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Due parole sulle competenze (o forse qualcuna

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Due parole sulle competenze (o forse qualcuna
A PROPOSITO DI COMPETENZE
Cristoforo Modugno
Il dibattito sulle competenze, in questi ultimi anni, è diventato di estrema attualità nella scuola
italiana. La tendenza prevalente è quella di passare da una scuola delle conoscenze e dei saperi
disciplinari, che si basa su programmi e che persegue il successo scolastico dell’alunno, ad una
scuola delle competenze, che pone al centro delle sue attenzioni le problematiche
dell’apprendimento e della costruzione dei saperi e che persegue il successo formativo e lo sviluppo
sociale e professionale della persona.
Il dibattito si incentra essenzialmente su alcuni aspetti fondamentali che si possono sintetizzare nei
seguenti punti:
· cosa si intende realmente con il termine competenza;
· quali sono le competenze chiave necessarie per avere successo nella vita lavorativa e
professionale;
· come si costruiscono le competenze, cioè quali sono gli elementi fondanti che consentono di
sviluppare le competenze;
· come si valutano le competenze e come si certificano;
· quali caratteristiche professionali e quali competenze deve avere un insegnante che deve operare
con efficacia in una scuola basata sulle competenze.
Cosa si intende realmente con il termine competenza
Per quel che concerne il significato del termine competenza, c’è da dire che la sua interpretazione è
piuttosto variegata e, in genere, dipende strettamente dagli ambiti e dai contesti nei quali esso viene
utilizzato.
Nel mondo lavorativo e professionale è comunemente usato, già da molto tempo, per indicare
l’attitudine di un individuo a svolgere un compito o ad assumere un ruolo in una posizione
lavorativa dimostrando l’effettivo possesso delle qualificazioni richieste per quel ruolo: in tale
prospettiva, il concetto di competenza e quello di qualifica sono strettamente interconnessi in
quanto riferiti a contesti organizzativi e lavorativi.
In ambito scolastico è stata la formazione professionale a precorrere i tempi proprio perché più
attenta alle dinamiche e alle problematiche del mondo del lavoro e orientata alla formazione
finalizzata all’inserimento lavorativo: in questo ambito, il termine competenza viene impiegato per
indicare cosa ci si debba attendere che un lavoratore sappia concretamente fare in relazione allo
svolgimento di una prestazione lavorativa.
Più di recente, il termine competenza è entrato nel lessico comune che viene utilizzato nelle scuole
di ogni ordine e grado. Per dare un senso a questo termine, naturalmente si sono scatenati
pedagogisti e psicologi di ogni genere; addirittura, secondo un noto studioso, “la nozione di
competenza è una caverna di Alì Babà concettuale nella quale si trovano accatastate, una accanto
all’altra, tutte le correnti teoriche della psicologia, anche quelle tra loro più contrarie”.
Probabilmente, l’introduzione del concetto di competenza si può ricondurre al nuovo paradigma
della ricerca scientifica del Novecento che, investigando sulla presunta oggettività e neutralità della
scienza, ha dimostrato che è impossibile studiare e conoscere la realtà fisica, anche quella nella
quale siamo immersi, senza intervenire su di essa e, quindi, modificarla. La conoscenza, allora, non
può che essere soggettiva in quanto è il prodotto di una attività mentale che modifica la realtà
osservata e studiata nel momento stesso in cui questo avviene. Questa impostazione mette
definitivamente in crisi il modello scolastico, basato sull’accumulo delle conoscenze e sulla
catalogazione e formalizzazione dei saperi, che si era andato consolidando, potremmo dire, nei
secoli supportato, anche, da una visione aristotelica della scienza. Che senso ha, dunque, perseguire
l’obiettivo di una trasmissione uniforme di nozioni e saperi, valutandone l’acquisizione pedissequa
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ed omogenea, se tale acquisizione, per sua natura, non potrà che essere differenziata in relazione al
soggetto che apprende?
C’è da aggiungere a queste considerazioni il fatto che nel XX secolo si è verificata una evoluzione
esponenziale della ricerca scientifica, determinata, anche, dall’utilizzo sempre più massiccio delle
tecnologie informatiche, che ha prodotto una esplosione della quantità di informazioni e conoscenze
praticamente in tutti gli ambiti disciplinari. Questo rende del tutto vano, per la scuola, rincorrere
l’obiettivo del sapere enciclopedico, retaggio dell’illuminismo; risulta sicuramente più utile
concentrare gli sforzi per far acquisire agli allievi, ma in piena consapevolezza e padronanza, gli
elementi fondamentali e fondanti, le basi concettuali delle varie discipline, dalle quali ciascuno
potrà partire per costruire in modo personalizzato le proprie conoscenze.
Esiste, infine, un altro aspetto che potremmo definire di carattere economico-utilitaristico e che
riguarda direttamente l’utilizzabilità di quanto si apprende a scuola. Partendo dall’assunto, infatti,
che la scuola deve preparare i giovani per un concreto, corretto, proficuo e soddisfacente
inserimento nella vita sociale e lavorativa, è lecito allora domandarsi se tutto quello che si apprende
a scuola serve effettivamente a tale scopo e se quello che realmente serve viene insegnato a scuola.
Tutto questo si riflette direttamente sulla idea di scuola e sulle finalità che deve avere il servizio
scolastico nel suo complesso: se la finalità è, come deve essere, istruire, educare, e formare i
giovani affinché possano autonomamente sviluppare un proprio progetto professionale e di vita,
acquisire la consapevolezza delle proprie capacità e delle proprie attitudini, soddisfare le proprie
aspirazioni, inserirsi proficuamente nel contesto economico e politico e contribuire fattivamente allo
sviluppo sociale, ecco, allora, come il ricorso al concetto di competenza diventa inevitabile e la sua
interpretazione risulta univoca e indiscutibile.
L’individuo competente è, infatti, colui che di fronte alle continue sfide della vita adulta non rimane
disorientato ma è in grado di mettersi in gioco e di affrontare con successo determinate situazioni,
anche impreviste, mettendo in campo e attivando tutto un bagaglio di conoscenze, abilità, saperi,
capacità e attitudini con padronanza e consapevolezza al fine di raggiungere efficacemente lo scopo
previsto.
La competenza può essere definita, allora, come la capacità dell’individuo di combinare le risorse
interiori, psicologiche, attitudinali, esperenziali, conoscitive, relazionali, emotive con quelle
esteriori, di contesto, di ambiente, di condizione, per affrontare situazioni e compiti complessi in
ambiti di vita quotidiana e lavorativa.
