Comments
Description
Transcript
VICENTINI famosi - UNUCI
VICENTINI famosi UNIoNe NAzIoNAle UffIcIAlI IN coNgedo d’ItAlIA Sezione Vicenza-Bassano PERIODICO DI InfORmazIOnE, CultuRa E stORIa Anno I • Numero 1 • Maggio 2015 IL TENENTE MARCO SASSO Vicentini famosi Gli alpini del Pavione Monte Cauriol (Canto alpino) (Canto alpino) Gli alpini del Pavone ghe piase un fià la sgnappa gli alpini del Pavone ghe piase un fià la sgnappa ma i ga fermà i tedeschi lassù sul Monte Grappa! Fra le rocce, il vento, la neve, siam costretti la notte a vegliar. Il nemico, crudele e rabbioso, lui cerca sempre il mio petto colpir. Bon, bon, bon. gli alpini del Pavion! Gli alpini del Pavone I xe na lingorassa, ma i ga sigà ai tedeschi: «De qua no, no se passa!». Gli alpini del Pavone Ghe piase massa el vino ma i ga fermà i tedeschi in fondo a Val Calcino! Il battaglion Pavone l’è un battaglion speciale, l’ha detto il Colonello. l’ha detto il Generale. VICENTINI FAMOSI Periodico d’informazione e cultura © Copyright Questa pubblicazione è edita da UNUcI Vicenza Bassano Viale milano, 37 - 36100 Vicenza anno I - n° 1 / maggio 2015 autorizzazione del tribunale di Vicenza n. 1273 del 4 ottobre 2012 Direttore responsabile luciano zanini Coordinamento editoriale andrea minchio Redazione Renzo avanzo, Paolo Benincà, antonio De Paoli, Giovanni faleppi, umberto Rizzo Testo franco scarmoncin Stampa stampatori della marca - Castelfranco Veneto (tV) Tiratura 3.000 copie Pubblicità e informazioni tel. 335 7067562 - 0424 523199 [email protected] - [email protected] - www.unucivicenza.it Genitori, piangete, piangete, vostro figlio è morto da eroe. Vostro figlio è morto da eroe su l’aspre cime del Monte Cauriol. Il suo sangue l’ha dato all’Italia, il suo spirto ai fiaschi de vin. Faremo fare un gran passaporto, o vivo o morto dovrà ritornar! Consiglio scientifico marino Breganze, presidente Accademia Olimpica, ario Gervasutti, direttore de Il Giornale di Vicenza mario Giulianati, già presidente della Biblioteca Civica Bertoliana Giustiniano mancini, presidente UNUCI Vicenza-Bassano mauro Passarin, direttore Museo Risorgimento e Resistenza di Vicenza franco Pepe, giornalista Paolo Pozzato, storico militare Galliano Rosset, pittore e illustratore franco scarmoncin, storico Walter stefani, memorialista Gianni Periz, storico della Grande Guerra Ci presentiamo in punta di piedi i questi tempi, si sa, il lancio di una qualsiasi novità, sia essa di natura editoriale come nel nostro caso, oppure artistica, commerciale, di altra specie, impone quasi per riflesso condizionato tutta una serie di passaggi, di percorsi obbligati, considerati se non necessari almeno utili alla massima divulgazione possibile della neonata iniziativa. E così c’è il passaggio televisivo, l’inserto promozionale, l’occasione mondana che funge da rampa di lancio in orbita. nel nostro caso, invece, abbiamo pensato di adottare uno schema semplice, poco o niente costoso (e del resto, con questi chiari di luna!), né particolarmente intrigante: l’entrata in punta di piedi nel panorama ben affollato della pubblicistica berica. Ci presentiamo, insomma, senza trombe e lustrini, senza proclami, semplicemente animati dalla sola aspirazione di ricordare alla nostra gente quell’immenso tesoro, gran parte sommerso e ancora purtroppo sconosciuto ai più, che va sotto il nome di “Vicentini famosi”. I Vicentini famosi, quelli che hanno saputo onorare più di altri la terra natale grazie alle doti personali non comuni messe in campo, grazie al loro genio particolare: artisti di vario tipo, scrittori, poeti, giornalisti, sportivi, santi, soldati, imprenditori, cantanti e altri ancora. l’elenco di questi Vicentini che si sono distinti nei tempi andati - ma anche quelli che di questi tempi si stanno facendo onore - si presenta lungo e denso di personaggi di alto profilo. assieme all’amico Giustiniano mancini, da tempo avvertivamo l’esigenza di dare vita a una pubblicazione che fungesse da catalogo, da contenitore, dei nomi e delle “imprese” di questi nostri antenati, più o meno lontani nel tempo, i quali hanno tracciato una loro specialissima via maestra solidificata nei valori e nelle virtù, entro cui un po’ tutti noi siamo chiamati idealmente a incamminarci. Oggi probabilmente più di ieri. mi è spesso balenato nella mente il celebre interrogativo che farinata degli uberti rivolge a Dante alighieri D nel decimo canto dell’Inferno della Divina Commedia: “Chi fuor li maggior tui?, una domanda che esprime l’anelito sempre latente di non rimanere distaccati da coloro che ci hanno preceduto, in particolare dai migliori, ma di incasellare la propria vicenda umana e personale nel più ampio mosaico formato dalla memoria famigliare e professionale, ma anche sociale, cittadina, provinciale. E se l’appartenenza a una comunità come quella vicentina, che vanta formidabili tradizioni, contribuisce a conservare di per sé la memoria del passato legandola al presente, purtuttavia percepisco sempre più pressante, anche sull’onda dei forti mutamenti sociali che ci attraversano ogni giorno di più, quel bisogno innato di ritrovare le nostre radici profonde, consolanti e al tempo stesso stimolanti. Questa nuova pubblicazione vuole appunto costituire una risposta, seppur modesta, a questa esigenza di ricordare e ripristinare le proprie radici in modo da conoscere sempre meglio noi stessi e la nostra terra, così da poterci indirizzare più forti verso il futuro. In punta di piedi, dunque, ci presentiamo per la prima volta ai lettori, ma ben convinti della valenza intrinseca di questa iniziativa che è stata resa possibile grazie alla disponibilità della sezione unuCI di Vicenza-Bassano - l’editrice - che da sempre persegue finalità statutarie ispirate ai valori più alti e nobili. la scelta del primo “Vicentino famoso” è caduta sul tenente marco sasso non certo casualmente, ma proprio perché la sua splendida figura di uomo, di soldato e di eroe, si collega cronologicamente con il momento storico che stiamo vivendo, ossia con la celebrazione della Grande Guerra, di cui Egli è stato fulgido protagonista. E non solo, perché marco sasso, giovanissimo tenente, può e deve rappresentare agli occhi dei giovani di oggi una figura di grande valore etico e morale, un esempio di rigore e di coraggio da imitare. un raggio di luce nell’opacità dei nostri giorni. Luciano Zanini 3 Vicentini famosi MARCO SASSO dicembre 1917 Un Vicentino nell’eroica difesa del Monte grappa La lapide commemorativa posta sulla facciata della casa di Marco Sasso a Oliero, nella Valbrenta. l tempo trascina gli eventi nell’oblio, ma c’è anche un tempo per la memoria, perché ci sono fatti che non devono essere dimenticati. Questo è il momento di ricordare che un secolo orsono l’Europa precipitò in una guerra che tutti ritenevano improbabile, e che invece la sconvolse, modificandola profondamente. È anche un dovere rievocare le centinaia di migliaia di uomini che persero la vita sui campi di battaglia. tra costoro alcuni, con grande spirito di sacrificio, compirono gesta che li resero degni di essere da tutti onorati, e additati quali simbolo di valore e abnegazione. sono i decorati di medaglia d’Oro al Valor militare, che si guadagnarono tale riconoscimento sulla linea del fuoco. furono circa 360 i soldati italiani che ricevettero la massima decorazione durante la Grande Guerra e ai più tale riconoscimento fu concesso alla memoria; in questo elenco i veneti sono 52, il numero I 4 più elevato tra tutte le regioni italiane, e i nati in territorio vicentino sono: il ten. Gen. Giuseppe Vaccari di montebello Vicentino, il ten. Giovanni Cecchin di marostica e il ten. marco sasso, a cui può essere aggiunto il ten. Gen. Edoardo antonio