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Untitled - Garfagnana Identità e Memoria

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Untitled - Garfagnana Identità e Memoria
N O
P Q
dizionario garfagnino
OCARÌN ~ s.m. Lucherino, piccolo pas-
seraceo dal bel canto (Lenzi).
OCCHIA’ ~ trans. Coniugato come i
verbi in ‘ia’’. Guardare, dar un’occhiata
(Santini, Giustizia, 53: “Un contadìn entrò
drento la stalla / guardò un po’ po’ le bestie, occhiò un vitello…”).
Evidente la derivazione dal lat. oculus
‘occhio’ comune agli altri vocaboli successivi che presentano la medesima radice.
OCCHIALE ~ s.m. Il vocabolo, nella
forma plurale ‘occhiali’, è ricordato dal Poli
nella sua raccolta di parole tipiche dialettali con il significato di ‘denti molari’.
OCCHIALÓN ~ s.m. Persona che vede,
guarda, osserva tutto in modo insistente e
sgradevole.
OCCHIATO ~ agg. partic. Visto, scor-
to. (Santini, Coerenza, 18: “Un giorno un
ciortellón tutto screziato / che, segondo
indù edèra, comidava / i su’ colori per ’un
esse occhiato”).
OCCHIELLÓSO ~ agg. Pieno di oc-
chielli; trattasi di aggettivo che viene usato
con riferimento, pressochè esclusivo, al
pane, al formaggio e al brodo.
ODDIO PAURA! ~ locuz. idiom. garf.
Oddio!, come interiezione, è comune anche
alla lingua italiana. L’espressione idiomatica riferita appare invece abbastanza tipica
del dialetto della Garfagnana per indicare
la percezione di qualcosa atto ad incutere
timore. Dal punto di vista sintattico appare una brachilogia in sostituzione di frasi
tipo: ‘Mio Dio che paura che ho avuto!’, ‘Oh
mamma che spavento che ho preso!’
ODÓRE ~ s.m. Non solo profumo, sensazione percepita dall’olfatto, ma, in specie,
le erbe aromatiche impiegate nel cucinare
i cibi e per insaporire le vivande (quali rosmarino, sedano, carota, salvia, timo, maggiorana, prezzemolo, aglio, cipolla ecc.). In
questo ultimo significato il vocabolo è più
usato al plurale j’odori (ved. supra infarinata). Nello stesso senso si può sentir erbi
o erbucci (ved. supra).
Dal lat. odor ‘odore’.
OFFENDE ~ trans. Il verbo è irregola-
estensione, adesso, all’epoca attuale, al
giorno d’oggi (Oci i giuvinotti ’un èn più
quelli d’una volta). (Bonini, È Pasqua, 43:
“Oci la gente scorda tutti i mali / perché
vole cusì la santa fede”; Santini, Il calcio,
61: “…la gente / oci, per divertissi, caro
Lello, / vol vede’ lavora’ pedestremente”).
Etimologicamente riconducibile al lat.
hodie.
re al pass. rem. io offési (raro offendétti),...
noi offendémmo (offendéttimo, offésimo),
essi offésero (offendéttero, offésino) e al
part. pass. offéso. Oltre che nel significato
comune alla lingua italiana di ‘recare offesa (materiale o morale), provocare una
lesione’, il dialetto garf. lo utilizza con accezione traslata nel senso di ‘danneggiare,
nuocere, ripercuotersi in maniera negativa
su qualcuno o qualcosa’ (’un istà al sole con
’sto caldo che ti pore’ offende la testa!).
Dal lat. offendere ‘offendere, urtare’.
OCI BUIE E DIMÀN FESTA ~ locuz.
