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LA SOLITUDINE DEL BAMBINO di CINZIA CHIAPPINI

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LA SOLITUDINE DEL BAMBINO di CINZIA CHIAPPINI
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
di CINZIA CHIAPPINI
"e il fanciullo
quando dall'urlo materno
la natura l'ha buttato là nella luce
piange
e fa lugubre il giorno di lamenti:
presagio del male che gli rimane
da vivere"
(Lucrezio)
Questa citazione tratta dal poeta latino Lucrezio mi è particolarmente
cara perché esprime ciò che la Psicoanalisi ha sottolineato nel corso
di questo secolo: non c'è nascita, maturazione, sviluppo, acquisizione
del senso di realtà senza sofferenza e dolore.!
Lo sviluppo dell'individuo passa quindi necessariamente attraverso
fasi critiche, ciascuna delle quali presenta conflitti ed angosce che
inducono più spesso alla difesa o alla fuga che non alla accettazione
ed alla elaborazione. La Solitudine è uno di questi momenti critici e il
senso di solitudine costituisce il suo correlato mentale. Esperienza !
dolorosa, certo, ma anche esperienza importante per l'acquisizione
della stima di sé, nella misura in cui da momento di sofferenza dovuto
ad un senso di incertezza e di mancanza, essa diviene occasione per
una riflessione su di sé e sulle proprie risorse interiori.!
E qui vorrei aprire una parentesi per distinguere tra una condizione di
solitudine e uno stato di solitudine. Nel primo caso c'è un soggetto
fisicamente solo, che può essere o non essere capace di stare da
solo, che può utilizzare o meno questo momento come esperienza
"formativa"; nel secondo caso si allude ad un sentimento di solitudine
CHIAPPINI
che un soggetto sente come uno stato di abbandono e che può
provare persino in circostanze ambientali favorevoli. Questo stato
affettivo di solitudine interiore, indipendente dalla effettiva
condizione fisica, si collega dunque ad un vissuto di perdita, di
separazione, che può dar luogo ad uno stato di melanconia o
depressione, e persino ad un vissuto persecutorio: quello che in
psicopatologia viene definito come configurazione "ossessiva" o
nei casi più gravi come "paranoia". Del resto, si ritiene che la
prima e più antica paura fosse, nell'uomo primitivo, di natura
persecutoria, collegata com'era ad uno stato di impotente
solitudine popolato quotidianamente da eventi soverchianti. Ci è
noto, al riguardo, il tradizionale parallelismo tra infantile e primitivo,
laddove il riferimento è, per entrambi, ad un mondo popolato da
fantasmi terrorizzanti. Non dobbiamo dimenticare che il mondo
primitivo era caratterizzato da una concezione animistica che
attribuiva, come accade nell'infanzia, pensieri ed intenzionalità agli
Come Freud aveva osservato per primo, ciò che accomuna gli stati
ossessivo, melanconico e paranoide, è il carattere ambivalente, la
presenza di amore e odio, e quindi l'aspetto conflittuale della
relazione con l'oggetto. In tutte e tre le malattie l'odio prevale
sull'amore: nella melanconia l'esito è la morte dell'oggetto,
nell'ossessione un controllo estenuante della situazione, nella
paranoia una lotta all'ultimo sangue con un oggetto minaccioso e
persecutore. Quello che qui mi preme rilevare è che in queste
situazioni c'è una solitudine piena di sofferenza e angoscia,
collegata all'ambivalenza della relazione, al contrario di un altro
vissuto di solitudine che, pur essendo accompagnato dal dolore per
la lontananza e il sentimento di isolamento, ha un carattere
evolutivo.!
Limitandoci all'infanzia, sono indice di una percezione negativa
della solitudine, tutti quei comportamenti di isolamento, di
incapacità a giocare (che appare come rigidità assoluta nel
bambino autistico), di difficoltà ad andare a scuola, che rivelano
una incapacità di stare soli, senza che questo provochi un
ripiegamento su di sé.!