Una definizione ufficiale, in linea con questa interpretazione, si ritrova nella Circolare Ministeriale
n.84 del 10 novembre 2005 del MIUR avente per oggetto: “Linee guida per la definizione e
l’impiego del Portfolio delle competenze nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione”:
“La competenza è l’agire personale di ciascuno, basato sulle conoscenze e abilità acquisite,
adeguato, in un determinato contesto, in modo soddisfacente e socialmente riconosciuto, a
rispondere ad un bisogno, a risolvere un problema, a eseguire un compito, a realizzare un progetto.
Non è mai un agire semplice, atomizzato, astratto, ma è sempre un agire complesso che coinvolge
tutta la persona e che connette in maniera unitaria e inseparabile i saperi (conoscenze) e i saper
fare (abilità), i comportamenti individuali e relazionali, gli atteggiamenti emotivi, le scelte
valoriali, le motivazioni e i fini. Per questo, nasce da una continua interazione tra persona,
ambiente e società, e tra significati personali e sociali, impliciti ed espliciti.
Quali sono le competenze chiave necessarie per avere successo nella vita lavorativa e
professionale
Dopo essere pervenuti ad una definizione condivisa del termine competenza ed averne accettato
concordemente il senso, l’attenzione va rivolta automaticamente alla individuazione delle
competenze sulle quali incentrare in modo prioritario l’azione didattica ed educativa, le cosiddette
competenze chiave quelle, cioè, che si ritengono indispensabili e determinanti per garantire ai
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cittadini una esistenza dignitosa, adeguata e professionalmente soddisfacente in una società
democratica.
Questa operazione, tutt’altro che semplice, è stata oggetto di diversi studi, indagini, dibattiti e
conferenze promossi da vari organismi, sia a livello nazionale che internazionale, che hanno dato
luogo ad un processo, tutt’ora in corso, dai risvolti economici, politici e sociali, del quale forse è
utile e opportuno ripercorrere, almeno in grandi linee, le tappe principali. Senza tornare troppo
indietro nel tempo, ma limitandoci ai periodi più recenti, verso la fine degli anni Novanta della
questione si è occupata l’OCSE la quale, sulla scorta di precedenti iniziative mirate a determinare
alcuni indicatori per la valutazione a livello internazionale dei risultati scolastici (INES, GOALS,
ALL), ha promosso nell’ambito del comitato CORE il progetto DeSeCo (Definition and Selection
of Key Competences) finalizzato alla definizione e selezione delle competenze chiave. Nell’ambito
di questo progetto sono state individuate tre macro-aree di competenze identificate come capacità di
“utilizzare strumenti in modo interattivo”, “interagire in gruppi omogenei” e “agire in modo
autonomo”, a ciascuna delle quali sono state fatte corrispondere alcune competenze chiave:
· abilità di utilizzare in modo interattivo il linguaggio, i simboli, i testi, la conoscenza e
l’informazione, la tecnologia e gli strumenti;
· abilità nel relazionarsi con gli altri, di cooperare nella risoluzione di problemi, di gestire e
risolvere conflitti;
· abilità di operare all’interno di contesti allargati e complessi, di costruire e realizzare progetti di
vita personali, di sostenere e affermare idee, diritti e interessi, di riconoscere limiti e bisogni.
Nel 2000, sempre ad opera dell’OCSE, è stato varato con la prima tranche di indagine il programma
PISA (Programme for International Student Assessment) allo scopo di monitorare i sistemi
scolastici e di istruzione dei Paesi aderenti e di accertare le competenze dei quindicenni
secolarizzati. In particolare PISA, dopo aver individuato come ambiti di competenza da considerare
basilari per la formazione degli adolescenti: la comprensione di testi scritti (reading leteracy), l’uso
di concetti e procedure matematiche (mathematical literacy), e la comprensione del metodo
scientifico e di tutta una serie di fenomeni naturali, chimico-fisico-biologici (scientific literacy), si
pone l’obiettivo di verificare non tanto la quantità delle conoscenze e delle abilità apprese a scuola
ma, piuttosto, se, e in quale misura, i ragazzi sono in grado di utilizzare tali conoscenze e abilità per
affrontare nella vita quotidiana problemi di natura non scolastica, per svolgere un ruolo attivo e
consapevole nella società e per continuare ad imparare per tutta la vita.
Nello stesso anno, il 2000, i Paesi membri dell’Unione Europea, a seguito delle conclusione del
Consiglio Europeo tenuto a Limona adottano, in linea con le indicazioni del Memorandum, la c.d.
strategia di Lisbona che consiste nell’impegn, da parte dei Paesi membri, nel perseguire entro un
lasso di tempo predeterminato (10 anni) alcuni obiettivi individuati come prioritari per lo
svilupposociale ed economico dell’Europa e per far sì che l’Europa diventi entro il 2010 l’economia
basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. L’Unione Europea, in quella sede,
riconosce nell’istruzione uno dei principali fattori di sviluppo e conclude che “il buon esito della
transizione ad una economia e una società basate sulla conoscenza deve essere accompagnato da un
orientamento verso l’istruzione e la formazione permanente”.
A tale scopo propone i seguenti obiettivi:
· migliorare il livello dell’apprendimento in Europa, migliorando la formazione degli insegnanti e
dei formatori e incrementando l’alfabetizzazione;
· rendere l’accesso all’apprendimento più facile e più diffuso lungo tutto l’arco della vita;
· definire e aggiornare continuamente l’elenco delle competenze di base per la società conoscitiva;
· aprire l’istruzione e la formazione nei confronti dell’ambiente locale, dell’Europa e del mondo,
migliorando l’insegnamento delle lingue straniere, favorendo la mobilità e gli scambi,
rafforzando i legami con le imprese, sviluppando le attitudini all’imprenditorialità.
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In particolare, nel constatare la crescente complessità dell’organizzazione del lavoro e l’aumento
dei compiti che i dipendenti devono svolgere, sottolinea l’esigenza che i sistemi di istruzione dei
Paesi membri vengano adeguati per consentire ai futuri cittadini dell’UE di sviluppare competenze
professionali e personali (quali la capacità di adattamento, la tolleranza nei confronti degli altri e
delle autorità, la capacità di lavorare in gruppo, di risolvere problemi e assumere rischi,
l’indipendenza e l’autonomia) più adatte alla maggiore flessibilità richiesta dal mondo del lavoro.