OGOSTO ~ s.m. Agosto, ottavo mese
idiom. garf. Espressione che indica gli
dell’anno (Pennacchi, Forsi ò trovo la stra-
ÓCI ~ avv. Oggi, il giorno presente. Per
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‘scialacquatori’ per i quali vale anche il
detto: finchè ce n’è, viva Nenè, quando ’un
ce n’è più, viva Gesù (ved. supra); così Nello Guido Poli nella sua raccolta di parole
ed espressioni tipiche del dialetto locale.
dizionario garfagnino
da bòna, 15: “…che il tempo s’isfogasse
quant’e vole / ma, almén d’ogosto, ci mandasse il sole”). Curiosa l’espressione “i du’
d’ogosto”, usata per indicare i testicoli, di
cui vi è menzione nella raccolta del maestro Poli.
Dal lat. Augustus, nome attribuito ad
Ottaviano, in onore del quale venne così
chiamato il mese compreso tra luglio e
settembre.
OIMMÈNA (OIMMÈNE) ~ interiez.
Ohi, Ohi. Espressione usata per esprimere
dolore stanchezza, ed anche meravigliata
incredulità.
batte (o vi batte poco) il sole. Ombra di
un albero, peraltro vista negativamente in
quanto danneggia le colture sottostanti.
Dal lat opacus ‘ombroso’.
OMBRÈLLO VÈRDO ~ s.m. Tipo di
ombrelli che usavano una volta con grosse stecche di canna e la tela cerata verde
(da cui il nome), detti anche ‘ombrelli da
pastore’: così Gian Mirola, commentando
Bonini (La muntatella, 31) allorchè dice:
“e se tirava vento o se gnevava / gnanco
l’ombrello verdo nun parava”.
OMBROS(E) ~ agg. Scontroso. Vocabolo
originario del dialetto corfinese.
OJO ~ s.m. Olio. Pennacchi usa frequen-
temente questo vocabolo (cfr. La luna ’un
è più lé, 13; Mangiari di casa noscia, 29).
Dal lat. olium a sua volta derivato dal
gr. èlaion ‘olio’ (Passerini Tosi, 1005; conf.
Borgonovo-Torelli, 190).
OMBÙTO ~ s.m. Imbuto. Il vocabolo
è ormai desueto, sostituito dalla variante
italiana, tra l’altro più corretta anche etimologicamente, derivando la parola da
imbutus, part. pass. di imbuere ‘empire’.
OLÓCCO ~ s.m. Allocco, uccello rapace
OMINO ~ s.m. Attaccapanni costituito
da un’asse verticale sulla cui estremità superiore è inserito un uncino e dalla quale
si dipartono lateralmente due bracci che si
utilizza per appendere abiti, giacche, cappotti. Oggi è quasi ovunque sostituito da
un attrezzo a forma genericamente triangolare che consente anche di collocarvi i
pantaloni (piegati sul lato che rappresenta
la base).
Il vocabolo deriva dalla sua forma che
ricorda un uomo stilizzato.
notturno del genere strige. Il vocabolo, che
compare nel detto moraleggiante: finìttero le fave anco all’olocco, a significare che i
tempi bui vengono per tutti, è molto usato
in senso figurato per indicare ‘una persona
goffa, incapace, sciocca’ (Pennacchi, Il Togno e il popo’, 47: “Il popo’ in tutto il mondo
/ quant’è largo e quant’è tondo / serve a da’
fumo in de ji occhi / e po’ fa passa’ da olocchi”). Nelle regioni settentrionali è caduta
per aferesi la o iniziale e viene usato con
il significato di ‘stolto, sciocco’ il termine
‘locco’, peraltro di portata generale (cfr. lo
spagnolo loco, matto) e noto (ved. supra)
anche al dialetto della gente di Garfagnana.
Dal lat. ulucus che peraltro i dizionari
di latino traducono con ‘civetta’ (Castiglioni-Mariotti, 1530).