D. Winnicott, un famoso psicoanalista inglese, scriveva nel 1957 in
un suo saggio dal titolo "La capacità di essere solo", che tale
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
l'autore si tratta di un fenomeno che si manifesta sin dal primo
periodo della vita e che è strettamente collegato alla possibilità che
il bambino ha di far esperienza dello stare solo in presenza della
madre o di un sostituto materno. La madre può successivamente
anche essere rappresentata "da un lettino, da una carrozzina o
dall'atmosfera generale dell'ambiente circostante". Possiamo
immaginare una situazione in cui si passa da uno stato in cui il
bambino sente che i suoi bisogni possono essere soddisfatti
completamente e con immediatezza, in cui però i limiti del sé sono
confusi al punto che è persino difficile distinguere sé dalla madre,
ad uno stato in cui la soddisfazione è possibile ma proviene da un
oggetto ben distinto da sé. Cosicché il bambino può fare
esperienza di una presenza sollecita e confortevole che poco a
poco egli riesce a interiorizzare come "presenza interna", con la
possibilità cioè di mantenere dentro di sé una condizione di
relazione buona che gli consentirà di fruire positivamente e
creativamente di momenti di solitudine. Scrive l'autore:
"In questo modo cerco di dar ragione del paradosso secondo cui la capacità
di essere solo è basata sull'esperienza di essere solo in presenza di una persona
e secondo cui, se questa esperienza non è stata sufficiente, la capacità di essere
solo non può svilupparsi".
L'autore osserva, di seguito, che la possibilità di essere solo
consente al bambino di prendere atto dei suoi sentimenti reali e di
manifestarli, senza preoccuparsi eccessivamente di quello che gli
altri si aspettano da lui. La capacità di stare da soli costituisce
quindi il primo passo verso la scoperta di sé e la propria
realizzazione. Al contrario, il non poter usufruire di tale esperienza
precoce, rende difficile lo sviluppo di una propria identità (fondata
sulla consapevolezza di sé e dei propri limiti) e favorisce quel
modello di comportamento di compiacenza ai desideri altrui, tanto
più grave quanto più risulta determinato dal solo desiderio di
essere gradito agli adulti.!
L'individuo finisce, in tal caso, per adeguarsi alla realtà esterna
senza ritrovare in essa uno spazio per i propri desideri e bisogni.
In altri termini, il bambino che non ha la possibilità di esprimersi e
conoscersi ed è costantemente preoccupato di fare ciò che gli
adulti vogliono, svilupperà un modo di vivere sostanzialmente
imitativo e scarsamente creativo, da cui deriverà un senso di
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Difatti possiamo dire che è l'approccio creativo al mondo ciò che
fa sentire vitali, piuttosto che l'adattamento ad esso», in termini
tecnici Winnicott parla a questo proposito, del fenomeno del "falso
Sè", intendendo con ciò un soggetto che presenta una serie di
caratteristiche di personalità, spesso alquanto rigide, sviluppate
allo scopo di mascherare la mancanza di un senso di identità. Tale
mancanza si collegherebbe ad un'esperienza di annichilimento
che nascerebbe dall'aver sperimentato troppo drammaticamente
la separazione dalla madre (abbandono precoce o carenza di cure
o cattiva qualità della presenza materna) senza aver potuto
elaborarla e trasformarla in una solitudine tollerabile e anche
accettabile in quanto affrontata con un sentimento di fiduciosa
attesa.!
Qui viene in mente il collegamento tra il fenomeno del "falso Sè" e
quello della "seconda pelle" proposto da E. Bick nel 1968, che
parla sia della necessità da parte del bambino di sperimentare una
condizione di contenimento, sia delle conseguenze della
mancanza di tale condizione.!
Vorrei ora mettere maggiormente l'accento su chi è il neonato e
percorrere con voi il suo sviluppo nei primi anni di vita.!
Il neonato non è una tabula rasa, ma ha in sé tutta una serie di
esperienze, sia pure vaghe e confuse, che gli derivano dall'essere
stato per nove mesi a stretto a contatto con la madre.!
