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cap 11 - vegetazione..
Quadro conoscitivo del Piano Strutturale
Capitolo 11
Relazione
sulla vegetazione
Relazione a cura di:
Dr. Bruno Foggi
Dr. Riccardo M. Baldini
Dipartimento di Biologia Vegetale
Università degli Studi di Firenze
L’area delle colline interne del Comune di Capalbio può dirsi interessata da due principali tipi di
clima:
1) le colline a mare che ricadono all’interno dell’area prettamente mediterranea con estati
anche lungamente siccitose;
2) 2) le colline interne interessate da un clima mesotermico con un moderato deficit idrico, che
risulta ancora meno pronunciato nelle stazioni pianeggianti e nei fondovalle. Oltre a questa
situazione a determinismo essenzialmente climatico bisogna considerare che lungo le ripe e
nei fondovalle si determinano situazioni stazionali che favoriscono la presenza di una falda
freatica superficiale che porta a condizioni di idrofilia più o meno accentuata, favorendo le
specie più prettamente igrofile.
In funzione delle specie arboree dominanti e delle caratteristiche ecologiche delle stazioni dove
esse si trovano possiamo ricondurre i consorzi forestali del territorio comunale alle seguenti
principali tipologie:
1) boschi di sclerofille sempreverdi mediterranee a dominanza di leccio sulle dorsali e sui
versanti a mare.
2) boschi misti a dominanza di leccio e latifoglie decidue, soprattutto roverella e ornello.
3) boschi a dominanza di latifoglie dei versanti delle colline interne.
4) boschi lineari dei fondovalle a dominanza di frassino.
5) boschetti semiripari a farnetto e frassino.
6) boschetti con pioppi e frassino delle aree paludose.
Le prime tre grandi tipologie dominano il paesaggio forestale del Comune e rappresentano la
“vegetazione zonale” dell’area, mentre le altre tre si presentano sporadiche ed interrotte, anche se
rivestono un notevole interesse botanico e naturalistico in generale.
Viene qui di seguito riportata una breve descrizione di queste tipologie forestali basate su
osservazioni in campo ed in funzione dell’analisi della bibliografia esistente in particolare:
ARRIGONI (1998, 2001), MONDINO & BERNETTI (1998), MONDINO (1998). Oltre a queste opere che
possono essere considerate di base, saranno prese in considerazione, di volta in volta, quelle riferite
più propriamente alla tipologia trattata.
1) Boschi di sclerofille sempreverdi mediterranee a dominanza di leccio sulle
dorsali e sui versanti a mare (L) con sughera L(s)
La biocora mediterranea è, in Maremma, a netto appannaggio di formazioni forestali dominate
dal leccio, specie rustica, che ben sopporta una, anche prolungata, siccità estiva. Sulle dorsali
calcaree e sui versanti a mare queste formazioni tendono a diventare dominanti in quanto le essenze
semidecidue sono limitate nel loro sviluppo dalla presenza dell’estate siccitosa e solo raramente
possono rifugiarsi nelle zone pianeggianti dove la mancanza di piovosità è in qualche modo
compensata dalla presenza di una falda superficiale.
Le leccete della Maremma sono state studiate da WIKUS & PIGNATTI (1968), da ARRIGONI & al.
(1985) e da ARRIGONI & DI TOMMASO (2000). Facendo riferimento alle osservazioni sul campo e a
quelle dedotte dalle pubblicazioni sopra citate possiamo attribuire i consorzi di leccio al Viburno
tini-Quercetum ilicis (Br.Bl. 1936) Riv.-Mart. 1975, anche se, recentemente, si è più propensi ad
una indipendenza delle cenosi peninsulari rispetto a quelle provenzali e spagnole che vengono
attribuite ad una nuova associazione denominata Cyclamino repandi-Quercetum ilicis Biondi & al.
2002. In ogni caso si tratta di boschi cedui o, più raramente cedui matricinati sulle dorsali delle
colline interne. La partecipazione a questi consorzi di specie arboree è scarsa, solo raramente si può
trovare Quercus pubescens Willd., Fraxinus ornus L., Sorbus domestica L. La flora arbustiva è
sporadica e a carico solo di alcune specie fra cui Viburnum tinum L., Pistacia lentiscus L., Rhamnus
alaternus L. e Phillyrea latifolia L. Localmente è presente anche Quercus suber L.
La flora erbacea è ancora più sporadica, vista la scarsa quantità di luce presente nel sottobosco
di questi boschi: Asplenium onopteris L. e Cyclamen repandum L. sono le più frequenti.
Specie indicatrici
Quercus ilex L.
Quercus suber L.
Arbutus unedo L.
Viburnum tinus L.
2) Boschi misti a dominanza di leccio e latifoglie decidue (R/L)
Questo tipo di formazioni sono nella zona in esame costituiti da formazioni misti di leccio,
roverella, e orniello. Si distribuiscono sui versanti settentrionali e nelle stazioni a maggiore
ritenzione idrica nell’area del leccio, oppure sulle dorsali delle colline nell’area delle latifoglie
decidue. Localmente, nelle stazioni più scoscese e con maggiore umidità, anche Ostrya carpinifolia
Scop., può entrare a far parte di questi consorzi. Da notare che non sempre la distinzione fra boschi
di leccio con roverella e boschi di roverella termofili risulta sempre agevole e solo un rilevamento
flogistico-ecologico della situazione locale può portare ad una corretta delimitazione cartografica
dei due consorzi.
ARRIGONI (1998) attribuisce questi boschi all’associazione Fraxino orni-Quercetum ilicis
Horvatic (1956) 1958.
Specie indicatrici
Fraxinus ornus L.
