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Mia Nonna Eva-Lia vers. DEMO

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Mia Nonna Eva-Lia vers. DEMO
O
DEM
Comune di Cazzago S. Martino
Mia Nonna
mangiava i fiori
QUADERNI
DELLA BIBLIOTECA
COMUNALE
DON LORENZO MILANI
12
Giacomo Danesi - Iginio Massari
2007
Comune di Cazzago S. Martino
Mia Nonna
mangiava i fiori
Giacomo Danesi - Iginio Massari
Mia Nonna mangiava i fiori
di
Giacomo Danesi - Iginio Massari
www.giacomodanesi.it - www.pasticceriaveneto.it
Tutti i diritti riservati©
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo
(internet compreso) senza il consenso degli autori.
Un particolare ringraziamento a Barbara Sechi
Assessore alla Cultura del Comune di Cazzago S. Martino
ideatrice dell’iniziativa.
Impaginazione di Simonetta Cassini
Finito di stampare il 27 aprile del 2007
presso l’azienda grafica Società Editrice Vannini - Gussago (BS)
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Prefazione
di
Barbara Sechi (*)
Con vera soddisfazione ho l’onore di presentare il 12º titolo alla collana “I quaderni della biblioteca” Comunale Don Lorenzo Milani di Cazzago San Martino in occasione della rassegna di fiori e piante, che va sotto il nome di Franciacorta in fiore.
I titoli precedenti di questa collana, tutti interessanti e coinvolgenti, approfondiscono temi legati all’arte, alla storia, alla memoria, alle scienze naturali.
Quest’ultimo quaderno è invece dedicato all’arte culinaria.
L’idea è nata proprio durante l’organizzazione di Franciacorta in fiore, dall’osservazione del paesaggio di questa straordinaria Terra, dall’attenzione alle sue caratteristiche peculiari, alle storie e alle leggende dei suoi antichi borghi, alle usanze tramandate di bocca in bocca, soprattutto dai bambini e dai nonni.
La raccolta primaverile nei prati fioriti dei dolci crocus, le scorpacciate dell’aspra acetosa, gli assaggi furtivi dei grappoli di glicine aromatico e profumato.
Un’idea accarezzata con la fantasia:
“Da piccola, mia nonna mi regalava le violette candite, che preparava con le sue mani; ma
qualcuno sarà ancora in grado, oggi, di realizzare dolci o pietanze mediante l’uso dei fiori?”
Ed ecco, in modo quasi magico, durante una conversazione qualsiasi, un giornalista appassionato del suo lavoro, Giacomo Danesi, raccoglie al volo l’idea e la propone ad un suo amico, il pasticciere più famoso d’Italia e tra i più conosciuti al mondo:
Iginio Massari.
Detto e fatto: ecco fiorire, dalla penna sapiente dell’uno e dall’arte culinaria eccellente dell’altro, quest’opera, che rappresenta non soltanto un compendio originalissimo di cucina, ma anche un piacevole e divertente racconto di vita e di costume.
L’introduzione ad ogni essenza floreale, infatti, si concretizza in un frizzante preludio, fatto di pennellate d’ambienti lontani nel tempo e nei ricordi e di sensazioni,
invece ancora presenti e reali, che conducono per mano il lettore fino ad incontrare
l’autore di una sempre nuova, eccezionale proposta culinaria.
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Sembra quasi di rivivere, in chiave contemporanea ed aggiornata, lo stile e le atmosfere delle storiche pubblicazioni di cucina degli anni ’30 del secolo scorso, “Le ricette di Petronilla”, Editrice Sonzogno, raccolte dalla Domenica del Corriere, dove tra i
fornelli della mitica autrice, Petronilla appunto, si snocciolavano le abitudini e le tradizioni delle famiglia italiana del tempo, dalle usanze quotidiane (colazioncine, pranzetti e pietanze) alle festività tradizionali (Natale, Pasqua, compleanni ed onomastici,
piuttosto che battesimi o matrimoni).
Un grazie sentito quindi agli autori ed un augurio di buona lettura e ... buon appetito a tutti i lettori di questo curioso, insolito e piacevolissimo “Mia Nonna mangiava i fiori”.
Barbara Sechi
(*)
Assessore alla Cultura del Comune di Cazzago San Martino
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“Mi fa rabbia quando vedo dividere anche i bei fiori di Dio, come noi uomini, in classe, e
secondo le esteriorità simili, cioè la diversità degli stami. Se è necessaria una distinzione, si segua
Teofrasto che proponeva di dividerli secondo il loro spirito, cioè l’odore. Quanto a me, ho anch’io
nella storia naturale il mio sistema e secondo esso divido tutto: in quello che è commestibile e
quello che non è commestibile.”