Chinotto, nato ad arona, ma vicentino di adozione. tra costoro soltanto il Gen. Vaccari sopravvisse alla guerra; il Gen. Chinotto morì in ospedale a udine, il ten. Cecchin fu ucciso sull’Ortigara nel giugno del 1917 e marco sasso di Oliero (Valstagna) cadde combattendo sul massiccio del monte Grappa l’11 dicembre 1917, durante la battaglia d’arresto. marco sasso era il più giovane dei quattro, se ne andò quando aveva da poco compiuto 21 anni, sacrificando la sua vita nel disperato tentativo di arrestare l’invasione austro-tedesca iniziata con la rotta di Caporetto. Era nato il 5 aprile del 1896, alle ore 23.00, in Via Oliero di sopra, n. 144 (secondo la numerazione di quel tempo), in una casa alta e stretta che si affaccia su una piccola corte. Il padre Bortolo (Bartolomeo) aveva allora 38 anni e nei documenti comunali è registrato come «villico»; a quanto sembra, la famiglia sasso era di condizioni modeste. Il nonno marco era nato nel 1812, durante l’ultimo anno del dominio napoleonico (il suo nome ricordava quindi Venezia), e la nonna paterna era Vettori anna maria. la madre del neonato, margherita Gheno figlia di Giacomo e Gabbardo antonia, aveva allora 33 anni La chiesa parrocchiale di Santo Spirito a Oliero. La casa natale di Marco Sasso a Oliero di Sopra. ed era la seconda moglie di Bortolo, che l’aveva sposata nel ’92, dopo la perdita di lazzarotto maria Concetta. la vita della famiglia si svolgeva allora tutta raccolta in quella piccola contrada di Valstagna, a poca distanza dal ponte che scavalca le limpide acque nascenti dalle famose grotte. lungo il breve corso dell’Oliero i Remondini, sulla metà del settecento, avevano installato un importante stabilimento per la produzione di carta e il borgo, addossato alle pareti che si inerpicano al Col d’astiago, agli inizi del XX secolo era ancora abbastanza fiorente: mulini, segherie e fucine davano lavoro alle famiglie. ai giorni nostri, invece, molte industrie del Canale di Brenta hanno chiuso, le case sono in buona parte disabitate o sono in vendita: la crisi si è abbattuta pesantemente qui, come su altri centri della Valsugana. marco sasso era un ragazzo sveglio e di buona volontà, perciò dopo la scuola elementare i genitori decisero di iscriverlo alla scuola tecnica «G. Bellavitis», un corso di studi paragonabile alla scuola media attuale, istituito dal Comune di Bassano proprio nel 1908, quando lui compiva dodici anni. Per frequentarlo tuttavia egli doveva ogni giorno recarsi a Bassano, distante oltre dodici chilometri. Il suo biografo e nipote Gen. Guardia di finanza marco Gheno racconta che il giovane studente raggiungeva ogni giorno a piedi la scuola insieme con due coetanei, Elisa negrello e Cesare zannoni di Valstagna. È una notizia che al giorno d’oggi appare incredibile, ma è vero che i ragazzi della Valbrenta, per proseguire gli studi, hanno sempre affrontato grandi sacrifici; è quindi possibile che ciò sia accaduto, ma è anche probabile che dal 1909 in poi questi giovani abbiano potuto utilizzare la linea ferroviaria che a cominciare da quell’anno congiunse Carpanè con Bassano. Da casa sua alla stazione erano comunque sempre due chilometri da percorrere con qualsiasi tempo: un ottimo allenamento per un futuro alpino. Concluso il corso intermedio di studi, egli si iscrisse all’Istituto di ragioneria a Padova e fino al 1914 fu ospite di quella città, dove si respirava già il clima infiammato dell’interventismo. Il 7 febbraio del 1914, infatti, il comitato «Pro Patria» presieduto da Carlo Cassan, giovane avvocato romagnolo, organizzò al Palazzo della Gran Guardia una delle prime manifestazioni per sostenere la questione degli italiani trentini e giuliani, e il convegno suscitò un’eccezionale partecipazione. mentre gli stati europei entravano in guerra, gli animi, soprattutto quelli dei giovani, si andavano riscaldando e anche il diciottenne marco sentì certamente il richiamo del patriottismo. Dovendo a quel punto svolgere il servizio militare, chiese di essere ammesso all’accademia di modena per diventare allievo ufficiale e ne uscì il 25 marzo 1915 con il grado di sottotenente. la sua prima assegnazione fu il 4° reggimento alpini, battaglione “Intra”: una unità militare nata tra le montagne dell’Ossola e intorno al lago maggiore, composta da montanari duri e scontrosi, che avevano per motto «O u roump o u moeur!». 5 Vicentini famosi Il Monte Rosso (Batognica 2163 m.) con il Monte Nero (Krn 2244 m.) sullo sfondo. La guerra di Marco la storia del tenente sasso a questo punto si confonde con le vicende dei reparti a cui appartenne, per cui seguiremo gli episodi principali, senza entrare in dettagli di tattica e strategia. Il Btg. “Intra” era inizialmente composto da tre compagnie, la 7^, la 24^, la 37^, a cui si aggiunse la 112^ all’inizio della guerra. Il nuovo ufficiale fu aggregato alla 24^ compagnia, allora a guardia dello stelvio; ma il 28 maggio del ’15 il reparto era già a Dresenza, sopra Caporetto, pronto con altre forze a dare l’assalto alle posizioni nemiche del monte nero (ora il Krn) e, il 21 luglio, del monte Rosso (il Batognica di m. 2163, oggi in slovenia). l’“Intra”, con il btg. “Val d’Orco”, conquistò quella montagna a prezzo di enormi perdite, meritandosi la medaglia d’argento al Valore. Quando l’“Intra” scese a valle, due terzi degli uomini erano rimasti tra le rocce della terribile montagna. non sappiamo quale parte abbia avuto il tenente sasso nelle operazioni sul monte Rosso, ma la sua compagnia fu, almeno nella fase centrale dell’attacco, utilizzata come rincalzo e difesa delle trincee. Ciò fu certo un bene per il giovane tenente, che ebbe così il 6 tempo di osservare e apprendere a combattere. sopravvivere a una catastrofe, però, cambia anche il modo di concepire la vita; uno si chiede come sia stato possibile essere il solo ad «aver trovato il quadrifoglio». Era giunto il momento di riordinare l’unità, ma anche di ristrutturare i reggimenti alpini con la costituzione di nuovi battaglioni. fin da quando nel 1872 l’ideatore della specialità, il capitano di stato maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti, li aveva fondati superando notevoli resistenze, essi erano stati concepiti come truppe scelte per difendere i nuovi confini italiani nelle zone montuose. Ispirandosi alle esperienze dei «landesschützen» tirolesi, e dei «Cacciatori delle alpi», i famosi volontari delle campagne del Risorgimento, egli li aveva pensati come un corpo composto da uomini nati tra le montagne, buoni conoscitori dei luoghi, delle difficoltà ambientali e ben motivati, perché combattevano vicino alla loro terra e ai loro cari. Il reclutamento era regionale e ciò presentava il vantaggio di un rapido impiego e di un maggiore affiatamento, per l’appartenenza alla stessa comunità. nel 1874 fu loro assegnata la penna nera che li contraddistingue, posta sul lato sinistro del cappello, che in origine era una bombetta Cartolina ricordo del 4° reggimento alpini, battaglione “Intra”. La battaglia di Sant’Osvaldo in Valsugana con stella a cinque punte e coccarda tricolore. l’esperienza maturata nel primo anno di guerra consigliava di creare nuovi battaglioni, da impiegare sul fronte trentino e veneto, formati con soldati provenienti dalle contrade circostanti: vicentini, trevigiani, bellunesi, feltrini. Erano unità più leggere, ma più snelle nei movimenti e nell’organizzazione in zone montuose, dove grossi ammassamenti di soldati diventavano bersagli più facili. Il 7° reggimento alpini agli inizi del 1915 era composto dai battaglioni “feltre”, “Pieve di Cadore”, “Belluno” “Val Cismon” e “Val Cordevole”; ma nel dicembre di quell’anno gli vennero aggiunte quattro nuove unità: il “Val Piave”, il “monte