Conservazione
In genere i boschi di sclerofille sempreverdi ben difficilmente possono presentarsi come
elemento meritevole di conservazione vista il loro secolare uso per legna da ardere. La loro flora è
povera e spesso si presenta abbastanza omogenea per tutto il bacino del Mediterraneo. In ogni caso
la trasformazione dei cedui in fustaie o almeno cedui matricinati potrebbe portare ad una migliore
gestione conservativa del patrimonio forestale costituito da questi consorzi. In futuro si dovrebbero
quindi individuare le stazioni che presentano le migliori condizioni di risorse per procedere a questa
trasformazione dei cedui semplici di leccio in fustaie o in cedui matricinati.
Da notare che secondo la Direttiva habitat (92/43 e successive integrazioni) e la Legge 56/2000
RT i boschi di leccio mesofili con Ostrya carpinifolia e Acer sp. pl. rappresentano un habitat
meritevole di conservazione. Tuttavia, non essendoci informazioni riguardanti queste cenosi per il
Comune di Capalbio si raccomanda una ricerca al fine di individuare se eventualmente fosse
presente questo tipo di habitat.
3) Boschi dominanza di latifoglie dei versanti delle colline interne
I boschi delle colline interne sono dominati dal cerro che partecipa, come albero dominante o
codominate, praticamente a tutti i consorzi forestali di latifoglie decidue del territorio comunale.
Sulle dorsali le condizioni di xerofila sono accentuate per cui la roverella, albero più rustico del
cerro, tende a prendere il sopravvento fino a diventare la pianta dominante. Talvolta si nota una
certa degradazione che porta all’infiltrazione di specie eliofile e termofile come il terebinto, la
marruca e l’albero di Giuda.
Nelle migliori condizioni di disponibilità idrica il cerro diventa l’essenza dominate. In genere i
versanti delle colline interne, anche di pertinenza del clima delle latifoglie decidue, presentano
buoni valori termici per cui una certa infiltrazione delle specie dei boschi di sclerofille è sempre
presente.
Dal punto di vista dell’umidità disponibile i versanti presentano suoli meno profondi rispetto a
quelli di colluvio, per cui non è sempre garantita una riserva di acqua sufficiente a non determinare
limitazioni alla crescita delle piante durante la stagione arida. Si viene quindi a creare una
situazione di mesofilia intermedia o mesoxerofilia. Nelle prime viene esaltata la componente
comune ai boschi di sclerofille sempreverdi, nelle seconde quella in comune ai boschi di farnetto.
Questi rappresentano la cenosi forestale maggiormente esigente in fatto di acqua e termicità. Nella
zona in esame si presentano anche condizioni, strettamente limitate al versante settentrionale del
fosso di Ripiglio, dove il cerro è consociato ad essenze più tipicamente mesofilo-igrofile come il
caprino bianco. Tutte queste situazioni si intergradano fra loro anche al solo variare dell’esposizione
e/o della pendenza, o di condizioni locali che favoriscono o no il ristagno di acqua: anche in breve
spazio si passa così da cerrete a carattere termofilo a cerrete mesoxerofile a boschi di farnetto a
cerrete mesofile.
Le tipologie, nell’area in oggetto, sono state delimitate tenendo in considerazione queste
premesse ecologiche, ma solo dopo un loro attento studio si potranno tracciare confini
maggiormente attendibili e si potranno delineare i modelli di comportamento a fini gestionaliconservativi di questi consorzi.
Al momento possiamo individuare e delimitare le seguenti tipologie:
- boschi a dominanza di roverella.
- boscaglie degradate a roverella e terebinto.
- boschi misti a dominanza di roverella e cerro.
- boschi a dominanza di cerro.
- boschi misti di cerro e farnetto.
- boschi di latifoglie termoigrofile a dominanza di farnetto.
- boschi mesofili a dominanza di cerro e carpino bianco.
3a) Boschi di latifoglie termoxerofile a dominanza di roverella dei versanti e delle dorsali delle
colline (R)
I boschi a dominanza di roverella risultano abbastanza rari nel territorio del Comune di
Capalbio. Si tratta in genere di consorzi che si collocano nelle stazioni più aride che esaltano il
carattere di maggiore tolleranza alla xericità della roverella rispetto al cerro. In genere presentano
un certo grado di degradazione dovuto alla scarsa fertilità delle stazioni che viene aumentata da
tagli a turni piuttosto ravvicinati. La flora di questi boschi è in genere termofila e xerofila, è quindi
rappresentata dalle specie più xerofile dei boschi di leccio e dalle più esigenti in fatto di luce. Dal
punto di vista fitosociologico essi possono essere attribuiti al Roso sempervirenti-Quercetum
pubescentis Biondi 1986
Specie indicatrici
Quercus ilex L.
Quercus pubescens Willd.
Fraxinus ornus L.
Rosa sempervirens L.
3b) Boscaglie degradate a roverella e terebinto (R/T)
Molto interessanti risultano alcune boscaglie che assumono l’aspetto di “pseudomacchie”
formazioni particolari in quanto costituite da specie che trovano nella bassa Maremma le uniche
stazioni in Toscana. Si tratta di formazioni aperte localizzate in poche stazioni presso la località
“Giardino” dominate da Cercis siliquastrum L., Paliurus spina-christi Miller e Pistacia terebinthus
L. ma che diventano dominanti nei versanti meridionali della zona di M. Capita - Sassi Neri. Lo
studio floristico-ecologico di queste cenosi potrebbe rilevarsi di estremo interesse naturalistico,
comunque la loro conservazione risulta indispensabile.
Specie indicatrici
Cercis siliquastrum L.
Paliurus spina-christi Miller
Pistacia terebinthus L.