La successiva Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del dicembre 2006
definisce le competenze come “una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al
contesto” e, nel precisare che le competenze chiave sono “quelle di cui tutti hanno bisogno per la
realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione”,
stabilisce che le otto competenze imprescindibili per l’apprendimento permanente sono:
1.
la comunicazione in madre lingua,
2.
la comunicazione nelle lingue straniere,
3.
la competenza matematica e la competenza di base in scienza e tecnologia,
4.
la competenza digitale,
5.
l’imparare ad imparare,
6.
le competenze sociali e civiche,
7.
lo spirito di iniziativa e l’imprenditorialità,
8.
la consapevolezza e l’espressione culturale,
e aggiunge che le competenze sono da considerare tutte ugualmente importanti poiché ciascuna di
esse può contribuire ad una vita positiva nella società della conoscenza e che le competenze nelle
abilità fondamentali del linguaggio, della lettura, della scrittura e del calcolo e nelle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione sono pietre angolari per l’apprendimento.
In Italia il concetto di competenza, a parte un semplice cenno nella riforma della scuola elementare
del 1985, ha cominciato ad essere introdotto nella normativa scolastica in tempi piuttosto recenti. Se
ne trovano citazioni in vari atti normativi, dalla riforma degli esami di stato conclusivi dei corsi di
studio di istruzione secondaria superiore (Legge n.425/1997, e relativo regolamento DPR
323/1998), al regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche (DPR 275/1999), dal
Collegato alla legge di bilancio del 1999 (legge 144/1999) al regolamento in materia di curricoli
nell’autonomia delle istituzioni scolastiche (DM 234/2000), ma si tratta per lo più di riferimenti
terminologici non supportati da alcuna specificazione semantica né didascalica.
Interessanti sono, invece, le conclusioni cui perviene la Commissione (c.d. “di Saggi”) incaricata
dal Ministro della pubblica istruzione Luigi berlinguere di stabilire “cosa insegnare ai bambini e ai
ragazzi delle prossime generazioni” come studio preparatorio per l’eleborazione della riforma del
sistema scolastico (legge 30/2000), se non altro perché hanno costituito la base per la definizione
dei quattro assi culturali cui fanno riferimento le competenze definite nel contesto della nuova
riforma della secondo ciclo dell’istruzione secondaria.
Decisamente approfondita è l’analisi delle competenze che viene effettuata dall’ISFOL nel 2001 in
occasione dell’attivazione dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) rivolti ai
diplomati disoccupati o inoccupati per l’acquisizione di competenze direttamente spendibili nel
mondo del lavoro. L’ISFOL classifica le competenze in tre macro-aree (competenze di base,
competenze trasversali e competenze professionali) e chiarisce che:
· per competenze di base si intende l’insieme delle conoscenze che costituiscono sia la base
minima per l’accesso al lavoro, sia il requisito per l’accesso a qualsiasi percorso di formazione
ulteriore;
· per competenze trasversali si intende l’insieme di competenze che vengono espresse nelle
diverse situazioni lavorative e che consentono al soggetto di trasformare i saperi in un
comportamento lavorativo efficace in un contesto specifico e che rappresentano obiettivi
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·
strategici di un processo formativo fondamentale per rafforzare l’apprendimento e le risorse
dell’individuo;
le competenze tecnico-professionali sono, invece, costituite, dai saperi e dalle tecniche connesse
all’esercizio delle attività lavorative richieste dai processi di lavoro e sono strettamente collegate
alle diverse figure professionali.
L’ISFOL, inoltre, non si limita ad enunciare genericamente le tipologie di competenze, ma
approfondisce l’analisi fino ad elencare in dettaglio non solo le competenze relative alle prime due
macro-aree, in comune per ogni figura professionale, ma anche quelle specifiche associate ad ogni
distinta figura. In particolare, le competenze in lingua inglese, nell’uso degli strumenti e dei
principali software informatici, giuridiche (con riferimento al diritto comunitario e internazionale, al
diritto del lavoro e alla contrattualistica, alla prevenzione e tutela della salute, alla sicurezza sul
lavoro), economico-aziendali, nell’analisi e nella interpretazione statistica dei dati vengono
individuate come competenze imprescindibili di base, mentre le competenze trasversali vengono
rinvenute nell’ambito comunicativo/relazionale (diagnosticare, relazionarsi, affrontare, con
particolare riferimento allo sviluppo di capacità di auto-apprendimento) e nell’ambito organizzativo
(osservare, analizzare, situarsi in un contesto organizzativo, pianificare le risorse e gli obiettivi,
lavorare in gruppo, negoziare).
L’ISFOL, infine propone di organizzare i percorsi formativi con una struttura modulare basata su
unità formative capitalizzabili (UFC) finalizzate all’acquisizione di un insieme di competenze
autonomamente significativo e autoconsistente, riconoscibile dal mondo del lavoro come
componente specifico di professionalità ed identificabile (dall’impresa o dal sistema formativo)
quale risultato atteso di un processo formativo.
Nel 2007 il Ministero della pubblica istruzione, con decreto ministeriale n.139 del 22 agosto 2007,
adotta il regolamento in materia dell’obbligo di istruzione: in questo documento non solo compare
finalmente una enunciazione chiara di competenza, definita come “la comprovata capacità di usare
conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di
studio e nello sviluppo personale e/o professionale”, desunta peraltro dai documenti europei, ma
viene esplicitata anche la descrizione delle competenze, in termini di responsabilità e autonomia,
riferite ai quattro assi culturali nei quali vengono suddivisi e strutturati i saperi disciplinari: dei
linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale. Inoltre, in linea con la
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del dicembre 2006, vengono individuate
le competenze chiave di cittadinanza che tutti gli allievi devono possedere al termine dell’istruzione
obbligatoria: imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo
autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed
interpretare l’informazione.
Da tutto ciò si desume che le competenze chiave che devono necessariamente possedere i futuri
cittadini europei e sulle quali i sistemi di istruzione e formazione devono prioritariamente investire
riguardano tre dimensioni formative:
· conoscenze, abilità e competenze che permettono alla persona di crescere nella propria cultura e
professionalità e di orientarsi nel mondo sociale, civile e professionale e che costituiscono un
quadro di riferimento permanente (competenze nel gestire se stessi nell’apprendere, nel
progettare la propria vita e la propria professionalità, competenze relazionali e comunicative),
· competenze che radicano lo studente nella cultura, nella storia e nella geografia, favoriscono lo
sviluppo e la valorizzazione delle forme espressive, lo sviluppo armonico del proprio corpo e la
cura della propria e dell’altrui salute, l’orientamento nel mondo civile, sociale, professionale e
religioso;
· competenze di base che fanno da fondamento sia alla prima che alla seconda dimensione
(competenze fondamentali nella lingua italiana e nella lingua inglese, nella valorizzazione dei
concetti e delle procedure matematiche in riferimento sia alla vita quotidiana che allo studio
delle altre discipline, competenze che permettono di utilizzare concetti, principi, teorie
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scientifiche per dare significato ai fenomeni naturali, per dare fondamento ai processi e ai
prodotti tecnologici, per comprendere e risolvere problemi sia di natura scientifica che di natura
sociale).