Pavione”, il “monte antelao” e il “monte Pelmo”. Il battaglione “monte Pavione”, costituito a feltre l’1 dicembre, era composto dalle compagnie 148^, 149^ e 95^, cedutagli dal “feltre”. Il tenente marco sasso fu assegnato proprio alla 149^ compagnia del “monte Pavione” e il 10 aprile del 1916 partì per partecipare alle operazioni che si stavano sviluppando nell’alta Valsugana, dov’era cominciata da qualche giorno quella che sarà ricordata come la battaglia di sant’Osvaldo, dal nome di una bella chiesetta sopra Roncegno, che fu il tragico scenario degli scontri. agli inizi del conflitto il fronte alpino correva dal Passo di monte Croce di Comelico alle tofane, raggiungeva la marmolada, passava sulle creste dei monzoni e poi scendeva a Passo san Pellegrino, da lì giungeva a Passo Rolle dove incontrava la catena del lagorai e la percorreva tutta per scendere tra levico e Borgo in Valsugana, risaliva quindi l’Ortigara e incontrava i forti dell’altopiano, Vezzena, lavarone, luserna. Infine scendeva nella valle dell’astico e risaliva le pendici del Pasubio prima di raggiungere il lago di Garda. Oltre c’erano il monte Baldo, l’adamello, lo stelvio e il confine con la svizzera. fino a quel momento in Valsugana non era successo nulla, ma sull’altopiano di asiago il Capo di stato maggiore asburgico Gen. Conrad von Hötzendorf già stava preparando l’offensiva del 15 maggio, che poi fu chiamata strafexpedition, di cui gli alti comandi italiani erano già a conoscenza. Per saggiare le forze dell’avversario e cercare di conquistare un’importante posizione nell’alta Valsugana, si pensò allora di attaccare il fronte austriaco trincerato alle falde della Panarotta, sopra il paese di marter. l’impresa era azzardata, anche perché sopra l’obiettivo c’era la linea Panarotta - fravort - Gronlait: uno spalto invalicabile. Era insomma quasi un esperimento, un’azione con cui provare l’efficacia di una nuova formazione, che sarebbe servita in seguito a fondare gli arditi. l’incarico di dirigere le operazioni fu affidato dal Comandante delle truppe della Valsugana, Gen. Donato Etna (lo stesso del monte nero), al Capitano Cristoforo Baseggio, che aveva creato una speciale compagnia di esploratori volontari, denominata anche «Compagnia della morte». l’impresa fallì tragicamente e quegli ardimentosi, quando la morte li reclamò, riposarono per sempre nella profonda coltre di neve di quell’inclemente primavera. Il battaglione “monte Pavione” arrivò a Roncegno proprio sul finire degli scontri, in appoggio al “monrosa”, e nella serata del 20 aprile raggiunse le posizioni assegnategli a Pra di Vóto (che gli italiani chiamavano Volto): il posto dove gli austriaci 7 Vicentini famosi La chiesetta di Sant’Osvaldo sopra Roncegno (ricostruita nel 1920). Il Tombolin di Caldenave, cima del fronte del Lagorai. avevano massacrato la compagnia del Baseggio. Il mattino successivo le truppe della 18^ Divisione austroungarica attaccarono con estrema violenza la 149^ compagnia, trincerata al Voto, e l’assalto durò oltre due ore, ma gli alpini non cedettero e risposero con contrattacchi alla baionetta. le pendici di sant’Osvaldo si coprirono nuovamente di cadaveri; restarono sul terreno 100 attaccanti, mentre il “monte Pavione” e il “monrosa” ebbero complessivamente 7 morti e 66 feriti. le posizioni duramente conquistate non poterono tuttavia essere tenute e il giorno 23, domenica di Pasqua, il ten. Col. Ragni diede l’ordine di ripiegare a tesobbo, sopra Roncegno. Il “monte Pavione” fu quindi assegnato a opere stradali sopra Pieve tesino nei dintorni del monte Castelletto e poi fu schierato in un settore secondario del fronte del lagorai, tra il monte tombolin di Caldenave e Cima Ravetta. Era un’area di difficile accesso quella che correva tra Cima d’asta e scurelle, dove mancavano le strade e la natura, soprattutto d’inverno, era più pericolosa del nemico. si riteneva che non sarebbe servito a nulla cercar di sfondare in quel punto le linee avversarie, così anche le truppe imperiali erano scarse e impreparate, tanto che gli standschützen di guardia presso Cima Valpiana bivaccavano ancora nelle tende durante l’inverno del 1915. l’esercito asburgico, d’altra parte, agli inizi delle ostilità si era ritirato, posizionando la linea di resistenza lungo la catena del lagorai, occupando le creste più alte dalla Panarotta al Passo Rolle; così tra il fronte italiano e quello austriaco c’era una serie di valli e cime, elevate oltre i 2000 metri, che rendevano 8 quasi impossibile ogni avanzata. furono gli alpini dei battaglioni “feltre” e “Val Cismon”, agli inizi delle ostilità, che si resero conto dell’assenza del nemico nella parte inferiore del massiccio del lagorai e subito crearono una linea che dalla Cima di mezzogiorno alla Cascata della Brentana in Val Calamento, passando per Cima d’asta e Cimon Rava, sbarrava ogni passaggio da nord-est a sud-ovest. anche il btg. “monte Pavione” fu quindi chiamato a fare la sua parte e venne schierato nel settore di Cima Ravetta (quota 2.266 m.): il gruppo montuoso che sta sopra samone e Bieno. Il battaglione era composto in prevalenza da reclute, i “bocia”, e fino a quel momento si era preferito non impiegarlo nelle azioni offensive, riservate ai “veci” del “feltre” e del “Val Cismon”; ma l’11 giugno anche il battaglione di marco sasso entrò in azione sul tombolin di Caldenave e la 149^ compagnia prese poi posizione in Val Ravetta. Il 3 luglio, il “monte Pavione”, aggregato al gruppo “Rambaldi”, composto da tutte le unità del settore, si lanciò all’attacco della Cima delle taverade, che divide la Val di Caldenave dalla Val Rudole, e prese con un assalto alla baionetta la sommità. Il battaglione “feltre” il giorno 6 raggiungeva pure il Col di san Giovanni (m. 2.251, di fronte a Cima di lagorai), che fu la quota più contesa nel corso del conflitto sulla catena, tanto che cambiò padrone almeno tredici volte, meritandosi il soprannome di «colle degli alpini». tutte queste operazioni servivano però a preparare l’assalto al monte Cauriol (m. 2.494), l’impervia montagna che sovrasta Refavaie e la Val Cia. La Forcella Magna con Cima d’Asta sullo sfondo. Gli uomini del “feltre” e del “monrosa” qui, tra il 23 e il 27 agosto 1916, compirono la più clamorosa impresa della guerra alpina. Occorre aver scalato quell’ammasso di tormentate rocce vulcaniche e provato la vertigine delle sue brulle pareti, per comprendere pienamente l’audacia di quell’attacco, ferocemente contrastato da un presidio di soldati austriaci e ruteni. Questa vetta costituì il punto più avanzato del fronte italiano sul lagorai, ma restò soltanto un punto di osservazione (tanto battuto dalle artiglierie austroungariche da abbassarsi di sei metri), perché poi non si riuscì a scendere per la Val sadole e raggiungere la Valle di fiemme. Era tuttavia una risposta alle frustranti sconfitte subite a opera dei Kaiserjäger tirolesi durante la strafexpedition lanciata dal Conrad tra maggio e giugno di quell’anno sull’altopiano di asiago; ma costò circa 10.000 morti. Intanto nel settembre del 1916 il Gen. Cadorna dava l’ordine di costruire la carrozzabile che conduce al monte Grappa e, quando giunse il momento dell’estremo pericolo, questa strada fu decisiva per la salvezza dell’Italia. Il btg. “monte Pavione” fu trasferito su altre posizioni agli inizi di settembre, ed ebbe in consegna la difesa della linea che andava da Cima Orsera al monte Cengello. Era un punto importante, perché posto a sentinella della sottostante forcella magna, dove gli alpini, nell’ottobre del 1915, avevano trascinato a braccia, con enorme fatica, due cannoni da fortezza calibro 149, usati per battere il pericoloso Col di san Giovanni. la minaccia più grande tuttavia proveniva dalla neve. una valanga, caduta l’11 novembre tra Cima trento e Cima Costa Brunella, investì i conducenti di una sezione mitragliatrici seppellendo otto alpini. Con l’inverno però la guerra sul fronte della Valsugana si placò e le attività si ridussero ad azioni di pattuglie, di cecchini e al duro servizio di sentinella, prestato tra l’alta neve nel gelo delle notti. un momento in cui, guardando il freddo cielo stellato, uno pensa a casa e soffre più che nel furore della battaglia. Giunse il 1917 e fino a ottobre la cronaca registrò soltanto qualche azione in primavera e uno scontro a maggio presso malga Caserine di fuori. sette caduti, di cui tre ufficiali, dodici feriti e un disperso, furono registrati nel bollettino di guerra del battaglione “monte Pavione”: perdite assai modeste se confrontate con quelle che si registrarono nel mese di giugno, durante la battaglia sull’Ortigara. là, nel Vallone dell’agnellizza, l’ostinazione del Gen. Ettore mambretti sacrificò circa 25.000 soldati senza Da sinistra verso destra, una postazione militare sul Monte Cengello e alcune trincee sul Croz di Primalunetta. 