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I discorsi delle balene

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I discorsi delle balene
I discorsi
delle balene
di Franco Aramini
È sempre stato
ingiustificabile
lo sterminio dei cetacei?
No, non in tutti i posti
e non in tutti i tempi.
Ma i tempi cambiano
uante balene
ha ucciso finora, Kaptain
Larsen?” gli avevo domandato. “Molte” aveva
detto lui “Molte. L’altr’anno quaranta; ma in
tutto sono molte, molte.”.
Con queste parole un
grande scrittore ligure
di mare, Vittorio G.
Rossi, scomparso nel
1978, ricordava nella
sua Opera “La terra è un’arancia dolce”, una conversazione avuta con un comandante di baleniere durante un viaggio in Groenlandia, alla fine degli Anni 50 dello scorso secolo. “Aveva detto che gli eschimesi facevano certe cerimonie per l’anima della balena
che avevano ucciso; domandavano scusa alla balena di
averla uccisa, poi se la mangiavano. “Lei domanda scusa all’anima delle balene che uccide?” E lui aveva detto:
“Gli eschimesi uccidono per mangiare; noi bianchi uccidiamo per fare danaro o perché ci piace uccidere. Allora
non si può domandare scusa, dopo che si è ucciso.”.
In realtà l’uomo dà la caccia (non si può parlare di
pesca, in quanto la balena non è un pesce, ma un
mammifero) ai grandi cetacei da tempo immemorabile, dal momento che le prime tracce della reciproca conoscenza tra queste due specie risalgono,
secondo i reperti archeologici, a millenni orsono, e,
secondo gli stessi reperti, sarebbero contemporanee
all’inizio dell’attività venatoria umana nei confronti dei mammiferi marini.
Si hanno infatti le prove che le popolazioni nordi-
“Q
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che, la cui sussistenza
dipendeva quasi totalmente dalle risorse offerte dal mare, la praticavano già nel periodo
Neolitico, circa 6.000
anni fa, utilizzando piccole imbarcazioni per
inseguire le balene e ucciderle arpionandole.
Nel Mediterraneo i fenici vi fecero scarso ricorso, solo per commerciarne alcuni prodotti, mentre greci e romani se ne disinteressarono, non sappiamo se per motivi etici, religiosi o semplicemente per una totale mancanza di
contatto tra la propria civiltà, favorita dalla straordinaria dovizia di alimenti vegetali e dalla cacciagione
abbondantissima di cui l’area mediterranea era prodiga, mentre i popoli nordici erano obbligati a sfruttare come uniche risorse alimentari quelle marine.
Per loro la balena era, come si dice nelle nostre
campagne, il maiale del mare perché di lei si utilizzava assolutamente tutto: carne, pelle, ossa, grasso:
in Groenlandia gli archeologi hanno rinvenuto i
resti di un villaggio costruito interamente con ossa
di balena.
La legge della sopravvivenza
La cattura di un cetaceo poteva assicurare a lungo
la sopravvivenza di una comunità; una balena di
media grandezza pesa attorno alle 55 tonnellate:
tutta carne, grasso e una pelle che è da sempre considerata un cibo prelibato. Oggi sappiamo che è ric-
chissima di contenuti energetici e di vitamina C, ma per le popolazioni del Nord
era solo vita: per questo veneravano la balena come una divinità e, prima di ucciderla, pregavano e si scusavano con lei.
Intorno all’Anno 1000, islandesi e norvegesi svilupparono una loro tecnica: spingevano branchi di balene all’interno di un
fiordo del quale chiudevano poi l’imboccatura con delle reti, attendendo gli affioramenti dei mammiferi, obbligati periodicamente a respirare, per ucciderli bersagliandoli con le frecce. Nel XII secolo questa attività era molto sviluppata, oltre che
in Islanda, anche nelle isole Ebridi, nelle
Il rapporto tra l’uomo e i grandi cetacei è di antica data, come testimonia
Orcadi e nelle Shetland.
