Comments
Description
Transcript
Il confine tra Siria e Iraq
Università degli Studi di Padova Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari Corso di laurea triennale in Storia Il confine tra Siria e Iraq Dagli accordi di Sykes-Picot alla nuova geografia dello Stato Islamico Relatore Prof. Sara Bin Laureando Alberto Fabris n° matr.1053650/STO Anno Accademico 2014/2015 Indice generale Introduzione......................................................................................................5 1. Il confine.........................................................................................................11 1.1 Cos'è il confine..................................................................................11 1.2 Come si costruisce il confine.............................................................13 1.3 Confini artificiali, naturali e “assenti”..................................................14 1.4 Oltre il confine...................................................................................16 1.5 Le relazioni di potere nella creazione di territorialità.........................18 2. Gli accordi di Sykes-Picot..............................................................................21 2.1 Le promesse non mantenute.............................................................21 2.2 L'accordo segreto..............................................................................22 2.3 Chi abita Siria ed Iraq?......................................................................27 2.4 L'epoca dei mandati..........................................................................29 2.5 Dal secondo dopoguerra ad oggi......................................................31 3. Cos'è il califfato..............................................................................................35 3.1 Morte del profeta e storia del califfato...............................................36 3.2 I risvolti politici delle diatribe teologiche............................................38 3.3 La nascita del Califfato......................................................................39 3.3.1 Uno stato fondamentalista salafita...........................................42 3.4 La struttura del Califfato....................................................................44 3.5 La legittimità del Califfato..................................................................46 3.6 Le strategie comunicative.................................................................47 3.7 L'eredità del Califfato.........................................................................48 4. La geografia del Califfato...............................................................................51 4.1 Le trasgressioni della territorialità......................................................51 4.2 La fine di Sykes-Picot........................................................................53 4.3 Dar al-Islam.......................................................................................54 4.4 Dar al-Harb........................................................................................55 4.5 La jihad globale.................................................................................58 4.6 La geografia araba............................................................................59 4.7 L'alternativa allo Stato Islamico.........................................................60 4.8 Identificarsi, non identificarsi, identificarsi contro..............................63 Conclusione.......................................................................................................65 Bibliografia.........................................................................................................69 Sitografia............................................................................................................71 Introduzione Se ciò che noi riteniamo fisso, irremovibile, stabile, se ciò che banalmente crediamo ormai assodato, quasi naturale, venisse messo in dubbio, venisse obiettato, messo in discussione e, ancora di più, cancellato, cosa succederebbe? Come reagiremmo? I confini, lo sappiamo, sono una creazione umana. Assolvono a diverse funzioni, tra cui definire, dividere, distinguere: questo è mio, quello è tuo, di qua vi è l’uno, di là vi è l’altro. Soffermandoci brevemente a riflettere, deduciamo come essi siano costruzioni della società, invenzioni artificiali; in alcuni casi sono talmente antichi o radicati nelle nostre convinzioni, nelle nostre visioni del mondo e dei luoghi che ci circondano, che non possiamo fare a meno di considerarli “naturali”, storicamente eterni, fatalmente inevitabili. L'argomento di studio al centro di questo lavoro di tesi ruota attorno al significato di confine, ai valori che gli attribuiamo, ai rapporti di potere che lo creano e che esso stesso crea, alla sua natura artificiale e al suo peso politico e geografico. Nello specifico, ciò che si discuterà nelle pagine seguenti è la costruzione, il radicamento e il dissolvimento del confine tra Siria ed Iraq da parte degli attori e gruppi politici e sociali che si sono susseguiti nell'arco di cento anni, dai primi anni del XX secolo fino ai giorni nostri. Dunque, specificando meglio gli estremi cronologici, intendo indagare il periodo che va dall'imposizione del confine da parte delle potenze europee francese ed inglese per mezzo degli accordi di Sykes-Picot del 1916, alla sua cancellazione materiale e simbolica da parte del Califfato Islamico nel 2014. Le riflessioni legate a questo lavoro si articolano in quattro capitoli. Nel primo capitolo introduco il concetto di confine: cos'è e come viene definito, come si costruisce, le differenze tra cosiddetti confini naturali e artificiali, le relazioni di potere che esso instaura. Tutto ciò sottolineando come il confine che 5 noi conosciamo non sia l'unica soluzione attuata nel tempo e nello spazio per creare ordine sulla terra. Il secondo capitolo entra nello specifico della questione del confine tra Siria e Iraq. In questo capitolo ripercorro i passaggi della costruzione del confine tra i due stati, soffermandomi sulle promesse fatte e su quanto stabilito ufficiosamente tra gli attori in gioco (Gran Bretagna, Francia, autorità arabe) e successivamente, in maniera ufficiale, dagli accordi di Sykes-Picot e dai trattati di pace, dimostrando come il nuovo ordinamento mediorientale sia stato imposto dalle potenze occidentali senza badare, ma anzi andando contro al volere di chi viveva quei luoghi. Negli ultimi paragrafi riassumo brevemente alcuni successivi accadimenti della storia di Siria e Iraq. Possiamo definire il terzo capitolo come descrittivo e propedeutico al capitolo quarto. Infatti in questa terza parte spiego cosa sia il califfato, come e perché esso sia nato, ripercorrendo brevemente la sua storia. Successivamente tratto dello Stato Islamico, il nuovo Califfato; l'analisi procede nella descrizione delle sue origini, dei suoi obiettivi, delle modalità con cui agisce, del consenso o dissenso che esso trova nel pubblico musulmano. Infine il quarto capitolo definisce quale sia la nuova geografia dello Stato Islamico, cioè quale nuovo ordinamento, andato a sostituire quello precedente creato dalle potenze occidentali, sia stato imposto tra Siria e Iraq. Tento inoltre di spiegare le motivazioni di tale imposizione e soprattutto il perché di un ordinamento siffatto. La volontà di avvicinarmi a questa ricerca è coerente ad un più ampio interesse personale, maturato già durante gli studi nella scuola secondaria di secondo grado, per il mondo musulmano, in particolare nella sua declinazione mediorientale, e per i relativi conflitti, rivoluzioni e guerre degli ultimi decenni. La questione del Califfato, divenuta attuale e nota da un paio d'anni, ma con radici ben più lontane nel tempo, ha dunque colpito nel profondo non solo gli animi e le coscienze occidentali, ma ha anche acceso la fiamma della curiosità scientifica in chi scrive. L’interesse e lo studio delle origini e dello sviluppo del fenomeno hanno trovato naturale collegamento quando, durante il corso di 6 geografia culturale tenuto dalla professoressa Bin, si sono affrontati i temi della costruzione dei luoghi, del sense of place e quindi del significato che attribuiamo loro, del legame tra luogo ed identità, del confine come espressione delle strutture di potere della società. Da qui nasce l’idea di affrontare queste tematiche all’interno della cornice mediorientale. Quello che qui propongo, quindi, è un lavoro che porta come esempio un caso significativo relativo ad un’area geografica che ad oggi è in una fase di instabilità e trasformazione; una situazione che sta tuttora dispiegandosi e le cui conseguenze non sono ancora chiare e prevedibili. Troppo spesso l’analisi delle situazioni presenti non è affidata alla storia, alla filosofia, alle scienze sociali, bensì alla cronaca, al giornalismo. Il filosofo tedesco Georg Friedrich Hegel, nella sua prefazione ai “Lineamenti di filosofia del diritto”, afferma che “la nottola di Minerva comincia il suo volo soltanto sul fare del crepuscolo”1. La filosofia, cioè, giunge alla piena comprensione di una condizione storica solo quando questa ha avuto fine, si è conclusa. Per la storia il processo è identico: il lavoro della ragione, il lavoro di analisi, inizia quando la realtà si è ormai formata, quando si è ultimata. La storia, come la filosofia secondo Hegel, giunge al calar del sole, quando il giorno è concluso. La storia necessita di tempo, necessita che i fatti si sedimentino, si quietino: prima che la storiografia possa aprire il libro della realtà, c’è bisogno che un po’ di polvere degli anni si sia accumulata sulla copertina. Nel nostro libro, di polvere, ancora non vi è traccia poiché è tuttora in fase di scrittura. Questo, forse, è l’ostacolo più grande che si pone nel mio lavoro. Non si può dire che non vi sia un’ampia bibliografia, poiché il risalto mediatico che la creazione del Califfato ha avuto e il conseguente interesse nato tra la popolazione occidentale per cercare di capire e comprendere, ha fatto versare i proverbiali fiumi d’inchiostro. Tuttavia, frequentemente, essa non riesce a scendere nel profondo e si dimostra ripetitiva; questo per varie ragioni, tra cui lo 1 Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, p. 17. 