3c) Boschi di latifoglie termoxerofile a dominanza di cerro con roverella delle colline interne
(C/R)
Risulta di gran lunga la tipologia forestale più ampiamente diffusa su tutto il territorio del
Comune di Capalbio. I boschi misti di cerro e roverella sono da definire termofili, ma tendono a
sfuggire quelle situazioni di xerofilia che invece sono quelle ottimali per la roverella. In queste
situazioni il corteggio floristico è caratterizzato dalle specie xerofile più esigenti in fatto di umidità
e dalle specie mesofite più tolleranti condizioni di xericità.
Dal punto di vista fitosociologico potrebbero rientrare in una variante con cerro del Roso
sempervirenti-Quercetum pubescentis Biondi 1986
Specie indicatrici
Quercus cerris L.
Quercus pubescens Willd.
Quercus ilex L.
Sorbus domestica L.
Phillyrea latifolia L.
3d) Boschi di latifoglie mesoxerofile a dominanza di cerro dei versanti delle colline interne (C)
Si tratta di consorzi dominati dal cerro (Quercus cerris L.) che nella parte inferiore del versante
prende contatto con i boschi di farnetto (Quercus frainetto Ten.) determinando cenosi miste di
transizione verso i boschi di farnetto di pianura.
L’associazione di riferimento può essere considerato Erico arboreae-Quercetum cerridis
Arrigoni & al. 1990
Specie indicatrici
Erica arborea L.
Erica scoparia L.
Serratula tintoria L.
3e) Boschi termoigrofili a dominanza di farnetto e cerro (F/C)
Si differenziano rispetto ai precedenti per una penetrazione di specie termofile ed igrofile e
quindi legate ad una maggiore disponibilità idrica. Notevole è la presenza in queste cenosi,
soprattutto quelle delle colline nord orientali della pseudosughera (Quercus crenata Lam.), specie
sporadica in tutta la Toscana, ma che si presenta costante e con individui di notevoli dimensioni.
Per la presenza di un buon numero di specie acidofile o acidotolleranti come Festuca
heterophylla Lam., Poa sylvicola Guss., e la stessa pseudosughera, le fitocenosi di questo tipo di
boschi possono essere riferite ad una variante acidofitica del Fraxino oxycarpae-Quercetum cerridis
Foggi & al. 2000.
Specie indicatrici
Quercus crenata Lam.
Ranunculus bulbosus L. subsp. aleae (Willk.) Rouy & Fouc.
Poa sylvicola Guss.
3f) Boschi termoigrofili dei fondovalle e delle aree di colluvio a dominanza di farnetto (F)
Le stazioni farnetto della bassa Maremma sono state segnalate per la prima volta da PAVARI
(1955) ed individuate e studiate da ARRIGONI (1974), anche se questa specie era conosciuta in
Maremma sotto il nome di “farnia”, come dimostrano alcuni toponimi locali.
Il farnetto è una quercia semidecidua ad areale appenninico-balcanico che ha nella bassa
Maremma Toscana il limite settentrionale del suo areale italiano. Si tratta di una specie, che almeno
in Toscana, si comporta da specie più termofila del cerro, ma con maggiori esigenze di disponibilità
idrica per cui le sue stazioni tendono a collocarsi nella parti basali delle colline, tendenzialmente su
depositi colluviali, dove il suolo è in grado di assicurare una buona disponibilità idrica anche nei
periodi di minore apporto pluviometrico e presenta una maggiore disponibilità di nutrienti. Nelle
stazioni meno fertili si nota una presenza di cerro fino a costituire dei consorzi misti di cerro e
farnetto.
Dal punto di vista fitosociologico le cenosi di farnetto della Maremma sono state attribuite al
Pulicario odorae-Quercetum frainetti Ubaldi & al. 1990.
Specie indicatrici
Quercus frainetto Ten.
Lychnis flos-cuculi L.
Pulicaria odora(L.) Rchb.
Simethis mattiazzii(Vandelli) Sacc.
Conservazione
Si tratta in genere di cedui, talvolta invecchiati, la tendenza dovrebbe essere verso la
trasformazione guidata di queste cenosi in fustaie, almeno dove le condizioni di fertilità e di
disponibilità idrica del suolo lo consentano, o almeno di cedui matricinati in modo da garantire la
produzione di seme da parte di queste popolazioni settentrionali ed isolate di farnetto.
Da un punto di vista della conservazione i boschi di farnetto della Maremma Toscana
rappresentano un habitat di interesse regionale in quanto presente nella legge 56/2000 RT. Oltre ad
una conservazione di queste cenosi attraverso la loro trasformazione da cedui in fustaie, si dovrebbe
realizzare una banca di semi e di coltura in campo di individui di farnetto locali (vedi normative
tecniche per l’istituzione di C.ES.Fl. Centri per la Conservazione ex-situ della Flora di interesse
conservazionistico regionale di prossima pubblicazione a cura della Regione Toscana).
Un problema per la corretta conservazione della flora erbacea del sottobosco è costituito dalla
pressione degli ungulati, soprattutto cinghiali, che scavano alla ricerca di bulbi e tuberi, spesso
impedendo una corretta rigenerazione di questa flora.
Nelle cenosi di farnetto è presente una specie meritevole di conservazione ai sensi della 56/2000
RT: Vicia sparsiflora Ten., specie meritevole di essere conservata ex-situ in modo da garantire la
presenza del patrimonio genetico di queste popolazioni.
3g) Boschi mesofili a dominanza di cerro e carpino bianco (Cmes)
Questo tipo di formazioni risultano molto rare nella zona e si riscontrano solo nella parte nord
del Comune di Capalbio a confine con quello di Manciano, lungo i versanti settentrionali del fosso
Ripiglio. Questi boschi sono caratterizzati dalla presenza di un contingente di specie mesofile che si
riscontrano in genere ad altitudini più elevate. Notevole la presenza di Lilium croceum.Chaix.
