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Madri disabili: straordinaria normalità

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Madri disabili: straordinaria normalità
5 maggio 2013
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa – Spedizione in abbonamento postale 70% - Roma
RITRATTI INEDITI
Madri disabili:
straordinaria
normalità
M
ZIN
A
G
A
E
LORENZO AMURRI
Un’autobiografia rock
in lizza al Premio Strega
EMILIA ROMAGNA
La fatica di ricominciare
a un anno dal sisma
EDITORIALE
di Luigi Sorrentini
Direttore Centrale Reggente Riabilitazione e Protesi, Inail
A maggio l’Inail si tinge di rosa
P
arlare di donne e lavoro, ma anche di donne e disabilità, ci porta, ancora oggi, a fare una riflessione su una parità che forse fatica a realizzarsi del tutto. Ma ci stimola anche a riconoscere, ancora una volta, quella
particolare dote che le donne hanno di adattarsi meglio e più velocemente
alle situazioni sociali più difficili: la storia lo testimonia.
Basta soffermarsi su qualche cifra: recenti dati Istat hanno rivelato
che – nonostante il maggiore rischio di perdita del lavoro e la notoria differenza di reddito percepito da uomini e donne –, alla prova della crisi economica, il tasso di disoccupazione femminile è sceso negli ultimi otto anni
di quasi un punto percentuale. Dimostrando quindi la migliore capacità di
adattarsi alla minore disponibilità di risorse presenti nel mercato del lavoro e di collocarsi nei settori meno colpiti dalla crisi, quali l’assistenza alle
persone, la filiera agroalimentare e il turismo.
Proprio in quest’ultimo settore si inserisce uno dei progetti Inail presentati in questo numero di SuperAbile Magazine, “Ergon”, con il quale le
donne infortunate potranno acquisire competenze e conoscenze per
lavorare nel turismo accessibile.
E, a proposito di accessibilità, mi fa piacere segnalarvi
che le ultime settimane hanno visto nascere una nuova pagina telematica su Facebook proprio dedicata all’universo femminile nel rapporto con il mondo del lavoro: “InailDonne”,
un ulteriore passo del nostro Istituto verso la multidimensionalità della comunicazione e del rapporto con l’utenza,
ma anche un altro traguardo raggiunto nel cammino verso
la massima integrazione possibile tra le consolidate (e antiche)
competenze dell’Inail e le nuove energie messe a disposizione –
e allo stesso tempo anche richieste – dalla società contemporanea.
Per concludere, troverete in questo numero di maggio anche un fiocco
rosa: grazie a un innovativo progetto di fecondazione assistita a cui ha collaborato l’Inail è nata una bimba, figlia – oltre che dei suoi genitori – anche
un po’ dell’incontro fortunato tra la voglia di ricominciare del papà, infortunato sul lavoro, e l’elevata professionalità e dedizione di quegli operatori
che con orgoglio chiamiamo “colleghi”.
3
Madri non si nasce, si diventa
Il 12 maggio si celebra la Festa della
mamma. Vogliamo farlo anche noi, senza
retorica, con l’inchiesta di questo numero.
Dedicata alle donne disabili che hanno
fortemente voluto diventare madri, un
diritto inalienabile di ogni donna, e a tutte
le donne divenute mamme di un figlio con
disabilità. Poi Lorenzo Amurri (nella foto)
si svela in un’autobiografia candidata al
Premio Strega. Ancora, uno spaccato della
situazione in Emilia Romagna
a un anno dal terremoto
che l’ha colpita: alcune
realtà con lavoratori
disabili raccontano la
fatica di ricominciare.
Rimboccarsi le
maniche è anche
l’atteggiamento dei
genitori che s’inventano
giochi “accessibilmente
modificati” per i loro figli.
Voleremo con i “Baroni rotti”
per i cieli d’Italia: ci hanno
convinti che pilotare un aereo è
possibile, disabilità comprese a bordo.
Tante altre notizie nelle pagine culturali,
nelle rubriche e nelle curiosità, per finire
con i PupaSSi: corrosivi, ma senza cinismo.
NUMERO cinque Maggio 2013
EDITORIALE
3 A maggio l’Inail si tinge di rosa
di Luigi Sorrentini
ACCADE CHE...
5 Diventare genitori dopo
7
un infortunio è possibile
“Ergon”, per lavorare nel
turismo accessibile
L’INCHIESTA
9 Nel nome della madre
10
12
16
19
di Antonella Patete
Stefania, una mamma
come tante
Milena, la vita continua
Lauretta, il segreto
è l’ottimismo
Fabiana, il dovere di essere
felice
Superabile Magazine
Anno II - numero cinque, maggio 2013
Direttore: Luigi Sorrentini
INSUPERABILI
CULTURA
22 La mia seconda vita
30 Benur, centurione infortunato
Intervista a Lorenzo Amurri
di Laura Badaracchi
una gamba di legno
di L.B.
34 Il reporter mutilato
di M.T.
35Al Salone di Torino vietato
non sfogliare
di L.B.
CRONACHE italiane
24 Terremoto, un anno dopo
di Michela Trigari
sotto la lente
26 La rivoluzione dei giochi parte
dal web
di C.C.
RUBRICHE
36 Inail... per saperne di più
Tempo libero
28 Piloti speciali alla cloche
Badaracchi e Diego Marsicano
Direttore responsabile: Stefano Trasatti
Hanno collaborato: Carla Chiaramoni,
Giorgia Gay, Serena Termini, Michela
Trigari di Redattore Sociale; Franco
Bomprezzi, Gian Piero Ventura Mazzuca,
Simone Ramella; Erica Battaglia, Antonello
Giovarruscio, Rosanna Giovèdi e Daniela
Orlandi del Consorzio sociale Coin
Progetto grafico: Giulio Sansonetti
40
40
41
Cani assistenti, non solo guide
e amici
di Gian Piero Ventura Mazzuca
Dirac, genio dei quanti in odore
di autismo
di A.P.
Il pranzo della domenica
Al Posta
di Carla Chiaramoni
Le parole per dirlo
Handicap
di Franco Bomprezzi
In un video l’Italia ospitale
di M.T.
Prestazioni: accreditato
41
il Centro di Vigorso di Budrio
37 Fisco
Guida dell’Agenzia delle Entrate Dulcis in fundo
38 Senza barriere
42 Strissie - I pupassi
Il fascino accessibile di Berlino
di Adriana Farina
39 L’esperto risponde
e Massimiliano Filadoro
Scuola, Ausili
di un aereo
di Giorgia Gay
In redazione: Antonella Patete, Laura
di A.P.
31 Da 007 a scrittore. Con
PINZILLACCHERE
40Il francobollo del mese
Editore: Istituto Nazionale
per l’Assicurazione contro gli Infortuni
sul Lavoro
Redazione: Superabile Magazine
c/o agenzia di stampa Redattore Sociale
Piazza Cavour 17 - 00193 Roma
E-mail: [email protected]
Stampa: Tipografia Inail
Via Boncompagni 41 - 20139 Milano
Autorizzazione del Tribunale di Roma
numero 45 del 13/2/2012
4
Grazie, per averci gentilmente concesso
l’uso delle foto, a Fabrizio Caperchi (pag.
3), Simona Ghizzoni (pagg. 4, 9-19),
Chiara Vettraino (pag. 6), Paolo Ranzani
(pagg. 28-29).
In copertina, Milena Di Gennaro con i
suoi gemelli, ritratta da Simona Ghizzoni.
Un ringraziamento speciale
alla fotografa e all’associazione Zona
(Zona.org) per la collaborazione preziosa
nella realizzazione dell’inchiesta.
ACCADE CHE...
FioCCo ROSA
Diventare genitori dopo un infortunio è possibile
È
il primo programma
di procreazione
medicalmente assistita
finanziato dall’Inail. E
con esito positivo: circa
sei mesi fa, infatti, è nata
una bimba. Il progetto
si chiama “Camelia: il
desiderio di diventare genitori” ed è stato attivato
nel 2011 una Sede romagnola dell’Istituto, dopo
che una coppia aveva
manifestato la voglia
di avere un figlio nonostante lui fosse in sedia
a ruote in seguito a un
infortunio. Così l’Istituto
Montecatone di Imola
(Bologna) ha indirizzato
marito e moglie verso
il Centro di fisiopatologia della riproduzione
umana dell’Ospedale
Careggi di Firenze. Poi
la terapia ormonale, il
supporto medico, psicologico ed economico,
persino un corso di yoga
per far fronte allo stress
della futura mamma.
B. e C. (che vogliono
tutelare la loro privacy),
oggi 46 e 34 anni, si
incontrano nel 2004. Lui
viene da una convivenza
finita per via dell’incidente, avvenuto due anni
prima mentre tornava
a casa dal lavoro; lei è la
ragazza romena assunta
per accudirlo. Ma il loro
rapporto cambia e si
sposano nello stesso
anno. La nostalgia della
paternità – maturata
con i figli che la sua ex
compagna aveva avuto
da un precedente matrimonio – e il desiderio di
maternità della moglie
li spingono a manifestare all’Inail il desiderio
di avere un bambino.
Ecco allora il progetto
“Camelia”. «Durante i
viaggi continuavamo a
chiederci come sarebbe
andata a finire – commenta B. –, anche perché
in ospedale abbiamo
conosciuto tante coppie
che ci raccontavano di
problemi. Noi abbiamo
avuto molta fortuna: C.
infatti è rimasta incinta al
primo tentativo, anche se
per lei è stata abbastanza
dura. Ma vedere nostra
figlia ci ripaga di tutto.
Ora siamo contentissimi,
tanto che stiamo già
pensando a un fratellino».
Dei 4.500 euro di spese
previste, 2.700 sono stati
erogati dall’Inail, che ha
seguito la coppia con
un’équipe multidisciplinare; il resto dalla Asl.
[M.T.]
il concorso
Al via le iscrizioni all’Asperger film festival
S
ono aperte fino al 15 maggio le iscrizioni alla prima edizione
dell’Asff (As film festival 2013), mostra di pellicole rivolta a
persone con sindrome di Asperger; bando su Asfilmfestival.
org. Proiezioni, incontri e premiazioni si terranno a metà
giugno a Roma. Realizzato da Cineclub Detour e Studio Kilab
con il Gruppo Asperger e grazie al programma comunitario
“Youth in action”, il festival prevede una sezione per
cortometraggi e l’altra per lavori senza limiti di durata, oltre
a una vetrina dedicata a “Cinemautismo”, rassegna promossa
dall’Associazione Museo nazionale del cinema di Torino.
piacenza
Paracycling: causa crisi, saltano le gare
A
nnullata la quinta edizione della
Piacenza Paracycling, in programma
il 25 e 26 maggio, una manifestazione
sportiva internazionale riconosciuta
dalla Federciclismo italiana. «La gara è
stata vittima della congiuntura economica – spiega il comitato organizzatore
–. Nei primi mesi dell’anno alcune
aziende che ci avevano inizialmente
garantito la propria disponibilità hanno
iniziato ad avere dubbi. Abbiamo
cercato altri sostenitori, ma di fronte
alle ultime defezioni non possiamo
garantire l’evento. Non siamo in grado
di far fronte alle spese». «Non si tratta di
un addio, ma di un arrivederci al 2014»,
dice Stefano Magnani, presidente del
Pedale Castellano, la società che organizza la due giorni insieme al Velo Sport
Borgonovese.
5
È nato il Foro spagnolo
di cultura inclusiva: un
organismo consultivo
con rappresentanti di
ministeri, associazioni
di disabili ed esperti in
materia di accessibilità.
Campo in cui la Spagna
ha già fatto progressi:
adeguamento di alcuni
monumenti nazionali,
sottotitolazione o
descrizione audio dei
principali spettacoli
teatrali, Piano
d’accessibilità nei musei
statali. In cantiere un
sito web sulle risorse
culturali per tutti, una
Giornata nazionale
di cultura inclusiva
e un “marchio di
accessibilità” per gli
operatori.
ACCADE CHE...
buone pratiche
Il bilancio sociale Aipd in versione facilitata
L
avoro, scuola, consulenza, progetti per l’autonomia nel bilancio
sociale 2012 dell’Associazione italiana persone down, pubblicato
anche in una versione facilmente leggibile da chi ha questa sindrome.
«Siamo convinti che il nostro fare – sottolinea il presidente Mario
Berardi – debba essere condiviso da tutti». Quanto ai prossimi
obiettivi, le nuove attività dell’Aipd si concentreranno principalmente
sugli adulti e sulle persone con maggiori difficoltà cognitive,
comportamentali e di salute. Ad aprile, intanto, è partito il progetto
“Turisti non per caso”: guide ad alta comprensibilità alle città europee
scritte dalle stesse persone down. (foto: Chiara Vettraino, Aipd Roma)
sicilia
assistenza
A lezione di ristorazione e non solo Un blog per i caregiver familiari
O
Inaildonne, il social
network in rosa.
A cura dell’ufficio
stampa dell’Istituto,
è nata una pagina
tematica su Facebook
sul mondo del lavoro
al femminile. Con uno
sguardo professionale
su sicurezza e infortuni,
stress da lavoro
correlato, mobbing e
malattie professionali.
In Francia
l’accessibilità è un
miraggio. A rilevarlo,
l’ultimo rapporto
statale. E la proposta
di rimandare al 2022
il limite fissato per
adeguare servizi,
trasporti e luoghi
pubblici non piace alle
associazioni di disabili.
Intanto il 20% delle case
resta inaccessibile.
biettivo cooperative
sociali. Seguendo
prima un percorso di formazione nei settori della
ristorazione e del turismo
accessibile. È quello
che prevede il progetto
“Abil-mente”, voluto
dall’Associazione siciliana
medullolesi spinali con
le associazioni culturali
E20 ed Ethos, l’Endas
(Ente nazionale democratico di azione sociale)
Sicilia e Sts srl. Finanziato
dall’assessorato regionale Famiglia, politiche
sociali e lavoro e da fondi
europei, il progetto
è rivolto a 12 persone
con disabilità fisica e
psichica disoccupate o
inoccupate, in possesso
di licenza media, di cui il
50% donne. Al termine
dei due itinerari professionalizzanti saranno
rilasciate le qualifiche di
addetto ai servizi per la
ristorazione e addetto al
turismo sociale e accessibile.
Seguiranno otto mesi
di esperienza lavorativa
in azienda al fine di
creare due cooperative
sociali.
R
aggiunta quota mille
adesioni per l’azione
legale collettiva che
chiede il riconoscimento
giuridico della figura
del caregiver familiare.
Un’iniziativa lanciata dal
Coordinamento nazionale famiglie di disabili
gravi e gravissimi e che
ha dato vita al blog “La
cura invisibile”. I ricorsi
collettivi saranno depositati presto nei tribunali
di Milano, Palermo e
Roma. «Oltre il 70%
degli aderenti è di sesso
femminile», dicono i
promotori: il lavoro di
cura pesa soprattutto
sulla donna, che «vive
in media anche 17 anni
in meno rispetto alle
altre donne». Un fatto
che comporta spesso
l’istituzionalizzazione
dell’accudito, «con
costi così elevati per la
collettività da rendere
incomprensibile la
mancanza di prevenzione». Le regioni con
più adesioni? Lazio,
Lombardia e Piemonte;
agli ultimi posti Molise,
Basilicata e Valle d’Aosta.
Dislocazione che «ricalca
le difficoltà di accesso a
Internet».
pordenone
La bici per chi non riesce a pedalare
P
er le persone disabili che non riescono a pedalare, zazione del prototipo e, una volta finito, vorremmo
ecco una bicicletta che sostituisce il moto circopresentarlo ad alcune aziende specializzate – dice
latorio con quello a slittamento. L’idea è
il dirigente Giovanni Dalla Torre –. Sarebbe
venuta a un gruppo di studenti dell’Istituto
un importante collegamento con il mondo
“Zanussi” di Pordenone, Tommaso Del Col e
dell’industria». «Prevediamo di installare il
Luca Modenese primi fra tutti, all’interno di
nuovo pedale nella seconda metà del prosun progetto scolastico professionalizzante
simo anno scolastico», riferisce la docente
che coinvolgerà anche dieci ragazzi disabili
Paola Capone. Per gli alunni del “Zanussi”,
dell’istituto. «Ora siamo nella fase di realizquindi, ancora molte ore di laboratorio.