7 scopo fondamentalmente didattico per cui nasce, cioè dare un’infarinatura generale sullo Stato Islamico al lettore medio e, in secondo luogo, la difficoltà, dovuta alla particolare e pericolosa situazione dell’area, di reperire altre informazioni che non siano quelle filtrate e rese pubbliche dallo stesso Califfato. La bibliografia dunque, nella maggior parte dei casi fornita da autori provenienti dal mondo giornalistico per i motivi di cui sopra, è spesso superficiale e difficilmente scende nei particolari riguardo al tema che si vuole qui affrontare, cioè la visione del confine siriano-iracheno da parte dei fondamentalisti islamici dello Stato Islamico. D’altra parte, l’obiettivo di questo lavoro non è quello di sopperire alle mancanze bibliografiche, né dare un’interpretazione storiografica ante litteram, poiché, come già detto, oltre ad essere presuntuoso, sarebbe qui fuori luogo e fuori tempo. Lo scopo, semmai, è quello di descrivere il confine come strumento di potere nell'organizzazione dello spazio e metterne in luce la sua precarietà, portando all’analisi un esempio concreto. L'insieme di eventi storici che hanno caratterizzato e caratterizzano l'area in esame, in particolare l'imposizione di un preciso ordinamento e il suo successivo dissolvimento, sono utili alla comprensione di alcune questioni geografiche, quali appunto i legami tra identità e territorio, le relazioni di potere tra i vari attori, la contestazione e rivendicazione di un luogo, ecc. Ecco dunque che dei precisi accadimenti storici diventano oggetto di un'analisi geografica. D’altronde, come dicevano gli antichi, historiae oculus geographia, la geografia è l’occhio della storia: non possiamo parlare a fondo dell’una senza considerare l’altra. Sono discipline gemelle, con il cuore legato, e frequentemente si possono vicendevolmente aiutare, come in questo caso. A livello bibliografico sono ritornate utili le opere utilizzate durante i tre anni di studio del corso di laurea. Innanzitutto le riflessioni proposte dal professor Pase nel suo Linee sulla terra del 2011, soprattutto nella prima sezione del volume. 8 In secondo luogo i testi del corso di geografia culturale, in particolare Luoghi, culture e globalizzazione, l'opera miscellanea a cura di Doreen Massey e Pat Jess. Infine il testo del professor Saccone, I percorsi dell'Islam, per le tematiche riguardanti l'Islam, come la geografia musulmana. 9 Capitolo 1 Il confine Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: “Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!” (J.-J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, p. 72) 1.1 Cos'è il confine La questione principale di questo capitolo può essere riassunta nella domanda: che cos’è il confine? Le risposte offerte dai vocabolari sono spesso simili e definiscono i confini come curve che separano organismi politici o proprietà. In particolare, il confine è “limite di una regione geografica o di uno stato; zona di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti di una regione e cominciano quelle differenzianti: confine naturale, quello che s’identifica, più o meno, con linee prestabilite dalla natura, quali coste, crinali di montagna, fiumi, ecc.; confine politico, quello stabilito per convenzione tra governi, che separa due organismi politici mediante una linea di confine la quale, quando è possibile, è costituita da una fascia disabitata con funzioni di isolamento: il confine tra l’Europa e l’Asia, tra la Francia e la Spagna; varcare il confine” 2. Il Sabatini Coletti definisce il confine come “linea di delimitazione di due proprietà, territori, possedimenti” e lo affianca al termine “limite”. Infine secondo il dizionario Zanichelli: “il confine è la linea che circoscrive una proprietà immobiliare o il territorio di uno Stato o di una regione”. Anche qui 2 Tratto dal vocabolario Treccani - http://www.treccani.it/vocabolario/confine/ (consultato per l'ultima volta in data 01/10/15) 11 “limite” è indicato come sinonimo. In tutte le definizioni, dunque, il confine è limite, pone fine ad un'area, ne segna il suo termine. E in tutte le definizioni è linea di demarcazione, divide e distingue, poiché segnando la fine di un'area allo stesso tempo indica il principio di un'altra. I confini nascono inizialmente ad una scala più grande, cioè nel piccolo, nel locale, per fissare i limiti della proprietà, di ciò che è mio e di ciò che è di altri. È qui che ha origine la proprietà privata e, con essa, i dibattiti sulla sua effettiva legittimità che ci accompagnano fino ad oggi. Un confine permette agli uomini di vivere in uno spazio dai contorni definiti e quindi di comprendere la realtà. Un mondo senza confini è un mondo sterminato, illimitato, che spaventa e ci rende insicuri. Non sappiamo cosa ci sia all'orizzonte, abbiamo paura dell'ignoto. Un confine ci riporta alla serenità, rassicurandoci del fatto che esso sta lì, immobile, ancorato a terra, a proteggerci, a segnalare dove finisce la nostra casa e dove ha inizio l'infinito. Dall'altra parte, però, il confine è il luogo dei dissidi, è il luogo dell'incontroscontro tra realtà diverse, rese tali dalla sua stessa creazione. Separa chi è all'interno e chi è all'esterno, escluso. Per parlare di confine nella sua declinazione di limite tra stati, cioè nel significato che a noi interessa maggiormente in queste pagine, bisogna attendere la nascita degli stati stessi. È con la fine del medioevo che si osserva un lento ridursi della molteplicità politico-territoriale in favore di una sempre maggiore unità, che avrà culmine nella formazione di veri e propri stati nazionali. Con la nascita degli stati i confini diventano fondamentali: sono principio d’ordine, sono parte dello stato stesso; acquistano un valore enorme poiché regolano i rapporti con gli altri stati, con le altre entità. Come ci insegna Pase3, è questo il momento in cui i confini assumono tre caratteristiche che troviamo ancora oggi. In primo luogo l’unicità perché come la giurisdizione dello stato è unica, così dev’essere anche il confine; una pluralità di limiti creerebbe ambiguità, zone franche, caos. 3 Pase, Linee sulla terra, p. 84. 12 In secondo luogo la visibilità: nel momento dell’eventuale accordo tra stati o comunque del consolidamento e del radicarsi di un confine, esso dev’essere trasportabile e trasportato sulle carte e sul territorio stesso. Cippi, fossati, reti, dogane e tutti quegli elementi che accompagnano i confini come stazioni di controllo sanitario, di polizia, di merci, sono elementi che servono a disciplinare sia le relazioni tra gli stati, sia tra lo stato e i suoi abitanti. Infine la linearità, poiché è la linea che definisce il territorio dominato dallo stato, la sua estensione spaziale. Solo la geometria assoluta della linea può annullare completamente le incertezze e i margini di ambiguità. 1.2 Come si costruisce il confine Ma come si costruisce un confine? Secondo Zanini 4, il processo di creazione di un confine si articola in tre fasi: occupazione dello spazio, misurazione e conferma dello spazio. L'occupazione dello spazio è necessaria in quanto il confine è strettamente legato alla spazialità. Perché si possa effettivamente dichiarare che un pezzo di terra ci appartiene, bisogna localizzarlo, bisogna dargli concretezza. Per vantare un qualche diritto, insomma, bisogna calpestare la terra, metterci dentro i piedi, per così dire. L'occupazione è il primo atto da compiere per poter tracciare un confine. Operazione che può essere pacifica e relativamente rapida se nessuno ha ancora avanzato pretese sull'area, ma che può invece portare a violenti conflitti e rivendicazioni se già un gruppo sociale abita o dà significato al luogo5. Il secondo momento nella creazione del confine è la misurazione: una volta occupato uno spazio, bisogna misurarlo. Come altrimenti stabilirne la grandezza e la forma? La misura permette di dare evidenza al terreno occupato. Essa può essere compiuta in diverse modalità: la più frequente, e quella a cui siamo maggiormente abituati, è la misurazione “razionale”, cioè quella operata dando il numero di metri, chilometri, piedi, iarde, ecc. che conta il 4 Zanini, Significati del confine, p. 29. 5 Massey – Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, p. 97. 