9 Cauriol Grande (truppe italiane) alcun risultato; e tra quelle rocce cadeva anche il tenente Giovanni Cecchin, già decorato con due medaglie d’argento, che fu insignito della medaglia d’Oro alla memoria. Quasi negli stessi giorni la decima battaglia dell’Isonzo voluta dal Comando supremo italiano costava 36.000 morti e nella seconda metà di agosto l’undicesima esigeva altri 30.000 caduti. l’Italia era stremata, ma anche l’austria-ungheria era giunta al limite, perché il suo esercito sul fronte del Carso poteva contare su un numero inferiore di effettivi. Il nuovo Imperatore asburgico Carlo I il 26 agosto chiese dunque aiuto al Kaiser Guglielmo II e le divisioni dell’alleato tedesco iniziarono a concentrarsi sull’Isonzo, intorno a Plezzo e tolmino, agli ordini di Otto von Below. nella notte del 24 ottobre ci fu l’attacco che in breve portò alla rottura del fronte e divenne celebre come «rotta di Caporetto». Quel toponimo diventò da quel giorno sinonimo di disfatta 10 Cauriol Piccolo (truppe austriache) In alto, il Monte Cauriol visto dalla Val Sadole con (a sinistra) la cima conquistata dagli italiani. Qui sopra, da sinistra, la vetta del Monte Cauriol con lapide commemorativa della battaglia; il Passo Sadole, punto d’incontro tra la Via Italiana e la Via Austriaca. e umiliazione. nella confusione di quei momenti intere armate italiane si sfaldarono e il giorno 27 il Cadorna diede l’ordine di ripiegare sul tagliamento. Il 7 novembre, infine, cedette il posto al Generale armando Diaz, un napoletano poco conosciuto, che era Comandante del XXIII Corpo d’armata: una formazione che durante il ripiegamento aveva conservato l’ordine e la disciplina meglio di altre. nel lasciare l’incarico Cadorna lanciò il seguente messaggio: «… sappia ogni comandante, sappia ogni soldato qual è questo sacro dovere: lottare, vincere, non retrocedere di un passo. noi siamo inflessibilmente decisi: sulle nuove posizioni raggiunte, dal Piave allo stelvio, si difende l’onore e la vita d’Italia. sappia ogni combattente qual è il grido e il comando che viene dalla coscienza di tutto il popolo italiano: morire non ripiegare!». Il ripiegamento dalle Dolomiti sulle montagne il fronte tuttavia resistette e fu con riluttanza, nonché con un certo ritardo, che iniziò il rientro delle truppe alpine. Ciò comportava infatti non solo la perdita di enormi quantità di materiale, ma anche l’abbandono di alloggiamenti e opifici, che erano stati costruiti per rendere sostenibile la vita in quota a migliaia di soldati. Era necessario, inoltre, convogliare grandi masse di uomini e mezzi lungo mulattiere e strade tortuose, che si intasavano rapidamente, celando nel contempo al nemico i movimenti il più a lungo possibile. fu un’impresa che il Generale mario nicolis di Robilant, Comandante della IV armata, sperò di poter evitare, ma il giorno 4 novembre fu Il forte di Cima Lan nel novembre del 1917. costretto a dare l’ordine di iniziare il ripiegamento. anche gli alpini quindi, per sfuggire all’accerchiamento, dovettero lasciare le posizioni e convergere sul monte Grappa. Il btg. “monte Pavione” arretrò dapprima su una nuova linea, che passava per Castel tesino e poi, percorrendo la via che sovrasta la Valsugana, giunse il giorno 9 novembre al forte leone di Cima Campo, da tempo abbandonato: i suoi 6 pezzi cal. 149/35 e i cannoni da 75/27 erano stati infatti usati altrove e sostituiti da tronchi anneriti. Il battaglione, al comando del maggiore Roberto Olmi, si schierò quindi tra quel caposaldo e il forte di Cima lan, aveva tezze Valsugana a sinistra e fonzaso sulla destra. Gli ordini, giunti fin dal 7 novembre, imponevano di rallentare l’avanzata nemica per almeno 48 ore, onde dar tempo alle truppe italiane di ammassarsi sul Grappa. luca Girotto, nel libro «la lunga trincea 1915 - 1918, Cronache della Grande Guerra dalla Valsugana alla Val di fiemme» ha descritto bene la situazione: «… per l’alba dell’11 gli 800 alpini del monte Pavione, assieme ad una cinquantina del Val natisone, occupano tutta una serie di alture che tra il precipizio sulla Valsugana ed il solco del torrente Cismon si oppongono alla progressione dei reparti imperiali: la 149^ compagnia presidia l’ala destra, tra il forte di Cima lan e Col Perer, la 95^ è tra Col Perer e 11 Vicentini famosi Qui sotto, dall’alto verso il basso, il Forte Leone nel 1917 e così come appare al giorno d’oggi. Il particolare della carta topografica dell’area dei Solaroli e della Val Calcino e -pagina a fianco- lo schema del rilievo del massiccio del Grappa con la linea del fronte segnata in rosso. langiar, il plotone di esploratori del tenente arban a monte Celado - Col mangà, un plotone della 148^ con il tenente feruglio a Col Gnela e gli altri tre plotoni tra la fortezza di Cima Campo e casere Bettin (ad Est): nel forte viene pure sistemato il comando di battaglione. all’ala destra il battaglione Val Brenta, con una batteria da montagna, occupa Cima lan spingendosi fino a Ponte della serra (altre due batterie da 65 mm sono l’una appena a sud di Col Perer, l’altra sopra fastro), mentre a sinistra lo sbarramento di Valsugana è tenuto, all’altezza di tezze, da tre reparti della brigata aosta (6° rgt. fant.) e dal battaglione monte Rosa». Paradossalmente le truppe austro-tedesche forti e motivate, più numerose e potentemente armate, si sentivano vicine alla meta e non sapevano che si stavano cacciando in una trappola, dove avrebbero perso la guerra. Gli italiani invece, sconfitti e sfiduciati, sapevano che l’alto Comando aveva deciso di sacrificare alcuni battaglioni per consentire la ritirata del XVIII Corpo d’armata dalla Valsugana e dal Primiero e mandarlo a difendere il Grappa: erano circa 20.000 uomini in arrivo dalle montagne. l’11 novembre, di primo mattino, i Kaiserschützen e la 1^ Brigata da montagna attaccarono la compagnia di marco sasso a Cima di lan e la 148^ compagnia a Cima Campo. I soldati della 149^ furono costretti a ripiegare lentamente, sempre combattendo. anche il monte Celado, che sta fra i due caposaldi, fu tuttavia preso dagli austroungarici e il “monte Pavione” restò diviso in due tronconi. nella serata il forte di Cima lan, tenuto dal btg. “Val Brenta”, cedette e fu fatto saltare in aria; la 149^ decise quindi di ritirarsi verso mellame. la 148^ e il resto della 95^ restarono così sole a difendere il forte leone. Erano poco più di 300, come gli spartani di leonida alle termopili. nella notte gli schützen del battaglione “merano”, reparti del IV/37° e del 164° battaglione landsturm si avvicinarono a Cima Campo. Il mattino del