OMBÀCO ~ s.m. Luogo ombroso, ma
non gradito perché esposto a nord, ove non
ÒMO ~ s.m. Uomo, essere umano di ses-
so maschile. Al plurale può assumere anche un significato collettivo, di ‘umanità,
insieme degli esseri umani’. È impiegato
in moltissime locuzioni, tra le quali òmo
di Chiesa (ecclesiastico, ma anche persona devota, praticante), da òmo a òmo
(sinceramente, in modo schietto, senza
fingere). Tipico, e sostanzialmente logico,
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dizionario garfagnino
il plurale òmi che si sente dire con buona
frequenza al posto del pur diffuso òmini.
(Cfr. Pennacchi, Tipi strani, 10; Il miccio
e il cunijoro, 25; La bota e la topaceca, 30.
Ugualmente cfr. Santini, Il mare visto da
un castiglionese, 33; I pionieri, 67). Caratteristica è l’espressione miòmo (mi’ òmo)
per ‘mio fratello’ (se però a pronunciare
detta espressione è una donna sposata, si
può riferire anche al marito; cfr. Bonini, I
becuri, 34: “Il mi’ omo m’ha ditto ch’è la
foja / che cun tante brinate è allucciurita”);
ved. supra miomo. Non esistono invece le
locuzioni tu’ omo e su’ omo per alludere ai
fratelli di persone diverse da chi sta parlando e neppure mi’ donna per indicare la
sorella. In qualche caso poi miomo significa anche ‘compagno collega’ (Santini, Carlìn e il miccio, 41: “Ma quanti mi ni carichi,
o mi’ omo?”).
Chiara la derivazione dal lat. homo;
meno evidente il fatto che tale parola potesse significare in origine ‘creatura terrestre’, attesa la probabile riconducibilità di
homo ad humus ‘terra’ (così Borgonovo
Torelli, 308 con una tesi di indubbio fascino).
OMOMORTO ~ s.m. Il vocabolo, or-
mai desueto, si trova nel Vocabolario del
Nieri, 135 che, citando il dizionario del
Bianchini, riporta: “strumento di legno
con manichi di ferro, imperniato in un
cilindro posto orizzontalmente, intorno a
cui si avvolge un canapo ad uso di tirare
in alto pesi per le fabbriche, estrar la miniera dalle cave, attingere acqua dai pozzi
e simili. Burbera”. Si tratta, in sostanza, del
verricello attorno al quale si avvolgeva la
catena del pozzo. Con questo termine si
identificava anche l’attaccapanni di legno
costituito da un’asse verticale da cui si dipartono due bracci orizzontali, utilizzato
per appendere abiti, giacche, maglie e camicie (ved. supra omino). In Garfagnana
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Omomorto è però primariamente il complesso di alcune vette delle Panie che contemplate da Pieve Fosciana, da Pontardeto,
da Castiglione, danno l’impressione di un
enorme gigante in posizione supina con le
mani incrociate sul petto, come si usa piegarle ai cadaveri.
OMO SALVATICO ~ s.m. Personaggio
fantastico del folclore garfagnino; individuo schivo, taciturno, muscoloso. Viveva
tra la Pania della Croce e il Monte Corchia. Per quanto d’aspetto poco rassicurante, era in fondo un bonaccione, dotato
di un’arguzia tutta sua: infatti era triste
se c’era il sole, in quanto dopo sarebbe
venuto il brutto tempo e, viceversa, felice
se il tempo era brutto, perchè foriero di
clima migliore. I pastori lo avevano accolto nel villaggio, per approfittare della
sua saggezza ed esperienza, ed egli, per ricambiarli, aveva insegnato loro a ricavare
burro, ricotta e formaggio dal latte. Gli
stessi pastori però, dopo averlo ammirato
per tali insegnamenti, visto che non aveva altro da offrire, lo avevano scacciato ed
egli, allontanandosi, li aveva apostrofati
dicendo: “Poveri sciocchi, se mi aveste
tenuto con voi, vi avrei insegnato anche
a cavar l’olio dal latte”. Era poi scomparso
nel bosco lasciando i pastori amareggiati
e delusi per la loro stoltezza. Per una più
completa informazione cfr. Lorenza Rossi, op. cit., 49.