questo guazzo su carta dello studioso persiano Rachid ad Din che illustra legMa il grande sviluppo della caccia alla ba- genda di Giona e la Balena, tratto dalla Storia Universale del 1314, oggi conlena prima, e della ancorché primordiale servata a Baghdad; in apertura, la locandina del film “Moby Dick”, di John
Houston, del 1956
industria baleniera poi, è da ascrivere ai
baschi delle coste del Golfo di Biscaglia,
le balene franche iniziarono a non tornare più su
attorno al XII secolo. Le preferite erano le grandi
quelle infide coste, al che questa impenitente e imbalene franche, che si recavano in quelle acque per
perterrita consorteria di marinai decise di fare al
riprodurvisi e divenivano così facile preda delle imlargo il lavoro che fino a quel momento aveva esebarcazioni a remi dei cacciatori che le inseguivano
guito sotto costa.
per arpionarle, imbracarle e poi trainarle a riva, doArmarono prima delle caracche, poi delle caravelle,
ve venivano finite, squartate e lavorate.
più piccole ma più agili e maneggevoli, imbarcanLe balene franche venivano chiamate così in quanto
dovi dei lancioni per questo detti baleniere che, alerano considerate quelle più vantaggiose da cacciare,
l’avvistamento del cetaceo, venivano calati in mare
dal momento che non solo oltre il 40% del loro peper inseguirlo a forza di remi ed arpionarlo: era naso era costituito da grasso, ma anche perché questa
ta quella caccia che durerà fino alla fine del XIX seenorme massa lipidica consentiva al corpo dell’anicolo, e che verrà celebrata da Hermann Melville,
male di galleggiare anche dopo la sua uccisione, cosa
nel suo capolavoro “Moby Dick”.
che non avveniva con altri cetacei, come i globicefaI baschi, però, verranno ben presto sopravanzati
li e le balenottere azzurre, che con la morte affondadagli inglesi (che nel 1576 avevano ottenuto il movano, vanificando così sforzi e rischi della caccia.
nopolio di questa caccia nel Mare del Nord e nel
Il periodo d’oro dei baschi, che oramai erano diveMar Bianco) e dagli olandesi, i cui balenieri migranuti commercianti, durò circa tre secoli, fino a che
rono in massa al nord.
Sulle coste di Spitzbergen, la più grande
isola dell’arcipelago norvegese delle
Svalbard, persino nell’angolo più inospitale di questa terra gelida e dimenticata
da Dio, checché ne dicano gli amanti
delle odierne finte vacanze estreme organizzate e gestite dalle agenzie di viaggio, se ne potevano trovare insediamenti che arrivavano ai 180.000 abitanti della stazione di caccia di Smeeremberg.
La caccia alla balena si industrializza ben presto: nella foto, “Fabbrica di olio sull’isola di Jan Mayen”, di Cornelis de Man, del 1639, un olio su tela oggi conservato nelle sale del Rijksmuseum di Amsterdam, in Olanda
Una tecnica pericolosa
Gli olandesi utilizzavano una tecnica di
caccia molto pericolosa: fissavano la sa-
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ni delle terre d’oltreoceano ribelli alla Corona britannica:
gli americani.
In breve tempo avranno la supremazia in questo settore, in
quello indotto della produzione di materiali per la caccia,
dagli arpioni alle navi, che
dava lavoro a migliaia di persone, e in quello della lavorazione e commercializzazione
dei suoi derivati.
All’inizio del XX secolo inizieranno a cacciare balene anche la Russia (per alleviare i
problemi alimentari del Paese) e il Giappone (più che altro per motivi gastronomici).
In questo realistico quadro conservato nel Wahling Museum (il museo della caccia alle balene) di New Bedford, nel Massachusetts, l’arpionatore, a prora della baleniera, sta per affonNel frattempo i prodotti di
dare il suo ferro nel corpo di un cetaceo
lavorazione delle balene erano andati aumentando e, sogola dell’arpione al dritto di prora della baleniera
prattutto, si erano diversificati adeguandosi alle
che, con un equipaggio di sei uomini, si avvicinava
richieste di un pingue mercato: la carne per uso
al cetaceo sottocosta per arpionarlo. Questi, fugalimentare era ora meno richiesta, ma tutto il
gendo, si tirava dietro barca e cacciatori che, quan“blubber”, il grasso tessuto sottocutaneo un temdo la preda si arrendeva, la finivano per portarla a
po base alimentare di popoli come eschimesi,
riva e lavorarla.