giorno 12 una telefonata del Gen. adolfo tettoni ordinò al maggiore Olmi di resistere a oltranza finché a Primolano non fossero passate le truppe in ripiegamento. Poi i Kaiserschützen attaccarono a ondate e le posizioni cedettero una alla volta, finché alle 16.00 i superstiti si ridussero a difendere gli spalti del forte con le ultime munizioni rimaste. mezz’ora dopo arrivarono anche gli schützen tirolesi per affiancare il 164° landsturm nell’ultimo assalto. alle 17.00 una fragorosa detonazione li informò che il forte della tagliata era stato fatto esplodere. I reparti italiani avevano dunque concluso il rientro e il compito era assolto. avvolti nelle brume della sera 12 13 Le trincee che discendono da Cima Grappa alla La valle delle Mura, a sinistra le cime del Salarol, Valderoa, Fontana Secca, sullo Croce dei Lebi. sfondo il Fontanel. novembrina, gli alpini tentarono di scivolare fuori da una porta blindata, ma soltanto in venti passarono dietro al tenente feruglio, poi gli schützen piazzarono una mitragliatrice davanti alla pusterla, bloccando ogni possibile fuga. a quel punto il Comandante italiano chiese la resa e i nemici si accorsero finalmente che i cannoni erano finti. I venti uomini della 148^ e i superstiti delle altre due compagnie riuscirono a raggiungere solagna e infine rientrarono nelle linee italiane. a Cassanego, presso Borso del Grappa, il battaglione fu quindi riordinato e posto agli ordini del maggiore mario morgantini. La battaglia in Val Calcino Dopo la vittoria sull’Isonzo le truppe del Generale svetozar Borojeviç von Bojna avanzarono fino al Piave; lungo le valli alpine scesero invece le Divisioni austroungariche Edelweiss, gli schützen, la Brigata Kaiserschützen, la Divisione Jäger tedesca, gli alpenkorps, il reggimento da montagna del Württemberg (“Königlich Württembergisches Gebirgsbataillon”), la Divisione bosniaca e altre unità. una marea di corpi d’élite che inondò feltre e Cismon, arrestandosi sotto il massiccio del Grappa, forzando poi le chiuse di Quero e impadronendosi della valle del Piave. Il Comandante del raggruppamento era il Generale alfred Krauss. Intanto sull’altopiano il giorno 10 novembre il Gen. Conrad aveva lanciato un’offensiva, che fu fortunatamente arrestata, ma gli italiani dovettero arretrare in Valsugana fino a san marino. tra il 13 e il 14 novembre 14 cominciò dunque l’assalto al Grappa. la situazione si era però invertita: non erano più i soldati degli imperi centrali a «giocare in difesa», tenendo le creste più alte: ora essi attaccavano e gli italiani occupavano le posizioni sommitali. Da lontano il gruppo montuoso sembra un rozzo trapezio, la parte più elevata è formata da colli erbosi, ma ai suoi fianchi ci sono dirupati balzi rocciosi; un alpinista, uno scalatore li può anche risalire, ma non un esercito con cannoni, mitragliatrici e armi di ogni genere; e per fare la guerra in montagna si possono percorrere le valli solo quando si controllano le alture circostanti. Dal punto di massima penetrazione raggiunto nel Canale di Brenta gli austrotedeschi potevano risalire soltanto passando per la Val Goccia, da Cismon del Grappa; poi la Val Cesilla li avrebbe condotti fino alla cima, passando però tra il monte asolone e il monte Pertica, difesi dalla 51^ Divisione del Gen. tamagni. Il secondo accesso è quello da nord, che sale da seren del Grappa, con Val dello stizzon da una parte e il lago del Corlo dall’altra. nel mezzo c’è una serie di cime: il Roncon, il Cismon, il Prassolan, il Pertica, che per un attaccante possono essere un paesaggio da incubo; eppure le truppe da montagna tedesche cominciarono proprio da qui, avanzando verso quella che era considerata la posizione chiave del Grappa. ad attenderli c’era però la 15^ Divisione del Gen. Quaglia. Il terzo punto critico era quello del Piave. Partendo da Quero un labirinto di valli consentiva l’accesso al Grappa, passando però tra strapiombanti burroni. toponimi come sasso delle Capre, Col dell’Orso, Porte di salton, monte spinoncia rendono bene l’idea dell’asprezza del territorio. Qui le valli Calcino e La lapide che ricorda le Medaglie d’Oro assegnate sul Grappa lungo la Via degli Eroi e quella a ricordo dei caduti in Val Calcino. Cinespa consentono di salire a Valle delle mura, che sta quasi sotto la vetta; ma sui monti fontana secca, Valderoa e spinoncia la 56^ Divisione del Gen. Pittalunga era pronta a difendere il settore. C’era infine la linea che dal monfenera, monte tomba e monte Palon costituiva l’ultimo e più debole ostacolo all’avanzata degli uomini del Gen. Krauss. In questo settore il 22 novembre gli Jäger riuscirono anche a conquistare il tomba e la guerra poteva sembrare perduta. alle spalle della 17^ Divisione del Gen. Venturi il 5 dicembre si piazzò quindi il XXXI Corpo d’armata francese giunto, insieme con gli inglesi verso la metà di novembre, per dar man forte agli italiani. Ci furono, è vero, anche incomprensioni tra gli alleati, ma ciò produsse pure emulazione e gli “Chasseurs des alpes” si dimostrarono ottimi soldati durante la riconquista del monte tomba del 30 dicembre. Il 17 novembre il “monte Pavione” risalì in montagna. sostò presso l’osteria Cibara e il giorno 20 raggiunse Cason delle mura per presidiare la linea del Valderoa: la cima a nord-est del massiccio del Grappa che, con il monte spinoncia, chiude la Val Calcino. Due compagnie occuparono lo spazio tra il fontana secca e il monte fontanel, mentre la 149^ restò a rinforzo del btg. “Val Cenischia” per respingere gli attacchi che i tedeschi portavano contro il monte solarolo e il mont d’avien. Dal 21 al 25 novembre le operazioni degli alpenkorps tedeschi si fecero sempre più intense e la 149^ fu duramente impegnata a difendere e riconquistare le sue posizioni; il giorno 26 quindi il battaglione ridiscese a Cason delle mura, dove fu rinforzato con l’arrivo dei “ragazzi del ’99”. tornò quindi sulla linea Valderoa - fontana secca il 7 dicembre, per affiancare il btg. “Val maira”, perché la situazione peggiorava di ora in ora e il nemico minacciava lo sfondamento. molti sapevano che stavano andando a morire. Il 17 novembre giungeva a Quero, scendendo da feltre, anche il tenente Erwin Rommel, che durante la seconda Guerra mondiale diventerà famoso per le sue gesta nel deserto africano. Egli aveva già compiuto un’impresa straordinaria: infiltratosi il 24 ottobre nelle linee italiane di tolmino, male organizzate, aveva aggirato e catturato con pochi compagni le brigate “arno”, “salerno” e la 4^ brigata bersaglieri; poi, con una lunga corsa tra le montagne, aveva forzato il passo di Clautana, quello di Cimolais ed era disceso su longarone, tagliando così la ritirata alle truppe che scendevano dal Cadore. Con sole tre compagnie il 10 novembre si era opposto al contrattacco degli italiani, costringendo alla resa un’intera Divisione. Per quelle azioni era appena stato decorato con la Croce «Pour le mérite», la più alta onorificenza germanica. Rommel e marco sasso non si incontrarono faccia a faccia, ma erano entrambi nelle trincee dello stesso fronte quando, il 18 novembre, il battaglione da montagna del Württemberg del maggiore theodor sproesser, con Rommel in testa, attaccò da schievenin e uson per Val Cinespa e Val Calcino. un intero Corpo d’armata, il XXVII, comandato dal Gen. antonino di Giorgio, il 22 novembre fu inviato intanto a rinforzare il caposaldo del Grappa e i tre giorni successivi furono i più drammatici della battaglia d’arresto, finché il 25 novembre l’alto Comando austro-tedesco prese atto che gli assalti non avevano sortito l’effetto; l’azione venne quindi sospesa e la sua ripresa fu fissata per l’11 dicembre. anche Erwin Rommel, il genio della tattica, trovò la strada sbarrata e scrisse nel suo diario: «Ci siamo arenati. I tentativi di proseguire l’avanzata sui pendii del monte spinuccia (spinoncia) continuano fino al 23 novembre 1917. Poiché non si riesce a organizzare l’appoggio della nostra artiglieria e poiché non vi sono bombarde disponibili, il successo viene meno». Così pure il tenente Rommel scese dal fronte dello spinoncia il 26 novembre, per ritornare a combattere dal 10 al 18 dicembre la sua ultima battaglia, prima di essere trasferito al comando generale. 