Heinrich Heine (1799 - 1856)
Ottimo pensiero questo del tedesco Heinrich Heine. Quando l’Assessore alla Cultura Barbara Sechi mi chiese se ero disponibile a scrivere, con Iginio Massari, un libro che mettesse in risalto le qualità culinarie di fiori, in modo particolare quelli della nostra Franciacorta, ho pensato subito alla frase di Heine. Perché no, mi sono detto? Di sicuro non inserirò tra i commestibili i miei amati ciclamini e i meno amati
oleandri. Ne va della vita dei lettori. Infatti, come noto, sono velenosissimi!
Se devo essere sincero, pur amando i fiori, non mi sono mai azzardato a mangiarli.
Però mia nonna Lucrezia e nonna Peppina O’ Mattunara (la moglie di mio nonno
Vincenzo, calabrese, e piccolo artigiano produttore di mattoni) mi raccontavano che i
fiori si possono mangiare. Oh Dio, erano tempi duri nel dopoguerra. Il caffè era fatto
con le ghiande. Anzi, per dirla alla Totò, non era caffè ma ciofeca. Ma ai tempi nostri...
Non mi rimaneva che chiedere all’amico Iginio Massari, Pasticciere Optimus, se conosceva ricette a base di fiori, sia nel campo della pasticceria che della gastronomia.
Massari, occorre dirlo, è anche splendido cuoco. La risposta fu affermativa. Non mi
rimaneva che mettermi al lavoro, e togliere dai cassetti della memoria fatti, sensazioni ed emozioni che avessero come denominatore comune i fiori.
Non so se ci sono riuscito. Di sicuro le ricette di Iginio Massari, che fanno bella
mostra di sé in questa piccola pubblicazione, sono lì da leggere, da sperimentare. In
quanto ai miei ricordi forse sono solo un pericoloso, quanto patetico, tentativo di fermare il tempo. Il quale, maledizione, imperterrito non guarda in faccia a nessuno.
Men che meno al vostro povero cronista.
Giacomo Danesi
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“La cucina è uno dei più potenti veicoli della fama. Quante persone ignorerebbero Colbert
senza le sogliole, Soubise senza la minestra, Condé senza le pere e Chateaubriand senza le mele”!
Jacques Normand (1848 - 1920)
Mi aspettavo che prima o poi l’amico Giacomino Danesi mi chiedesse di scrivere insieme una pubblicazione. Su cosa non saprei dire. Lui ne inventa sempre di nuove! Così, quando un paio di mesi fa mi chiese se ero disponibile a scrivere una pubblicazione sui fiori, con relative ricette, accettai senza pensarci un attimo.
Giacomo mi disse subito che l’idea, come quella del titolo, non era sua ma dell’assessore alla Cultura di Cazzago San Martino Barbara Sechi. Immediato il collegamento con la splendida manifestazione Franciacorta in Fiore. Un motivo in più per
mettersi all’opera.
Quando mostrai a Giacomo alcune ricette culinarie con i fiori, storse il naso. Era
convinto che, salvo qualche raro caso, i fiori ben si prestassero solo a completare ricette di pasticceria. In verità il Danesi, che del cibo non ha nessuna considerazione (gli
bastano un pugno di riso in bianco e un uovo al tegamino per nutrirsi...), non sa che
i fiori trovano nell’arte culinaria la loro esaltazione.
Per farlo contento, comunque, ho inserito nella pubblicazione pochissime ricette
di cucina e molte di pasticceria. Peccato che il tempo, come sempre tiranno, non mi
abbia permesso di inventare qualche nuova ricetta.
Infatti, come affermava Brillat – Savarin, la scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta d’una nuova stella. Chissà che questa pubblicazione non sia l’inizio di una nuova collana sull’argomento!
Iginio Massari
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Acacia
Quanti errori ho commesso in gioventù! Per
carità, di errori si vive anche in età più che matura. Però stai più attento. Prendete il linguaggio dei fiori. Sapevo che quando regali
una rosa ad una signora, la devi regalare con le
spine...
Ma da giovane, ambizioso di conoscere e di
essere alternativo, andai ad un appuntamento
galante con un mazzo di acacia. Volevo far
colpo sulla sventurata, naturalmente. E come
potevo sapere che quella conosceva il linguaggio dei fiori!
L’acacia (della famiglia delle Leguminosae (Fabaceae), sotto famiglia
Mimosoideae), con i suoi fiori bianchi, è simbolo di amore platonico. Era
un’altra acacia che dovevo regalare, quella di colore giallo: la mimosa!
Quest’ultima elevata a simbolo del pudore! Ma per favore!
L’usanza di regalare mimose alle donne è in vigore solo in Italia. So di
dare una grossa delusione al gentil sesso informandolo che la scelta di regalare mimose alle donne l’otto maggio è dovuto solamente ad un fatto
contingente: semplicemente perché fiorisce in quelle settimane di marzo
vicine alla fatidica data.