Come si costruiscono le competenze, cioè quali sono gli elementi fondanti che consentono di
sviluppare le competenze
Per determinare le modalità di costruzione e di sviluppo delle competenze è necessario partire dalla
condivisione di alcuni principi generalmente accettati:
· chi apprende costruisce autonomamente le sue competenze: le conoscenze, infatti, sono il
prodotto dell’attività del soggetto;
· i modelli interpretativi, le leggi scientifiche, ecc. sono rappresentazioni mentali che i soggetti
producono per se stessi e per altri soggetti con lo scopo di comprendere e socializzare le proprie
conoscenze; non esiste, dunque, apprendimento al di fuori di una dimensione di socialità;
· attraverso l’agire competente si esprime la relazione tra colui che apprende e i saperi che
progressivamente acquisisce.
Va ricordato, altresì, che le competenze si sviluppano non solo in contesti educativi formali, come
la scuola, ma anche in contesti non formali (la famiglia, il luogo di lavoro, i media, le
organizzazioni culturali e associative) e informali (le relazioni sociali nel loro complesso) e che in
una società che è caratterizzata da processi di trasformazione sempre più rapidi, il patrimonio di
conoscenze che la scuola può trasmettere e contribuire a costruire è inevitabilmente destinato a
diventare rapidamente obsoleto. L’attenzione dell’istruzione deve, quindi, necessariamente spostarsi
verso “la costruzione di quelle competenze che consentano a ciascuno non soltanto di orientarsi nei
diversi contesti in cui è inserito, ma anche di adattarsi in modo flessibile ai cambiamenti che lo
investono e di contribuire ad orientare questi cambiamenti in modo consapevole e congruente con
un proprio progetto di vita personale, sociale e lavorativo”.
La costruzione delle competenze richiede, allora, percorsi didattici in cui gli studenti siano
effettivamente messi nelle condizioni di utilizzare il proprio patrimonio di conoscenze e di abilità,
di affrontare problemi anche in modo cooperativo, di confrontare tra loro diverse possibili
alternative e soluzioni, percorsi che portino a privilegiare obiettivi chiave quali: il learning to know,
per padroneggiare gli strumenti di conoscenza e di comprensione; il learning to do, per apprendere
le abilità e i saperi pratici necessari alla vita quotidiana e professionale; il learning to live together,
per imparare le regole di convivenza e instaurare corrette relazioni umane; il learning to be, per
vivere la propria umanità, sviluppare in modo equilibrato mente e corpo, il senso estetico, la
responsabilità personale e i valori spirituali. Attività laboratori ali, lavoro per progetti, forme di
apprendimento cooperativo sono alcune delle possibili strade da percorrere, unitamente alla
differenziazione dei percorsi individuale, in un’ottica che valorizzi stili cognitivi, interessi,
motivazioni degli studenti.
Nelle Indicazioni per il curricolo del luglio 2007, il legislatore fornisce i seguenti suggerimenti:
“Sviluppare la competenza significa imparare a riflettere sull’esperienza attraverso l’esplorazione,
l’osservazione e l’esercizio al confronto; descrivere la propria esperienza e tradurla in tracce
personali e condivise, rievocando, narrando e rappresentando fatti significativi; sviluppare
l’attitudine a fare domande, riflettere, negoziare i significati. Sviluppare il senso della cittadinanza
significa scoprire gli altri, i loro bisogni e la necessità di gestire i contrasti attraverso regole
condivise, che si definiscono attraverso le relazioni, il dialogo, l’espressione del proprio pensiero,
l’attenzione al punto di vista dell’altro, il primo riconoscimento dei diritti e dei doveri; significa
porre le fondamenta di un abito democratico, eticamente orientato, aperto al futuro e rispettoso del
rapporto uomo-natura”.
Naturalmente nella costruzione delle competenze non vanno dimenticati i saperi disciplinari, nella
convinzione con non possano esistere competenze senza conoscenze e che competenze e
conoscenze sono come “due pezzi di uno stesso mosaico che si incastrano perfettamente e l’uno
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non ha senso senza l’altro”. Le discipline, infatti, offrono la possibilità e gli strumenti per dare
significato alle esperienze, per comprendere, costruire e criticare argomentazioni e discorsi e per
fornire modelli di conoscenza utilizzabili nella comprensione della realtà, modalità di percezione e
di rappresentazione della realtà e di codificazione personale dell’esperienza, che possono essere
usati poi anche con i saperi non formali e informali, per loro natura spontanei e disordinati, per
arricchirli e formalizzarli. L’insegnamento tradizionale, tuttavia, ha sempre privilegiato l’aspetto
formale delle discipline, i concetti, i fatti, le nozioni, i codici trascurando gli aspetti di tipo
procedurale e metodologico e lasciando che la loro acquisizione avvenisse più o meno
spontaneamente. Lo sviluppo delle competenze richiede, invece, che proprio la dimensione
procedurale venga affrontata in modo esplicito, favorendo in tal modo un apprendimento più ricco e
coinvolgente. In altri termini, è necessario spostare l’attenzione dal cosa al come e al perché e
questo non è possibile tramite una strategia didattica di tipo trasmissivo ma richiede strategie di
didattica attiva in cui lo studente è attore consapevole del processo di apprendimento e assume un
ruolo propositivo nella progettazione e nella conduzione del processo. Le necessità legate al
raggiungimento dell’obiettivo diventano, così, la spinta motivazionale allo studio e
all’apprendimento degli strumenti disciplinari e la motivazione maturata dallo studente, in una sorta
di feed-back positivo, rende efficace sia la lezione frontale che l’esercitazione addestrativa.
D’altra parte, l’approccio “core knowledge” si basa sulla convinzione che l’apprendimento delle
conoscenze e delle abilità di applicazione, di analisi e di soluzione di problemi vanno di pari passo e
che gli studenti, coinvolti nel processo di apprendimento mediante tutta una serie di strategie che
vanno dalle attività di laboratorio, ai progetti di ricerca, alle drammatizzazioni, ai gruppi di
apprendimento cooperativo, imparano meglio se sono esposti contestualmente sia alle conoscenze
disciplinari sia ai modi di applicarle. Inoltre, come sostiene Morin nella sua nota opera “I sette
saperi necessari all’educazione del futuro”: “l’estrema frammentazione delle conoscenze operata
dalle singole discipline rende spesso impossibile collegare le parti alla totalità; si dovrà pertanto
far posto a un tipo di conoscenza capace di inquadrare le cose nei loro contesti, nella loro
complessità, nei loro insiemi. È necessario sviluppare negli allievi l’attitudine naturale della mente
umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. Occorre insegnare metodi che
permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti entro un mondo
complesso” nella convinzione che ogni conoscenza, anche la più sofisticata, cessa di essere
significativa e pertinente se rimane totalmente isolata.