15 Vicentini famosi Riproduzione della motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa al Tenente Marco Sasso. Il calvario degli Alpini Il 7 dicembre gli alpini del “monte Pavione” risalirono al fronte della Val Calcino per appoggiare il “Val maira”. nevicava e il freddo era intenso. Il giorno 11 la bufera cessò e si levò la nebbia, fitta e immobile come spesso si addensa sul Grappa; così il sole non brillò sull’ultimo giorno di vita di marco sasso. Il Valderoa e il monte fontanel, che sovrastano la testata della Val Cinespa, erano tenuti dagli alpini del “feltre” e del “Cenischia”, ma la posizione era debole e battuta dalle mitragliatrici nemiche; allora la 149^ compagnia del Capitano Paviolo fu inviata a rinforzo. la Val Calcino sottostante era sbarrata dal battaglione “Val maira”, con l’ala destra coperta dalla 148^ compagnia del “monte Pavione” comandata dal Capitano feruglio. alle loro spalle e sui fianchi stavano vari reggimenti e brigate di fanteria: l’“umbria”, il “Ravenna”, il “Reggio”, il “Calabria”, 16 il “Campania” e battaglioni alpini, come l’“arvenis” e il “Camonica” che sorvegliavano lo spalto dei salaroli. Due enormi ondate di uomini e acciaio stavano per scontrarsi dentro una valle alpina angusta, circondata da pendici bruciate e scoscese, e questa non era che una parte della grande battaglia d’arresto che si sviluppò lungo le pendici del Grappa in quei giorni. Il Kaiser, insoddisfatto dell’andamento delle operazioni sul Piave, aveva già dato l’ordine di rientro alle sue truppe, ma il Gen. Krauss aveva insistito per un ultimo tentativo. le artiglierie imperiali prepararono l’attacco nel brumoso mattino con un tiro intensissimo d’artiglieria. I soldati germanici conquistarono lo spinoncia, poi la 200^ divisione Jäger aggredì il monte salarol, ma venne respinta dal battaglione “arvenis”; il “Val maira” perdette e riconquistò più volte la posizione più avanzata di monte del tas (m. 1215). si arrivò agli scontri corpo a corpo e il massacro durò fino a sera, continuò nella notte e riprese il giorno dopo. Il tenente Italo lunelli, già decorato di medaglia d’Oro per la conquista del Passo della sentinella nelle Dolomiti di sesto con una scalata in parete, dovette infine risalire dalla Val Calcino con i superstiti della 148^ compagnia e riorganizzare i resti del battaglione quasi distrutto. nella notte del 13 dicembre, quando il “monte Pavione” si ritirò, erano rimasti circa venti uomini, tutti gli altri erano morti, feriti o prigionieri del nemico. Erano caduti marco sasso e il Capitano manlio feruglio di Preganziol, decorati con medaglia d’Oro; disperso era il tenente mario Garbari, irredentista di Pergine, forse suicidatosi per non essere fatto prigioniero; morti erano pure i tenenti Dusio Cesario, Giordano Cesare, Giordano lorenzo, Gibellini Dalmazzo e traversari Romolo del “Val maira”: il battaglione che aveva infine assorbito gli ultimi alpini del “monte Pavione”, e con loro tanti altri che non furono insigniti di onorificenze, ma che resistettero fino alla fine per salvare la Patria. sarebbe un dovere ricordarli tutti. Il battaglione “monte Pavione”, perse in quei giorni 416 uomini e fu decorato con la medaglia d’argento con la seguente motivazione: «Il battaglione m. Pavione, con ferrea tenacia e con superbo valore, per tre giorni consecutivi resisteva all’impeto di una intera divisione nemica, saldamente tenendo, con l’eroico sacrificio de’ suoi alpini, le tormentate trin- Modica, Ritratto del sottotenente sasso all’uscita dall’accademia militare di modena, disegno a china (1915). Medaglia d’Oro al Valor Militare della Grande Guerra. cee che gli erano state affidate. - Contrattaccando in ogni sera, con manipoli di prodi, riusciva ad inchiodare l’invasore sulla linea che la Patria aveva additata per l’estrema resistenza. (Val Calcino, 11 - 13 dicembre 1917)». (Boll. uff., anno 1920, disp. 47). sulla cresta di quelle montagne, partendo da Cima Grappa, ora passa il sentiero denominato alta Via degli Eroi. Parlare di «eroi» però oggi è difficile, essi fanno parte del mito del Grappa, ma questo è un tempo di prosa, non di poesia; ed è arduo usare questa parola dopo che Bertolt Brecht nella «Vita di Galileo» ha scritto: «sventurata la terra che ha bisogno di eroi». la concessione di una medaglia d’Oro al Valor militare, tuttavia, non è cosa da poco. Il suo conferimento è sempre subordinato al parere di una commissione, che valuta i fatti e considera se essi sono stati esemplari e di stimolo all’emulazione per i compagni. la decorazione che ufficialmente fu conferita alla memoria del tenente di Oliero il 13 ottobre 1918 reca la seguente motivazione: «ufficiale di indomito coraggio, muoveva col proprio reparto all’assalto di una forte posizione, dopo di aver giurato di conquistarla o morire. Gravemente ferito in varie parti da una violenta raffica di mitragliatrici avversarie, giungeva ugualmente, per primo, sulla posizione, e gettatosi sulle armi nemiche, ne uccideva i serventi. nuovamente e mortalmente colpito da una fucilata, rinunziava di essere trasportato al posto di medicazione, e disposto a morire sulla posizione conquistata, incitava ancora i suoi alla lotta, col grido: «avanti, avanti alpini, per l’onore del Re e della Patria!”. fulgido esempio di eroismo e di eccelse virtù militari. monte fontanel Val Calcino, 11 dicembre 1917». lo stile degli epitaffi tende però alla retorica, i fatti sono altra cosa. In questi tempi siamo abituati a dubitare di tutto, perciò è logico chiedersi cosa avvenne realmente? nell’archivio di stato di Bassano del Grappa è depositato l’estratto dell’atto di morte del tenente sasso marco; esso dice che alle ore diciannove dell’11 dicembre egli mancava ai vivi «perché colpito alla fronte da pallottola di fucile», la sepoltura non è indicata. Il foglio fu redatto dal Capitano della 149^ compagnia apolline Paviolo, è sottoscritto dal Caporal 17 Vicentini famosi L’atto di morte di Marco Sasso redatto dal capitano A. Paviolo (Archivio di Stato di Vicenza - Sezione di Bassano del Grappa). maggiore di sanità serragiotto Dante e dal soldato zatta luigi. manca la data, ma dovette essere compilato qualche giorno dopo e sicuramente nessun medico risalì il monte per esaminare la salma. si tratta insomma di un modulo prestampato e non spiega affatto cosa accadde sulla cresta del fontanel. Gli attimi finali dell’azione di marco sasso furono quindi ricostruiti da chi gli fu vicino, come, per esempio, il sottotenente Emanuele appendini, comandante di una sezione di mitragliatrici fiat, della 149^ compagnia. Catturato dai tedeschi il giorno 13 in Val Calcino egli rilasciò poi una deposizione, che ci è stata gentilmente trasmessa dallo storico Paolo Pozzato. Proviamo ora a raccontare il fatto usando le informazioni ufficiali, ma ricorrendo anche all’immaginazione per capire quello che non sta scritto nei documenti. Quella notte sul Fontanel nel gelido mattino dell’11 dicembre 1917 le truppe tedesche si mettono in marcia per quello che sperano sia l’ultimo assalto. sono uomini valorosi e molto disciplinati, appartenenti alla 5^ e 200^ Divisione Jäger dell’alpenkorps; sono tiratori scelti, combattenti temibili. Hanno