E, da non trascurare, può essere raccolta in piccoli ramoscelli da appuntare sul petto, mettere nei capelli, ecc. Questo dal 1946.
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Ma quei furbastri dei fioristi non avevano fatto i conti con l’effetto serra! E così quest’anno addio mimose fiorite a tempo debito! Bello pensare
che la natura prende sempre il sopravvento sul mero calcolo umano.
Che la Massoneria abbia scelto come simbolo floreale l’acacia, proprio
l’ignoravo. Il motivo? La pianticella dell’acacia è vigorosa e anche gentile. Particolare importante: non appassisce mai durante le quattro stagioni. Eppure, si rinnova sempre. Non male come scelta.
Ho scoperto che fu importata nel XVII secolo dall’Isola di Santo Domingo. Ecco, lì è regalata in occasioni dei fidanzamenti. Di sicuro è un
portafortuna per l’Acquario e i Pesci. Il perché non saprei proprio dire. Mi
ha incuriosito, invece, apprendere che dalle varie specie di questa pianta si
ricava una gomma arabica e anche un legno molto duro. Lo stesso legno,
dicono, usato per costruire i sarcofaghi dei faraoni dell’antico Egitto.
Mi vergognavo chiedere a Iginio Massari una ricetta con i fiori di acacia.
Quando poi ho saputo che si possono mangiare fritti, in pastella, sono
scoppiato a ridere. Eppure... Leggere per credere.
FIORI
DI
ACACIA FRITTI
Ingredienti per la Pastella
g 200 di farina bianca
tipo 00
g 2 di sale
g 5 di zucchero
n. 1 grano di pepe
macinato
g 270 di birra
Preparazione
Mescolare bene il tutto fino a formare una pastella morbida.
Posizionare la bacinella, coperta con un cellophane, in frigorifero per
12 ore prima del suo utilizzo.
È il momento di preparare l’olio ad una temperatura di 176°C,
ideale per fritture piccole e medie.
I fiori di Acacia si immergono con una forchetta nella pastella.
Subito dopo si mettono a scolare su una rete. Lasciati raffreddare si
pongono successivamente in frigorifero per 15 minuti. Segue la
friggitura.
Prima di gustarli, passare una spolverata con velo vanigliato. L’ideale
per zuccherarli. Semplicemente deliziosi!
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Ortica
“Maggio, risveglia i nidi,
maggio risveglia i cuori,
porta le ortiche e i fiori,
i serpi e l’usignol”.
E bravo il nostro Giosuè Carducci che ci annuncia la primavera ricordandoci l’ortica!
Dopo aver letto di tutto sull’ortica, conosciuta dai botanici con il
nome di Hurtica dioicarticaceae, ma
dalla gente comune anche con il
nome di Vendetta delle suocere, Erba
brucia, Orticole, Ortica maschia e via
dicendo, son rimasto senza parole
nell’apprendere delle sue infinite
qualità benefiche in campo medico, culinario, per la bellezza della pelle,
e per il suo utilizzo nel campo delle fibre vegetali.
Non sapevo che le divise dei soldati tedeschi, durante l’ultima guerra
mondiale, fossero state confezionate con le fibre vegetali estratte dalla
piante di ortiche!
Sapevo, invece, che i nostri nonni la ponevano sotto il letto del malato, con la segreta speranza che la malattia se ne andasse. Tranquilli, non
avveniva quasi mai. Idem come allontanatrice del malocchio... e di persone sgradite.
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Stupidamente da
bambini le strofinavamo sulle gambe delle
ragazze. Salvo poi, da
grandi, doverle rincorrere con mazzi di rose!
Le nostre nonne poi le
buttavano (le ortiche)
sul fuoco per allontanare i pericoli e le malelingue. Il risultato?
Paurose vesciche sulle
mani e sulle braccia
delle nostre nonne...
Tra noi (allora) giovani si era sparsa la notizia che, opportunamente sfregate nelle
parti nobili, stimolava
il desiderio sessuale.
Per la verità non era
certo quello che mancava. Se ricordo bene toccò al compianto medico dottor Silvio, Conte
di Pontoglio, a Torbiato rimediare al danno, abbondando con pomate
che lenissero il lacerante dolore provocato dall’improprio uso delle maledette ortiche. Non sapevo ancora che l’ortica rappresentasse il fuoco
dell’inferno!
Più avanti con gli anni ho letto che Ovidio (43 a.C. - 17 d.C.) riconosceva all’Ortica poteri afrodisiaci. Seguiva la ricetta, anzi una pozione per
amare, fatta con i semi di Ortica. No grazie. Avevo già dato. Da giovane.