Né va trascurato, nel processo insegnamento/apprendimento, l’aspetto motivazionale ed emotivo: il
coinvolgimento, la motivazione, l’apporto emotivo diventano, infatti, elementi essenziali per
acquisire conoscenze e sviluppare competenze e abilità. L’intelligenza emotiva, intesa come “la
capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri, di motivare se stessi e di gestire
positivamente le proprie emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali” è
fondamentale, come ci ha insegnato Goleman, per il conseguimento di eccellenti performance in
ogni contesto. Il padroneggia mento di alcune abilità scolastiche, tradizionalmente riconosciute, non
garantisce affatto di avere buoni risultati nella scuola e nella vita in quanto il loro possesso non
significa automaticamente capacità di usarle in situazioni difficili o particolari o di svolta. Per
ottenere buoni risultati e affrontare con successo tali situazioni risulta, invece, determinante, la
convinzione dei propri mezzi, la consapevolezza dei propri limiti, la determinazione con cui si
affrontano i problemi, la creatività, la flessibilità, la disponibilità al cambiamento, nonché la
capacità “di rimandare la gratificazione, di essere socialmente responsabili nei modi opportuni, di
mantenere il controllo sulle emozioni e di avere una visione ottimistica”, tutte abilità proprie
dell’intelligenza emotiva.
In conclusione, è bene che i giovani siano attivi protagonisti del proprio processo di conoscenza,
imparino ad usare strategie per organizzare e ricordare informazioni e conoscenze, formulino
ipotesi e ricorrano a teorie per rendere coerente la propria esperienza scolastica con quella informale
e non formale.
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Come si valutano le competenze
Una delle questioni cruciali dell’introduzione di una didattica basata su competenze è quella legata
alla loro valutazione. Dalle definizioni esposte in precedenza appare chiaro che il possesso di una
competenza non è direttamente e immediatamente rilevabile; l’acquisizione di una competenza,
infatti, è il risultato di un processo lungo e complesso, si costruisce gradualmente nel tempo in
funzione degli stimoli che vengono proposti e della predisposizione soggettiva degli alunni e si
manifesta in termini di prestazioni, atteggiamenti, comportamenti. Non basta, dunque, una singola
prova per decidere se un soggetto possieda o meno una determinata competenza, a meno che non si
tratti di una abilità elementare basata su schemi di tipo ripetitivo o della capacità di applicare regole
e principi in situazioni semplici e codificate. Il ricorso a test standardizzati, per tradizione
considerati oggettivi e attendibili nella misurazione di abilità di base non appare, dunque,
praticabile nella misurazione delle competenze. L’operazione di valutazione è resa ancora più
complicata dal fatto che non esistono standard internazionali di riferimento cui rifarsi come modelli
guida. Sono state realizzate, è vero, esperienze innovative nelle rilevazioni OCSE-PISA e, a livello
nazionale, nelle prove INVALSI, ma esse sono difficilmente applicabili nel contesto di una
istituzione scolastica e, meno ancora, nell’ambito di una singola disciplina o di un gruppo di
discipline.
Va ricordato, tuttavia, che per acquisire una competenza è necessario che il soggetto che apprende
abbia interiorizzato una certa quantità di conoscenze di base e abbia sviluppato delle abilità
specifiche. Un primo passo, dunque, in un processo di accertamento delle competenze, che non
potrà che essere graduale nel tempo, può consistere nel rilevare la qualità delle conoscenze apprese
e la capacità di utilizzare tali conoscenze per la risoluzione di problemi. Affinché una conoscenza
possa essere ritenuta valida e costituisca una componente critica di una competenza deve essere
solida, approfondita al giusto livello richiesto dalla competenza, deve essere stabile nel tempo e
significativa ma, soprattutto, deve essere utilizzabile. Analogamente, una abilità è consistente, e
significativamente rilevante per la manifestazione del possesso di una competenza, se mette in
grado di ricorrere al patrimonio di conoscenze detenuto dal soggetto per individuare quelle utili ad
affrontare un compito e per utilizzarle in modo opportuno, corretto e consapevole. Tali rilevazioni
dovranno essere oggetto di misurazioni e queste misurazioni potranno essere espresse mediante una
scala numerica decimale come quella che abitualmente viene utilizzata nella scuola. Va ribadito che
tale misurazione non coincide, e non va confusa, con la valutazione della competenza che non è
esprimibile mediante numeri, medie o altri calcoli di tipo statistico ma, tutt’al più, va considerata un
elemento sul quale fondare una corretta valutazione.
Un altro elemento estremamente importante, che dovrà essere oggetto di specifiche osservazioni, è
l’analisi del comportamento dello studente durante lo svolgimento di una prova o di un compito.
Questo presuppone, naturalmente, che siano stati preventivamente definiti una serie di aspetti sui
quali focalizzare l’attenzione e di indicatori che dovranno tener conto: della predisposizione e
dell’atteggiamento con i quali lo studente si appresta a svolgere la prova, la motivazione che
manifesta, il comportamento critico e responsabile, il grado di apprezzamento del valore e del
significato dell’esercizio, la capacità di concentrazione, l’impegno e l’autonomia operativa.
Eventuali atteggiamenti negativi, o posizioni pregiudiziali di rifiuto, dovranno essere oggetto di
un’attenta riflessione da parte del docente che dovrà mettere in campo una serie di azioni finalizzate
a rimuovere gli ostacoli di natura psicologica e motivazionale e a rafforzare, nell’allievo, la
determinazione e la capacità di superare con successo gli ostacoli e le difficoltà che via via si
presentano lungo il percorso scolastico. Anche queste osservazioni dovranno essere continuative e
costanti nel tempo e potranno essere riportate secondo modalità definite a livello di Collegio dei
Docenti e formalizzate in una scala di valori costituita a livelli progressivi.
Un ultimo aspetto, decisamente rilevante per pervenire ad una efficace valutazione delle
competenze, riguarda la percezione soggettiva che lo studente ha in merito al suo impegno
scolastico e ai risultati personali di apprendimento. Questo, naturalmente, implica che lo studente
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sia messo in grado, e sollecitato in maniera più o meno palese, di esprimere il significato che
individualmente ha attribuito ad un esercizio o ad una determinata prova, motivare le proprie scelte
operative, analizzare possibili alternative e confrontarle criticamente, riconoscere le proprie
difficoltà a livello concettuale e/o pratico e trovare motivazioni per il loro superamento, individuare
gli errori e comprenderne la natura e l’origine, spiegare qualitativamente non solo il risultato cui è
pervenuto ma, anche, il processo produttivo applicato e scoprire eventuali spazi di miglioramento.