ONTANAIA ~ s.f. Terreno o campo ove
si trovano numerose piante di ontano.
ONTÒNACO ~ s.m. Intonaco, con evi-
dente metaplasmo.
Dal lat. pop. intunacare, ‘coprire come
con una tunica’ (Borgonovo-Torelli, 148).
ONTRÓN ~ s.m. Ingresso, androne, ma
anche antro.
dizionario garfagnino
OPERA (OPRA) (A) ~ locuz. Espres-
sione usata per indicare il lavoro pagato a
giornata. Questo tipo di rapporto di lavoro
era frequente in passato specialmente per
i braccianti agricoli nei periodi di maggior lavoro nei campi; oggi tale forma di
contratto è quasi scomparsa, pur essendo
tuttavia possibile trovare ancora qualcuno
che va a opera (opra). È termine identico al
sostantivo seguente opra che però indica le
persone che lavoravano a giornata, mentre l’espressione che stiamo analizzando
fa riferimento al sistema di lavoro che le
medesime persone adottavano.
OPRA (OPRE) ~ s.f. Braccianti agricoli,
lavoratori di giornata, cioè pagati a giornata per il loro lavoro; un po’ diversa è la
spiegazione fornita dal maestro Poli nella
sua raccolta di vocaboli del dialetto locale:
“In Garfagnana opra indica lo scambio di
braccianti o lavoratori agricoli. Tale scambio avveniva secondo la quantità di lavoro
che necessitava a questo o a quello. Se in
un podere, ad esempio, mancava la mano
d’opera per vangare, si ricorreva all’ opra
da altri, con il patto di ricambiare chi li
aveva prestati ove ne avesse avuto bisogno”
(Santini, L’Eguajanza, 22: “Quand’erin poveri, opre e cuntadini / mangiavin la polenta e la ricotta…”; cfr. anche Venturelli,
Glossario, 272).
Dal lat. opera ‘giornata di lavoro’, a sua
volta da opus ‘opera, lavoro’.
ÒPRIGO ~ s.m.Obbligo, impegno (San-
tini, Elezioni amministrative, 29: “…votare
/ edè, anco per chi se ne strafotte / oprigo
di coscienza…”).
Dal lat. “obligare” ‘legare intorno’.
ÒRGHINO ~ s.m. Òrgano. Si trova fre-
quentemente nelle Chiese ove veniva suonato per eseguire brani di musica sacra,
pratica ormai quasi desueta, almeno nella
maggioranza delle piccole chiese dei paesi
della Garfagnana (Bonini, È Pasqua, 43:
“…l’orghino fa la solita sonata…”).
Dal lat. organum a sua volta dal gr. òrganon ‘strumento’. Osservano Borgonovo-Torelli, 194: “l’organo era lo strumento per eccellenza e quindi era chiamato
semplicemente ‘lo strumento’ nella Roma
imperiale.
ÓRA 1 ~ s.f. Ora, ventiquattresima parte
di una giornata. Il vocabolo, identico all’italiano, viene qui riportato per segnalare
la variante, assai comune, orétta (ved. infra), impiegata, unita al verbo esse, ad indicare che è giunto il momento di compiere
una determinata azione (è orétta d’anda’ a
casa); la si usa anche per dare l’impressione che il lasso di tempo rappresentato dal
vocabolo sia più breve di un’ora (che ti ci
vole?, studia’ un’orétta!).
Dal lat. hora.
ÒRA 2 ~ avv. Ora, adesso, in questo momento. Bella è l’espressione or è l’anno
(orellànno) per indicare “l’anno scorso, un
anno fa” (ved. infra).
ORBÀCO ~ s.m. Alloro. Il vocabolo ricorre anche in un fiore”(ved. supra), cantato dagli stornellatori e riportato da “La
gente garfagnina dicea…così”, 60: “Fiore
di riso / la passera fa il nido nell’orbaco / la
donna quando canta vol marito / e l’omo
quando fistia è innamorato”.
