Ho attraversato (camminando) l`intera città (la mia città, Trieste). Poi
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Ho attraversato (camminando) l`intera città (la mia città, Trieste). Poi
Trieste Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un' erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città. Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa. Intorno circola ad ogni cosa un' aria strana, un' aria tormentosa, l'aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva. (Umberto Saba, da Trieste e una donna, 1910-12). Ho attraversato (camminando) l'intera città (la mia città, Trieste). Poi sono salito per una via ripida, all'inizio folta di persone, più in là (più distante dal centro della città) deserta (priva di presenze umane), (e addirittura) chiusa da un piccolo muro: un luogo piccolo e isolato in cui io siedo da solo; e ho l'impressione che nel luogo dove questo mio cantuccio ha fine, finisca anche (tutta) la città (che da questo mio rifugio contemplo dall'alto). Trieste (questo è il nome della mia città) ha una grazia, una bellezza brusca e schiva. Se può piacere (a qualcuno; sottinteso: e piace certo a me), (si offre come) un ragazzo riottoso e ribelle (scontroso e troppo avido di vita), con gli occhi azzurri, e mani troppo grandi per essere capace di un gesto delicato come regalare un fiore (a chi si ama); (Trieste è) come un amore reso aspro e inquieto dalla gelosia. Da questa viuzza in collina scopro (con lo sguardo) ogni chiesa, ogni strada della città, se (la strada) conduce verso la marina, folta di gente e di traffici, o se conduce alla collina lassù in alto, a cui, proprio sulla vetta piena di sassi, si tiene aggrappata ("afferrata con le mani") una casa, l'ultima casa di tutte le abitazioni cittadine. Un'atmosfera strana, indefinibile, un'atmosfera tormentata (inquieta) ruota intorno a ogni oggetto, (è) l'aria della mia città natale. La mia città che è viva in ogni sua parte, ha conservato questo cantuccio (un angolo, un recesso in cima all'erta), fatto apposta per me, per la mia vita meditabonda e solitaria (che rifugge gli altri uomini). Metro: frequenti gli endecasillabi (v.3, per es.), anche tronchi (v.1), alternati a ternari, quinari, settenari. Con rime baciate ai vv.2,3 (erta:deserta); vv. 4,5 (muricciolo:solo); vv. 9,10 (piace:vorace); vv. 12,13 (fiore:amore); vv.14,15 (gelosia: via; che rima a distanza con natia); vv. 17,20(sassosa:cosa; che rimano a distanza con tormentosa); Molte assonanze: per es., via:spiaggia; viva:vita:schiva. Lessico: "erta", "via in forte salita"; "vorace", "avido (di vita)"; "schiva", riservata, chiusa, introversa (letteralmente: che schiva, evita gli altri); "mena", "conduce". E', nel complesso un lessico semplice, volutamente prosastico, per di più infarcito di rime baciate facili, la più significativa è fiore: amore (la rima "più difficile del mondo"; usata qui in polemica contro tutti i poeti ufficiali e aulici; una rima frequente nelle canzoni popolari e nei libretti d'opera ottocenteschi, da cui Saba trae ispirazione). Molti gli enjambement, anche forti (per es., "solo / siedo"; mette in rilievo l'aggettivo "solo" in punta di verso; "scontrosa / grazia"; "via / scopro"; "sassosa / cima"; "vita / pensosa e schiva", ognuno con il suo particolare effetto; per es: "grazia /scontrosa" accentua l'ossimoro, ovvero la contraddizione dei due termini "grazia" e "scontrosa"; "vita / pensosa e schiva" pone l'accento sulle caratteristiche peculiari ed esclusive della vita del soggetto poetante. Altre frasi sono invece perfettamente calate nel metro, metro e sintassi si fondono, come al v. 1, dove la frase coincide con l'endecasillabo. "muricciolo", "cantuccio": forme derivative connotate affettivamente. "termina /termini": è un enjambement che esalta l'adnominatio (annominazione), ovvero la figura retorica per cui si ripete la stessa parola ma in altra declinazione grammaticale. Persino un avverbio di luogo come "intorno" diventa decisivo per esaltare la centralità dell'io, isolato e contemplante: un ternario (trisillabo), un verso isolato che contiene solo un avverbio. Frequente l'anastrofe e l'iperbato: "Un cantuccio in cui solo siedo" (anastrofe: "un cantuccio in cui siedo solo", il verbo è posto alla fine della frase come in una costruzione latina; cfr. vv. 