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I reati elettorali, con particolare riferimento alla riforma dell`art. 416

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I reati elettorali, con particolare riferimento alla riforma dell`art. 416
Anno Accademico 201 3/201 4
Classe di Scienze Sociali
Settore di Scienze Giuridiche
I reati elettorali, con particolare riferimento alla riforma
dell'art. 416‐ter c.p.
Candidato: Giuseppe Lauri
Tutor: Ch.mo Prof. Alberto di Martino
Relatore: Ch.mo Prof. Tullio Padovani
Indice
1.
2.
3.
Introduzione ................................................................................................................ 3
Punti di partenza: per una definizione del concetto di “reato elettorale” ........ 4
Le fonti del diritto penale elettorale ....................................................................... 6
3.1
Un sistema stabile nel tempo ........................................................................... 6
3.2
Due casi particolari tra legislazione e giurisprudenza .............................. 12
4. L’art. 416-ter c.p. nell’alveo del diritto penale elettorale .................................. 19
4.1. La genesi del reato di scambio elettorale politico-mafioso ........................... 21
4.2. Prima del 1992: i reati di cui agli artt. 96 e 97 del d.p.r. 361/1957 (e i relativi
problemi di coordinamento con la “nuova” fattispecie codicistica). La
giurisprudenza successiva tra sforzo chiarificatore e aperture alla novità ........ 25
4.3. Dalle proposte di modifica dell’art. 416-ter c.p. alla legge 62/2014 ............. 36
5. Conclusioni .................................................................................................................... 40
2
1. Introduzione
Dopo una certa quiescenza che l’ha accompagnato, almeno nel dibattito pubblico,
nel corso dell’ultimo ventennio, il reato di scambio elettorale-politico mafioso
previsto dall’art. 416-ter c.p. è improvvisamente tornato d’attualità all’indomani
della campagna “Liberiamo il futuro”, promossa agli inizi del 2013 da alcune
associazioni impegnate nel campo dell’antimafia.
Questo vero e proprio ritorno di fiamma dell’argomento offre intanto la possibilità
di analizzare una branca del diritto penale fortemente legata alla norma in
questione, vale a dire quel nutrito corpus di disposizioni che si suole definire in
dottrina quale diritto penale elettorale; insieme, a dire il vero, cui gli studiosi hanno
guardato poco e con poca affezione, nonostante costituisca un corredo necessario
per il funzionamento del sistema democratico, che sulla elettività fonda la gran
parte delle procedure.
Primo passo di questo lavoro sarà dunque inquadrare nel suo insieme la famiglia
del diritto penale elettorale, a partire dalla nozione di reato elettorale;
successivamente, andremo ad analizzare il sistema delle fonti che la compongono,
seguendone il graduale sviluppo sin dagli inizi della storia costituzionale italiana
per giungere fino ai giorni nostri. Vedremo poi come negli anni Novanta del
secolo scorso la lotta alla criminalità organizzata si sia necessariamente incrociata
con il diritto penale speciale elettoralistico, un incrocio che, come un rampicante
che si sviluppa intorno ad un ramo di rosa, non si è rivelato semplice, richiedendo
imponenti sforzi dottrinali e giurisprudenziali che hanno riguardato anzitutto la
stessa essenza della condotta criminale contemplata dall’art. 416-ter c.p., in una
continua azione di rilancio che evitasse a questa disposizione di finire (come tante
norme del nostro ordinamento) nel limbo dell’inapplicabilità sostanziale. Seguirà
poi una panoramica sulle proposte di riforma avanzate, nel corso degli anni, del
dettato codicistico, fino a giungere al recentissimo dibattito che ha portato, lo
3
scorso aprile, all’approvazione del nuovo testo in materia di scambio elettorale
politico-mafioso.
2. Punti di partenza: per una definizione del concetto di “reato elettorale”
Nonostante l’importanza del genus “reato elettorale”, nel corso del tempo la
dottrina non vi ha dedicato molta attenzione. Certamente, contribuisce a tale
situazione una doppia serie di problematiche gravanti su questa categoria penale.
Da un lato, non può sfuggirne l’eccessiva specializzazione. Il diritto penale
elettorale costituisce un diritto “di nicchia”, che deve necessariamente seguire –
come vedremo- le varie fasi della competizione elettorale e che ha inizio e fine
nella competizione elettorale stessa. Si tratta, dunque, di leggi speciali la cui azione
è giocoforza limitata allo svolgimento del procedimento elettorale.
Il secondo aspetto suscettibile di rendere poco agevole lo studio analitico del
diritto penale elettorale è dato dalla sistemazione che le norme in materia hanno
nel nostro ordinamento. Il principio di democraticità alla base –tra gli altri – del
nostro sistema giuridico fa sì che ogni consultazione elettorale (ciascuna
corrispondente ai diversi livelli dell’organizzazione statale, oltreché per i
referendum) sia destinataria di una propria legge di disciplina, a sua volta recante
una serie di disposizioni sanzionatorie nei confronti di chi voglia viziare l’ordinato
svolgimento delle votazioni. La molteplicità delle fattispecie da disciplinare, unita
all’elevato numero di casi cui si è ritenuto opportuno apporre norme penali, ha
come risultato “una fitta selva di rimandi e rinvii che determina una ipertrofica
sovrapposizione di figure criminose anche reciprocamente speculari, meritevole di una
rigorosa opera di razionalizzazione selettiva”1.
Ecco, allora, che si può ben parlare della nozione di “reati elettorali” quale
“locuzione ellittica con la quale si intende indicare tutte le violazioni penalmente
sanzionate delle diverse norme che disciplinano lo svolgimento delle operazioni elettorali
Sono parole di NUNZIATA, Diritto penale elettorale, Maurizio Minchella Editore, Milano, 2000, p.6.
Analogo parere è espresso da GARAVELLI, che parla di “coacervo di norme eterogenee, sparse in testi
non coordinati tra loro” (vd. s.v. “Elezioni - reati elettorali”, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. XI,
UTET, Torino, 1996).
1
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nelle singole fasi” 2. La ratio di tali norme si sostanzia nel “peculiare interesse dello
Stato di assicurare, oltre al libero esercizio dei diritti politici del cittadino, la regolarità
della propaganda, la veridicità, la genuinità e l’assoluta regolarità di tutti i documenti e di
tutte le operazioni comunque inerenti alle elezioni, nonché la precisione e la conformità al
vero dei risultati di esse da ogni fatto che vada a turbare, a menomare o a ledere”3 tali beni
giuridici. Si tratta dunque di condotte delittuose ben inquadrabili nella descrizione
che fa l’art. 8, u.c., c.p. del reato politico4.
Per quanto riguarda la suddivisione dei reati elettorali in species, la dottrina più
risalente tendeva a configurarne una visione in chiave oggettiva, rapportando ogni
gruppo di reati alla singola fase del procedimento elettorale. Lo schema che
scaturisce da questa impostazione propone una ripartizione dei reati elettorali tra
a) ipotesi generali di reato (p.e., l’art. 294 c.p.5); b) reati in tema di propaganda elettorale
(p.e., la sottrazione o distruzione di stampati, giornali murali e manifesti 6) ; c) reati
concernenti la formazione delle liste e di altri atti elettorali (p.e., la coercizione elettorale
relativa alla dichiarazione di presentazione di candidatura7); d) reati riguardanti
l’esercizio del diritto elettorale (p.e., l’introduzione con le armi nei locali elettorali8); e)
reati concernenti la genuinità e l’esattezza dei risultati elettorali (p.e., lo sviamento di
voto9)10.
BERTOLINI, s.v. “Elezioni (reati elettorali)”, in Enciclopedia giuridica, vol. XII, Treccani, Roma, 1989,
p.3. L’Autore, a sua volta cita MAZZANTI, s.v. “Elezioni (reati elettorali)”, in Enciclopedia del diritto,
vol. XIV, Giuffrè, Milano, 1965. Vd. anche MAZZANTI, I reati elettorali, Giuffrè, Milano, 1966, p. 3.
3 MAZZANTI, op.ult.cit., pp.3-ss.
4 Nel disciplinare il delitto politico commesso all’estero, l’art. 8, u.c., c.p. definisce delitto politico
ogni delitto “che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino”, nonché
“il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”. Sull’afferenza dei reati elettorali
alla sfera dei delitti politici, la Corte di Cassazione (sent. 22 gennaio 1951) ha ritenuto
oggettivamente politici i primi in quanto il diritto elettorale rappresenta la “massima espressione” dei
diritti politici (CRESPI-FORTI-ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice Penale, CEDAM, Padova, 20085,
p. 38).
5 Vd. infra, nota 17.
6 Art.8, l. 212/1956.
7 Artt. 97 del d.p.r. 361/1957 e 87 del d.p.r. 570/1960.
8 Artt. 109 del d.p.r. 361/1957 e 91 del d.p.r. 570/1960.
9 Artt. 103, c.2, del d.p.r. 361/1957 e 94 del d.p.r. 570/1960.
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Accanto a questa tassonomia, alcuni studiosi ne hanno poi proposta un’altra di
matrice soggettiva, in cui si assume a discrimine la qualità personale del soggetto
attivo11. In virtù di essa, i reati elettorali possono essere divisi tra a) reati elettorali
comuni12; b) reati elettorali propri dei componenti degli uffici elettorali (p.e., l’iscrizione o
cancellazione abusiva nelle liste elettorali13); c) reati elettorali propri degli elettori
(p.e., la mancata riconsegna della scheda o della matita14); d) reati elettorali propri
dei candidati o di soggetti ad essi collegati (p.e., la corruzione elettorale15); e) reati
elettorali propri di pubblici agenti (p.e., la concussione elettorale16).
Infine, è stata pure proposta una terza classificazione di natura mista che, secondo
taluna dottrina, sarebbe preferibile alle precedenti in quanto più rispondente ai
principi del diritto penale. Unendo i canoni della tipologia di aggressione
(corrispondente all’azione incriminata) e del tipo di risultato lesivo ottenibile
tramite essa, si avrebbe una summa divisio tra a) reati elettorali di menomazione
dell’interesse pubblico statuale alla regolarità complessiva delle consultazioni e b) reati
elettorali incisivi del diritto elettorale politico del cittadino individualmente considerato”17.
3. Le fonti del diritto penale elettorale
3.1 Un sistema stabile nel tempo
Vd. MAZZANTI, op.ult.cit., p. 5. Il lavoro di questo studioso ha influenzato la trattazione dei reati
elettorali dagli anni Sessanta alle soglie degli anni Novanta del secolo scorso, e costituisce tuttora
una solida base per qualunque studio della materia.
11 Vd. NUNZIATA, op.cit., p. 9, che, rendendo conto di tale classificazione, raffina una prima proposta
di distinzione dei reati elettorali ratione personae – per quanto legata, in uno schema misto, anche
alla distinzione oggettiva – avanzata da BERTOLINI, voce citata.
12 Coincidente con l’analoga categoria della classificazione precedente.
13 Artt. 55 del d.p.r. 20 marzo 1967, n. 223. Tale decreto presidenziale reca il Testo unico delle leggi
per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali).
14 Artt. 110 del d.p.r. 361/1957 e 99 del d.p.r. 570/1960.
15 Artt. 96 del d.p.r. 361/1957 e 86 del d.p.r. 570/1960. Vd., più diffusamente, infra.
16 Artt. 98 del d.p.r. 361/1957 e 88 del d.p.r. 570/1960.
17 È uno schema fatto proprio da NUNZIATA in op.cit., p. 9, che sembra non aver avuto ulteriore
seguito in dottrina.
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6
Entrambe le classificazioni sopra esposte vedono quale principale esempio di
figura generale di reato elettorale l’art. 294 c.p.18, in materia di attentato ai diritti
politici del cittadino. Per il resto, il diritto penale elettorale, come tutti i diritti
penali speciali, si basa su una legislazione prettamente extracodicistica, espressa
dalle varie fonti normative emerse nel tempo con lo sviluppo (sempre più
articolato) del sistema costituzionale contemporaneo. Ai sensi dell’art. 15 c.p., è
anzitutto la disciplina speciale ad entrare in gioco nella difesa del particolare bene
giuridico costituito dalla genuinità nelle procedure elettorali, lasciando all’art. 294
c.p. il ruolo di norma generale e sussidiaria volta a sanzionare qualunque forma
violenta di impedimento dell’esercizio dei diritti politici che non rientri nelle
fattispecie penali speciali.
L’affermarsi del principio democratico, l’estensione graduale del diritto di voto, la
necessità di regolare in maniera specifica le singole tipologie di consultazioni ha
poco a poco intaccato un assetto dove la disciplina in materia trovava spazio
principalmente (se non esclusivamente) all’interno delle raccolte codicistiche. Tale
era il caso del Codice Penale sardo del 1859 (esteso poi al neonato Regno d’Italia
nel 186519), unico esempio di testo preunitario che contemplasse un regime
sanzionatorio per le irregolarità commesse in sede elettorale20. Erano qualificati
come attentati all’esercizio dei diritti politici21 delitti non solo l’impedimento
dell’esercizio di detti diritti (art. 19022), ma anche fattispecie quali l’aggiunta,
Si riporta, per comodità, il testo della disposizione: “Attentato contro i diritti politici del cittadino –
Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico,
ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a
cinque anni”.