detto loro che questo è l’ultimo sforzo e che, se vinceranno, torneranno presto a casa; sono malnutriti e con poche razioni; se vogliono vivere devono assolutamente vincere. E vogliono vivere! Risalgono avvolti dalla nebbia quel dedalo di valli incontro alla linea italiana che corre dal monte Peurna al Col dell’Orso; proprio al centro ci sono il fontanasecca più a nord, m. 1609, e il Valderoa, m. 1575, a sud-ovest; davanti a quest’ultimo colle sta un’anticima contro cui si chiude la Val Cinespa: è il monte fontanel (m. 1360). l’insieme di questi rilievi assume la forma di una grande ala sollevata. Dopo aver superato lo spinoncia, distruggendo il 37° btg. del “Ravenna”, il nemico penetra nella Val Calcino, ma dall’altra parte della valle la resistenza è maggiore e i granatieri prussiani avanzano più lentamente, contrastati tenacemente dalla 148^ comp. del “monte Pavione”. Il fronte è in continuo movimento e i tedeschi minacciano di aggirare le difese italiane; arrivano di rinforzo anche i bersaglieri d’assalto, ma alpini e fanti devono ripiegare; ripiega anche il comando del 18 raggruppamento fino alla cresta di Busa del morto, sotto l’archeson. la sommità del fontanel è perduta e i tedeschi a sera vi installano le mitragliatrici. Da quel punto dominano buona parte della Val Calcino. Rommel nel suo diario e manuale militare «fanteria all’attacco» descrive spesso questa scena: quando riesce a piazzare le mitragliatrici sui fianchi dell’avversario, la battaglia è quasi vinta. scende presto la notte in dicembre; forse dopo le diciotto si dissolve anche la nebbia, e le raffiche di interdizione delle temibili schwarzlose brillano nel buio rendendole ben individuabili. all’alba il loro fuoco incrociato dallo spinoncia e dal fontanel spazzerà via i difensori rimasti; è indispensabile neutralizzare quella minaccia. Il Capitano Paviolo chiama a rapporto gli ufficiali della 149^ compagnia e illustra la situazione: il monte dev’essere riconquistato e il nemico sloggiato, altrimenti è finita. Il tenente sasso ricorda il motto dell’“Intra”, “O u roump o u moeur!”; ora il significato gli è perfettamente chiaro: vincere o morire, perché là non ci sono alternative. lo spiega ai suoi uomini e passa gli ordini al plotone; carica la pistola, sistema la baionetta e impugna la bomba a mano. È un’azione pericolosa ma non impossibile; gli Jäger sono stanchi e si stanno rilassando; magari stanno mangiando e si può coglierli di sorpresa. non sono difesi da vere trincee, perché ancora non c’è stato il tempo di scavare in profondità (i lavori militari che oggi si vedono sulla montagna sono stati prodotti nel 1918). Occorre dunque coraggio e sangue freddo; nessun rumore…, basta il rotolio di una pietra e… se il nemico si accorge…, così allo scoperto, non c’è speranza di salvezza. Celati dalla notte, gli alpini escono dai ripari e risalgono il costone verso la postazione nemica, strisciando sulla neve. Giunti a tiro, marco lancia il segnale d’attacco: «avanti. avanti alpini… Per l’onore del Re e della Patria!». forse non disse tutte le parole che gli sono state attribuite - questo non è di solito il linguaggio di un valsuganotto-, ma anche se avesse usato qualche espressione più colorita… da “alpino”, il significato sarebbe stato lo stesso. Balza in avanti e lancia la bomba sui serventi del pezzo. una raffica sparata nel buio lo coglie di striscio, ma lui continua nell’azione e altre bombe cadono sulla postazione nemica, mentre la compagnia lo Vicentini famosi segue incitata dal suo slancio. salta per primo nella trincea sparando e con la baionetta in pugno, ma qui un colpo lo ferisce alla testa e cade riverso. mentre la 149^ conquista la trincea, l’attendente soccorre marco, però ci sono poche speranze, il tenente sta morendo. Gli alpini ora voltano la mitragliatrice catturata verso il nemico, si dispongono a difesa e attendono l’alba; piangono sulla «penna mozza» e la coprono come possono; depongono infine un segno sul provvisorio sepolcro. anche il sangue gela nella notte. Ritorna la livida luce di un maledetto giorno e i tedeschi riprendono l’assalto, più convinti che mai di sfondare. tocca allora al Capitano feruglio incitare la 148^ compagnia a resistere, finché una scheggia di granata non lo dilania. Il ten. lunelli lo sostituisce e si ricongiunge al “Val maira” e al “Cenischia”; insieme i pochi alpini rimasti difendono accanitamente il fontanel per tutta la giornata. anche il 13 dicembre la 200^ Divisione Jäger continua l’attacco. tutti i battaglioni alpini sono decimati, ma non si arrendono. Dal comando giunge l’ordine di resistere almeno fino alle 18.00 prima di ritirarsi, ma alle 17.00 i tedeschi conquistano le posizioni tenute dal “Val Cenischia” e catturano alcuni combattenti del “monte Pavione” e del “Val maira”. Il ten. lunelli sgombera allora il fontanel e porta gli ultimi combattenti sul Valderoa. nei due giorni successivi il battaglione “feltre” perde e recupera il monte Valderoa con l’aiuto dei rinforzi; spara persino il cappellano militare. Il giorno 17 dicembre, infine, è lanciato nella mischia il battaglione da montagna del maggiore sproesser e il 17° Jäger della riserva; ma l’assalto è fermato sulla linea di confine tra Val Calcino e Valle delle mura. Il fronte ora corre tra il Col dell’Orso, da una parte, e il monte medata e le Porte di salton dall’altra, ma per i tedeschi si sta mettendo male; ormai non hanno più viveri, le munizioni scarseggiano e i muli non riescono a salire con i rifornimenti sui sentieri ghiacciati. Il giorno 19, dopo l’ultimo tentativo, i tedeschi desistono. Rommel era là e scrisse: «nel freddo polare ci mantenemmo, sotto un pesante fuoco di artiglieria italiano, sulle balze dirupate dello sternkuppe (il Valderoa) fino alla sera del 18 dicembre 1917 quando il battaglione da montagna del Württemberg cominciò la sua marcia a valle verso schievenin». 20 nel frattempo per la strada fatta costruire dal Cadorna un flusso continuo di uomini e animali, cannoni e munizioni, rinforza di ora in ora il monte Grappa; entrano in azione truppe fresche e le postazioni tedesche più avanzate sono sotto il tiro continuo degli obici italiani di monte Palon. sotto la cima della montagna i genieri stanno rapidamente scavando la caverna «Vittorio Emanuele III», progettata dal Colonnello nicola Gavotti e da poco iniziata. la battaglia di arresto sui solaroli sta finendo. Il valore dell’Oro soltanto nei film gli eroi vincono da soli. marco sasso e manlio feruglio non sono stati decorati per aver vinto una battaglia. allora perché? Per comprendere dobbiamo fare un passo indietro. le truppe italiane, dopo la triste giornata di Caporetto restarono attonite, incredule e avvilite. Il morale andò in pezzi e interi Corpi d’armata si sbandarono. In quei momenti molti Reggimenti si arresero; i fanti della “salerno” addirittura applaudirono Rommel quando li catturò. a molti quella guerra, che non capivano e odiavano, sembrò finita: buttarono la divisa e tornarono a casa, altri si diedero al saccheggio nei paesi dove la gente era fuggita. Gli atti dei processi che furono fatti ai disertori registrano frasi come queste: «state pur certo che io non muoio per questa schifa d’Italia» o «Ormai il morire per la patria vuol dire morire da fesso, e io non sono un fesso». furono giorni terribili; ma ci fu anche qualche armata che continuò a combattere. nel Paese intanto alcune cose stavano cambiando. Cambiò il Governo e il Parlamento modificò i suoi atteggiamenti. I politici che erano contrari alla guerra sentirono che era giunto il momento di unire le forze e reagire per la salvezza della nazione. Il nuovo Comandante supremo armando Diaz, invece di minacciare castighi, cercò di rianimare