Tutta questa raccolta di osservazioni e di rilevazioni non produce, purtroppo, automaticamente una
valutazione corretta e condivisa di una competenza. Tutti i risultati ottenuti vanno letti, analizzati,
interpretati, calati nel contesto e confrontati con i livelli di partenza: è un’operazione tutt’altro che
agevole che implica il possesso di capacità intuitive, analitiche, interpretative difficilmente
riconducibili a schemi precostituiti e a metodi definiti con precisione oggettiva. I riscontri analitici e
puntuali possono costituire un utile punto di riferimento e fare da supporto per evitare il rischio di
una estrema soggettività, ma pervenire ad una corretta valutazione di competenza è una questione
che riguarda direttamente l’esperienza, le capacità professionali e le competenze dei docenti. Per
ridurre il rischio di accentuati soggettivismi, inutili quanto dannosi, si potrebbe ricorrere a forme
intersoggettive di valutazione che creino una sorta di consenso condiviso sui metodi e sui risultati,
con il coinvolgimento di altri soggetti implicati, direttamente o indirettamente, nel processo
formativo: altri insegnanti del corso o dell’ambito disciplinare, i genitori, esperti delle professioni e
del mondo del lavoro per le esperienze di alternanza scuola/lavoro, altre figure, istituzionalizzate o
meno, che in qualche modo interagiscono con il soggetto in formazione ed hanno l’opportunità di
osservarne il comportamento e rilevarne le performance.
Come si certificano le competenze
Strettamente collegato al problema della valutazione delle competenze è il tema della certificazione
delle stesse.
Per comprendere esattamente i termini della questione è opportuno analizzare le finalità che si pone
e gli scopi che deve soddisfare un sistema di certificazione di competenze. A tale proposito va
ricordato che “valutare gli apprendimenti e certificare le competenze acquisite da un allievo
rappresenta un compito essenziale per ogni struttura scolastica e formativa, non solo perché la
valutazione è un atto indispensabile per regolare il rapporto tra insegnamento e apprendimento,
ma perché essa assolve ad un preciso impegno giuridico che è quello di attestare erga omnes gli
esiti di un percorso di istruzione o di formazione”.
La certificazione, dunque, risulta indispensabile in un sistema integrato di istruzione e formazione
che ha la necessità di riconoscere e condividere alcuni standard di contenuto-prestazione al fine di
agevolare le transizioni tra i diversi comparti del sistema, in un’ottica di maggiore flessibilità e
personalizzazione dei percorsi formativi, rendere meno traumatici i passaggi tra i diversi tipi di
scuole, favorire il riconoscimento dei crediti anche non scolastici, evitare le ridondanze e le
duplicazioni cognitive che possono demotivare gli studenti e indurli ad una disaffezione per la
scuola. La certificazione, altresì, risponde ad una esigenza di comunicazione e di trasparenza nei
confronti dei soggetti dell’attività di apprendimento e delle loro famiglie, affinché possano acquisire
consapevolezza dei livelli di competenza raggiunti e del posizionamento ottenuto nella progressione
degli apprendimenti, in una prospettiva di sostegno e di accompagnamento verso un possibile
processo di miglioramento delle performance e di rafforzamento del senso di fiducia nei propri
mezzi. La certificazione, infine, è essenziale sia al termine dell’obbligo scolastico nel caso di
prosecuzione degli studi al fine di orientare con efficacia nella scelta dell’indirizzo di studi superiori
più confacente alle attitudini, alle capacità e alle aspirazioni del soggetto in formazione, sia, e ancor
più, nel caso della interruzione degli studi per favorire un inserimento lavorativo che nasca dal
riconoscimento e dalla considerazione del bagaglio di competenze acquisite allo scopo di
valorizzarle in un soddisfacente percorso professionale.
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Il problema della certificazione delle competenze rimanda direttamente alla definizione di un
modello standard opportunamente predisposto allo scopo. Già nel regolamento per i nuovi esami di
stato (DPR 323/1998) si fa riferimento a modelli di certificazione che sarebbero stati approntati dal
Ministero della pubblica istruzione (art.13) e analogo impegno si trova nel Regolamento
sull’autonomia delle istituzioni scolastiche (DPR 275/1999): “Con decreto del Ministro della
pubblica istruzione sono adottati i nuovi modelli per le certificazioni, le quali, indicano le
conoscenze, le competenze, le capacità acquisite e i crediti formativi riconoscibili, compresi quelli
relativi alle discipline e alle attività realizzate nell'ambito dell'ampliamento dell'offerta formativa o
liberamente scelte dagli alunni e debitamente certificate” (art.10). Il DLS 59/2004, che detta le
norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, investe invece
direttamente i docenti della responsabilità di certificare le competenze acquisite dagli alunni, senza
per altro indicarne le modalità; ma la successiva Circolare ministeriale n.29 del marzo 2004
suggerisce, a tal proposito, l’adozione di un “Portfolio delle competenze”, comprendente la
documentazione sintetica delle esperienze formative dell’alunno e la descrizione delle azioni di
orientamento e di valutazione “al cui aggiornamento concorre l’equipe dei docenti d’intesa con la
famiglia”.
La Circolare ministeriale n.84/2005, dopo aver chiarito che “Accertare e certificare la competenza
di una persona richiede strumenti caratterizzati da accuratezza e attendibilità che, a differenza di
quelli utilizzati per valutare soltanto la padronanza delle conoscenze e delle abilità, eccedono,
senza escluderle, le consuete modalità valutative scolastiche disciplinari (test, prove oggettive,
interrogazioni, saggi brevi, ecc.), ma richiedono anche osservazioni sistematiche prolungate nel
tempo, valutazioni collegiali dei docenti che coinvolgano anche attori esterni alla scuola, a partire
dalla famiglia, autovalutazioni dell’allievo, diari, storie fotografiche e filmati, coinvolgimento di
esperti e simili. Il livello di accettabilità della competenza manifestata in situazione scaturisce dalla
somma di queste condivisioni e coinvolge nella maniera professionalmente più alta i docenti che si
assumono la responsabilità di certificarla”, propone un modello standard di certificazione delle
competenze, da includere nel portfolio individuale, nel quale le competenze vengono suddivise in
tre macro-aree (strumenti culturali, identità e convivenza civile) e vengono espresse secondo tre
livelli di certificazione (elementare, maturo, esperto). Purtroppo tale modello, che in ogni caso
avrebbe avuto bisogno di ulteriori raffinamenti e integrazioni, non ha avuto il tempo di diffondersi:
la sua applicazione, infatti, così come quella del portfolio delle competenze di cui costituiva parte
integrante, è stata “temporaneamente” sospesa e tale rimane tutt’ora.