6
chiesa
Proclamato beato il samaritano dei disabili
A
postolo di malati e disabili: mons. Luigi Novarese è stato proclamato
beato l’11 maggio. Nato il 29 luglio 1914 a Casale Monferrato, a nove
anni si ammala di tubercolosi ossea. Nel 1931, miracolosamente guarito,
sceglie di diventare sacerdote. Nel 1947 fonda il “Centro volontari della
sofferenza” e tre anni dopo i “Silenziosi operai della croce”, associazione
di consacrati (uomini e donne, preti e laici) che annunciano a malati e
disabili il senso cristiano del dolore. Obiettivo? Togliere le persone con
disabilità dai ghetti in cui erano confinate e integrarle nella società
attraverso il lavoro e l’autonomia anche dal punto di vista economico. Si
spegne a Rocca Priora (Roma) a 70 anni, il 20 luglio 1984.
ravenna
Una guida per l’integrazione dei ragazzi disabili
S
alute, educazione, scuola,
tempo libero, diritti e trasporti. È il contenuto di Quello
che va in giro torna, opuscolo
che elenca le opportunità
offerte ai ragazzi disabili dal
Comune di Ravenna e dalla
rete territoriale dei servizi. «La guida va a
colmare un vuoto informativo e indirizza
le famiglie verso le strutture e le varie
possibilità d’integrazione a disposizione dei loro figli», spiega Andrea
Canevaro, docente di Pedagogia
speciale all’Università di Bologna
e consulente editoriale del testo.
«Dopo il progetto per gli alunni
con disturbi dell’apprendimento
– aggiunge l’assessore all’Infanzia e istruzione Ouidad Bakkali –, ecco un altro passo
a tutela delle fasce più deboli».
mondo inail
“Ergon”, per lavorare
nel turismo accessibile
C
ambiare vita e lavoro è possibile.
Soprattutto dopo un grave infortunio.
Grazie al progetto “Ergon” – frutto della
collaborazione tra l’Inail di Trento, la
cooperativa sociale Arché e l’Azienda di
promozione turistica della Valsugana –
due assistite dell’Istituto potranno entrare
in un percorso formativo che le porterà
ad acquisire le competenze necessarie
per diventare organizzatrici di vacanze
accessibili, orientate tanto al relax quanto
allo sport e al divertimento. Questo perché l’Apt della Valsugana e Arché, che si
occupa in particolare di vela per disabili,
hanno iniziato già da tempo una mappatura di alberghi e attività ricreative del
territorio in grado di ospitare persone
con disabilità, comprese le strutture che
permettono di dedicarsi alla pratica sportiva. Le due donne si dedicheranno alla
creazione di pacchetti turistici per chi ha
ridotte capacità motorie o sensoriali.
diritti
Sordocecità: pochi servizi
e molti reclusi in casa
I
n Italia sono più di mille le persone
sordocieche, ma non molti i gruppi organizzati: uno a Torino e pochi altri. Una
realtà spesso dimenticata e priva di un’associazione nazionale che le rappresenti.
A fare il punto della situazione è stato il
primo convegno nazionale dei sordociechi
organizzato dall’Ens (Ente nazionale sordi)
proprio nel capoluogo piemontese. «A
causa del mancato riconoscimento della
lingua dei segni, della scarsità dei servizi,
degli esigui fondi per le nuove tecnologie
e della poca informazione, molte persone
sordocieche sono costrette a vivere recluse
in casa, senza poter lavorare o andare a
scuola», ha affermato l’attivista Christine
“Coco” Roschahert. Nata in Canada 33
anni fa, documenta le sue esperienze in
tutto il mondo nel blog Tactiletheworld.
wordpress.com.
Slittata la data di chiusura degli Opg.
Dal 31 marzo 2013 si è passati all’1 aprile
2014, in attesa che le Regioni realizzino
strutture sanitarie sostitutive agli ospedali
psichiatrici giudiziari. Lo ha stabilito un
decreto legge approvato dal governo,
sollecitando «interventi che supportino
l’adozione di misure alternative
all’internamento, potenziando anche i
servizi di salute mentale sul territorio».
7
ACCADE CHE...
palermo
Alessio, primo autistico al conservatorio
H
a 24 anni, si chiama
Alessio e dal 2008
studia al “Bellini” di
Palermo. È il primo
ragazzo autistico in
Italia a essere iscritto al
conservatorio. Dopo sei
anni di porte in faccia,
grazie alla tenacia dei
genitori, sta coronando
il suo sogno: diventare
un pianista. Ma suona da
quando aveva dieci anni,
seguito da un maestro/
tutor che lo assiste anche
durante le lezioni al liceo
musicale. Frequenta
anche l’Accademia di
belle arti (pittura e disegno). «Mio figlio, che fino
a sette anni non parlava
– racconta la mamma,
Cinzia Allegra –, è sempre stato portato per la
musica. Per farlo entrare
al conservatorio abbiamo lottato con tutti
i mezzi. Ci dicevano che
il ragazzo era bravo, ma
non poteva farcela per
via della sua patologia». Prima un sollecito
dell’avvocato, poi la
partecipazione alla trasmissione Ricomincio da
qui, infine un progetto
ministeriale ad hoc.
Prossima battaglia? Una
borsa di studio.
[Serena Termini]
sport
Senza sponsor gli Europei di calcio non vedenti
Nuova convenzione
fra Comitato italiano
paralimpico e Inail.
I rispettivi presidenti
Luca Pancalli e
Massimo De Felice
L
a Federazione italiana sport paralimpici ipovedenti e ciechi lancia un
appello. Il nono Campionato europeo
di calcio non vedenti, che si terrà a
Loano (Savona) dal 10 al 24 giugno, è
in cerca di sponsor. «Manca la visibilità
e si crede poco in questa disciplina»,
afferma il responsabile organizzativo
Giancarlo Di Malta. Ai prossimi europei
si incontreranno otto squadre: Italia,
Francia, Germania, Inghilterra, Russia,
Turchia, Spagna e Grecia. La favorita
è la Francia, finalista contro il Brasile
alle ultime Paralimpiadi. L’Italia è
stazionaria, oscillando tra il settimo e
l’ottavo posto. Infine, nel campionato
italiano giocano Napoli, Siracusa, Bari,
Lecce, Liguria e Marche, mentre Empoli
e Roma quest’anno sono fuori dal
torneo.
Tempo libero
hanno rinnovato
per un quadriennio
l’accordo, in vigore dal
2 luglio, che favorirà
la sperimentazione
di protesi per atleti in
collaborazione con il
Centro Inail di Vigorso
di Budrio. Oltre a
promuovere la pratica
sportiva per persone
disabili, sportelli
informativi, eventi e
rapporti con enti o
istituzioni per sostenere
progetti di riabilitazione
e integrazione mediante
lo sport, l’intesa offre
agli infortunati sul
lavoro il tesseramento
gratuito al Cip e copre
il costo di un corso
annuale.
Bandiere lilla per un turismo
senza barriere
pisa
Anche in Toscana il Garante
per le persone con disabilità
D
opo la Sicilia e la
Puglia, arriva anche
in Toscana il Garante per
le persone con disabilità.
A istituirlo è il consiglio
comunale di Pisa. Questa
figura «si pone come
un punto di riferimento
per la tutela dei diritti e
degli interessi individuali
o collettivi in materia di
disabilità», si legge nel
regolamento. Figura, il
garante, che interviene
«su istanza di parte o di
propria iniziativa in ordine a ritardi, irregolarità
e negligenze nell’attività
dei pubblici uffici al fine
di concorrere al buon
andamento, all’imparzialità, alla tempestività e
alla correttezza dell’amministrazione». La sua
funzione, quindi, è
quella di ricevere segnalazioni da parte delle
persone disabili o delle
loro famiglie, in merito
soprattutto alle inadempienze delle istituzioni
sulle quali esercita
un’azione di pressione e
controllo.
8
B
andiere lilla per
segnalare le strutture
turistiche accessibili. Si
parte dalla Liguria, che
farà da apripista alla
campagna nazionale.
«Dopo la certificazione
dei Comuni del territorio
– spiega Angelo
Berlangieri, assessore
regionale al Turismo –,
il riconoscimento sarà
esportato anche nel resto
d’Italia». Per passare
l’esame occorre il 50%
del punteggio massimo,
secondo i parametri
stabiliti dalla Consulta
ligure delle disabilità:
accessibilità di strutture
e infrastrutture, iniziative
rivolte alle persone
disabili, presenza di
menù specifici per
le diverse esigenze
alimentari. Inoltre i
Comuni dovranno avere
anche il 10% di bandiere
lilla nella propria
ricettività.
l’inchiesta
Nel nome della madre
Non c’è un solo modo di essere mamma. Tra entusiasmi e complicazioni, ognuna
trova la sua speciale via alla maternità. Quattro donne raccontano la propria storia:
tre sono disabili, una ha una figlia con disabilità. Ma le loro esperienze sono uniche,
come i volti che vi presentiamo in queste pagine
Antonella Patete/foto Simona Ghizzoni
l’inchiesta Nel nome della madre
Stefania,
una mamma
come tante
S
e non ci fosse stato quel tumore
spinale, l’operazione al Policlinico
“Umberto I” di Roma, la lunga riabilitazione all’Istituto “Santa Lucia” e
la sedia a ruote, la vita di Stefania sarebbe completamente diversa da quella
che è oggi. Sarebbe un’altra vita, addirittura. Lei non vivrebbe nello spazioso appartamento di Fonte Laurentina,
subito oltre il raccordo anulare romano, non ci sarebbe suo marito Giampiero e soprattutto suo figlio Giacomo,
i cui impegni scandiscono le giornate
di Stefania, come quelli di tante madri alle prese con le numerose attività
dei propri figli: la scuola, lo sport, il catechismo. Come se ci fossero due vite,
insomma. Quella di prima, in cui Stefania ragazza lascia Orbetello per andare a studiare Lettere e filosofia con
indirizzo demo-etno-antropologico
nella Capitale, abita a casa degli zii e
dopo la laurea torna dai suoi per lavorare presso un tour operator. Quella di
dopo l’operazione, che vede una Stefania ormai donna accettare la sua nuova
condizione con una forza e un’energia
che mai avrebbe pensato di avere. Che
si fidanza, si sposa, si trova un nuovo
lavoro e poi si lancia nella più straordinaria e normale delle avventure per
una donna: mettere al mondo un figlio.
Capelli scuri e ricci, sorriso aperto, non è certo una abituata a presen-
tarsi come un’eroina. La sua qualità
più evidente è l’abitudine a minimizzare. «All’età di 26 anni ho cominciato a sentire un formicolio alle gambe e,
un mese dopo, riuscivo a malapena a
camminare – racconta –. Dagli accertamenti è venuto fuori che si trattava
di un tumore alla colonna vertebrale.
Per fortuna è risultato benigno». Dopo
l’operazione il periodo più nero, sette
mesi all’interno del “Santa Lucia”, il
principale polo romano per la riabilitazione neuromotoria. «È stato un periodo molto intenso, brutto e al tempo
10
Le foto dell’inchiesta e della
copertina sono di Simona
Ghizzoni. Nata a Reggio Emilia
nel 1977, dal 2005 si dedica alla
fotografia documentaristica,
con particolare riguardo
alla condizione della donna.
Con un’immagine del lavoro
Odd Days, sui disturbi
dell’alimentazione, vince il
terzo premio nella categoria
ritratti al World Press Photo
2008 e, con lo stesso progetto,
nel 2009 il Photoespaña
Ojodepez Award for Human
Values. I suoi lavori vengono
esposti a Paris Photo 20082009-2010 con la Galleria Forma
di Milano. Con Afterdark, un
progetto a lungo termine sulle
conseguenze della guerra
sulle donne, vince il terzo
premio Contemporary Issues
singole al World Press Photo
2012. Collabora con l’agenzia
“Contrasto” e con l’associazione
“Zona”.
stesso bello – spiega –. Vivevo lì giorno
e notte, facendo faticosamente i conti
con la mia nuova condizione. Ma proprio in quei mesi ho conosciuto l’uomo
che poi è diventato mio marito: lavorava come poliziotto, ed era ricoverato anche lui in seguito a un terribile
incidente stradale durante l’attività di
servizio». Poi Giampiero si è rimesso
in piedi, entrambi sono stati dimessi e quattro anni dopo si sono sposati. «I miei futuri suoceri mi hanno
accettato bene fin dall’inizio, se hanno avuto qualche perplessità se la sono tenuta per sé». Nel frattempo tanti
viaggi, l’acquisto della casa dove vivono attualmente e l’impegno di Stefania
all’interno della squadra di nuoto agonistico del “Santa Lucia”. «Per me che
non sono mai stata una sportiva è stata
una bella sfida – ricorda –. Mi è servita non solo come riabilitazione a livello
motorio, ma soprattutto per ricostruire l’autostima e la fiducia in me stessa.
Ho conosciuto persone che mi hanno
aiutato a capire come fosse possibile
continuare a condurre una vita autonoma». Dopo il matrimonio Stefania
ha trovato il suo attuale lavoro: operatrice presso il call center di SuperAbile, dove risponde alle telefonate degli
utenti che hanno bisogno di informazioni, suggerimenti e qualche volta anche solo di essere ascoltati. Nel 2003 è
Mio figlio non mi
ha mai fatto
domande sulla mia
sedia a ruote o forse
non me le ricordo
più. È sempre stato
tutto molto normale
nato Giacomo. «È stata una gravidanza bellissima – racconta –. Nessun
problema a rimanere incinta, nessuna
nausea, tutto liscio come l’olio. Ho effettuato un parto cesareo programmato e il bambino ha preso subito il mio
latte. È sempre cresciuto bene, l’ho allattato fino all’età di un anno». Ad aiutare Stefania sono subito arrivati i suoi
genitori, che dopo un po’ si sono trasferiti da Orbetello a Roma. «Non mi
ricordo grandi difficoltà, siccome non
potevo spingere il passeggino lo tenevo
sempre con me nel marsupio. Non appena ha cominciato a camminare, non
potendogli tenere le manine, creavo un
percorso di sedie che lo aiutasse a bordeggiare. E quando si sentiva stanco si
accucciava sui miei piedi».
Se oggi potesse cambiare qualcosa del suo passato, Stefania fa-
rebbe sicuramente un secondo figlio.
Quando è arrivato Giacomo aveva 33
11
l’inchiesta Nel nome della madre
anni, e all’epoca le apparivano tanti. «Già mi sembrava difficile con un
bimbo piccolo, figuriamoci con due.
Inoltre durante l’allattamento ero ingrassata tanto, e io non me lo posso
permettere: muoversi in sedia a ruote diventa davvero faticoso se prendi
peso. Ora penso che, se avessi voluto,
avrei potuto farlo. Ma alla fine le cose
sono andate così».
L’arrivo del bambino ha portato anche un nuovo modo di vivere la vita.
Stefania ha conosciuto altre mamme,
alcune delle quali oggi per lei sono diventate come sorelle. «Sono completamente autonoma, ma ci aiutiamo a
vicenda ogni volta che possiamo. Se
non posso andare a prendere mio figlio
a scuola o accompagnarlo a fare sport,
c’è sempre qualcuna che si offre di aiutarmi. Non ho la più pallida idea di cosa voglia dire essere sola».
Intanto Giacomo cresce sereno e
«pacioccone», com’è sempre stato fin
da piccolo. Oggi ha dieci anni e sta per
fare la prima comunione. Mostra serio
il quaderno di scuola per dimostrare
che studia già I promessi sposi ed ecco che spicca un bel dieci alla fine di
un compito. Se glielo fai notare, abbassa lo sguardo di imbarazzo e piacere.