19 Eccezion fatta, come è noto, per la Toscana.
20 Essendo anche il Regno di Sardegna l’unico Stato preunitario ad essersi dotato di una Camera
elettiva con lo Statuto Albertino del 1848.
21 A loro volta inseriti nel più ampio novero dei reati contro i diritti garantiti dallo Statuto, a loro
volta afferenti ai reati contro la pubblica amministrazione.
22 “1. Allorché con violenze, o vie di fatto, o minaccie (sic), o tumulti, sarà stato impedito ad uno o più
cittadini l’esercizio dei propri diritti politici, i colpevoli saranno puniti col carcere estensibile a due anni, e
con multa maggiore o minore secondo la gravità e conseguenze del reato. 2. Qualora i diritti, di cui siasi come
sopra impedito l’esercizio, fossero diritti elettorali, alle dette pene verrà sempre aggiunta la sospensione
18
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sottrazione o falsificazione di schede (art. 19123), la compravendita del voto
proprio o altri (art. 19224) e l’abuso di funzioni perpetrato da pubblici ufficiali o
ministri di culto (art. 19325). In particolare, l’art. 190 contemplava specificamente, al
secondo comma, l’interdizione dai pubblici uffici in caso di violazione dei diritti
elettorali. Non prevedeva norme in materia di reati elettorali la legge politica del
185926, evidenziando così la scelta del legislatore di far rientrare l’ambito nella
disciplina codicistica.
L’attuale assetto normativo (consistente in una predominanza delle disposizioni
extracodicistiche accanto ad una sola disposizione codicistica) si afferma in Italia
sul finire del XIX secolo. Già nel 1882, infatti, il Testo unico della legge elettorale
politica27 aveva raccolto al Titolo V (“Disposizioni generali e penali”, artt. 86-98) le
dall’esercizio dei pubblici uffizi. 3. Le disposizioni del presente articolo hanno luogo, salve sempre le pene
maggiori in caso di reato più grave; e salve eziandio le speciali disposizioni delle leggi per le elezioni”.
23 “1. Chiunque nel corso delle operazioni elettorali sarà sorpreso in atto o di sottrarre, o di aggiungere
schede, o di falsarne il contenuto, sarà punito con la pena della reclusione, e coll’interdizione dai pubblici
uffizi. 2. Se il reato sarà stato commesso da un membro dell’ufficio elettorale, la pena della reclusione non
sarà minore di anni cinque”.
24 “Chiunque abbia al tempo delle elezioni comprato, o venduto un voto, a qualsiasi prezzo, incorrerà nella
pena dell’interdizione dai pubblici uffizi, ed in una multa maggiore o minore secondo la gravità e
conseguenze del reato”.
25 “1. Fuori dei casi preveduti nei tre precedenti articoli, i pubblici uffiziali od impiegati che con abuso delle
rispettive funzioni avranno cercato di vincolare i suffragi degli elettori in favore od in pregiudizio di
determinate candidature, saranno puniti colla esclusione dal’esercizio dei diritti elettorali per tempo non
minore di cinque anni, né maggiore di dieci, se il reato è stato commesso nelle elezioni dei Deputati al
Parlamento Nazionale, non minore di tre, né maggiore di sei, se è stato commesso nelle altre elezioni; e con
una multa di lire duecentocinquanta a duemila nel primo caso, e di cento a mille nel secondo. 2. La stessa
pena è applicabile ai ministri della religione dello Stato o dei culti tollerati, i quali avranno cercato di
vincolare i suffragi degli elettori in favore od in pregiudizio di determinate candidature, sia con istruzioni
dirette alle persone da essi in via gerarchica dipendenti, sia con discorsi tenuti nei luoghi consacrati al culto,
od in riunioni aventi carattere religioso, sia con promesse o minaccie (sic) spirituali. 3. Per i fatti in questo
articolo preveduti, sempreché non sieno connessi con reati comuni, non si potrà procedere ad istruzione
giudiziaria se non dopo che le operazioni elettorali saranno compiute colla chiusura del relativo processo
verbale”. Il tema dell’influenza dei ministri di culto sull’espressione dei suffragi è stato oggetto di
alcune sentenze della magistratura ordinaria tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del secolo
scorso, incrociandosi con problematiche di più ampio respiro quali le garanzie concordatarie. Si è
preferito non affrontare in questo lavoro un argomento che per vastità, importanza e implicanze
richiede necessariamente di essere approfondito in specifica trattazione.
26 Legge del 20 novembre 1859, Riforma della legge elettorale del 17 marzo 1848. Neanche quest’ultima
(che dalla disciplina del 1859 differiva in maniera trascurabile) contemplava ipotesi di reati
elettorali.
27 Regio decreto 24 settembre 1882, n. 999.
8
norme in materia di reati elettorali presenti nel Codice del 1859, ampliando il
novero delle situazioni delittuose; quando, nel 1882, si varò il nuovo Codice
Penale per il Regno d’Italia, esso poté ben destinare alla punizione dei “delitti
contro le libertà politiche” il solo art. 139 (costituito dal precedente art. 190 privato
dell’aggravante prevista per l’offesa ai diritti elettorali). Tale disposizione
costituirà, a sua volta, il nucleo di quello che sarà nel Codice Penale del 1930 l’art.
234, tuttora vigente.
Nel disciplinare il diritto penale elettorale, la legge del 1882 (cui lavorò lo stesso
Zanardelli) si adeguava al nuovo sistema di voto, caratterizzato, in primis, da un
allargamento del suffragio; ecco allora comparire, tra le altre, disposizioni in
materia di irruzione violenta (art. 93) o comunque abusiva (art. 94) nei locali
elettorali, di voto abusivo (art. 95), di alterazione dei risultati (art. 96, c. 2). Veniva
inoltre confermata l’interdizione dai pubblici uffici da uno a cinque anni (art. 98, c.
2, irrogata in ogni caso di condanna al carcere e indipendentemente dalla qualifica
personale del reo) e introdotta (art. 97) l’azione penale promuovibile da ogni
elettore. Tale sorta di “azione popolare”28 fu molto apprezzata dalla dottrina, e fu
contemplata da tutte le leggi elettorali politiche succedutesi nel periodo
monarchico (nel periodo repubblicano fu invece adottata solo dalla legge elettorale
comunale del 195129).
Ben poco cambiò con la legge elettorale del 191230, dove la novità più rilevante era
data dalle disposizioni in materia di turbamento della sottoscrizione delle
candidature (fase della competizione elettorale introdotta dal nuovo sistema di
voto) e dall’inapplicabilità della sospensione condizionale della pena ai reati
Oggi prevista dal d.p.r. 570/1960 all’art. 82, c. 2. Molto si è discusso sulla natura di questa
possibilità data ad ogni elettore di denunciare i reati elettorali e di costituirsi parte civile nel
processo. In realtà, più che di “azione popolare”, la dottrina prevalente ha chiarito come si tratti di
un semplice impulso che non intacca la titolarità dell’azione penale da parte del pubblico ministero
(vd., su tutti, GARAVELLI, voce citata, p. 233).
29 Cfr. PRETI, Diritto elettorale politico, Giuffrè, Milano, 1957, p. 420.
30 Legge 30 giugno 1912, n. 666/1912. Anche qui le disposizioni generali e penali erano raccolte al
Titolo V (artt. 113-131). Tale titolo sarà recepito in integro dal testo unico elettorale del 1919 (r.d. n.
1495/1919) e fatto oggetto di trascurabili modifiche dalla successiva legge n. 2444 del 1923
(Modificazioni alla legge elettorale politica, testo unico 2 settembre 1919, cd. “legge Acerbo”).
28
9
elettorali31. Notevole era l’art. 130, che sanciva un’interessante possibilità di
interdizione temporanea al voto per i cittadini della sezione i cui risultati fossero
stati annullati per due volte di seguito dalla Camera dei Deputati32.
Quali dunque le fonti del diritto penale elettorale attualmente in vigore? Dal
punto di vista della legislazione speciale a carattere nazionale, la disciplina più
importante è quella recata dal Testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei
Deputati (approvato con d.p.r. 30 marzo 1957, n. 361). Il testo unico dedica alle
disposizioni penali il Titolo VII (artt. 94-114), cui rinvia l’art. 27 del Testo unico delle
leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica (d.lgs. 20 dicembre 1993,
n. 533)33. Analogo rinvio è contenuto nel Titolo VIII della legge sull’elezione dei
membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia (l. 24 gennaio 1979, n. 18), con
alcune differenze peculiari. L’elezione di un organo caratterizzato da una base
elettorale ampia e sovranazionale richiede necessariamente che le disposizioni di
cui al d.p.r. n. 361/1957 ricevano un’estensione per quanto riguarda la platea dei
destinatari, suscettibili di essere cittadini dell’Unione non italiani, eventualmente
operanti in territorio estero (art. 4834, che peraltro deroga agli artt. 8 e 9 c.p.); va poi
contemplata l’ipotesi delittuosa dell’elettore che partecipi fraudolentemente alla
votazione in più Paesi (art. 4935). Sempre alla legge elettorale per la Camera dei
Deputati si rifà la disciplina dei referendum e delle proposte di legge d’iniziativa popolare
Vd. infra, in questa sezione.
“Quando la votazione di una sezione di un collegio elettorale è stata annullata due volte di seguito con
deliberazione della Camera motivata per causa di corruzione o violenza, la Camera può deliberare che per gli
elettori inscritti nella lista della sezione stessa sia sospeso l’esercizio del diritto di elettore per un periodo di
cinque anni a decorrere dalla comunicazione fatta dal presidente della Camera al ministro dell’interno”.
33 “Per l'esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dal presente decreto si osservano, in
quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni”.
34 “1. Il cittadino o lo straniero che commette in territori estero taluno dei reati previsti dalla presente legge o
dal testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, è punito secondo la legge italiana.
2. Le norme di cui agli articoli 8 e 9, secondo comma del codice penale, concernenti la richiesta del Ministro
di grazia e giustizia, non si applicano al cittadino italiano”.
35 “Chi, in occasione della elezione dei membri del Parlamento europeo, partecipa al voto per l'elezione dei
membri spettanti all'Italia e per l'elezione dei membri spettanti ad altro Paese membro della Comunità è
punito con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da L. 100.000 a L. 500.000”.
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32
10
(l. 25 giugno 1970, n. 352, ove svolge funzione di rinvio, nell’ambito delle
disposizioni finali, l’art. 5136).
Per quanto concerne le consultazioni per gli Enti locali, la principale fonte è
costituita dalla legge elettorale comunale (approvata col d.p.r. n. 570/1960)37. In essa,
al Capo IX (artt. 86-103), sono contenute le disposizioni penali cui fanno rinvio le
analoghe leggi previste per gli altri livelli del governo locale. Tali rinvii sono
garantiti, all’interno dei singoli testi:
-
per la legge elettorale provinciale (l. 8 marzo 1951, n.122, Norme per la elezione
dei Consigli provinciali), dall’art. 8, c. 2;
-
per la legge elettorale delle Regioni a Statuto ordinario (l. 17 febbraio 1968,
n.108, Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a Statuto
normale), dall’art. 1., u.c.
Si deve inoltre notare come l’art. 3 della l. 10 agosto 1964, n. 66338 abbia
esplicitamente esteso alle elezioni comunali e provinciali il disposto dell’art. 95 del
d.p.r. 361/1957.
Discorso a parte merita la disciplina prevista per l’elezione dei Presidenti delle
Giunte e dei Consigli Regionali a Statuto speciale. All’inizio delle diverse
esperienze di autonomia, era costante il rinvio delle leggi regionali in materia di
diritto penale elettorale alla disciplina del d.p.r. 361/1957; in seguito, il
“1. Le disposizioni penali, contenute nel Titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera
dei deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge. 2. Le sanzioni previste
dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi
contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto
relativamente ai referendum disciplinati nei Titoli I, II e III della presente legge. 3. Le sanzioni previste
dall'articolo 103 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti previsti nell'articolo medesimo
riguardino espressioni di voto relative all'oggetto del referendum”. Si noti come il comma 2 si preoccupi
di calare nella realtà referendaria le sanzioni previste per gli atti maggiormente offensivi della
libera volontà dell’elettore.
37 Decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, Testo unico delle leggi per la
composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali. Tale legge non si applica
all’elezione delle Amministrazioni comunali della Sicilia, dove norme penali sono recate (nella
congerie di normative in materia creatasi in maniera alluvionale nella regione) dal d.p.Reg.Sic. 20
agosto 1960, n. 3 (Capo IX, artt. 63-79).