Potremmo persino azzardare (rendendoci conto di quanto questo
derivi più dalla constatazione dei risultati che da una puntuale
verifica) che le fantasie dei genitori al momento del concepimento,
contribuiscono a determinare la sua vita emozionale. Ormai
sappiamo che nel ventre materno il bambino, verso il sestosettimo mese di gravidanza, percepisce il senso del movimento
del proprio corpo e lo strutturarsi degli organi sensoriali preposti
alla vista, all'udito e si suppone possegga una certa sensibilità al
tatto. La tecnica ecografica ci ha permesso di osservare che il
bambino all'interno della madre fa movimenti interpretabili come
correlati con esperienze tattili: egli tocca le pareti dell'utero,
sembra udire la voce della madre e, secondo alcuni, distinguere
quella del padre. Certamente sentirà i battiti del cuore materno e
probabilmente anche i propri; cosl si è ipotizzato che il tam-tam dei
popoli primitivi abbia natura di riproduzione dei ritmo cardiaco e di
ríevocazione di quell'esperienza prenatale. È noto, che
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
per descrivere una particolare intesa affettiva tra due persone si dice
che "i loro cuori battono all'unisono". Tutto questo porta quindi a
pensare che vi siano esperienze primordiali precedenti alla lallazione
(intesa come espressione di esperienze introcettive e propriocettive).
Tutte queste situazioni verranno vissute dal bambino in modo più
o meno sereno, a seconda di come la madre ha vissuto la gravidanza
e di come essa ha avuto cura di trattare il bambino nella sua pancia.
Alla nascita, il neonato si trova a dover subire la sospensione di
quella capacità percettiva che aveva già acquisito e ci appare un
esserino inerme, in balìa degli eventi, dominato da momenti di vero e
proprio panico. Deve affrontare notevoli cambiamenti fisiologici:
l'impatto con l'esterno gli fa avvertire il freddo e la luce, gli richiede
di imparare subito a respirare; egli ha inoltre la sensazione, nuova, di
sentire il suo corpo pesante, che non sta su da solo, ma ha bisogno di
calde braccia avvolgenti.
Donald Meltzer immagina come un bambino potrebbe descrivere
l'esperienza degli ultimi mesi di vita intrauterina, il processo della
nascita e delle prime esperienze appena fuori dall'utero; egli lo fa in
un modo così poetico che non posso che lasciargli la parola:
"Ho sempre trovato il mio mondo fondamentalmente congeniale sin dal
momento in cui ho iniziato a trovarlo interessante. Quando ero un pesce mi
preoccupavo solamente di nuotare e non avevo pensieri, ma una volta incontrata
la mia amica Placenta abbiamo esplorato e condiviso le nostre scoperte, io
canticchiando e danzando, lei usando il suo soffio rassicurante. Ci accorgemmo
che dall'altro lato c'erano altri che canticchiavano assai. Ne distinguevo
particolarmente bene uno, un eccelso cantore. Pensammo di trovare il Passaggio
di Nord-Ovest ma era un mondo troppo felice per abbandonarlo, finché iniziò
a restringersi. Infatti divenne piuttosto sgradevolmente angusto, veramente
paralizzante e quando spingevo, le pareti iniziarono a spingere contro. Mi
arrabbiai e calciai veramente fuori, ma ciò sembrò avere un effetto contrario: ci
furono contrazioni piuttosto spaventose. Decidemmo di partire, nonostante che
avessimo ambedue il sospetto di essere stati costretti ad emigrare per far posto
ad un nuovo arrivato. Mi sentii piuttosto arrabbiato per questa usurpazione, in
quanto, dopotutto, avevo abitato lì sin dal principio del tempo. Perciò stupidamente, si potrebbe dire, io scalciai fuori con il pieno potere delle mie fortissime
gambe. Beh, devo aver fatto qualche danno perché seguì un vero terremoto, si
aprì un grande vuoto scoprendo il Passaggio di Nord-Ovest che avevo sognato.