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Mia nonna Lucrezia, senza conoscere nulla della Scuola Salernitana, la
usava come sonnifero e per togliere il catarro. Io, comunque, mi sono sempre rifiutato di bere la pozione schifosa che tentavano di farmi ingurgitare.
Ero già terrorizzato dall’Olio di Ricino, allora usato come rimedio per tutti i mali!
Una leggenda vuole che con le piante di Ortica si percuotano anche i
sofferenti di reumatismi o di artrite, per fare tornare il sangue e gli spiriti
nelle parti paralizzate o sofferenti.
Fino a qualche anno fa, sembra che i bambini della città russa di
Novgorod festeggiassero l’arrivo dell’estate saltando cespugli d’ortica.
Saltando oltre, oso sperare!
Che fosse erba sacra al Dio Thunar (questo nella mitologia tedesca),
mi ha sempre lasciato indifferente. Ma, come già detto all’inizio, è stato
stupefacente scoprire, come già aveva fatto nei secoli scorsi Castore
Durante, nel suo Herbario Nuovo (1585), i principi attivi dell’ortica che
ricerche scientifiche hanno poi stabilito esistere. Ecco qui elencati i principi attivi: l’urticoside, la clorofilla, la secretina, beta-caroteni, xantofilla,
lavonoidi, rutina, quercitina, serotonina, sali di calcio, silicio, magnesio,
potassio, fosforo, sodio, cloro, manganese, zolfo, ferro, rame, olii essenziali, acido gallico, acidoacetico, acido formico, acido glicolico, tannini, ecc. Che poi il liquido irritante dei peli contenga anche istamina e acetilcolina... potete immaginare la mia gioia!
Mi ha sempre, invece, incuriosito il detto
gettare la tonaca (o il saio) alle ortiche, ovvero spretarsi. Perché poi gettarla in un cespuglio di ortiche? Per evitare, magari dopo essersi sposato,
di pentirsi e ritornare sui suoi passi? Dura entrare nel cespuglio a riprendersi la tonaca! Anche se, forse, è il male minore...
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Torniamo all’ortica in campo culinario. Prima regola: non usare in cucina piante di ortica irrorate da erbicidi o fertilizzanti! È ovvio.
Dunque raccogliere solo quelle lontane dalle strade. E ricordarsi di lavarle molto bene prima dell’uso. Consigliare l’uso dei guanti per la raccolta e il lavaggio è perfino ridicolo.
Altro consiglio. Raccogliere solo i germogli più teneri e sbollentarli.
Questo perché dopo l’operazione perdono il loro potere urticante. Attenti ai semi! Se finiscono in pentola sono guai: sono purgativi!
Con queste premesse, con grande faccia tosta ho chiesto a Iginio
Massari una ricetta culinaria dove fossero presenti le foglie di ortica.
Eccola!
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SALMONE CON VERDURE
FOGLIE DI ORTICA
COTTE IN BRODO DI PESCE
Ingredienti per 4 persone:
g 500 tranci di salmone
n 8 scampi medi puliti e
tolto il guscio e la testa
n 3 cucchiai di olio
d’oliva extravergine
sale e pepe
g 100 pancetta
Preparazione
Per cucinare:
una casseruola
una padella antiaderente
una pentola
Per il brodo:
g 100 scalogno
n. 4 cucchiai di olio
d’oliva extravergine
ml 600 brodo vegetale
n. 1/2 spicchi d’aglio
n 10 grani di pepe nero
guscio e testa degli
scampi
n. 1 cucchiaio di succo di
limone
Per il fumetto di crostacei:
Fatele stufare i gusci e le teste degli scampi con la pancetta tagliata
in listarelle, in una casseruola con l’olio d’oliva extravergine evitando
che prenda colore. Unite quindi lo scalogno tritato, l’aglio, il pepe,
versate il brodo vegetale e fate sobbollire il tutto per circa 10
minuti. Riportate poi a ebollizione, schiumate. Cuocete per 40
minuti a fuoco basso, poi passate tutto al setaccio senza schiacciare
troppo gli ingredienti.
Per le verdure:
g 300 foglie di Ortica
g 200 carciofi
g 150 carote
g 150 zucchine
g 120 funghi porcini
n 2 cucchiai di olio
d’oliva extravergine
n 8 cipolline
n 8 fette di pomodoro
n 1 limone
sale e pepe
Pulite e togliete le foglie più dure ai carciofi. Metteteli a bagno in
acqua fredda e acidulata con succo di limone, per evitare che
anneriscano.
Pulite e lavate e sciacquate tutte le verdure, tagliatele a fettine
sottili.
Rosolate in una pentola i carciofi, le carote, le zucchine, le cipolle e i
funghi tagliati a fette sottili con l’olio d’oliva extravergine,
aggiungete poi le foglie di Ortica. Bagnate con il brodo di pesce e
portate a cottura le verdure.