Dal punto di vista fitosociologico esse possono essere riferite a Melico uniflorae-Quercetum
cerridis Arrigoni 1990.
Specie indicatrici
Carpinus betulus L.
Melica uniflora Retz.
Corylus avellana L.
4) Boschetti lineari dei fondovalle a dominanza di frassino (Fo)
Lungo i torrenti dove vi è una certa presenza di acqua per buona parte dell’anno si trovano
formazioni a sviluppo prevalentemente lineare dominate dalla presenza di specie igrofile. Tra le
quali la più significativa è il frassino (Fraxinus oxycarpa Bieb.). Talvolta può essere accompagnata
da Alnus glutinosa (L.) Gaertn., nelle stazioni quasi pianeggianti dove sono presenti condizioni di
forte idrofilia, oppure da Ostrya carpinifolia Scop. nelle stazioni a maggiore pendenza. Talvolta
risulta presente anche Acer monspessulanum L. Boschetti a frassino si trovano anche attorno ai
laghetti, soprattutto se infraforestali.
Manca al momento uno studio fitosociologico della vegetazione dei torrenti della zona
mediterranea per cui possiamo attribuire tali cenosi, in via del tutto provvisoria all’associazione
Alno glutinosae-Fraxinetum oxycarpae (Br.Bl. 1915) Tchou 1946.
Specie indicatrici
Fraxinus oxycarpa Bieb.
Alnus glutinosa (L.) Gaertn.
Carex pendula Huds.
Conservazione
Tale habitat, ed in generale gli ecosistemi fluviali, attraversano spesso aree a forte
antropizzazione ed ha quindi subito forti processi di degradazione quali la riduzione delle fascia
ripariale, l’impoverimento floristico e l’invasione di specie esotiche, processi spesso legati anche ai
fenomeni di inquinamento delle acque e del suolo. E’ auspicabile l’individuazione della
distribuzione reale di questo habitat nel Comune di Caparbio con ulteriori indagini, anche al fine di
mettere in atto misure idonee al loro ripristino ambientale e conservazione.
Da notare inoltre l’elevato valore di elemento di connessione ecologica costituito da questo tipo
di habitat. Di particolare interesse risulta per esempio la rete dei boschetti lineari della parte
settentrionale del territorio, rete che dovrebbe essere conservata e aumentata con l’impianto di
alberi di frassino, raccolti nel territorio, in modo da ricostruire i filari alberati anche dove mancano.
Questo porterebbe alla formazione di una sorta di “bocage” maremmano che diverrebbe di enorme
importanza per la conservazione delle specie ornitiche, di anfibi e rettili legati alla rete di boschetti
lineari ripari.
Ma se da un lato risulta evidente la necessità di mantenere queste formazioni lineari per mettere
in connessione habitat forestali posti in siti lontani fra loro e quindi garantire il miscelamento
genetico fra popolazioni separate, dall’altra parte una particolare attenzione dovrà essere impiegata
nel bloccare la “percolazione” di specie invasive lungo questi habitat.
5) Boschetti semiripari a farnetto e frassino (F/Fo)
Una interessante variante di questi boschi lineari è rappresentata da boschetti semiripari misti di
farnetto e frassino (F/Fo) attorno alla zona dei Lagaccioli. Anche le formazioni planiziali di
passaggio fra i boschi di farnetto e le formazioni lineari riparie con frassino ubicate nella porzione
nord orientale del territorio comunale (Le Carbonaiacce) si costituiscono formazioni miste di
frassino e farnetto che costituiscono un interessante elemento di connessione fra i boschi di versante
e le formazioni lineari di fondovalle.
Specie indicatrici
Fraxinus oxycarpa Bieb.
Quercus fra inetto Ten.
6) Boschetti con pioppi e frassino delle aree paludose (Fo/P/S)
Si tratta di vegetazione idrofila arborea che si situa lungo i bordi dei laghetti dove il suolo
rimane allagato per buona parte dell’anno. Le stazioni sono in genere pianeggianti. Si trovano sul
margine interno del Lago di San Floriano e del Lago Acquato.
Specie indicatrici
Populus alba L.
Populus nigra L.
Salix alba L.
Vegetazione degli stadi di degradazione
Gli stadi di degradazione della vegetazone forestale risultano molto sporadici, segno evidente di una
buona gestione del territorio per la quale la vegetazione forestale è alternata alle zone coltivate o
pascolate. Sebbene alcune macchie si possano trovare su alcune dorsali dei versanti più caldi, in
genere interessanti mosaici costituiti da macchie alteranti a ampelodesmeti e spazi aperti con
garighe e formazioni prative si riscontrano in alcuni grandi oliveti abbandonati, soprattutto attorno a
Poggio Canaglia e sui versanti meridionali presso l’abitato di Capalbio. Le situazioni che si
vengono a determinare in queste condizioni costituiscono dei veri e propri serbato di diversità
flogistica la cui conservazione merita particolare attenzione e la messa a punto di appropriati
modelli di gestione.