Fui sbattuto in esso, prima la testa poi la placenta, ma in qualche modo nel corso
dei successivi minuti o anni, ci separammo. Non l'ho mai più rivista. Alla fine
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del percorso tutto era diverso, sorprendente, meraviglioso - e terrificante. Il
mio corpo divenne improvvisamente denso e pesante e non riuscivo a
muoverlo; qualcosa di delizioso e profumato si infilò nel mio petto e mi sentii
non più canticchiare ma urlare. Quelle creature devono aver pensato che
stessi urlando a loro; a tal punto esse erano forti, che riuscivano ad alzarmi
con una sola mano, mentre io non riuscivo neppure ad alzare la testa. Ma fu la
bellezza di una in particolare che mi soggiogò e notavo dal modo in cui mi
guardava che ero piccino, brutto e comico. Poi mi resi conto che stavo per
essere buttato via, credo a causa dei calci e delle urla, magari perché ero
piccolo e brutto. Ma sentii che questi brevi momenti prima della fine erano
preziosi: il solo guardarla, sebbene mi facesse male agli occhi e dovessi poi
chiuderli. Ed il suo canticchiare, musica pura! A questo punto iniziavo ad
asciugarmi, a corrugarmi, a tremare per il freddo e ad essere tormentato da un
morso interno che non avevo mai avuto quando la placenta era con me. Poi
ella mi mostrò la cosa più bella del mondo. La mia bocca smise di urlare e
iniziò a succhiare quella roba anestetica con la quale dovevo addormentarmi".
Molto umano. Potevo morire ridendo e piangendo e sognando di essere
grande e amato da lei.
Possiamo dire che la nascita è nell'esperienza di ogni persona, la
prima separazione e quindi costituisce il primo appuntamento con
la solitudine. Presumibilmente il neonato non avverte in modo
cosciente un sentimento di solitudine che richiede, per essere
percepito, la consapevolezza della separazione dall'oggetto;
riteniamo però che l'esperienza traumatica della nascita ponga il
soggetto in una condizione di drammatica mancanza che non
riesce a tollerare da solo e che lo farà sentire per molto tempo in
uno stato di completa dipendenza dall'accudimento materno. Ma
ancora prima di percepire questa condizione di dipendenza, il
neonato tenderà ad evacuare le sue paure, i suoi stati di panico,
allo stesso modo in cui evacua le feci; avrà bisogno di sentire che
vi è un contenitore materno (braccia, tono della voce, presenza,
latte etc.) in grado di contenere tutto questo cumulo di sofferenza.!
Il terrore dominante del neonato è quello di frantumarsi, di andare
in pezzi. Il contatto con la madre attraverso il capezzolo, lo
sguardo e l'essere tenuto tra le braccia, attenua tale angoscia e
gli consente di tollerare sempre di più la separazione e i momenti
di solitudine.!
Nel complesso le prime settimane sono come un viaggio
esplorativo faticoso ed eccitante. Ce ne rendiamo conto quando
vediamo il neonato stringere i pugni, tutto eccitato dagli interventi
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
a scoprire il mondo esterno con l'aiuto di una mente pensante
che lo sorregge e che si prende cura di lui. In altre parole,
perché ci sia una certa capacità di accettare un sentimento di
solitudine occorre che venga a crearsi nel soggetto uno spazio
mentale che contenga esperienze positive di relazione.!
È stato osservato che alcuni lattanti, quando avvertono una
certa instabilità dell'ambiente esterno incapace di fornire loro
le cure necessarie, creano onnipotentemente, al fine di tenersi
insieme da se stessi, dei sostituti materni immaginari con i
quali sopperire all' assenza della persona. Anche il precoce
sviluppo della parola o un certo sviluppo muscolare, potrebbe
essere visto in tal senso; anch'essi, struttura muscolare e
linguaggio, consentirebbero al soggetto di "tenersi unito".!
Paradossalmente, il neonato stava meglio prima, quando cioè
era dentro il ventre materno; da qui la natura dolorosa
dell'esperienza di solitudine mai completamente colmabile.!
Sempre a proposito di quanto appena detto, pare che i
bambini autistici, come conseguenza della mancanza di uno
spazio mentale esterno capace di contenere le loro angosce
primitive, sviluppino un particolare fenomeno di adesione agli
oggetti (fenomeno della identificazione adesiva).!
In situazioni non patologiche, possiamo comunque osservare
che il bambino sceglie, nei momenti di solitudine o insicurezza,
tutta una gamma di oggetti che gli consentono di "stare a
galla". Tutti noi ricorderemo il peluche del nostro bambino o il
suo dito in bocca o, ancora, la copertina, il bambolotto...ecc.!