Controllate la consistenza in fase di cottura le verdure e, quando
sono morbide, scolatele.
Quindi conservatele al caldo. Fate restringere il fumetto fino ad
ottenere una salsa ed aromatizzatelo con 1 cucchiaio di succo di
limone, un filo d’olio d’oliva extravergine e una manciata di pepe.
(segue)
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(seguito)
Spennellate i tranci di salmone con un filo d’olio d’oliva extravergine
e arrostiteli in una padella antiaderente per 10 minuti. A pochi
minuti dal termine di cottura aggiungete gli scampi e le fette di
pomodoro. Salate e pepate.
Servono 4 piatti fondi, 4 dischi di pasta sfoglia alta mm 2 dal
diametro del piatto, pasta da ricetta e sul fondo del piatto
posizionate una porzione di salmone, due code di scampi e le verdure
con il brodo.
Spennellate il bordo del piatto con dell’uovo sbattuto, appoggiate il
disco di pasta sfoglia e fate pressione per fare un tutt’uno (per
ottenere un buon risultato estetico. Si consiglia di mettere il disco di
sfoglia nel congelatore. Quando è rigido è facilitata l’operazione.
Mettete i piatti nel forno già caldo 180-190°C e cuocete per 12-14
minuti. Quando la pasta prende un bel colore dorato, servite
bollente.
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Papavero
Correva l’anno 1952, e nel
drammatico dopoguerra la gente leggeva i giornali alla ricerca
di una notizia positiva, che permettesse di guardare al futuro
con più fiducia.
Al duro diuturno problema
di mettere insieme il pranzo
con la cena, altri preoccupanti
interrogativi agitavano il sonno degli italiani. Sorrisi e Canzoni d’Italia
(oggi TV Sorrisi e Canzoni) titolava, infatti, a grossi caratteri: “Nilla Pizzi
ama veramente Gino Latilla?”
Che strano periodo abbiamo vissuto noi di quella generazione. Quanti
enigmi sono rimasti irrisolti! Anni ’60, Peppino di Capri cantava una
canzone dal titolo: “Saint Tropez”. Ancora oggi se andate in quella splendida località sulla Costa Azzurra non vi sarà difficile incontrare vecchi signori elegantissimi passeggiare sulla spiaggia.
Entrate in confidenza con loro e scoprirete, con stupore, che ancor oggi si chiedono, a proposito della canzone di Peppino di Capri, come mai
quella ragazza ballasse il twist indossando un vestito di lamè. Non sì è mai
saputa la verità, purtroppo!
Un altro enigma è datato una decina di anni più tardi, ed è ancor più
inquietante se pensiamo a tutti i problemi odierni riguardo il clima della nostra agonizzante Terra. Lucio Battisti, infatti, cantava: “Come può lo
scoglio arginare il mare...” Domanda rimasta irrisolta, come tante altre.
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Ma torniamo a Nilla Pizzi. Che personaggio! Sul quadrante della storia correva l’anno 1951. La cantante al Festival di Sanremo vinse quell’anno il primo, secondo e terzo posto. Le canzoni portate alla vittoria? Al
1º posto Vola colomba, al secondo: Papaveri e papere e al terzo: Una donna
prega. Altri tempi!
Ma come non ricordare le parole di Papaveri e papere! Ecco il testo
della prima strofa e ritornello, scritto da Panzeri e Mascheroni, con la
collaborazione di Rastelli:
“Su un campo di grano che dirvi non so,
un dì Paperina col babbo passò
e vide degli alti papaveri al sole brillar...
e lì s’incanto’.
La papera al papero chiese
“Papà, pappare i papaveri, come si fa?”
“Non puoi tu pappare i papaveri” disse Papà.
E aggiunse poi, beccando l’insalata:
“Che cosa ci vuoi far, così è la vita...”
“Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina,
lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far...”
La povera paperina chinò il capo. E capì.
Sarà bene spiegare subito perché il papavero è considerato l’emblema
dei potenti.
Photo© Angelo Scaroni
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La solita leggenda vuole che il Re di Roma Tarquino, noto con il soprannome Il Superbo, un giorno decise di spiegare al figlio, in maniera
metaforica s’intende, come fosse necessario eliminare gli avversari iniziando dai cittadini più potenti ed importanti.
Così andò in un campo di grano e con un grosso bastone cominciò ad
abbattere i papaveri più alti. Ancor oggi, infatti, si usa l’espressione “...
gli alti papaveri della politica...”.
Che bello ammirare il fiore di papavero, nei campi di grano! La varietà
che possiamo ammirare nei nostri campi porta il nome di Papaver rhoeas,
ovvero papavero comune o rosolaccio.