In assenza di un modello nazionale di riferimento, le scuole sono state invitate a predisporre e
utilizzare, a titolo sperimentale e provvisorio, schemi e modalità propri a scopo certificativo (CM
50/2009 e CM 51/2009). Questa pratica, tuttavia, se apparentemente valorizza l’autonomia
didattica, organizzativa e di sperimentazione e ricerca delle istituzioni scolastiche, in realtà
contrasta palesemente con le esigenze di certificazione che richiedono procedure standardizzate,
modalità condivise e livelli facilmente riconoscibile e universalmente accettati.
Ad aumentare il disorientamento è intervenuta la legge 169/2008, mediante la quale il legislatore
impone che, dall’anno scolastico 2008/2009, nell’ambito del primo ciclo di istruzione, ovvero per la
scuola primaria e per la scuola secondaria di I grado, “la valutazione periodica ed annuale degli
apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite nonché la
valutazione dell'esame finale del ciclo sono effettuate mediante l'attribuzione di voti numerici
espressi in decimi”, anche se accompagnate, ma solo per la scuola primaria, da “un giudizio
analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno”; e aggiunge che “l'esito
dell'esame conclusivo del primo ciclo è espresso con valutazione complessiva in decimi e illustrato
con una certificazione analitica dei traguardi di competenza e del livello globale di maturazione
raggiunti dall'alunno”.
Questa legge, come si può notare, presenta evidenti incongruità e contraddizioni in quanto confonde
in un’unica operazione valutativa la misurazione degli apprendimenti e la valutazione delle
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competenze e pretende che venga utilizzata anche per queste ultime una scala decimale, ritenuta
concordemente da tutti gli studiosi inidonea a descrivere il livello raggiunto in una determinata
competenza. Allo stesso tempo, fa coincidere l’esito dell’esame conclusivo del primo ciclo, che
determina il rilascio di un titolo di studio con valore legale, con la certificazione di traguardi di
competenza, non ben definiti, che non ha alcun riconoscimento giuridico ma, tutt’al più, ne deve
avere uno sociale determinato dal confronto con valori di riferimento utilizzati come termine di
paragone.
Per chiarire gli aspetti controversi su esposti, è stata emessa la circolare ministeriale n.49/2009, che
riporta testualmente: “Certificare le competenze per ogni singolo studente presuppone una attenta
valutazione per evitare il rischio di compilazioni formali e di procedure superficiali. Mentre i voti e
i giudizi permettono di seguire il percorso di apprendimento e di crescita dello studente, con la
certificazione delle competenze l’intento è quello di fornire informazioni puntuali sui livelli di
preparazione in relazione a criteri di carattere generale”, e ancora “È importante che, con la
valutazione complessiva del consiglio di classe o della Commissione d’esame circa il passaggio
dalla scuola primaria alla secondaria di primo grado o il superamento dell’esame di Stato
conclusivo del primo ciclo, allo studente venga data la possibilità di conoscere la propria posizione
rispetto a livelli di apprendimento e quadri di competenze che rispondano a riferimenti di carattere
generale. Va in ogni modo garantito che le procedure di valutazione proprie di ogni singola scuola,
di docenti o gruppi di docenti della scuola rispettino criteri di attendibilità e di validità, evitando
che la disomogeneità esistente nelle prassi correnti siano per gli studenti e per le loro famiglie fonti
di informazioni imprecise se non errate”.
Alla circolare 49/2009, che ha riportato nei giusti binari le problematiche della valutazione e della
certificazione ed ha contribuito a dissolvere i paradossi interpretativi generati dalla legge 169/2008,
ha fatto seguito finalmente il Decreto ministeriale n.9/2010, mediante il quale il legislatore,
colmando un vuoto ed un’attesa più che decennali, ha definito e proposto un modello di
certificazione dei saperi e delle competenze da rilasciare agli studenti al termine dell’assolvimento
dell’obbligo di istruzione, come previsto dal Decreto ministeriale n.139/2007. In questo modello le
competenze acquisite dallo studente vengono declinate in termini di assi culturali (dei linguaggi,
matematico, scientifico e tecnologico, storico/sociale) e riferite alle otto competenze chiave
descritte in allegato al decreto citato; la valutazione, inoltre, espressa per livelli, si articola in tre
possibili opzioni:
· livello base: lo studente svolge compiti semplici in situazioni note, mostrando di possedere
conoscenze ed abilità essenziali e di saper applicare regole e procedure fondamentali;
· livello intermedio: lo studente svolge compiti e risolve problemi complessi in situazioni note,
compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite;
· livello avanzato: lo studente svolge compiti e problemi complessi in situazioni anche non note,
mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità; sa proporre e sostenere le
proprie opinioni e assumere autonomamente decisioni consapevoli.
Naturalmente il problema della certificazione è ben lungi dall’essere completamente risolto.
Rimangono in piedi ancora questioni cruciali come, ad esempio, quella relativa ai soggetti
certificatori se, cioè, la certificazione debba rimanere un fatto interno alla scuola o se, viceversa,
debba essere demandata a enti certificatori esterni, così come avviene per la certificazione delle
competenze linguistiche (TRINITY, TOEFL, ecc.) e informatiche (ECDL/AICA); e, ancora, quali
debbano essere gli effetti della certificazione, cioè quale valore debba essere attribuito e
riconosciuto alla attestazione del possesso di determinate competenze, se solo un valore formativo
nei confronti dell’allievo (consapevolezza di sé, riflessione sui propri processi cognitivi e sulle
proprie capacità, aiuto al superamento di difficoltà, stimolo per il proprio miglioramento) o, anche,
un valore aggiunto, utile e fruibile anche sul piano lavorativo. Ma questi sono problemi sui quali si
sta dibattendo in tutta Europa e ai quali, prima o poi, bisognerà dare delle risposte.
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Quali caratteristiche professionali e quali competenze deve avere un insegnante che deve
operare con efficacia in una scuola basata sulle competenze
L’ultima questione, che appare di un certo rilievo in un discorso incentrato sulle competenze a
scuola, forse non la più problematica ma, sicuramente una delle più delicate, è quella riguardante le
caratteristiche che deve avere un insegnante che vuole efficacemente applicare una didattica per
competenze e quali competenze deve possedere a sostegno della sua attività professionale. Come si
intuisce, non è una questione di poco conto, soprattutto perché investe direttamente il tema della
formazione degli insegnanti, iniziale e in itinere, e della loro selezione, e perché comporta notevoli
implicazioni , in particolare per quel che concerne la formazione iniziale, sulla organizzazione e la
struttura dei corsi di laurea finalizzati a preparare i futuri docenti.