13 perimetro del nostro territorio. Ma la misura può avvenire anche “ad occhio”, cioè stabilendola in base all'orizzonte del nostro sguardo. O ancora attraverso altri mezzi sensoriali come l'udito o utilizzando indicazioni temporali, ad esempio un'area ampia quattordici ore di cammino. Infine, il terzo passo è la conferma dello spazio, momento culminante e determinante nella creazione del confine. Occupazione e misurazione dello spazio sono azioni preliminari e fondamentali, ma non rendono tangibile la presenza di un limite. Per riuscire in questo bisogna appunto confermare lo spazio, cioè porre un segno, sia esso un solco, un cippo, un muro, una pietra, una linea di alberi, ecc., che dichiari che qualcuno ha occupato quello spazio, potendo quindi vantare dei diritti su di esso. Nel mondo latino questo segno era appunto un solco. La fondazione di una città romana aveva inizio con il disegno del suo perimetro, il pomerium, attraverso un aratro. Il sito di fondazione non era casuale, ma era rivelato dall'augure, dopo un'attenta osservazione degli auspici, cioè dei segnali divini quali per esempio il volo degli uccelli. Tracciare il limite, dunque, non era un'operazione prettamente topografica, aveva anche un significato religioso, spirituale: oltre che tra città e campagna, il solco determinava la separazione tra un luogo sacro e un luogo profano. Non è un caso che Remo sia ucciso dal fratello Romolo nel momento in cui oltrepassa il confine, schernendone il valore. Il confine, nel momento in cui viene creato, ha sempre valore, ieri come oggi. 1.3 Confini artificiali, naturali e “assenti” È dunque chiaro come i confini non siano elementi naturali, nati con e nel territorio, ma costruzioni dell’uomo, della società 6. Sono effettivamente linee tracciate dalla società per servire a determinati scopi. Esiste una comune e diffusa differenziazione tra confini naturali e confini artificiali: mentre questi ultimi sarebbero evidenti costruzioni umane ex nihilo, per così dire, i limiti naturali sarebbero invece quei confini posti su ben identificati elementi naturali, 6 Massey – Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, p. 57. 14 quali possono essere fiumi, catene montuose, mari, laghi, ecc. Questo però non ci deve confondere; fiumi, montagne, mari, non sono nati come elementi di frontiera, non è un loro significato intrinseco, non fa parte della loro intima natura essere confine. Tant’è vero che così come un fiume può essere usato come limite tra uno stato ed un altro, allo stesso modo può essere collegamento tra due rive o, ancora, nucleo fondante attorno al quale si sviluppa una città; così come una catena montuosa può essere utilizzata come frontiera, allo stesso modo può essere parte di uno stesso stato e anzi, linea centrale attorno alla quale questo si estende. Il nostro Paese ne è un esempio: le Alpi sono sicuramente un confine naturale e fungono da frontiera, ma gli Appennini si estendono al contrario su quasi tutta la penisola, tanto da essere chiamati la spina dorsale dell’Italia. La distinzione tra confine artificiale e naturale può essere funzionale alla comprensione della storia del singolo confine, dell'analisi del supporto terrestre su cui poggia, ma fuorviante poiché tutti i confini sono artificiali, cioè creati dall’uomo. I confini sono tali perché noi li creiamo, siamo noi che affidiamo loro il compito di dividere, e nel momento stesso in cui disegniamo tale linea immaginaria, ne cogliamo tutta la potenza. Il confine, sulla carta, è linea, ma a volte, nei luoghi più impervi, desertici, di difficile penetrazione, diventa complesso segnarlo materialmente. In questi casi l'invisibilità stabilisce il termine del confine in quanto tale. L'immagine si sfoca e la linea diviene fascia, i cui margini non sono più definiti. Il fronte diventa mobile, rompe le catene che lo tengono ben saldo al pavimento della terra e si sfalda. Questa zona sfrangiata è terra di nessuno, “dove molte volte tutto si confonde, si mescola”7. La norma che solitamente regola i confini definiti decade e si ritorna ad una sorta di caos originario. Ciò non impedisce che sia possibile viverci, anzi, molti attori vivono e si muovono in questi luoghi: alcuni da prima che venisse assegnata a questi ultimi la funzione di confine; si pensi alle popolazioni nomadi dei deserti, come gli imohag, cioè gli “uomini liberi”, 7 Zanini, Significati del confine, p. 15. 15 comunemente definiti in arabo tuareg che significa “abbandonati da dio”, in continuo spostamento all'interno di queste larghe frontiere sfilacciate. Altre volte, invece, queste terre, proprio per la loro caratteristica di non appartenere ad alcuno, di essere limbo terrestre, diventano rifugio per coloro che vengono rifiutati o allontanati dalle vicine comunità, per gli emarginati. Si noti come il termine emarginato, derivi da margine; significa allontanato dal centro, messo ai margini. Ma quindi se non vi fosse margine, vi sarebbe emarginazione? 1.4 Oltre il confine Ci si potrebbe chiedere quali altre possibilità esistano se non quella del confine come noi occidentali lo conosciamo e intendiamo. Sicuramente la nostra non è l'unica opzione. Basti osservare come i vari attori che compongono la società prima dell'avvento degli stati nazione abbiano certamente un'area geografica di azione, una dimensione spaziale con dei limiti, ma tali limiti non siano sempre lineari, stabili, cartograficamente definibili8. Spesso, infatti, le aree di influenza delle varie entità pre-statali (città, feudi, signorie, centri ecclesiastici, …) si sovrappongono, si mescolano, si intrecciano, dando origine ad una convivenza di più diritti e ordinamenti. Ma ancora, spostandoci nello spazio invece che nel tempo, vediamo come nelle società tradizionali africane la rappresentazione dello spazio si basi sulla centralità, sacralità e unicità di alcuni luoghi, di alcuni centri, che disegnano una geografia topocentrica 9; altro esempio è la concezione dello spazio tra gli aborigeni australiani: gli aborigeni non vantano diritti di proprietà fondiaria, non possiedono il territorio, ma anzi, sono loro stessi che affermano di essere proprietà della terra10. È una concezione dello spazio in cui i ruoli si invertono, in cui non vi è più confine, poiché non vi è più diritto di segnare la terra. Insomma, la creazione del confine attuale è quindi una scelta arbitraria operata 8 Pase, Linee sulla terra, p. 78. 9 Pase, Linee sulla terra, p. 129. 10 Anati, Realtà esistenziale e realtà del sogno nella società aborigena dell'Australia. 16 dall'uomo occidentale ed esportata in tutto il mondo. Possiamo spingerci un po' oltre ed affermare provocatoriamente che il confine, per noi così imprescindibile, univoco, irrimediabilmente inevitabile, non è che una casualità storica. Tracciare un confine significa creare un dentro e un fuori. Significa che esistono cose che stanno al di qua, all'interno, e altre che stanno al di là, all'esterno. Questa constatazione, che può apparire banale, in realtà comporta una serie di riflessioni importanti. Innanzitutto il fatto che due luoghi che prima erano uniti, senza soluzione di continuità, ora sono separati da logiche umane; le relazioni ora vengono controllate, rallentate, alterate, bloccate. In secondo luogo la distinzione tra un interno ed un esterno, tra un noi ed un loro, ci riporta alle riflessioni di Edward Said ed in particolare al suo saggio Orientalismo (1978). Said afferma che nel corso dei secoli l'Occidente ha sempre determinato l'Oriente in base a narrazioni parziali, a supposizioni dettate dal fascino, dalla superstizione, dall'esotismo, dalla fantasia e dall'arte. In sostanza, tutti i territori ad est dell'Europa, le cui differenze, la cui unicità e particolarità sono schiacciate e calpestate nell'univocità del contenitore semantico “Oriente”, non sono mai stati oggetto di uno studio profondo ed obiettivo, ma sono il risultato di una serie di miti. Per Said queste immagini influenzarono ed influenzano certamente il modo in cui gli occidentali vedono l'Oriente, ma modellano anche il modo in cui gli occidentali vedono se stessi: la tesi che emerge dal saggio è quindi il fatto che la descrizione di un altro e di un altrove serve a modellare per opposizione la propria identità. Ecco quindi come per esempio i deserti orientali vengano immaginati come luoghi di spiritualità e riflessione, contrariamente ad una civiltà occidentale secolarizzata e frenetica; oppure come le rovine e gli edifici abbandonati nei luoghi desolati siano simbolo di un Oriente incapace di ottenere un grado di sviluppo e civilizzazione pari a quello occidentale. In definitiva, i vizi e le mancanze orientali definiscono le virtù e i punti di forza occidentali, e viceversa. Le tesi di Said possono essere portate anche al nostro discorso più generale: possiamo quindi affermare che tracciare un confine creando una dialettica 17 interno-esterno, contribuisca a definire la nostra identità e il nostro senso di luogo sia in quanto inseriti in un determinato territorio, sia in quanto esclusi dagli altri. Disegnare una linea sulla carta, trasportarla sulla terra e stabilire che quella è confine, non è un'azione neutra, è un'azione arbitraria, politica. Come afferma Massey, “tracciare un confine vuol dire esercitare un potere” 11. Certo, può capitare che dei confini siano eretti a protezione dei più deboli, ma nella maggior parte dei casi, sono fissati dai più forti per se stessi, per definire le loro posizioni di vantaggio. Raramente la linea disegnata sulla terra è una linea discussa tra i vari attori sociali, mediata, ottenuta cercando di andare incontro alle esigenze e alle richieste di ciascuno. Più spesso è un'imposizione calata dall'alto, che non ha orecchio per chi non ha voce. Tant'è che, soprattutto a livello locale, sono all'ordine del giorno le dimostrazioni di dissenso, più o meno pacifiche, nei confronti di quei confini, di quei limiti, di quelle interpretazioni della territorialità che non trovano margine di consenso in chi attribuisce loro diverso significato. 