Fu un certo Carlo Linneo ad affibigliargli questo nome nel 1753. Intelligente la sua operazione linguistica. Prese il vecchio nome latino del
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papavero, ovvero papaver, che sarà bene ricordare ha la sua origine celtica di
“papa”, ovvero pappa per i bambini.
Infatti, gli antichi prendevano il succo di papavero e lo mescolavano nella
pappa, con il chiaro intento di farli
dormire più tranquilli. Poi vi aggiunse il nome di rhoeas che deriva dal greco rheo e che significa scorrer via. Perché scorrer via? Perché Carlo Linneo osservò che i petali del papavero erano presto caduchi ad ogni spirar di vento.
I nostri contadini non amano per niente il papavero. Anzi, fanno di
tutto per distruggerlo. E ci sono quasi riusciti. Ho il fondato sospetto che
farà presto la fine del Fiordaliso, Centaurea cyanus, bellissimo nel suo colore azzurro.
Ormai introvabile nei nostri campi di grano franciacortini. Conosco però
un rialzo nei pressi di un campo, nella zona di Cazzago San Martino,
dove d’estate posso godere della loro spettacolare bellezza, permettendomi
perfino di raccoglierne qualche esemplare.
Inutile dire che il papavero del nostri campi non ha nulla a che vedere
con il papavero dell’oppio. Il nostro è quasi innocuo. Infatti, al massimo
l’infuso dei sui petali può facilitare il sonno, calmare la tosse, favorire l’espettorato e attenuare i dolori di ventre.
Particolare importante. Se la vostra lei vuole sottoporvi alla prova di fedeltà, rifiutatevi. L’operazione è, comunque, la seguente: sul palmo della
vostra mano è posto un petalo di papavero. Fin qui tutto bene. La seconda operazione, invece, è piuttosto pericolosa. La vostra lei provvederà a colpirvi con un pugno proprio sul petalo, e se il colpo produce uno schizzo,
tutto bene, altrimenti... Datemi retta. Lasciate perdere. Gli ortopedici
hanno già tanto lavoro.
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Fate attenzione al linguaggio dei fiori, prima di fare dono alla vostra
lei di un mazzo di papaveri, narcisi e violacciocca. Il loro significato è
preciso e inquietante: “Cara, non so resisterti, anche se sei vanitosa e volubile”. Se siete in questa situazione, cercate di immaginare il vostro triste
futuro... Datemi retta. Siete ancora in tempo a rimediare.
E in cucina? Ho assaggiato con golosità un dolce ai semi di papavero
della pasticceria ebraica: eccezionale! Idem in Croazia, dove fra i dolci
tipici ho gustato anche la Buconicas Makom, una torta di zucca con i semi
di papavero che ho gradito moltissimo.
In Francia, invece, ho assaggiato tra i tanti olii di semi, anche quello
estratto dai semi di papavero. Profumo e gusto veramente delicatissimi.
Ma vediamo cosa il nostro Iginio Massari ci propone con il Papavero.
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CANTUCCI AL PAPAVERO
CON PEPERONI VERDI
PARMIGIANO E PINOLI
Ingredienti
(per 50 pezzi)
g 50 pinoli
g 250 farina
g 100 peperoni verdi
puliti e tagliati a dadini
g 5 di lievito in polvere
g 4 di sale
n. 1 cucchiaio di semi di
Papavero
g 70 di formaggio
parmigiano grattugiato
g 150 uova
g 30 olio d’oliva
extravergine
pepe q.b.
Preparazione
Necessitano 2 placche da forno.
Preparate il forno a 180°C, e tostate i pinoli su una placca da forno,
leggermente imburrata, per 7 minuti circa. Al fine devono apparire
dorati. Fateli poi raffreddare.
Setacciate la farina, il lievito e il sale.
Montate le uova con un frullino e, aggiungete il pepe, i semi di
Papavero, il parmigiano grattugiato e i peperoni tagliati a dadini.
Mischiate accuratamente il tutto a mano, e dividete l’impasto in
quattro parti.
Formate quattro bastoncini del diametro di cm 3, di lunghezza
approssimativa di 30 cm. Dorateli con un tuorlo d’uovo e un pizzico
di sale. Successivamente, con un piccolo pennello, cospargeteli di
semi di Papavero.
Metteteli sulla carta da cottura con una placca, metteteli in forno
cuoceteli a 180°C per 18 minuti circa, finché si saranno induriti.
Una volta tolti dal forno, ancora caldi quel tanto da riuscire a
maneggiarli, con un coltello tagliate ogni bastoncino in diagonale
formando delle fettine spesse 1 cm. Disponetele sulle teglie, in un
solo strato.
Ricuocete i cantucci in forno già caldo a 170-180°C. per 6-7 minuti,
e sfornateli solo quando saranno dorati e croccanti.
Servite possibilmente tiepidi.
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Zucca
Ta xe en xücchù! Sei uno
zuccone. Una testa dura.
