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Madri disabili: straordinaria normalità
5 maggio 2013 Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa – Spedizione in abbonamento postale 70% - Roma RITRATTI INEDITI Madri disabili: straordinaria normalità M ZIN A G A E LORENZO AMURRI Un’autobiografia rock in lizza al Premio Strega EMILIA ROMAGNA La fatica di ricominciare a un anno dal sisma EDITORIALE di Luigi Sorrentini Direttore Centrale Reggente Riabilitazione e Protesi, Inail A maggio l’Inail si tinge di rosa P arlare di donne e lavoro, ma anche di donne e disabilità, ci porta, ancora oggi, a fare una riflessione su una parità che forse fatica a realizzarsi del tutto. Ma ci stimola anche a riconoscere, ancora una volta, quella particolare dote che le donne hanno di adattarsi meglio e più velocemente alle situazioni sociali più difficili: la storia lo testimonia. Basta soffermarsi su qualche cifra: recenti dati Istat hanno rivelato che – nonostante il maggiore rischio di perdita del lavoro e la notoria differenza di reddito percepito da uomini e donne –, alla prova della crisi economica, il tasso di disoccupazione femminile è sceso negli ultimi otto anni di quasi un punto percentuale. Dimostrando quindi la migliore capacità di adattarsi alla minore disponibilità di risorse presenti nel mercato del lavoro e di collocarsi nei settori meno colpiti dalla crisi, quali l’assistenza alle persone, la filiera agroalimentare e il turismo. Proprio in quest’ultimo settore si inserisce uno dei progetti Inail presentati in questo numero di SuperAbile Magazine, “Ergon”, con il quale le donne infortunate potranno acquisire competenze e conoscenze per lavorare nel turismo accessibile. E, a proposito di accessibilità, mi fa piacere segnalarvi che le ultime settimane hanno visto nascere una nuova pagina telematica su Facebook proprio dedicata all’universo femminile nel rapporto con il mondo del lavoro: “InailDonne”, un ulteriore passo del nostro Istituto verso la multidimensionalità della comunicazione e del rapporto con l’utenza, ma anche un altro traguardo raggiunto nel cammino verso la massima integrazione possibile tra le consolidate (e antiche) competenze dell’Inail e le nuove energie messe a disposizione – e allo stesso tempo anche richieste – dalla società contemporanea. Per concludere, troverete in questo numero di maggio anche un fiocco rosa: grazie a un innovativo progetto di fecondazione assistita a cui ha collaborato l’Inail è nata una bimba, figlia – oltre che dei suoi genitori – anche un po’ dell’incontro fortunato tra la voglia di ricominciare del papà, infortunato sul lavoro, e l’elevata professionalità e dedizione di quegli operatori che con orgoglio chiamiamo “colleghi”. 3 Madri non si nasce, si diventa Il 12 maggio si celebra la Festa della mamma. Vogliamo farlo anche noi, senza retorica, con l’inchiesta di questo numero. Dedicata alle donne disabili che hanno fortemente voluto diventare madri, un diritto inalienabile di ogni donna, e a tutte le donne divenute mamme di un figlio con disabilità. Poi Lorenzo Amurri (nella foto) si svela in un’autobiografia candidata al Premio Strega. Ancora, uno spaccato della situazione in Emilia Romagna a un anno dal terremoto che l’ha colpita: alcune realtà con lavoratori disabili raccontano la fatica di ricominciare. Rimboccarsi le maniche è anche l’atteggiamento dei genitori che s’inventano giochi “accessibilmente modificati” per i loro figli. Voleremo con i “Baroni rotti” per i cieli d’Italia: ci hanno convinti che pilotare un aereo è possibile, disabilità comprese a bordo. Tante altre notizie nelle pagine culturali, nelle rubriche e nelle curiosità, per finire con i PupaSSi: corrosivi, ma senza cinismo. NUMERO cinque Maggio 2013 EDITORIALE 3 A maggio l’Inail si tinge di rosa di Luigi Sorrentini ACCADE CHE... 5 Diventare genitori dopo 7 un infortunio è possibile “Ergon”, per lavorare nel turismo accessibile L’INCHIESTA 9 Nel nome della madre 10 12 16 19 di Antonella Patete Stefania, una mamma come tante Milena, la vita continua Lauretta, il segreto è l’ottimismo Fabiana, il dovere di essere felice Superabile Magazine Anno II - numero cinque, maggio 2013 Direttore: Luigi Sorrentini INSUPERABILI CULTURA 22 La mia seconda vita 30 Benur, centurione infortunato Intervista a Lorenzo Amurri di Laura Badaracchi una gamba di legno di L.B. 34 Il reporter mutilato di M.T. 35Al Salone di Torino vietato non sfogliare di L.B. CRONACHE italiane 24 Terremoto, un anno dopo di Michela Trigari sotto la lente 26 La rivoluzione dei giochi parte dal web di C.C. RUBRICHE 36 Inail... per saperne di più Tempo libero 28 Piloti speciali alla cloche Badaracchi e Diego Marsicano Direttore responsabile: Stefano Trasatti Hanno collaborato: Carla Chiaramoni, Giorgia Gay, Serena Termini, Michela Trigari di Redattore Sociale; Franco Bomprezzi, Gian Piero Ventura Mazzuca, Simone Ramella; Erica Battaglia, Antonello Giovarruscio, Rosanna Giovèdi e Daniela Orlandi del Consorzio sociale Coin Progetto grafico: Giulio Sansonetti 40 40 41 Cani assistenti, non solo guide e amici di Gian Piero Ventura Mazzuca Dirac, genio dei quanti in odore di autismo di A.P. Il pranzo della domenica Al Posta di Carla Chiaramoni Le parole per dirlo Handicap di Franco Bomprezzi In un video l’Italia ospitale di M.T. Prestazioni: accreditato 41 il Centro di Vigorso di Budrio 37 Fisco Guida dell’Agenzia delle Entrate Dulcis in fundo 38 Senza barriere 42 Strissie - I pupassi Il fascino accessibile di Berlino di Adriana Farina 39 L’esperto risponde e Massimiliano Filadoro Scuola, Ausili di un aereo di Giorgia Gay In redazione: Antonella Patete, Laura di A.P. 31 Da 007 a scrittore. Con PINZILLACCHERE 40Il francobollo del mese Editore: Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro Redazione: Superabile Magazine c/o agenzia di stampa Redattore Sociale Piazza Cavour 17 - 00193 Roma E-mail: [email protected] Stampa: Tipografia Inail Via Boncompagni 41 - 20139 Milano Autorizzazione del Tribunale di Roma numero 45 del 13/2/2012 4 Grazie, per averci gentilmente concesso l’uso delle foto, a Fabrizio Caperchi (pag. 3), Simona Ghizzoni (pagg. 4, 9-19), Chiara Vettraino (pag. 6), Paolo Ranzani (pagg. 28-29). In copertina, Milena Di Gennaro con i suoi gemelli, ritratta da Simona Ghizzoni. Un ringraziamento speciale alla fotografa e all’associazione Zona (Zona.org) per la collaborazione preziosa nella realizzazione dell’inchiesta. ACCADE CHE... FioCCo ROSA Diventare genitori dopo un infortunio è possibile È il primo programma di procreazione medicalmente assistita finanziato dall’Inail. E con esito positivo: circa sei mesi fa, infatti, è nata una bimba. Il progetto si chiama “Camelia: il desiderio di diventare genitori” ed è stato attivato nel 2011 una Sede romagnola dell’Istituto, dopo che una coppia aveva manifestato la voglia di avere un figlio nonostante lui fosse in sedia a ruote in seguito a un infortunio. Così l’Istituto Montecatone di Imola (Bologna) ha indirizzato marito e moglie verso il Centro di fisiopatologia della riproduzione umana dell’Ospedale Careggi di Firenze. Poi la terapia ormonale, il supporto medico, psicologico ed economico, persino un corso di yoga per far fronte allo stress della futura mamma. B. e C. (che vogliono tutelare la loro privacy), oggi 46 e 34 anni, si incontrano nel 2004. Lui viene da una convivenza finita per via dell’incidente, avvenuto due anni prima mentre tornava a casa dal lavoro; lei è la ragazza romena assunta per accudirlo. Ma il loro rapporto cambia e si sposano nello stesso anno. La nostalgia della paternità – maturata con i figli che la sua ex compagna aveva avuto da un precedente matrimonio – e il desiderio di maternità della moglie li spingono a manifestare all’Inail il desiderio di avere un bambino. Ecco allora il progetto “Camelia”. «Durante i viaggi continuavamo a chiederci come sarebbe andata a finire – commenta B. –, anche perché in ospedale abbiamo conosciuto tante coppie che ci raccontavano di problemi. Noi abbiamo avuto molta fortuna: C. infatti è rimasta incinta al primo tentativo, anche se per lei è stata abbastanza dura. Ma vedere nostra figlia ci ripaga di tutto. Ora siamo contentissimi, tanto che stiamo già pensando a un fratellino». Dei 4.500 euro di spese previste, 2.700 sono stati erogati dall’Inail, che ha seguito la coppia con un’équipe multidisciplinare; il resto dalla Asl. [M.T.] il concorso Al via le iscrizioni all’Asperger film festival S ono aperte fino al 15 maggio le iscrizioni alla prima edizione dell’Asff (As film festival 2013), mostra di pellicole rivolta a persone con sindrome di Asperger; bando su Asfilmfestival. org. Proiezioni, incontri e premiazioni si terranno a metà giugno a Roma. Realizzato da Cineclub Detour e Studio Kilab con il Gruppo Asperger e grazie al programma comunitario “Youth in action”, il festival prevede una sezione per cortometraggi e l’altra per lavori senza limiti di durata, oltre a una vetrina dedicata a “Cinemautismo”, rassegna promossa dall’Associazione Museo nazionale del cinema di Torino. piacenza Paracycling: causa crisi, saltano le gare A nnullata la quinta edizione della Piacenza Paracycling, in programma il 25 e 26 maggio, una manifestazione sportiva internazionale riconosciuta dalla Federciclismo italiana. «La gara è stata vittima della congiuntura economica – spiega il comitato organizzatore –. Nei primi mesi dell’anno alcune aziende che ci avevano inizialmente garantito la propria disponibilità hanno iniziato ad avere dubbi. Abbiamo cercato altri sostenitori, ma di fronte alle ultime defezioni non possiamo garantire l’evento. Non siamo in grado di far fronte alle spese». «Non si tratta di un addio, ma di un arrivederci al 2014», dice Stefano Magnani, presidente del Pedale Castellano, la società che organizza la due giorni insieme al Velo Sport Borgonovese. 5 È nato il Foro spagnolo di cultura inclusiva: un organismo consultivo con rappresentanti di ministeri, associazioni di disabili ed esperti in materia di accessibilità. Campo in cui la Spagna ha già fatto progressi: adeguamento di alcuni monumenti nazionali, sottotitolazione o descrizione audio dei principali spettacoli teatrali, Piano d’accessibilità nei musei statali. In cantiere un sito web sulle risorse culturali per tutti, una Giornata nazionale di cultura inclusiva e un “marchio di accessibilità” per gli operatori. ACCADE CHE... buone pratiche Il bilancio sociale Aipd in versione facilitata L avoro, scuola, consulenza, progetti per l’autonomia nel bilancio sociale 2012 dell’Associazione italiana persone down, pubblicato anche in una versione facilmente leggibile da chi ha questa sindrome. «Siamo convinti che il nostro fare – sottolinea il presidente Mario Berardi – debba essere condiviso da tutti». Quanto ai prossimi obiettivi, le nuove attività dell’Aipd si concentreranno principalmente sugli adulti e sulle persone con maggiori difficoltà cognitive, comportamentali e di salute. Ad aprile, intanto, è partito il progetto “Turisti non per caso”: guide ad alta comprensibilità alle città europee scritte dalle stesse persone down. (foto: Chiara Vettraino, Aipd Roma) sicilia assistenza A lezione di ristorazione e non solo Un blog per i caregiver familiari O Inaildonne, il social network in rosa. A cura dell’ufficio stampa dell’Istituto, è nata una pagina tematica su Facebook sul mondo del lavoro al femminile. Con uno sguardo professionale su sicurezza e infortuni, stress da lavoro correlato, mobbing e malattie professionali. In Francia l’accessibilità è un miraggio. A rilevarlo, l’ultimo rapporto statale. E la proposta di rimandare al 2022 il limite fissato per adeguare servizi, trasporti e luoghi pubblici non piace alle associazioni di disabili. Intanto il 20% delle case resta inaccessibile. biettivo cooperative sociali. Seguendo prima un percorso di formazione nei settori della ristorazione e del turismo accessibile. È quello che prevede il progetto “Abil-mente”, voluto dall’Associazione siciliana medullolesi spinali con le associazioni culturali E20 ed Ethos, l’Endas (Ente nazionale democratico di azione sociale) Sicilia e Sts srl. Finanziato dall’assessorato regionale Famiglia, politiche sociali e lavoro e da fondi europei, il progetto è rivolto a 12 persone con disabilità fisica e psichica disoccupate o inoccupate, in possesso di licenza media, di cui il 50% donne. Al termine dei due itinerari professionalizzanti saranno rilasciate le qualifiche di addetto ai servizi per la ristorazione e addetto al turismo sociale e accessibile. Seguiranno otto mesi di esperienza lavorativa in azienda al fine di creare due cooperative sociali. R aggiunta quota mille adesioni per l’azione legale collettiva che chiede il riconoscimento giuridico della figura del caregiver familiare. Un’iniziativa lanciata dal Coordinamento nazionale famiglie di disabili gravi e gravissimi e che ha dato vita al blog “La cura invisibile”. I ricorsi collettivi saranno depositati presto nei tribunali di Milano, Palermo e Roma. «Oltre il 70% degli aderenti è di sesso femminile», dicono i promotori: il lavoro di cura pesa soprattutto sulla donna, che «vive in media anche 17 anni in meno rispetto alle altre donne». Un fatto che comporta spesso l’istituzionalizzazione dell’accudito, «con costi così elevati per la collettività da rendere incomprensibile la mancanza di prevenzione». Le regioni con più adesioni? Lazio, Lombardia e Piemonte; agli ultimi posti Molise, Basilicata e Valle d’Aosta. Dislocazione che «ricalca le difficoltà di accesso a Internet». pordenone La bici per chi non riesce a pedalare P er le persone disabili che non riescono a pedalare, zazione del prototipo e, una volta finito, vorremmo ecco una bicicletta che sostituisce il moto circopresentarlo ad alcune aziende specializzate – dice latorio con quello a slittamento. L’idea è il dirigente Giovanni Dalla Torre –. Sarebbe venuta a un gruppo di studenti dell’Istituto un importante collegamento con il mondo “Zanussi” di Pordenone, Tommaso Del Col e dell’industria». «Prevediamo di installare il Luca Modenese primi fra tutti, all’interno di nuovo pedale nella seconda metà del prosun progetto scolastico professionalizzante simo anno scolastico», riferisce la docente che coinvolgerà anche dieci ragazzi disabili Paola Capone. Per gli alunni del “Zanussi”, dell’istituto. «Ora siamo nella fase di realizquindi, ancora molte ore di laboratorio. 