Etimologicamente deriva dal lat. lauri
bacca.
ORCÌNO ~ s.m. Norcino. Lo troviamo
impiegato da Alcide Rossi nel saggio Antica gastronomia garfagnina su “La Garfagnana” (dic. 1966), richiamato nel citato
lavoro di Lorenza Rossi (ved. infra urcìn,
anche per la singolare derivazione etimologica).
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ORDINÒTTE ~ s.f. L’ultimo rintocco
serale delle campane. Il vocabolo, pur assai
bello, sta gradatamente scomparendo dal
dialetto, anche per la progressiva estinzione delle varie tradizioni religiose, dovuta
al sempre minor numero di sacerdoti e ad
un evidente affievolimento del sentimento
religioso nelle persone o, quanto meno,
delle forme esteriori della liturgia.
ORECCHIA D’ASINO ~ s.f. Erba con
foglie sparse, grandi e pelose; Battaglia,
XII, 67, la identifica nella ‘consolida maggiore’; Lenzi con la plantago lanceolata,
erba commestibile, una volta cotta.
ORECCHITO ~ agg. Dicesi di persona
che stia in ascolto (ved. supra inorecchito).
ORELLANNO ~ avv. L’anno scorso, un
anno fa di questi tempi. Bella locuzione,
ancora viva nella parlata dialettale (Orellanno c’èra ancora il mi’ povero babbo).
Anche Nieri, 135 la riporta: “Vuoi mettere
orellanno con du’ anni fa?”.
ORÈNDO ~ agg. Orrendo, brutto, orri-
bile. L’aggettivo, come oribile, orido, orore
(ved. infra), merita una segnalazione solo
perché dimostra la caduta, nel dialetto
garf., della doppia consonante, particolarmente frequente ove si tratti di doppia r
(guera, tera).
Dal lat. horreo, propriamente ‘rizzarsi
dei capelli’.
ORÉTTA ~ s.f. Ora precisa, ora giusta,
orario consueto (andiàm a casa che ormai
è orétta di disina’). Cfr. Venturelli, Glossario, 272.
ORIBILE ~ agg. Molto brutto a vedersi o
a dirsi, che suscita orrore. Come segnalato
sopra per orendo, si può notare l’usanza
garfagnina di pronunciare spesso con una
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sola r le parole che in italiano presentano
tale consonante doppia.
L’etimologia del vocabolo va ricondotta
alla medesima data per orendo.
ÒRIDO ~ agg. e s.m. Orrido. Luogo ove
non batte mai il sole, dove c’è poca luce,
quasi un peggiorativo di ombaco. Il vocabolo, così come nella nostra lingua nazionale, viene però usato anche per indicare
una stretta gola di montagna, un dirupo,
un alto precipizio che incute paura, ma
fornito di una sua selvaggia bellezza (dunque tutt’altro che orrido).
ORILOGIO ~ s.m. Orologio. Diffuse anche le varianti oriolo e urilogio (Pennacchi,
L’ora legale, 11: “Per ’un sbajà ho rimesso
l’urilogio / in d’un cassetto e buonanotte
Ambrogio”).
Dal lat. horologium composto da hora
‘ora’ e logos ‘conto’.
ORINALE ~ s.m. Vaso da notte. (Santini,
Lo zezzorón, 20: “Vol di’ che ’nvece di be’
nel bicchiere / prometteren di be’ nell’orinale!”).
ORÓRE ~ s.m. Orrore, sentimento di
spavento o raccapriccio che commuove
profondamente; cosa che desta repulsione
(Santini, Drento un confessionale, 64: “Per
cui m’è parvo di vede’ attaccati / a quella
grata vecchia e arucinita / tutti j orori de’
la noscia vita”).
ORSO ~ s.m. Orso. Si riporta il vocabolo
per ricordare l’espressione idiomatica garfagnina mena’ l’orso a Modena nel significato di ‘intraprendere una fatica improba’.