Quante volte in gioventù
(solo in gioventù?) mi sono sentito etichettare con
questo epiteto! Duro come la zucca, hai la testa
dura, fuori di zucca, cos’hai nella zucca! Quante
tonte ironie sulla zucca.
Perché abbinare la zucca
alla testa? Semplice. Il suo nome deriva dal latino cocutia, ovvero testa. Che
poi nel tempo il termine sia stato mutuato in cocuzza, cozuccae e poi zucca,
sta nella logica.
Arriva da lontano, non solo geograficamente ma anche nel tempo, la
storia della zucca, splendido ortaggio, vero re della cucina. Si dice che nel
Messico siano stati trovati semi risalenti al 7.000 – 6.000 avanti Cristo!
Ma, in verità, la vera storia rimane ancora sconosciuta. Vero che gli Egiziani, i Romani, gli Indiani d’Oriente, gli Arabi, gli africani del Niger la
conoscevano e la coltivavano.
Arrivò veramente dalle Americhe tramite Cristoforo Colombo? Non è
detto. Secondo alcuni studiosi la zucca grande o piccola, oblunga, bislunga o tonda, liscia o rugosa, costoluta o bitorzoluta, verde, gialla o striata,
arrivò addirittura dall’India. E la chiamarono Lagenaria vulgaris!
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Sì, certo, anche Colombo ebbe la
sua parte nel farci conoscere le zucche. Ed ecco arrivare con lui zucche
grandissime come le tre famose cucurbite: pepo, maxima e moschata.
Sono quelle che più si sono meglio
acclimatate da noi al nord.
Quelle usate più comunemente
in cucina appartengono alla specie Cucurbita maxima, come la Zucca Marina di Chioggia, e Cucurbita Moschata, come la zucca di Napoli. Ricordiamo che esistono 90 generi e 900 specie di zucche!
Incredibile le qualità organolettiche di questo stupendo ortaggio.
Poverissima di zuccheri semplici, la zucca è anche poverissima di calorie
al punto che in 100 grammi di polpa troviamo solo 15 calorie! Fa da contraltare la sua ricchezza di vitamina A e C, e minerali come il potassio, il
fosforo, il calcio e il betacarotene.
Non sapevo, invece, che i suoi semi sono
usati per prevenire le disfunzioni delle vie urinarie e contro la tenia. Come non sapevo che
l’estratto di zucca, aggiunto al latte o ai succhi di frutta, è l’ideale contro le nausee del
mattino, per i disturbi gastrici e prostatici.
Le donne conoscono certamente, invece,
le proprietà assorbenti, purificanti e soprattutto lenitive della polpa di zucca.
Ma la zucca ben si presta anche per altri
utilizzi. Ai tempi dei romani, svuotata della polpa ed essiccata, la zucca diventava un
contenitore leggero ed impermeabile, usato,
per esempio, per trasportare il sale o il vino,
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il latte o i cereali. Altrettanto facevano i nostri nonni. Ora però non più.
Ci sono ancora le zucche, ma non ci sono più i nonni di una volta... Era
anche utilizzata per la costruzione di piatti, ciotole e cucchiai. Non ultimi gli strumenti musicali come maracas sudamericane.
Una curiosità. Alcune varietà non commestibili possono raggiungere
misure incredibili. In Italia, come in altre parti del mondo, ogni anno ci
sono manifestazioni dedicate alle cucurbitacee ed alle specialità gastronomiche a base di zucca. A proposito di misure, in Canada in un campo di
Ashton fu trovata una zucca del peso di 449 chilogrammi.
Bornato (BS) 1987. Giorgio Minelli vince il 1º premio
per una zucca gigante di colore verde.
Infinite in Italia le feste annuali dedicate alla zucca. Nel bresciano ogni
anno, a Maspiano di Sale Marasino sul lago d’Iseo, per un giorno la Zucca
diventa regina. Nei tempi andati una manifestazione simile si teneva
anche a Bornato.
Regina della cucina, la zucca è utilizzata anche nei dolci e dessert.
A Iginio Massari ho questa volta chiesto una ricetta culinaria. Eccola.
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FAGOTTINI
DI FIORI DI ZUCCA
CON SALMONE AFFUMICATO
Ingredienti
Pastello per fritti
g 200 farina bianca tipo
00
g 2 sale
g 5 zucchero
g 1 pepe rosa macinato
g 250 acqua
Preparazione
Mescolare bene il tutto, formare una pastella morbida.
Posizionare la bacinella coperta con un cellophane in frigorifero per
10-12 ore prima dell’utilizzo. Per ottenere un fritto croccante e
leggero la temperatura ideale per fritture piccole e medie è di
176°C.