38 Modificazioni alle norme per la elezione dei Consigli comunali di cui al testo unico approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, ed alle norme per la elezione dei Consigli provinciali
di cui alle leggi 8 marzo 1951, n. 122, e 10 settembre 1960, n. 962.
36
11
riavvicinamento tra le due diverse forme statutarie (ordinaria e speciale)
verificatosi tra il 1999 e il 2001 ha avuto come risultato la graduale emersione –
nell’ultimo
ventennio – di un nuovo assetto, basato ora, per taluni organi
legislativi regionali , sul rinvio alla l. 108/196839.
Infine, come visto nella precedente sezione, va pure considerato quale parte
dell’ambito l’apparato sanzionatorio previsto per la violazione delle norme in
materia di propaganda elettorale40.
Si evince da tale rassegna quanto sia (fin troppo) complesso il quadro normativo
che va sotto il nome di diritto penale elettorale, spesso difficilmente ricostruibile,
data la mole di disposizioni non di rado in contrasto tra loro. Il rischio principale è
costituito dalle possibili disparità di trattamento sanzionatorio per condotte di
identica portata; né basta a chiarire il quadro la presenza, come abbiamo visto, di
due testi base (la legge elettorale della Camera dei Deputati e la legge elettorale
comunale) intorno alle quali si situano vere e proprie “normative-satellite” che ne
fanno una sorta di leges generales del diritto penale elettorale41.
3.2 Due casi particolari tra legislazione e giurisprudenza
Sembra dunque emergere un sistema basato su due grandi testi fondamentali,
relativamente risalenti nel tempo, di conseguenza poco permeabile a modifiche di
Rinviano al Titolo VII del d.p.r. 361/1957 il testo unico per l’elezione del Consiglio Regionale del
Trentino-Alto Adige (l. reg. 8 agosto 1983, n. 7, art. 75) e la legge per l’elezione del Consiglio Provinciale
di Trento (l. prov. 5 marzo 2003, n. 2, art. 82); la legge per l’elezione del Consiglio e del Presidente della
Provincia Autonoma di Bolzano (l. prov. 14 marzo 2003, n. 4, art. 1) rinvia al testo unico regionale del
1983. Sempre alla legge elettorale per la Camera rinvia (anche in materia di propaganda) l’art. 89
della legge elettorale per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia
Giulia (l. reg. 18 dicembre 2007, n. 28). Alla l. 108/1968 rinviano la legge elettorale siciliana (l. reg. 20
marzo 1951, n.29, art. 67, come da modifica del 1996) e la legge elettorale sarda (l. reg. statutaria 12
novembre 2013, n. 1). Peculiare il caso della l. reg. 12 gennaio 1993, n. 3 sull’elezione del Consiglio
Regionale della Valle d’Aosta (da ultimo modificata nel 2007), che non contiene più esplicito rinvio
alla normativa statale, limitandosi a contemplare unicamente sanzioni in materia di spese
elettorali.
40 Vd. la l. 4 aprile 1956, n. 212, Norme per la disciplina della campagna elettorale (ampiamente
modificata dalla l. 24 aprile 1975, n. 130); l’art. 15 della l. 10 dicembre 1993, n. 515, Disciplina delle
campagne per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica; gli artt. 10 ss. della l. 22
febbraio 2000, n. 28, Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne
elettorali e referendarie e per la comunicazione politica.
41 Cfr. NUNZIATA, op.cit., p. 7.
39
12
un certo tenore. Dal 1957, infatti, sono stati soltanto due gli interventi legislativi di
rilievo in materia, entrambi oggetto d’attenzione (seppur da prospettive diverse)
della giurisprudenza costituzionale.
Il primo è costituito dalla l. 27 dicembre 1973, n. 933, recante l’abolizione espressa
dell’art. 113, u.c., del d.p.r. 361/1957. Tale comma dichiarava non applicabili ai
reati elettorali le disposizioni di cui agli artt. dal 136 al 167 e 175 del Codice Penale
e dell’art. 487 del Codice di procedura penale42, relative alla sospensione
condizionale della pena e alla non menzione della condanna nel certificato del
casellario giudiziale. La normativa del 1957 era peraltro già stata oggetto tanto di
dibattito parlamentare, quanto di ricorso alla Corte costituzionale, che con la
sentenza n. 26/197043 aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata dal pretore di Stradella per contrasto all’art. 3 Cost. A
parere del giudice remittente, infatti, la norma violava il principio di uguaglianza
impedendo il ricorso alla sospensione condizionale e alla non menzione nel
casellario per reati non determinanti “un allarme sociale diverso e maggiore di quello di
alcuni reati comuni, ai quali sono applicabili i detti benefici”. La Corte, nel dichiarare la
questione infondata, fece riferimento ad un’altra sentenza (la n. 48 del 196244) che
aveva avuto ad oggetto l’art. 102, u.c., del d.p.r. 570/1960, disposizione pedissequa
all’art. 113, u.c. della legge elettorale politica. Tale disposizione, secondo il
Tribunale di Catanzaro, era da ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., in
quanto non veniva garantita al giudice la valutazione della personalità
Trattasi, ovviamente, del Codice di procedura penale del 1930, non più in vigore, il cui art. 487
giova riportare: “Provvedimenti relativi alla sospensione condizionale della pena e alla non
menzione della condanna nel certificato penale – 1. Quando la legge consente il beneficio della
sospensione condizionale dell’esecuzione dell pena, il Giudice, se ritiene di concederlo, provvede con la
sentenza di condanna a norma degli artt. 163, 164 e 165 del codice penale. 2. Quando il Giudice, nei casi
preveduti dall’art. 175 del codice penale, intende disporre che non sia fatta menzione della condanna nel
certificato penale rilasciato a richiesta di privati, provvede con la sentenza in conformità dell’articolo stesso”.
43 Sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 12 febbraio 1970, presidente BRANCA, redattore
CHIARELLI.
44 Sentenza della Corte costituzionale n.48 del 29 maggio 1962, presidente AMBROSINI, redattore
CASSANDRO.
42
13
dell’imputato richiesta dall’art. 164 c.p.45 onde valutare l’applicazione della
sospensione condizionale della pena, istituto che per il giudice calabrese aveva lo
scopo di “evitare che un incensurato che può essere ricuperato alla società e rieducato,
debba essere ristretto in carcere, in un ambiente cioè non sufficientemente idoneo al
ricupero e alla rieducazione”. La Corte aveva dichiarato la questione non fondata per
mancata violazione del parametro. Nel dispositivo di sentenza, il giudice delle
leggi ricordava come “il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 non impedisc[a]
al legislatore ordinario di regolare con norme speciali situazioni speciali, sempre che il
regolamento di queste situazioni non urti contro gli espliciti divieti di quel medesimo
articolo, e non sia manifestamente arbitrario o irrazionale”, arbitrio non ravvisabile
nella disposizione sottoposta a giudizio di legittimità “essendo ovvi i motivi che
possono aver[e] indotto [il legislatore] a ritenere opportuno un trattamento differenziato
per i reati elettorali, sia per la natura della materia alla quale essi si riferiscono, che è di
fondamentale importanza in un regime democratico, sia per l'efficacia immediata che in
tali casi deve essere riconosciuta alla pena e alle misure che alla pena conseguono”; la
lagnanza sull’art. 27 fu invece censurata con l’affermazione secondo cui la norma
costituzionale si riferisce al modo di esecuzione delle pene e non ha, come unico
obiettivo, la rieducazione del condannato, essendo inoltre possibile “l'applicabilità
del beneficio [della sospensione della pena] anche con riferimento alla qualità dei reati,
quando questi, cioè, siano di tale natura da richiedere che la pena irrogata esplichi senza
limitazioni la sua propria funzione intimidativa e reintegrativa del diritto”, purché si
rispettino sempre le garanzie costituzionali da detta norma previste.
Dopo la sentenza n. 26/1970, tuttavia, riemerse un certo movimento di opinione
volto a mitigare il tenore della normativa speciale oggetto delle due sentenze
citate, onde consentire l’applicazione degli istituti di diritto comune da essa
preclusi all’ambito del diritto penale elettorale.
Il rapporto tra sospensione condizionale e diritto elettorale, infatti, rappresentava
una questione che veniva da lontano. Introdotta nell’ordinamento penale italiano
45
Nel testo vigente all’epoca, prima delle modifiche occorse con la l. 220/1974.
14
nel 190446, la sospensione condizionale fu dichiarata inapplicabile ai reati elettorali
dalla legge elettorale politica del 191247, a seguito di un acceso dibattito
parlamentare che vide contrari alla norma i fautori della Legge Ronchetti. Le
ragioni più importanti poste a sostegno della scelta furono essenzialmente due:
l’estensione del suffragio ad un’ampia platea di cittadini (e il conseguente pericolo
della commissione di un maggior numero di reati elettorali) e la necessità di
sottrarre i giudici dalle pressioni esterne di quanti avrebbero potuto invocare, a
discolpa degli imputati, una “passione politica” resa ancor più forte nel periodo
delle consultazioni.
Recepita da tutti gli altri testi unici elettorali (politici e comunali) dell’Italia
monarchica, la disposizione giunse indenne all’esame della Consulta Nazionale,
incaricata di scrivere la nuova legge elettorale per l’Assemblea Costituente.
L’atteggiamento dell’organo fu di generale rigore nella repressione di qualunque
attentato alla libertà dell’elettore, al punto che quando il consultore Pietriboni
propose l’espunzione della norma dal nuovo testo elettorale, essa fu respinta ad
ampia maggioranza48. Si voleva rendere certa l’esecuzione delle pene in materia,
resa di capitale importanza in un momento particolarmente turbolento dal punto
di vista dell’ordine pubblico. La disposizione del 1912, ormai divenuta tralaticia,
entrava dunque nel nuovo testo unico per l’elezione della Camera del 1948, e da lì
in quelli del 1957 e del 1960.
Come visto sopra, gli anni Settanta videro riaprirsi il dibattito sulla natura
derogatoria dell’art. 113, u.c del d.p.r. 361/1957. Nel 1972 fu presentata una
proposta di legge49 mirante a rendere meno rigorosa la disposizione (definita,
senza mezzi termini, “ingiusta inumana, ed anticostituzionale”) , rendendola
L. 2 giugno 1904, n. 267 sulla sospensione dell’esecuzione delle sentenze di condanna, anche nota
come Legge Ronchetti.
47Art. 128, u.c.
48 Resoconto stenografico dell’Assemblea plenaria della Consulta Nazionale, seduta del 22 febbraio
1946, pp. 906-ss.
49 A.C. n. 1413 della VI legislatura, Modificazione dell’art. 113, ultimo comma, del testo unico 30
marzo 1957, n. 361, sulla elezione della Camera dei deputati, presentata il 21 dicembre 1972 dagli
onn. TOZZI CONDIVI e P.RICCIO.
46
15
operante “esclusi i casi di particolare lievità e di età giovanile del colpevole”. Il dibattito
parlamentare fece tesoro degli argomenti portati a sostegno della norma
approvata nella legge elettorale per l’Assemblea Costituente del 1946, andando
ben oltre lo spirito mitigatore della proposta. La Commissione Affari
Costituzionali della Camera, infatti, oltre al dubbio di costituzionalità (causato
dall’eccessiva diversità del trattamento penale per i cittadini, a secondo che
commettessero un reato elettorale, piuttosto che un reato comune50) argomentò
che le deroghe approvate dalla Consulta Nazionale non avessero più il
fondamento che aveva ispirato la ferrea disciplina allora vigente, costituito dal
momento particolare che viveva il Paese appena uscito dal secondo conflitto
mondiale e dalla guerra di liberazione51, e approvò all’unanimità – d’accordo i
proponenti – un nuovo testo, recante, questa volta, l’abrogazione integrale della
disposizione. La formulazione posta dalla Commissione fu approvata ad
amplissima maggioranza dalla Camera dei Deputati nella seduta del 12 aprile
1973; lo stesso fece il Senato il 20 dicembre successivo, facendo diventare il testo
presentato la l. 933/1973 di abrogazione espressa dell’art. 133, u.c.
Bisognò tuttavia aspettare ancora qualche anno perché la deroga in peius prevista
dal diritto elettorale sulla concessione della sospensione condizionale della pena e
sulla non iscrizione nel casellario giudiziario venisse definitivamente meno. Come
infatti si è avuto modo di accennare nel corso della trattazione, la disposizione –
ormai divenuta tralaticia, nel continuo susseguirsi di testi unici in materia
elettorale verificatosi nel secondo dopoguerra – persisteva per l’altra fonte
maggiore del diritto penale elettorale, ovvero il d.p.r. 570/1960.
Con la sentenza n. 121/198052), la Corte costituzionale ebbe di nuovo modo di
esprimersi sull’argomento, questa volta dal punto di vista della legge elettorale
Tale assunto trovava maggior forza alla luce della recente approvazione delle nuove norme sulla
libertà vigilata (art. 277 c.p.p. allora vigente) ad opera della l. 15 dicembre 1972, n. 773.