inuit e ciukci, veniva fuso per ricavarne un olio
La balena, nuotando in branco, veniva a galla a redestinato alle fabbriche di candele, olio illumispirare tre, quattro, cinque volte di seguito; “discornante, lubrificanti, saponi, vernici e utilizzato, in
reva” dicevano i vecchi balenieri. Poi, quando avealcuni casi, per la tempra degli acciai. Prima delva finito di “discorrere”, si immergeva all’improvvil’impiego del petrolio raffinato (1860 circa) il proso in profondità, e non era possibile capire dove e
blema dell’illuminazione era risolto in grandissiquando sarebbe riemersa, e i cacciatori erano in
ma parte grazie al grasso di balena, molto meno
continua allerta per riuscire a braccarla.
costoso della cera d’api.
Ma qualche volta, come il toro nell’arena, stretta
Le ossa venivano macinate e lavorate, i denti dei
dai suoi uccisori decideva di
vendere cara la pelle, e con i
ferri delle lance nelle carni si
immergeva profondamente prima che nella barca facessero a
tempo a recidere le sagole, e i
responsabili della stazione di
caccia dovevano cancellare dai
ruolini dei marinai i nominativi di sei uomini.
Questa tecnica, oltre che pericolosa, essendo costiera non
era molto redditizia; anche per
questo motivo l’epoca d’oro
degli olandesi durò poco più di
Comunque non era sempre necessario organizzare la caccia con navi, lance, arpionatori e così
un secolo, e terminò alla fine
via: ogni tanto le balene si “spiaggiavano” e, come dimostra questa rara foto della fine deldel 1700, con l’arrivo dei colo- l’800 ripresa su una spiaggia della California, facevano questa fine
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Come si vede, quindi, la caccia
alla balena è stata importante
nei tempi e, alle volte, determinante per la sopravvivenza
di alcune popolazioni, mentre
per secoli è stata una vera locomotiva trainante di molti
settori industriali. Ma ogni cosa ha un termine.
L’importanza dell’olio di balena per l’illuminazione era tale
e tanto universalmente riconosciuta che lo stesso Melville, nel suo “Moby Dick”, ne
parla in continuazione senza
mai accennare a cosa servisse,
tanto la cosa appariva ovvia e
nota.
La corsa all’”oro liquido”: tre baleniere di una flottiglia peschereccia sono ormeggiate ai
moli di New Bedford mentre, sul molo, sono stati disposti i barili appena sbarcati colmi di
Anche se le balene non si
prezioso olio di balena
esaurivano come le miniere,
se venivano uccise più velocapodogli utilizzati per oggetti artistici, mentre
cemente di quanto si potessero riprodurre sarebquelli delle balene, i fanoni, fornivano le stecche
bero andate verso l’estinzione assieme al loro preelastiche indispensabili per le fabbricazione dei buzioso olio.
sti indossati dalle signore benestanti, secondo il coMa non fu necessario arrivare a questo limite estrestume dell’epoca.
mo: bastò una netta flessione, dovuta ad una caccia divenuta dissennata, della presenza baleniera
Busti, cosmetici e profumi
negli oceani e di colpo il prezzo di candele e olio
Lo spermaceti, sostanza presente nel cranio dei cada illuminazione si impennò: a Londra come a Papodogli, dava candele e olio ad alta luminosità e
rigi, Mosca o Boston, e il panico serpeggiò nel
minima emissione di fumo, ed era utilizzato anche
mondo della finanza quando, tra il 1855 e il 1860,
in cosmetica, come pure l’ambra grigia, presente
ci si accorse che le lampade, invece che a olio di
nell’intestino dei capodogli, dalla quale si ricavavabalena, potevano essere alimentate a petrolio o,
no ricercati profumi.
meglio ancora, con il kerosene, con risultati analoAlla fine della seconda metà del XIX secolo, con il
ghi e una spesa molto minore.
