che non vanno oltre la mera sopraffazione fisica e psicologica nell’ambito di un ristretto territorio controllato principalmente facendo ricorso ad una struttura gerarchica con forti basi nei legami parentali tra gli affiliati alla cosca; i fatti hanno dimostrato come le associazioni a delinquere di stampo mafioso odierne abbiano raggiunto notevoli stadi di organizzazione su vasti territori, caratterizzati da apparati all’avanguardia attrezzati per gestire, con successo, operazioni a livello transnazionale, ove non transcontinentale. Il boss e i suoi affiliati, pur continuando a rispondere ad antichi codici e rituali, sono persone dotate, magari, di una scarsa istruzione, ma capaci di sfruttare (anche indirettamente, avvalendosi dell’aiuto di esperti in materia) tecnologie all’avanguardia per la gestione di innumerevoli tipologie di attività illecite e, soprattutto, del riciclaggio di denaro sporco. Non solo: la presente situazione di crisi economica fornisce all’associazione mafiosa un prezioso destro per insinuarsi nel sistema dell’economia legale (anche, e sempre più) tramite il sistema 42 dell’usura, che spesso si trasforma in un’occasione per il controllo di fatto di imprese ed esercizi commerciali a notevole fatturato. La criminalità organizzata muove in Italia un giro d’affari stimato nell’ordine di centinaia di miliardi di euro120, causando un grave colpo agli attori dell’economia legale, già oberati, come si diceva, dalle attuali, difficili condizioni del mercato. Al danno economico si aggiunge il forte danno sociale conseguente alle infiltrazioni e pratiche criminali messe in campo per il controllo del territorio. Oggi come nel 1992, è quanto mai urgente non tralasciare alcuno sforzo per contrastare il fenomeno mafioso. Punire, come si è finalmente deciso di fare, anche il minimo contatto tra classe politica e cosche, rendere lo scambio elettorale politico-mafioso una fattispecie finalmente autonoma dal più ampio ambito dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, renderne, infine, possibile una seria azione persecutrice è un grande segnale lanciato dallo Stato legale al cd. Antistato; un segnale che suscettibile di risultati migliori di quelli raggiunti da una disposizione che quasi ventidue anni fa era nata vecchia e pesantemente limitata. La stima dell’ultimo rapporto “SOS Impresa” commissionato da Confesercenti parla di 138 miliardi di euro, con utile di 105 miliardi; altri studi attribuiscono al sistema mafioso un valore economico corrispondente al 10,9 per cento del PIL nazionale. Vd. CENTORRINO-DAVID, Il fatturato di Mafia Spa, lavoce.info, 18 marzo 2013 (disponibile all’url http://www.lavoce.info/difficile-fare-iconti-in-tasca-alla-mafia). 120 43 Bibliografia F.APREA, Il momento consumativo dello scambio elettorale politico mafioso, in Giurisprudenza Italiana, f. 4/2013. L.BERTOLINI, Elezioni (reati elettorali), in Enciclopedia giuridica, vol. XII, Treccani, Roma, 1989. S.CALLEGARI, Concorso esterno in associazione mafiosa, in Studium iuris, f. 1/2006. M.T.COLLICA, Scambio elettorale politico-mafioso: deficit di coraggio o questione irrisolvibile?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, f. 3/1999. A.CRESPI – G.FORTI – G.ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice Penale, CEDAM, Padova, 20085. 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