«Non mi ha mai fatto particolari domande sulla mia sedia a ruote o forse io non me le ricordo più – precisa
sua madre –. È sempre stato tutto molto normale. Appena ha avuto l’età per
farlo ha cominciato a correre avanti per
strada con l’intento di segnalare un
gradino o una qualsiasi barriera architettonica». A volte spinge correndo la
carrozzina di sua madre. Qualche tempo fa Stefania gli ha domandato: «Meglio una mamma in piedi o in sedia a
ruote?» La risposta di Giacomo non si
è fatta attendere: «Meglio una mamma
come te!».
Milena,
la vita continua
12
Al mattino
ci impiego un’ora
ad andare al lavoro,
per stare nei tempi
dobbiamo alzarci
alle cinque. Nella
mia situazione
ci vuole più tempo
per fare le cose
«D
onna, disabile, madre e lavoratrice. Nella mia persona incarno tutte le gioie e le
difficoltà di queste quattro figure diverse». Filomena Di Gennaro, che tutti chiamano Milena, si presenta senza
tanti giri di parole, dimenticando per
un momento quell’orribile fatto di cronaca che l’ha resa celebre suo malgrado e l’ha portata a vivere su una sedia
a ruote. Perché, sebbene il peso del
passato condizioni ancora la sua vita, il suo appartamento alla periferia
Nord di Roma parla d’altro. I due lettini, i giocattoli sparsi ovunque in salotto, il grande recinto dei giochi tra il
divano e il televisore rivelano, inequivocabilmente, la presenza di due bambini. Gabriel e Samuel, quei gemelli
tanto desiderati e a lungo attesi, che
oggi all’età di 14 mesi colmano di gioia Milena e suo marito Peter, mettendoli al tempo stesso di fronte a uno dei
principali crucci della famiglia contemporanea: la conciliazione dei tempi
di vita e di lavoro, a cui si aggiungono
i diktat di un budget gravato da nuove
esigenze e nuove spese. Trentaquattro
anni e un viso ancora da bambina, Milena condivide con tante sue coetanee
il tentativo quasi impossibile di trovare la quadratura del cerchio: essere
madre attenta e lavoratrice ineccepibile, districandosi tra la ricerca del nido
più adatto, la cura della casa, il bilancio familiare, le necessità personali.
Ma quando si parla di figli la fatica passa spesso in secondo piano. Per lei, madre da poco più di un
anno, lo sguardo è tutto rivolto ai suoi
bambini. La gravidanza poi è un ricordo ancora vivido. Come la felicità
del primo incontro con i nuovi arrivati. «Fin dalla prima ecografia sono risultati due gemelli, si sono viste subito
due camere gestazionali – racconta –. E
al secondo controllo ecografico era già
possibile ascoltare il battito del cuore».
Eppure non tutto è andato liscio come
l’olio. A cominciare dalle incertezze
dell’inizio. «Ho desiderato a lungo un
figlio, ma c’è poca casistica e poca conoscenza per casi come il mio – prose-
13
gue –. Per esempio non era chiaro se i
farmaci che assumevo potessero essere
pericolosi in gravidanza, così nel dubbio ho deciso di sospenderli. E poi, una
volta incinta, ho riscontrato una scarsa
organizzazione da parte delle strutture pubbliche: in ospedale non c’era una
stanza attrezzata, anche se il personale era disponibile». Dopo trentaquattro
settimane e cinque ricoveri in ospedale, Gabriel e Samuel sono finalmente venuti alla luce. Nati troppo presto
per tornarsene a casa dopo le classiche
48 ore di osservazione, sono rimasti in
neonatologia ancora per qualche settimana. «Era inverno, un giorno venne
perfino a nevicare, Roma era bloccata. Io e mio marito affrontammo sette
ore di macchina per poter stare con loro mezz’ora».
Le difficoltà delle prime settimane
non erano però ancora finite, perché
qualche giorno dopo Milena, Peter e
i due gemelli erano di nuovo in corsia: «Samuel si era preso la bronchiolite e a ruota si è ammalato anche il
fratello, così siamo restati tutti e quat-
l’inchiesta Nel nome della madre
tro in ospedale per 15 giorni. È stato
l’inferno: non c’erano culle, ma solo
lettini troppo grandi per loro, dovevamo somministrargli da soli i farmaci,
i bambini erano sotto flebo e sotto ossigeno. Fortunatamente, una volta finito il ricovero, tutto è andato bene:
i piccoli hanno cominciato a crescere nella norma e noi siamo usciti dalla
fase più preoccupante». Per entrare in
quel periodo della vita che rappresenta la croce e delizia di ogni genitore: il
latte, lo svezzamento, le pappe, il sonno, l’inserimento al nido, i primi passi. «La notte non si dorme, si svegliano
in continuazione – dice Milena –. Al
mattino ci impiego un’ora ad andare
al lavoro, per stare nei tempi dobbiamo alzarci alle cinque. Nella mia situazione ci vuole più tempo per fare le
cose, non posso contare sulla velocità
di una volta. E poi noi facciamo tutto da soli – continua –. Mio marito mi
dà una grossa mano, possiamo contare soltanto su una signora che ci aiuta
nelle faccende domestiche. Vuoi o non
vuoi, la disabilità incide sulla mia realtà di oggi».
Non da sempre, infatti, Milena
è stata disabile. Sono passati sette
anni da quel tragico 13 gennaio 2006,
quando il suo ex fidanzato le sparò.
All’epoca la sua vita era a una svolta:
era entrata nell’Arma dei carabinieri e
14
Noi ci siamo creati
una famiglia con la “normalità”
di una vita vissuta in sedia
a ruote, dove anche un gradino
può fare la differenza
stava frequentando il corso per diventare maresciallo a Velletri, in provincia di Roma. L’uomo che era stato con
lei per dieci anni provò a ucciderla dopo un ultimo tentativo di chiarimento,
perché lei aveva deciso di mettere fine
a un rapporto ormai logorato. A salvarla, un attimo prima dell’ultimo colpo di pistola che le sarebbe costato la
vita, il tenente che in seguito è diventato suo marito. Lei gli aveva confidato
dell’incontro imminente solo per un
caso fortuito: non presagiva nulla, infatti, pensava di conoscere bene il suo
ex. Lui però l’aveva messa in guardia
lo stesso e poi, per eccesso di zelo, l’aveva seguita.
Per fortuna è riuscito a intervenire un attimo prima che l’uomo riuscisse a ucciderla. La beffa è stata che,
dopo l’episodio, Milena è stata congedata dall’Arma. A questo ricordo per
la prima volta – e inevitabilmente –
Milena si rabbuia. «Dopo il liceo, mi
sono laureata in psicologia – dice seguendo il filo di una storia che ha già
percorso mille volte –. Ma il mio desiderio, fin da piccola, era quello di entrare nei carabinieri. Quando ho vinto
il concorso ho provato una gioia incredibile, stavo finalmente realizzando i
miei sogni». Dal giorno del suo congedo forzato, Milena lotta per tornare
a ricoprire quello che ancora considera il suo posto. Dopo la partecipazio-
15
ne a una puntata di Amore criminale,
la fortunata trasmissione televisiva in
onda dal 2007 su RaiTre, la Federazione dei tabaccai le ha offerto un lavoro
all’interno del proprio Ufficio risorse
umane. Le piace, si trova bene, ma non
è questo il suo sogno: «Voglio tornare al mio lavoro, perché stare a contatto con la gente e poterla aiutare è stato
sempre il mio obiettivo. Come psicologa e come vittima di violenza avrei sicuramente molto da dare».
Da qualche tempo poi c’è un
nuovo pensiero ad affliggere le gior-
nate di Milena: ha nuovamente paura perché, dopo sette anni, Marcello
Monaco è uscito di prigione. Non si è
mai pentito, mai una parola di scuse
nei suoi confronti: «Sono la vittima e
non mi sento tutelata. Mi preoccupo
soprattutto per l’incolumità dei miei
figli». Cercando al tempo stesso di difendere quella quotidianità che ha faticosamente conquistato: «All’inizio è
stato tutto ovattato: la riabilitazione, il
matrimonio, il desiderio di maternità.
Però dopo sette anni la vita comincia
ad assestarsi: noi ci siamo creati una
famiglia con la “normalità” di una vita vissuta in sedia a ruote, dove anche
un gradino può fare la differenza. Ma
che fai? O ti butti dentro un letto o decidi di ricominciare a vivere. E io ho
scelto la vita».
l’inchiesta Nel nome della madre
Lauretta, il segreto È
è l’ottimismo
bella e lo ha sempre saputo Lauretta Piarulli. «Non mi piace essere etichettata come diversamente abile
– chiarisce fin dal primo contatto telefonico –. Sono Laura, punto e basta. La
mia vita è piena di cose – prosegue senza darti il tempo di fiatare –. Mi dedico al volontariato e alla politica, faccio
parte della Croce Rossa, vado a cavallo e
occasionalmente mi lancio con il paracadute. Devo ammettere che la mia bellezza mi ha sempre aiutato».
E poi rispondendo a una domanda precisa: «Sì, ho quattro figli, sono la
mia vita». Qualche giorno dopo nell’appartamento al primo piano vicino al
santuario del Divino Amore, dove vive con la sua famiglia da qualche mese, Laura sorride mostrando le sue foto
su un iPad. In casa c’è Roger, il suo attuale compagno di dodici anni più giovane di lei, e due dei suoi quattro figli,
tutti di età compresa tra i 15 e i 28 anni, il cane e quattro gatti. Ovviamente c’è anche lei, con i capelli lunghi e il
decollété, gli stivaletti di pelle chiara, i
tatuaggi e la sedia a ruote che fa oscillare avanti e dietro mentre parla, in un
movimento incessante. E soprattutto
quell’incrollabile fiducia nei confronti del mondo, che la induce a liquidare
come un particolare inessenziale le difficoltà della sua vita da persona disabile. Compreso il fatto che nella palazzina
dove abita non c’è neppure l’ascensore.
D’altra parte è solo un particolare per
una come lei, che è nata cinquant’anni fa in una borgata e racconta, verso
la fine dell’intervista e soltanto per caso, che l’ascensore non l’aveva neppure
quando, nei suoi vari traslochi, si è ritrovata ad abitare all’ottavo piano di un
palazzo di Tor Marancia.
«Tutto cominciò il 12 gennaio del
1961 alla Garbatella – dice –. A 18 mesi sono stata colpita dalla poliomielite
a causa del vaccino antipolio. All’epoca mia madre aveva solo 17 anni, due
figlie e un bambino in arrivo. Siamo
16
Mi dicevano che avere
dei bambini sarebbe stato
difficile, ma io non volevo
rassegnarmi
una famiglia numerosa: nove fratelli, sei maschi e tre femmine». Quando
la portarono all’Ospedale “Spolverini”
di Ariccia risultò poliomielite aggravata da meningite. «Sono andata e venuta
da Ariccia per un anno e mezzo – ricorda –. Ho vissuto nel polmone d’acciaio,
ho portato il busto per via della scoliosi, ho sofferto di disturbi respiratori».
Tornata definitivamente a casa, Lauretta iniziò a frequentare “Il Nido verde”, un ente privato unico a Roma nato
per accogliere bambini disabili. Erano
tempi in cui l’etichetta di scuola speciale non suonava male come oggi. «Ci
passavo tutta la giornata – afferma –.
La riabilitazione si alternava alle lezioni, ho un bellissimo ricordo di quel periodo. Alla fine della giornata tornavo a
casa, dove trovavo la mia grande famiglia: mangiavamo a turno, dividevamo
il letto, ma da noi c’era sempre ordine
e pulizia».
Con tutti quei fratelli più picco- e nuovi ausili c’era sempre qualche vicili, d’altra parte, considerarsi disabi- no disposto ad accompagnarmi».
le e comportarsi di conseguenza era un
lusso che Laura sentiva di non potersi
permettere. «A undici anni io e le mie
sorelle eravamo considerate delle donne.
Quando nostra madre si assentava, eravamo perfettamente in grado di mandare avanti una casa». All’epoca, infatti,
esistevano due leggi, opposte e complementari. La prima era imparare a fare
tutto, senza contare sull’aiuto degli altri.
«Andavo in giro per le strade col girello, cadevo e mi rialzavo. Non c’era nessuno che mi aiutasse a indossare i vari
busti e quando uscivo da scuola non trovavo l’autista ad attendermi, come alcuni compagni più facoltosi. Aspettavo
mia madre nell’officina del meccanico».
La seconda era la legge della solidarietà, che vigeva indiscussa tra gli abitanti della borgata. «Tutti mi conoscevano,
quando avevo bisogno di visite mediche
17
Alla fine delle elementari, Laura decise di non frequentare l’Istituto “Don
Gnocchi” per ragazzi disabili, iscrivendosi invece alla scuola pubblica di Tor
Marancia. Quando aveva undici anni
vendettero la biancheria di famiglia per
andare a Lourdes: salì sul treno bianco
con suo padre e, giunta al santuario, indossò una veste rosa. Quando entrò nelle
vasche sacre, ne uscì asciutta. Il miracolo non era avvenuto, non era guarita, ma
le sembrò un riconoscimento ulteriore
per il dono più grande che aveva ricevuto: quel carattere straordinario che le
ha sempre permesso di affrontare le avversità della vita con la stessa disinvoltura con cui un’attrice di lunga carriera
prende atto di avere una calza smagliata.
A vent’anni, infine, si innamorò e poco
dopo volò a nozze. «Mio padre, che era
un cantante di borgata, era preoccupato
l’inchiesta Nel nome della madre
per me, temeva che non riuscissi a vivere
come le mie sorelle. Così, insieme al suo
amico Silvio Silvestri, scrisse la canzone
Lauretta mia, la cui paternità più tardi
è stata rivendicata da molti. Ma ti posso
assicurare che la canzone fu cantata per
la prima volta nei prati di Tor Marancia
il 20 settembre del 1981, il giorno prima
del mio sposalizio. Il coro era composto
dai miei fratelli».
I primi tempi del matrimonio furono duri: era la prima volta che Lau-
ra andava via di casa e durante il viaggio
di nozze a Firenze già si sentiva sola. Ci
mise tempo ad abituarsi alla sua nuova condizione di sposa, le mancavano
la mamma, i fratelli, i figli che tardavano ad arrivare. «Mi dicevano che avere dei bambini sarebbe stato difficile,
ma io non volevo rassegnarmi. Al primo malore pensavo di essere in attesa,
così che quando rimasi effettivamente
incinta per la prima volta nessuno era
disposto a crederci. Eppure avevo ragione io: era solo la prima delle mie quattro
gravidanze, tutte belle, anzi stupende.
Mi sentivo in forma, non ho mai avuto minacce di aborto, li ho allattati tutti e quattro». Nel 1984 è nata Romina,
la prima, poi Tiziano nel 1987, Fabiano nel 1990 e, da ultimo, Nicholas nel
1998. «Tutti nomi romani, tranne l’ultimo. Ero incinta nell’estate in cui il piccolo Nicholas Green morì trafitto da una
pallottola sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria».
Negli anni intermedi la vita le presentava nuove difficoltà: a 28 anni fu
colpita da una severa forma di psoriasi,
che la costringe tutt’oggi a cure invasive.
«Ho trascorso quattro mesi all’Ospedale “San Gallicano”: era diventata la mia
seconda casa, organizzavo feste e cene.