6 chiesa Proclamato beato il samaritano dei disabili A postolo di malati e disabili: mons. Luigi Novarese è stato proclamato beato l’11 maggio. Nato il 29 luglio 1914 a Casale Monferrato, a nove anni si ammala di tubercolosi ossea. Nel 1931, miracolosamente guarito, sceglie di diventare sacerdote. Nel 1947 fonda il “Centro volontari della sofferenza” e tre anni dopo i “Silenziosi operai della croce”, associazione di consacrati (uomini e donne, preti e laici) che annunciano a malati e disabili il senso cristiano del dolore. Obiettivo? Togliere le persone con disabilità dai ghetti in cui erano confinate e integrarle nella società attraverso il lavoro e l’autonomia anche dal punto di vista economico. Si spegne a Rocca Priora (Roma) a 70 anni, il 20 luglio 1984. ravenna Una guida per l’integrazione dei ragazzi disabili S alute, educazione, scuola, tempo libero, diritti e trasporti. È il contenuto di Quello che va in giro torna, opuscolo che elenca le opportunità offerte ai ragazzi disabili dal Comune di Ravenna e dalla rete territoriale dei servizi. «La guida va a colmare un vuoto informativo e indirizza le famiglie verso le strutture e le varie possibilità d’integrazione a disposizione dei loro figli», spiega Andrea Canevaro, docente di Pedagogia speciale all’Università di Bologna e consulente editoriale del testo. «Dopo il progetto per gli alunni con disturbi dell’apprendimento – aggiunge l’assessore all’Infanzia e istruzione Ouidad Bakkali –, ecco un altro passo a tutela delle fasce più deboli». mondo inail “Ergon”, per lavorare nel turismo accessibile C ambiare vita e lavoro è possibile. Soprattutto dopo un grave infortunio. Grazie al progetto “Ergon” – frutto della collaborazione tra l’Inail di Trento, la cooperativa sociale Arché e l’Azienda di promozione turistica della Valsugana – due assistite dell’Istituto potranno entrare in un percorso formativo che le porterà ad acquisire le competenze necessarie per diventare organizzatrici di vacanze accessibili, orientate tanto al relax quanto allo sport e al divertimento. Questo perché l’Apt della Valsugana e Arché, che si occupa in particolare di vela per disabili, hanno iniziato già da tempo una mappatura di alberghi e attività ricreative del territorio in grado di ospitare persone con disabilità, comprese le strutture che permettono di dedicarsi alla pratica sportiva. Le due donne si dedicheranno alla creazione di pacchetti turistici per chi ha ridotte capacità motorie o sensoriali. diritti Sordocecità: pochi servizi e molti reclusi in casa I n Italia sono più di mille le persone sordocieche, ma non molti i gruppi organizzati: uno a Torino e pochi altri. Una realtà spesso dimenticata e priva di un’associazione nazionale che le rappresenti. A fare il punto della situazione è stato il primo convegno nazionale dei sordociechi organizzato dall’Ens (Ente nazionale sordi) proprio nel capoluogo piemontese. «A causa del mancato riconoscimento della lingua dei segni, della scarsità dei servizi, degli esigui fondi per le nuove tecnologie e della poca informazione, molte persone sordocieche sono costrette a vivere recluse in casa, senza poter lavorare o andare a scuola», ha affermato l’attivista Christine “Coco” Roschahert. Nata in Canada 33 anni fa, documenta le sue esperienze in tutto il mondo nel blog Tactiletheworld. wordpress.com. Slittata la data di chiusura degli Opg. Dal 31 marzo 2013 si è passati all’1 aprile 2014, in attesa che le Regioni realizzino strutture sanitarie sostitutive agli ospedali psichiatrici giudiziari. Lo ha stabilito un decreto legge approvato dal governo, sollecitando «interventi che supportino l’adozione di misure alternative all’internamento, potenziando anche i servizi di salute mentale sul territorio». 7 ACCADE CHE... palermo Alessio, primo autistico al conservatorio H a 24 anni, si chiama Alessio e dal 2008 studia al “Bellini” di Palermo. È il primo ragazzo autistico in Italia a essere iscritto al conservatorio. Dopo sei anni di porte in faccia, grazie alla tenacia dei genitori, sta coronando il suo sogno: diventare un pianista. Ma suona da quando aveva dieci anni, seguito da un maestro/ tutor che lo assiste anche durante le lezioni al liceo musicale. Frequenta anche l’Accademia di belle arti (pittura e disegno). «Mio figlio, che fino a sette anni non parlava – racconta la mamma, Cinzia Allegra –, è sempre stato portato per la musica. Per farlo entrare al conservatorio abbiamo lottato con tutti i mezzi. Ci dicevano che il ragazzo era bravo, ma non poteva farcela per via della sua patologia». Prima un sollecito dell’avvocato, poi la partecipazione alla trasmissione Ricomincio da qui, infine un progetto ministeriale ad hoc. Prossima battaglia? Una borsa di studio. [Serena Termini] sport Senza sponsor gli Europei di calcio non vedenti Nuova convenzione fra Comitato italiano paralimpico e Inail. I rispettivi presidenti Luca Pancalli e Massimo De Felice L a Federazione italiana sport paralimpici ipovedenti e ciechi lancia un appello. Il nono Campionato europeo di calcio non vedenti, che si terrà a Loano (Savona) dal 10 al 24 giugno, è in cerca di sponsor. «Manca la visibilità e si crede poco in questa disciplina», afferma il responsabile organizzativo Giancarlo Di Malta. Ai prossimi europei si incontreranno otto squadre: Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Russia, Turchia, Spagna e Grecia. La favorita è la Francia, finalista contro il Brasile alle ultime Paralimpiadi. L’Italia è stazionaria, oscillando tra il settimo e l’ottavo posto. Infine, nel campionato italiano giocano Napoli, Siracusa, Bari, Lecce, Liguria e Marche, mentre Empoli e Roma quest’anno sono fuori dal torneo. Tempo libero hanno rinnovato per un quadriennio l’accordo, in vigore dal 2 luglio, che favorirà la sperimentazione di protesi per atleti in collaborazione con il Centro Inail di Vigorso di Budrio. Oltre a promuovere la pratica sportiva per persone disabili, sportelli informativi, eventi e rapporti con enti o istituzioni per sostenere progetti di riabilitazione e integrazione mediante lo sport, l’intesa offre agli infortunati sul lavoro il tesseramento gratuito al Cip e copre il costo di un corso annuale. Bandiere lilla per un turismo senza barriere pisa Anche in Toscana il Garante per le persone con disabilità D opo la Sicilia e la Puglia, arriva anche in Toscana il Garante per le persone con disabilità. A istituirlo è il consiglio comunale di Pisa. Questa figura «si pone come un punto di riferimento per la tutela dei diritti e degli interessi individuali o collettivi in materia di disabilità», si legge nel regolamento. Figura, il garante, che interviene «su istanza di parte o di propria iniziativa in ordine a ritardi, irregolarità e negligenze nell’attività dei pubblici uffici al fine di concorrere al buon andamento, all’imparzialità, alla tempestività e alla correttezza dell’amministrazione». La sua funzione, quindi, è quella di ricevere segnalazioni da parte delle persone disabili o delle loro famiglie, in merito soprattutto alle inadempienze delle istituzioni sulle quali esercita un’azione di pressione e controllo. 8 B andiere lilla per segnalare le strutture turistiche accessibili. Si parte dalla Liguria, che farà da apripista alla campagna nazionale. «Dopo la certificazione dei Comuni del territorio – spiega Angelo Berlangieri, assessore regionale al Turismo –, il riconoscimento sarà esportato anche nel resto d’Italia». Per passare l’esame occorre il 50% del punteggio massimo, secondo i parametri stabiliti dalla Consulta ligure delle disabilità: accessibilità di strutture e infrastrutture, iniziative rivolte alle persone disabili, presenza di menù specifici per le diverse esigenze alimentari. Inoltre i Comuni dovranno avere anche il 10% di bandiere lilla nella propria ricettività. l’inchiesta Nel nome della madre Non c’è un solo modo di essere mamma. Tra entusiasmi e complicazioni, ognuna trova la sua speciale via alla maternità. Quattro donne raccontano la propria storia: tre sono disabili, una ha una figlia con disabilità. Ma le loro esperienze sono uniche, come i volti che vi presentiamo in queste pagine Antonella Patete/foto Simona Ghizzoni l’inchiesta Nel nome della madre Stefania, una mamma come tante S e non ci fosse stato quel tumore spinale, l’operazione al Policlinico “Umberto I” di Roma, la lunga riabilitazione all’Istituto “Santa Lucia” e la sedia a ruote, la vita di Stefania sarebbe completamente diversa da quella che è oggi. Sarebbe un’altra vita, addirittura. Lei non vivrebbe nello spazioso appartamento di Fonte Laurentina, subito oltre il raccordo anulare romano, non ci sarebbe suo marito Giampiero e soprattutto suo figlio Giacomo, i cui impegni scandiscono le giornate di Stefania, come quelli di tante madri alle prese con le numerose attività dei propri figli: la scuola, lo sport, il catechismo. Come se ci fossero due vite, insomma. Quella di prima, in cui Stefania ragazza lascia Orbetello per andare a studiare Lettere e filosofia con indirizzo demo-etno-antropologico nella Capitale, abita a casa degli zii e dopo la laurea torna dai suoi per lavorare presso un tour operator. Quella di dopo l’operazione, che vede una Stefania ormai donna accettare la sua nuova condizione con una forza e un’energia che mai avrebbe pensato di avere. Che si fidanza, si sposa, si trova un nuovo lavoro e poi si lancia nella più straordinaria e normale delle avventure per una donna: mettere al mondo un figlio. Capelli scuri e ricci, sorriso aperto, non è certo una abituata a presen- tarsi come un’eroina. La sua qualità più evidente è l’abitudine a minimizzare. «All’età di 26 anni ho cominciato a sentire un formicolio alle gambe e, un mese dopo, riuscivo a malapena a camminare – racconta –. Dagli accertamenti è venuto fuori che si trattava di un tumore alla colonna vertebrale. Per fortuna è risultato benigno». Dopo l’operazione il periodo più nero, sette mesi all’interno del “Santa Lucia”, il principale polo romano per la riabilitazione neuromotoria. «È stato un periodo molto intenso, brutto e al tempo 10 Le foto dell’inchiesta e della copertina sono di Simona Ghizzoni. Nata a Reggio Emilia nel 1977, dal 2005 si dedica alla fotografia documentaristica, con particolare riguardo alla condizione della donna. Con un’immagine del lavoro Odd Days, sui disturbi dell’alimentazione, vince il terzo premio nella categoria ritratti al World Press Photo 2008 e, con lo stesso progetto, nel 2009 il Photoespaña Ojodepez Award for Human Values. I suoi lavori vengono esposti a Paris Photo 20082009-2010 con la Galleria Forma di Milano. Con Afterdark, un progetto a lungo termine sulle conseguenze della guerra sulle donne, vince il terzo premio Contemporary Issues singole al World Press Photo 2012. Collabora con l’agenzia “Contrasto” e con l’associazione “Zona”. stesso bello – spiega –. Vivevo lì giorno e notte, facendo faticosamente i conti con la mia nuova condizione. Ma proprio in quei mesi ho conosciuto l’uomo che poi è diventato mio marito: lavorava come poliziotto, ed era ricoverato anche lui in seguito a un terribile incidente stradale durante l’attività di servizio». Poi Giampiero si è rimesso in piedi, entrambi sono stati dimessi e quattro anni dopo si sono sposati. «I miei futuri suoceri mi hanno accettato bene fin dall’inizio, se hanno avuto qualche perplessità se la sono tenuta per sé». Nel frattempo tanti viaggi, l’acquisto della casa dove vivono attualmente e l’impegno di Stefania all’interno della squadra di nuoto agonistico del “Santa Lucia”. «Per me che non sono mai stata una sportiva è stata una bella sfida – ricorda –. Mi è servita non solo come riabilitazione a livello motorio, ma soprattutto per ricostruire l’autostima e la fiducia in me stessa. Ho conosciuto persone che mi hanno aiutato a capire come fosse possibile continuare a condurre una vita autonoma». Dopo il matrimonio Stefania ha trovato il suo attuale lavoro: operatrice presso il call center di SuperAbile, dove risponde alle telefonate degli utenti che hanno bisogno di informazioni, suggerimenti e qualche volta anche solo di essere ascoltati. Nel 2003 è Mio figlio non mi ha mai fatto domande sulla mia sedia a ruote o forse non me le ricordo più. È sempre stato tutto molto normale nato Giacomo. «È stata una gravidanza bellissima – racconta –. Nessun problema a rimanere incinta, nessuna nausea, tutto liscio come l’olio. Ho effettuato un parto cesareo programmato e il bambino ha preso subito il mio latte. È sempre cresciuto bene, l’ho allattato fino all’età di un anno». Ad aiutare Stefania sono subito arrivati i suoi genitori, che dopo un po’ si sono trasferiti da Orbetello a Roma. «Non mi ricordo grandi difficoltà, siccome non potevo spingere il passeggino lo tenevo sempre con me nel marsupio. Non appena ha cominciato a camminare, non potendogli tenere le manine, creavo un percorso di sedie che lo aiutasse a bordeggiare. E quando si sentiva stanco si accucciava sui miei piedi». Se oggi potesse cambiare qualcosa del suo passato, Stefania fa- rebbe sicuramente un secondo figlio. Quando è arrivato Giacomo aveva 33 11 l’inchiesta Nel nome della madre anni, e all’epoca le apparivano tanti. «Già mi sembrava difficile con un bimbo piccolo, figuriamoci con due. Inoltre durante l’allattamento ero ingrassata tanto, e io non me lo posso permettere: muoversi in sedia a ruote diventa davvero faticoso se prendi peso. Ora penso che, se avessi voluto, avrei potuto farlo. Ma alla fine le cose sono andate così». L’arrivo del bambino ha portato anche un nuovo modo di vivere la vita. Stefania ha conosciuto altre mamme, alcune delle quali oggi per lei sono diventate come sorelle. «Sono completamente autonoma, ma ci aiutiamo a vicenda ogni volta che possiamo. Se non posso andare a prendere mio figlio a scuola o accompagnarlo a fare sport, c’è sempre qualcuna che si offre di aiutarmi. Non ho la più pallida idea di cosa voglia dire essere sola». Intanto Giacomo cresce sereno e «pacioccone», com’è sempre stato fin da piccolo. Oggi ha dieci anni e sta per fare la prima comunione. Mostra serio il quaderno di scuola per dimostrare che studia già I promessi sposi ed ecco che spicca un bel dieci alla fine di un compito. Se glielo fai notare, abbassa lo sguardo di imbarazzo e piacere. «Non mi ha mai fatto particolari domande sulla mia sedia a ruote o forse io non me le ricordo più – precisa sua madre –. È sempre stato tutto molto normale. Appena ha avuto l’età per farlo ha cominciato a correre avanti per strada con l’intento di segnalare un gradino o una qualsiasi barriera architettonica». A volte spinge correndo la carrozzina di sua madre. Qualche tempo fa Stefania gli ha domandato: «Meglio una mamma in piedi o in sedia a ruote?» La risposta di Giacomo non si è fatta attendere: «Meglio una mamma come te!». Milena, la vita continua 12 Al mattino ci impiego un’ora ad andare al lavoro, per stare nei tempi dobbiamo alzarci alle cinque. Nella mia situazione ci vuole più tempo per fare le cose «D onna, disabile, madre e lavoratrice. Nella mia persona incarno tutte le gioie e le difficoltà di queste quattro figure diverse». Filomena Di Gennaro, che tutti chiamano Milena, si presenta senza tanti giri di parole, dimenticando per un momento