51 Cfr. l’A.C. 1413/VI, contenente la relazione fatta il 28 febbraio 1973 alla Commissione dall’on.
S.RICCIO.
52 Sentenza della Corte costituzionale n.121 del 17 luglio 1980, presidente AMADEI, relatore ELIA.
50
16
comunale. Se nel 1970 la disposizione abrogata dalla legge del 1973 era stata
“salvata” dal giudice costituzionale facendo riferimento all’art. 102, u.c. del testo
sulle elezioni comunali, essa stessa ora veniva sottoposta al giudizio di legittimità.
La Corte non poté non riconoscere il valore di ius superveniens assunto dalla l.
933/1973, capace di determinare una distinzione “irrazionale ed arbitraria”53 tra
fattispecie criminose coincidenti. Accogliendo il ricorso, dunque, la disposizione
fu dichiarata costituzionalmente illegittima.
Un secondo caso di modifiche alla normativa penale di matrice elettoralistica è
rappresentato dalle sorti subite dalla l. 61/200454. Il provvedimento partì come
stralcio da un più ampio disegno di legge55 in materia di semplificazione del
procedimento elettorale preparatorio, e agì sugli artt. 100 e 106 del d.p.r. 361/1957
e 90 e 93 del d.p.r. 579/1960, in materia di falso elettorale. Se da un lato la dottrina
ebbe modo di apprezzare la razionalizzazione di un sistema che precedentemente
prevedeva pene diverse a seconda del tipo di competizione elettorale, dall’altro
criticò la scelta di attenuare la disciplina speciale del falso elettorale rispetto alla
fattispecie comune di reato. La legge prevedeva, infatti, che fossero puniti con
l’ammenda (e non più con la reclusione da uno a sei anni, come prima previsto per
tutti i reati in materia di alterazione, sostituzione, soppressione o distruzione di
schede ed altri atti elettorali) i reati previsti dai Capi III e IV del Titolo VII del
Libro secondo del codice penale quando si trattasse di autenticazione delle
sottoscrizioni di liste di elettori o candidature o di falsa formazione delle stesse. Il
legislatore procedeva a determinare queste ultime fattispecie delittuose come una
forma a sé di falso elettorale, conferendo minore allarme sociale a fenomeni
precedenti il momento elettorale. Si parlò di una bagatellizzazione messa in campo
Al massimo, ricordava la Corte, sarebbe stato possibile trovare una ratio distinguendi ove fosse
stata la normativa elettorale politica (e non quella comunale) ad essere più rigida di quella
comunale, “considerata la maggior importanza [dal punto di vista del principio democratico] delle elezioni
politiche nazionali ed europee” (punto 6, quarto paragrafo del considerato in diritto).
54 Legge 2 marzo 2004, n. 61, Norme in materia di reati elettorali.
55 Vd. A.C. 1619-2451-2676-bis/XIV, formato da proposte di legge degli onn. STUCCHI, VITALI e
DUSSIN.
53
17
“con un disinvolto tratto di penna” , che trasformava questi delitti in contravvenzioni
oblazionabili, incidendo su condotte che “minano, pesantemente, la regolarità
intrinseca […] delle competizioni elettorali”56. Non solo: introducendo il riferimento
tout court ai Capi III e IV del codice, si determinava una situazione in cui si
qualificavano come contravvenzioni fattispecie delittuose del tutto estranee al
procedimento elettorale, tantomeno preparatorio (quali, ad esempio, la falsità in
scrittura privata ex art. 485 c.p. e l’usurpazione di titoli e onori ex art. 498 c.p.),
indice della scarsa qualità normativa dell’intervento. Altro punto dolente era
l’abbassamento dei termini prescrizionali. La configurazione del falso elettorale
come fenomeno sanzionato dalla normativa speciale con l’ammenda portava gli
anni necessari a prescrivere a non più di due. La fissazione di un termine
prescrizionale così breve in un ambito non devoluto alla giurisdizione onoraria
(almeno per le elezioni locali) non poteva che ingenerare, a detta della dottrina e
dell’opposizione parlamentare, in una sorta di “amnistia mascherata o di indultone
indiretto per i reati elettorali”, per giunta maturato in un contesto in cui si era
utilizzata la proposta originaria in materia di semplificazione delle procedure di
presentazione delle liste per approvare in gran fretta solo una parte sanzionatoria
diretta ad una depenalizzazione de facto. All’abbondanza di proscioglimenti
andava pure aggiunto l’effetto che avrebbe avuto (e che effettivamente ebbe) il
fatto che la nuova normativa costituiva un palese caso di lex mitior, come tale
operante sui processi in corso ai sensi dell’art. 2, c. 3, c.p. Infine, va notato che la
legge del 2004, agendo sulle procedure di autenticazione delle liste di
sottoscrizione di candidature, si traduceva in un vero e proprio beneficio per
quella determinata categoria di autenticatori costituita dagli amministratori locali.
Era questo, a detta di taluna dottrina, un dato da non sottovalutare, in quanto si
56
Vd. RIVERDITI, Norme in materia di reati elettorali, in Legislazione penale, 2004, IV, p. 620.
18
veniva a creare una vera e propria platea di impuniti per il solo fatto di ricoprire
una carica politica57.
La disparità di trattamento del falso in atto tra diritto comune e diritto elettorale fu
oggetto di ricorso alla Corte costituzionale. I Tribunali di Roma e Firenze, e il g.i.p.
del Tribunale di Pescara ravvisavano una violazione degli artt. 3 e 27 Cost.; a ciò il
Tribunale di Roma aggiunse la considerazione che “l’attitudine del falso in liste di
candidati a compromettere in modo diretto valori costituzionalmente garantiti – quale, in
primis, la libertà del diritto di voto (art. 48 Cost.) – avrebbe dovuto suggerire non già
un’attenuazione, ma semmai un irrigidimento della risposta punitiva prefigurata in via
generale dall’art. 479 cod. pen. per la falsità in autenticazione di firme”58.
Con una sentenza che viene ricordata più per essere un importante intervento
della nostra Corte costituzionale sulle norme penale di favore, che per il profilo
meramente attinente i reati elettorali, il giudice delle leggi censurò l’eccessiva
disparità del falso elettorale rispetto alla figura generale prevista dal Codice, e
dichiarò costituzionalmente illegittimi gli artt. 100, c.3, del d.p.r. 361/1957 e 90, c.3,
del d.p.r. 570/1960.
4. L’art. 416-ter c.p. nell’alveo del diritto penale elettorale
Qualificare l’art. 416-ter c.p. come norma del diritto penale elettorale è un
esercizio, come si vedrà nel corso della trattazione, non facile. Nonostante il
conforto di taluna dottrina che non esita a includere la disposizione codicistica
nell’ambito di studio in oggetto59, non si deve dimenticare che essa afferisce sì al
diritto penale elettorale, ma non nasce come norma immediatamente afferente a
tale ambito, ponendosi obbiettivi di tutela che vanno ben oltre la trasparenza e
In questo la dottrina confermava i dubbi espressi, in sede di approvazione finale del
provvedimento, dagli onn. BOATO, LEONI, MARONE, PISAPIA e SODA (riportate da NATALINI, Reati
elettorali e ius superveniens: un’amnistia mascherata? - nota a Cass., sez. III, 26 maggio 2004,
Guareschi Marosi, in Cassazione Penale, 2004, XI, p. 3595).
58 Vd. il punto 1.2 del considerato in diritto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 394 dell’8
novembre 2006, presidente BILE, redattore FLICK.
59 Vd., da ultimo, NUNZIATA, op.cit., p. 18-ss.
57
19
correttezza delle operazioni elettorali. Del resto, analogo discorso va fatto per l’art.
294 c.p., norma che come abbiamo visto si pone in chiave di tutela generale di tutti
i diritti politici del cittadino, agente in via sussidiaria nel momento in cui venga a
mancare specifica disciplina di casi particolarmente controversi60.
All’indomani dell’approvazione della riforma codicistica del 1992, la dottrina si
trovò a constatare come nel 1982 (anno di approvazione della cd. “legge Rognoni-La
Torre)61 si fosse agevolata, con l’introduzione dell’art. 416-bis c.p., la repressione
giudiziaria nei confronti del fenomeno mafioso, tralasciando, però, di affrontare,
come vedremo, le contiguità tra mafia e politica. Questo perché alle soglie degli
anni Novanta dello scorso secolo il fenomeno mafioso si presentava ancora come
caratterizzato da “un’interpretazione scientificamente controversa”, costituendo un
concetto “‘sovradeterminato’, nel senso che si presta[va] a condensare o fondere significati
diversi e storicamente stratificati: esso indicava[va], nel medesimo tempo, una associazione
criminale, una realtà storica, un codice culturale, una struttura di potere” capace di
interagire col sistema legale in tutte le sue sfaccettature politiche, economiche e
sociali62. Non solo: nonostante già negli anni Sessanta fossero emerse le prime
avvisaglie di una nuova, più moderna tipologia di infiltrazione mafiosa nei gangli
della vita socio-economica del Paese (si pensi alle partecipazioni statali, messe in
campo dallo stato in un’ottica di rilancio del Mezzogiorno d’Italia), continuava a
mancare un controllo penale su un fenomeno che molti ritenevano essere
sociologicamente fisiologico. Si continuava a guardare al fenomeno mafioso (e a
tutte le sue implicazioni ed articolazioni) come al portato di un vero e proprio
sistema sottoculturale, configurazione, questa, causa di non poche resistenze e
Anticipando quanto si dirà nel corso della trattazione, si può fare l’esempio del procacciamento
di voto effettuato con metodi mafiosi da organizzazioni criminali non mafiose.
61 Legge 13 settembre 1982, n. 646, “Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere
patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965,
n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia”. Il nome deriva dai
proponenti del provvedimento (il comunista Pio La Torre, ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982 e il
democristiano Virginio Rognoni, Ministro dell’Interno dell’epoca). La svolta decisiva
all’approvazione della legge fu data dall’assassinio, il 3 settembre 1982, del generale Carlo Alberto
Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo.
62 Cfr. FIANDACA, Riflessi penalistici del rapporto mafia-politica, in Il Foro Italiano, 1993, V, col. 137.
60
20
cautele della magistratura nel momento in cui pure sarebbe stata necessaria una
maggior repressione. A questa visione non sfuggiva il fenomeno della cd. “mafia in
guanti gialli”, espressione usata per cristallizzare forme di rapporti tra sfere apicali
delle organizzazioni mafiose e mondo della politica e della imprenditoria.
Al di là e prima dell’aspetto giuridico, non va dunque dimenticato che
l’approvazione dell’art. 416-ter c.p. rispondeva ad esigenze di ordine pubblico
ormai indifferibili e strettamente connaturate ad una situazione di contrasto ad un
sistema di azioni e valori che lo Stato, finalmente, venne a qualificare come
deprecabili con lo strumento dell’azione penale.
4.1. La genesi del reato di scambio elettorale politico-mafioso
L’iter affrontato dall’attuale art. 416-ter c.p. in materia di scambio elettorale
politico-mafioso risulta alquanto travagliato. Al di là del dato fattuale, al di là del
mero intervento legislativo, si deve dunque tenere conto della temperie storica ben
precisa, nonché del “quadro sociologico” nel solco del quale si decise di mettere
mano – dopo l’intervento della Legge Rognoni-La Torre di pochi anni prima – al
Codice penale63.
Intanto, il dato storico: la l. 6 agosto 1992, n. 35664 andava a convertire il d.l. 8
giugno 1992 n. 306 (cd. “decreto Scotti-Martelli”, dal nome dei Ministri degli Interni
e di Grazia e Giustizia dell’epoca). Tale decreto costituiva la risposta dello Stato
alla spirale violenta delle stragi di mafia, che avevano avuto il culmine nei violenti
assassini di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e di Paolo Borsellino con le
relative scorte armate (rispettivamente, 23 maggio e 19 luglio 1992).
L’ondata emotiva provocata nel Paese dalla violenza di quella che era diventata
una vera e propria lotta (che voci sempre più insistenti, poi in parte confermate,
volevano inquinata da insinuazioni, all’interno dell’apparato statale, di uomini “di
fiducia” di Cosa Nostra) incise fortemente sulla qualità del dibattito parlamentare
Cfr. supra al paragrafo precedente.
Legge 7 agosto 1992, n. 356 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 giugno 1992,
n. 306, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
criminalità mafiosa”.
63
64
21
in sede di conversione del decreto. Come notava la critica dottrinale coeva
all’approvazione della l. 356/1992, il decreto Scotti-Martelli non conteneva alcuna
norma sulla vexata quaestio dei rapporti tra mafia e politica, nonostante l’opinione
pubblica fosse sempre più convinta che si dovesse invece intervenire radicalmente
su ogni pur minima collusione tra forze per propria natura antagoniste. Si era
venuto a creare una situazione in cui la classe politica, chiamata a rispondere del
lassismo (e di movimenti poco chiari) che molti ritenevano avesse mostrato nel
contrasto di quelle associazioni a delinquere che la l. 646/1982 aveva definito “di
tipo mafioso”, ancora una volta aveva rinunciato ad affrontare il problema65.