Da lì è nato il desiderio di fare volontariato in ospedale, come poi ho sempre
fatto». Nel 2003 è caduta dalla sedia a
ruote, rimanendo quattro mesi ricove-
18
rata in ospedale. «In quell’occasione ho
inviato la mia storia al Comune di Roma
e sono stata insignita del titolo di donna
dell’anno». Nel frattempo viveva la sua
vita di donna e di madre, senza cedere
ai colpi della sorte. «Mio marito era disoccupato, i miei figli sono cresciuti in
maniera semplice, con molti valori e
pochi vizi. Nella mia famiglia ci siamo
sempre aiutati e anche oggi vivo nella
casa che è stata affittata dal mio compagno. Siamo felici perché ci accontentiamo di poco. Io non ho nulla, questa è
la mia forza». La sua ricchezza, invece,
sono i figli che vivono ancora in famiglia. Romina, che in questo periodo non
ha un lavoro, aiuta sua madre, Tiziano
fa il facchino, Fabiano il barista e Nicholas va ancora a scuola. «Tutto quello che
faccio è per loro. Ma giuro che non sono
una madre né possessiva né apprensiva.
E quando mi fanno arrabbiare li minaccio: attenzione, se continuate così me ne
vado a vivere da sola».
Fabiana,
il dovere di essere felice
Q
uando diede alla luce Diletta sua
madre smise di parlare. Impiegò cinque anni prima di riuscire a trovare le parole per accogliere la
sua prima nipote. Nel suo grande salotto tappezzato di foto di famiglia al
quartiere Laurentino di Roma, Fabiana Gianni, 41 anni, racconta una storia
che solo nel corso di molti anni è riuscita a elaborare: la sua adolescenza ribelle, l’arrivo della sua primogenita e
poi delle altre due figlie Diana e Daniela, la grande gioia del suo recente matrimonio con Sandro, e il rapporto con
la propria madre. Una donna altoborghese quest’ultima che, preoccupata di
proteggere sua figlia dalle sofferenze
della vita e dal giudizio dei vicini, non
è riuscita per anni ad avere una relazio-
ne con la sua prima nipote Diletta, nata
con una grave cerebrolesione da parto.
Una neo-nonna colpita da una situazione che risultava impossibile gestire con gli strumenti di sempre. «Nella
mia famiglia la disabilità non era minimamente contemplata. Non accettavano gli ausili di Diletta né le difficoltà
che non avrebbero superato in alcun
modo. Non accettavano la mia reazione e le mie scelte. Con mia madre non
ci siamo parlate per anni e mi sono trovata a reinventarmi una vita in corsa.
Mi mancava la sua figura, ma dovevo
salvaguardare me stessa e Diletta da
quello scroscio di imperativi e razionalità che non condividevo».
Nel 1998, anno in cui nacque Diletta,
Fabiana era appena riuscita a trovare
19
un equilibrio tra i suoi desideri e la concreta possibilità di realizzarli. Aveva
messo fine a una giovinezza irrequieta che l’aveva portata fino a Berkeley in
California e aveva cominciato a lavorare nell’azienda di famiglia, aprendo un
nuovo canale dedicato alla formazione
all’interno di un’impresa che si occupava di allestire laboratori scientifici
nelle scuole. Ma soprattutto si era sposata un anno prima, coronando pochi
mesi dopo il più grande dei suoi sogni:
«Avevo da sempre desiderato dei figli
e rimanere incinta fu un’enorme gioia». Si sente spesso dire che la disabilità
è tale soprattutto per via delle condizioni ambientali, sociali e materiali
che il mondo circostante frappone tra
sé e le persone disabili o i loro familia-
l’inchiesta Nel nome della madre
ri. Un assunto che Fabiana sperimentò
fin da subito sulla propria pelle. Reagì
con grinta ai problemi di Diletta e mai,
neppure per un momento, si permise
il lusso di piangere sulla sua condizione di novella madre. «Dopo aver detto
ai miei genitori che non mi sarei mai
separata da mia figlia, io e mio marito abbiamo aperto un’attività per conto nostro. Continuavamo a occuparci
di stage e formazione, ma eravamo
fuori dall’azienda di famiglia – ricorda –. Quando penso a tutte le cose che
ho fatto in quel periodo, mi domando ancora dove abbia trovato la forza
di farle».
Due anni dopo, infatti, Fabiana e
Diletta erano a Philadelphia, negli Istituti per il potenziamento dello sviluppo umano, fondati da Glenn Doman
per accrescere le competenze dei bambini con lesioni cerebrali. «Quello di
Doman è un metodo molto invasivo:
sono moltissime le attività da svolgere
ogni giorno. La casa era tutta rivestita di percorsi guidati, e io me ne andavo in giro con tre cronometri appesi
al collo». Fu un periodo di sforzi straordinari, ad aiutare Fabiana una quarantina di volontari reclutati in ogni
modo: tra gli amici, col passaparola,
attraverso volantini affissi sui muri del
quartiere. «Quando facemmo l’ultimo
viaggio in Pennsylvania, non uscivamo più di casa. Eppure ne è valsa la pena: Diletta aveva raggiunto il massimo
dal punto di vista motorio. A 22 mesi
ha detto “mamma” per la prima volta,
e dopo quasi due anni di metodo Doman ho deposto le armi e ho dato ini-
zio alla stagione del sorriso. Mia figlia
non avrebbe mai camminato, tanto valeva usare subito la sedia a ruote. Avevamo fatto tutto quello che potevamo
fare, ora bisognava soltanto vivere».
Nel frattempo la situazione familiare affondava a poco a poco
sotto il peso dello sforzo necessario
ad affrontare quella faticosa normalità. «Mentre io seguivo il mio percorso,
mio marito si chiudeva progressivamente in un silenzio assordante. Ci siamo lasciati nel 2004, poco dopo l’arrivo
della seconda figlia che io avevo fortemente voluto». Poi un nuovo compagno
e due anni dopo era la volta di Daniela, che non ha avuto neppure il tempo
di conoscere suo padre, scomparso pre-
maturamente prima della sua nascita.
«Sono seguiti due anni terribili, ma la
mia situazione non mi permette il lusso di deprimermi». La svolta è arrivata
nel 2010, quando Fabiana ha conosciuto Sandro, anche lui con un figlio e un
matrimonio finito alle spalle, con cui si
è sposata nel marzo dello scorso anno.
«Ora sono serena, non sono costretta
a lavorare per guadagnarmi da vivere
e, oltre alla mia famiglia, ho il tempo
di dedicarmi ai miei progetti: in primo
luogo alla Fondazione Villa Point, nata a San Felice Circeo alla fine del 2012
con l’obiettivo di portare la disabilità
fuori dal ghetto. I miei genitori hanno voluto dimostrarmi di aver capito
e, come è loro stile, lo hanno fatto in
modo plateale». Non è un caso, infat-
A 22 mesi ha detto “mamma”
per la prima volta, e dopo quasi
due anni di metodo Doman
ho deposto le armi e ho dato inizio
alla stagione del sorriso
20
ti, che la Fondazione sorga proprio nella villa di famiglia nel cuore del Circeo,
dove si dà appuntamento ogni estate la
Roma bene. Fabiana apre i cancelli soprattutto in inverno, organizzando feste e iniziative aperte a tutti, famiglie
con persone disabili e non, in modo
da creare relazioni e momenti di svago fuori dal tran tran della vita di tutti i giorni.
Ma c’è anche una seconda ragione:
«Ho voluto che la disabilità arrivasse
al Circeo, dove la sola vista di una persona in sedia a ruote sembra proprio
che dia fastidio. Perché – si arrabbia –
io non avrei nessun problema ad andare al mare con le mie figlie se solo ci
fosse un minimo di organizzazione. I
problemi sorgono quando, arrivate alla
spiaggia libera, le due più piccole scappano avanti e io rimango bloccata nella sabbia perché non c’è una passerella
che mi consenta di raggiungere la riva
con la più grande».
Così la vita quotidiana trascorre tra battaglie per far valere i propri
diritti e momenti di serenità familiare. Diletta frequenta la terza media fino alle 15.30, fa fisioterapia quattro ore
a settimana e ha un assistente domiciliare tre ore al giorno, una la mattina
prima di andare a scuola e due il pomeriggio. Quando noi la incontriamo,
in uno dei primi pomeriggi caldi di
una primavera tardiva, manifesta segni di diffidenza per via di una lunga
settimana di controlli e check up me-
21
dici: «Non mi devono toccare», dice,
temendo una nuova seduta di fisioterapia con persone sconosciute. «L’anno
scorso sono cambiate tutte le persone di riferimento e riabituarsi per lei è
stato molto faticoso – racconta sua madre –. Di questo dobbiamo essere grati
alla carente organizzazione dell’assistenza domiciliare e alla mancata erogazione dell’assistenza indiretta».
E poi ci sono le altre due, Diana e
Daniela. Anche il loro nome comincia
con la lettera D, in omaggio alla forza
e all’energia della Donna. Come tanti fratelli di bambini e ragazzi disabili sono costrette a fare i conti con la
presenza di una sorella che rischia di
rubare loro tempo e attenzioni da parte dei genitori. «La più piccola non ha
paura di niente e di nessuno. Quando
porta a casa un’amichetta per la prima volta, le chiede se Diletta le piace.
È il suo modo per capire quali sono le
persone da frequentare e quali no. Diana, invece, è più timida, c’è il pericolo che a volte si senta schiacciata». Da
poco c’è anche Denny, un Labrador arrivato dal canile, ormai parte della famiglia a tutti gli effetti. Insomma, con
i vari impegni c’è poco da annoiarsi. «Dovrebbe vederci quando le bambine hanno una festa di compleanno,
tutte nello stesso giorno e alla stessa
ora», afferma Fabiana. E poi più seria:
«Attraverso Diletta ho realizzato me
stessa. Non pensavo di poter essere così felice, lo dico senza retorica. È una
bambina solare, che non perde mai il
sorriso. Guardando lei capisco che ho
il dovere di vivere con gioia».
INSUPERABILI Intervista a Lorenzo Amurri
La mia seconda vita
Sognava di fare
il musicista rock.
Un incidente sulla neve
ha segnato il suo corpo.
Facendo esplodere in lui
una vena letteraria che
ha messo nero su bianco
in un’autobiografia senza
censure. In gara per
il prossimo Premio Strega
U
Laura Badaracchi
na domenica a sciare con la fidanzata svedese Johanna sul Terminillo, vicino Roma. Che finisce
con uno schianto su un pilone della seggiovia, la quinta vertebra disintegrata e
l’eredità di una tetraplegia. Sono passati oltre 16 anni da quel giorno e Lorenzo Amurri non ha ricordi del momento
dell’impatto. Solo la sensazione di non
riuscire a respirare, la testa affondata
nella neve. Ma con lucida autoironia e
sincerità il musicista e produttore musicale 42enne ripercorre i mesi dopo il
gravissimo incidente – prima in ospedale a Terni, poi in clinica a Zurigo tra
interventi chirurgici, terapia intensiva e
riabilitazione – nell’autobiografia inti-
22
tolata significativamente Apnea ed edita
da Fandango. Scritta in due anni e mezzo cliccando sulla tastiera con la nocca
del mignolo destro, si legge d’un fiato.
Grazie anche al tono, che non scivola
mai nell’autocommiserazione. La disabilità nuda e cruda, vissuta e narrata
con grinta: senza pudori né censure. Coperto di tatuaggi, capelli un po’ lunghi
e ondulati, amante del rock e del blues,
Lorenzo era un giramondo: gli piaceva vagare libero, con la sua chitarra, e
sperimentare trasgressioni di ogni tipo.
La sedia a ruote, però, non è riuscita a
fermare i suoi viaggi e soprattutto non
ha rallentato il ritmo vorticoso dei suoi
pensieri. Che gli fanno compagnia con
la sua coraggiosa determinazione.
tri, dai cinema ai ristoranti ai palazzi. E
le barriere burocratiche? E la pensione
d’invalidità? 270 euro mensili che arrivano a 750 con l’accompagno: una cifra
bassissima che non consente a chi non
ha altri mezzi di avere una vita dignitosa. Io sono fortunato perché ho alle
spalle una famiglia abbastanza agiata.
Ma con una tale somma non potrei permettermi neppure di pagare un affitto.
Dal tono caldo e intenso delle pagine,
sembra che lei abbia coltivato per anni la
voglia di scrivere questo libro. Come si è
concretizzata l’idea di farlo?
L’esigenza di scrivere un’autobiografia è maturata gradualmente. Ho
cominciato inviando alcuni racconti a un’amica scrittrice, Pulsatilla (Valeria Di Napoli), che mi ha detto: «C’è
materiale per un romanzo». Così è venuta l’esigenza di provare a mettere in
fila i ricordi che avevo e, contemporaneamente, sono riemersi alla memoria
fatti che non ricordavo: me ne sono reso conto mentre li scrivevo. Ci ho messo due anni e mezzo; per me è stata una
sorta di autoterapia. E devo ringraziare Clara Sereni per aver dato l’inizio ufficiale a tutto, pubblicando nel volume
Amore caro, uscito nel 2009, un capitolo scritto a quattro mani da me e da mio
fratello Franco.
A proposito di famiglia, che ricordi ha di
suo padre Antonio?
In Apnea (Fandango Libri, 251 pagine,
16 euro), il musicista Lorenzo Amurri
– divenuto tetraplegico a 26 anni
dopo un grave incidente mentre
sciava – si racconta, esprime le sue
emozioni e formula interrogativi
che prima o poi sfiorano tutti.
Il suo blog, aperto nel marzo 2008, si chiama “Tracce di ruote”. Voglia di raccontarsi,
di condividere, di capire e far capire?
«Ho iniziato proprio con il blog
(http://tetrahi.blogspot.it) a scrivere,
per raccontare con ironia tutto ciò che
mi succedeva nel mondo della disabilità. Ma non sapevo di saper scrivere, solo di essere un lettore onnivoro. John
Fante è il mio preferito, ma anche tanti
autori della letteratura americana contemporanea: da Wallace a Bukowski, da
Carver ad Auster e Kerouac, insieme ad
altri della Beat generation. Poi Kafka,
Dostoevskij, Calvino. Ora sto scoprendo Proust: la Recerche mi ha illuminato.
Si aspettava che il suo volume avesse tanto successo e visibilità?
No, non me l’aspettavo. Da fine gennaio a oggi sono stato e continuo a essere immerso nella promozione e nelle
interviste sui media. E poi tantissimi
lettori, anche disabili, mi contattano via
Facebook e sul blog. L’editore era convinto che il libro sarebbe esploso, io ovviamente ci speravo ma non avrei mai
pensato di finire tra i 12 libri in gara per
il Premio Strega... Devo dire grazie alla mia famiglia e a Sandro Veronesi, che
continuano a seguirmi in questo percorso. Per me è diventato un lavoro. E
voglio continuare a scrivere: ho già alcune idee per un secondo romanzo.
Non avrebbe sopportato di vedermi
disabile: è morto quando avevo 21 anni, prima dell’incidente. Durante l’adolescenza evitavo sempre di parlargli dei
miei problemi, delle mie paure. La sua
mancanza è una ferita aperta; avevamo un buon rapporto ma non profondo, mi piacerebbe averlo vicino ora per
condividere questo successo e molto altro con lui.
Nel libro evidenzia l’importanza del contatto fisico e di avere relazioni affettive.
Ritiene che andrebbe legalizzata anche
in Italia la figura dell’assistente sessuale?
Sì, sono assolutamente d’accordo:
dovrebbe essere istituita. Io sono fortunato, perché posso vivere le mie pulsioni sessuali. Ma penso a chi non può
farlo. Tante mamme portano i loro figli
dalle prostitute. Sarebbe diverso se una
«Libertà di pensiero è libertà di movimen- persona con una formazione adeguata
to. Perché è la fantasia a tenermi legato a potesse venire a domicilio.
questa vita», annota nel volume. Una convinzione granitica, che purtroppo si scontra con la scarsa accessibilità reale...
Gli ostacoli quotidiani sono tantissimi, così le barriere architettoniche:
Roma è un’autentica giungla, priva di
scivoli sui marciapiedi e di parcheggi
per disabili occupati da altri. Bisognerebbe ripartire dall’educazione civica
nelle scuole per creare una nuova mentalità, una cultura diversa: a Londra, per
esempio, l’inaccessibilità è inconcepibile. In Italia si dovrebbero far rispettare
le leggi e rendere accessibili luoghi che
non lo sono: dalle gallerie d’arte ai tea-
23
Il suo rapporto con la musica e con la chitarra, oggi?