1.5 Le relazioni di potere nella creazione di territorialità Come ci ricordano Massey e Jess, “le identità dei luoghi sono un prodotto della azioni sociali e del modo in cui le persone se ne danno una rappresentazione”12. Da ciò ne deriva che l'interpretazione che viene data ad un certo luogo difficilmente riuscirà ad accogliere e riflettere le rappresentazioni di tutti. Per questo capita che le autorità, le istituzioni incaricate di creare territorialità, di reificare i significati che diamo al territorio, si siedano attorno ad un tavolo assieme agli altri attori e cerchino una soluzione che possa andare incontro alle volontà di tutti o comunque possa essere una soluzione mediata. Idealmente questa è la via migliore, sia dal punto di vista “umano”, poiché ha come obiettivo il benessere comune e la creazione di una serena società di 11 Massey – Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, p. 58. 12 Massey – Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, p. 98. 18 persone all'interno di un unico territorio, sia dal punto di vista “strategico”, poiché con lungimiranza previene, o almeno riduce, la possibilità di nascita di tensioni tra gruppi, di problemi di non riconoscimento, di contestazioni e via dicendo. Nella realtà dei fatti questo accade molto raramente. Il problema sta nel fatto che, come abbiamo già detto, creare territorialità, dare significato ad un luogo o, nel nostro caso, disegnare un confine, sono azioni di forza, sono atti di potere. Chi vanta il presunto diritto di disegnare linee sulla terra è l'attore più forte. Per questo motivo la scelta di cercare una mediazione, di negoziare un significato che vada bene a molti oppure, al contrario, agire in base ai soli propri desideri e necessità, dipende solamente da esso. Qui entrano in gioco gli interessi dell'attore forte: sedersi ad un tavolo e trattare vuol dire perdere qualcosa; sedersi significa dover cedere una parte, anche se piccola, di ciò che pretendiamo sia nostro, significa dover rinunciare a qualche pezzo delle proprie volontà. Perché farlo, dunque, quando si può semplicemente imporre la propria decisione, il proprio significato di luogo agli altri? L'unico rischio derivante da tale imposizione, lo abbiamo detto, è dover scontrarsi con il rifiuto, la contestazione, nel peggiore dei casi il non riconoscimento. Ma questa eventualità è facilmente risolvibile avendo il monopolio della forza, detenendo l'autorità, avendo il consenso. Risulta quindi evidente come nella quasi totalità dei casi la territorialità che si crea tenda a riflettere il volere del più forte, a discapito di altre interpretazioni, di altre volontà. Questo è esattamente ciò che è successo in Medio Oriente ed in particolare nella definizione del confine tra Siria ed Iraq. 19 Capitolo 2 Gli accordi di Sykes-Picot 2.1 Le promesse non mantenute Nel corso della prima guerra mondiale, conclusasi con la vittoria delle potenze dell'Intesa, in cambio dell'aiuto a sconfiggere l'Impero Ottomano, l'alto commissario britannico in Egitto, Henry McMahon, promise all'allora sharif di La Mecca Hussein, la collaborazione del proprio governo alla costruzione di un grande regno arabo indipendente che avrebbe dovuto comprendere la penisola arabica, la Mesopotamia e la Siria. In una lettera risalente al 24 ottobre 1915 ed indirizzata allo stesso Hussein, McMahon scrive che “la Gran Bretagna è pronta a riconoscere e sostenere l'indipendenza degli Arabi entro tutti i confini richiesti dallo Sceriffo della Mecca”13. Subito dopo questa dichiarazione, tra il novembre 1915 e il maggio 1916, Gran Bretagna e Francia conclusero in segreto gli accordi di Sykes-Picot, i cui punti erano evidentemente in contrasto con quanto promesso da McMahon. Gli accordi verranno resi noti solo nel 191714. Accadde quindi che, quando nel 1918 il figlio dello sharif Hussein Faysal dichiarò la nascita del Regno Arabo di Siria, comprendente buona parte della Mesopotamia, i francesi intervennero sconfiggendo la resistenza nazionalistica e imponendo invece il loro dominio sul territorio. La successiva conferenza di Sanremo e il trattato di Sèvres del 1920 definirono il controllo mandatario da parte della Francia su Libano e Siria, e da parte della Gran Bretagna su Iraq, Transgiordania e Palestina, coerentemente agli accordi 13 http://www.petiteplaisance.it/ebooks/ci/ci_3023/ci_3023.pdf (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) 14 http://www.herodote.net/almanach-ID-959.php (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) 21 di Sykes-Picot. L'accordo con lo sharif fu quindi completamente trascurato. Significativo anche il fatto che il governo statunitense istituisse nel 1919 una commissione d'inchiesta, la Commissione King-Crane, con il compito di sondare l'opinione del popolo arabo riguardo ad un'eventuale politica mandataria occidentale. La commissione concluse riportando il parere favorevole per un'indipendenza libera da ogni mandato franco-inglese della stragrande maggioranza della popolazione 15. Anche qui, il rapporto fu semplicemente ignorato dalle grandi potenze. Ancora, il Trattato di Sèvres, nella sezione III, agli articoli 62-64, annuncia la creazione di uno stato indipendente curdo, la cui definizione è compito di una particolare commissione internazionale appositamente creata 16. Anche questo impegno fu cancellato dal successivo Trattato di Losanna (1923) che definì i confini della neonata Repubblica di Turchia senza tenere conto del promesso Kurdistan. Questi episodi sono la manifestazione dell'evidente volontà da parte dell'Occidente, in particolare Francia e Regno Unito, di ottenere un controllo più o meno diretto sull'area mediorientale, senza badare al volere e alle necessità dei popoli autoctoni. L'accordo di Sykes-Picot ne è un esempio cristallino, un elemento cruciale del nostro discorso. 2.2 L'accordo segreto Ancor prima di accordarsi definitivamente con la Francia, il 16 dicembre 1915, il baronetto Mark Sykes17 si incontrò al numero 10 di Downing Street, da oltre tre secoli residenza del primo ministro britannico e sede del governo reale, con una serie di alte cariche britanniche, tra cui il primo ministro Herbert Henry Asquith, 15 http://www.hri.org/docs/king-crane/syria-claims.html#french (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) 16 http://wwi.lib.byu.edu/index.php/Section_I,_Articles_1_-_260 (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) 17 Mark Sykes (1879-1919) nasce a Londra da una famiglia di conservatori e grandi proprietari terrieri. Eredita la carica di baronetto e partecipa alla guerra boera in Sudafrica. Diventa parlamentare e si indirizza alla carriera diplomatica. 22 il segretario di stato alla guerra Horatio Herbert Kitchener, l'allora ministro delle munizioni Lloyd George e Arthur Balfour, ex-primo ministro del partito conservatore e in quel frangente Primo Lord dell'Ammiragliato del Regno Unito. Il motivo dell'incontro era cercare una soluzione riguardo al futuro dell'Impero Ottomano, una questione che rischiava di far traballare l'alleanza con la vicina Francia, anch'essa interessata al Medio Oriente. Sir Mark Sykes, aiutandosi con una carta dei territori del Vicino Oriente, disse: “Mi piacerebbe tracciare una linea dalla «e» di Acre (San Giovanni d'Acri NdA) all'ultima «k» di Kirkuk”18. Questa frase racchiude in sé l'essenza di tutto il nostro discorso riguardo all'imposizione occidentale di un ordinamento altrettanto occidentale ai popoli arabi. Analizziamola brevemente, poiché tali parole sono ricche di significati. Anzitutto egli disse: “Mi piacerebbe” (originale “I should like”). Il verbo coniugato alla prima persona esprime il desiderio di Sykes, ma non tiene conto dell'eventuale desiderio della regione araba interessata dalla “linea sulla sabbia”. L'effettiva validità o meno dei desideri del baronetto venne discussa esclusivamente all'interno del gabinetto britannico e, successivamente, di quello francese. Coloro che subiranno l'accordo non verranno mai presi in considerazione nel processo decisionale. In secondo luogo Sykes parla di “tracciare […] dalla «e» di Acre all'ultima «k» di Kirkuk” (originale “to draw […] from the «e» in Acre to the last «k» in Kirkuk”) quasi avesse una matita in mano (e forse ce l'aveva davvero) e potesse dividere la terra a suo piacimento, senza badare a chi e cosa il segno incontrava lungo il suo cammino. Ancora una volta è chiaro chi sia l'attore forte del gioco e ancora una volta emerge la volontà occidentale, in questo caso britannica, di prendere decisioni senza considerare i bisogni e le necessità dei popoli in questione. Infine si definisce una “linea” (originale “a line”), emblema della concezione geografica occidentale, netta divisione geometrica tra interno-esterno. Nella nostra geografia solo la linea ci ripara dalle ambiguità perché essa può 18 Barr, A Line in the Sand, p. 12. 23 annullare le incertezze o ha la presunzione di annullarle. Una frase pronunciata quindi con leggerezza quella di Sykes, ma che rappresenta ciò che egli stesso definì una “politica molto pratica” 19, rivolta agli interessi più concreti. Ottenuto il benestare dal gabinetto inglese, Sykes si incontrò in più occasioni con François Georges-Picot20, diplomatico francese, per definire i termini dell'accordo. La linea immaginata da Sir Mark Sykes fu idealmente mantenuta: i territori a nord della linea furono assegnati alla protezione francese, quelli a sud a quella britannica. Nei rispettivi territori, Francia e Gran Bretagna avrebbero potuto esercitare a proprio piacimento un controllo diretto o indiretto21. Il progetto iniziale di Sykes in Medio Oriente non rimase immune da cambiamenti ed entrambe le parti dovettero arrivare a dei compromessi. Per la Palestina, ad esempio, non riuscendo a trovarsi una soluzione, si decise in comune disaccordo22 di renderla una zona sotto il controllo internazionale; la Società delle Nazioni decise poi di affidarne il mandato alla Gran Bretagna. I negoziati furono comunque conclusi e l'accordo fu definitivamente firmato il 16 maggio 1916. Il sogno del grande regno arabo indipendente promesso da McMahon (si veda il paragrafo 2.1) sfumò al momento della firma. Lo stesso Picot, quando qualche mese prima aveva saputo della promessa fatta a sua insaputa ad Hussein da parte degli inglesi, si era dimostrato sbalordito e si era espresso con tali parole: “Promettere un grande stato agli arabi significa ingannarli. Uno stato del genere non si realizzerà mai. Non è possibile trasformare una miriade di tribù in un 19 Barr, A Line in the Sand, p. 12. 