Macchie e garighe (Scl)
Le macchie di sclerofille sempreverdi come stadio di degradazione del bosco di leccio non sono
comuni nella zona in esame. Esse si rinvengono principalmente come stadio di ricolonizzazione
degli oliveti abbandonati. In questi oliveti abbandonati da molti anni si determinano situazioni
mosaicate di estremo interesse composte da macchie a dominanza di lentisco (Pistacia lentiscus L.),
cisti [Cistus monspeliensis L. e C. creticus L. subsp. eriocephalus (Viv.) Greuter & Burdet (= C.
incanus Auct., non L.)], talvolta Rosmarinus officinalis L. e ancor più raramente Teucrium fruticans
L. Manca uno studio fitosociologico di questo tipo di vegetazione.
Sulle dorsali di alcuni versanti si possono ritrovare anche alcuni piccoli appenzamenti dominati
da Erica arborea L. e Arbutus unedo L. attribuibili a Erico arboreae-Arbutetum unedonis Allier &
Lacoste 1980.
Specie indicatrici delle macchie alte
Pistacia lentiscus L.
Erica arborea L.
Arbutus unedo L.
Specie indicatrici delle macchie basse
Cistus monspeliensis L.
C. creticus L. subsp. eriocephalus (Viv.) Greuter & Burdet
Teucrium fruticans L.
Prati annui e perenni
Questo tipo di vegetazione è molto complesso e nel territorio di Capalbio di difficile distinzione,
in quanto mancano studi ad hoc. I due sottotipi principali possono essere riferiti a:
- vegetazione dominata da erbe annue (pratelli di erbe effimere).
- vegetazione dominata da erbe perenni (prati perenni).
Il primo tipo è costituito da erbe annue che presentano adattamenti fenologici per resistere alla
presenza di una stagione arida, più o meno prolungata, ma ben evidente. In genere si sviluppa in
genere su piccole superfici che si insinuano all’interno di altri tipi di vegetazione a maggiore
sviluppo estensivo come le garighe o negli oliveti abbandonati da poco tempo.
Il secondo tipo è legato a stazioni con climi meno aridi o comunque con periodi di aridità che
non determinano una stasi dell’attività vegetativa. E’ dominata da specie perenni, in genere erbe
graminoidi o piccoli suffrutici.
Si tratta di stadi di degradazione delle formazioni forestali. Il primo tipo domina nella Regione
Mediterranea, ed è quindi legato alla Biocora delle sclerofille sempreverdi, il secondo domina nella
Regione Europea ed è dinamicamente collegato alle foreste di latifoglie decidue. Nell’area in esame
si assiste ad un passaggio fra le due Biocore per cui talvolta i due tipi di stadi di degradazione
vengono in contatto formando mosaici di estremo interesse vegetazionale e caratterizzati da livelli
di elevata ricchezza floristica. Di particolare interesse possono rilevarsi alcuni oliveti abbandonati
da più di tre-quattro anni che sembrano mostrare un intricato mosaico fra questi due tipi rilevando
elevatissimi livelli di diversità, con la presenza di specie rare tra cui un elevato numero di specie di
orchidee. Nel territorio capalbiese gravitano molte orchidee di estremo interesse scientifico, quali:
Ophrys tyrrhena Gölz & Reinhard, Ophrys fuciflora (F.W. Schmidt) Moench, Ophrys crabronifera
Ten., Ophrys bertolonii Moretti, Orchis simia Lam., Orchis provincialis Balbis, Orchis purpurea
Huds., Orchis tridentata Scop., Orchis laxiflora Lam., Orchis palustris Jacq. (cfr. DEL PRETE et al.,
1982, 1993), tutte specie sottoposte a vincoli di protezione massima.
Specie indicatrici
pratelli effimeri: erbe annue
prati perenni:
Bromus erectus Huds.
Cephalaria leucantha (L.) Schrad.
Conservazione
Si tratta di due habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43
CEE e nella 56/2000 RT; i due habitat possono rilevarsi di interesse prioritario qualora i siti siano
ricchi di orchidee. La conservazione di queste cenosi parte dal mantenimento del mosaico
ambientale attraverso il mantenimento del disturbo: taglio, pascolo, incendio ecc. Questo solo dopo
un attento studio della situazione attuale e la messa in opera di un piano di gestione con annesso un
piano di monitoraggio che possa evidenziare gli eventuali processi di evoluzioni della vegetazione
in atto, possono garantire la conservazione dell’habitat a lungo termine.
Ampelodesmeti (Am)
Questo habitat si trova su ampie superfici soprattutto sui versanti a mare, ma in alcune stazioni
si trovano anche all’interno. Essi si situano in gran parte su terrazzamenti abbandonati, dove un
tempo erano impiantate le vigne, ma anche sui versanti percorsi da incendi frequenti, disturbo che
permette la conservazione di tale habitat.
Specie indicatrici
Ampelodesmos mauritanicus (Poir.) Durand & Schinz
Conservazione
Si tratta di due habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43
CEE e nella 56/2000 RT
Seguono alcuni appunti su due importanti ecosistemi o sistemi di ecosistemi che risultano di
particolare interesse per il territorio del Comune di Capalbio: il sistema dei laghetti e il sistema
dunale. Questi due sistemi ecologici rappresentano delle pecularietà per il territorio toscano e in
parte peninsulare che meritano una forte attenzione al fine di mettere a punto programmi di gestione
mirati alla loro conservazione su lungo termine, anche considerando le probabili opere alle quali
potrà andare incontro il territorio in oggetto nei prossimi anni.
Sistema dei laghetti
I laghetti della Toscana meridionale sono stati studiati a più riprese da GUAZZI & TOMEI (1993),
TOMEI & GUAZZI (1993). In particolare le informazioni sono disponibili per i seguenti sei laghetti:
Capalbio, Acquato, Lagaccioli, Marruchetone, S. Floriano e Uccellina; sono inoltre reperibili i dati
per il Lago di Burano da ANGIOLINI & al. (2002), ma dal punto di vista ecologico rientra più nel
sistema costiero che non nei laghetti di acqua dolce interni. Gli studi disponibili risultano però
frammentari e non aggiornati e soprattutto non prendono in considerazione l’ecologia delle specie e
dei consorzi vegetali che si vengono a formare. Mancano in pratica tutte quelle informazioni che
sarebbero indispensabili per capire il funzionamento ecologico di questi laghetti e quindi per
mettere a punto delle linee coerenti per la loro conservazione.