Continua, anche se in modo diverso.
Ho chiuso lo studio di registrazione, ma
proseguo con l’appagante lavoro di produttore. E riesco a suonare la chitarra,
mettendola in grembo, con un cilindro
di metallo sulle dita.
Cosa pensa del successo del film Quasi
amici?
Mi sono rivisto in tante situazioni
raccontate. Il film mi ha divertito, anche se rimane un po’ in superficie, easy,
accessibile a tutti. Non mostra la faccia
più dolorosa dell’essere tetraplegico.
cronache italiane Emilia Romagna
Terremoto, un anno dopo
F
Dopo la paura e la conta
dei danni, è tempo
di ripartire. Anche per
le associazioni e le altre
realtà impegnate sul
fronte disabilità. Storie,
volti e voci di chi
non si arrende
Michela Trigari
ulvia, dopo la prima scossa, ha dormito sulla sedia a ruote perché le
occorreva troppo tempo per alzarsi dal letto. Poi, dopo la seconda “botta”
– come la chiamano da quelle parti –,
nella tenda di un vicino di casa. Servizi sociali e protezione civile le hanno
offerto un albergo, ma lei ha preferito
vivere per un po’ in un camper accessibile parcheggiato vicino alla sua casa
di Quarantoli di Mirandola (Modena).
A un anno dal terremoto che il 20 e 29
maggio 2012 ha sconvolto l’Emilia, anche le realtà impegnate sul versante
disabilità provano a tornare alla normalità. Dopo la paura, infatti, è tempo
di ripartire. Ma a dir la verità nessuno
si è mai fermato. Fulvia, per esempio,
ha sempre lavorato (fa la centralinista
in ospedale), solo che il suo ufficio era
diventato un tendone da campo. «È prevalsa la voglia di ricominciare», dice sul
sito del Gruppo donne Uildm (Unione
24
italiana lotta alla distrofia muscolare).
In questi mesi, intanto, il Forum regionale del Terzo settore ha avviato un
confronto con la Regione Emilia Romagna sui danni subiti dal non profit, che
difficilmente rientrano nei contributi
previsti per abitazioni e imprese. La solidarietà è stata grande, ma il nodo restano i fondi.
Il diario della rinascita lo racconta “La lucciola”, un centro di terapia
integrata per l’infanzia a Ravarino. «In
pochi secondi sono andati distrutti 15
anni di lavoro – dice Emma Lamacchia, neuropsichiatria e presidente della “Lucciola” –. Ma siamo andati avanti
e non abbiamo mai interrotto le attività neanche per un giorno: prima all’aperto, montando alcune tende in un
prato che era adibito a pascolo, e da
settembre all’interno di tre casette prefabbricate accanto al vecchio centro in
cui resteremo per altri due anni, finché
Anche il birrificio “Vecchia Orsa”, nel bolognese, ha riaperto i
la villa non verrà ristrutturata. Questi
mesi sono stati duri per tutti: per quegli
operatori che hanno perso la casa, per
la pioggia, il fango, l’umidità. I nostri
bambini però, soprattutto quelli con disagio psichico o autismo, hanno trovato
serenità nella continuità dei luoghi: abbiamo allenato alla speranza anche nei
momenti più difficili e al fatto che tutto può essere ricostruito. E poi abbiamo
ricevuto tanto aiuto pratico e molti contributi privati. Finora, però, nessun finanziamento pubblico».
Difficoltà simili anche per “La lanterna di Diogene”, una cooperativa
sociale di Bomporto (sempre nel modenese) che gestisce un ristorante in
cui lavorano alcuni ragazzi down, e soprattutto per la sua acetaia. «Abbiamo
perso parecchio balsamico e il vecchio
edificio è inagibile – spiega il presidente Giovanni Cuocci –. Poi è arrivato un
container per le botti, grazie alla Regione Umbria, e l’aiuto della Consor-
teria dell’aceto balsamico tradizionale
di Spilamberto. Ora dobbiamo trovare
un bel gruzzolo per comprare del mosto
cotto e riprendere la produzione. L’osteria invece non ha subito danni, a parte
zero coperti i primi giorni. Qui è venuto in soccorso il mondo dello Slow food
e della ristorazione: ci hanno chiamato
da tutta Italia mettendo a nostra disposizione cucina e incasso della serata. E
per i nostri ragazzi è stato molto importante trovare qualche puntello esterno».
L’associazione “Volontari pro handicappati” di Finale Emilia, invece, ha perso
la stalla che ospitava i cavalli per l’ippoterapia; la nuova struttura, già individuata presso l’Istituto agrario, è da
ristrutturare.
In alto: tutta la squadra del birrificio “Vecchia
Orsa”. Nella pagina accanto, i prefabbricati
che accolgono temporaneamente il centro di
terapia integrata “La lucciola”
25
battenti. Prima solo con lo spazio di
degustazione e spaccio delle birre artigianali prodotte grazie alla solidarietà
di stabilimenti amici che li hanno ospitati in questi mesi e, ora, anche con la
produzione e l’inserimento in borsa lavoro o stage di persone con disabilità.
Non si è mai fermato, invece, l’impegno di Mimmo e Valerio, i due ragazzi disabili che stabilmente lavorano al
birrificio. «Si sono dati subito da fare
anche per sistemare i nuovi locali trasferiti da Crevalcore a San Giovanni in
Persiceto», raccontano dalla cooperativa sociale “Fattoriabilità” che porta
avanti questo progetto. I danni causati
dal sisma non hanno risparmiato nemmeno la cooperativa “Campi d’arte” di
San Pietro in Casale, ora trasferita nella
Casa della musica in attesa di costruire
una nuova sede che ospiti sia il laboratorio d’artigianato per persone disabili sia il negozio, e il Centro “Maieutica”
di San Giovanni in Persiceto (sempre in
provincia di Bologna). Qui però lo stabile è stato reso sicuro e l’attività socioriabilitativa è ripresa.
Per scuola e sanità, invece, non solo
la ricostruzione di edifici e servizi, ma
anche l’avvio di nuovi progetti. Come
“Lim-Er” – 18 lavagne multimediali interattive per altrettanti istituti primari
colpiti dal terremoto e una formazione
specifica su queste tecnologie per i docenti impegnati nell’integrazione degli
alunni disabili – frutto dell’accordo tra
la Fondazione Asphi (Avviamento e sviluppo di progetti per ridurre l’handicap
mediante l’informatica) e l’Ufficio scolastico regionale. O come il nuovo Centro dei disturbi cognitivi di Mirandola.
E delle 1.780 persone non autosufficienti evacuate dalle loro abitazioni o dalle
residenze socio-sanitarie, 300 sono ancora ospitate in altre strutture mentre
due case di riposo per anziani e tre centri diurni per disabili restano inagibili.
sotto la leNtE Balocchi e dintorni
La rivoluzione dei giochi
parte dal web
In rete un “catalogo”
con i consigli dei
genitori per realizzare
giocattoli fai-da-te.
On line il primo
negozio, creato
da due mamme.
Come fare di necessità
virtù, cercando
di sensibilizzare
le aziende
L’
Carla Chiaramoni
altalena di Francesca ha un sostegno che le sorregge schiena e testa:
l’ha costruita suo nonno modificando un normale seggiolino per adattarlo alla sua crescita. Il deambulatore
di Leonardo è una Ferrari dal design innovativo, mentre la moto senza pedali,
che i genitori hanno realizzato per Alberto, è superaccessoriata con sirene,
clacson, fanali e chiavi. Sono tante le famiglie che hanno modificato o immaginato e poi costruito i giochi per i propri
bambini, correggendoli in base al tipo di
disabilità oltre che a esigenze individuali in continuo cambiamento. Pensandoli anche capaci di allenare, riabilitare e
valorizzare le competenze. Per loro c’è
ora la possibilità di condividere successi
e difficoltà grazie all’associazione “Gioco anch’io”, che ha sede a Villafranca di
Verona e che ha messo in rete un “catalogo” di giochi fai-da-te. Una possibilità
di condivisione importante per genitori,
ma anche per terapisti, che offre stimoli e suggerimenti pratici.
«Il gioco – spiega la presidente Fosca Franzosi, fisioterapista neurologica
da 33 anni – è uno strumento di terapia ed è l’unica via d’accesso al mondo
del bambino». Da questa convinzione è
nato nel 2004 un gruppo di studio, formato da fisioterapisti, operatori di assistenza scolastica, psicopedagogisti,
fisiatri e insegnanti, che nell’anno successivo si è trasformato nell’associazione “Gioco anch’io”, per promuovere il
26
gioco per tutti, con
particolare attenzione ai bambini disabili. Ma vengono
anche organizzati incontri, eventi formativi
e una grande festa annuale
in occasione della Giornata del gioco,
che cade il 28 maggio.
Molti giocattoli in commercio
sono già accessibili e adatti a proble-
matiche che interessano i cinque sensi.
Negli anni sta anche crescendo la sensibilità dei progettisti e dei costruttori.
Ma per alcuni genitori questo non basta. La mamma e il papà di Alberto, come raccontano on line, hanno ideato e
costruito una moto perché non riuscivano a reperire in commercio un articolo simile ai tradizionali trenino (senza
pedali) o coccinella che potesse sostenere il peso del loro bambino, di misure
tali da rendergli agevole il movimento e insieme rinforzargli la muscolatura del polpaccio. Così hanno progettato
un veicolo speciale utilizzando materiale facilmente reperibile: le ruote, per
esempio, sono pezzi di carrelli usati
nell’industria meccanica. Anche l’altalena di Francesca è nata per rispondere
alle esigenze più specifiche della bambina e al suo sviluppo.
«All’inizio – spiegano i genitori sul
sito dell’associazione – era un seggiolino che si trovava in commercio poiché
Francy riusciva a sostenere il busto e il
capo. Poi crescendo ha avuto bisogno
di un sostegno per la schiena e la testa». Il nonno ha costruito la parte
metallica e il tappezziere ha fatto il resto, rivestendo il seggiolino con l’imbottitura.
«A volte bastano poche modifiche: un puzzle con pomelli ingranditi è accessibile anche a bambini
con una difficile motricità – sottolinea Fosca Franzosi –. Nella disabilità motoria le modifiche sono più
rapide. Fino a un anno fa i tricicli
senza pedali non erano adatti,
ma ora ce ne sono in commercio alcuni con un anello protettivo che si può rimuovere
per renderli accessibili e una
seduta più larga». E l’associazione veronese collabora con
alcune aziende per provare a determinare un cambiamento culturale
già nella fase di produzione. A volte sono gli stessi genitori a rivolgersi ai produttori. È il caso, per esempio, del papà
e della mamma di Francesca, che hanno commissionato a una ditta che costruisce biciclette classiche una bici con
una distanza maggiore tra le due ruote. Con questa modifica, il peso della
persona sul seggiolino è distribuito in
modo più bilanciato e offre maggiore libertà di movimento a chi pedala; inoltre
il seggiolino è grande e dotato di molti
punti di sostegno e contenimento.
Chiunque progetta e apporta modifiche ha la possibilità di condividerle
nello spazio on line gestito dall’associazione. Un’esperienza che si somma a
quella dei laboratori promossi negli anni, della formazione e del contatto diretto nelle scuole con i bambini. Da qui
sono nate proposte e sfide per il futuro. Con una profonda convinzione, che
in ambito ludico vale una regola aurea:
«Giochi semplici e non strutturati perché innescano la creatività e il far da
sé». Come la carta o il legno. E gli esperti lo sanno bene.
27
Quando lo shopping
è su internet
S
i chiama “Orso azzurro”, lo hanno
progettato e creato due mamme
(Federica Dosi e Nicoletta Pellicani) ed è
il primo negozio on line di giocattoli per
bambini disabili in Italia. Oltre 200 prodotti
certificati e testati: non solo giochi, ma
anche oggetti di uso giornaliero.
Gli articoli in vendita sono suddivisi a
seconda della disabilità dei bambini, della
loro età e dei loro interessi. Nella sezione
dedicata ai bimbi con difficoltà uditive,
ad esempio, si trovano giochi sensoriali,
giochi per stimolare
l’osservazione e la
capacità espressiva,
giochi per sviluppare
le abilità motorie e
la motricità fine. Per
rispondere al meglio
a tutte le esigenze si sono consultate
con educatori, pedagogisti, onlus e
naturalmente genitori.
L’idea è nata navigando in rete. «Mi
sono imbattuta in un negozio francese
specializzato in giocattoli per bimbi
disabili – spiega Federica –. Da qui,
insieme a una mia amica, ho deciso di
lanciarmi in questa avventura». C’è anche
il blog di “Orso azzurro”, uno spazio in cui
i genitori possono lasciare segnalazioni e
consigli su un particolare prodotto e una
specifica esigenza. Per saperne di più:
Orsoazzurro.it. [C.C.]
Tempo libero In volo
Piloti speciali alla cloche di
«I
Si chiama “Baroni rotti”
l’associazione di piloti
disabili che insegna
a guidare un aereo.
Dimostrando che è
un’attività per tutti, utile
ad abbattere le barriere.
Soprattutto quelle mentali
Giorgia Gay
n cielo ci sono un po’ meno barriere da superare». Parola di
“Baroni rotti”, associazione di
piloti disabili di Arezzo che ha scelto il
volo «per promuovere una diversa cultura della disabilità». Lo fa abbattendo
stereotipi e pregiudizi, insegnando alle
persone disabili a maneggiare un aereo,
partecipando a tante manifestazioni in
tutta Italia: «Preziose occasioni per mostrare con i fatti che il volo è davvero
un’attività per tutti, che fa bene al corpo e alla mente e aiuta ad abbattere le
barriere, soprattutto quelle mentali»,
28
spiega il presidente Franco Bentenuti.
In Italia l’apertura di questa disciplina sportiva alle persone disabili si deve
all’impegno di Luciano Giannini, vulcanologo e istruttore di volo, e al suo incontro con un ragazzo disabile.
«Al termine di un volo turistico il
passeggero si disse rammaricato perché
non avrebbe mai potuto vivere quella
bellissima sensazione da pilota – racconta Bentenuti –. Luciano ne fu molto toccato e propose ad alcuni amici di
provare a modificare un aereo per ren-
I “Baroni rotti” in uno scatto
realizzato da Paolo Ranzani per la
mostra fotografica “Pieces of life”.
L’esposizione è stata allestita nel
2009 in piazza Carignano, a Torino,
nell’ambito del progetto “Open to all”,
promosso dalla Fondazione Paideia
in collaborazione con il capoluogo
piemontese e la Fondazione Crt.
Info: Paoloranzani.com
un aereo
derlo pilotabile anche da una persona
con disabilità». Venne quindi coinvolta nel progetto l’Associazione paraplegici aretini, i cui soci furono ben felici
di provare, con una buona dose di curiosità e un pizzico di incoscienza, l’ebbrezza del decollo.
Fu un successo. Per alcuni la curiosità si trasformò in vera e propria
passione: così il 16 settembre del 1994
venne eseguito il primo volo da solista
da parte di un allievo disabile in Ita-
lia. Il 2 dicembre dell’anno seguente
un piccolo manipolo di piloti affrontò
e superò gli esami con successo. L’aeroclub Serristori, a Castiglion Fiorentino,
mise a disposizione un appezzamento
di terreno dove fu allestita la sede della
prima scuola di volo per disabili in Italia. Oggi i “Baroni rotti” accolgono piloti provenienti dalla Sicilia come dalla
Lombardia. «Abbiamo iniziato quasi
come pirati, superando molti ostacoli
tra cui lo scetticismo di tanti – ricorda il presidente –, dovendo dimostrare
che non ci sono limiti alle potenzialità
di una persona disabile». Un traguardo
raggiunto pienamente: negli anni questa disciplina si è molto diffusa, dando vita a diverse associazioni e perfino
alla Federazione italiana piloti disabili (Fipd), che coordina le varie scuole di
volo attive in Italia. Le principali sono
quella di Caposile (in provincia di Venezia), di Ozzano Emilia, di Boglietto
in Piemonte, di Aosta, del “Centro Serristori” in Toscana, di “Airone” a Gela
(in Sicilia), di “Liberhando” in Umbria
e, infine, di Sutri nel Lazio.