20 François Georges-Picot (1870-1951) nasce a Parigi, figlio di un eminente avvocato. Intraprese la carriera di diplomatico lavorando spesso in Africa settentrionale e in Medio Oriente. 21 http://avalon.law.yale.edu/20th_century/sykes.asp (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) Cioè con la possibilità di imporre direttamente propri governanti o invece lasciare il potere a degli autoctoni, ma con precise direttive e obblighi. 22 In comune disaccordo poiché in realtà nessuna delle due parti riconosceva i propri interessi all'interno del compromesso. Picot riteneva fosse una soluzione instabile, che avrebbe prodotto conflitti nel futuro. Sykes, da parte sua, aveva paura che non possedere la Palestina potesse creare una falla nello schema di difesa coloniale. 24 tutt'uno che possa funzionare”23. La figura 1 mostra la divisione delle zone di influenza tra gli stati: in blu i territori sotto il controllo francese, in rosso quelli inglesi. Il colore più scuro indica un controllo diretto, quello più chiaro un controllo indiretto. I porti di Haifa e San Giovanni d'Acri divennero parte dei domini inglesi, ma fu permesso alla Francia di transitare e commerciare liberamente all'interno di essi. Possiamo notare come la divisione dei territori e, in maniera minore, le attuali divisioni tra stati, in grigio nella figura 1, rispettino la volontà di Sykes, cioè siano orientate da sud-ovest verso nord-est, seguendo un'ideale linea da Acri a Kirkuk. 23 Barr, A Line in the Sand, p. 28. 25 Fig. 1 - L'accordo di Sykes-Picot (fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/bb/Sykes-Picot.svg/1000px-Sykes-Picot.svg.png) ultima consultazione 26/09/15 26 2.3 Chi abita Siria ed Iraq? Un elemento fondamentale per cercare di comprendere la portata del cambiamento imposto dagli accordi di Sykes-Picot nelle relazioni e nelle logiche territoriali, è l'analisi degli attori che vivono questi luoghi cioè quali sono e da chi sono formati quei gruppi che instaurano una rete di rapporti in questo contesto. L'area mesopotamica è un mosaico di gruppi culturali e linguistici con differenti credo religiosi, le cui vite e storie sono però strettamente intrecciate fra loro. La Siria ha attualmente una popolazione di oltre 17 milioni di persone, il 90,3% di origine araba, il restante 9,7% diviso tra curdi, turchi, armeni e altre minoranze24. L'Iraq a sua volta conta circa 37 milioni di abitanti, tre quarti dei quali arabi, un 20% circa di curdi e la restante parte formata da turcomanni e assiri. Oltre a queste divisioni di tipo etnico, vi sono anche delle differenze di ambito religioso tra i vari gruppi. In Siria la quasi totalità degli abitanti è musulmana: 74% appartiene al gruppo sunnita e 13% a quello sciita (duodecimani, alawiti, ismailiti); vi sono tuttavia anche cristiani ortodossi, nestoriani e cattolici, e una piccola percentuale di drusi ed ebrei. Anche in Iraq la situazione è variegata: vi è sempre una maggioranza, in questo caso quasi assoluta, di musulmani, con un 60% di popolazione sciita e un 35% di popolazione sunnita. I primi, gli sciiti, abitano la zona sud-orientale del Paese, i sunniti invece sono rappresentati ad occidente dal gruppo arabo e a settentrione da quello curdo. Tra gli arabi e i curdi vi sono anche comunità cristiane. Si contano poi anche minoranze di altri gruppi religiosi, come gli yazidi, gli indù, i buddisti, gli ebrei, ecc. Le figure 2 e 3 mostrano chiaramente il quadro etnico-religioso dell'area. Quadro che non si limita a Siria ed Iraq, qui presi in considerazione, ma anche agli stati limitrofi. In figura 2 vediamo come la Siria sia in gran parte abitata dal gruppo arabo 24 I dati elencati e quelli seguenti sono presi dal sito: https://www.cia.gov/library/publications/resources/the-world-factbook/ (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) 27 Fig. 2 - Divisioni etnico-religiose in Siria (fonte: http://www.rivistaeuropae.eu/esteri/sicurezza-2/evoluzioni-e-scenari-della-guerra-civile-siriana/) ultima consultazione 26/09/15 Fig. 3 - Divisioni etnico-religiose in Iraq (fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/iraq_res-d1f1d7b7-ac1e-11e2-9d1b-00271042e8d9_(Atlante-Geopolitico)/) ultima consultazione 26/09/15 28 sunnita (indicato in giallo). Gruppi di significativa rilevanza sono quello curdo a settentrione che si estende anche nei territori di Turchia e Iraq e parti di Armenia e Iran (in grigio); quello degli sciiti alawiti sulla costa occidentale (in verde); infine quello dei drusi al confine con la Giordania (in viola). Nella figura 3 sono rappresentati i tre principali gruppi iracheni, quello arabo sunnita (giallo) che occupa la parte centro-occidentale del Paese; quello arabo sciita (verde) a sud-est; quello curdo (viola) a settentrione. I dati sopracitati e le carte sono riferiti a stime recenti, del 2014. Possiamo tuttavia immaginare come un secolo fa il variegato contesto etnico-religiose non fosse molto diverso da quello attuale. Diventa quindi evidente come gli accordi di Sykes-Picot e l'imposizione di un ordinamento straniero ed estraneo, siano andati a modificare secondo logiche eteronormate un mondo che era già ordinato da relazioni e dinamiche proprie. I nuovi confini hanno posto barriere, hanno interrotto la precedente continuità territoriale, separando individui appartenenti agli stessi gruppi. Comprensibile quindi il senso di non appartenenza a un ordinamento che ci si è visti calare dall'alto, che non si può definire proprio, che non si sente personale. L'appartenenza territoriale deriva dal proprio sentire, dalla sfera dei sentimenti, dal significato che viene attribuito a un determinato luogo, significato che permette di identificarsi in esso. Nel momento in cui il luogo, come lo conosciamo, scompare perché viene cambiato l'ordinamento della territorialità, scompare di conseguenza anche il senso di appartenenza, poiché legato per definizione al luogo e all'ordinamento stesso. 2.4 L'epoca dei mandati Al termine della Grande Guerra, Regno Unito e Francia ottennero dalla Società delle Nazioni il mandato25 su Iraq e Siria. Entrambi i mandati erano di tipo A; 25 Il mandato era un sistema adottato dalla Società delle Nazioni attraverso il quale alcuni territori persi dagli stati sconfitti durante la prima guerra mondiale venivano affidati ai paesi vincitori (in particolare Francia e Regno Unito), che mantenevano tuttavia degli obblighi nei confronti degli abitanti dei territori e della Società delle Nazioni stessa. 29 questo tipo di mandato era applicato a quei territori che potevano essere riconosciuti come indipendenti, dato il loro livello di sviluppo, ma non ancora del tutto autonomi e quindi bisognosi di un temporaneo affidamento fiduciario ad una potenza mandataria. Il mandato britannico in Iraq durò dodici anni, fino al 1932. Già due anni prima, nel 1930, il governo inglese aveva concluso un trattato con il primo ministro iracheno filo-britannico Nuri al-Sa'id. Il trattato anglo-iracheno prevedeva che al termine del periodo mandatario ci fosse il riconoscimento dell'Iraq come stato indipendente e il suo ingresso all'interno della Società delle Nazioni. Gli articoli del trattato, tuttavia, concedevano al Regno Unito molteplici vantaggi commerciali e militari, tra cui la possibilità di installare basi militari, muovere liberamente le proprie truppe all'interno dello stato e sfruttare i giacimenti petroliferi26. Il Regno d'Iraq nacque quindi monco, minacciato da un'indipendenza e una sovranità solamente di facciata. Per quanto riguarda il mandato francese in Siria, il governo di Parigi decise di dividere la regione in sei stati: lo stato di Aleppo, lo stato di Damasco, il Gebel Druso, lo stato Alawita, il Sangiaccato di Alessandretta e il Grande Libano. L'occupazione francese e la stessa divisione del territorio non erano gradite alla popolazione, tanto che solo attorno al 1923 la Francia riuscì a sedare definitivamente rivolte e insurrezioni. Da questi sei stati avranno origine gli attuali Libano (erede del Grande Libano) e la Repubblica di Siria (dall'unione degli stati di Aleppo, Damasco, Gebel Druso, Alawita), mentre il Sangiaccato di Alessandretta verrà successivamente incorporato alla Turchia. Un primo trattato di indipendenza venne annunciato nel 1934, ma altro non era che il tentativo di imporre un'indipendenza fasulla, poiché la Francia si arrogava una serie di privilegi e diritti (alcuni territori rimanevano al governo di Parigi che manteneva inoltre piena libertà militare all'interno del Paese) che avrebbe minato alla base la sovranità siriana. Tale trattato infatti fece scoppiare una serie di rivolte popolari che convinsero il governo di Parigi a ritrattare le 26 http://www.gpo.gov/fdsys/pkg/CREC-2008-07-09/pdf/CREC-2008-07-09-pt1-PgH6315.pdf (consultato per l'ultima volta in data 26/09/15) 30 condizioni27. La Francia avrebbe ridotto le ingerenze negli affari siriani, nonché il numero di basi e truppe nella regione; in cambio la Siria si impegnava a rimanere alleata della Francia e a permetterle l'utilizzo dello spazio aereo e di due basi militari all'interno del territorio nazionale. Il trattato fu concluso, ma la contemporanea minaccia crescente del nazismo e di Adolf Hitler convinsero il governo francese a esitare (il controllo della Siria era strategico nell'ipotesi di un eventuale nuovo conflitto mondiale), senza sottoscrivere l'indipendenza siriana, che fu definitivamente approvata solo a guerra conclusa, nel 1944. Dopo la seconda guerra mondiale siamo dunque di fronte a Siria e Iraq quali stati indipendenti, nonostante le loro rispettive potenze mandatarie abbiano mantenuto privilegi e diritti sul territorio come la presenza di basi militari e la possibilità di utilizzo di spazio aereo o porti navali. 