Verso il secondo-terzo mese, il bambino comincia ad avere dei
desideri oltre che dei bisogni, e cerca di esprimerli. Questo è
un momento evolutivo importantissimo, che richiede alla
madre la capacità di imparare a cogliere questi desideri e di
soddisfarli. Anche la sensazione di essere compreso aiuta il
bambino a far fronte a momenti di solitudine.!
Altre fondamentali tappe evolutive dello sviluppo dell'individuo
sono: lo svezzamento, l'apprendimento del linguaggio, il
momento dell'Edipo, l'ingresso alla scuola materna, l'ingresso
nell'età della latenza (così detta perché caratterizzata da una
sorta di sospensione dei conflitti). Ogni passo maturativo fa
provare al bambino sensazioni
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di solitudine, che possono essere accettate ed elaborate, oppure negate
attraverso soluzioni fantastiche onnipotenti.
Vediamoli in successione.
Lo svezzamento.
Nella seconda parte del primo anno di vita si verificano dei
cambiamenti. Il bambino comincia ad allontanarsi dai genitori, a
muoversi gattoni, ad essere svezzato. Tutti i distacchi, le
interruzioni e le assenze possono essere visti come tentativi di
svezzamento.!
Quindi c'è lo svezzamento "quotidiano" che comprende la fine della
poppata, il momento di addormentarsi, la scomparsa della mamma,
gli spostamenti a gattoni per la casa, e lo svezzamento "definitivo"
che riguarda, dopo il passaggio dal seno al biberon, l'introduzione
dell'alimentazione solida.!
Le modalità di reazione sono molto diverse da bambino a bambino.
C'è il bambino che si svezza rapidamente, quasi incapace di
sopportare un lungo addio, quello che presenta un'insorgenza di
malesseri fisici come il raffreddore o problemi di stomaco, quello
che appare triste. Spesso questi stati sono compresenti.!
Abbiamo visto come sia stata drammatica l'esperienza della
nascita; si trattava di una situazione senza una vera e propria
consapevolezza, anche se di notevole importanza per le fasi di
sviluppo successivo.!
Lo svezzamento è già sperimentato in un momento in cui il
bambino può essere "consapevole della propria esperienza
emotiva", come dice W. Bion, e quindi è in grado di influenzare sia
la struttura della personalità, sia il clima emotivo che la
caratterizza: quello che, per intenderci, siamo soliti chiamare
Il linguaggio.
Lo sviluppo del linguaggio è un importante passo maturativo
promosso dal senso di mancanza e dal tentativo attraverso la
parola di colmare questo vuoto. È rivelatore pertanto del fatto
che il soggetto non è più tutt'uno con l'oggetto; da qui un
inevitabile senso di solitudine.!
Fin dall'inizio il neonato fa due tipi di esperienza: quella dolorosa
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
che segnala attraverso il pianto (ci sono infatti vari tipi di pianto che
la madre "'normalmente devota" riconosce) e che ha a che vedere con
i suoi bisogni corporei (fame, sete, freddo ecc.) e le sue angosce:
quella soddisfacente, gratificante, rassicurante, protettiva, collegata
al nutrimento. Nel corso della poppata, il neonato vive infatti la fame
come "una cosa cattiva" che viene eliminata dall'intervento del seno:
la percezione del capezzolo in bocca e del caldo latte nello stomaco
costituiscono per lui l'esperienza di un buon oggetto - il seno - che,
successivamente introiettato, porta alla formazione di una capacità di
ricevere cura e sostegno.
Da un lato, quindi, il bambino si libera, col pianto proiettato nella
madre, delle sue angosce, dall'altro egli si "riempie" di oggetti buoni
che fantastica di avere acquisito per "introiezione".
Successivamente con la maturazione fisiologica del sistema nervoso, della percezione della realtà, e con il diminuire delle angosce
persecutorie, il piccolo arriva a riconoscere l'Altro come distinto da
sé e a considerarne il suo valore. Lo sviluppo del linguaggio verbale
permette quindi al bambino di comunicare stati affettivi e di richiamare l'attenzione dell'oggetto esterno.