Il sistema dei laghetti di Capalbio risulta storicamente conosciuto, si tratta di una serie di piccoli
laghi, in gran parte di origine carsica che funzionano da importante serbatoio per le specie igrofile
dulcacquicole termofile. La loro importanza è aumentata visto la generale diminuzione della flora
igrofila della Toscana e del sud Europa in generale.
In tabella 1 è riportata la flora dei laghetti sopra citati, aggiornata al 1993. Dall’analisi della
flora segnalata e non più ritrovata, e dalle osservazioni effettuate possiamo dire che: il lago di
Capalbio è ormai scomparso. Il lago Acquato (o Adacquato) si è estremamente ridotto anche negli
ultimi anni come si può evincere dal confronto della sua estensione con le carte IGM del 1986. La
flora ancora segnalata al 1993 denota una perdita di 6 specie (il 37,5 % delle specie segnalate), ma
soprattutto non è stato ritrovato Isoetes velata A. Braun, segnalato alla fine del secolo XIX come
unica stazione in Toscana, e in altre due aree laziali, ma ormai scomparso ovunque (forse presente
ancora in Sicilia e Sardegna). I Lagaccioli sono composti da tre sottounità connesse fra loro, si
presentano attualmente in un discreto stato di conservazione, anche se i dati bibliografici segnalano
una perdita di 5 specie (quasi il 42% del totale).
Da una prima analisi della situazione la flora sembra più ricca di quanto è riportato in letteratura
e ulteriori ricerche sono essenziali.
Il lago del Marruchetone è quello che ha la maggiore ricchezza flogistica 60 specie riportate in
letteratura, e questa flora ha subito una perdita di 25 unità (circa 42 % del totale). Sono segnalate
alcune entità di notevole interesse botanico e abbastanza inusuali per la zona come le utricularie: la
flora merita ulteriori indagini.
Il lago di San Floriano è quello di maggiori dimensioni e quello con le caratteristiche di vero
lago, in quanto l’acqua rimane anche durante la stagione secca. Questa situazione ha permesso la
conservazione della sua ricca flora: sono infatti segnalate 46 specie e solo 13 sono ritenute estinte
(28 %).
Il Lago dell’Uccellina si presenta notevolmente degradato sia per la presenza di animali al
pascolo sia per il passaggio di macchine agricole: la flora, peraltro scarsa (16 specie) è scomparsa
del 50 %. Comunque dalle osservazioni effettuate ulteriori indagini sono necessarie. Da notare che
l’importanza del Laghetto dell’Uccellina è costituita dal fatto che esso è collegato al lago di San
Floriano dal fosso dei Pratini esso quindi potrebbe funzionare da serbatoio se il fosso venisse
mantenuto con una buona permanenza di acqua per tutto l’anno. Quindi una attenta regimazione
delle acque del lago dell’Uccellina e del fosso dei Pratini potrebbero far sì da mantenere in vita un
importante corridoio ecologico per la conservazione della flora igrofila del sistema Uccellina-San
Floriano.
Oltre a queste aree umide storicamente conosciute, ma meritevoli di ulteriori indagini, sono
presenti nella zona altri laghetti la cui flora e vegetazione non è per niente conosciuta.
Vegetazione idrofitica e microelofitica dei laghetti
Vegetazione flottante con specie appartenenti al gen. Ranunculus subgen. Batrachium
Fitocenosi attribuibili a questo habitat sono presenti in alcuni laghetti. Attorno e all’interno dello
specchio d’acqua di alcuni laghetti si sviluppano mosaici di fitocenosi di piccole dimensioni
costituite da specie appartenenti a forme di crescita diverse. Nella parte interna è distribuita la
vegetazione idrofitica flottante e radicante dominata da Ranunculus subgen. Batrachium. Si tratta di
un habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43 CEE come habitat
di interesse prioritario e nella 56/2000 RT.
Queste cenosi meriterebbero un attento studio sia per una corretta identificazione di questo
complesso di specie di ranuncoli, sia per individuare i pericoli attualmente esistenti e dei programmi
di gestione al fine di una loro conservazione a lungo termine.
Sistema dunale
Il sistema dunale della Duna di Burano risulta un ecosistema ampiamente studiato e le note di
seguito derivano dall’analisi della letteratura esistente.
Si tratta di un complesso abbastanza ben conservato anche se manca completamente la fascia ad
Ammophila arenaria L. subsp. australis (Mabille) Lainz che indica un sistema dunale non
completamente sviluppato; esso è costituito dai seguenti tipi di vegetazione a partire dalla linea di
costa:
Vegetazione delle dune embrionali a dominanza di agropiro
(Elytrigia juncea = Agropyrum junceum)
L’agropireto risulta ben sviluppato su tutta l’estensione della duna. Queste fitocenosi sono
attribuibili al Echinophoro spinosi-Elytrigietum juncei Gehu 1996.
Specie indicatrici
Elytrigia juncea (L.) Nevsky
Echinophora spinosa L.
Conservazione
Si tratta di un habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43 CEE
e nella 56/2000 RT.
Vegetazione basso suffruticosa retronale a
dominanza di elicriso e crucianella
Questo tipo di vegetazione si insinua all’interno formando una sorta di mantello posto fra la
vegetazione erbacea di duna e la vegetazione delle boscaglie di ginepri. L’associazione di
riferimento è Crucianelletum maritimae Br.Bl. 1933.