2.5 Dal secondo dopo guerra ad oggi Dal secondo dopo guerra ai primi anni '70 del Novecento, Siria ed Iraq dovettero affrontare un susseguirsi di colpi di stato28 e rivolgimenti che minarono la stabilità politica dei due paesi. In Siria, nel 1970, il ministro della difesa Hazif al-Assad riuscì con un golpe incruento a scalzare l'allora presidente Nur al-Din al-Atassi e a diventare leader della Repubblica, instaurando un dominio autoritario. Hazif, esponente del partito Ba'th29, operò una rapida epurazione degli oppositori e riuscì a portare una definitiva stabilità politica in Siria al prezzo di un uso repressivo delle forze 27 Boroli – Boroli, Il Milione, p. 236. 28 In Siria: nel marzo 1949 il colonnello Husni az-Zaim rovescia il governo legittimo; nell'agosto 1949 si verifica un altro golpe militare per mano del colonnello Sami al-Hinnawi; nel dicembre 1949 fa seguito un altro colpo di stato per mano di Adib ash-Shishakli; nel novembre 1951 Shishakli elimina gli oppositori interni; nel febbraio 1954 il colonnello Faisal al-Atasi prende il controllo del paese; nel 1961 un colpo di stato reinstaura la Repubblica Araba di Siria dopo l'esperimento della Repubblica Araba Unita; nel marzo 1963 il partito Ba'th prende il potere. In Iraq: nel 1958 il generale Abd al-Karim Qasim ottiene con un colpo di stato il governo di Baghdad; nel 1963 un nuovo golpe organizzato dal partito Ba'th rovesciò Qasim, portando al governo ʿAbd al-Salām ʿārif. 29 Il partito Ba'th Arabo Socialista è un partito nato in Siria nel 1947 e diffusosi in vari paesi arabi. Ideologicamente di sinistra, crede nel panarabismo e nel nazionalismo arabo. 31 armate. Il regime di Hazif durò fino alla sua morte avvenuta nel 2000, anno in cui gli successe il figlio e attuale presidente della Siria, Bashar al-Assad. Per quanto riguarda l'Iraq, nel 1968 un golpe portò alla presidenza il sunnita Ahmad Hasan al-Bakr, leader della fazione irachena del partito Ba'th. Il suo governo durò fino al 1979, cioè fino a quando egli non si ritirò lasciando il posto all'allora vice-presidente, Saddam Hussein. Costui instaurò un regime dittatoriale che ancora durava nei primi anni 2000, quando scoppiò la seconda guerra del golfo30. Questo conflitto, noto anche come Guerra d'Iraq, vide gli Stati Uniti assieme alla cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, una serie di nazioni che supportavano gli Stati Uniti di George W. Bush, contrapporsi all'Iraq all'interno della guerra globale al terrorismo avviata dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Il conflitto si sviluppò nel territorio iracheno nel 2003 e fu presentato come una guerra preventiva31, come “l'eliminazione di una potenza che, presumibilmente, sosteneva il terrorismo e, ancor più specificamente, la distruzione del presunto arsenale iracheno di armi di distruzione di massa, in particolare testate chimiche e batteriologiche”32. Nel giro di poche settimane dall'inizio dell'attacco, gli Stati Uniti eliminarono le resistenze e occuparono il Paese. Tuttavia il successo si trasformò rapidamente in uno stallo: sciiti e curdi avevano sostenuto la liberazione dal regime di Saddam, ma gli Stati Uniti non si dimostrarono in grado di venire incontro ai bisogni della popolazione civile e di dare un nuovo ordinamento e un efficace apparato governativo. Il crescente risentimento nazionalista nei confronti degli invasori esplose ed entro pochi mesi “iniziò anche una resistenza militare, animata soprattutto dai sunniti, che si estese trascinando il paese nella violenza 30 La seconda guerra del golfo è successiva alla prima guerra combattuta tra 1990 e 1991. La prima guerra del golfo aveva visto confrontarsi Iraq e una coalizione guidata dagli Stati Uniti che aveva lo scopo di liberare il Kuwait invaso da Saddam Hussein. 31 Con “guerra preventiva” si intende una guerra dichiarata contro uno Stato poiché si presume che esso stia portando, porterà o potrebbe portare avanti azioni economiche, politiche, militari contrarie agli interessi dello Stato dichiarante guerra. 32 Black, Le guerre nel mondo contemporaneo, p. 198. 32 e nel caos”33 e causando una guerra civile e settaria che attirò combattenti islamisti da tutto il mondo arabo. È in questo contesto che diventa sempre più protagonista il gruppo islamista sunnita dello Stato Islamico. Nel capitolo 3 verrà ricostruita l'identità storica dell'antica forma di governo del califfato e il recente processo di occupazione territoriale del califfato nero di Abu Bakr al-Baghdadi. 33 Romero, Storia internazionale dell'età contemporanea, p. 123. 33 Capitolo 3 Cos'è il califfato Il califfato34 è la forma di governo che si instaurò nei territori islamici dopo la morte del profeta Maometto nel 632. Il califfo (da khalifa35, cioè vicario, reggente) prendeva il posto di quest'ultimo come guida politica, amministrativa, militare della umma (la comunità musulmana) e non, come spesso viene detto erroneamente, come guida spirituale, religiosa o nuovo profeta. In altre parole, il prestigio e l'autorità derivanti da tale carica, avevano certamente dei risvolti nell'ambito religioso e spirituale, ma ufficialmente il califfo era una guida prettamente civile, il cui compito era quello di proteggere e difendere l'Islam o la comunità islamica di sua competenza. Questo era coerente con il credo musulmano di indirizzo sunnita, secondo cui tutte le creature sono uguali di fronte ad Allah e non vi può essere un individuo che emerga e si ponga come capo religioso, come invece accade nel mondo cristiano o anche solo in quello musulmano sciita 36. La carica di califfo, inoltre, e di conseguenza il califfato stesso, non trova anticipazione o riferimento nelle sacre scritture islamiche, né nel Corano, né negli Hadith, tradizioni sulla vita del profeta. Fu infatti un'invenzione originale istituita dai compagni di Maometto per risolvere le questioni emerse appena dopo la sua morte. 34 Quando scritto con la maiuscola ("Califfato"), si fa riferimento allo Stato Islamico. 35 Per semplificazione, nella trascrizione di tutti i termini arabi sono stati omessi i segni diacritici. 36 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 144. 35 3.1 Morte del profeta e storia del califfato Maometto morì nel 632 senza figli maschi e senza aver mai dato indicazioni riguardo la sua successione. La sua morte fu accolta dai vicini più stretti e da tutta la umma con grande sgomento e angoscia; secondo la tradizione vi erano molti che non volevano credere all'effettiva scomparsa del profeta. Lo stesso Omar, futuro secondo califfo, pare spiegò alla folla l'assenza di Maometto affermando che il profeta era andato a colloquiare temporaneamente con Allah, così come aveva fatto Mosè sul Sinai, e che sarebbe prima o poi tornato 37. Nei giorni successivi riuscì ad emergere ed imporsi con forza come successore alla guida della umma Abu Bakr, fedele amico di Maometto e candidato del partito “elettivo”, ovvero il partito di coloro che ritenevano bisognasse eleggere il successore tra chi aveva più autorità e autorevolezza all'interno della comunità. A scontrarsi con costoro erano il partito medinese, presto messo a tacere, convinto che il successore dovesse uscire dalla città che aveva accolto il profeta, e il partito “legittimista”, espressione della famiglia di Maometto, il cui candidato era Alì, cugino e genero del profeta. Abu Bakr, primo califfo della storia dell'Islam, governò con energia per due anni, fino al 634, riportando all'ordine le tribù arabe ribellatesi dopo la morte di Maometto. Dopo di lui divenne califfo Omar, ancora una volta espressione del partito elettivo, che allargò i confini dell'Islam oltre il mondo arabo. Nel 644 fu la volta di Uthman, terzo califfo eletto, che fece redigere una versione definitiva del Corano. Morto assassinato nel 656, gli succedette finalmente da Alì che divenne quindi quarto califfo. I primi quattro califfi sono detti al-rashidun, ovvero califfi “ben guidati”. Alì assunse la guida della comunità in un clima di forte tensione, tanto che pochi mesi dopo dovette affrontare una rivolta guidata dal governatore della Siria, Mu'awiya, rivolta che sfociò in una vera e propria battaglia a Siffin, nel 657, da cui poi uscirà vittorioso Mu'awiya. Mu'awiya, appartenente alla famiglia degli omayyadi, fu definitivamente 37 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 143. 