Il linguaggio però, può anche essere usato per fini diversi: questo
lo si riscontra nel campo della normalità oltre che in quello della
patologia: il linguaggio verbale viene spesso utilizzato per controllare
gli altri, dominarli, sedurli, convincerli, rifiutando in questo modo di
riconoscere la possibilità comunicativa della parola che può essere
invece utilizzata al fine di ottenere comprensione e aiuto per i propri
bisogni. Con 1' utilizzazione distorta del linguaggio, visto come strumento di potere, viene sostanzialmente negata l'importanza dell'oggetto.
Usare la parola come mezzo di comunicazione dei propri stati
affettivi, consentirà inoltre al bambino non solo di assumere un ruolo
più attivo nelle relazioni familiari (cosa che può avvenire anche con
un uso strumentale del linguaggio) ma inoltre di "aprirsi" al mondo.
La situazione edipica
La vita emotiva del bambino si arricchisce giorno dopo giorno,
parallelamente al progredire della sua autonomia.
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A due anni il bambino parla, cammina, gioca, sa accettare periodi
sempre più lunghi di assenza materna e riconosce il padre come terzo
elemento che si inserisce nel suo rapporto con la madre. L'accorgersi
del terzo avviene inconsciamente già nel periodo dell'allattamento,
nella configurazione seno-capezzolo. Il capezzolo è avvertito infatti,
sia pure confusamente, come un elemento anch'esso "terzo": il
regolatore del flusso di latte. In altre parole il neonato possiede un
patrimonio filogenetico, costituito da quelle che Bion chiama "le
preconcezioni", che sono delle precognizioni, delle prefigurazioni di
quelle che saranno le concrete esperienze di sviluppo.!
A questa età, come è noto, il bambino manifesta un interesse
particolare per il genitore di sesso opposto: le bambine si mostrano
carine con il padre, mentre i maschi vogliono essere ammirati dalle
madri.!
L'amore appassionato per uno dei due genitori può essere
accompagnato da accesa rivalità nei confronti dell'altro e da
sentimenti di gelosia .Le cose però sono più complesse, perché il
bambino mostra contemporaneamente amore per il genitore dello
stesso sesso, (normalmente vissuto invece come rivale), e odio e
gelosia per il genitore di sesso opposto (normalmente invece
desiderato). Gli atteggiamenti che i bambini hanno verso i genitori
sono dunque ambivalenti. Cominciano anche le curiosità e gli
interrogativi sulla natura del rapporto tra mamma e papà, inclusa la
loro sessualità.!
Sono questi, i contenuti che occupano la mente del bambino per
lungo tempo, facendogli avvertire un sentimento di solitudine;
sentimento che, solo se accettato, porterà piano piano alla risoluzione
di quello che viene comunemente definito il "Complesso di Edipo".!
Momenti di solitudine si alternano, in questo periodo, a momenti di
negazione della necessità di una presenza amorevole, come
possiamo vedere nell'alternarsi di stati d' animo diversi e opposti, per
cui il bambino esce da momenti di assoluto isolamento ed è preso con
la stessa immediatezza da una irrefrenabile irrequietezza ed
eccitazione.!
Per quanto riguarda la coppia dei genitori, spesso questa è vissuta
dal bambino come temibile, in quanto nella fantasia del bambino, reso
furioso dalla gelosia, essa è congiunta in un rapporto sessuale
violento che può provocare danno e distruzione. Il timore riguarda
anche una coppia che può vendicarsi degli attacchi subiti ad opera
delle fantasie
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
aggressive del bambino. Per fortuna, a motivo del fatto che le fantasie
aggressive sono quotidianamente smentite dalla realtà, si afferma
sempre di più il riconoscimento della positività degli oggetti e del
prevalere dell'amore sull' odio, per cui il bambino arriva a sentire i
genitori come coppia positiva, e ciò lo sostiene nell'accettare gli
inevitabili momenti di solitudine.
La masturbazione sembra offrire poi un mezzo per attenuare il
senso di esclusione così responsabile delle rabbie infantili. È per
questo che nei bambini tra i due e i cinque anni, la masturbazione è così
diffusa, anche se le modalità in cui avviene sono tali da farla passare
inosservata. Di solito questa pratica viene abbandonata verso l'età
scolare per riapparire nel periodo pre-puberale.