Si era cominciato a parlare dello scambio elettorale all’indomani del decreto grazie
ad un documento66 – stilato da alcuni magistrati palermitani antimafia, tra cui i
componenti del cd. “pool di Palermo” – che puntava l’obiettivo di sanzionare la
“zona grigia della contiguità politico mafiosa” con una modifica dell’art. 416-bis c.p.
La strada che i magistrati indicavano era quella di un intervento che facesse
dell’art. 416-bis c.p. una disposizione organica in materia di contrasto alle
associazioni a delinquere di stampo mafioso. A ben vedere, però, più che di una
questione di organicità, si trattava di far rientrare nello schema-base di questo
particolare tipo di associazione criminale il controllo del suffragio elettorale
esercitato dagli associati, tassello, questo, che si sarebbe aggiunto a quelli già
componenti il “programma mafioso” individuato dalla Legge Rognoni-La Torre67.
I magistrati concretizzavano la loro analisi in un comma da aggiungere all’art. 416bis: “Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì a coloro i quali si avvalgono,
anche indirettamente, del sostegno intimidatorio delle associazioni mafiose per procacciarsi
Cfr. VISCONTI, Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, in L’Indice penale, 1993, II, pp. 276 e 283.
Ivi, in particolare, viene riportato il negativo giudizio che BRICOLA diede di una normativa che,
rinunciando a perseguire le contiguità tra politica e mafia, nasceva con la macchia di un vero e
proprio “deficit di coraggio del legislatore”.
66 Un indispensabile salto di qualità: proposte dei magistrati palermitani per l’assemblea nazionale
dell’A.n.m. del 20 giugno 1992, cit. in VISCONTI, op.cit., p. 276, nota 10.
67 Aggiungendosi dunque agli elementi dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento e di omertà finalizzata alla commissione di delitti e del controllo, in qualsiasi forma, di
attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti o servizi pubblici, nonché dell’ottenimento
di profitti e vantaggi ingiusti. Cfr. art. 416-bis, c. 3, c.p.
65
22
voti nelle competizioni elettorali in cambio di denaro o della promessa di agevolare
l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti, contributi, finanziamenti pubblici, o
comunque, la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti”.
Nonostante questo contributo, il disegno legge di conversione del d.l. 306/1992
presentato dal Governo non recava alcuna norma in merito. La questione passò
allora al dibattito parlamentare. In Commissione Giustizia al Senato un
emendamento delle opposizioni (a firma dell’on. Brutti) proponeva di sanzionare,
sempre nell’ambito dell’art. 416-bis, “coloro i quali nel corso delle campagne elettorali,
al fine di procurare voti a sé o ad altri, ricorrano al sostegno intimidatorio delle
associazioni mafiose”. Questa proposta (che, rispetto a quella avanzata dai
magistrati siciliani, disegnava una fattispecie molto ampia di scambio elettorale
politico-mafioso, rendendo necessario come unico elemento decisivo della
fattispecie il ricorso all’intimidazione operata per conto altrui dall’organizzazione
mafiosa) venne respinta dalla Commissione, che approvò un altro emendamento,
questa volta della maggioranza (a firma dell’on. Pinto) che andò a modificare l’art.
416-bis c.p. nella parte delle finalità associative68, senza accennare ad una sanzione
per il politico che ricorresse alla mafia per ottenere consensi elettorali.
Fu il dibattito in sede di Commissione Giustizia della Camera a dare forma alla
nuova fattispecie, stralciandone altresì la previsione dal disposto dell’art. 416-bis
c.p. L’embrione del 416-ter attuale è da rintracciare in un emendamento –
anch’esso proveniente dalle opposizioni – (a firma degli onn. Galasso e Palermo),
che nell’ottica di un recepimento (non proprio preciso, come vedremo) delle
indicazioni provenienti dal pool palermitano era di questo tenore: “Le pene stabilite
dai primi due commi dell’art. 416 bis si applicano anche a chi, per ottenere a proprio od
altrui vantaggio il voto elettorale, si avvale, anche indirettamente, della forza
d’intimidazione del vincolo associativo di cui all’art. 416 bis accettando la promessa di
Modifica, questa, che tramite un ulteriore intervento operato nel successivo esame alla Camera
dei Deputati aggiunse, alle finalità di cui all’art. 416-bis, c.3, c.p., l’ipotesi di impedimento del
libero esercizio del voto e quella di procacciamento di voti per sé o per altri.
68
23
sostegno elettorale da persone sottoposte a procedimento di prevenzione o a procedimento
penale per il delitto di associazione mafiosa in cambio della somministrazione di denaro o
della promessa di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti,
contributi, finanziamenti pubblici o, comunque, la realizzazione di profitti o vantaggi
ingiusti”. Una formulazione del genere, peraltro, presentava non poche
problematiche; in particolare, c’era il rischio di rendere esclusiva la configurazione
del momento genetico dello scambio elettorale esclusivamente come di un
avvicinamento e di un’offerta fatta dall’organizzazione mafiosa al politico e non
viceversa. Comunque fosse, questo testo fu accantonato dalla Commissione, che
ne propose al voto in Assemblea un altro, elaborato come alternativo da un
comitato ristretto: “La pena stabilita dal primo comma dell’art. 416 bis si applica anche a
chi ottiene la promessa di voti prevista dal 3° comma69 in cambio della somministrazione di
denaro o della promessa di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti,
contributi, finanziamenti pubblici o, comunque, alla realizzazione di profitti”. Il pregio di
questa formulazione, rispetto a quella avanzata dall’opposizione, era il
“capovolgimento di prospettiva” operato, riportando il profilo sanzionatorio
nell’ambito del politico che anzitutto si rivolge sua sponte all’associazione
ottenendone la promessa di voti.
Nonostante il favore che pure aveva riscosso questa nuova proposta, si
registrarono non poche perplessità tra la maggioranza e, soprattutto, tra gli
operatori del diritto. Come ebbe modo di riferire il Ministro Martelli alla Camera
dei Deputati, “la norma proposta dalla commissione, a giudizio dei magistrati e dei
funzionari che lavorano al ministero e di quelli che seguono la commissione stessa, si presta
ad interpretazioni diverse ed eventualmente ad arbitri”70, ragion per cui il Guardasigilli
propose il voto sull’emendamento a parti separate (limitando la prima di esse al
testo fino alle parole “somministrazione di denaro”).
Vd. nota precedente.
ATTI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, seduta del 4 luglio 1992, citato da VISCONTI, op.cit., p. 278, nota
16.
69
70
24
Peraltro, l’argomentazione del Governo è stata ritenuta dalla dottrina come
“controvertibile”, in quanto pure accettabili erano le ragioni di garanzia a tutela
dell’uomo politico poste – a parere delle opposizioni – dall’intero testo scaturito
dall’esame in Commissione71. L’elemento della promessa, infatti, si sarebbe
configurato come un ulteriore elemento di discrimine tra uomo politico colluso con
la mafia e uomo politico associato alla mafia.
Il voto per parti della proposta portò all’approvazione della prima e al
respingimento della seconda. La seconda lettura al Senato della Repubblica fu
caratterizzata da un esame altrettanto convulso, con il timore che una dilazione
dei tempi parlamentari avrebbe portato alla decadenza del decreto-legge per
decorrenza dei termini di conversione. Ragioni di urgenza portarono al
respingimento di tutti gli emendamenti in gran parte presentati dall’opposizione,
non ultimi uno (a firma dei senn. Salvato ed altri) che riproponeva il testo
presentato alla Camera dagli onn. Galasso e Palermo e un secondo (avanzato dal
sen. Covi) che riproponeva il tema della contropartita della promessa nella forma
non solo del denaro, ma anche – alternativamente – “di altra utilità”. Con la
conversione in legge del decreto Scotti-Martelli, appariva nel nostro ordinamento
penale l’art. 416-ter c.p. in materia di scambio elettorale politico-mafioso72.
4.2. Prima del 1992: i reati di cui agli artt. 96 e 97 del d.p.r. 361/195773 (e i
relativi problemi di coordinamento con la “nuova” fattispecie codicistica). La
giurisprudenza successiva tra sforzo chiarificatore e aperture alla novità.
Una problematica non irrilevante che pone l’art. 416-ter c.p. quale disposizione
afferente al diritto penale elettorale è rappresentata dalla necessità di un
coordinamento con alcune fattispecie precedentemente previste dalla legge
Vd. VISCONTI, op.cit., ibidem.
Il cui testo, vigente fino all’entrata in vigore della recentissima riforma operata dalla legge 17
aprile 2014, n. 62, giova riportare: “La pena stabilita dal primo comma dell’art. 416-bis si applica anche a
chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della
erogazione di denaro”. La disposizione era contenuta nell’art. 11-ter del d.l. 306/1992, aggiunto al
testo originario del decreto Scotti-Martelli dalla legge di conversione.
73 Per quanto riguarda la legge elettorale comunale, disposizioni analoghe sono contemplate dagli
artt. 86 e 87 del d.p.r. 570/1960, che tralasceremo.
71
72
25
speciale. In particolare, il testo unico del 1957 sull’elezione della Camera dei
Deputati – in questo recependo una serie di disposizioni già presenti nelle
precedenti leggi elettorali politiche74 – ha recato sin dalla sua emanazione norme
per la tutela del libero esercizio del voto da episodi di corruzione (art. 96) e
coercizione (art. 97). Tali norme rientrano, per la dottrina più risalente, nella
categoria dei reati riguardanti l’esercizio del diritto elettorale, caratterizzata da figure
aventi di per sé struttura, condotta ed evento particolari, previste però da norme
ispirate dalla medesima ragione ed obiettività giuridica, ovvero “assicurare e
garantire la libertà del cittadino, nell’esercizio del diritto elettorale, da ogni e qualsiasi fatto
che valga a menomare, turbare od impedire la libertà in parola, presupposto necessario
della regolarità e della esattezza dei risultati delle consultazioni elettorali” 75.
Il primo articolo contempla due ipotesi di corruzione per il voto elettorale (in sede
di sottoscrizione delle liste o di votazione), consistenti l’una nella sanzione di
chiunque “offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o
promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori o, per
accordo con essi, ad altre persone”, l’altra nella sanzione dell’elettore che accetti o
riceva tali offerte o promesse. È lampante la differenza tra la disposizione in
parola e quella dell’ 416-ter c.p.76, prevedendo la normativa speciale una gamma
più vasta di contropartite offerte all’elettore (ed eventualmente da esso accettate)
rispetto a quelle contemplate dalla novella codicistica del 1992.
Il secondo articolo è dedicato, invece, all’ipotesi di coercizione per il voto
elettorale, integrato dalla condotta di un soggetto che costringa la libera scelta
dell’elettore (anche qui in relazione a tutto il procedimento elettorale, fin dalla fase
preparatoria) con violenza o minaccia, raggiri o artifizi – compreso il caso
particolare, previsto dalla littera legis, dell’uso di false notizie –, o comunque con
qualunque mezzo illecito atto a diminuire la libertà degli elettori. Il discrimine tra
Vd., su tutti, gli artt. 111 e 112 della legge elettorale politica del 1928.
MAZZANTI, op.cit., pp. 131-ss.
76 Il riferimento, ovviamente, è al testo precedente alla riforma approvata con la l.62/2014.
74
75
26
questa disposizione e quella del 416-ter c.p. è dato, anzitutto, dalla presenza di
un’intimidazione, che però non deriva dal vincolo associativo proprio della
criminalità organizzata. Tale basilare distinzione si collega al secondo elemento di
differenziazione che pure emerge, costituito dall’ampio raggio di mezzi con cui si
effettua pressione sul libero cittadino. Guardando alla normativa del 1957 dalla
posizione di chi ha già avuto esperienza dell’intervento legislativo del 1992, si nota
come l’elencazione di precisi mezzi di coazione si renda necessaria, dal momento
che nel delitto di scambio elettorale politico-mafioso essi sono ricompresi nel più
ampio genus della forza d’intimidazione citata quale costituente necessaria
dell’associazione a delinquere di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p.
Si pone, allora, una questione non irrilevante sul rapporto tra la norma codicistica
e il disposto della legge elettorale politica, un rapporto su cui la dottrina non ha
mancato di porre l’attenzione.
Orbene, per quanto riguarda i rapporti tra l’art. 416-ter c.p. e l’art. 96 del d.p.r.