36 riconosciuto come califfo alla morte di Alì, nel 661. Spostò la capitale a Damasco, in Siria, e diede inizio ad un califfato dinastico, quello che diventerà noto come califfato omayyade. I califfi omayyadi si susseguirono fino al 749, quando il governo della umma passò ad un'altra dinastia, quella abbaside che spostò nuovamente la capitale, da Damasco a Baghdad. Con il califfato abbaside si ebbe un progressivo smantellamento dell'unità politica: nel corso del X secolo venne perso l'Egitto, conquistato dai Fatimidi, una dinastia sciita. Anche al-Andalus e Maghreb si staccarono dal califfato: nel primo caso a causa dell'influenza di Abd al-Rahman, unico membro della famiglia omayyade che riuscì a sopravvivere alla strage operata durante il Fig. 4 - Mappa dell'espansione del califfato (622-750) (fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Age_of_Caliphs.png) ultima consultazione 01/10/2015 cambio di dinastia e fuggire da Damasco verso occidente; nel secondo caso a causa dell'incredibile resistenza berbera. Infine, con il trascorrere del tempo, buona parte dell'attuale Iran, della Siria e della Mesopotamia ottennero de facto autonomia e indipendenza. La dinastia abbaside di Baghdad ebbe termine con l'invasione mongola del 1258, ma il califfato trovò continuità in Egitto, rifondato da un membro della famiglia fuggito dall'ex-capitale. 37 Quando nel 1517 il sultano ottomano conquisterà Il Cairo, otterrà anche il titolo di califfo, ancora prestigioso, ma ormai vuoto di concreti significati. Con il definitivo crollo dell'Impero Ottomano e la conseguente nascita della Repubblica di Turchia, il califfato fu abolito nel 1924 per mano di Mustafa Kemal ed i suoi poteri furono trasferiti alla Grande Assemblea Nazionale della Turchia, il parlamento della neonata repubblica. 3.2 I risvolti politici delle diatribe teologiche Fu dopo la morte di Maometto che iniziò a definirsi effettivamente un “credo” islamico, una certa teologia che ebbe modo di formarsi attraverso numerose discussioni, dibattiti e influenze da parte di molteplici correnti spirituali. Una delle questioni centrali delle diatribe teologiche che si sviluppò attorno al VIII-IX secolo fu il rapporto tra fede e opere compiute al fine della salvezza. Tra le posizioni più importanti vi era quella sostenuta dai kharijiti. I kharijiti (“coloro che sono usciti”) sono gli appartenenti alla setta islamica nata durante la battaglia di Siffin tra Alì e Mu'awiya dal distaccamento di coloro che non riconoscevano la validità di un arbitrato, frutto di un accordo tra i due rivali, per definire la questione del califfato. Secondo i kharijiti “le buone opere non possono disgiungersi dalla fede” 38. Inoltre, colui che si macchia di un peccato particolarmente grave, non deve più essere considerato credente, ma, anzi, può essere perseguitato e punito. Dal punto di vista politico, la tesi kharijita si traduceva nella possibilità, se non nel dovere, di deporre il califfo riconosciuto peccatore. Opposta a questa posizione era quella della scuola murji'ita. Il termine murji'ita deriva da irja' che significa “proroga”. I sostenitori di tale scuola, infatti, sostenevano che nessun uomo potesse giudicare le opere e la fede altrui, né tanto meno stabilire chi fosse peccatore e chi pio, poiché tale giudizio poteva appartenere solo a Dio. Solamente chi apostatasse pubblicamente era da considerare fuori dalla umma. Di conseguenza nessuno aveva il diritto di 38 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 167. 38 deporre un califfo, a cui invece bisognava garantire pieno sostegno e legittimazione. Questa fu in effetti la tendenza che si affermò nel corso dei secoli successivi, cioè quella di astenere il giudizio sull'intima religiosità di ciascuno, lasciandolo invece alla sua coscienza e a Dio. L'imporsi di questa posizione fece sorgere molte critiche che denunciavano l'incoraggiamento di atteggiamenti lassisti e noncuranti riguardo al comportamento dei califfi, ma ebbe il merito di porre fine o perlomeno attenuare le infinite discussioni che nascevano in seguito ad ogni azione del califfo, garantendo quindi una maggiore unità religiosa. 3.3 La nascita del Califfato Mustafa Kemal Atatürk, letteralmente il “Padre dei Turchi”, abolì il califfato nel 1924, coerentemente alla sua volontà di laicizzazione dello stato. Da questo momento il califfato rimarrà un sogno, un obiettivo, una questione in sospeso. Il desiderio di un nuovo stato islamico che possa riscattare i popoli arabi nei confronti di un Occidente in costante arricchimento economico rimarrà un fattore sempre presente in molte coscienze musulmane. Numerosi sono stati i tentativi di far risorgere un califfato e prima dello Stato Islamico “hanno tentato l'edificazione di uno stato jihadista Hamas nella Striscia di Gaza, i taleban39 del mullah Omar in Afghanistan, gli shabaab40 somali nella regione di Mogadiscio e il presidente autocrate Omar al-Bashir in Sudan”41. Ma è solo novant'anni dopo che esso si riaffaccia concretamente nel mondo islamico: il 29 giugno 2014 Abu Bakr al-Baghdadi dichiara la rifondazione del califfato e si auto-proclama califfo dello “Stato Islamico dell'Iraq e del Levante”. Abu Bakr al-Baghdadi, al secolo Ibrahim al-Badri, nasce nel nord dell'Iraq, nei 39 In italiano "talebani". Dal Vocabolario Treccani: "Denominazione degli studenti coranici, componenti della consorteria islamica estremistica che ha governato l’Afghanistan alla fine del XX secolo, e che successivamente hanno condotto, come strategia politica e ideologica, azioni di terrorismo e guerriglia". 40 Al-Shabaab ("i Giovani") è un gruppo islamista attivo in Somalia. 41 Molinari, Il Califfato del terrore, p. 12. 39 pressi di Samarra, nel 197142 e, secondo una biografia pubblicata in un sito jihadista ora rimosso, egli sarebbe in possesso di un dottorato di ricerca in Studi Islamici, conseguito all'università di Baghdad 43. Lo stato da lui fondato, oltre che con la sigla ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant), è conosciuto con altri acronimi (IS, ISIS), i cui significati saranno nuovamente discussi nel prossimo capitolo, poiché importanti alla comprensione della geografia del Califfato. Per chiarezza li accenneremo con un breve excursus storico dell'organizzazione. Nonostante sia proprio attorno al 2014 che lo Stato Islamico acquista notorietà, le sue basi sono poste già nei primi anni del nuovo millennio, quando un gruppo di jihadisti44 diventa protagonista nella guerriglia che si sviluppa in Iraq durante e dopo la seconda guerra del Golfo (2003-2011). Il 12 ottobre del 2006 Abu Omar al-Baghdadi45 dà una brusca accelerazione agli obiettivi e alle pretese del gruppo, dichiarandosi comandante dello Stato Islamico dell'Iraq (ISI), stato che riunirebbe sei governatorati dell'Iraq (Baghdad, al-Anbar, Diyala, Kirkuk, Salah al-Din, Ninawa)46. 42 Chulov, Abu Bakr al-Baghdadi emerges from shadows to rally Islamist followers. 43 Lister, ISIS: the first terror group to build an Islamic state?. 44 Con il termine "jihadisti" si intende coloro che propugnano attivamente la jihad nella sua accezione di guerra santa contro gli infedeli. 45 Abu Omar al-Baghdadi (1947-2010) è stato un terrorista iracheno e leader dello Stato Islamico dell'Iraq. 46 Roggio, The Rump Islamic Emirate of Iraq. 40 Fig. 5 - I sei governatorati iracheni facenti parte dell'ISI (fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b2/Iraq%2C_administrative_divisions_-_de__monochrome.svg) ultima consultazione 01/10/2015 Con l'avvento della primavera araba47 e lo scoppio delle sommosse popolari nella vicina Siria48, lo Stato Islamico in Iraq ebbe modo di inserirsi nel conflitto gettando rapidamente le basi di un controllo territoriale approfittando della debolezza e dell'impegno su più fronti del governo di Bashar al-Assad, presidente della Repubblica Araba di Siria. La possibilità da parte dell'ISI di inserirsi all'interno del conflitto siriano fu favorita in particolare dalla presenza di altre fazioni islamiste, come Jabhat al47 Con l'espressione "primavera araba" si fa riferimento all'ondata di proteste e disordini che hanno attraversato alcuni paesi arabi nel corso del 2011. 48 Lo scoppio delle proteste in Siria all'interno del contesto della primavera araba aveva inizialmente lo scopo di portare alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad e liberalizzare il regime. Dal marzo 2011 le proteste si sono trasformate in veri e propri scontri armati tra la fazione governativa e quella ribelle, entrambe sostenute più o meno direttamente da varie forze internazionali. 41 Nusra, che già lottavano contro le forze governative siriane. Il consolidarsi di tale influenza in Siria, portò Abu Bakr al-Baghdadi, subentrato ad Abu Omar al-Baghdadi come comandante poiché questi era rimasto ucciso durante un'incursione statunitense49, a proclamare nell'aprile del 2013 la nascita dello “Stato Islamico dell'Iraq e Siria” (ISIS) tradotto anche come “Stato Islamico dell'Iraq e del Levante” (ISIL)50. È infine nel 2014, con la proclamazione del Califfato, che si diffonde definitivamente la toponomastica più conosciuta, cioè Stato Islamico (IS), omettendo indicazioni geografiche. Lo scopo di Abu Bakr al-Baghdadi è appunto quello di creare uno stato fondamentalista salafita nei territori che un tempo appartenevano al califfato nei periodi di massima estensione (si veda il paragrafo 3.1). Non solo, una volta raggiunto tale obiettivo, la conquista dovrà allargarsi verso l'occidente cristiano, identificato simbolicamente con Roma nella retorica terroristica cioè in quell'insieme di slogan, motti, immagini e immaginari che le organizzazioni terroristiche contribuiscono a diffondere all'interno della propria propaganda, fino a coinvolgere il mondo intero51. 