La scuola materna
L'ingresso alla scuola materna costituisce un'esperienza emotiva
assai intensa non solo per il bambino ma anche per la madre. È
infatti una situazione nella quale anche la madre pub rivivere, ed
è bene che ciò accada, le sue proprie separazioni infantili.!
Perché il tutto diventi accettabile è necessario che la madre non
confonda le proprie ansie con quelle del bambino e abbia fiducia
nell'esperienza di cura e sostegno, questa volta affidata alle
maestre e alle altre persone che si occuperanno del bambino.
Ella potrà essere più tranquilla se avrà precedentemente
preparato il bambino a tali evenienze, evitandogli un ambiente
eccessivamente protettivo e ovattato. La tensione emotiva che
molte madri vivono in quest'occasione non dipende quindi
soltanto dalla loro preoccupazione per il bambino, ma anche dal
ricordo o dalle fantasie inconsce delle proprie esperienze di
separazione.!
Per il bambino si tratta del primo approccio al di fuori della
famiglia. Egli può tollerare la separazione dalla madre se è
capace di saper conservare dentro di sé un'immagine di mamma
buona o, come dicono gli psicologi, se è stato in grado di
"interiorizzare" una funzione materna di sostegno e di fiducia.
Solo così egli può far fronte alle richieste della scuola materna e
ai primi momenti di socializzazione con i compagni, senza
sentirsi spinto a desiderare di regredire ad una fase precedente
CHIAPPINI
disorientamento, di incertezza, di paura che può arrivare ad un vero e
proprio sentimento di panico.
Il tutto può essere favorito da un clima scolastico in cui la capacità
di attesa e di gradualità viene apprezzata e i momenti di aggressività
sono convenientemente contenuti piuttosto che aspramente condannati. D' altra parte va ricordato che i bambini di due-tre anni vivono in
una situazione di instabilità emotiva, per cui possono dimenticare con
grande facilità tutti i loro progressi precedenti e ricadere in un
comportamento molto più infantile.
Quando alla separazione momentanea dall'oggetto, in questo caso
la madre, si correlano fantasie di perdita definitiva, ecco che allora,
come ci illustra bene la Klein, il mondo interiore torna ad essere
dominato da oggetti cattivi e persecutori che mettono a dura prova la
realtà psichica, minacciando di disintegrarla.
Oppure può accadere che il bambino ricolleghi il vissuto di perdita
alla fantasia di aver danneggiato l' oggetto. Questo è l' altro elemento
che costituisce la posizione depressiva, un sentimento cioè di pena e
di preoccupazione per gli oggetti d' amore, la paura di perderli e l' ansia
di riaverli; sentimento che se contenuto entro certi limiti, si risolve in
un riconoscimento del valore dell'oggetto amato.
Tutto questo rende comprensibilmente difficile, in alcuni casi, ogni
momento di lontananza del bambino dalla famiglia, facendogli provare un sentimento di solitudine vissuto sul versante del lutto e della
depressione, che non può lasciare spazio all'esperienza di nuovi
rapporti e alla creatività in generale.
Il gioco
Gli adulti non sempre manifestano una adeguata considerazione
per il gioco del bambino, che è invece per lui così importante, tanto che
credo si possa non a torto affermare, che il gioco può essere considerato il lavoro che il bambino fa per crescere, a motivo del grande
impegno e della concentrazione richiesti.
I bambini di due anni giocano a cominciare dal momento del
risveglio: giocare permette di impersonare ruoli diversi, elaborare
emozioni intense, attribuire sentimenti propri agli altri, rappresentare
le proprie fantasie inconsce. Attraverso il gioco, il bambino impara a
LA SOLITUDINE DEL BAMBINO
superare le difficoltà incontrate nella giornata appena trascorsa,
o a preparasi a quella che sta per affrontare.!
Ad esempio: Emanuele è un bambino che va all'asilo da poco
tempo. La madre mi racconta quanto lui mostri di essere
contento, perché si sente più grande, più indipendente. Quando
torna a casa ha preso però l'abitudine di fare questo gioco:
prende il suo bambolotto preferito e dice alla mamma che il
bambolotto sta piangendo e vuole essere consolato. Vuole
essere però lui a consolarlo, mentre la mamma deve stare
seduta vicino a lui ad osservarlo. Qui vediamo il bambino alle
prese con il problema della separazione dalla mamma e alla
ricerca di una soluzione, che trova immedesimandosi col
genitore.!