Specie indicatrici
Crucianella marittima L.
Helichrysum stoechas (L.) DC.
Conservazione
Si tratta di un habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43 CEE
e nella 56/2000 RT.
Boscaglie a dominanza di ginepri costieri
Si tratta di una macchia densa, compatta, dominata dai ginepri costieri: Juniperus macrocarpa
Sibth. & Sm. e J. turbinata Guss. (= J. phoenicea Auct., non L.) e da Phillyrea angustifolia L., che
si distribuisce nella parte più alta della duna determinando il suo completo consolidamento. Le
boscaglie a ginepri costieri dunali sono attribuibili all’associazione Phillyreo angustifoliaeJuniperetum turbinatae Bartolo & al. 1992.
Specie indicatrici
Juniperus macrocarpa Sibth. & Sm.
Juniperus turbinata Guss.
Phillyrea angustifolia L.
Conservazione
Si tratta di un habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43 CEE
come habitat di interesse prioritario e nella 56/2000 RT.
Vegetazione di erbe annue effimere delle zone retrodunali
Queste cenosi sono formate da piccole piante annuali come Tuberaria guttata (L.) Fourr.,
Trifolium cherleri L., Medicago littoralis Rhode ex Loisel. e Vulpia sp.pl.
Si tratta di fitocenosi rilevabili solo nelle prime fasi del periodo primaverile, tendendo a
scomparire con l’aumentare dell’aridità. Sono formate da molte specie per cui la loro conservazione
è molto importante.
Specie indicatrici
Tuberaria guttata (L.) Fourr.
Medicago littoralis Rhode ex Loisel.
Conservazione
Si tratta di un habitat meritevole di conservazione presente nell’All. I della Direttiva 92/43 CEE
come habitat di interesse prioritario e nella 56/2000 RT. La conservazione di queste cenosi parte dal
mantenimento del mosaico ambientale e solo la messa in opera di un piano di gestione con annesso
un piano di monitoraggio che possa evidenziare gli eventuali processi di evoluzioni della
vegetazione in atto, possono garantire la conservazione dell’habitat a lungo termine.
La vegetazione dei sistemi dunali è oggi interessata da estesi fenomeni di antropizzazione in
tutte le sue parti. La prima fascia dominata da specie annuali che risentono dell’effetto del
movimento del mare sono spesso scomparsi oppure interessati dalla presenza di specie nitrofileruderali come Xanthium italicum Moretti (presente anche a Burano). La compattazione delle prime
fascie ha portato alla scomparsa delle formazioni vegetali costruttrici della duna (agropireto) oppure
alla scomparsa dell’ammofileto. La mancanza dell’ammofileto e la conseguente contatto spaziale
fra l’agropireto e il crucianelleto, formazione tipicamente retrodunale, mette in evidenza come la
duna di Burano manchi di rinascimento e quindi suscettibile di erosione.
La messa a punto di un sistema di monitoraggio dell’intero sistema dunale potrebbe evidenziare
per tempo i fenomeni più evidenti e pericolosi per questo ecosistema.
Possibili indicatori della presenza di fenomeni di eutrofizzazione:
Xanthium italicum Moretti
Atriplex sp.pl
Anthemis marittima L. (in aumento)
Bromus sp. pl.
Lagurus ovatus L.
Possibili bioindicatori delle perturbazioni antropogene:
Calpestio: Plantago sp.pl., Tribulus terrestris L., Cynodon dactylon (L.) Pers.
Accumulo rifiuti: Verbascum sp.pl., Cardueae varie (Cardi)
Sistema degli stagni retrodunali
All’interno dei sistemi dunali possono essere presenti delle aree retrodunali più o meno allagate
che completano l’intero sistema dunale fatto, quando sviluppato nel suo insieme, da una serie di
dune ed interdune.
Il sistema retrodunale è composto da habitat diversi, spesso anche di dimensioni non superiori al
metro quadrato, che si intersecano fra loro in un “continuum” determinato dalle variazioni continue
dei parametri fisici: salinità del substrato, granulometria, livello topografico, livello di evoluzione.
Giuncheti
Giuncheto litoraneo subsalso allagato per buona parte dell’anno
Puccinellio festuciformis-Juncetum maritimi (Pignatti 1953) Gehu 1984
Specie guida
Carex extensa Good.
Giuncheto litoraneo salso allagato per tutto l’anno
Inulo crithmoidis-Juncetum maritimi Brullo & al. 1988
Specie guida
Juncus maritimus Lam.
Vegetazione dei bordi a livello topografico superiore
Elytrigio elongatae-Inuletum crithmoidis Br. Bl. 1952
Specie guida
Elytrigia elongata (Host) Nevsky
Conservazione
Parte o tutti questi tipi di vegetazione potrebbero entrare nell’habitat “Steppe salate dei
Limonietalia” presente nella Direttiva 92/43 CEE e nella legge 56/2000 RT.
Salicornieti
La vegetazione a salicornie presente sui bordi del Lago di Burano può essere articolata in due
grandi gruppi
Vegetazione a dominanza di suffrutici succulenti presente nei livelli topografici medi e
superiori in condizioni di moderata salinità
Puccinellio festuciformis-Sarcocornietum fruticosa (Br.Bl. 1928) Gehu 1976
Specie guida
Sarcocornia fruticosa (L.) A.J.Scott
Vegetazione dei livelli topografici bassi delle depressioni salate
in condizioni di elevata salinità
Puccinellio convolutae-Arthrocnemetum macrostachyi (Br.Bl. 1928) Gehu & al. 1984
Specie guida
Arthrocnemum macrostachyum (Moric.) Moris & Delpino
Vegetazione terofitica a salicornie annuali delle depressioni salate
su suoli sabbioso limosi
Suaedo maritimae-Saliconietum patulae (Brullo & furnari 1976) Gehu & Gehu Frank 1984
Specie guida
Salicornia sp.pl.