361/1957, un primo punto interessante è dato dallo stabilire se si possa guardare
alla prima come disposizione speciale ricompresa nella seconda. Potrebbe essere
uno schema sussumibile ove si consideri che la presenza del vincolo associativo
mafioso nella fattispecie codicistica non faccia altro che specificare quanto
disposto dall’art. 96 del testo unico. Basta però l’esemplificazione di un caso
pratico a confutare questa ricostruzione77: si pensi ad un mafioso che venga
scoperto, a seguito di intercettazioni telefoniche, ad accordarsi con un candidato
alle elezioni, onde garantire a quest’ultimo, in cambio di denaro, il procacciamento
di voti da parte di alcuni affiliati alla cosca; si pensi, altresì, di punire
quest’atteggiamento – costitutivo, in fin dei conti, della più basilare ipotesi di
scambio elettorale – non già ricorrendo all’art. 416-ter c.p., bensì all’art. 96 del testo
unico. Anzitutto, non si potrebbe pretendere di perseguire l’uomo politico per
concorso esterno in associazione mafiosa, mancando (come più volte affermato
dalla dottrina, e successivamente dalla giurisprudenza) quel sostegno costante
77
È un ragionamento che pone VISCONTI, op.cit., pp. 301-ss.
27
all’organizzazione criminale decisivo per fare del politico un favoreggiatore del
consorzio criminale. Non siamo in presenza di una serie di fitte relazioni, quanto,
piuttosto, di un patto negoziale indice di un rapporto occasionale e di per sé
recante un disvalore giuridico. A meno che il politico non sia un affiliato (nel qual
caso si dovrebbe guardare non al 416-ter c.p., ma al 416-bis c.p.), si deve ritenere
che il patto negoziale abbia un che di episodico, scaturendo da un contatto che
avviene tra mala politica e mafia in occasione delle singole consultazioni78.
Che fare, allora, del politico e del mafioso della nostra intercettazione? Va detto
che l’art. 96 del d.p.r. 361/1957 presenta un limite ben definito, rappresentato dal
fatto che viene punito chi mercanteggia esclusivamente il proprio voto (al
massimo per ottenere favori per un terzo che però non partecipa al patto, né
tantomeno vincola il proprio suffragio come fa, invece, l’elettore che lo indica al
corruttore come beneficiario). In una tale ottica, dunque, il mafioso sarà punibile a
titolo di corruzione elettorale solo ed esclusivamente nel momento in cui ponesse,
quale contropartita del rapporto, il proprio voto. Emerge dunque chiaramente il
diverso tenore delle due ipotesi e, soprattutto, l’impossibilità di ricondurre quella
prevista dal Codice nell’ambito di quella contemplata dal testo unico sull’elezione
della Camera dei Deputati. Quest’ultima descrive necessariamente un rapporto
diretto tra corruttore ed elettore corrotto; la prima, invece, va a colpire un più
ampio progetto di intermediazione e di raccolta dei suffragi che esorbita la
dimensione del voto di un singolo elettore, ponendosi inoltre ad un livello ben più
ampio (la promessa di cui all’art. 416-ter c.p. situandosi in un incontro a sfere ben
più alte, qual è quello che si tiene tra l’organizzazione mafiosa e il candidato).
L’elettore o la pluralità di elettori corrotti, onde rendere operante l’art. 96 del testo
unico, dovrà essere ben individuato, e l’utilità messa sul piatto dal corruttore dovrà
andare a diretto beneficio del corrotto o della persona da esso indicata79.
Cfr. VISCONTI, op.cit., p. 295.
Tale tesi si rinviene nelle considerazioni svolte dai magistrati della Procura della Repubblica di
Napoli in sede di richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di alcuni deputati; vd.
VISCONTI, op.cit., p. 302, nota 65.
78
79
28
Ovviamente, impostando il rapporto tra la normativa elettorale e quella codicistica
nel senso in cui la prima non è suscettibile di attrarre (almeno non completamente)
la seconda, vale anche il discorso inverso.
La differenza tra le due fattispecie è direttamente derivante dalla configurazione
di modelli criminologici diversi. La legge del 1957 (come del resto avevano già
fatto le precedenti leggi elettorali politiche) andava ad affrontare il fenomeno di
uno scambio definibile come al minuto, profondamente radicato in aree del nostro
Paese caratterizzate da grande degrado sociale e da fenomeni clientelistici diffusi;
l’art.
416-ter c.p., invece, prende in considerazione il sistematico controllo e
procacciamento del consenso elettorale esercitato dall’organizzazione criminale
nell’ambito del proprio bacino territoriale.
Altra questione da affrontare è la presenza, o meno, della stessa rationis materiae,
sulla quale, a questo punto, restano ben pochi dubbi. Non avrebbe senso
ricondurre l’art. 416-ter c.p. nella famiglia dei reati elettorali se esso non si ponesse
a tutela anticipata dello stesso bene giuridico da questi contemplato, ovvero la
libertà e trasparenza delle operazioni di voto80. Comparando in chiave formale le
due fattispecie, abbiamo visto come il rapporto tra esse assuma una forma di
“specialità reciproca bilaterale”81; quel che cambia, però, è la modalità di aggressione
al medesimo bene giuridico previsto dalle due disposizioni, modalità di
aggressione che si distinguono intanto per le ragioni di politica criminale che ne
ispirano il contrasto; poi, per le origini sociologiche e storiche che ne costituiscono
il sostrato; infine, per la differenza fattuale-sistematica e quantitativa esistente tra
le due aggressioni (essendo l’art. 96 del d.p.r. 361/1957 destinato, come abbiamo
visto, a contrastare un fenomeno molto meno vasto, organizzato e pericoloso del
grande movimento di voti che si vuole affrontare con l’art. 416-ter c.p.).
Si tratta di una tutela su cui la Corte di Cassazione ha avuto modo di puntualizzare, come si
vedrà nel corso della trattazione.
81 L’espressione è di VISCONTI, op.cit., p. 303.
80
29
Va peraltro notato, comunque, come la legge di conversione del decreto ScottiMartelli abbia previsto, all’art. 11-quater82, la modifica dell’art. 96, primo comma,
del testo unico, colla quale fu aumentata la pena detentiva prevista – insieme alla
multa – per corruttore ed elettore corrotto, elevando i limiti da sei mesi ad un
anno nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo edittali.
Come si diceva all’inizio della sezione, altra norma del diritto penale elettorale che
necessita di un coordinamento con il disposto dell’art. 416-ter c.p. è quella recata
dall’art. 97 del d.p.r. 361/1957, in materia di coercizione elettorale. Va anzitutto
detto che tale condotta criminale è portatrice di per sé un disvalore giuridico,
concretizzandosi nell’uso di mezzi particolarmente odiosi (violenza, raggiro, false
notizie) allo scopo di limitare la libertà dell’elettore, senz’altro inquadrabile come
specificazione dell’art. 294 c.p. Nel rapporto coll’art. 416-ter c.p., già la dottrina
contemporanea alla riforma del 1992 ravvisava il porsi di seri problemi sul
possibile concorso tra i due reati83. Se non si fosse tenuto presente, infatti, che la
violenza e l’intimidazione sono elementi costitutivi, ex art. 416-bis c.p.,
dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, si sarebbe rischiato di
ammettere un concorso (apparente) sfociante, però, in una violazione del principio
del ne bis in idem, nel momento in cui si contestasse all’uomo politico non solo il
patto di scambio con la mafia, ma anche la responsabilità di aver ingenerato il
procacciamento di voti effettuato coi mezzi di cui all’art. 97 del testo unico
sull’elezione della Camera. La fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. assorbe
necessariamente quanto contemplato dalla disposizione speciale sulla coercizione
al voto intanto per l’intrinseca pericolosità del patto stipulato tra il politico e
l’associazione mafiosa; e poi perché si rischia di punire (due volte, e con pene
detentive incidenti non poco sulla libertà personale del singolo) una condotta che
viene ad essere tipica per la normativa codicistica e, contemporaneamente, atipica
per la normativa speciale.
82
83
Significativamente successivo all’art. 11-ter, che introdusse nel Codice penale l’art. 416-ter.
Cfr. VISCONTI, op.cit., p. 305.
30
Fin qui quanto è stato scritto, a proposito dei rapporti tra la nuova fattispecie
codicistica e le disposizioni ad essa più vicine, dalla dottrina all’indomani della
conversione in legge del decreto Scotti-Martelli. Nel corso del tempo, come spesso
accade, è stata la Corte di Cassazione a tracciare (per la verità in maniera non
sempre univoca e lineare) le direttrici in base alle quali leggere le interazioni dell’
art. 416-ter c.p. con le disposizioni speciali, e, non ultimo, con l’art. 416-bis c.p.
Partendo da questo aspetto, grande è stato lo sforzo chiarificatore della
giurisprudenza di legittimità, che nel 2000 ha contribuito a segnare importanti
paletti tra le due fattispecie codicistiche. A quell’anno risale infatti la sentenza
Frasca84, che ha ritenuto sussistente il concorso esterno in associazione mafiosa
allorchè il politico si impegni a favorire l’organizzazione criminale una volta
eletto: “Mentre nel reato di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) non è
necessario, ed anzi è improbabile che il politico aderisca, quale componente o concorrente
esterno, alla struttura malavitosa […], nell’ipotesi in cui la associazione mafiosa si
impegni per ostacolare il libero esercizio del diritto di voto o per procurare voti ad un
determinato candidato (art. 416-bis comma 3, ultima parte c.p.), quest’ultimo o sarà un
aderente, a pieno titolo, alla suddetta associazione, ovvero, in quanto uomo politico
estraneo alla associazione, ma disponibile al soddisfacimento delle esigenze della stessa,
potrà eventualmente rivestire, in ragione del suo concreto comportamento, il ruolo di
concorrente esterno”85. Questo perché l’estraneità all’associazione mafiosa diventa la
base su cui stringere rapporti di reciproca utilità più o meno stabili, rapporti di cui
il politico non avrebbe bisogno nel momento in cui fosse egli stesso un associato.
In questo la Suprema Corte andava a discostarsi da quanto affermato in una
precedente sentenza86 (anteriore alla novella codicistica del 1992) che aveva
ricondotto il voto di scambio nell’alveo del concorso interno perché sintomatico
Cass., sez. V, 16 marzo 2000, Frasca, in Il Foro Italiano, 2001, II, col. 80, con nota di MOROSINI,
Riflessi penali e processuali del patto di scambio politico-mafioso.
85 Vd. la massima della sentenza in MANTOVANI, nota a Cass., sez.III, 23 settembre 2005, Foti ed
altri, in Giurisprudenza Italiana, 2006, V, p. 1027.
86 Cass., sez. I, 8 giugno 1992, Battaglini, in Il Foro Italiano, 1993, II, col. 133.
84
31
della condivisione intimidatoria propria dell’associazione mafiosa da parte del
candidato e del riconoscimento da parte dell’associazione stessa del politico quale
fonte di prestazioni diffuse a favore della associazione87. Con la sentenza Frasca,
invece, viene configurato come concorrente interno il solo aderente pleno iure,
personalità, cioè, già esponente della cosca (in virtù anche solo di un rapporto
stabile, prescindendo dunque dalla presenza o meno dei rituali di affiliazione),
identificabile con essa e che introduce, all’interno delle relazioni con essa,
fenomeni di scambio elettorale. Il 416-ter c.p. viene dunque, secondo il collegio
giudicante il caso de quo, a tipizzare una condotta di compartecipazione solo
eventuale nell’associazione, incentrata sulla promessa elargizione di una utilità in
denaro in favore del sodalizio mafioso. Non solo: la sentenza in esame introduce
un elemento su cui la giurisprudenza tornerà spesso, quale quello del bene
giuridico tutelato dalla disposizione codicistica. In parte smentendo la dottrina
immediatamente coeva all’intervento del legislatore, la Corte di Cassazione vide il
bene giuridico tutelato anzitutto nell’ordine pubblico, “vulnerato per il solo fatto che
una associazione mafiosa ‘scenda in campo’, più o meno apertamente a favore di un
candidato”. Con questa affermazione veniva esclusa la rilevanza penale della sola
richiesta di voti alla mafia, situandosi la realizzazione della condotta criminale nel
momento in cui l’uomo politico si impegni “seriamente, una volta eletto, a
contraccambiare […] l’aiuto ricevuto”. Questo perché (come ha avuto modo di dire
anche la giurisprudenza ordinaria88) “il patto di scambio voti-favori si traduce in un
contributo idoneo a consolidare il sodalizio criminale”, nel momento in cui l’uomo
politico si metta a disposizione di quest’ultimo.
Un’altra importante tappa per la definizione del non facile confine tra
l’associazione a delinquere di tipo mafioso e lo scambio elettorale è stata segnata
nel 2005. La sentenza di annullamento della condanna in secondo grado per
Calogero Mannino (personalità politica di spicco non solo in Sicilia, ma anche a
87
88
Cfr. MOROSINI, nota citata.
Trib. Palermo, 27 gennaio 2001, Scalone, in Il Foro Italiano, 2002, II, col. 68.