quell’orribile fatto di cronaca che l’ha resa celebre suo malgrado e l’ha portata a vivere su una sedia a ruote. Perché, sebbene il peso del passato condizioni ancora la sua vita, il suo appartamento alla periferia Nord di Roma parla d’altro. I due lettini, i giocattoli sparsi ovunque in salotto, il grande recinto dei giochi tra il divano e il televisore rivelano, inequivocabilmente, la presenza di due bambini. Gabriel e Samuel, quei gemelli tanto desiderati e a lungo attesi, che oggi all’età di 14 mesi colmano di gioia Milena e suo marito Peter, mettendoli al tempo stesso di fronte a uno dei principali crucci della famiglia contemporanea: la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, a cui si aggiungono i diktat di un budget gravato da nuove esigenze e nuove spese. Trentaquattro anni e un viso ancora da bambina, Milena condivide con tante sue coetanee il tentativo quasi impossibile di trovare la quadratura del cerchio: essere madre attenta e lavoratrice ineccepibile, districandosi tra la ricerca del nido più adatto, la cura della casa, il bilancio familiare, le necessità personali. Ma quando si parla di figli la fatica passa spesso in secondo piano. Per lei, madre da poco più di un anno, lo sguardo è tutto rivolto ai suoi bambini. La gravidanza poi è un ricordo ancora vivido. Come la felicità del primo incontro con i nuovi arrivati. «Fin dalla prima ecografia sono risultati due gemelli, si sono viste subito due camere gestazionali – racconta –. E al secondo controllo ecografico era già possibile ascoltare il battito del cuore». Eppure non tutto è andato liscio come l’olio. A cominciare dalle incertezze dell’inizio. «Ho desiderato a lungo un figlio, ma c’è poca casistica e poca conoscenza per casi come il mio – prose- 13 gue –. Per esempio non era chiaro se i farmaci che assumevo potessero essere pericolosi in gravidanza, così nel dubbio ho deciso di sospenderli. E poi, una volta incinta, ho riscontrato una scarsa organizzazione da parte delle strutture pubbliche: in ospedale non c’era una stanza attrezzata, anche se il personale era disponibile». Dopo trentaquattro settimane e cinque ricoveri in ospedale, Gabriel e Samuel sono finalmente venuti alla luce. Nati troppo presto per tornarsene a casa dopo le classiche 48 ore di osservazione, sono rimasti in neonatologia ancora per qualche settimana. «Era inverno, un giorno venne perfino a nevicare, Roma era bloccata. Io e mio marito affrontammo sette ore di macchina per poter stare con loro mezz’ora». Le difficoltà delle prime settimane non erano però ancora finite, perché qualche giorno dopo Milena, Peter e i due gemelli erano di nuovo in corsia: «Samuel si era preso la bronchiolite e a ruota si è ammalato anche il fratello, così siamo restati tutti e quat- l’inchiesta Nel nome della madre tro in ospedale per 15 giorni. È stato l’inferno: non c’erano culle, ma solo lettini troppo grandi per loro, dovevamo somministrargli da soli i farmaci, i bambini erano sotto flebo e sotto ossigeno. Fortunatamente, una volta finito il ricovero, tutto è andato bene: i piccoli hanno cominciato a crescere nella norma e noi siamo usciti dalla fase più preoccupante». Per entrare in quel periodo della vita che rappresenta la croce e delizia di ogni genitore: il latte, lo svezzamento, le pappe, il sonno, l’inserimento al nido, i primi passi. «La notte non si dorme, si svegliano in continuazione – dice Milena –. Al mattino ci impiego un’ora ad andare al lavoro, per stare nei tempi dobbiamo alzarci alle cinque. Nella mia situazione ci vuole più tempo per fare le cose, non posso contare sulla velocità di una volta. E poi noi facciamo tutto da soli – continua –. Mio marito mi dà una grossa mano, possiamo contare soltanto su una signora che ci aiuta nelle faccende domestiche. Vuoi o non vuoi, la disabilità incide sulla mia realtà di oggi». Non da sempre, infatti, Milena è stata disabile. Sono passati sette anni da quel tragico 13 gennaio 2006, quando il suo ex fidanzato le sparò. All’epoca la sua vita era a una svolta: era entrata nell’Arma dei carabinieri e 14 Noi ci siamo creati una famiglia con la “normalità” di una vita vissuta in sedia a ruote, dove anche un gradino può fare la differenza stava frequentando il corso per diventare maresciallo a Velletri, in provincia di Roma. L’uomo che era stato con lei per dieci anni provò a ucciderla dopo un ultimo tentativo di chiarimento, perché lei aveva deciso di mettere fine a un rapporto ormai logorato. A salvarla, un attimo prima dell’ultimo colpo di pistola che le sarebbe costato la vita, il tenente che in seguito è diventato suo marito. Lei gli aveva confidato dell’incontro imminente solo per un caso fortuito: non presagiva nulla, infatti, pensava di conoscere bene il suo ex. Lui però l’aveva messa in guardia lo stesso e poi, per eccesso di zelo, l’aveva seguita. Per fortuna è riuscito a intervenire un attimo prima che l’uomo riuscisse a ucciderla. La beffa è stata che, dopo l’episodio, Milena è stata congedata dall’Arma. A questo ricordo per la prima volta – e inevitabilmente – Milena si rabbuia. «Dopo il liceo, mi sono laureata in psicologia – dice seguendo il filo di una storia che ha già percorso mille volte –. Ma il mio desiderio, fin da piccola, era quello di entrare nei carabinieri. Quando ho vinto il concorso ho provato una gioia incredibile, stavo finalmente realizzando i miei sogni». Dal giorno del suo congedo forzato, Milena lotta per tornare a ricoprire quello che ancora considera il suo posto. Dopo la partecipazio- 15 ne a una puntata di Amore criminale, la fortunata trasmissione televisiva in onda dal 2007 su RaiTre, la Federazione dei tabaccai le ha offerto un lavoro all’interno del proprio Ufficio risorse umane. Le piace, si trova bene, ma non è questo il suo sogno: «Voglio tornare al mio lavoro, perché stare a contatto con la gente e poterla aiutare è stato sempre il mio obiettivo. Come psicologa e come vittima di violenza avrei sicuramente molto da dare». Da qualche tempo poi c’è un nuovo pensiero ad affliggere le gior- nate di Milena: ha nuovamente paura perché, dopo sette anni, Marcello Monaco è uscito di prigione. Non si è mai pentito, mai una parola di scuse nei suoi confronti: «Sono la vittima e non mi sento tutelata. Mi preoccupo soprattutto per l’incolumità dei miei figli». Cercando al tempo stesso di difendere quella quotidianità che ha faticosamente conquistato: «All’inizio è stato tutto ovattato: la riabilitazione, il matrimonio, il desiderio di maternità. Però dopo sette anni la vita comincia ad assestarsi: noi ci siamo creati una famiglia con la “normalità” di una vita vissuta in sedia a ruote, dove anche un gradino può fare la differenza. Ma che fai? O ti butti dentro un letto o decidi di ricominciare a vivere. E io ho scelto la vita». l’inchiesta Nel nome della madre Lauretta, il segreto È è l’ottimismo bella e lo ha sempre saputo Lauretta Piarulli. «Non mi piace essere etichettata come diversamente abile – chiarisce fin dal primo contatto telefonico –. Sono Laura, punto e basta. La mia vita è piena di cose – prosegue senza darti il tempo di fiatare –. Mi dedico al volontariato e alla politica, faccio parte della Croce Rossa, vado a cavallo e occasionalmente mi lancio con il paracadute. Devo ammettere che la mia bellezza mi ha sempre aiutato». E poi rispondendo a una domanda precisa: «Sì, ho quattro figli, sono la mia vita». Qualche giorno dopo nell’appartamento al primo piano vicino al santuario del Divino Amore, dove vive con la sua famiglia da qualche mese, Laura sorride mostrando le sue foto su un iPad. In casa c’è Roger, il suo attuale compagno di dodici anni più giovane di lei, e due dei suoi quattro figli, tutti di età compresa tra i 15 e i 28 anni, il cane e quattro gatti. Ovviamente c’è anche lei, con i capelli lunghi e il decollété, gli stivaletti di pelle chiara, i tatuaggi e la sedia a ruote che fa oscillare avanti e dietro mentre parla, in un movimento incessante. E soprattutto quell’incrollabile fiducia nei confronti del mondo, che la induce a liquidare come un particolare inessenziale le difficoltà della sua vita da persona disabile. Compreso il fatto che nella palazzina dove abita non c’è neppure l’ascensore. D’altra parte è solo un particolare per una come lei, che è nata cinquant’anni fa in una borgata e racconta, verso la fine dell’intervista e soltanto per caso, che l’ascensore non l’aveva neppure quando, nei suoi vari traslochi, si è ritrovata ad abitare all’ottavo piano di un palazzo di Tor Marancia. «Tutto cominciò il 12 gennaio del 1961 alla Garbatella – dice –. A 18 mesi sono stata colpita dalla poliomielite a causa del vaccino antipolio. All’epoca mia madre aveva solo 17 anni, due figlie e un bambino in arrivo. Siamo 16 Mi dicevano che avere dei bambini sarebbe stato difficile, ma io non volevo rassegnarmi una famiglia numerosa: nove fratelli, sei maschi e tre femmine». Quando la portarono all’Ospedale “Spolverini” di Ariccia risultò poliomielite aggravata da meningite. «Sono andata e venuta da Ariccia per un anno e mezzo – ricorda –. Ho vissuto nel polmone d’acciaio, ho portato il busto per via della scoliosi, ho sofferto di disturbi respiratori». Tornata definitivamente a casa, Lauretta iniziò a frequentare “Il Nido verde”, un ente privato unico a Roma nato per accogliere bambini disabili. Erano tempi in cui l’etichetta di scuola speciale non suonava male come oggi. «Ci passavo tutta la giornata – afferma –. La riabilitazione si alternava alle lezioni, ho un bellissimo ricordo di quel periodo. Alla fine della giornata tornavo a casa, dove trovavo la mia grande famiglia: mangiavamo a turno, dividevamo il letto, ma da noi c’era sempre ordine e pulizia». Con tutti quei fratelli più picco- e nuovi ausili c’era sempre qualche vicili, d’altra parte, considerarsi disabi- no disposto ad accompagnarmi». le e comportarsi di conseguenza era un lusso che Laura sentiva di non potersi permettere. «A undici anni io e le mie sorelle eravamo considerate delle donne. Quando nostra madre si assentava, eravamo perfettamente in grado di mandare avanti una casa». All’epoca, infatti, esistevano due leggi, opposte e complementari. La prima era imparare a fare tutto, senza contare sull’aiuto degli altri. «Andavo in giro per le strade col girello, cadevo e mi rialzavo. Non c’era nessuno che mi aiutasse a indossare i vari busti e quando uscivo da scuola non trovavo l’autista ad attendermi, come alcuni compagni più facoltosi. Aspettavo mia madre nell’officina del meccanico». La seconda era la legge della solidarietà, che vigeva indiscussa tra gli abitanti della borgata. «Tutti mi conoscevano, quando avevo bisogno di visite mediche 17 Alla fine delle elementari, Laura decise di non frequentare l’Istituto “Don Gnocchi” per ragazzi disabili, iscrivendosi invece alla scuola pubblica di Tor Marancia. Quando aveva undici anni vendettero la biancheria di famiglia per andare a Lourdes: salì sul treno bianco con suo padre e, giunta al santuario, indossò una veste rosa. Quando entrò nelle vasche sacre, ne uscì asciutta. Il miracolo non era avvenuto, non era guarita, ma le sembrò un riconoscimento ulteriore per il dono più grande che aveva ricevuto: quel carattere straordinario che le ha sempre permesso di affrontare le avversità della vita con la stessa disinvoltura con cui un’attrice di lunga carriera prende atto di avere una calza smagliata. A vent’anni, infine, si innamorò e poco dopo volò a nozze. «Mio padre, che era un cantante di borgata, era preoccupato l’inchiesta Nel nome della madre per me, temeva che non riuscissi a vivere come le mie sorelle. Così, insieme al suo amico Silvio Silvestri, scrisse la canzone Lauretta mia, la cui paternità più tardi è stata rivendicata da molti. Ma ti posso assicurare che la canzone fu cantata per la prima volta nei prati di Tor Marancia il 20 settembre del 1981, il giorno prima del mio sposalizio. Il coro era composto dai miei fratelli». I primi tempi del matrimonio furono duri: era la prima volta che Lau- ra andava via di casa e durante il viaggio di nozze a Firenze già si sentiva sola. Ci mise tempo ad abituarsi alla sua nuova condizione di sposa, le mancavano la mamma, i fratelli, i figli che tardavano ad arrivare. «Mi dicevano che avere dei bambini sarebbe stato difficile, ma io non volevo rassegnarmi. Al primo malore pensavo di essere in attesa, così che quando rimasi effettivamente incinta per la prima volta nessuno era disposto a crederci. Eppure avevo ragione io: era solo la prima delle mie quattro gravidanze, tutte belle, anzi stupende. Mi sentivo in forma, non ho mai avuto minacce di aborto, li ho allattati tutti e quattro». Nel 1984 è nata Romina, la prima, poi Tiziano nel 1987, Fabiano nel 1990 e, da ultimo, Nicholas nel 1998. «Tutti nomi romani, tranne l’ultimo. Ero incinta nell’estate in cui il piccolo Nicholas Green morì trafitto da una pallottola sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria». Negli anni intermedi la vita le presentava nuove difficoltà: a 28 anni fu colpita da una severa forma di psoriasi, che la costringe tutt’oggi a cure invasive. «Ho trascorso quattro mesi all’Ospedale “San Gallicano”: era diventata la mia seconda casa, organizzavo feste e cene. Da lì è nato il desiderio di fare volontariato in ospedale, come poi ho sempre fatto». Nel 2003 è caduta dalla sedia a ruote, rimanendo quattro mesi ricove- 18 rata in ospedale. «In quell’occasione ho inviato la mia storia al Comune di Roma e sono stata insignita del titolo di donna dell’anno». Nel frattempo viveva la sua vita di donna e di madre, senza cedere ai colpi della sorte. «Mio marito era disoccupato, i miei figli sono cresciuti in maniera semplice, con molti valori e pochi vizi. Nella mia famiglia ci siamo sempre aiutati e anche oggi vivo nella casa che è stata affittata dal mio compagno. Siamo felici perché ci accontentiamo di poco. Io non ho nulla, questa è la mia forza». La sua ricchezza, invece, sono i figli che vivono ancora in famiglia. Romina, che in questo periodo non ha un lavoro, aiuta sua madre, Tiziano fa il facchino, Fabiano il barista e Nicholas va ancora a scuola. «Tutto quello che faccio è per loro. Ma giuro che non sono una madre né possessiva né apprensiva. E quando mi fanno arrabbiare li minaccio: attenzione, se continuate così me ne vado a vivere da sola». Fabiana, il dovere di essere felice Q uando diede alla luce Diletta sua madre smise di parlare. Impiegò cinque anni prima di riuscire a trovare le parole per accogliere la sua prima nipote. Nel suo grande salotto tappezzato di foto di famiglia al quartiere Laurentino di Roma, Fabiana Gianni, 41 anni, racconta una storia che solo nel corso di molti anni è riuscita a elaborare: la sua adolescenza ribelle, l’arrivo della sua primogenita e poi delle altre due figlie Diana e Daniela, la grande gioia