Emanuele sta cercando di superare la propria tristezza
assumendo il ruolo della mamma e attribuendo al bambolotto la
Gabriele è un bambino di otto anni alle prese con il problema di due
fratelli, molto amati dai genitori, rispetto ai quali prova senso di
inferiorità e spirito di competizione. Nei giochi spesso immagina che
i due fratelli attacchino briga tra di loro e si eliminino a vicenda:
oppure sogna di essere Superman, diventando così il più forte e il più
amato dalla mamma.
Ludovico, due anni e mezzo, sentiva molto la mancanza del papà
durante la settimana. Quando sopraggiungeva il fine settimana e il
papà poteva stare con lui, il bambino, pur desiderandolo, non riusciva
a riconciliarsi con il papà e ciò dava luogo a una serie di malintesi e
allontanamenti reciproci. Accadde un giorno che il bambino inventò
questo gioco: disse che andava al lavoro e sarebbe tornato molto tardi.
Si fece dare dal papà la sua borsa e pretese di uscire di casa imponendo
al padre di rimanere ad attenderlo.
Questo mostra come fosse importante per Ludovico vedere che il
papà poteva accettare il ruolo per lui così faticoso di chi aspetta a
lungo: ciò gli permise poi di ristabilire un buon rapporto con lui.
Forse vi state chiedendo cosa c'entri il gioco con il tema di questo
libro. Il gioco, dicevamo, richiede impegno, è un processo creativo in
sé, come lo è il sognare, e noi abbiamo visto come la creatività sia
CHIAPPINI
positivamente collegabile ed abbia una azione trasformatrice sul
sentimento di solitudine.
Quindi il gioco, da un lato ha lo scopo di diminuire le tensioni e i
conflitti interni, dall'altro è un'occasione per acquisire la capacità
creativa, così importante per il riconoscimento di sé, della propria
identità e per l'acquisizione della stima di se stessi. Del resto è la
creatività che ci permette di trovare un senso nella nostra esistenza.
Quando l'angoscia è troppo forte i bambini non riescono a giocare
e ciò deve preoccuparci. In questo caso è accaduto che il bambino ha
perso il contatto con le emozioni e col suo mondo interiore, che teme
al punto da inibire la sua attività ludica.
I rischi sono quelli di un ritardo o di blocco dello sviluppo, o anche
di un affrettare i tempi della crescita, ma attraverso un adattamento
superficiale e poco conciliabile con il bisogno di esprimersi con
spontaneità. I bambini che non riescono a giocare possono in seguito
presentare anche difficoltà scolastiche.
Concludendo
Abbiamo visto che la vita del bambino è contrassegnata da momenti nodali, cruciali, traumatici, sia riguardo l'impatto con il mondo
esterno, sia riguardo la natura del rapporto con la madre (il suo ventre,
il suo seno, le sue cure ecc.) e con il padre, a cui si aggiunge
ovviamente quello con gli altri membri della famiglia, in particolare
i fratelli.
Abbiamo evidenziato come la solitudine contrassegni questi momenti di passaggio e sia caratterizzata da opposti vissuti.
Abbiamo visto come l'età infantile sia il periodo in cui si effettua
il passaggio da una solitudine intesa come sofferenza (dapprima
catastrofica e persecutoria, successivamente depressiva, legata cioè
alla perdita e al senso di abbandono), ad una solitudine utilizzata come
momento di presa di coscienza della propria realtà, del proprio Sè;
"attraversamento" che consente di passare da un presente e futuro
caratterizzati da un sentimento di preoccupazione e minaccia, alla
considerazione del presente come momento di equipaggiamento e del
futuro come tempo per la realizzazione di sé; il passaggio dunque ad
una Solitudine vissuta come occasione per realizzare quello che
CHIAPPINI
BIBLIOGRAFIA
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Quaderni di psicoterapia infantile; Boria Ed.; Roma 1989.
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