15,16). Iperbato: "se mena all'ingombrata spiaggia" è inserito dentro un'altra frase; e poi il v. 18, tutto franto dalla punteggiatura. La città è personificata: si tratta dunque di una personificazione, prosopopea. Anche la "casa…aggrappata" è una personificazione (v. infra). VV. 9: "è come un ragazzaccio", "come un amore", similitudini (paragoni). Poiché tra gli autori preferiti di Saba ci fu Leopardi, si può scorgere nell'erta una sorta di "ermo colle" (L'infinito) e nel "muricciolo" la "siepe". Ma mentre Leopardi va oltre lo sguardo esteriore e pensa con la mente a un infinito metafisico, Saba guarda alla vita, ai traffici della città, da cui lui si esclude, e di cui avverte una sorta di nostalgia diretta. Il muricciolo è pure nelle poesie di Pascoli (come del resto la siepe); ma in Pascoli il paesaggio è sempre rurale, mai cittadino. E poi in Pascoli non c'è un narcisismo o egocentrismo così spinto (Saba pare compiacersi, quasi voler innamorarsi di se stesso). Si può sviluppare la differenza tra il Montale della "muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia" (Meriggiare pallido e assorto) e il "muricciolo" di Saba: differenza abissale tra due grandi poeti del Novecento europeo. Il passaggio importante "scontrosa /grazia" esprime perfettamente la duplicità di attrazione ed esclusione che il poeta prova; e insieme oggettivizza un carattere della città in cui il soggetto si rispecchia. Così il ragazzo dagli occhi azzurri, azzurri come il mare della città, è l'altra figura di identificazione (poeta = città), da parte di un soggetto che ama come una persona (personificazione, prosopopea) il proprio luogo natio, ma con la continua struggente inquietudine di chi per amare ha bisogno di distanziarsi. Trieste personificata diventa lo specchio dell'ego. Come si diceva "la casa…aggrappata" è una personificazione, grazie a quel verbo che è una metafora che serve per antropomorfizzazione dell'oggetto (sono gli uomini che si aggrappano). La casa aggrappata alla vita, all'ultima vita è anch'essa lo specchio dell'io. Endiadi finale: "pensosa e schiva", esprime in clausola di quinario la non partecipazione al pieno della vita che pur è osservato e contemplato. Saba propone, in uno stile semplice, al limite del prosastico puro (se non fosse per l'articolazione dei metri, delle rime, degli enjambement, del ritmo diversificato, delle assillabazioni) uno schema che gli è consueto: un io separato, che guarda gli oggetti del desiderio. Tra lo sguardo e l'oggetto si frappone l'aria tormentosa, inquieta, l'aria natia, e la stranezza di quest'aria, famigliare ed estranea nello stesso tempo, deriva dall'amore geloso di chi si sente attratto ed escluso. Nei tre versi finali la città sembra prendersi cura del soggetto come una madre di un bimbo bisognoso di cure. Nato a Trieste nel 1883, Saba crebbe in un ambiente culturale decentrato, isolato (lo stesso di Italo Svevo; tutti e due però vicini a Vienna, dunque alle correnti psicanalitiche). Disse di se stesso: "nascere a Trieste nel 1883 era come nascere altrove nel 1850". La cultura triestina in forte ritardo rispetto a Firenze e Roma, fu utilizzata da Saba per porsi in anticipo sui movimenti poetici europei. Saltò le avanguardie (il futurismo, il simbolismo) per approdare direttamente a una poesia di nuda cronaca esistenziale, modernissima. In Storia e cronistoria del Canzoniere disse di sé: " Solo un periferico, solo uno che fosse, come lui, un arretrato e un precursore, poteva idearla (una poesia di questo tipo). Ma se l'essere egli rimasto così remoto dai suoi contemporanei e, in un certo senso, dal suo tempo, non giovò, in un primo momento, alla sua fama, alcuni avvertirono che questa poesia sarebbe restata come una delle creazioni più schiette, più singolari e anche meno noiose della nostra letteratura, e che il fatto di essere stato insensibile alle correnti letterarie allora di moda, fu per Saba un grande aiuto a vincere quel tempo, da cui sembrava fuori". Tutta la poesia di Saba è uno sforzo in gran parte riuscito per costruire una poesia che intesse la schietta cronaca esistenziale; e anche di costruirsi degli elementi consolatori, delle figure e dei personaggi di un ben circoscritto mondo di cose buone e controllabili: Trieste, la moglie, la balia, gli animali domestici, i fanciulli e la stessa poesia.