Ripieno
Ingredienti per 20 fiori:
g 250 mozzarella a
cubetti
g 250 salmone affumicato
tagliato a cubetti
n. 20 fili di erba cipollina
g 100 panna fresca
n 2 cucchiai di erba
cipollina tritata
scorza grattugiata di 1
limone
sale e pepe
n 20 Fiori di Zucca
Preparazione
Sbiancate in acqua bollente i fili di erba cipollina, scolateli e
passateli immediatamente sotto l’acqua fredda; asciugateli poi con
della carta da cucina.
Mescolate la panna con la scorza grattugiata del limone e mettetene
un cucchiaino su ogni fiore. Tagliate a pezzetti piccoli il salmone
affumicato e la mozzarella e mettetene un po’ nel Fiore di Zucca,
cospargete poi con l’erba cipollina tritata e il pepe.
Chiudete ogni fagottino di fiore delicatamente e legate la cima con
l’erba cipollina.
Riponete in frigorifero posizionati su una griglia per 20 minuti.
Passateli nella pastella e friggeteli. Da mangiare caldi.
Commento
Circola voce che la zucca non sia un ingrediente molto usato in cucina, forse per il suo sapore
insipido; da cui il detto: “Cunzala cume vo?, sempre cucuzza è”.
Eppure, aromatizzata come nel nostro caso, la zucca diventa protagonista di una ricetta insolita,
pronta a conquistare i più scettici al riguardo.
Sulla sensazione croccante e cremosa che la preparazione di base del piatto offre al palato, squilla il
colore dei fiori fritti, aggiungendo croccantezza a morbidezza; il gusto del salmone poi,
contribuisce anch’esso non solo ad una ulteriore nota aromatica ma anche di colore, a distinzione
di una vivanda dal gusto particolare ed armonico.
I.M.
Iginio Massari, è il Maestro dei Mastri Pasticcieri Italiani. Sotto la sua guida la squadra
italiana vince nel 1997 la Coppa del Mondo di Pasticceria a Lione, e la Coppa Europa a
Roma nel 2002. Membro dal 1985 della prestigiosa associazione internazionale Relais Dessert,
nel 1999/2000 è eletto Pasticciere dell’anno; nel 2004 a Rimini è il vincitore con l’Italia del
Campionato Mondiale a squadre. Nel 1993 fonda l’Accademia dei Pasticcieri Italiani,
con l’obiettivo di promuovere la qualità. Splendido cuoco (oltre che essere titolare della
Pasticceria Veneto a Brescia, è consocio del Ristorante Carlo Magno di Collebeato (Bs),
che nel 2001 la Guida Espresso decreta essere il Miglior Ristorante italiano per i dolci,
bissando il successo del 1998 quale Miglior Ristorante italiano per i risotti.
È autore di splendide pubblicazioni come Armonie, pubblicato anche in francese e
presentato al Senato di Parigi nel 1997 in occasione della festa del Gusto Francese;
Monumenta, pubblicato anche in francese e spagnolo e dedicato alle torte; Cresci, pubblicato
anche in inglese e spagnolo, con due Nomination in Austria e Francia come miglior libro
mondiale nel campo della tecnologia delle paste lievitate e Oro Colato, tutto sul cioccolato.
È dottore Honoris Causa in Scienze Culinarie al St. George University di Bruxelles.
www.pasticceriaveneto.com
Giacomo Danesi, giornalista è nato nel lontano 1945, per caso, in uno sperduto paesino della
Calabria da madre calabrese e padre bresciano-bergamasco. Nomade e vagabondo fino 35
anni, successivamente inizia a collaborare con il quotidiano Brescia Oggi e per poi
approdare come corrispondente al quotidiano Il Giorno per oltre 20 anni. Ha diretto Radio
Number One, il mensile Dentro Casa ed è stato direttore editoriale della Edinord di
Bergamo. Autore di pubblicazioni sul dialetto bresciano e varia umanità, citiamo a questo
proposito un’inedita raccolta di errori giornalistici dal titolo Occhielli – Titoli – Som(m)ari.
Appassionato di Storia della Chiesa e di Araldica Ecclesiastica e Civile, sono in
preparazione diverse pubblicazioni sull’argomento come le ricerche araldiche sugli stemmi
di Benedetto XVI, Paolo VI, Giovanni XXIII, il Cardinale Giovanni Battista Re e altri numerosi
prelati. Sono già stati pubblicati, invece, le ricerche araldiche sugli stemmi comunali di Adro,
Bione, Borgosatollo, Castegnato, Cazzago S. Martino, Ospitaletto e della Provincia di Brescia.
Altri 5 pubblicazioni sull’argomento usciranno nei prossimi mesi. È direttore responsabile del
magazine La Gazzetta del Viaggiatore. Senza figli, sposato, vive in Franciacorta e in giro
per il mondo.
www.giacomodanesi.it
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