Il detto risale al tempo della dominazione
estense in Garfagnana, quando, sotto le festività natalizie, per un patto stipulato con
il Duca di Modena, i garfagnini dovevano
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condurre un orso vivo fino a quella città e,
con le strade di allora, la cosa non era né
facile né agevole. Da allora è rimasta questa espressione con il significato riportato
sopra.
ÒSSO ~ s.m. Ogni componente dello
scheletro degli animali superiori. La caratteristica del dialetto garf. è di usare,
per il plurale, la forma ossi anche parlando delle ossa degli uomini e delle ossa nel
loro complesso (Pennacchi, La vecchina,
121: “…una nevetta diaccia che pareva
/ entrasse fin a j’ossi della schiena”). Per
quanto questo sia il significato comune
del vocabolo, j’ossi per antonomasia sono
quelli del maiale, tenuti in salamoia dopo
la macellazione ed accompagnati, in un
singolare e piacevole connubio dolce/salato, con la polenta di neccio. Il piatto si chiama infatti polenta co’ j’ossi senza ulteriore
specificazione, essendo sottinteso trattarsi
di ossi di maiale.
Dal lat. ossum ‘osso’.
ÒSSO DEL CULARE ~ s.m. Coccige.
Così Gian Mirola traduce questa espressione richiamata nel suo studio sul dialetto garfagnino ed i suoi poeti. È frequente
anche la variante osso del culaio.
OTOMOBILE ~ s.f. Automobile. Il vocabolo è desueto ed oggi è stato sostituito da ‘auto’ o dal comunissimo machina
(Pennacchi, Tipi strani, 10: “È vero che
oggi a avecci l’otomobile / non occorre più
esse ricco e nobile”).
OTRATA ~ s.f. Parola attestataci poco
frequente e poco nota nel dialetto attuale, di cui si trova menzione nella raccolta
di vocaboli dialettali tipici compilata dal
maestro Poli, che le attribuisce il significato di “caduta sul ventre”.
ÓTRO ~ s.m. Otre, di cui otro rappre-
senta una mera variante vocalica. Si tratta
di un sacco ricavato dalla pelle di un animale (per solito di una capra) cucito in
maniera che possa contenere dei liquidi
senza che fuoriescano autonomamente.
Frequente è l’espressione esse pién com’un
ótro per indicare lo stato di una persona
che ha bevuto o mangiato molto e che
non intende più ingurgitare altro cibo o
altre bevande.
La parola deriva dal lat. uter ‘otre’ (Castiglioni-Mariotti, 1543).
OTTÈLLO ~ s. m. Albergo. Registriamo questo vocabolo (che ci risulta assai
poco usato) perché contenuto nel Glossario del prof. Venturelli, 272, e soprattutto
perché utilizzato da una persona di Eglio
che, narrando la fiaba L’albero dell’idolo
del sole, a pag. 76, dice: “Ora te va’ a ccasa
e me mi metti in un ottello perché non
sanno io chi son e chi nun zon”. C’è da
precisare che il narratore era un garfagnino emigrato in Canada e dunque la
parola, come osserva lo stesso Venturelli,
va ritenuta un americanismo dall’inglese
hotel.
ÓVO ~ s.m. Uovo. Il vocabolo usato in
senso assoluto identifica l’uovo di gallina,
impiegato anche come alimento. Nel dialetto garf. sono presenti molte locuzioni,
tipiche anche della lingua italiana, tra le
quali: óvo gallato (fecondato dal gallo); óvo
affrittellato (fritto in padella con burro o
olio); esse pién cum’un óvo (aver mangiato tanto da sentirsi satollo); óvo benedetto
(sono le uova portate in Chiesa il Sabato
Santo, prima della Messa e benedette al
termine della funzione). Al plurale, accanto alla forma òva, si trova anche óvi e óve
(Santini, Fattoria moderna, 35: “Ni volete
dell’ove? n’ho un valletto”).
Dal lat. ovum ‘uovo’.
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