Anche se gli obiettivi raggiunti sono
numerosi e importanti, l’Italia rimane
comunque indietro rispetto all’Europa,
29
dove esperienze simili esistono da più
di 30 anni. Le realtà d’Oltralpe? Tante: dal francese “Aéro-club Paul Louis
Weiller” al “Paraflight” in Belgio, dalla “British disabled flight association”
e dall’“Aeroability” (in Inghilterra) al
“Die rolli flieger” in Germania.
Mentre si impegnano per favorire l’espansione delle scuole di volo per disabili in Italia, i “Baroni rotti” insistono
anche nell’attività di diffusione e promozione di questa disciplina coinvolgendo
le associazioni, «per far provare direttamente la bellezza di praticare un’attività
sportiva considerata il simbolo di libertà – insiste Bentenuti –. Siamo convinti che questa esperienza possa servire da
stimolo anche a chi ha appena subito un
trauma midollare, nel periodo di degenza ospedaliera, per vincere una fase depressiva. Mostrare che non ci sono limiti
per praticare uno sport ritenuto inaccessibile può far prendere in considerazione
alternative valide e sicure a quelle attività che realmente non sono più praticabili». Intanto l’associazione continua
a lavorare sul fronte della progettazione, apportando adattamenti ai velivoli
in base alle disabilità. L’esperienza ventennale ha dimostrato che basta poco per rendere un aereo accessibile: «Le
modifiche sono semplici e il velivolo attrezzato per il disabile non perde nessuna funzionalità – assicura il presidente
–. Qualsiasi tipo di apparecchio può essere modificato senza grandi difficoltà».
La prossima iniziativa? In calendario per il 25 maggio: nella sede aretina
sarà organizzata una manifestazione
dimostrativa dedicata non solo al volo,
ma aperta a numerose discipline sportive praticabili dalle persone disabili:
tennis, tennis tavolo, basket, quad, gokart, equitazione, tiro con l’arco, nuoto.
Saranno coinvolte tutte le scuole della
provincia di Arezzo per poter condividere esperienze sportive fra atleti disabili e ragazzi di ogni età.
OS
IBRIRAGAZZIM TRECINEMAFESTIVALFICTIO
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NEPERSONAGGILIBRITEA
 cinema 
Benur,
centurione
infortunato.
E sfruttatore
na commedia amara per
U
raccontare il dramma dello sfruttamento del lavoro e
l’arte di arrangiarsi in un acquario umano in cui il pesce grande
mangia il pesce piccolo, in attesa
di un riscatto sociale – e soprattutto economico –che farà giustizia delle tante umiliazioni subite.
Fa sorridere, ma anche riflettere
Benur, un gladiatore in affitto del
regista Massimo Andrei, presentato allo scorso Festival di Roma e
nelle sale a maggio.
All’origine della storia un incidente sul lavoro, antefatto epico le cui conseguenze nefaste si
ripercuotono sulla vita dei protagonisti. Sergio, ex stuntman di
Cinecittà, rimane vittima di un
infortunio sul set di un film americano. Da allora dorme col busto
e vive piangendo i suoi mali, nella magica aspettativa di uno stratosferico – quanto improbabile
– risarcimento da parte della produzione. Nel frattempo condivide
un appartamento nell’estrema periferia romana con la sorella, che
lavora da casa per una hot-line
erotica. E sbarca il lunario davanti
al Colosseo, spillando qualche euro ai turisti travestito da centurione romano. Fino al giorno in cui a
sconvolgere questo fantasioso menage familiare arriva Milan, immigrato irregolare bielorusso che,
pur di restare in Italia, è disposto
a farsi sfruttare da Sergio e a diventarne lo “schiavo”. Ingegnere
in patria, Milan non si arresta di
fronte a niente: ristruttura case al
posto del suo “padrone” italiano,
ripara il malmesso appartamento
nel quale fratello e sorella trascorrono la loro malconcia esistenza e,
soprattutto, sostituisce l’ex stuntman al Colosseo, dove in breve,
con il suo travolgente entusiasmo,
diventerà l’idolo dei turisti.
«Non è certo un caso che abbiamo deciso di trattare un tema
forte come quello dello sfruttamento e degli infortuni sul lavoro
– spiega lo sceneggiatore Gianni Clementi, che ha già firmato
lo spettacolo teatrale Ben Hur, dal
cui successo è nato il film. – Nel
periodo in cui ho pensato il testo,
avevo in scena uno spettacolo al
teatro Colosseo. Ogni sera rimanevo colpito dai centurioni-figuranti che tornavano a casa dopo
il “lavoro”. Quella stessa estate un
immigrato fu trovato morto di fatica nei campi. Realtà e finzione
si sono incrociati sul palcoscenico e poi nel film». «Mi occupo da
sempre di temi che riguardano il
diritto civile – spiega il regista –.
Nella pellicola racconto la miseria
umana in chiave comica. Il riferimento principale è a Miseria e nobiltà: la storia si ripete». [A.P.]
30
Nelle foto, Nicola Pistoia, che interpreta
Sergio nel film Benur,
un gladiatore in affitto
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 libri 
Da 007 a scrittore.
Con una gamba
dialegno
scintilla iniziale per far maturare nel
L
protagonista di questo libro il desiderio
di scrivere un romanzo? Un infortunio mentre era in servizio: «Mi è costato la
gamba destra, un lavoro rispettabile, almeno ai miei occhi, e molti piaceri, obbligandomi a restare chiuso in casa mesi e mesi»,
confida la stessa voce narrante del volume
Il cacciatore di larve, del sudanese (emigrato in Qatar) Amir Tag Elsir, pubblicato da
Nottetempo. Il ginecologo 53enne prestato alla letteratura – che finora ha pubblicato diversi romanzi e raccolte di poesie – è
stato finalista all’Arabic Booker Prize 2011
proprio con questo libro, il primo tradotto in italiano. In cui gioca con l’identità del
personaggio principale, come in un meccanismo di scatole cinesi scandito da una
scrittura raffinata e avvincente, immerso
in una calda atmosfera mediorientale.
Abdallah Harfash è un agente segreto in
pensionamento forzato, situazione che gli
fa montare dentro una rabbia crescente e
improvvisa «per colpa della gamba amputata per colpa dell’incidente in cui un collega aveva perso la vita e io il lavoro». Un
professionista di indagini e pedinamenti,
quindi, che si ritrova a ricercare quale siano i segreti per scrivere un buon romanzo,
a spiare scrittori e potenziali personaggi e
carpirne così ispirazioni inedite. Alla ricerca di un senso per colmare «il vuoto immenso che mi disegnano davanti tutte le
cose che ho intorno».
Sulla sua gamba artificiale, «un prodotto locale in legno levigato», l’ex 007 ironizza
spesso: «Mi impaccia un po’ nei movimenti, ma me l’hanno tagliata su misura e ormai il suo peso è diventato un’abitudine:
io la trascino, e lei si lascia trascinare. Con
un po’ di esercizio, sono riuscito a farci vari chilometri a piedi a una velocità ragio-
nevole. Insieme a lei mi incuneo nella folla
dei passeggeri sugli autobus carichi di miseria e umanità. E una volta ci ho nuotato nel Nilo per due ore filate senza che si
smuovesse dal suo posto. È stata una grande vittoria». C’è anche chi, vedendo la sua
protesi, gli allunga fra le mani un’elemosina
chiedendogli preghiere. Insomma, un personaggio davvero a tutto tondo per il suo
carattere volitivo e brioso, per un’intelligenza vivace che tenta di ritrovare il «brivido» provato durante le sue missioni e i suoi
pedinamenti nel più sedentario ma incalzante intreccio del racconto da mettere nero su bianco. Nella
speranza che le
«larve» narrative,
i timidi abbozzi,
possano diventare «insetti adulti».
In questo viaggio dentro se stesso, con una trama
che trascolora in
un giallo a tratti
comico e surreale, il protagonista
ripesca il filo ingarbugliato della sua vita. Con
una scoperta disarmante, sintetizzata dall’autore
nell’incipit: «Se
vuoi interrogare
il tuo volto in una
notte tiepida, con
un enigma negli
occhi e una domanda sulle labbra, non cercare te stesso
nello specchio: quel dialogo non ha respiro,
non ti farà sentire niente. Piuttosto, scendi
in strada pian piano, e cerca te stesso negli
altri; qui troverai tutti, e te fra loro». Con
una scrittura lucida, punteggiata da figure
secondarie come arabeschi, Amir Tag Elsir
conquista e seduce il lettore, mettendolo di
fronte al proprio specchio. [L.B.]
31
Amir Tag Elsir
Il cacciatore
di larve
Nottetempo 2013
pagine 192, euro 14,50
AGGILIBRITEATRODANZAFOTOGRAFIAVID
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 libri 
La voce
della madre
per combattere
l’autismo
esoconti clinici ma soprat-
Aperta fino al 9 giugno la
mostra Antonio Ligabue. Istinto,
genialità e follia. Organizzata dal
Lucca center of contemporary art,
ripercorre attraverso circa 80 opere,
tre delle quali inedite, la storia di
un artista con una precaria lucidità.
Ma sono le condizioni sociali e
del quotidiano a trasformare
l’equilibrio mentale di una persona
estremamente sensibile? «Ligabue è
un randagio della cultura, un artista
libero dentro che, alla vulnerabilità
emotiva congenita, ha unito
grandi tragedie
personali vissute
nell’infanzia e
nell’adolescenza»,
spiega il curatore
dell’esposizione,
Maurizio Vanni,
nel saggio
che correda
il catalogo
della mostra,
pubblicato da
Silvana Editoriale.
«Un artista coerente, fedele solo
a se stesso, capace di interagire
con il flusso continuo, irregolare
e talvolta estremo delle emozioni
che sentiva dentro di sé, senza
doverle controllare», scrive ancora.
Una grande intensità creativa
che in Ligabue è intrinsecamente
legata a una necessità «fisica»
di espressione per sentirsi vivo
e fuggire l’emarginazione. Info:
Luccamuseum.com. [L.B.]
R
tutto storie di vita di genitori
e figli alle prese con l’autismo. Gli interventi di una psicoanalista dell’infanzia del calibro
di Marie-Christine Laznik, pubblicati per la prima volta in italiano da Editori Riuniti nel volume
Con voce di sirena. Storie di bambini autistici e dei loro genitori, hanno il pregio di raccontare
questa difficile battaglia in un linguaggio piacevole e comprensibile a tutti. Partendo proprio dalla
pratica clinica, che la psicoanalista franco-brasiliana ha portato avanti nel corso degli anni con
bambini molto piccoli scivolati o
a rischio di scivolare nell’autismo.
Una pratica che induce Laznik a
ribaltare la psicogenesi di questa sindrome affermatasi sull’onda degli studi condotti da Bruno
Bettelheim nella seconda metà del
secolo scorso.
Quindi non più un atteggiamento autistico in risposta a un
comportamento anaffettivo da
parte della madre, ma piuttosto
genitori attenti ed espansivi che,
col passare dei mesi, finiscono
per perdere fiducia in se stessi e
“rigidificarsi”. Visionando alcuni
filmati familiari la Laznik ebbe,
infatti, modo di notare la positiva interazione dei bambini con
autismo e i loro genitori nel corso del primo anno di vita. Di qui
l’interesse della psicoanalista per
il “maternese”, quella particola-
32
Marie-Christine
Laznik
Con voce di sirena.
Storie di bambini
autistici e dei loro
genitori
Editori Internazionali
Riuniti 2012
a cura di Janja Jerkov
pagine 256, euro 22
rissima lingua che le madri usano per parlare ai propri figli, in
grado di risvegliare inaspettate
competenze sociali da parte del
bambino. E la convinzione che, se
precocemente individuato e preso
in carico, sia possibile intervenire sull’autismo, in alcuni casi fino
alla completa remissione dei sintomi. [A.P.]
 libri 
Sindrome
di Tourette, un
“potere”
speciale
er i suoi compagni di scuo-
P
Richard Paul Evans
Michael Vey.
Il prigioniero
della cella 25
Baldini Castoldi Dalai
2012
pagine 384, euro 16,90
la, Michael è un quattordicenne-standard: videogame,
qualche amico, poca voglia di
studiare, e come altri coetanei
vittima dei bulli. Apparentemente, l’unica caratteristica che lo distingue è il fatto di soffrire della
sindrome di Tourette: «Mi limito
più che altro a battere un sacco le
palpebre. Se sono molto nervoso,
inizio anche a tossire o a deglutire rumorosamente. A volte, sento
dolore», spiega ai lettori lo stesso protagonista del romanzo Michael Vey. Il prigioniero della cella
25, pubblicato da Baldini Castoldi
Dalai e scritto dal cinquantunenne Richard Paul Evans. Un autore
forse poco noto in Italia, ma che
– tradotto in oltre 20 lingue – figura tra gli scrittori più acclamati
negli States: tutti i suoi romanzi,
tra cui alcuni per bambini e ragazzi, sono entrati nella lista dei
bestseller del New York Times e in
diversi casi hanno visto una trasposizione cinematografica.
Non solo: oltre a numerosi premi letterari, Evans ha ricevuto riconoscimenti per il suo
FUMETTITELEVISIONEPERSONAGGILIBRI
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impegno in difesa dell’infanzia
violata. Padre di cinque figli, sa
come parlare ai ragazzi con il loro linguaggio. La storia di Michael – che si rivela dotato di poteri
“elettrici” speciali proprio come
Taylor, la cheerleader più carina
della scuola – si dipana in modo
avvincente, incalzante. E il protagonista stabilisce un contatto
diretto con il lettore, a cui dà del
tu e si rivolge continuamente. La
sindrome di Tourette, disordine
neurologico caratterizzato dalla presenza di tic nei movimenti e nella parola (accentuati dallo
stress), viene vissuta come parte
integrante della vita, da accettare
e da minimizzare, da nascondere
anche con alcuni «trucchi».
Una piccola difficoltà rispetto
ad altri problemi, confida Michael: «Non è una passeggiata avere
la sindrome di Tourette, ma può
capitare di peggio, tipo perdere
tuo padre per un infarto quando
hai otto anni. Credetemi, questo
è molto peggio. Non l’ho ancora superato. Forse non ci riuscirò mai».
Questa disabilità, dunque, è
presentata come una peculiarità
personale. Come hanno già fatto altri scrittori: da Oliver Sacks
in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello a Stephen
King nel libro Il miglio verde, fino all’argentino Ricardo Romero
nel romanzo La sindrome di Rasputin. [L.B.]
 libri 
Amici oltre il
coma
e il silenzio
n’amicizia che resiste anche
U
al coma, al silenzio, all’apparente mancanza di speranza.
Rita Falk
Quando tornerai
edizioni e/o 2012
pagine 224, euro 16,50
In Quando tornerai, pubblicato da
e/o, la scrittrice tedesca Rita Falk
– autrice di una fortunata serie di
romanzi polizieschi – esplora una
narrazione diversa, tutta giocata nella delicatezza delle relazioni e delle reazioni a un incidente
in moto che per dodici lunghi mesi lascia in coma Hannes. In una
sorta di limbo, di vita sospesa,
succedono fatti importanti, che
la voce narrante dell’amico Uli
gli racconta scrivendo un diario.
Con la nostalgia di rivivere consuetudini ormai sbiadite: «È stato un anno duro, ma anche bello.
In ogni caso il più insolito che abbiamo mai avuto, sia io che te. E
se devo essere sincero, in futuro
tornerei volentieri a qualcosa di
più convenzionale. Mi piacerebbe che la nostra vita riprendesse il
suo solito tran tran, che ci ha annoiato così spesso e che adesso mi
manca così tanto».