Vegetazione fanerogamica delle praterie sommerse delle lagune costiere
Ruppietea.
Giuncheti e cladieti palustri dulcaquiculi alotolleranti
Si sviluppano nelle parti più interne del Lago di Burano dove si risente solo marginalmente
della penetrazione della falda salata marina.
Due sono i principali tipi di vegetazione che si possono riscontrare nel Lago di Burano
Scirpeti
Specie guida
Bolboschoenus maritimus (L.) Palla (= Scirpus maritimus L.)
Cladieti
Specie guida
Cladium mariscus (L.) Pohl
Le aree di collegamento ecologico
Come viene indicato nelle "Indicazioni tecniche per l'individuazione e la pianificazione delle
aree di collegamento ecologico (L.R. 56/2000)" solo dopo una dettagliata analisi strutturale e
funzionale delle risorse del territorio si possono delineare le azioni di conservazione, restauro e
creazione delle aree di collegamento ecologico. Comunque da una prima analisi della situazione
presente nel territorio del Comune di Capalbio si possono individuare i seguenti principali problemi
di mancata o ridotta connessione ecologica.
La bassa Maremma Toscana si presenta come un territorio molto omogeneo: le colline che
prendono contatto con le dorsali montane che arrivano verso l’Appennino, sono alternate ad ampie
superfici coltivate, scarsa è la presenza di superfici con vegetazione arbustiva. All’interno di questo
esteso paesaggio si possono individuare due principali tipologie di elementi di collegamento:
- macrocollegamento
- microcollegamento
la distinzione fra le due tipologie risulta dalla scala alla quale la funzione di collegamento può
essere apprezzata.
Gli elementi di macrocollegamento debbono essere ricercate nelle grandi superfici boscate
collocate sulle dorsali. Queste devono consentire il collegamento fra le aree costiere ad alta
naturalità come il sistema duna-lago di Burano e i rilievi del Preappennino e da qui alla catena
appenninica.
Minori situazioni di “rottura” di collegamento possono essere individuate anche fra le tre
principali dorsali orientate in senso sud-nord presenti nel territorio comunale: Poggio Forame Poggio dei Butteri ad ovest, Poggio Casaglia - M. Verruzzo al centro e Le Carbonaiacce - Poggio
Bellino a oriente. Queste interruzioni sono di piccola entità e potrebbero essere facilmente riattivate.
Ad ovest per esempio si dovrebbe facilitare la continuità dell’area Poggio di Tutto il Mondo - Le
Pianacce (Manciano) fino a complesso Poggio Forame -Poggio dei Butteri e da qui verso la zona di
Burano. Nella parte centrale, la dorsale collinare che aggira l’abitato di Capalbio continua verso
nord senza interruzioni fino a M. Marciano (Manciano) tendendo a frammentarsi in seguito.
Verso oriente la continuità fra la zona costiera e quella della dorsale che parte dal Poggio
Bellino risulta di difficile riattivazione, ma questo potrebbe essere aggirato con collegamenti laterali
verso la dorsale centrale attraverso la zona del Diaccialone - Le Carbonaiacce.
Particolarmente impegnativo sarà il mantenimento delle funzioni di connessione verso la zona
costiera per la presenza di importanti elementi di “rottura” del collegamento come la ferrovia
costiera e la variante dell’Aurelia che portano ad isolare gli elementi costieri da quelli interni.
Progettare zone di attraversamento di queste importanti barriere lineari sarà di particolare
importanza. Si potrebbe ipotizzare l’abbassamento del piano dell’Aurelia a della ferrovia in modo
da creare “ponti” idonei alla libera circolazione degli animali e delle piante.
Gli elementi di microcollegamento sono rappresentati dalla rete di formazioni lineari che
connettono laghetti ed aree umide presenti soprattutto nella porzione settentrionale del Comune di
Capalbio a contatto con quello di Manciano. Tale rete si può ipotizzare a partire dalla Sgrilla con un
ramo orientale che arrivi fino a Vallerana, i laghi Acquato e Lagaccioli, il fosso delle Cionce fino a
Pescia Fiorentina e poi verso il mare; oltre ad un ramo occidentale che da Vallerana proceda verso
la il fosso della Forcola e poi verso la zona del Marruchetone e di San Floriano.
Anche queste reti di acqua subiscono l’interruzione a livello delle grandi linee di comunicazione
che scorrono parallele alla linea di costa.
Queste formazioni lineari arboree in gran parte dominate da Fraxino oxycarpa talvolta in
consociazione con Ulmus minor o, più sporadicamente con Quercus frainetto, rappresentano uno
degli elementi di maggiore interesse naturalistico in quanto in grado di garantire alti valori di
connettività nel paesaggio dominato dalle colture estensive. Le formazioni con farnetto e frassino
potrebbero inoltre funzionare da collegamento fra le grandi strutture boscate (macrocorridoi).
I laghetti, sia di origine carsica che artificiali per l’irrigazione, rappresentano degli importanti
elementi “serbatoio” per la flora e la fauna legata agli habitat acquatici, o almeno umidi. Gli
elementi di collegamento costituiti dalle formazioni lineari sono di vitale importanza per mantenere
un certo livello di scambio fra le popolazioni che vivono isolate in queste laghetti. Nelle aree
coltivate la rete delle formazioni lineari potrebbe essere riattivata, dove ridotta o mancante,
attraverso le leggi che la Regione Toscana prevede proprio per questo motivo.
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