32
livello nazionale)89 precisava i criteri necessari per la configurazione del concorso
esterno, individuati a) nella serietà e concretezza degli impegni assunti dal politico in
rapporto all’affidabilità dei contraenti, ai caratteri strutturali dell’associazione, al
contesto di riferimento e alla specificità dei contenuti e b) nell’effettiva e significativa
incidenza degli impegni assunti dal politico sulla conservazione o sul rafforzamento
delle capacità operative dell’intera associazione criminale o di sue articolazioni
settoriali. Il secondo requisito ha fatto molto discutere, in quanto non è
sicuramente facile accertare l’esistenza o meno di quello che non sarà mai un patto
scritto (bensì un insieme di contatti accompagnati da una vasta gamma di eventi
utili a palesarlo90) e dei relativi giovamenti venuti all’associazione mafiosa dalla
pattuizione. La Suprema Corte ha fatto tesoro di tutta una serie di spunti dottrinali
in materia che hanno ricordato come la mafia sia, prima di tutto, un fenomeno
sociologico non irrilevante91, aprendo ad una dimostrazione dell’accordo occulto
basata su “massime di esperienza dotate di empirica plausibilità”92. Non solo: non è
sfuggito alla dottrina come la necessità, per il sodalizio mafioso, di conseguire,
grazie alle attività del politico, conservazione e rafforzamento sia un concetto frutto di
un sforzo ermeneutico che presenta non pochi profili di incertezza93.
Il principio di diritto secondo cui la consumazione del reato di scambio elettorale
politico-mafioso si sostanzia nello scambio delle reciproche promesse94 è stato, da
Cass., SS.UU., 12 luglio 2005, Mannino, in Studium iuris, 2006, I, p. 86, con nota di CALLEGARI.
Bastino alcune delle azioni descritte nella sentenza Frasca di cui sopra: oltre ai contatti telefonici
con diversi boss del mandamento, il candidato sindaco chiamato in causa si era reso protagonista
di un giro elettorale in auto insieme ad uno di essi, e aveva altresì avallato il sequestro di persona
ai danni del diretto rivale per invitarlo a ritirare la candidatura, episodi, questi, “difficilmente
confinabili nell’area delle pure coincidenze” (cfr. e vd. MOROSINI, nota citata).
91 Vd., su tutti, FIANDACA, op.cit.
92 Vd. la massima della sentenza annotata da CALLEGARI.
93 Cfr., più diffusamente, FIANDACA-VISCONTI, Il patto di scambio politico-mafioso al vaglio delle sezioni
unite, nota alla sentenza Mannino, in Il Foro Italiano, 2006, II, col. 86.
94 E non nel momento della materiale erogazione di denaro dal politico al rappresentante
dell’associazione mafiosa, come pure avevano ritenuto taluna giurisprudenza e dottrina
precedenti. Vd., oltre alla sentenza Frasca, anche Cass., sez. V, 13 novembre 2002, Gorgone.
89
90
33
ultimo, confermato dalla Corte di Cassazione in una sentenza del 201295, che si
pone al culmine di un ragionamento iniziato con la sentenza Frasca e più volte
ripreso (anche dalla sentenza Mannino), che ha visto in tale momento
consumativo il sorgere necessario di un concorso esterno in associazione mafiosa
per il politico promittente, “perché è lo stesso accordo che di per sé avvicina
l’associazione mafiosa alla politica, facendola in qualche misura arbitro anche delle sue
vicende elettorali, e rendendola altresì consapevole della possibilità di influenzare perfino
l’esercizio della sovranità popolare, e cioè del suo potere” 96. Nella motivazione di tale
sentenza, peraltro, si faceva un accenno alla critica mossa dalla dottrina
maggioritaria all’art. 416-ter c.p.97 sull’inadeguatezza della previsione del solo
denaro quale contropartita per la promessa di voti. Su questo criterio vanno
segnalate due sentenze della Cassazione, che hanno avallato un indirizzo
giurisprudenziale in un certo qual senso “di apertura”, affermando come l’oggetto
materiale dell’erogazione possa consistere non solo nel denaro, ma anche in
“qualsiasi bene traducibile in un valore di scambio immediatamente quantificabile in
termini economici (ad es., mezzi di pagamento diversi dalla moneta, preziosi, titoli, valori
mobiliari, ecc.)”98, restando invece escluse tutte le altre utilità che “solo in via mediata
possono essere trasformate in ‘utili’ monetizzabili e, dunque, economicamente
quantificabili”99.
Per quanto concerne i rapporti tra 416-ter c.p. e le norme di diritto penale
elettorale precedenti ad esso, le linee salienti possono essere riassunte nei seguenti
orientamenti:
Cass., sez. I, 2 marzo 2012, Battaglia, in Giurisprudenza Italiana, 2013, IV, con nota di APREA, Il
momento consumativo dello scambio elettorale politico-mafioso, p. 939. Interessante notare come questa
sentenza riguardi il caso dei contatti tra un uomo politico e una ramificazione della ‘ndrangheta in
Piemonte.
96 Vd. APREA, nota citata, p. 941.
97 Nel testo antecedente la riforma operata dalla l. 62/2014.
98 Vd., in CED Cass., rv. 251374 (m), la massima della sentenza Cass., sez. II, 30 novembre 2011, M.F.
99 Vd. in CED Cass., rv. 251609 (m), la massima della sentenza Cass., sez. II, 30 novembre 2011,
D’Auria Petrosino.
95
34
-
sul bene giuridico del reato di scambio elettorale politico-mafioso, una serie
di pronunce della Suprema Corte – smentendo parte della dottrina
contemporanea alla novella codicistica – ha chiarito come esso consista
principalmente nell’ordine pubblico (che va tutelato da infiltrazioni
provenienti dalla criminalità organizzata), e solo strumentalmente
nell’interesse elettorale, la cui tutela immediata e diretta è affidata, invece,
agli artt. 96 e 97 del d.p.r. sull’elezione della Camera dei Deputati100;
-
il discrimine tra la fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. e l’art. 96 del d.p.r.
361/1957 è dato dal ricorso, necessario per configurare lo schema
codicistico, ai mezzi dell’intimidazione e della prevaricazione propri
dell’agire mafioso da parte dell’appartenente all’associazione, prima che
dalla semplice elargizione di denaro al membro del sodalizio mafioso101;
-
l’orientamento sopraesposto non ha avuto conferma, venendo preferito ad
un altro, emerso successivamente, secondo cui è sufficiente a qualificare
una condotta come ricadente nella fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. il
fatto che – al di là di singoli e individuabili atti di sopraffazione o minaccia
– “l’indicazione di voto sia percepita all’esterno come proveniente dal ‘clan’ e come
tale sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo”102 , cosa che destina
al rango di post factum (non rilevante, dunque, ai fini della valutazione del
giudice) l’eventuale effettivo movimento di voti causato dall’intervento
mafioso103;
-
la promessa di indebiti favori diversi dal denaro, ma monetizzabili,
integra(va)104 il reato di scambio elettorale politico-mafioso, e non di
Vd., su tutte, le sentenze Cass., sez. I, 25 marzo 2003, Cassata e Cass., sez. VI, 19 febbraio 2004,
Falco.
101 Anche questo punto di diritto è stato inaugurato dalla sentenza Cassata e confermato dalla
sentenza Falco, nonché da Cass., sez. III, 3 dicembre 2003, Saracino.
102 Cass., sez. I, 14 gennaio 2004, Milella, massima riportata in MANTOVANI, nota citata.
103 Su quest’ultimo aspetto, vd. anche l’ordinanza del Tribunale di Palermo, ord. 17 marzo 2004,
Pizzo, citata in MANTOVANI, nota citata.
104 Prima della riforma operata ex l. 62/2014.
100
35
corruzione elettorale di cui all’art. 96 del testo unico sull’elezione della
Camera dei Deputati105.
4.3. Dalle proposte di modifica dell’art. 416-ter c.p. alla legge 62/2014
Successivamente alla riforma del 1992, con tutti i suoi limiti, si sono fatte spazio
varie ipotesi di novellazione dell’art. 416-ter c.p. Tali tentativi sono poi confluiti
nella recentissima l. 62/2014106.
L’aspetto principale su cui l’analisi dottrinale e l’attività giurisprudenziale hanno
fatto emergere la necessità di operare è stato fin da subito ravvisato nel forte limite
posto all’esclusività del denaro quale contropartita del sostegno promesso
dall’associazione mafiosa all’uomo politico. Eloquenti, sotto questo punto di vista,
sono state le sentenze della Corte di Cassazione107 che hanno sempre confermato
come invalicabile la littera legis del 1992 (ammettendo, al massimo, che valori
diversi dal denaro fossero tenuti in conto ai fini della sanzione penale solo ove
suscettibili di una valutazione monetaria). D’altro canto, tale rilievo era stato
preceduto da importanti contributi dottrinali in materia immediatamente
successivi alla conversione in legge del decreto Scotti-Martelli108.
Nonostante l’applicazione dell’art. 416-ter c.p., come visto, abbia sollevato non
poche questioni, l’iniziativa parlamentare in materia è stata piuttosto scarsa, se si
considera che dalla XIII alla XVI legislatura i disegni di legge miranti a modificare
la disposizione penale sono stati in tutto otto109, nessuno dei quali giunto mai
andato in porto.
Vd., supra, alla nota 99.
Legge 17 aprile 2014, n. 62, Modifica dell’art. 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale
politico mafioso, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 90 del 17 aprile 2014 ed entrata in vigore il
giorno successivo.
107 Vd. supra, alla precedente sezione.
108 Vd., su tutti, COLLICA, Scambio elettorale politico mafioso: deficit di coraggio o questione
irrisolvibile?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, III, 1999, p. 879-ss.
109 Uno per la XIII legislatura (A.C. 6335, onn. GAMBALE e altri, presentato il 14 settembre 1999), due
per la XIV legislatura (A.S. 34, sen. CAMBURSANO, presentato il 31 maggio 2001; A.C. 2097, anch’esso
a firma dell’ on. GAMBALE, presentato il 13 dicembre 2001), nessuno per la XV legislatura, cinque
per la XVI legislatura (A.C. 1218, on. CAMBURSANO, presentato il 30 maggio 2008; A.C. 5080, on.
EVANGELISTI, presentato il 22 marzo 2010; A.S. 2199, senn. LI GOTTI e altri, presentato il 20 maggio
2010; A.S. 2305, senn. DELLA MONICA e altri, presentato il 28 luglio 2010; A.C. 4391, onn. RAO e altri,
105
106
36
Alla vigilia delle elezioni politiche, il 6 gennaio 2013 una serie di associazioni
impegnate nel campo dell’antimafia110 ha lanciato la campagna “Riparte il futuro”,
che è consistita in una raccolta di firme per chiedere ai candidati per il nuovo
Parlamento un impegno serio per approvare la riforma dell’art. 416-ter c.p. e altre
norme per il contrasto della corruzione. Oltre alla raccolta di firme, i promotori
hanno chiesto l’adesione degli stessi candidati, definiti “braccialetti bianchi” dal
nome del simbolo dell’iniziativa. La campagna, con oltre 300.000 firme raccolte al
24 febbraio (primo giorno delle elezioni) e l’elezione di 274 “braccialetti
bianchi”111, si è contraddistinta per aver sensibilizzato la classe politica e l’opinione
pubblica sugli argomenti da essa trattati.
Scopo principale, per quanto riguarda la fattispecie codicistica in esame, era
l’aggiunta del riferimento alle altre utilità quale contropartita del sostegno
elettorale procurato dall’associazione mafiosa.
La campagna ha dunque costituito la premessa per la presentazione, all’esordio
della XVII legislatura, di otto proposte di legge (poi unificate)
. Il 16 luglio la
112
Camera dei Deputati approvava all’unanimità dei presenti il testo elaborato dalla
Commissione Giustizia, innovativo sostanzialmente, oltre che per il riferimento
all’erogazione di utilità diverse dal denaro, per il richiamo all’accettazione
consapevole del procacciamento di voti operato dall’associazione mafiosa (indice
della dolosità della condotta messa in atto dall’uomo politico) e per la pena
(sganciata da quella prevista per il reato di associazione a delinquere di stampo
presentato il 27 maggio 2011). Ad eccezione dei ddl A.S. 2199 e A.S. 2305 (giunti alla fase dell’esame
in Commissione), nessuno degli altri testi ha proseguito l’iter legis.
110 Principalmente Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e Gruppo Abele.
111 Vd. l’infografica disponibile all’url http://www.riparteilfuturo.it/sicomincia.
112 Si tratta dei ddl A.C. 204 (on. BURTONE, presentato il 15 marzo 2013), A.C. 251 (onn. VENDOLA e
altri, presentato il 15 marzo 2013), A.S. 200 (senn. DE PETRIS e altri, presentato il 15 marzo 2013),
A.C. 328 (onn. SANNA e altri, presentato il 18 marzo 2013), A.C. 923 (onn. MICILLO e altri, presentato
il 10 maggio 2013), A.S. 688 (senn. FRAVEZZI e altri, presentato il 22 maggio 2013), A.S. 887 (senn.
GIARRUSSO e altri, presentato il 27 giugno 2013), A.S. 948 (senn. BURTONE e altri, presentato il 17
luglio 2013) e A.S. 957 (senn. LUMIA e altri, presentato il 19 luglio 2013). I testi presentati sono stati
poi assorbiti, in base al ramo parlamentare di competenza, alla Camera dei Deputati dal ddl A.C.