Eppure la dignità dell’esistenza dell’amico, ormai gravemente
disabile, non viene messa in discussione da Uli, che continua a
vegliarlo e a massaggiargli le mani: «Non sei morto e non sei vivo,
né flusso né riflusso, perduto tra
le maree», gli dice. Sembra il più
fedele accanto a lui, insieme ai genitori disperati. Hannes diventa
papà di una bambina senza saperlo e il richiamo alla vita sembra farsi pressante, ma non basta
a farlo risvegliare.
Restano, però, le tante lettere
scritte da Uli, consegnate alla figlia che conoscerà così la giovinezza e l’ultimo anno di vita di
suo padre: una lenta elaborazione del dolore e della perdita, che
non cancella legami e sentimenti.
Quindi per Uli il solo vero modo
di andare avanti è accettare faticosamente l’inevitabile. [L.B.]
33
Feroci e irriverenti, geniali e
politicamente scorrette, tornano
in libreria le strisce di Cico&Pippo,
una serie pubblicata da Altan
nel corso degli anni Settanta,
appena riproposta da Gallucci.
Protagonisti un padre cieco e un
figlio crudele, che non esita a
reagire con ostentata spietatezza
agli atteggiamenti asfissianti di
un genitore che ha fatto della
condizione di non vedente una
professione. Ma non è la disabilità a
essere presa in giro in quest’opera
risalente ai primi anni di attività
dell’autore: è piuttosto la “Cecità
con corone d’alloro sopra le pupille
spente”. Attraverso queste vignette,
infatti, Altan demolisce i tanti
luoghi comuni di una letteratura
che, di volta in volta, identifica
nel cieco l’eroe o la vittima,
nascondendo dietro l’estrema
correttezza formale il rifiuto e la
paura dell’handicap. [A.P.]
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Il reporter mutilato
che racconta gli afgani
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uesta è la storia di Giles Duley, passato dal fotografare l’industria della moda e della musica al documentare i progetti umanitari di
Medici senza frontiere, Organizzazione internazionale delle migrazioni e Alto commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati. Portando il suo obbiettivo, tra l’altro, anche in Angola, Ucraina, Bangladesh e Afghanistan. Qui, nel
2011, parte al seguito dell’esercito
statunitense per raccontare la vita dei soldati, incuriosito dal fatto
che l’anno precedente si erano suicidati più militari di quanti non ne
fossero morti in combattimento.
Ma salta su una mina e si risveglia
nell’ospedale militare di Birmingham: Duley, infatti, è inglese.
Perde entrambe le gambe e un
braccio, ma vuole ancora lavorare
e soprattutto ritornare in Afghanistan per raccontare, scatto dopo
scatto, quello che Emergency fa a
Kabul e l’orrore dei civili vittime della guerra descrittogli da Gino Strada mentre era in Sudan. E ce
la fa. L’occasione gli viene data da un documentario di Channel 4.
A un anno dal suo dramma, Duley riesce così
a catturare anche i segni che il conflitto lascia sugli afgani. A ridargli nuovo impulso professionale è l’incontro con Sediqullah, un ragazzino del
Panjshir ferito dall’esplosione di un ordigno che
aveva raccolto in un campo senza sapere cosa fosse. Proprio gli scatti di Sediqullah in camera operatoria (il ragazzo gli aveva chiesto di stargli vicino
mentre andava sotto i ferri) riescono a riaccendere
il senso e la qualità del suo mestiere.
Ecco allora che le immagini indelebili di ferite
sanguinanti, bambini amputati, corpi mutilati o
straziati dalle pallottole e dalle bombe – ma anche
di operazioni chirurgiche, protesi di braccia e gambe e del lavoro che i medici di Emergency svolgono
quotidianamente – hanno attratto l’attenzione dei media britannici, che si sono interessati molto
alla vicenda del loro connazionale.
La galleria fotografica di quella sofferenza umana Duley l’ha
intitolata “Vittime civili”, e a marzo è stata esposta al KKOutlet di
Londra. Il suo autoritratto invece,
quello che testimonia la sua nuova vita, l’anno scorso è stato selezionato per la Taylor Wessing
exhibition all’interno della National portrait gallery: l’ha chiamato
“Adattando la storia”.
Ma in quanto libero professionista, dopo l’incidente Duley non ha ricevuto un aiuto finanziario cospicuo e si è auto-finanziato la maggior parte
del lavoro. Così ha iniziato una raccolta fondi (Gilesduley.org) per continuare a fare quello che sa fare: il fotoreporter. Gli scatti del fotografo londinese
possono essere visionati sul sito Gilesduley.com. La
sua ultima fatica? Raccontare i rifugiati siriani nei
campi profughi della Giordania. [M.T.]
Foto mai viste è un libro di
immagini rubate da chi non le
ha mai guardate per davvero.
E cioè la stessa autrice, Beatrice
Filippini, una bambina non vedente
di 10 anni. Guidata dagli altri sensi,
per lo più scatta quando viaggia
con mamma e papà. E sa cogliere
l’attimo. Altre volte, invece,
si fa descrivere quello che vuole
immortalare. Dall’insolita passione
di questa bambina, a Brescia è nata
un’associazione che promuove
software al servizio della disabilità.
I genitori e un gruppo di amici
hanno fondato infatti “BeaProject”
(Beaproject.org). A finanziare i
progetti è il ricavato del libro. [M.T.]
34
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Al Salone
di Torino vietato
nonolumi
sfogliare
speciali per bambini
V
speciali. Dal 16 al 20 maggio, all’interno del XXVI
Salone internazionale del libro di
Torino nel padiglione 5 del Lingotto Fiere, torna anche quest’anno il Bookstock Village, spazio
riservato ai più piccoli. Con una
importante novità: tre esposizioni che riguardano il mondo della
disabilità, con attività interattive
per bambini e ragazzi con necessità speciali. Promossa dalla onlus
Area, la mostra itinerante Vietato
non sfogliare propone una selezione di circa 80 libri accessibili e per
l’infanzia sul tema dell’handicap,
pubblicati in Italia nell’ultimo decennio, tutti da scoprire attraverso il gioco.
Allestimento e immagine coordinata sono curati dal designer
Franco Giolitti. Ogni sezione è introdotta da un pannello esplicativo il cui testo è scritto in caratteri
ad alta leggibilità, in Braille e in
Lis; nei testi, quindi, codici linguistici, iconici, narrativi, sensoriali.
Nei contenuti, una rappresenta-
zione della disabilità «capace di
aprire una riflessione anche sulla resilienza e non solo sulla vulnerabilità evocata dall’handicap»,
evidenziano i responsabili dell’associazione Area.
Verrà riproposta anche A spasso con le dita, mostra-laboratorio
con tavole tattili d’artista ispirate ad altrettante parole solidali.
Avviata nel 2010 dalla collaborazione fra la Federazione nazionale delle istituzioni pro ciechi e
la onlus Enel Cuore, ha consentito di pubblicare e distribuire gratuitamente ben 5mila libri tattili
a biblioteche pubbliche, ospedali
pediatrici e istituzioni culturali.
Inoltre gli illustratori animeranno laboratori e atelier didattici e
artistici, esperienze di lettura e
rappresentazioni multisensoriali.
Infine saranno esposte anche
le tavole di Svjetlan Junaković che
illustrano il volume Mia sorella è
un quadrifoglio, edito da Carthusia in collaborazione con Fondazione Paideia e Cepim-Torino. La
storia, che racconta la nascita di
una bambina down, riassume anche un percorso in cui assistenti
sociali, psicologi, educatori, genitori, volontari, fratelli e sorelle
di bambini con disabilità hanno condiviso vissuti ed emozioni. [L.B.]
35
Dex Goodman, angolazioni differenti.
Da seduti la prospettiva cambia. Soprattutto
quando di mestiere si fa il cameraman. Parola
di Dex Goodman, 42 anni, sudafricano, videooperatore e fotografo per i magazine on line
WhatsOnSA e The arts mag, in sedia a ruote
dal 2000. Grande appassionato di musica, i
concerti di Cape Town, gli spettacoli, il teatro e soprattutto la danza sono il suo pane
quotidiano. Tanto che collabora spesso con la
ballerina e coreografa Mamela Nyamza, che di
lui dice: «Riesce a catturare in modo naturale i
particolari senza mostrare tutta la visione della
scena».
Ma Goodman è convinto che il proprio punto di
vista come cameraman disabile non sia necessariamente «diverso da quello di un qualsiasi
altro video-operatore: è più una questione
di riprese da angolazioni che in genere nessuno usa, perché spesso sono io a non essere
in grado di accedere a ciò che si pensa sia la
posizione di ripresa ideale. Così il più delle
volte sono costretto a fare quello che non si
dovrebbe. Questo crea una prospettiva molto
differente», commenta. «Una delle sfide più
importanti nel mio lavoro è la ripresa degli
spettacoli dal vivo da angolazioni laterali:
l’illuminazione del palco, infatti, viene progettata per il pubblico e non per la telecamera o
la macchina fotografica, per cui mi sforzo di
catturare performance che siano il più vicino
possibile all’ambiente che vedo».
Un sogno professionale? «Col tempo spero di
riuscire ad acquisire l’attrezzatura giusta per
darmi la possibilità di controllare a distanza il
movimento della telecamera secondaria, visto
che mi affido tuttora a uno dei tecnici disponibili – conclude –. In genere cerco di trovare
il collocamento e l’esposizione più corretta
della mia seconda cinepresa per catturare sia
le scene scure sia quelle più chiare, ma senza
averne il pieno controllo». [M.T.]
RUBRICHE Inail... per saperne di più
Simone Ramella
Prestazioni protesiche
e riabilitative: accreditamento
per il Centro di Vigorso di Budrio
La decisione dell’Emilia Romagna riguarda sia i posti letto
di degenza che i servizi diurni e ambulatoriali.
Un traguardo strategico per la struttura, che potrà stipulare
accordi con tutte le Regioni
I disegni di questa sezione del Magazine sono di Saul Steinberg
C
on la determinazione n. 3.328
dello scorso 5 aprile, la Regione Emilia Romagna ha concesso
l’accreditamento sanitario al Centro
protesi Inail di Vigorso di Budrio, inserendolo nella rete dei servizi riabilitativi regionali. La possibilità di
fornire prestazioni protesiche e riabilitative a favore degli assistiti del
Servizio sanitario nazionale, sulla base di apposite convenzioni, era
già prevista nel decreto 782/84, che
disciplina le attività del Centro protesi. Ma «l’accreditamento – precisa
Duccio Orlandini, direttore sanitario del Centro Inail – ci consente di lavorare secondo gli
standard necessari per la stipula di eventuali accordi con tutte le Regioni, collocandoci di fatto allo stesso
livello delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate».
«La definizione del mandato di accreditamento – prosegue Orlandini
– è infatti quella di “attività di riabilitazione in regime di ricovero non
ospedaliero ex art.26 L.833/78 per 90
posti letto. Funzioni ambulatoriali
esercitate in autorizzazione”. Ciò significa che sono accreditati sia i 90
posti letto di degenza che le prestazioni riabilitative erogate a ciclo continuativo, diurno e ambulatoriale. Per
tutti noi è una grande soddisfazione,
personale e professionale, aver raggiunto un traguardo considerato stra-
gure professionali sanitarie, medici,
infermieri, fisioterapisti e supportato
da figure dello staff di direzione oltre
che dal raq, il responsabile aziendale qualità – si è occupato, in particolare, dell’analisi e della revisione dei
principali processi di erogazione delle
prestazioni collegate al percorso protesico-riabilitativo del paziente.
Dopo la richiesta di accreditamento, presentata nel dicembre 2010, lo
scorso novembre il Centro di Vigorso
di Budrio è stato sottoposto alla visita
di verifica dell’apposita commissione
nominata dalla Agenzia sanitaria della Regione Emilia Romagna,
che ha verificato il possesso
dei requisiti strutturali,
organizzativi e di personale dedicato.
Nell’iter di accreditamento è stato si-
tegico per l’attività del Centro, che ha
richiesto due anni di grande impegno da parte di tutti e, in particolare, del gruppo di lavoro che ho avuto
il compito di coordinare». Il gruppo
multidisciplinare – composto da fi-
36
curamente importante
il possesso della certificazione del percorso paziente. Il Centro
protesi, che nel 2011 ha
compiuto 50 anni, ha
infatti ottenuto recentemente il rinnovo per
quattro anni della certificazione Iso 9001,
con il riconoscimento
di un sistema di qualità
aziendale definito tecnicamente «maturo».
L’accreditamento sanitario rappresenta un importante traguardo, che risponde
alle indicazione del Consiglio
di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Istituto contenute nelle linee guida e
nei criteri generali per le politiche sanitarie, rispecchiando la capacità di
evolversi nel tempo di una struttura
considerata un vero e proprio centro
di eccellenza.
RUBRICHE Fisco
Antonello Giovarruscio
Agevolazioni fiscali. La guida
dell’Agenzia delle Entrate
Sono numerosi i benefici destinati alle persone con disabilità
e alle loro famiglie. Si va dalle detrazioni per i figli a carico
all’Iva agevolata per l’acquisto di veicoli
L
e norme tributarie emanate negli
ultimi anni hanno mostrato particolare attenzione alle persone
con disabilità e ai loro familiari, riservando loro numerosi benefici fiscali. La Guida alle agevolazioni fiscali
dell’Agenzia delle Entrate, aggiornata a marzo 2013, illustra il quadro delle varie situazioni in cui la normativa
tributaria riconosce benefici fiscali in favore dei contribuenti portatori
di disabilità, indicando con chiarezza le persone che ne hanno diritto. In
particolare, sono spiegate le regole e le
modalità da seguire per richiedere le
agevolazioni.
Per i figli a carico, con disabilità,
spettano le seguenti detrazioni: per il
figlio di età inferiore a tre anni 1.120
euro (1.620 euro dal 1 gennaio 2013); per il figlio di età superiore a tre anni 1.020 euro
(1.350 euro dal 1 gennaio
2013). Con più di tre figli a carico la detrazione
aumenta di 200 euro per
ciascun figlio a partire
dal primo. Le detrazioni
sono concesse in funzione
del reddito complessivo posseduto nel
periodo d’imposta e il loro importo
diminuisce con l’aumentare del reddito fino ad annullarsi quando il reddito
complessivo arriva a 95mila euro.
Per i veicoli, esiste la possibilità di
detrarre dall’Irpef il 19% della spesa sostenuta per l’acquisto, l’Iva agevolata al 4% sull’acquisto, l’esenzione
dal bollo auto e l’esenzione dall’imposta di trascrizione sui passaggi di
proprietà. Per gli altri mezzi di ausilio e i sussidi tecnici e informatici, poi,
viene confermata la possibilità di detrarre dall’Irpef il 19% della spesa sostenuta e anche l’Iva agevolata al 4%
per l’acquisto dei sussidi tecnici e informatici. Detrazioni Irpef del 19% per
37
le spese di acquisto del cane guida per
non vedenti e la detrazione forfettaria di 516,46 euro delle spese sostenute per il suo mantenimento sono nero
su bianco. Ugualmente, la possibilità
di detrarre dall’Irpef il 19% delle spese sostenute per i servizi di interpretariato dei sordi.
Per l’abbattimento delle barriere architettoniche, la Guida pre-
vede una detrazione d’imposta del
36% sulle spese sostenute fino al 31 dicembre 2012 per la realizzazione degli
interventi.
Per le spese sanitarie, esiste invece la possibilità di dedurre dal reddito complessivo l’intero importo delle
spese mediche generiche e di assistenza specifica, mentre per l’assistenza personale non manca la possibilità
di dedurre dal reddito complessivo
gli oneri contributivi (fino all’importo massimo di 1.549,37 euro) versati per gli addetti ai servizi domestici
e all’assistenza personale o familiare. C’è anche la possibilità di detrarre il 19% delle spese sostenute per gli
addetti all’assistenza personale, da calcolare su un ammontare di spesa non superiore a
2.100 euro, a condizione che
il reddito del contribuente
non sia superiore a 40mila euro.