del suo recente matrimonio con Sandro, e il rapporto con la propria madre. Una donna altoborghese quest’ultima che, preoccupata di proteggere sua figlia dalle sofferenze della vita e dal giudizio dei vicini, non è riuscita per anni ad avere una relazio- ne con la sua prima nipote Diletta, nata con una grave cerebrolesione da parto. Una neo-nonna colpita da una situazione che risultava impossibile gestire con gli strumenti di sempre. «Nella mia famiglia la disabilità non era minimamente contemplata. Non accettavano gli ausili di Diletta né le difficoltà che non avrebbero superato in alcun modo. Non accettavano la mia reazione e le mie scelte. Con mia madre non ci siamo parlate per anni e mi sono trovata a reinventarmi una vita in corsa. Mi mancava la sua figura, ma dovevo salvaguardare me stessa e Diletta da quello scroscio di imperativi e razionalità che non condividevo». Nel 1998, anno in cui nacque Diletta, Fabiana era appena riuscita a trovare 19 un equilibrio tra i suoi desideri e la concreta possibilità di realizzarli. Aveva messo fine a una giovinezza irrequieta che l’aveva portata fino a Berkeley in California e aveva cominciato a lavorare nell’azienda di famiglia, aprendo un nuovo canale dedicato alla formazione all’interno di un’impresa che si occupava di allestire laboratori scientifici nelle scuole. Ma soprattutto si era sposata un anno prima, coronando pochi mesi dopo il più grande dei suoi sogni: «Avevo da sempre desiderato dei figli e rimanere incinta fu un’enorme gioia». Si sente spesso dire che la disabilità è tale soprattutto per via delle condizioni ambientali, sociali e materiali che il mondo circostante frappone tra sé e le persone disabili o i loro familia- l’inchiesta Nel nome della madre ri. Un assunto che Fabiana sperimentò fin da subito sulla propria pelle. Reagì con grinta ai problemi di Diletta e mai, neppure per un momento, si permise il lusso di piangere sulla sua condizione di novella madre. «Dopo aver detto ai miei genitori che non mi sarei mai separata da mia figlia, io e mio marito abbiamo aperto un’attività per conto nostro. Continuavamo a occuparci di stage e formazione, ma eravamo fuori dall’azienda di famiglia – ricorda –. Quando penso a tutte le cose che ho fatto in quel periodo, mi domando ancora dove abbia trovato la forza di farle». Due anni dopo, infatti, Fabiana e Diletta erano a Philadelphia, negli Istituti per il potenziamento dello sviluppo umano, fondati da Glenn Doman per accrescere le competenze dei bambini con lesioni cerebrali. «Quello di Doman è un metodo molto invasivo: sono moltissime le attività da svolgere ogni giorno. La casa era tutta rivestita di percorsi guidati, e io me ne andavo in giro con tre cronometri appesi al collo». Fu un periodo di sforzi straordinari, ad aiutare Fabiana una quarantina di volontari reclutati in ogni modo: tra gli amici, col passaparola, attraverso volantini affissi sui muri del quartiere. «Quando facemmo l’ultimo viaggio in Pennsylvania, non uscivamo più di casa. Eppure ne è valsa la pena: Diletta aveva raggiunto il massimo dal punto di vista motorio. A 22 mesi ha detto “mamma” per la prima volta, e dopo quasi due anni di metodo Doman ho deposto le armi e ho dato ini- zio alla stagione del sorriso. Mia figlia non avrebbe mai camminato, tanto valeva usare subito la sedia a ruote. Avevamo fatto tutto quello che potevamo fare, ora bisognava soltanto vivere». Nel frattempo la situazione familiare affondava a poco a poco sotto il peso dello sforzo necessario ad affrontare quella faticosa normalità. «Mentre io seguivo il mio percorso, mio marito si chiudeva progressivamente in un silenzio assordante. Ci siamo lasciati nel 2004, poco dopo l’arrivo della seconda figlia che io avevo fortemente voluto». Poi un nuovo compagno e due anni dopo era la volta di Daniela, che non ha avuto neppure il tempo di conoscere suo padre, scomparso pre- maturamente prima della sua nascita. «Sono seguiti due anni terribili, ma la mia situazione non mi permette il lusso di deprimermi». La svolta è arrivata nel 2010, quando Fabiana ha conosciuto Sandro, anche lui con un figlio e un matrimonio finito alle spalle, con cui si è sposata nel marzo dello scorso anno. «Ora sono serena, non sono costretta a lavorare per guadagnarmi da vivere e, oltre alla mia famiglia, ho il tempo di dedicarmi ai miei progetti: in primo luogo alla Fondazione Villa Point, nata a San Felice Circeo alla fine del 2012 con l’obiettivo di portare la disabilità fuori dal ghetto. I miei genitori hanno voluto dimostrarmi di aver capito e, come è loro stile, lo hanno fatto in modo plateale». Non è un caso, infat- A 22 mesi ha detto “mamma” per la prima volta, e dopo quasi due anni di metodo Doman ho deposto le armi e ho dato inizio alla stagione del sorriso 20 ti, che la Fondazione sorga proprio nella villa di famiglia nel cuore del Circeo, dove si dà appuntamento ogni estate la Roma bene. Fabiana apre i cancelli soprattutto in inverno, organizzando feste e iniziative aperte a tutti, famiglie con persone disabili e non, in modo da creare relazioni e momenti di svago fuori dal tran tran della vita di tutti i giorni. Ma c’è anche una seconda ragione: «Ho voluto che la disabilità arrivasse al Circeo, dove la sola vista di una persona in sedia a ruote sembra proprio che dia fastidio. Perché – si arrabbia – io non avrei nessun problema ad andare al mare con le mie figlie se solo ci fosse un minimo di organizzazione. I problemi sorgono quando, arrivate alla spiaggia libera, le due più piccole scappano avanti e io rimango bloccata nella sabbia perché non c’è una passerella che mi consenta di raggiungere la riva con la più grande». Così la vita quotidiana trascorre tra battaglie per far valere i propri diritti e momenti di serenità familiare. Diletta frequenta la terza media fino alle 15.30, fa fisioterapia quattro ore a settimana e ha un assistente domiciliare tre ore al giorno, una la mattina prima di andare a scuola e due il pomeriggio. Quando noi la incontriamo, in uno dei primi pomeriggi caldi di una primavera tardiva, manifesta segni di diffidenza per via di una lunga settimana di controlli e check up me- 21 dici: «Non mi devono toccare», dice, temendo una nuova seduta di fisioterapia con persone sconosciute. «L’anno scorso sono cambiate tutte le persone di riferimento e riabituarsi per lei è stato molto faticoso – racconta sua madre –. Di questo dobbiamo essere grati alla carente organizzazione dell’assistenza domiciliare e alla mancata erogazione dell’assistenza indiretta». E poi ci sono le altre due, Diana e Daniela. Anche il loro nome comincia con la lettera D, in omaggio alla forza e all’energia della Donna. Come tanti fratelli di bambini e ragazzi disabili sono costrette a fare i conti con la presenza di una sorella che rischia di rubare loro tempo e attenzioni da parte dei genitori. «La più piccola non ha paura di niente e di nessuno. Quando porta a casa un’amichetta per la prima volta, le chiede se Diletta le piace. È il suo modo per capire quali sono le persone da frequentare e quali no. Diana, invece, è più timida, c’è il pericolo che a volte si senta schiacciata». Da poco c’è anche Denny, un Labrador arrivato dal canile, ormai parte della famiglia a tutti gli effetti. Insomma, con i vari impegni c’è poco da annoiarsi. «Dovrebbe vederci quando le bambine hanno una festa di compleanno, tutte nello stesso giorno e alla stessa ora», afferma Fabiana. E poi più seria: «Attraverso Diletta ho realizzato me stessa. Non pensavo di poter essere così felice, lo dico senza retorica. È una bambina solare, che non perde mai il sorriso. Guardando lei capisco che ho il dovere di vivere con gioia». INSUPERABILI Intervista a Lorenzo Amurri La mia seconda vita Sognava di fare il musicista rock. Un incidente sulla neve ha segnato il suo corpo. Facendo esplodere in lui una vena letteraria che ha messo nero su bianco in un’autobiografia senza censure. In gara per il prossimo Premio Strega U Laura Badaracchi na domenica a sciare con la fidanzata svedese Johanna sul Terminillo, vicino Roma. Che finisce con uno schianto su un pilone della seggiovia, la quinta vertebra disintegrata e l’eredità di una tetraplegia. Sono passati oltre 16 anni da quel giorno e Lorenzo Amurri non ha ricordi del momento dell’impatto. Solo la sensazione di non riuscire a respirare, la testa affondata nella neve. Ma con lucida autoironia e sincerità il musicista e produttore musicale 42enne ripercorre i mesi dopo il gravissimo incidente – prima in ospedale a Terni, poi in clinica a Zurigo tra interventi chirurgici, terapia intensiva e riabilitazione – nell’autobiografia inti- 22 tolata significativamente Apnea ed edita da Fandango. Scritta in due anni e mezzo cliccando sulla tastiera con la nocca del mignolo destro, si legge d’un fiato. Grazie anche al tono, che non scivola mai nell’autocommiserazione. La disabilità nuda e cruda, vissuta e narrata con grinta: senza pudori né censure. Coperto di tatuaggi, capelli un po’ lunghi e ondulati, amante del rock e del blues, Lorenzo era un giramondo: gli piaceva vagare libero, con la sua chitarra, e sperimentare trasgressioni di ogni tipo. La sedia a ruote, però, non è riuscita a fermare i suoi viaggi e soprattutto non ha rallentato il ritmo vorticoso dei suoi pensieri. Che gli fanno compagnia con la sua coraggiosa determinazione. tri, dai cinema ai ristoranti ai palazzi. E le barriere burocratiche? E la pensione d’invalidità? 270 euro mensili che arrivano a 750 con l’accompagno: una cifra bassissima che non consente a chi non ha altri mezzi di avere una vita dignitosa. Io sono fortunato perché ho alle spalle una famiglia abbastanza agiata. Ma con una tale somma non potrei permettermi neppure di pagare un affitto. Dal tono caldo e intenso delle pagine, sembra che lei abbia coltivato per anni la voglia di scrivere questo libro. Come si è concretizzata l’idea di farlo? L’esigenza di scrivere un’autobiografia è maturata gradualmente. Ho cominciato inviando alcuni racconti a un’amica scrittrice, Pulsatilla (Valeria Di Napoli), che mi ha detto: «C’è materiale per un romanzo». Così è venuta l’esigenza di provare a mettere in fila i ricordi che avevo e, contemporaneamente, sono riemersi alla memoria fatti che non ricordavo: me ne sono reso conto mentre li scrivevo. Ci ho messo due anni e mezzo; per me è stata una sorta di autoterapia. E devo ringraziare Clara Sereni per aver dato l’inizio ufficiale a tutto, pubblicando nel volume Amore caro, uscito nel 2009, un capitolo scritto a quattro mani da me e da mio fratello Franco. A proposito di famiglia, che ricordi ha di suo padre Antonio? In Apnea (Fandango Libri, 251 pagine, 16 euro), il musicista Lorenzo Amurri – divenuto tetraplegico a 26 anni dopo un grave incidente mentre sciava – si racconta, esprime le sue emozioni e formula interrogativi che prima o poi sfiorano tutti. Il suo blog, aperto nel marzo 2008, si chiama “Tracce di ruote”. Voglia di raccontarsi, di condividere, di capire e far capire? «Ho iniziato proprio con il blog (http://tetrahi.blogspot.it) a scrivere, per raccontare con ironia tutto ciò che mi succedeva nel mondo della disabilità. Ma non sapevo di saper scrivere, solo di essere un lettore onnivoro. John Fante è il mio preferito, ma anche tanti autori della letteratura americana contemporanea: da Wallace a Bukowski, da Carver ad Auster e Kerouac, insieme ad altri della Beat generation. Poi Kafka, Dostoevskij, Calvino. Ora sto scoprendo Proust: la Recerche mi ha illuminato. Si aspettava che il suo volume avesse tanto successo e visibilità? No, non me l’aspettavo. Da fine gennaio a oggi sono stato e continuo a essere immerso nella promozione e nelle interviste sui media. E poi tantissimi lettori, anche disabili, mi contattano via Facebook e sul blog. L’editore era convinto che il libro sarebbe esploso, io ovviamente ci speravo ma non avrei mai pensato di finire tra i 12 libri in gara per il Premio Strega... Devo dire grazie alla mia famiglia e a Sandro Veronesi, che continuano a seguirmi in questo percorso. Per me è diventato un lavoro. E voglio continuare a scrivere: ho già alcune idee per un secondo romanzo. Non avrebbe sopportato di vedermi disabile: è morto quando avevo 21 anni, prima dell’incidente. Durante l’adolescenza evitavo sempre di parlargli dei miei problemi, delle mie paure. La sua mancanza è una ferita aperta; avevamo un buon rapporto ma non profondo, mi piacerebbe averlo vicino ora per condividere questo successo e molto altro con lui. Nel libro evidenzia l’importanza del contatto fisico e di avere relazioni affettive. Ritiene che andrebbe legalizzata anche in Italia la figura dell’assistente sessuale? Sì, sono assolutamente d’accordo: dovrebbe essere istituita. Io sono fortunato, perché posso vivere le mie pulsioni sessuali. Ma penso a chi non può farlo. Tante mamme portano i loro figli dalle prostitute. Sarebbe diverso se una «Libertà di pensiero è libertà di movimen- persona con una formazione adeguata to. Perché è la fantasia a tenermi legato a potesse venire a domicilio. questa vita», annota nel volume. Una convinzione granitica, che purtroppo si scontra con la scarsa accessibilità reale... Gli ostacoli quotidiani sono tantissimi, così le barriere architettoniche: Roma è un’autentica giungla, priva di scivoli sui marciapiedi e di parcheggi per disabili occupati da altri. Bisognerebbe ripartire dall’educazione civica nelle scuole per creare una nuova mentalità, una cultura diversa: a Londra, per esempio, l’inaccessibilità è inconcepibile. In Italia si dovrebbero far rispettare le leggi e rendere accessibili luoghi che non lo sono: dalle gallerie d’arte ai tea- 23 Il suo rapporto con la musica e con la chitarra, oggi? Continua, anche se in modo diverso. Ho chiuso lo studio di registrazione, ma proseguo con l’appagante lavoro di produttore. E riesco a suonare la chitarra, mettendola in grembo, con un cilindro di metallo sulle dita. Cosa pensa del successo del film Quasi amici? Mi sono rivisto in tante situazioni raccontate. Il film mi ha divertito, anche se rimane un po’ in superficie, easy, accessibile a tutti. Non mostra la faccia più dolorosa dell’essere tetraplegico. cronache italiane Emilia Romagna Terremoto, un anno dopo F Dopo la paura e la conta dei danni, è tempo di ripartire. Anche per le associazioni e le altre realtà impegnate sul fronte disabilità. Storie, volti e voci di chi non si arrende Michela Trigari ulvia, dopo la prima scossa, ha dormito sulla sedia a ruote perché le occorreva troppo tempo per alzarsi dal letto. Poi, dopo la seconda “botta” – come la chiamano da quelle parti –, nella tenda di un vicino di casa. Servizi sociali e protezione civile le hanno offerto un albergo, ma lei ha preferito vivere per un po’ in un camper accessibile parcheggiato vicino alla sua casa di Quarantoli di Mirandola (Modena). A un anno dal terremoto che il 20 e 29 maggio 2012 ha sconvolto l’Emilia, anche le realtà impegnate sul versante disabilità provano a tornare alla normalità. Dopo la paura, infatti, è tempo di ripartire. Ma a dir la verità nessuno si è mai fermato. Fulvia, per esempio, ha sempre lavorato (fa la centralinista in ospedale), solo che il suo ufficio era diventato un tendone da campo. «È prevalsa la voglia di ricominciare», dice sul sito del Gruppo donne Uildm (Unione 24 italiana lotta alla distrofia muscolare). In questi mesi, intanto, il Forum regionale del Terzo settore ha avviato un confronto con la Regione Emilia Romagna sui danni subiti dal non profit, che difficilmente rientrano nei contributi previsti per abitazioni e imprese. La solidarietà è stata grande, ma il nodo restano i fondi. Il diario della rinascita lo racconta “La lucciola”, un centro di terapia integrata per l’infanzia a Ravarino. «In pochi secondi sono andati distrutti 15 anni di lavoro – dice Emma Lamacchia, neuropsichiatria e presidente della “Lucciola” –. Ma siamo andati avanti e non abbiamo mai interrotto le attività neanche per un giorno: prima all’aperto, montando alcune tende in un prato che era adibito a pascolo, e da settembre all’interno di tre casette prefabbricate accanto al vecchio centro in cui resteremo per altri due anni, finché Anche il birrificio “Vecchia Orsa”, nel bolognese, ha riaperto i la villa non verrà ristrutturata. Questi mesi sono stati duri per tutti: per quegli operatori che hanno perso la casa, per la pioggia, il fango, l’umidità. I nostri bambini però, soprattutto quelli con disagio psichico o autismo, hanno trovato serenità nella continuità dei luoghi: abbiamo allenato alla speranza anche nei momenti più difficili e al fatto che tutto può essere ricostruito. E poi abbiamo ricevuto tanto aiuto pratico e molti contributi privati. Finora, però, nessun finanziamento pubblico». Difficoltà simili anche per “La lanterna di Diogene”, una cooperativa sociale di Bomporto (sempre nel modenese) che gestisce un ristorante in cui lavorano alcuni ragazzi down, e soprattutto per la sua acetaia. «Abbiamo perso parecchio balsamico e il vecchio edificio è inagibile – spiega il presidente Giovanni Cuocci –. Poi è arrivato un container per le botti, grazie alla Regione Umbria, e l’aiuto della Consor- teria dell’aceto balsamico tradizionale di Spilamberto. Ora dobbiamo trovare un bel gruzzolo per comprare del mosto cotto e riprendere la produzione. L’osteria invece non ha subito danni, a parte zero coperti i primi giorni. Qui è venuto in soccorso il mondo dello Slow food e della ristorazione: ci hanno chiamato da tutta Italia mettendo a nostra disposizione cucina e incasso della serata. E per i nostri ragazzi è stato molto importante trovare qualche puntello esterno». L’associazione “Volontari pro handicappati” di Finale Emilia, invece, ha perso la stalla che ospitava i cavalli per l’ippoterapia; la nuova struttura, già individuata presso l’Istituto agrario, è da ristrutturare. In alto: tutta la squadra del birrificio “Vecchia Orsa”. Nella pagina accanto, i prefabbricati che accolgono temporaneamente il centro di terapia integrata “La lucciola” 25 battenti. Prima solo con lo spazio di degustazione e spaccio delle birre artigianali prodotte grazie alla solidarietà di stabilimenti amici che li hanno ospitati in questi mesi e, ora, anche con la produzione e l’inserimento in borsa lavoro o stage di persone con disabilità. Non si è mai fermato, invece, l’impegno di Mimmo e Valerio, i due ragazzi disabili che stabilmente lavorano al birrificio. «Si sono dati subito da fare anche per sistemare i nuovi locali trasferiti da Crevalcore a San Giovanni in Persiceto», raccontano dalla cooperativa sociale “Fattoriabilità” che porta avanti questo progetto. I danni causati dal sisma non hanno risparmiato nemmeno la cooperativa “Campi d’arte” di San Pietro in Casale, ora trasferita nella Casa della musica in attesa di costruire una nuova sede che ospiti sia il laboratorio d’artigianato per persone disabili sia il negozio, e il Centro “Maieutica” di San Giovanni in Persiceto (sempre in provincia di Bologna). Qui però lo stabile è stato reso sicuro e l’attività socioriabilitativa è ripresa. Per scuola e sanità, invece, non solo la ricostruzione di edifici e servizi, ma anche l’avvio di nuovi progetti. Come “Lim-Er” – 18 lavagne multimediali interattive per altrettanti istituti primari colpiti dal terremoto e una formazione specifica su queste tecnologie per i docenti impegnati nell’integrazione degli alunni disabili – frutto dell’accordo tra la Fondazione Asphi (Avviamento e sviluppo di progetti per ridurre l’handicap mediante l’informatica) e l’Ufficio scolastico regionale. O come il nuovo Centro dei disturbi cognitivi di Mirandola. E delle 1.780 persone non autosufficienti evacuate dalle loro abitazioni o dalle residenze socio-sanitarie, 300 sono ancora ospitate in altre strutture mentre due case di riposo per anziani e tre centri diurni per disabili restano inagibili. sotto la leNtE Balocchi e dintorni La rivoluzione dei giochi parte dal web In rete un “catalogo” con i consigli dei genitori per realizzare giocattoli fai-da-te. On line il primo negozio, creato da due mamme. Come fare di necessità virtù, cercando di sensibilizzare le aziende L’ Carla Chiaramoni altalena di Francesca ha un sostegno che le sorregge schiena e testa: l’ha costruita suo nonno modificando un normale seggiolino per adattarlo alla sua crescita. Il deambulatore di Leonardo è una Ferrari dal design innovativo, mentre la moto senza pedali, che i genitori hanno realizzato per Alberto, è superaccessoriata con sirene, clacson, fanali e chiavi. Sono tante le famiglie che hanno modificato o immaginato e poi costruito i giochi per i propri bambini, correggendoli in base al tipo di disabilità oltre che a esigenze individuali in continuo cambiamento. Pensandoli anche capaci di allenare, riabilitare e valorizzare le competenze. Per loro c’è ora la possibilità di condividere successi e difficoltà grazie all’associazione “Gioco anch’io”, che ha sede a Villafranca di Verona e che ha messo in rete un “catalogo” di giochi fai-da-te. Una possibilità di condivisione importante per genitori, ma anche per terapisti, che offre stimoli e suggerimenti pratici. «Il gioco – spiega la presidente Fosca Franzosi, fisioterapista neurologica da 33 anni – è uno strumento di terapia ed è l’unica via d’accesso al mondo del bambino». Da questa convinzione è nato nel 2004 un gruppo di studio, formato da fisioterapisti, operatori di assistenza scolastica, psicopedagogisti, fisiatri e insegnanti, che nell’anno successivo si è trasformato nell’associazione “Gioco anch’io”, per promuovere il 26 gioco per tutti, con particolare attenzione ai bambini disabili. Ma vengono anche organizzati incontri, eventi formativi e una grande festa annuale in occasione della Giornata del gioco, che cade il 28 maggio. Molti giocattoli in commercio sono già accessibili e adatti a proble- matiche che interessano i cinque sensi. Negli anni sta anche crescendo la sensibilità dei progettisti e dei costruttori. Ma per alcuni genitori questo non basta. La mamma e il papà di Alberto, come raccontano on line, hanno ideato e costruito una moto perché non riuscivano a reperire in commercio un articolo simile ai tradizionali trenino (senza pedali) o coccinella che potesse sostenere il peso del loro bambino, di misure tali da rendergli agevole il movimento e insieme rinforzargli la muscolatura del polpaccio. Così hanno progettato un veicolo speciale utilizzando materiale facilmente reperibile: le ruote, per esempio, sono pezzi di carrelli usati nell’industria meccanica. Anche l’altalena di Francesca è nata per rispondere alle esigenze più specifiche della bambina e al suo sviluppo. «All’inizio – spiegano i genitori sul sito dell’associazione – era un seggiolino che si trovava in commercio poiché Francy riusciva a sostenere il busto e il capo. Poi crescendo ha avuto bisogno di un sostegno per la schiena e la testa». Il nonno ha costruito la parte metallica e il tappezziere ha fatto il resto, rivestendo il seggiolino con l’imbottitura. «A volte bastano poche modifiche: un puzzle con pomelli ingranditi è accessibile anche a bambini con una difficile motricità – sottolinea Fosca Franzosi –. Nella disabilità motoria le modifiche sono più rapide. Fino a un anno fa i tricicli senza pedali non erano adatti, ma ora ce ne sono in commercio alcuni con un anello protettivo che si può rimuovere per renderli accessibili e una seduta più larga». E l’associazione veronese collabora con alcune aziende per provare a determinare un cambiamento culturale già nella fase di produzione. A volte sono gli stessi genitori a rivolgersi ai produttori. È il caso, per esempio, del papà e della mamma di Francesca, che hanno commissionato a una ditta che costruisce biciclette classiche una bici con una distanza maggiore tra le due ruote. Con questa modifica, il peso della persona sul seggiolino è distribuito in modo più bilanciato e offre maggiore libertà di movimento a chi pedala; inoltre il seggiolino è grande e dotato di molti punti di sostegno e contenimento. Chiunque progetta e apporta modifiche ha la possibilità di condividerle nello spazio on line gestito dall’associazione. Un’esperienza che si somma a quella dei laboratori promossi negli anni, della formazione e del contatto diretto nelle scuole con i bambini. Da qui sono nate proposte e sfide per il futuro. Con una profonda convinzione, che in ambito ludico vale una regola aurea: «Giochi semplici e non strutturati perché innescano la creatività e il far da sé». Come la carta o il legno. E gli esperti lo sanno bene. 27 Quando lo shopping è su internet S i chiama “Orso azzurro”, lo hanno progettato e creato due mamme (Federica Dosi e Nicoletta Pellicani) ed è il primo negozio on line di giocattoli per bambini disabili in Italia. Oltre 200 prodotti certificati e testati: non solo giochi, ma anche oggetti di uso giornaliero. Gli articoli in vendita sono suddivisi a seconda della disabilità dei bambini, della loro età e dei loro interessi. Nella sezione dedicata ai bimbi con difficoltà uditive, ad esempio, si trovano giochi sensoriali, giochi per stimolare l’osservazione e la capacità espressiva, giochi per sviluppare le abilità motorie e la motricità fine. Per rispondere al meglio a tutte le esigenze si sono consultate con educatori, pedagogisti, onlus e naturalmente genitori. L’idea è nata navigando in rete. «Mi sono imbattuta in un negozio francese specializzato in giocattoli per bimbi disabili – spiega Federica –. Da qui, insieme a una mia amica, ho deciso di lanciarmi in questa avventura». C’è anche il blog di “Orso azzurro”, uno spazio in cui i genitori possono lasciare segnalazioni e consigli su un particolare prodotto e una specifica esigenza. Per saperne di più: Orsoazzurro.it. [C.C.] Tempo libero In volo Piloti speciali alla cloche di «I Si chiama “Baroni rotti” l’associazione di piloti disabili che insegna a guidare un aereo. Dimostrando che è un’attività per tutti, utile ad abbattere le barriere. Soprattutto quelle mentali Giorgia Gay n cielo ci sono un po’ meno barriere da superare». Parola di “Baroni rotti”, associazione di piloti disabili di Arezzo che ha scelto il volo «per promuovere una diversa cultura della disabilità». Lo fa abbattendo stereotipi e pregiudizi, insegnando alle persone disabili a maneggiare un aereo, partecipando a tante manifestazioni in tutta Italia: «Preziose occasioni per mostrare con i fatti che il volo è davvero un’attività per tutti, che fa bene al corpo e alla mente e aiuta ad abbattere le barriere, soprattutto quelle mentali», 28 spiega il presidente Franco Bentenuti. In Italia l’apertura di questa disciplina sportiva alle persone disabili si deve all’impegno di Luciano Giannini, vulcanologo e istruttore di volo, e al suo incontro con un ragazzo disabile. «Al termine di un volo turistico il passeggero si disse rammaricato perché non avrebbe mai potuto vivere quella bellissima sensazione da pilota – racconta Bentenuti –. Luciano ne fu molto toccato e propose ad alcuni amici di provare a modificare un aereo per ren- I “Baroni rotti” in uno scatto realizzato da Paolo Ranzani per la mostra fotografica “Pieces of life”. L’esposizione è stata allestita nel 2009 in piazza Carignano, a Torino, nell’ambito del progetto “Open to all”, promosso dalla Fondazione Paideia in collaborazione con il capoluogo piemontese e la Fondazione Crt. Info: Paoloranzani.com un aereo derlo pilotabile anche da una persona con disabilità». Venne quindi coinvolta nel progetto l’Associazione paraplegici aretini, i cui soci furono ben felici di provare, con una buona dose di curiosità e un pizzico di incoscienza, l’ebbrezza del decollo. Fu un successo. Per alcuni la curiosità si trasformò in vera e propria passione: così il 16 settembre del 1994 venne eseguito il primo volo da solista da parte di un allievo disabile in Ita- lia. Il 2 dicembre dell’anno seguente un piccolo manipolo di piloti affrontò e superò gli esami con successo. L’aeroclub Serristori, a Castiglion Fiorentino, mise a disposizione un appezzamento di terreno dove fu allestita la sede della prima scuola di volo per disabili in Italia. Oggi i “Baroni rotti” accolgono piloti provenienti dalla Sicilia come dalla Lombardia. «Abbiamo iniziato quasi come pirati, superando molti ostacoli tra cui lo scetticismo di tanti – ricorda il presidente –, dovendo dimostrare che non ci sono limiti alle potenzialità di una persona disabile». Un traguardo raggiunto pienamente: negli anni questa disciplina si è molto diffusa, dando vita a diverse associazioni e perfino alla Federazione italiana piloti disabili (Fipd), che coordina le varie scuole di volo attive in Italia. Le principali sono quella di Caposile (in provincia di Venezia), di Ozzano Emilia, di Boglietto in Piemonte, di Aosta, del “Centro Serristori” in Toscana, di “Airone” a Gela (in Sicilia), di “Liberhando” in Umbria e, infine, di Sutri nel Lazio. Anche se gli obiettivi raggiunti sono numerosi e importanti, l’Italia rimane comunque indietro rispetto all’Europa, 29 dove esperienze simili esistono da più di 30 anni. Le realtà d’Oltralpe? Tante: dal francese “Aéro-club Paul Louis Weiller” al “Paraflight” in Belgio, dalla “British disabled flight association” e dall’“Aeroability” (in Inghilterra) al “Die rolli flieger” in Germania. Mentre si impegnano per favorire l’espansione delle scuole di volo per disabili in Italia, i “Baroni rotti” insistono anche nell’attività di diffusione e promozione di questa disciplina coinvolgendo le associazioni, «per far provare direttamente la bellezza di praticare un’attività sportiva considerata il simbolo di libertà – insiste Bentenuti –. Siamo convinti che