Al riguardo, va evidenziato che una didattica per competenze comporta uno stravolgimento radicale
nello stile e nei metodi di insegnamento. Tutta la classe insegnante, infatti, è stata finora abituata ad
applicare una didattica di tipo trasmissivo/ripetitivo basata sulla illustrazione/acquisizione delle
conoscenze e dei saperi. La qualità dell’insegnamento era strettamente collegata al grado di
padronanza che l’insegnante aveva dei contenuti disciplinari e alle sue abilità espositive;
l’adeguamento degli argomenti da affrontare e la scansione temporale dell’insegnamento avveniva
attraverso la riforma dei programmi predisposti a livello centrale, indicazioni metodologiche
comprese.
Più di recente, si è cercato di far leva sull’apprendimento, definendo a livello centrale alcuni
obiettivi strategici (obiettivi specifici di apprendimento, OSA) per ogni ambito disciplinare e
lasciando ad ogni singola scuola, e in ultima analisi al docente, il compito di individuare i contenuti
e le modalità didattiche sulla base delle esigenze individuali degli allievi e di indicazioni nazionali,
fornite dal Ministero, contenenti la prescrizione delle conoscenze e delle abilità essenziali che
devono essere in possesso dei giovani al termine di un determinato ciclo di studi, in riferimento al
profilo educativo culturale e professionale (PECUP) caratterizzante il tipo di studi seguito. Tuttavia,
i vincoli derivanti dalla prospettiva di dover sostenere esami di stato ai quali è legata l’acquisizione
di un titolo di studi con valore legale, non ha consentito la piena realizzazione di un simile
approccio che si basa, necessariamente, sullo sviluppo e la valorizzazione dell’autonomia scolastica
e sulla attivazione di opportuni meccanismi di controllo in termini di efficacia/efficienza e di
rispondenza ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale.
Oggi, con la nuova impostazione basata sulla acquisizione delle competenze, apprendere, e di
conseguenza insegnare, si rivela un fatto ancora più problematico, sia a causa della evoluzione
sempre più rapida degli elementi da apprendere (nella loro dimensione quantitativa e qualitativa),
sia in virtù della complessità delle operazioni che gli allievi devono mettere in atto non solo per
riconoscere le conoscenze, ma per applicarle, contestualizzandole in situazioni e problematiche
reali, sia infine in relazione alle condizioni, all’ambiente, al contesto in cui si impara che
influiscono significativamente sugli atteggiamenti e sulle spinte motivazionali.
Si richiede ai docenti, dunque, di mettere in atto metodologie che valorizzino la partecipazione
attiva degli studenti con l’ausilio di strumenti che favoriscano la discussione condivisa e il lavoro di
gruppo senza, peraltro, tralasciare lo sviluppo di abilità pratiche e cognitive e la acquisizione delle
conoscenze indispensabili a supportare sia le competenze di base e trasversali sia quelle a carattere
professionale.
Questo implica l’uso di metodi che coinvolgono l’attività degli studenti nell’affrontare questioni e
problemi di natura applicativa, riferiti alla propria vita, alle altre discipline, alla vita sociale e
lavorativa, sia nell’introdurre i nuclei fondamentali delle conoscenze e abilità, sia nel progressivo
padroneggiarli. Si tratta, in definitiva, di promuovere una metodologia di
insegnamento/apprendimento di tipo laboratoriale che consenta di cogliere lo scopo di molti
apprendimenti anche di tipo ripetitivo, come quelli connessi allo sviluppo di alcune abilità
strumentali e, allo stesso tempo, di comprendere le finalità e l’applicabilità di saperi apparentemente
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nozionistici; in altri termini, si tratta di far assumere al luogo nel quale si svolgono le lezioni le
caratteristiche operative di un ambiente di lavoro, un laboratorio nel quale si realizzano,
individualmente o collettivamente, prodotti che richiedono un utilizzo intelligente di quanto studiato
o stimolano un suo approfondimento.
Questa impostazione richiede una particolare cura nella progettazione didattica dei vari
insegnamenti e nella loro realizzazione, cercando, in primo luogo, una sistematica collaborazione
tra i docenti delle varie discipline coinvolte nello sviluppo di competenze comuni, di base e
trasversali, in secondo luogo, favorendo una costante verifica della capacità di collegamento, da
parte degli allievi, tra le varie competenze disciplinari.
La capacità di interagire, di collaborare, di operare in sinergia diventano, dunque, caratteristiche e
qualità indispensabili per i docenti che dovranno cimentarsi con la didattica per competenze, nonché
la disponibilità a realizzare comunità di studio, di ricerca, di apprendimento nelle quali impegnarsi
con l’analisi e l’approfondimento degli oggetti di studio e con la costruzione di saperi condivisi;
comunità caratterizzate dal ricorso a metodi di insegnamento capaci di valorizzare sia gli aspetti
cognitivi e sociali, sia quelli affettivi e relazionali di qualsiasi apprendimento.
La nuova professione docente, allora, dovrà basarsi su un complesso articolato di competenze
disciplinari, tecniche, pedagogiche, sociali e organizzative, una elevata propensione
all’autoapprendimento e all’innovazione, la capacità di leggere i mutamenti sociali e di adeguare le
metodologie didattiche, la disponibilità al confronto e alla cooperazione. La formazione dovrà
assumere un ruolo fondamentale, sia in termini di formazione iniziale sia di formazione continua e
questa dovrà necessariamente integrarsi con la ricerca didattica e metodologica.
Il profilo del nuovo docente, dunque, è quello di un professionista che abbia competenze di
ricercatore, progettista, organizzatore di situazioni di apprendimento che hanno come oggetto non
solo le conoscenze, ma anche gli aspetti di processo e di relazione; che sia un esperto di metodo, in
grado di individualizzare l’insegnamento in funzione della diversità degli studenti utilizzando una
didattica laboratoriale, il cooperative learning, il problem solving, l’approccio per progetti e i case
studies; che non trascuri gli aspetti relazionali e sia capace, tramite il coinvolgimento emotivo nella
relazione insegnamento/apprendimento, di motivare continuamente gli studenti; che dimostri una
notevole padronanza dei contenuti disciplinari e una elevata autonomia decisionale che gli
consentano di selezionare gli argomenti, le tematiche e le metodologie più idonee a realizzare buoni
risultati di apprendimento declinati in termini di competenze; che possieda, infine, una discreta
competenza sulle nuove tecnologie, in particolare quelle orientate alla didattica, e sia in grado di
utilizzarle per rendere più coinvolgente e più efficace il processo didattico.
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