Per saperne di più, si
può visitare il sito dell’Agenzia delle Entrate.
RUBRICHE Senza barriere
Daniela Orlandi
Access City Award 2013:
il fascino accessibile di Berlino
Tante le iniziative realizzate non solo dalla capitale
tedesca, ma anche da Stoccolma e dalla francese Nantes.
Con un unico obiettivo: diventare città veramente per tutti
L’
accessibilità? «Offre nuove opportunità commerciali e può fungere da stimolo per l’innovazione e
la crescita economica. Città come Berlino sono all’avanguardia nel semplificare la vita a tutti»: è quanto dichiarato
il 3 dicembre scorso dalla vicepresidente della Commissione europea, Viviane
Reding, mentre conferiva il riconoscimento “Access City Award 2013” alla
città più accessibile d’Europa. Il premio, giunto quest’anno alla sua terza
edizione, è stato anche occasione per
promuovere politiche per l’inclusione e
diffondere buone prassi. Le due selezioni, quella nazionale e quella europea,
hanno individuato sette città, su oltre 99 municipalità partecipanti: Berlino, la vincitrice, Nantes e Stoccolma, le
città al secondo posto, Bilbao, Gdynia,
Pamplona e Tallaght, le quattro meritevoli di menzione speciale. In attesa
dell’apertura della nuova edizione del
premio, ormai imminente, vediamo le
motivazioni alla base di questa scelta e
le iniziative intraprese dalla città vincitrice e dalle due finaliste.
A Berlino, che oggi conta 3 milioni e mezzo di abitanti, è stato riconosciuto il merito di aver attivato una
politica globale e strategica volta al-
la creazione di una città per tutti. Sulla scelta della giuria hanno influito i
risultati ottenuti nel sistema dei trasporti e gli investimenti effettuati per
agevolare l’accesso delle persone con
disabilità nell’ambito dei progetti di
ricostruzione. Per affrontare la difficile sfida, la città si è dotata di un
ufficio di coordinamento “Edificio
senza barriere” che dal 2000 opera
come centro di consulenza per costruttori pubblici e privati. Dal 2011
il programma “Spazio pubblico senza barriere” ha avviato una strategia
per gli spazi urbani pedonalizzati: sistemi di guida tattile plantare agli incroci stradali e alle fermate di tram e
autobus, e segnali per non vedenti installati agli attraversamenti.
L’accessibilità è anche centrale
nel piano dei trasporti e punta ad
assicurare la copertura della città con
autobus e tram privi di barriere. Entro il 2020 tutte le stazioni della metropolitana saranno accessibili. Quanto
agli spazi destinati a eventi culturali, le partite di calcio al Berlin Olimpia
Stadium possono essere seguite con
un sistema di audio-descrizione, fondamentale per chi ha limitazioni visi-
38
ve. Diverse le motivazioni per Nantes
e Stoccolma. Nantes, città francese di
291mila abitanti, è arrivata al secondo posto grazie all’attenta pianificazione degli interventi e alle numerose
attività di sensibilizzazione in tema di
inclusione. Il centro urbano ha infatti migliorato l’accessibilità in aree come i trasporti, l’edilizia residenziale,
l’educazione, l’informazione e la comunicazione, il tempo libero, gli impianti sportivi, i luoghi della cultura e
gli eventi speciali. Inoltre, in collaborazione con la locale Scuola di design via
Nantes è stata avviata una formazione
continua per i designer e i futuri architetti sui temi della città accessibile.
Stoccolma, capitale della Svezia
con 868mila abitanti, è arrivata in
finale grazie alla sua strategia inclusiva con una prospettiva a lungo termine, impostata sulla filosofia del design
for all. L’obiettivo è quello di diventare
una città accessibile a tutti, anche in
considerazione della sua particolarità
che la vede estendersi per il 30% della
superficie sull’acqua.
Il programma “Stoccolma - Città
per tutti” stabilisce sette obiettivi politici di priorità collocati tra il 2011 e
il 2016. Tra i risultati positivi, è emerso che il 65% degli attraversamenti
pedonali nel centro della città è stato realizzato con rampe di accesso e
segnaletica a contrasto per persone
con limitazioni visive, mentre i bagni
pubblici sono stati allestiti ex novo o
adeguati per permettere l’utilizzo da
parte di persone disabili.
Anche le aree gioco sono state attrezzate affinché siano accessibili sia
ai bambini che ai genitori con disabilità. Infine la capitale svedese ha sviluppato soluzioni innovative come
e-Adept, un sistema di navigazione
per la mobilità di persone con deficit
della vista.
l’ESPERTO RISPONDE
a cura del Consorzio sociale Coin
Scuola
È possibile per una ragazza disabile
con programmazione semplificata,
al quinto anno di liceo linguistico,
seguire come programma di italiano
il Romanticismo, il Decadentismo,
un autore dell’Ottocento e uno del
Novecento?
Posso sapere a partire da quale
percentuale di invalidità un invalido
civile ha diritto a richiedere alla propria Asl la fornitura di lenti e relativa
montatura prescritti da uno specialista pubblico?
L
a programmazione semplificata riguarda gli obiettivi ministeriali con delle riduzioni (art. 16 comma 1 legge n. 104/92) e
«sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l’effettuazione delle prove scritte o grafiche» (art. 16 comma 3 legge
n. 104/92). L’ultimo riferimento per gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di
istruzione secondaria di secondo
grado è l’ordinanza ministeriale
S
11 maggio 2012, n. 41, che all’art. 17 comma 1 stabilisce che le prove equipollenti devono consentire alla Commissione d’esame
di verificare che la ragazza abbia raggiunto
una preparazione culturale e professionale idonea per il rilascio del diploma attestante il superamento dell’esame, in base
alla documentazione fornita dal Consiglio di classe, relativa alle attività svolte
e alle valutazioni effettuate.
Ausili
ono considerati invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite
o acquisite, anche a carattere progressivo, comprese le persone irregolari psichiche per oligofrenie di carattere organico o
dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali o funzionali, che
abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo
e, se minori di 18 anni, che
abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie
della loro età (art. 2,
legge n. 118/71). La
normativa considera varie soglie
di invalidità e
il diverso gra-
39
do corrisponde a benefici differenti: il 33%
(un terzo) di invalidità è la soglia minima
per essere considerato invalido e dà diritto a prestazioni protesiche e ortopediche.
Per completezza di informazione le ricordiamo che nel decreto n. 332/99, all’art. 2,
viene stabilito chi sono gli aventi diritto
all’erogazione dei dispositivi contenuti nel
Nomenclatore tariffario. Con riferimento agli assicurati Inail invalidi
del lavoro, l’erogazione per la fornitura di dispositivi tecnici avviene secondo quanto disposto
dal “Regolamento per l’erogazione agli invalidi del lavoro
di dispositivi tecnici e di interventi di sostegno per il reinserimento nella vita di relazione”,
circolare n. 61 del 23 dicembre 2011.
pinzillacchere
IL PRANZO DELLA DOMENICA
di Carla Chiaramoni
Al Posta
via Valvasone, 14
33072 Casarsa della
Delizia (PN)
alposta.casarsa@
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saletta con 60 coperti
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Prezzo 25 euro
Bancomat e altre
carte di credito sì
L’
Asteroide B612 era la casa
del Piccolo principe nel libro
di Antoine de Saint-Exupéry,
accogliente e amata, ed è
anche il nome scelto dalla
cooperativa sociale (costola
del “Piccolo principe”) che
gestisce da poco più di un
anno questo bar ristorante
solidale, il cui obiettivo è
l’accoglienza. Uno spazio
che declina la solidarietà in
molti modi, dall’arte al lavoro,
e sposa il reinserimento di
persone svantaggiate con la
sostenibilità dei prodotti a
chilometro zero.
Un’area del locale è
dedicata a mostre di
quadri realizzati dal centro
socio-occupazionale della
cooperativa, e alla musica
per chi ha voglia di suonare.
IL FRANCOBOLLO DEL MESE
presta attenzione ai prodotti
a chilometro zero. Alcuni
provengono dalla Rete degli
agricoltori solidali attivi (Rasa):
tutti della zona e impegnati
anche loro nell’integrazione
lavorativa. L’idea del locale,
infatti, nasce nell’ambito del
progetto che coinvolge le
fattorie sociali con lavoratori
svantaggiati, diventate i
primi fornitori del ristorante.
La verdura, per esempio,
proviene in parte dal progetto
“La volpe sotto i gelsi”, che
dà lavoro a persone disabili.
Vengono utilizzati i prodotti
equosolidali, in vendita anche
al bar. Pizzeria nel week-end.
imprevedibili
Dirac, genio dei quanti in odore di autismo
di Gian Piero Ventura Mazzuca
Cani assistenti, non solo guide e amici
T
È
davvero incredibile l’amicizia
che lega cane e uomo: uno
dei modi in cui lo si può riscontrare è il loro affiancamento a
diverse nostre necessità. Oltre
alla guida di supporto ai non
vedenti, i cani possono essere
educati a molto altro, a volte
anche con un addestramento
personalizzato a seconda della
specificità di aiuto richiesto.
Chi ha delle menomazioni,
problemi di equilibrio o di
udito, anche se quest’ultima
è una pratica diffusa più
all’estero, può essere davvero
aiutato dai cani da assistenza
nelle attività quotidiane:
aprire e chiudere sia porte che
cassetti, accendere e spegnere
luci, aiutare a vestirsi/
svestirsi, tirare la sedia a ruote,
Nel locale lavorano – tra
bar, servizio e cucina – tre
ragazzi del centro sociooccupazionale per disabili
del “Piccolo principe”, con il
quale gestiscono anche un
progetto per la “merenda
sana” (produzione di biscotti
artigianali). Le due sale sono
pensate prevalentemente
per le esigenze delle famiglie,
ma utilizzate anche per feste,
convegni, corsi. Spazioso il
bar per aperitivi e ricorrenze,
che ha uno settore giochi per
i bambini; disponibili in estate
anche giardini e sottoportico,
dove c’è la possibilità di
consumare grigliate. La cucina
raccogliere e portare oggetti.
Ma gli animali segnalano
anche qualsiasi tipo di suono
come la sveglia, il telefono,
il citofono, il microonde, un
bambino che piange. Per non
parlare poi dei cani da terapia,
che vanno negli ospedali o nei
centri riabilitativi per aiutare
nella guarigione o distrarre
dalla malattia. Il Regno Unito
ha dedicato loro dei bei
francobolli nel 2007 mentre,
a chi li abbandona, sappiamo
bene cosa dedicare...
40
aciturno fino all’estremo
limite ma mirabile
nell’esposizione scientifica,
appassionato di Topolino,
Beethoven e Rembrandt, Paul
Dirac fu sicuramente uno dei
più prestigiosi e stravaganti
protagonisti della storia della
scienza. Nato nel
1902 a Bristol, in
Inghilterra, fu
il più giovane
teorico a vincere
a soli 31 anni il
premio Nobel
per l’intuizione
sull’antimateria
e la scoperta
di nuove forme della teoria
atomica. Ma la sua vita
privata fu estremamente
sorprendente, tanto da dare
impulso tra gli altri fisici a
una ricca aneddotica sulla
sua economia verbale, il suo
prendere tutto alla lettera, la
sua attenzione monomaniacale
per la scienza e la matematica,
la sua distanza dal mondo.
Queste vicende, tramandate
negli ambienti scientifici per
decenni, potrebbero
però essere lette
anche come “storie
di autismo”. Una
teoria, quest’ultima,
a cui si fa cenno nel
volume L’uomo più
strano del mondo.
Vita segreta di Paul
Dirac, il genio dei
quanti, pubblicato da Raffaello
Cortina. Scritto da Graham
Farmelo nel 2009, ha vinto in
Gran Bretagna il Costa Book
Awards per la biografia. [A.P.]
LE PAROLE PER DIRLO
controcorrente
di Franco Bomprezzi
In un video l’Italia ospitale
una volta “la mano
Handicap C’era
sul cappello”, ovvero
“hand in cap”. Un’espressione
usata in Inghilterra per indicare il fantino più
veloce, costretto allo svantaggio di correre
tenendo la mano sul cappello, e dunque tornando a essere più o meno alla pari con gli
altri. Leggenda o realtà, fatto è che su questa
interpretazione, molti anni fa, il termine “handicap” visse una stagione fortunata, anche
presso le persone con disabilità che ancora
non sapevano di chiamarsi così, perché l’espressione “persons with disabilities” arrivò
molto più tardi, durante la costruzione della
Convenzione Onu. In Italia ricordo con grande
rimpianto Gianni Pellis, precursore di Enil Italia
(European network on independent living),
utilizzare con passione questo racconto, per
rappresentare con efficacia due concetti
positivi: da un lato l’immagine plastica dello
svantaggio, resa efficacemente dall’handicap
nell’ippica; dall’altro le capacità del fantino più
bravo, quello con la mano nel cappello.
E allora perché la parola “handicap” è precipitata rapidamente di valore? Attenzione, in
Francia non è avvenuto: “handicapé” resiste
alle intemperie e persino alla Convenzione,
senza imbarazzi, senza titubanza. Come
mai? Forse perché Oltralpe la parola non si è
connotata in negativo, è rimasta una constatazione dello svantaggio, non si è appiccicata
alle persone come una cappa ingombrante
e stigmatizzante. In Italia “handicap” è diventato ben presto “portatore di handicap”
e poi “handicappato”. Un modo brutale per
spingere nuovamente nell’angolo milioni di
cittadini, uomini e donne, in attesa di vedere
riconosciuti pari dignità e pari diritti. Ecco
perché oggi ripensare alle origini, alla solidità
concettuale del termine “handicap”, che di
per sé rappresenta semplicemente lo “svantaggio”, ci consente di riflettere sulla fatica
che facciamo ad abbandonare l’ipocrisia del
giudizio formulato da chi ritiene di non essere
“toccato”. Ed ecco perché oggi non possiamo
non difendere con forza l’espressione “persone con disabilità”. Fino a quando non si
logorerà di nuovo.
U
na sorta di “pubblicità progresso”
per promuovere il turismo accessibile. Dove una coppia, lui è in sedia
a ruote, gira in lungo e in largo per
lo Stivale sotto sorrisi benevoli e piccoli grandi gesti di attenzione. Dalle
vacanze sulla neve alle città d’arte. È
Italia, un Paese ospitale, uno spot voluto
dal ministero per gli Affari regionali, il
turismo e lo sport e dalla struttura di
Missione per il rilancio dell’immagine
italiana, su indicazione del Comitato per
la promozione e il sostegno del turismo
accessibile. Realizzato in collaborazione
con la Uildm (Unione italiana lotta alla
distrofia muscolare) per la regia dello
stesso protagonista, Aldo Bisacco, che
nella vita è anche autore, l’idea di fondo
della campagna è che «l’ospitalità non
è una cosa che si impara a scuola: è una
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cosa che hai nel sangue, è qualcosa che
respiri nell’aria del luogo dove nasci».
Il viaggio, durato 15 giorni, è partito
da Venezia toccando Ferrara, Mantova,
il Trentino, la Val d’Aosta, la Puglia e
la Sicilia. «Lo so che il nostro non è un
Paese completamente accessibile –
racconta Bisacco –, ma tutto quello che
ho fatto insieme alla mia compagna è
stato possibile nonostante le barriere
architettoniche. Abbiamo riscontrato
un grande spirito di accoglienza. Non
ci sono figuranti nel video: tutte le
persone riprese le abbiamo incontrate
per davvero, e i sorrisi ricevuti erano
spontanei». L’appuntamento, oltre che
su Youtube, dove c’è la versione integrale dello spot, è anche sulla Rai con la
versione sintetica. [M.T.]
dulcis in fundo
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