progredire della chimica industriale vennero sviluppati procedimenti come l’idrogenazione dei
grassi che consentivano di trasformare molti grassi
di origine vegetale, ma anche animale (quindi anche quello di balena), in un succedaneo del burro,
la margarina, nutriente, molto meno costoso e facilmente conservabile che, in periodi di carestia e
di guerra, fu estremamente utile, fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Lo scrittore russo Aleksandr Solženicyn, parlando
del periodo nel quale fu internato nel Gulag, dice:
“Ricorda Ivan Dobrjak: “A suo tempo ho trangugiato
molta carne di delfino, di foca, di tricheco, di lontra e
altra porcheria animale marina (intervengo: abbiamo
mangiato carne di balena anche a Mosca, alla barriera
In questa “ghost town” della Georgia del Sud, un tempo base
di Kaluga.)” (Arcipelago Gulag, volume 2, “La vita
baleniera, i serbatoi metallici che un tempo contenevano il
quotidiana degli indigeni”).
prezioso olio giacciono abbandonati
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Il petrolio salva le balene
È vero che il petrolio aveva il difetto di fare fumo
(obbligando ad una continua manutenzione di
bruciatori, stoppini e dei tubi di vetro delle lampade), puzzava, produceva sostanze inquinanti che
con il tempo sporcavano pareti e arredi, ma costava molto di meno dell’olio di balena, non richiedeva flotte e marinai e non si dovevano neanche scavare miniere per trovarlo, perché bastava trivellare
il terreno come per trovare l’acqua.
Così il nuovo arrivato fece entrare in crisi un mercato consolidato da secoli e oramai non più motivato da ragioni di sopravvivenza, ma unicamente
da quelle del profitto, e con lui tutto il comparto
della caccia, delle forniture per la caccia e della distribuzione dei suoi prodotti; questa fu la vendetta
postuma dei milioni di balene trucidate.
Naturalmente tutto questo non accadde dall’oggi
al domani, e il tracollo economico del comparto
non fu subitaneo; ci fu chi tentò di riciclare le proprie attività (ma pescare balene e pescare merluzzi
non è la stessa cosa), chi sperò che si sarebbe trattato di una crisi passeggera (ma riuscì solo a differire
il proprio crack), chi chiuse bottega, attaccò l’arpione al muro e si dedicò ad altre attività, magari nel
settore petrolifero.
Ma se eschimesi, inuit e ciukci continuavano a vivere di caccia alle balene (una infinitesimale parte
del mercato) le flottiglie di baleniere che rientravano ai porti di Nantucket o di New Bedford nel Massachusetts, di Grytviken nelle Falkland/Malvinas o
di Stromness, nella Georgia del Sud, che già non
contavano quasi più sul commercio della carne e,
adesso, dell’olio, non potevano sopravvivere con
quello di fanoni, spermaceti e ambra grigia, anche
perché la moda dei busti era sul viale del tramonto,
e la chimica, che già forniva nuove sostanze per cosmetici e profumi, fra qualche decennio avrebbe
immesso sul mercato la plastica.
Qualcuno tentò di sopravvivere con la “caccia al
massacro”, ossia uccidere quanti più animali possibile per prenderne solo i prodotti più richiesti gettando via carne, grasso, pelle e ossa, fortunatamente pochi, ma la tecnologia era scesa in campo con
nuove armi: le baleniere non erano più velieri ma
navi a vapore, i vecchi arpioni lanciati a mano da
pochi metri erano diventati cannoncini che sparavano ordigni esplosivi da 50 metri di distanza, le
fumose caldaie per sciogliere il grasso e le “whale
farm” impiantate sulla costa erano state sostituite
da bastimenti che alavano da uno scivolo le prede
uccise per sezionarle e lavorarle.
Per fortuna, però, altri Paesi, come quelli nordeuropei, optarono per un forte ridimensionamento della caccia sotto controllo governativo, riducendola
al minimo sufficiente per i propri fabbisogni domestici; altri ancora, come gli Stati Uniti che in fin dei
conti l’avevano praticata solo per commercio e mai
per sussistenza o per tradizione, preferirono abbandonare la partita.
In nome della “gastronomia”
Naturalmente rimase sul campo qualche bastian
contrario come il Giappone che, dopo le guerre
contro russi, cinesi, americani, inglesi, olandesi e
due bombe atomiche sul proprio suolo,
nel secondo dopoguerra riprese a cacciare,
inizialmente spinto dalla necessità ma ben
presto solo per continuare la sua tradizione alimentare e gastronomica.