l’esercito e ben presto 300.000 sbandati ritornarono nei ranghi. l’Italia umiliata si ridestò, desiderosa di rivincita e le truppe, quando giunsero al Piave e sul Grappa, ebbero un sussulto di amor proprio. si diffuse un po’ alla volta uno spirito che non si vedeva dai tempi del Risorgimento. La lapide che ricorda i soldati caduti in guerra che frequentarono la Scuola Tecnica “G. Bellavitis”, collocata attualmente all’interno di Palazzo Cerato in via Verci a Bassano del Grappa. un fatto documentato nell’archivio della Pretura di Bassano può essere considerato emblematico di questa voglia di riscatto, che provarono tutti, ma soprattutto i giovani. tra il 2 e il 3 dicembre 1917 a Onè di fonte due carabinieri fermarono un diciasettenne, Dante Barbesti di Pandino (Cremona), che voleva raggiungere il Grappa per «dare una mano» e aveva con sé un acuminato pugnale. subito condotto davanti al pretore di Bassano, egli dimostrò che dal maggio 1916 al febbraio del ’17 aveva fatto parte del gruppo arditi dell’ 8° battaglione bersaglieri ed era stato anche ferito durante l’assalto al monte Cauriol. la baionetta era un ricordo di suo fratello Paolo, Capitano del 112° fanteria, caduto sullo zebio, il quale l’aveva strappata ad un ufficiale austriaco il 2 ottobre 1916. Il Pretore nereo mioni, stupefatto, lo assolse all’istante. I primi scontri tra il 14 e il 26 novembre furono sostenuti dai soldati italiani con la forza della disperazione. sulla montagna non c’erano ancora trincee, né reticolati, né altri ostacoli; molti si arresero e lo scon- forto serpeggiava. Il corrispondente di guerra Rino alessi il giorno 15 novembre scriveva: «la resistenza non c’è, e il morale fra i combattenti si mantiene depresso… manca la volontà collettiva di vincere». Il nemico non vinse soprattutto perché era arrivato tanto di corsa fino al Piave, che cannoni e munizioni stavano ancora sulla linea dell’Isonzo e gli mancavano i ponti per superare il fiume. Quando giunse dicembre la fiducia nella vittoria non era ancora tornata, ma alcuni osservatori annotarono che il momento peggiore della crisi sembrava passato; tuttavia si stava anche diffondendo la voce secondo cui per natale sarebbe stata firmata la pace. C’era insomma un’ondata di pacifismo che allarmava gli alti Comandi e qualcuno parlava addirittura di sciopero militare, favorito dall’intensificarsi della propaganda del nemico. fu in questo clima che si arrivò alla battaglia dell’11 dicembre. atti di valore come quello di marco sasso erano allora assai rari e per l’alto Comando italiano furono una benedizione, il segno che il riscatto era cominciato. C’era, insomma, chi per l’«onore d’Italia» era nuovamente disposto a morire, come durante le battaglie del Risorgimento; e ci sono circostanze in cui solo chi non ha paura di morire può vincere. Il Gen. Gheno racconta che, in un biglietto scritto all’amica Elisa negrello, il tenente sasso aveva giurato di anteporre l’onore alla vita. Gli possiamo credere; quella voglia di riscatto si andava lentamente diffondendo, soprattutto tra gli ufficiali; era una reazione ai tanti episodi di viltà che avevano gettato la vergogna tra chi sapeva di aver compiuto onestamente il proprio dovere e sentiva l’esigenza di rispettare la consegna: «morire non ripiegare». si spiega quindi il conferimento della medaglia d’Oro al Valor militare a questo modesto tenente, un soldato come tanti, che fino ad allora non era stato citato nei bollettini di guerra per azioni clamorose, che più di una volta, anzi, era rimasto nella riserva durante le fasi cruciali della battaglia, ma aveva capito in quel momento che era necessario resistere a oltranza, anche in pochi, per ritardare l’avanzata nemica. Rallentarla di un giorno o anche di poche ore avrebbe impedito la sconfitta di tutti. Per ognuno viene il momento di mettersi totalmente in gioco; occorre essere pronti, sempre. 21 Vicentini famosi Il Tempio Ossario di Bassano del Grappa in una fotografia di oggi e in un’incisione d’epoca. Il sepolcro Oggi i resti di marco sasso si trovano nel tempio Ossario di Bassano; sono contenuti in un’urna marmorea posta nella navata orientale, in direzione del monte Grappa. la sua salma, però, rimase sul monte fontanel fino al termine della guerra, poi fu trasportata al cimitero di alano di Piave, dove riposò fino al 1925, quando fu traslata a Valstagna in una cappella cimiteriale a lui intestata. Quando nel 1934 fu completato l’ossario, alla madre del tenente sasso fu chiesto di acconsentire alla sua collocazione nel tempio, contenente le ossa di altri 5404 soldati italiani, esumati da quarantasei cimiteri del pedemonte. Il tempietto del cimitero di Valstagna dedicato ai Caduti della Grande Guerra conserva però tuttora una reliquia di quella vita troppo presto spezzata, collocata accanto al padre e alla madre. marco sasso ora dorme insieme a tanti generosi, testi22 moni di una straziante sventura che colpì non solo l’Italia, ma l’Europa, il mondo intero. tra i decorati con lui sepolti c’è anche umberto maria Vittorio di savoia, conte di salemi, valoroso combattente del Grappa, morto a Crespano nel 1918 e insignito di due medaglie d’argento. le altre medaglie d’Oro che danno lustro al monumento sono quelle del Capitano Pantaleone Rapino, scomparso alla testa dei suoi il 15 giugno 1918 a Porte di salton, del sottotenente Vincenzo zerboglio, colpito il 26 ottobre del 1918 sul monte solarolo in modo simile a marco sasso, e di Giovanni Cecchin di matteo, il valoroso tenente ferito a morte sull’Ortigara il 20 giugno 1917. una visita a questo tempio della memoria suscita sempre un sentimento di angoscioso sgomento; esso merita il rispetto di tutti; e tutti i caduti sono degni della nostra riconoscenza. franco Scarmoncin Il Monte Peurna (al centro dell’immagine) visto da Schievenin: così si presentava il massiccio del Grappa agli occhi del Tenente Erwin Rommel nel novembre del 1917. Documento Bollettini del 12 e 13 dicembre: «nel pomeriggio del 10 il nemico tentò di rioccupare la nostra posizione di agenzia zuliani: fu sanguinosamente respinto. l’11, numerose truppe austriache attaccarono le nostre posizioni in regione del Colle della Berretta e, mentre altri reparti puntavano sul Colle dell’Orso, grosse unità assalivano da est il monte spinoncia e le difese di Valle Calcino (a nord di Quero). la lotta continuò l’intera giornata e l’avversario condusse l’azione con estremo vigore, facendola appoggiare da numerose artiglierie di ogni calibro. le nostre batterie rallentarono l’impeto nemico; le fanterie sostennero l’urto validamente; qualche posizione si è dovuta abbandonare in un primo tempo per effetto del tiro di distruzione, ma fu rioccupata quasi per intero con successivi contrattacchi. Verso sera, per la tenace resistenza delle nostre truppe e per le gravissime perdite subite, il nemico riduceva la propria azione al fuoco di artiglieria che nella notte diventava normale. Il giorno 12 la battaglia si riaccese. nella mattinata, in regione di Colle della Berretta, un nostro contrattacco ci ridiede il possesso di gran parte delle trincee non riuscite a rioccupare il giorno precedente; catturammo un ufficiale e 58 soldati. In Valle Calcino, due violenti attacchi nemici furono respinti. sul mezzogiorno, l’avversario riprese gli attacchi in forze ad oriente del Brenta: l’azione durò accanita l’intero pomeriggio nei valloni che dalle pendici nord di Colle Caprile, di Colle della Berretta e di monte asolone scendono al Brenta. a notte, a causa delle gravi perdite subite, l’avversario desisteva dall’azione. Qualche prigioniero restò nelle nostre mani. Verso le ore 15, in Valle Calcino, un nuovo e più forte attacco s’infrangeva contro le nostre difese». 23