questa esperienza possa servire da stimolo anche a chi ha appena subito un trauma midollare, nel periodo di degenza ospedaliera, per vincere una fase depressiva. Mostrare che non ci sono limiti per praticare uno sport ritenuto inaccessibile può far prendere in considerazione alternative valide e sicure a quelle attività che realmente non sono più praticabili». Intanto l’associazione continua a lavorare sul fronte della progettazione, apportando adattamenti ai velivoli in base alle disabilità. L’esperienza ventennale ha dimostrato che basta poco per rendere un aereo accessibile: «Le modifiche sono semplici e il velivolo attrezzato per il disabile non perde nessuna funzionalità – assicura il presidente –. Qualsiasi tipo di apparecchio può essere modificato senza grandi difficoltà». La prossima iniziativa? In calendario per il 25 maggio: nella sede aretina sarà organizzata una manifestazione dimostrativa dedicata non solo al volo, ma aperta a numerose discipline sportive praticabili dalle persone disabili: tennis, tennis tavolo, basket, quad, gokart, equitazione, tiro con l’arco, nuoto. Saranno coinvolte tutte le scuole della provincia di Arezzo per poter condividere esperienze sportive fra atleti disabili e ragazzi di ogni età. OS IBRIRAGAZZIM TRECINEMAFESTIVALFICTIO L O I D NFUMET RA TITELEVISIO NEPERSONAGGILIBRITEA cinema Benur, centurione infortunato. E sfruttatore na commedia amara per U raccontare il dramma dello sfruttamento del lavoro e l’arte di arrangiarsi in un acquario umano in cui il pesce grande mangia il pesce piccolo, in attesa di un riscatto sociale – e soprattutto economico –che farà giustizia delle tante umiliazioni subite. Fa sorridere, ma anche riflettere Benur, un gladiatore in affitto del regista Massimo Andrei, presentato allo scorso Festival di Roma e nelle sale a maggio. All’origine della storia un incidente sul lavoro, antefatto epico le cui conseguenze nefaste si ripercuotono sulla vita dei protagonisti. Sergio, ex stuntman di Cinecittà, rimane vittima di un infortunio sul set di un film americano. Da allora dorme col busto e vive piangendo i suoi mali, nella magica aspettativa di uno stratosferico – quanto improbabile – risarcimento da parte della produzione. Nel frattempo condivide un appartamento nell’estrema periferia romana con la sorella, che lavora da casa per una hot-line erotica. E sbarca il lunario davanti al Colosseo, spillando qualche euro ai turisti travestito da centurione romano. Fino al giorno in cui a sconvolgere questo fantasioso menage familiare arriva Milan, immigrato irregolare bielorusso che, pur di restare in Italia, è disposto a farsi sfruttare da Sergio e a diventarne lo “schiavo”. Ingegnere in patria, Milan non si arresta di fronte a niente: ristruttura case al posto del suo “padrone” italiano, ripara il malmesso appartamento nel quale fratello e sorella trascorrono la loro malconcia esistenza e, soprattutto, sostituisce l’ex stuntman al Colosseo, dove in breve, con il suo travolgente entusiasmo, diventerà l’idolo dei turisti. «Non è certo un caso che abbiamo deciso di trattare un tema forte come quello dello sfruttamento e degli infortuni sul lavoro – spiega lo sceneggiatore Gianni Clementi, che ha già firmato lo spettacolo teatrale Ben Hur, dal cui successo è nato il film. – Nel periodo in cui ho pensato il testo, avevo in scena uno spettacolo al teatro Colosseo. Ogni sera rimanevo colpito dai centurioni-figuranti che tornavano a casa dopo il “lavoro”. Quella stessa estate un immigrato fu trovato morto di fatica nei campi. Realtà e finzione si sono incrociati sul palcoscenico e poi nel film». «Mi occupo da sempre di temi che riguardano il diritto civile – spiega il regista –. Nella pellicola racconto la miseria umana in chiave comica. Il riferimento principale è a Miseria e nobiltà: la storia si ripete». [A.P.] 30 Nelle foto, Nicola Pistoia, che interpreta Sergio nel film Benur, un gladiatore in affitto GRAFIAVIDEOMUSICARADIOLIBRIRAGAZZ O T O F IMOSTRE NZA CINEMAFE A D O R AT STIVALFICTIONFU libri Da 007 a scrittore. Con una gamba dialegno scintilla iniziale per far maturare nel L protagonista di questo libro il desiderio di scrivere un romanzo? Un infortunio mentre era in servizio: «Mi è costato la gamba destra, un lavoro rispettabile, almeno ai miei occhi, e molti piaceri, obbligandomi a restare chiuso in casa mesi e mesi», confida la stessa voce narrante del volume Il cacciatore di larve, del sudanese (emigrato in Qatar) Amir Tag Elsir, pubblicato da Nottetempo. Il ginecologo 53enne prestato alla letteratura – che finora ha pubblicato diversi romanzi e raccolte di poesie – è stato finalista all’Arabic Booker Prize 2011 proprio con questo libro, il primo tradotto in italiano. In cui gioca con l’identità del personaggio principale, come in un meccanismo di scatole cinesi scandito da una scrittura raffinata e avvincente, immerso in una calda atmosfera mediorientale. Abdallah Harfash è un agente segreto in pensionamento forzato, situazione che gli fa montare dentro una rabbia crescente e improvvisa «per colpa della gamba amputata per colpa dell’incidente in cui un collega aveva perso la vita e io il lavoro». Un professionista di indagini e pedinamenti, quindi, che si ritrova a ricercare quale siano i segreti per scrivere un buon romanzo, a spiare scrittori e potenziali personaggi e carpirne così ispirazioni inedite. Alla ricerca di un senso per colmare «il vuoto immenso che mi disegnano davanti tutte le cose che ho intorno». Sulla sua gamba artificiale, «un prodotto locale in legno levigato», l’ex 007 ironizza spesso: «Mi impaccia un po’ nei movimenti, ma me l’hanno tagliata su misura e ormai il suo peso è diventato un’abitudine: io la trascino, e lei si lascia trascinare. Con un po’ di esercizio, sono riuscito a farci vari chilometri a piedi a una velocità ragio- nevole. Insieme a lei mi incuneo nella folla dei passeggeri sugli autobus carichi di miseria e umanità. E una volta ci ho nuotato nel Nilo per due ore filate senza che si smuovesse dal suo posto. È stata una grande vittoria». C’è anche chi, vedendo la sua protesi, gli allunga fra le mani un’elemosina chiedendogli preghiere. Insomma, un personaggio davvero a tutto tondo per il suo carattere volitivo e brioso, per un’intelligenza vivace che tenta di ritrovare il «brivido» provato durante le sue missioni e i suoi pedinamenti nel più sedentario ma incalzante intreccio del racconto da mettere nero su bianco. Nella speranza che le «larve» narrative, i timidi abbozzi, possano diventare «insetti adulti». In questo viaggio dentro se stesso, con una trama che trascolora in un giallo a tratti comico e surreale, il protagonista ripesca il filo ingarbugliato della sua vita. Con una scoperta disarmante, sintetizzata dall’autore nell’incipit: «Se vuoi interrogare il tuo volto in una notte tiepida, con un enigma negli occhi e una domanda sulle labbra, non cercare te stesso nello specchio: quel dialogo non ha respiro, non ti farà sentire niente. Piuttosto, scendi in strada pian piano, e cerca te stesso negli altri; qui troverai tutti, e te fra loro». Con una scrittura lucida, punteggiata da figure secondarie come arabeschi, Amir Tag Elsir conquista e seduce il lettore, mettendolo di fronte al proprio specchio. [L.B.] 31 Amir Tag Elsir Il cacciatore di larve Nottetempo 2013 pagine 192, euro 14,50 AGGILIBRITEATRODANZAFOTOGRAFIAVID N O S EOMUSIC R NEPE ARADIOLIB O I S I V E RIRAG L FUMETTITE libri La voce della madre per combattere l’autismo esoconti clinici ma soprat- Aperta fino al 9 giugno la mostra Antonio Ligabue. Istinto, genialità e follia. Organizzata dal Lucca center of contemporary art, ripercorre attraverso circa 80 opere, tre delle quali inedite, la storia di un artista con una precaria lucidità. Ma sono le condizioni sociali e del quotidiano a trasformare l’equilibrio mentale di una persona estremamente sensibile? «Ligabue è un randagio della cultura, un artista libero dentro che, alla vulnerabilità emotiva congenita, ha unito grandi tragedie personali vissute nell’infanzia e nell’adolescenza», spiega il curatore dell’esposizione, Maurizio Vanni, nel saggio che correda il catalogo della mostra, pubblicato da Silvana Editoriale. «Un artista coerente, fedele solo a se stesso, capace di interagire con il flusso continuo, irregolare e talvolta estremo delle emozioni che sentiva dentro di sé, senza doverle controllare», scrive ancora. Una grande intensità creativa che in Ligabue è intrinsecamente legata a una necessità «fisica» di espressione per sentirsi vivo e fuggire l’emarginazione. Info: Luccamuseum.com. [L.B.] R tutto storie di vita di genitori e figli alle prese con l’autismo. Gli interventi di una psicoanalista dell’infanzia del calibro di Marie-Christine Laznik, pubblicati per la prima volta in italiano da Editori Riuniti nel volume Con voce di sirena. Storie di bambini autistici e dei loro genitori, hanno il pregio di raccontare questa difficile battaglia in un linguaggio piacevole e comprensibile a tutti. Partendo proprio dalla pratica clinica, che la psicoanalista franco-brasiliana ha portato avanti nel corso degli anni con bambini molto piccoli scivolati o a rischio di scivolare nell’autismo. Una pratica che induce Laznik a ribaltare la psicogenesi di questa sindrome affermatasi sull’onda degli studi condotti da Bruno Bettelheim nella seconda metà del secolo scorso. Quindi non più un atteggiamento autistico in risposta a un comportamento anaffettivo da parte della madre, ma piuttosto genitori attenti ed espansivi che, col passare dei mesi, finiscono per perdere fiducia in se stessi e “rigidificarsi”. Visionando alcuni filmati familiari la Laznik ebbe, infatti, modo di notare la positiva interazione dei bambini con autismo e i loro genitori nel corso del primo anno di vita. Di qui l’interesse della psicoanalista per il “maternese”, quella particola- 32 Marie-Christine Laznik Con voce di sirena. Storie di bambini autistici e dei loro genitori Editori Internazionali Riuniti 2012 a cura di Janja Jerkov pagine 256, euro 22 rissima lingua che le madri usano per parlare ai propri figli, in grado di risvegliare inaspettate competenze sociali da parte del bambino. E la convinzione che, se precocemente individuato e preso in carico, sia possibile intervenire sull’autismo, in alcuni casi fino alla completa remissione dei sintomi. [A.P.] libri Sindrome di Tourette, un “potere” speciale er i suoi compagni di scuo- P Richard Paul Evans Michael Vey. Il prigioniero della cella 25 Baldini Castoldi Dalai 2012 pagine 384, euro 16,90 la, Michael è un quattordicenne-standard: videogame, qualche amico, poca voglia di studiare, e come altri coetanei vittima dei bulli. Apparentemente, l’unica caratteristica che lo distingue è il fatto di soffrire della sindrome di Tourette: «Mi limito più che altro a battere un sacco le palpebre. Se sono molto nervoso, inizio anche a tossire o a deglutire rumorosamente. A volte, sento dolore», spiega ai lettori lo stesso protagonista del romanzo Michael Vey. Il prigioniero della cella 25, pubblicato da Baldini Castoldi Dalai e scritto dal cinquantunenne Richard Paul Evans. Un autore forse poco noto in Italia, ma che – tradotto in oltre 20 lingue – figura tra gli scrittori più acclamati negli States: tutti i suoi romanzi, tra cui alcuni per bambini e ragazzi, sono entrati nella lista dei bestseller del New York Times e in diversi casi hanno visto una trasposizione cinematografica. Non solo: oltre a numerosi premi letterari, Evans ha ricevuto riconoscimenti per il suo FUMETTITELEVISIONEPERSONAGGILIBRI N O I T TEATROD C ANZAFO IVALFI T S E F A GAZZIMOSTRECINEM impegno in difesa dell’infanzia violata. Padre di cinque figli, sa come parlare ai ragazzi con il loro linguaggio. La storia di Michael – che si rivela dotato di poteri “elettrici” speciali proprio come Taylor, la cheerleader più carina della scuola – si dipana in modo avvincente, incalzante. E il protagonista stabilisce un contatto diretto con il lettore, a cui dà del tu e si rivolge continuamente. La sindrome di Tourette, disordine neurologico caratterizzato dalla presenza di tic nei movimenti e nella parola (accentuati dallo stress), viene vissuta come parte integrante della vita, da accettare e da minimizzare, da nascondere anche con alcuni «trucchi». Una piccola difficoltà rispetto ad altri problemi, confida Michael: «Non è una passeggiata avere la sindrome di Tourette, ma può capitare di peggio, tipo perdere tuo padre per un infarto quando hai otto anni. Credetemi, questo è molto peggio. Non l’ho ancora superato. Forse non ci riuscirò mai». Questa disabilità, dunque, è presentata come una peculiarità personale. Come hanno già fatto altri scrittori: da Oliver Sacks in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello a Stephen King nel libro Il miglio verde, fino all’argentino Ricardo Romero nel romanzo La sindrome di Rasputin. [L.B.] libri Amici oltre il coma e il silenzio n’amicizia che resiste anche U al coma, al silenzio, all’apparente mancanza di speranza. Rita Falk Quando tornerai edizioni e/o 2012 pagine 224, euro 16,50 In Quando tornerai, pubblicato da e/o, la scrittrice tedesca Rita Falk – autrice di una fortunata serie di romanzi polizieschi – esplora una narrazione diversa, tutta giocata nella delicatezza delle relazioni e delle reazioni a un incidente in moto che per dodici lunghi mesi lascia in coma Hannes. In una sorta di limbo, di vita sospesa, succedono fatti importanti, che la voce narrante dell’amico Uli gli racconta scrivendo un diario. Con la nostalgia di rivivere consuetudini ormai sbiadite: «È stato un anno duro, ma anche bello. In ogni caso il più insolito che abbiamo mai avuto, sia io che te. E se devo essere sincero, in futuro tornerei volentieri a qualcosa di più convenzionale. Mi piacerebbe che la nostra vita riprendesse il suo solito tran tran, che ci ha annoiato così spesso e che adesso mi manca così tanto». Eppure la dignità dell’esistenza dell’amico, ormai gravemente disabile, non viene messa in discussione da Uli, che continua a vegliarlo e a massaggiargli le mani: «Non sei morto e non sei vivo, né flusso né riflusso, perduto tra le maree», gli dice. Sembra il più fedele accanto a lui, insieme ai genitori disperati. Hannes diventa papà di una bambina senza saperlo e il richiamo alla vita sembra farsi pressante, ma non basta a farlo risvegliare. Restano, però, le tante lettere scritte da Uli, consegnate alla figlia che conoscerà così la giovinezza e l’ultimo anno di vita di suo padre: una lenta elaborazione del dolore e della perdita, che non cancella legami e sentimenti. Quindi per Uli il solo vero modo di andare avanti è accettare faticosamente l’inevitabile. [L.B.] 33 Feroci e irriverenti, geniali e politicamente scorrette, tornano in libreria le strisce di Cico&Pippo, una serie pubblicata da