204; al Senato della Repubblica dal ddl A.S. 948.
37
mafioso e fissata nella reclusione da quattro a dieci anni, prevedendone
l’applicazione anche a chi procacciasse voti con le modalità di cui al terzo comma
dell’art. 416-bis c.p.), caratterizzando dunque la proposta di novella per una
struttura bilaterale sconosciuta all’art. 416- ter c.p. come approvato nel 1992113.
Il passaggio in Senato portava all’approvazione, il 28 gennaio 2014, di un nuovo
testo, elaborato dalla Commissione competente. A differenza del testo licenziato
dalla Camera, all’erogazione del denaro o di altra utilità si aggiungeva la
disponibilità del candidato a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa114 e,
soprattutto, si modificavano i limiti di pena, riconducendoli a quelli previsti dal
primo comma dell’art. 416-bis c.p. (pena detentiva da sette a dodici anni) e
riportando il momento genetico del reato a quello dell’accettazione delle rispettive
promesse (tanto di procacciamento di voti ottenuto col metodo mafioso effettuata
dall’associazione, quanto dei favori di qualunque genere effettuata dal politico).
Veniva inoltre eliminato il requisito della consapevolezza, ritenuto – in sede di
discussione generale – superfluo, quanto foriero di problemi interpretativi115.
Sennonché il collegamento alle sanzioni previste dall’art. 416-bis c.p. è stato
oggetto di revisione in sede di seconda lettura alla Camera, in quanto da non
poche parti si è ricordato come il principio costituzionale di ragionevolezza delle
pene
imponga
che
alla
diversa
configurazione
delle
due
fattispecie
Il testo della novella codicistica come licenziato dalla Camera dei Deputati era il seguente: “1.
Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo
comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la
reclusione da quattro a dieci anni. 2. La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità
indicate al primo comma”.
114 Requisito di cui il Sottosegretario alla Giustizia FERRI ha dichiarato, in sede di dibattito in
Assemblea, l’importanza, sottolineando come “per la prima volta nella fattispecie del voto di scambio di
tipizza[sse] il concorso esterno, di cui per tanti anni abbiamo parlato, sia in giurisprudenza che nella
dottrina” (vd. il dossier “Scambio elettorale politico mafioso. Elementi per la valutazione degli aspetti di
legittimità costituzionale”, a cura del SERVIZIO STUDI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, 17 marzo 2014).
115 Il testo dell’art. 416-ter c.p. trasmesso in seconda lettura alla Camera risultava essere il seguente:
“Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma
dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di
qualunque altra utilità ovvero in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze
dell’associazione è punito con la stessa pena stabilita nel primo comma dell’art. 416-bis. 2. La stessa
pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”.
113
38
corrispondessero sanzioni differenti. Tale esigenza era stata peraltro fatta presente,
nel gennaio del 2014, da una Commissione governativa per l’elaborazione delle
proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità (cd. “rapporto
Garofoli”, dal nome del presidente della Commissione)116. Questi elementi hanno
fatto sì che il 3 aprile la Camera dei Deputati licenziasse il testo che aveva già
approvato in prima lettura con alcune modifiche (ovvero eliminando il riferimento
alla consapevolezza e recependo quello sulla promessa di procacciamento del
voto)117. Nonostante il caotico iter della seconda lettura al Senato (e le molte,
spesso strumentali polemiche ad esso collegate), il 16 aprile l’Assemblea di
Palazzo Madama ha approvato in quest’ultimo testo la novella dell’art. 416-ter
c.p., entrata in vigore il 18 aprile.
La disposizione codistica vigente, dunque, si presenta caratterizzata dai seguenti
elementi chiave:
-
momento genetico del reato anticipato allo scambio delle reciproche
promesse, indipendentemente dall’effettivo sostegno elettorale ricevuto
dall’uomo politico;
-
configurazione del bene promesso o richiesto in cambio dell’appoggio come
un qualunque apporto alla consorteria criminale;
-
struttura bilaterale dell’elemento soggettivo;
-
sistema sanzionatorio autonomo rispetto a quello previsto dall’art. 416-bis
c.p. (che resta comunque la norma di riferimento, nel suo terzo comma, per
quanto riguarda la descrizione delle modalità mafiose di procacciamento
dei suffragi).
Vd. COMMISSIONE PER L’ELABORAZIONE DELLE PROPOSTE IN TEMA DI LOTTA, ANCHE PATRIMONIALE,
Per una moderna politica antimafia. Analisi del fenomeno e proposte di intervento e
riforma, Roma, 2014, p. 120. La Commissione era stata istituita il 7 giugno 2013 dal Presidente del
Consiglio LETTA.
117 “1. Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma
dell’art. 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra
utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. 2. La stessa pena si applica a chi promette
di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”.
116
ALLA CRIMINALITÀ,
39
Quest’ultimo punto, peraltro, ha lasciato in parte insoddisfatte le associazioni
promotrici della campagna “Liberiamo il futuro”, che pur avendo apprezzato, nel
complesso, il risultato dell’iter parlamentare, chiedono un innalzamento delle pene
attualmente previste118.
5. Conclusioni
Siamo così giunti al termine della nostra trattazione. Abbiamo visto come il
sistema del diritto penale elettorale, al di là di tutto, sia una branca del diritto
penale viva, caratterizzata da importanti evoluzioni e da cambiamenti spesso
sottaciuti; abbiamo inoltre constatato l’importanza di una norma come quella
recata dall’art. 416-ter c.p. all’interno del nostro sistema penale, e come la recente
riforma tenti di dare una risposta alle mancanze che pure la disposizione ha
mostrato nel corso del tempo e della sua applicazione giuridica.
Più che porre conclusioni definitive, credo sia opportuno porsi due quesiti.
Il primo: “Ha ancora un senso occuparsi del diritto penale elettorale?” La risposta non
può che essere affermativa. In un sistema democratico maturo, dove la
partecipazione popolare a mezzo del suffragio universale è ormai acquisita e
imprescindibile, non si può vivere senza un insieme di norme che si ponga a
difesa del principio democratico. La trasparenza e il buon andamento delle
operazioni elettorali, la tutela da qualunque interferenza illecita più o meno ampia
sono obiettivi cui non si può rinunciare, soprattutto in una realtà come quella
italiana dove troppo spesso si è assistiti a collusioni tra potere politico e potere
mafioso, o comunque a dinamiche poco chiare (e del tutto intollerabili) di
procacciamento del consenso ad ogni livello di governo. Le norme rientranti nel
diritto penale elettorale dovrebbero anzi essere studiate e conosciute meglio, in
quanto poste a difesa del diritto di voto, e capaci di sensibilizzare contro ogni
Vd., da ultimo, la nota dell’UFFICIO DI PRESIDENZA DI LIBERA “La riforma del 416ter è legge: una
buona notizia con un errore da correggere”, 16 aprile 2014, disponibile all’url
http://www.riparteilfuturo.it/la-riforma-del-416ter-e-legge-una-buona-notizia-con-un-errore-dacorreggere.
118
40
forma di inquinamento della volontà popolare. L’esperienza degli ultimi anni (ne
è un lampante esempio l’approvazione frettolosa della l. 61/2004, la cui pessima
qualità è stata certificata dalla censura costituzionale occorsa nel 2006) mostra
come si possa riuscire a far passare sotto silenzio l’approvazione di norme capaci
di modificare (anche con veri e propri tratti di penna, ma con enormi, disastrose
conseguenze) il sistema di garanzie poste dalla legge nei confronti dei
procedimenti elettorali.
Quella che sembrava essere diventata una vera e propria tendenza di leggi
elaborate ad uso e consumo della sola classe politica (o, meglio ancora, della
maggioranza parlamentare del momento) ha avuto un brusco freno negli ultimi
anni. L’emersione dei tanti, inammissibili scandali politici locali, il riaccendersi dei
riflettori su una “questione morale” che si riteneva ormai superata, la crisi
economica hanno reso conto di quanto fosse indifferibile un serio intervento di
responsabilizzazione dei rappresentanti dei cittadini, un intervento che andasse ad
affrontare temi per troppo tempo ai margini del dibattito pubblico quali i costi
della politica e la corruzione. In questo senso, una decisiva frattura si è avuto con
la cd. “Legge Severino”119, che in attuazione di importanti accordi internazionali
sulla lotta alla corruzione politica si distingue per essere il più ampio ed
apprezzato intervento legislativo in materia degli ultimi anni.
È in questo clima sociale di incessante attenzione sull’impiego del pubblico denaro
e sulla dignità delle condotte di chi rappresenta i cittadini italiani nelle assemblee
elettive che viene ad assumere valore un attento studio delle dinamiche penali
connesse al procedimento elettorale. Un procedimento elettorale che si riveli sano
fin dalle sue prime battute temporali presenterà sicuramente maggiori garanzie di
un procedimento analogo ove non fossero messe in campo le opportune cautele
giuridiche, contribuendo non solo al funzionamento del sistema rappresentativo,
D.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, Testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire
cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma
dell'art. 1, c. 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190.
119
41
ma rispondendo anzitutto alle pericolose bordate dell’antipolitica montante e
variamente strumentalizzata.
La seconda domanda che mi viene in mente è necessariamente destinata a restare
(almeno per ora) senza una risposta: “Dove va il reato di scambio elettorale-politico
mafioso?” Sarà il tempo a dirci se la recentissima riforma sarà all’altezza della
situazione, riuscendo a colpire condotte che il testo del 1992 non era riuscito a
perseguire.
Sicuramente, il dibattito legato alla novella codicistica ci ha ricordato come nel
nostro Paese non si possa (né tantomeno si debba) abbassare la guardia sul
fenomeno mafioso; anzi, la nuova norma, andando finalmente a colpire le zone di
contiguità politico-mafiosa fin dal momento in cui gli attori principali si mettono
l’uno a disposizione dell’altro, prende atto di un allarme che da tempo magistrati,
sociologi e criminologi hanno lanciato sul processo costante di evoluzione della
criminalità organizzata. Il mafioso, il camorrista, lo ‘ndranghetista di oggi non
rispondono alla figura “classica” dell’uomo d’onore armato di lupara a difesa di
interessi che non vanno oltre la mera sopraffazione fisica e psicologica nell’ambito
di un ristretto territorio controllato principalmente facendo ricorso ad una
struttura gerarchica con forti basi nei legami parentali tra gli affiliati alla cosca; i
fatti hanno dimostrato come le associazioni a delinquere di stampo mafioso
odierne abbiano raggiunto notevoli stadi di organizzazione su vasti territori,
caratterizzati da apparati all’avanguardia attrezzati per gestire, con successo,
operazioni a livello transnazionale, ove non transcontinentale. Il boss e i suoi
affiliati, pur continuando a rispondere ad antichi codici e rituali, sono persone
dotate, magari, di una scarsa istruzione, ma capaci di sfruttare (anche
indirettamente,
avvalendosi
dell’aiuto
di
esperti
in
materia)
tecnologie
all’avanguardia per la gestione di innumerevoli tipologie di attività illecite e,
soprattutto, del riciclaggio di denaro sporco. Non solo: la presente situazione di
crisi economica fornisce all’associazione mafiosa un prezioso destro per insinuarsi
nel sistema dell’economia legale (anche, e sempre più) tramite il sistema
42
dell’usura, che spesso si trasforma in un’occasione per il controllo di fatto di
imprese ed esercizi commerciali a notevole fatturato.
La criminalità organizzata muove in Italia un giro d’affari stimato nell’ordine di
centinaia di miliardi di euro120, causando un grave colpo agli attori dell’economia
legale, già oberati, come si diceva, dalle attuali, difficili condizioni del mercato. Al
danno economico si aggiunge il forte danno sociale conseguente alle infiltrazioni e
pratiche criminali messe in campo per il controllo del territorio. Oggi come nel
1992, è quanto mai urgente non tralasciare alcuno sforzo per contrastare il
fenomeno mafioso. Punire, come si è finalmente deciso di fare, anche il minimo
contatto tra classe politica e cosche, rendere lo scambio elettorale politico-mafioso
una fattispecie finalmente autonoma dal più ampio ambito dell’associazione a
delinquere di stampo mafioso, renderne, infine, possibile una seria azione
persecutrice è un grande segnale lanciato dallo Stato legale al cd. Antistato; un
segnale che suscettibile di risultati migliori di quelli raggiunti da una disposizione
che quasi ventidue anni fa era nata vecchia e pesantemente limitata.
La stima dell’ultimo rapporto “SOS Impresa” commissionato da Confesercenti parla di 138
miliardi di euro, con utile di 105 miliardi; altri studi attribuiscono al sistema mafioso un valore
economico corrispondente al 10,9 per cento del PIL nazionale. Vd. CENTORRINO-DAVID, Il fatturato
di Mafia Spa, lavoce.info, 18 marzo 2013 (disponibile all’url http://www.lavoce.info/difficile-fare-iconti-in-tasca-alla-mafia).
120
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46
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