Ma prima del suo rallentamento, anche
senza considerare le stranezze nipponiche,
nei primi 60 – 70 anni dello scorso secolo
la caccia aveva continuato a progredire,
con improvvise accelerazioni negli anni
fra le due guerre mondiali per via della decisione di molti Paesi di approvvigionarsi
di materie prime (in preparazione dello
sforzo bellico), portando all’uccisione, in
media, di 50.000 esemplari l’anno.
Nel secondo dopoguerra dopo una ripresa
Dal portello poppiero di questa farm ship nipponica vengono issate a bordo
parossistica (all’inizio degli Anni 60 venle carcasse di due cetacei, sovrastate dall’ipocrita scritta “Legal Research Unnero uccise 60-70.000 balene l’anno con
der the ICRW” che dovrebbe giustificare, agli occhi dei responsabili, l’inutile
massacro a fini gastronomici dei cetacei
un picco di 75.000 nel 1961) si è andati
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incontro ad una maggiore
consapevolezza del rischio
di estinzione dei grandi
mammiferi marini, anche
per l’azione di organizzazioni ecologiste e non governative, esenti, quindi, da
qualsiasi tipo di interesse
privato. La balena grigia e la
balena franca sono state dichiarate specie protette, ed
è stata vietata nella maniera
più assoluta la caccia alle
femmine gravide e ai cuccioli di qualsiasi specie.
Dagli Anni 90, poi, sono
nati anche i primi “santuari”, ed ha iniziato a prende- Ed ecco il termine della filiera che vede le balene uccise per una finta ricerca scientifica, ma
macellate e vendute dal banco frigorifero di un negozio specializzato di Tokyo
re piede, sulla scia del bird
watching, il whale watching,
con forti e vantaggiose ricaacqua, riuscendo in breve a liberarla.
dute economiche sul turismo di numerosi Paesi coUn poco spaventati dalla loro stessa incoscienza
stieri o insulari dell’estremo Nord.
(un colpo di coda dato anche involontariamente
L’unico vero problema, oggi, rimane quello del
avrebbe
potuto ucciderli entrambi) tornavano a
Giappone, che, anche se non se ne riesce a capire il
bordo
e
dopo
pochi istanti la balena emergeva di
motivo, continua nella sua dissennata attività, rifronte
a
loro,
iniziando
a poca distanza dalla barca
parando spesso le navi per la caccia e la lavoraziouno sfrenato repertorio di salti, tuffi, immersioni
ne delle balene sotto la fumosa egida di organizzacon affioramenti a sorpresa che durava quasi un’ozioni scientifiche.
ra,
poi Valentina, così i due l’avevano battezzata,
Anche se un’autorità del campo, il professor Toshio
con
calma dirigeva verso il largo e svaniva.
Kasuya della University of Science and Technology di
L’eccitazione di sentirsi all’improvviso libera? Una
Teikyo, in Giappone, dopo aver specificato che
serie
di acrobazie per capire se le sue giunture avequesta cosiddetta caccia scientifica “non è nient’altro
vano
riportato danni? Una sorta di sfogo nervoso?
che una attività economica”, ha poi dichiarato che
Forse.
Non lo sappiamo e non lo sapremo mai, e
“L’Istituto per la Ricerca sui Cetacei sostiene che l’uccinon lo vogliamo neanche sapere. Perché ci piace
sione degli esemplari di balena è indispensabile per racpensare che Valentina, non sapendo in quale altro
cogliere i dati necessari alla ricerca scientifica. In realtà,
modo
farlo, abbia voluto ringraziare come poteva i
dall’analisi dei campioni istologici si possono desumere
suoi
due
nuovi amici organizzando, per loro e solo
solo le quantità di grasso e il tasso di riproduzione,
per loro, il suo spettacolo.
■
mentre una semplice analisi delle feci è sufficiente per
studiare le abitudini alimentari di questi cetacei.”.
Vivi a lungo, Valentina!
Per concludere, però, vogliamo narrare al lettore
un episodio a lieto fine verificatosi nel luglio di
quest’anno al largo delle coste americane.
Due pescatori da diporto stavano pescando in barca nel Mare di Cortez, in California, quando si avvedevano che una balena megattera era incappata
in una rete rimanendovi imprigionata. Sapendo
che il cetaceo rischiava l’affogamento se non riusciva ad affiorare per respirare, si tuffavano in
Vivi a lungo, Valentina
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