Altan nel corso degli anni Settanta, appena riproposta da Gallucci. Protagonisti un padre cieco e un figlio crudele, che non esita a reagire con ostentata spietatezza agli atteggiamenti asfissianti di un genitore che ha fatto della condizione di non vedente una professione. Ma non è la disabilità a essere presa in giro in quest’opera risalente ai primi anni di attività dell’autore: è piuttosto la “Cecità con corone d’alloro sopra le pupille spente”. Attraverso queste vignette, infatti, Altan demolisce i tanti luoghi comuni di una letteratura che, di volta in volta, identifica nel cieco l’eroe o la vittima, nascondendo dietro l’estrema correttezza formale il rifiuto e la paura dell’handicap. [A.P.] OS IBRIRAGAZZIM TRECINEMAFESTIVALFICTIO L O I D NFUMET RA TITELEVISIO NEPERSONAGGILIBRITEA fotografia Il reporter mutilato che racconta gli afgani Q uesta è la storia di Giles Duley, passato dal fotografare l’industria della moda e della musica al documentare i progetti umanitari di Medici senza frontiere, Organizzazione internazionale delle migrazioni e Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Portando il suo obbiettivo, tra l’altro, anche in Angola, Ucraina, Bangladesh e Afghanistan. Qui, nel 2011, parte al seguito dell’esercito statunitense per raccontare la vita dei soldati, incuriosito dal fatto che l’anno precedente si erano suicidati più militari di quanti non ne fossero morti in combattimento. Ma salta su una mina e si risveglia nell’ospedale militare di Birmingham: Duley, infatti, è inglese. Perde entrambe le gambe e un braccio, ma vuole ancora lavorare e soprattutto ritornare in Afghanistan per raccontare, scatto dopo scatto, quello che Emergency fa a Kabul e l’orrore dei civili vittime della guerra descrittogli da Gino Strada mentre era in Sudan. E ce la fa. L’occasione gli viene data da un documentario di Channel 4. A un anno dal suo dramma, Duley riesce così a catturare anche i segni che il conflitto lascia sugli afgani. A ridargli nuovo impulso professionale è l’incontro con Sediqullah, un ragazzino del Panjshir ferito dall’esplosione di un ordigno che aveva raccolto in un campo senza sapere cosa fosse. Proprio gli scatti di Sediqullah in camera operatoria (il ragazzo gli aveva chiesto di stargli vicino mentre andava sotto i ferri) riescono a riaccendere il senso e la qualità del suo mestiere. Ecco allora che le immagini indelebili di ferite sanguinanti, bambini amputati, corpi mutilati o straziati dalle pallottole e dalle bombe – ma anche di operazioni chirurgiche, protesi di braccia e gambe e del lavoro che i medici di Emergency svolgono quotidianamente – hanno attratto l’attenzione dei media britannici, che si sono interessati molto alla vicenda del loro connazionale. La galleria fotografica di quella sofferenza umana Duley l’ha intitolata “Vittime civili”, e a marzo è stata esposta al KKOutlet di Londra. Il suo autoritratto invece, quello che testimonia la sua nuova vita, l’anno scorso è stato selezionato per la Taylor Wessing exhibition all’interno della National portrait gallery: l’ha chiamato “Adattando la storia”. Ma in quanto libero professionista, dopo l’incidente Duley non ha ricevuto un aiuto finanziario cospicuo e si è auto-finanziato la maggior parte del lavoro. Così ha iniziato una raccolta fondi (Gilesduley.org) per continuare a fare quello che sa fare: il fotoreporter. Gli scatti del fotografo londinese possono essere visionati sul sito Gilesduley.com. La sua ultima fatica? Raccontare i rifugiati siriani nei campi profughi della Giordania. [M.T.] Foto mai viste è un libro di immagini rubate da chi non le ha mai guardate per davvero. E cioè la stessa autrice, Beatrice Filippini, una bambina non vedente di 10 anni. Guidata dagli altri sensi, per lo più scatta quando viaggia con mamma e papà. E sa cogliere l’attimo. Altre volte, invece, si fa descrivere quello che vuole immortalare. Dall’insolita passione di questa bambina, a Brescia è nata un’associazione che promuove software al servizio della disabilità. I genitori e un gruppo di amici hanno fondato infatti “BeaProject” (Beaproject.org). A finanziare i progetti è il ricavato del libro. [M.T.] 34 GRAFIAVIDEOMUSICARADIOLIBRIRAGAZZ O T O F IMOSTRE NZA CINEMAFE A D O R AT STIVALFICTIONFU mostre Al Salone di Torino vietato nonolumi sfogliare speciali per bambini V speciali. Dal 16 al 20 maggio, all’interno del XXVI Salone internazionale del libro di Torino nel padiglione 5 del Lingotto Fiere, torna anche quest’anno il Bookstock Village, spazio riservato ai più piccoli. Con una importante novità: tre esposizioni che riguardano il mondo della disabilità, con attività interattive per bambini e ragazzi con necessità speciali. Promossa dalla onlus Area, la mostra itinerante Vietato non sfogliare propone una selezione di circa 80 libri accessibili e per l’infanzia sul tema dell’handicap, pubblicati in Italia nell’ultimo decennio, tutti da scoprire attraverso il gioco. Allestimento e immagine coordinata sono curati dal designer Franco Giolitti. Ogni sezione è introdotta da un pannello esplicativo il cui testo è scritto in caratteri ad alta leggibilità, in Braille e in Lis; nei testi, quindi, codici linguistici, iconici, narrativi, sensoriali. Nei contenuti, una rappresenta- zione della disabilità «capace di aprire una riflessione anche sulla resilienza e non solo sulla vulnerabilità evocata dall’handicap», evidenziano i responsabili dell’associazione Area. Verrà riproposta anche A spasso con le dita, mostra-laboratorio con tavole tattili d’artista ispirate ad altrettante parole solidali. Avviata nel 2010 dalla collaborazione fra la Federazione nazionale delle istituzioni pro ciechi e la onlus Enel Cuore, ha consentito di pubblicare e distribuire gratuitamente ben 5mila libri tattili a biblioteche pubbliche, ospedali pediatrici e istituzioni culturali. Inoltre gli illustratori animeranno laboratori e atelier didattici e artistici, esperienze di lettura e rappresentazioni multisensoriali. Infine saranno esposte anche le tavole di Svjetlan Junaković che illustrano il volume Mia sorella è un quadrifoglio, edito da Carthusia in collaborazione con Fondazione Paideia e Cepim-Torino. La storia, che racconta la nascita di una bambina down, riassume anche un percorso in cui assistenti sociali, psicologi, educatori, genitori, volontari, fratelli e sorelle di bambini con disabilità hanno condiviso vissuti ed emozioni. [L.B.] 35 Dex Goodman, angolazioni differenti. Da seduti la prospettiva cambia. Soprattutto quando di mestiere si fa il cameraman. Parola di Dex Goodman, 42 anni, sudafricano, videooperatore e fotografo per i magazine on line WhatsOnSA e The arts mag, in sedia a ruote dal 2000. Grande appassionato di musica, i concerti di Cape Town, gli spettacoli, il teatro e soprattutto la danza sono il suo pane quotidiano. Tanto che collabora spesso con la ballerina e coreografa Mamela Nyamza, che di lui dice: «Riesce a catturare in modo naturale i particolari senza mostrare tutta la visione della scena». Ma Goodman è convinto che il proprio punto di vista come cameraman disabile non sia necessariamente «diverso da quello di un qualsiasi altro video-operatore: è più una questione di riprese da angolazioni che in genere nessuno usa, perché spesso sono io a non essere in grado di accedere a ciò che si pensa sia la posizione di ripresa ideale. Così il più delle volte sono costretto a fare quello che non si dovrebbe. Questo crea una prospettiva molto differente», commenta. «Una delle sfide più importanti nel mio lavoro è la ripresa degli spettacoli dal vivo da angolazioni laterali: l’illuminazione del palco, infatti, viene progettata per il pubblico e non per la telecamera o la macchina fotografica, per cui mi sforzo di catturare performance che siano il più vicino possibile all’ambiente che vedo». Un sogno professionale? «Col tempo spero di riuscire ad acquisire l’attrezzatura giusta per darmi la possibilità di controllare a distanza il movimento della telecamera secondaria, visto che mi affido tuttora a uno dei tecnici disponibili – conclude –. In genere cerco di trovare il collocamento e l’esposizione più corretta della mia seconda cinepresa per catturare sia le scene scure sia quelle più chiare, ma senza averne il pieno controllo». [M.T.] RUBRICHE Inail... per saperne di più Simone Ramella Prestazioni protesiche e riabilitative: accreditamento per il Centro di Vigorso di Budrio La decisione dell’Emilia Romagna riguarda sia i posti letto di degenza che i servizi diurni e ambulatoriali. Un traguardo strategico per la struttura, che potrà stipulare accordi con tutte le Regioni I disegni di questa sezione del Magazine sono di Saul Steinberg C on la determinazione n. 3.328 dello scorso 5 aprile, la Regione Emilia Romagna ha concesso l’accreditamento sanitario al Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio, inserendolo nella rete dei servizi riabilitativi regionali. La possibilità di fornire prestazioni protesiche e riabilitative a favore degli assistiti del Servizio sanitario nazionale, sulla base di apposite convenzioni, era già prevista nel decreto 782/84, che disciplina le attività del Centro protesi. Ma «l’accreditamento – precisa Duccio Orlandini, direttore sanitario del Centro Inail – ci consente di lavorare secondo gli standard necessari per la stipula di eventuali accordi con tutte le Regioni, collocandoci di fatto allo stesso livello delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate». «La definizione del mandato di accreditamento – prosegue Orlandini – è infatti quella di “attività di riabilitazione in regime di ricovero non ospedaliero ex art.26 L.833/78 per 90 posti letto. Funzioni ambulatoriali esercitate in autorizzazione”. Ciò significa che sono accreditati sia i 90 posti letto di degenza che le prestazioni riabilitative erogate a ciclo continuativo, diurno e ambulatoriale. Per tutti noi è una grande soddisfazione, personale e professionale, aver raggiunto un traguardo considerato stra- gure professionali sanitarie, medici, infermieri, fisioterapisti e supportato da figure dello staff di direzione oltre che dal raq, il responsabile aziendale qualità – si è occupato, in particolare, dell’analisi e della revisione dei principali processi di erogazione delle prestazioni collegate al percorso protesico-riabilitativo del paziente. Dopo la richiesta di accreditamento, presentata nel dicembre 2010, lo scorso novembre il Centro di Vigorso di Budrio è stato sottoposto alla visita di verifica dell’apposita commissione nominata dalla Agenzia sanitaria della Regione Emilia Romagna, che ha verificato il possesso dei requisiti strutturali, organizzativi e di personale dedicato. Nell’iter di accreditamento è stato si- tegico per l’attività del Centro, che ha richiesto due anni di grande impegno da parte di tutti e, in particolare, del gruppo di lavoro che ho avuto il compito di coordinare». Il gruppo multidisciplinare – composto da fi- 36 curamente importante il possesso della certificazione del percorso paziente. Il Centro protesi, che nel 2011 ha compiuto 50 anni, ha infatti ottenuto recentemente il rinnovo per quattro anni della certificazione Iso 9001, con il riconoscimento di un sistema di qualità aziendale definito tecnicamente «maturo». L’accreditamento sanitario rappresenta un importante traguardo, che risponde alle indicazione del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Istituto contenute nelle linee guida e nei criteri generali per le politiche sanitarie, rispecchiando la capacità di evolversi nel tempo di una struttura considerata un vero e proprio centro di eccellenza. RUBRICHE Fisco Antonello Giovarruscio Agevolazioni fiscali. La guida dell’Agenzia delle Entrate Sono numerosi i benefici destinati alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Si va dalle detrazioni per i figli a carico all’Iva agevolata per l’acquisto di veicoli L e norme tributarie emanate negli ultimi anni hanno mostrato particolare attenzione alle persone con disabilità e ai loro familiari, riservando loro numerosi benefici fiscali. La Guida alle agevolazioni fiscali dell’Agenzia delle Entrate, aggiornata a marzo 2013, illustra il quadro delle varie situazioni in cui la normativa tributaria riconosce benefici fiscali in favore dei contribuenti portatori di disabilità, indicando con chiarezza le persone che ne hanno diritto. In particolare, sono spiegate le regole e le modalità da seguire per richiedere le agevolazioni. Per i figli a carico, con disabilità, spettano le seguenti detrazioni: per il figlio di età inferiore a tre anni 1.120 euro (1.620 euro dal 1 gennaio 2013); per il figlio di età superiore a tre anni 1.020 euro (1.350 euro dal 1 gennaio 2013). Con più di tre figli a carico la detrazione aumenta di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo. Le detrazioni sono concesse in funzione del reddito complessivo posseduto nel periodo d’imposta e il loro importo diminuisce con l’aumentare del reddito fino ad annullarsi quando il reddito complessivo arriva a 95mila euro. Per i veicoli, esiste la possibilità di detrarre dall’Irpef il 19% della spesa sostenuta per l’acquisto, l’Iva agevolata al 4% sull’acquisto, l’esenzione dal bollo auto e l’esenzione dall’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà. Per gli altri mezzi di ausilio e i sussidi tecnici e informatici, poi, viene confermata la possibilità di detrarre dall’Irpef il 19% della spesa sostenuta e anche l’Iva agevolata al 4% per l’acquisto dei sussidi tecnici e informatici. Detrazioni Irpef del 19% per 37 le spese di acquisto del cane guida per non vedenti e la detrazione forfettaria di 516,46 euro delle spese sostenute per il suo mantenimento sono nero su bianco. Ugualmente, la possibilità di detrarre dall’Irpef il 19% delle spese sostenute per i servizi di interpretariato dei sordi. Per l’abbattimento delle barriere architettoniche, la Guida pre- vede una detrazione d’imposta del 36% sulle spese sostenute fino al 31 dicembre 2012 per la realizzazione degli interventi. Per le spese sanitarie, esiste invece la possibilità di dedurre dal reddito complessivo l’intero importo delle spese mediche generiche e di assistenza specifica, mentre per l’assistenza personale non manca la possibilità di dedurre dal reddito complessivo gli oneri contributivi (fino all’importo massimo di 1.549,37 euro) versati per gli addetti ai servizi domestici e all’assistenza personale o familiare. C’è anche la possibilità di detrarre il 19% delle spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale, da calcolare su un ammontare di spesa non superiore a 2.100 euro, a condizione che il reddito del contribuente non sia superiore a 40mila euro. Per saperne di più, si può visitare il sito dell’Agenzia delle Entrate. RUBRICHE Senza barriere Daniela Orlandi Access City Award 2013: il fascino accessibile di Berlino Tante le iniziative realizzate non solo dalla capitale tedesca, ma anche da Stoccolma e dalla francese Nantes. Con un unico obiettivo: diventare città veramente per tutti L’ accessibilità? «Offre nuove opportunità commerciali e può fungere da stimolo per l’innovazione e la crescita economica. Città come Berlino sono all’avanguardia nel semplificare la vita a tutti»: è quanto dichiarato il 3 dicembre scorso dalla vicepresidente della Commissione europea, Viviane Reding, mentre conferiva il riconoscimento “Access City Award 2013” alla città più accessibile d’Europa. Il premio, giunto quest’anno alla sua terza edizione, è stato anche occasione per promuovere politiche per l’inclusione e diffondere buone prassi. Le due selezioni, quella nazionale e quella europea, hanno individuato sette città, su oltre 99 municipalità partecipanti: Berlino, la vincitrice, Nantes e Stoccolma, le città al secondo posto, Bilbao, Gdynia, Pamplona e Tallaght, le quattro meritevoli di menzione speciale. In attesa dell’apertura della nuova edizione del premio, ormai imminente, vediamo le motivazioni alla base di questa scelta e le iniziative intraprese dalla città vincitrice e dalle due finaliste. A Berlino, che oggi conta 3 milioni e mezzo di abitanti, è stato riconosciuto il merito di aver attivato una politica globale e strategica volta al- la creazione di una città per tutti. Sulla scelta della giuria hanno influito i risultati ottenuti nel sistema dei trasporti e gli investimenti effettuati per agevolare l’accesso delle persone con disabilità nell’ambito dei progetti di ricostruzione. Per affrontare la difficile sfida, la città si è dotata di un ufficio di coordinamento “Edificio senza barriere” che dal 2000 opera come centro di consulenza per costruttori pubblici e privati. Dal 2011 il programma “Spazio pubblico senza barriere” ha avviato una strategia per gli spazi urbani pedonalizzati: sistemi di guida tattile plantare agli incroci stradali e alle fermate di tram e autobus, e segnali per non vedenti installati agli attraversamenti. L’accessibilità è anche centrale nel piano dei trasporti e punta ad assicurare la copertura della città con autobus e tram privi di barriere. Entro il 2020 tutte le stazioni della metropolitana saranno accessibili. Quanto agli spazi destinati a eventi culturali, le partite di calcio al Berlin Olimpia Stadium possono essere seguite con un sistema di audio-descrizione, fondamentale per chi ha limitazioni visi- 38 ve. Diverse le motivazioni per Nantes e Stoccolma. Nantes, città francese di 291mila abitanti, è arrivata al secondo posto grazie all’attenta pianificazione degli interventi e alle numerose attività di sensibilizzazione in tema di inclusione. Il centro urbano ha infatti migliorato l’accessibilità in aree come i trasporti, l’edilizia residenziale, l’educazione, l’informazione e la comunicazione, il tempo libero, gli impianti sportivi, i luoghi della cultura e gli eventi speciali. Inoltre, in collaborazione con la locale Scuola di design via Nantes è stata avviata una formazione continua per i designer e i futuri architetti sui temi della città accessibile. Stoccolma, capitale della Svezia con 868mila abitanti, è arrivata in finale grazie alla sua strategia inclusiva con una prospettiva a lungo termine, impostata sulla filosofia del design for all. L’obiettivo è quello di diventare una città accessibile a tutti, anche in considerazione della sua particolarità che la vede estendersi per il 30% della superficie sull’acqua. Il programma “Stoccolma - Città per tutti” stabilisce sette obiettivi politici di priorità collocati tra il 2011 e il 2016. Tra i risultati positivi, è emerso che il 65% degli attraversamenti pedonali nel centro della città è stato realizzato con rampe di accesso e segnaletica a contrasto per persone con limitazioni visive, mentre i bagni pubblici sono stati allestiti ex novo o adeguati per permettere l’utilizzo da parte di persone disabili. Anche le aree gioco sono state attrezzate affinché siano accessibili sia ai bambini che ai genitori con disabilità. Infine la capitale svedese ha sviluppato soluzioni innovative come e-Adept, un sistema di navigazione per la mobilità di persone con deficit della vista. l’ESPERTO RISPONDE a cura del Consorzio sociale Coin Scuola È possibile per una ragazza disabile con programmazione semplificata, al quinto anno di liceo linguistico, seguire come programma di italiano il Romanticismo, il Decadentismo, un autore dell’Ottocento e uno del Novecento? Posso sapere a partire da quale percentuale di invalidità un invalido civile ha diritto a richiedere alla propria Asl la fornitura di lenti e relativa montatura prescritti da uno specialista pubblico? L a programmazione semplificata riguarda gli obiettivi ministeriali con delle riduzioni (art. 16 comma 1 legge n. 104/92) e «sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l’effettuazione delle prove scritte o grafiche» (art. 16 comma 3 legge n. 104/92). L’ultimo riferimento per gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado è l’ordinanza ministeriale S 11 maggio 2012, n. 41, che all’art. 17 comma 1 stabilisce che le prove equipollenti devono consentire alla Commissione d’esame di verificare che la ragazza abbia raggiunto una preparazione culturale e professionale idonea per il rilascio del diploma attestante il superamento dell’esame, in base alla documentazione fornita dal Consiglio di classe, relativa alle attività svolte e alle valutazioni effettuate. Ausili ono considerati invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, comprese le persone irregolari psichiche per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali o funzionali, che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo e, se minori di 18 anni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (art. 2, legge n. 118/71). La normativa considera varie soglie di invalidità e il diverso gra- 39 do corrisponde a benefici differenti: il 33% (un terzo) di invalidità è la soglia minima per essere considerato invalido e dà diritto a prestazioni protesiche e ortopediche. Per completezza di informazione le ricordiamo che nel decreto n. 332/99, all’art. 2, viene stabilito chi sono gli aventi diritto all’erogazione dei dispositivi contenuti nel Nomenclatore tariffario. Con riferimento agli assicurati Inail invalidi del lavoro, l’erogazione per la fornitura di dispositivi tecnici avviene secondo quanto disposto dal “Regolamento per l’erogazione agli invalidi del lavoro di dispositivi tecnici e di interventi di sostegno per il reinserimento nella vita di relazione”, circolare n. 61 del 23 dicembre 2011. pinzillacchere IL PRANZO DELLA DOMENICA di Carla Chiaramoni Al Posta via Valvasone, 14 33072 Casarsa della Delizia (PN) alposta.casarsa@ gmail.com Tel. 0434.869663, 320.9109777 In cucina Filippo e Francesca Chiusura lunedì Coperti salone con 130 coperti, saletta con 60 coperti Locale accessibile Prezzo 25 euro Bancomat e altre carte di credito sì L’ Asteroide B612 era la casa del Piccolo principe nel libro di Antoine de Saint-Exupéry, accogliente e amata, ed è anche il nome scelto dalla cooperativa sociale (costola del “Piccolo principe”) che gestisce da poco più di un anno questo bar ristorante solidale, il cui obiettivo è l’accoglienza. Uno spazio che declina la solidarietà in molti modi, dall’arte al lavoro, e sposa il reinserimento di persone svantaggiate con la sostenibilità dei prodotti a chilometro zero. Un’area del locale è dedicata a mostre di quadri realizzati dal centro socio-occupazionale della cooperativa, e alla musica per chi ha voglia di suonare. IL FRANCOBOLLO DEL MESE presta attenzione ai prodotti a chilometro zero. Alcuni provengono dalla Rete degli agricoltori solidali attivi (Rasa): tutti della zona e impegnati anche loro nell’integrazione lavorativa. L’idea del locale, infatti, nasce nell’ambito del progetto che coinvolge le fattorie sociali con lavoratori svantaggiati, diventate i primi fornitori del ristorante. La verdura, per esempio, proviene in parte dal progetto “La volpe sotto i gelsi”, che dà lavoro a persone disabili. Vengono utilizzati i prodotti equosolidali, in vendita anche al bar. Pizzeria nel week-end. imprevedibili Dirac, genio dei quanti in odore di autismo di Gian Piero Ventura Mazzuca Cani assistenti, non solo guide e amici T È davvero incredibile l’amicizia che lega cane e uomo: uno dei modi in cui lo si può riscontrare è il loro affiancamento a diverse nostre necessità. Oltre alla guida di supporto ai non vedenti, i cani possono essere educati a molto altro, a volte anche con un addestramento personalizzato a seconda della specificità di aiuto richiesto. Chi ha delle menomazioni, problemi di equilibrio o di udito, anche se quest’ultima è una pratica diffusa più all’estero, può essere davvero aiutato dai cani da assistenza nelle attività quotidiane: aprire e chiudere sia porte che cassetti, accendere e spegnere luci, aiutare a vestirsi/ svestirsi, tirare la sedia a ruote, Nel locale lavorano – tra bar, servizio e cucina – tre ragazzi del centro sociooccupazionale per disabili del “Piccolo principe”, con il quale gestiscono anche un progetto per la “merenda sana” (produzione di biscotti artigianali). Le due sale sono pensate prevalentemente per le esigenze delle famiglie, ma utilizzate anche per feste, convegni, corsi. Spazioso il bar per aperitivi e ricorrenze, che ha uno settore giochi per i bambini; disponibili in estate anche giardini e sottoportico, dove c’è la possibilità di consumare grigliate. La cucina raccogliere e portare oggetti. Ma gli animali segnalano anche qualsiasi tipo di suono come la sveglia, il telefono, il citofono, il microonde, un bambino che piange. Per non parlare poi dei cani da terapia, che vanno negli ospedali o nei centri riabilitativi per aiutare nella guarigione o distrarre dalla malattia. Il Regno Unito ha dedicato loro dei bei francobolli nel 2007 mentre, a chi li abbandona, sappiamo bene cosa dedicare... 40 aciturno fino all’estremo limite ma mirabile nell’esposizione scientifica, appassionato di Topolino, Beethoven e Rembrandt, Paul Dirac fu sicuramente uno dei più prestigiosi e stravaganti protagonisti della storia della scienza. Nato nel 1902 a Bristol, in Inghilterra, fu il più giovane teorico a vincere a soli 31 anni il premio Nobel per l’intuizione sull’antimateria e la scoperta di nuove forme della teoria atomica. Ma la sua vita privata fu estremamente sorprendente, tanto da dare impulso tra gli altri fisici a una ricca aneddotica sulla sua economia verbale, il suo prendere tutto alla lettera, la sua attenzione monomaniacale per la scienza e la matematica, la sua distanza dal mondo. Queste vicende, tramandate negli ambienti scientifici per decenni, potrebbero però essere lette anche come “storie di autismo”. Una teoria, quest’ultima, a cui si fa cenno nel volume L’uomo più strano del mondo. Vita segreta di Paul Dirac, il genio dei quanti, pubblicato da Raffaello Cortina. Scritto da Graham Farmelo nel 2009, ha vinto in Gran Bretagna il Costa Book Awards per la biografia. [A.P.] LE PAROLE PER DIRLO controcorrente di Franco Bomprezzi In un video l’Italia ospitale una volta “la mano Handicap C’era sul cappello”, ovvero “hand in cap”. Un’espressione usata in Inghilterra per indicare il fantino più veloce, costretto allo svantaggio di correre tenendo la mano sul cappello, e dunque tornando a essere più o meno alla pari con gli altri. Leggenda o realtà, fatto è che su questa interpretazione, molti anni fa, il termine “handicap” visse una stagione fortunata, anche presso le persone con disabilità che ancora non sapevano di chiamarsi così, perché l’espressione “persons with disabilities” arrivò molto più tardi, durante la costruzione della Convenzione Onu. In Italia ricordo con grande rimpianto Gianni Pellis, precursore di Enil Italia (European network on independent living), utilizzare con passione questo racconto, per rappresentare con efficacia due concetti positivi: da un lato l’immagine plastica dello svantaggio, resa efficacemente dall’handicap nell’ippica; dall’altro le capacità del fantino più bravo, quello con la mano nel cappello. E allora perché la parola “handicap” è precipitata rapidamente di valore? Attenzione, in Francia non è avvenuto: “handicapé” resiste alle intemperie e persino alla Convenzione, senza imbarazzi, senza titubanza. Come mai? Forse perché Oltralpe la parola non si è connotata in negativo, è rimasta una constatazione dello svantaggio, non si è appiccicata alle persone come una cappa ingombrante e stigmatizzante. In Italia “handicap” è diventato ben presto “portatore di handicap” e poi “handicappato”. Un modo brutale per spingere nuovamente nell’angolo milioni di cittadini, uomini e donne, in attesa di vedere riconosciuti pari dignità e pari diritti. Ecco perché oggi ripensare alle origini, alla solidità concettuale del termine “handicap”, che di per sé rappresenta semplicemente lo “svantaggio”, ci consente di riflettere sulla fatica che facciamo ad abbandonare l’ipocrisia del giudizio formulato da chi ritiene di non essere “toccato”. Ed ecco perché oggi non possiamo non difendere con forza l’espressione “persone con disabilità”. Fino a quando non si logorerà di nuovo. U na sorta di “pubblicità progresso” per promuovere il turismo accessibile. Dove una coppia, lui è in sedia a ruote, gira in lungo e in largo per lo Stivale sotto sorrisi benevoli e piccoli grandi gesti di attenzione. Dalle vacanze sulla neve alle città d’arte. È Italia, un Paese ospitale, uno spot voluto dal ministero per gli Affari regionali, il turismo e lo sport e dalla struttura di Missione per il rilancio dell’immagine italiana, su indicazione del Comitato per la promozione e il sostegno del turismo accessibile. Realizzato in collaborazione con la Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) per la regia dello stesso protagonista, Aldo Bisacco, che nella vita è anche autore, l’idea di fondo della campagna è che «l’ospitalità non è una cosa che si impara a scuola: è una 41 cosa che hai nel sangue, è qualcosa che respiri nell’aria del luogo dove nasci». Il viaggio, durato 15 giorni, è partito da Venezia toccando Ferrara, Mantova, il Trentino, la Val d’Aosta, la Puglia e la Sicilia. «Lo so che il nostro non è un Paese completamente accessibile – racconta Bisacco –, ma tutto quello che ho fatto insieme alla mia compagna è stato possibile nonostante le barriere architettoniche. Abbiamo riscontrato un grande spirito di accoglienza. Non ci sono figuranti nel video: tutte le persone riprese le abbiamo incontrate per davvero, e i sorrisi ricevuti erano spontanei». L’appuntamento, oltre che su Youtube, dove c’è la versione integrale dello spot, è anche sulla Rai con la versione sintetica. [M.T.] dulcis in fundo 42