3.3.1 Uno stato fondamentalista salafita Innanzitutto parliamo appunto di uno stato, quindi di un'organizzazione che, differentemente da altre come Al-Qaida, al-Shabaab o Boko Haram ha il controllo totale di un territorio definito. È uno stato che funziona con le sue forze di polizia, i suoi tribunali basati sulla più rigida applicazione della Shari'a, il suo sistema fiscale. Questa è la novità più importante del nuovo Califfato, ciò che lo rende diverso dai suddetti gruppi e organizzazioni che operano invece tramite guerriglia e isolati attacchi terroristici, senza avere il controllo diretto di un particolare territorio. 49 L'incursione ebbe luogo il 18 aprile 2010 a Tikrit, in Iraq, per mano di forze speciali statunitensi ed irachene nell'obiettivo di eliminare un leader dello jihadismo internazionale. 50 Black, The Islamic State: is it Isis, Isil – or possibly Daesh?. 51 RQuotidiano, Iraq, il califfo integralista al-Baghdadi: “Conquisteremo Roma e il mondo intero”. 42 Ciò comporta anche che quella che si combatte contro il Califfato sia un nuovo tipo di guerra. Lo Stato Islamico, infatti, adotta un nuovo paradigma di guerra dove sono presenti elementi della guerriglia, dell'attentato terroristico, dove a scontrarsi sono il Califfato, supportato da una serie caotica e cangiante di gruppi minori, e un insieme di fazioni e forze che non si possono sempre individuare in uno o più stati. È vero anche che in questo conflitto troviamo elementi tipici della guerra convenzionale: trincee (nel Kurdistan per esempio)52,53, eserciti regolari ben organizzati e gerarchicamente strutturati 54. La sfida lanciata all'Occidente e a chi non riconosce l'autorità del califfo è diversa quindi dal passato, sebbene ne riprenda qualche tratto. È una minaccia che fa largo uso del potere mediatico, utilizzato parallelamente all'attacco armato. L'ISIS non si nasconde, anzi, si mostra in tutta la sua feroce teatralità: a differenza di Osama bin Laden55, precedente incarnazione del nemico da combattere e dell'estremismo religioso islamico nel nostro immaginario collettivo, Abu Bakr al-Baghdadi non cerca rifugio. Bin Laden alternava visibilità, data dai molteplici video girati56,57 in cui si dilungava in monologhi, e latitanza; per anni è fuggito celandosi tra i monti dell'Hindu Kush, per anni è stato cacciato dalle forze occidentali nel corso della lotta al terrorismo. Abu Bakr, invece, si comporta esattamente nella maniera opposta: di lui e della sua biografia si sa poco e, oltre al video della proclamazione del Califfato e qualche rarissima foto (di dubbia autenticità), non ci sono altre sue immagini. Tuttavia sappiamo benissimo dov'è: “tutti sanno che è a Mossul o a Raqqa (rispettivamente Iraq e Siria NdA), ci sfida ad andarlo a catturare”58. Ma torniamo al punto centrale: quello di Abu Bakr al-Baghdadi è uno stato fondamentalista. Il fondamentalismo nasce in ambito cristiano protestante, ma ad oggi il termine è utilizzato in senso lato per indicare l'atteggiamento rigido, 52 Thompson, U.S. Military Plan For Looming ISIS Offensive Takes Shape. 53 Compasso, Nel Kurdistan siriano liberato dall'IS. 54 Molinari, Il Califfato del terrore, p. 90. 55 Osama bin Muhammad bin Awad bin Laden è stato un terrorista saudita, fondatore e leader di Al-Qaida. 56 https://www.youtube.com/watch?v=KiKyWJRRjnU (consultato per l'ultima volta il 26/09/2015) 57 https://www.youtube.com/watch?v=dqQwnqjA-6w (consultato per l'ultima volta il 26/09/2015) 58 Quirico, Il grande califfato, p. 35. 43 dogmatico e acritico verso testi e teorie di tutte le religioni. Allo stesso modo si parla di integralismo o radicalismo. Secondo Saccone 59 bisognerebbe parlare di “estremismo religioso” per due motivi. Innanzitutto tale espressione sarebbe più neutra e quindi più rispettosa dell'opinione pubblica musulmana, “infastidita e offesa dalla pervicace tendenza dei media euro-americani a identificare l'Islam con movimenti minoritari e violenti”. In secondo luogo ci aiuterebbe a tenere a mente che l'estremismo religioso è un fenomeno comune alle varie confessioni, non certo caratteristica esclusiva dell'Islam. Infine parliamo di uno stato salafita. La salafiyya, da salaf (“antichi”), è la corrente di pensiero islamica che vuole rifarsi agli antichi, alla prima comunità musulmana, modello di virtù e simbolo di un Islam puro. Oggi, parlare di movimento salafita, significa parlare di movimenti che vogliono tornare ad una lettura letterale e rigida del Corano e delle fonti islamiche, rigettando le interpretazioni più libere, frutto di contaminazioni e cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli. Potrebbe sorprendere come anche gli islamici modernisti di inizio Novecento, coloro che cercavano una modernizzazione dell'Islam tramite il dialogo con l'Occidente, si definissero salafiti e si richiamassero anch'essi alla prima comunità degli antichi. L'aspetto “passatista” 60 è comune ad entrambi i tentativi di rivoluzionare l'ambiente musulmano poiché comune è l'intento di far risorgere l'Islam e riportarlo ai fasti delle origini. Sono diverse le strategie e i metodi utilizzati. 3.4 La struttura del Califfato Abu Bakr al-Baghdadi è il vertice di una piramide gerarchica ben definita e ben strutturata. Il califfo, infatti, nonostante la propaganda lo presenti mediaticamente come leader unico e assoluto, non è solo nel suo feroce impegno, ma è accompagnato da una serie di sotto-ufficiali, funzionari e 59 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 448. 60 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 414. 44 delegati che prendono decisioni legate a determinati ambiti o, comunque, aiutano il loro leader a prenderle. In particolare, Abu Bakr al-Baghdadi è affiancato da una sorta di gabinetto di consiglieri, un ristretto circolo di collaboratori tra cui si contano i capi militari, quelli delle polizie religiose maschili e femminili, i responsabili della raccolta delle tasse e via dicendo. Lo Stato Islamico, lo approfondiremo nel prossimo capitolo, non ha intenzione di mantenere le attuali divisioni statali e amministrative, anche se, in questa fase di trasformazione e insicurezza, la strategia perseguita prevede due figure di responsabili territoriali, uno in Iraq e uno in Siria, legati quindi agli attuali stati nazionali. Costoro, che sono anche i vice del califfo, comandano a loro volta ventiquattro governatori, rispettivamente dodici in Iraq e dodici in Siria. 61 L'albero di comando continua poi con ulteriori comitati di ordine locale, sottoposti ai suddetti governatori, che pongono in esecuzione i decreti e le leggi emanate da Abu Bakr. In questa struttura gerarchica, buona parte delle cariche e dei ruoli importanti è in mano a ex militari iracheni “che garantiscono all'ISIS esperienza tecnica, militare e di sicurezza”62. Infine il Consiglio della Shari'a, suprema autorità religiosa, composto da sei membri dall'identità segreta, a cui spetta l'interpretazione delle legge islamica e quindi la voce ultima sull'amministrazione della giustizia. Al di là di questa struttura ben definita, vi sono infine alcune figure investite personalmente da Abu Bakr al-Baghdadi di ruoli particolari, come Abdul Rahman al-Afari, responsabile dei rapporti con le famiglie dei jihadisti caduti, Abu Mohammad al-Adnani, portavoce ufficiale dello Stato Islamico e Abdullah Ahmad al-Mishhadani, che coordina gli alloggi per i volontari stranieri 63. 61 Belardelli, Anatomia del califfato: al-Baghdadi, 2 vice, 24 governatori e un comitato religioso. Ecco come funziona l'Isis. 62 Molinari, Il Califfato del terrore, p. 70. 63 Taylor, Charting the murky leadership structure of the Islamic State. 45 3.5 La legittimità del Califfato Nonostante Abu Bakr al-Baghdadi si dichiari califfo di uno Stato Islamico e leader di tutti i musulmani che rispondo al suo Islam puro 64, la sua carica e i suoi annunci non trovano condivisione e appoggio tra la maggior parte delle più importanti istituzioni islamiche. Il Califfato, secondo buona parte del mondo musulmano, così come presentato da Abu Bakr, non può trovare legittimazione e ogni dichiarazione effettuata dall'autonominatosi califfo non ha alcun valore a livello assoluto. L'Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI) 65 raduna 57 paesi e mantiene una delegazione permanente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU; il suo obiettivo è la salvaguardia degli interessi e lo sviluppo del mondo musulmano. Il suo segretario ha affermato che quelli commessi dallo Stato Islamico sono crimini intollerabili e che “le atrocità commesse e le pratiche in atto non hanno nulla a che vedere con l'Islam, con i suoi principi di tolleranza e convivenza”66. Anche il Gran Mufti d'Egitto Shawki Allam, massima autorità religiosa egiziana, si è espresso in maniera negativa nei confronti della legittimità dello Stato Islamico. Esso “viola tutti i principi dell'Islam” e “rappresenta un pericolo per l'Islam e per i musulmani del mondo”67. Della stessa opinione il Gran Mufti saudita, che definisce il nuovo Califfato come il nemico numero uno dell'Islam 68. La stessa Lega Araba ha denunciato più volte i crimini contro l'umanità commessi dall'IS e ha creato una coalizione per combatterne la minaccia 69. Ferme dichiarazioni di condanna sono arrivate anche da molte altre istituzioni e alte figure del mondo musulmano come il Muslim Council of Great Britain, il Muslim Public Affairs Council, l'Islamic Society of North America, Mehmet 64 Abu Bakr al-Baghdadi afferma di aver stabilito il suo Califfato per riportare l'Islam deviato del presente alla purezza del passato. 65 L'Organizzazione della Cooperazione Islamica è la seconda più grande organizzazione intergovernativa dopo l'ONU, comprendendo 57 stati distribuiti in 4 continenti. Fu fondata a Rabat, in Marocco, il 25 settembre 1969. L'organizzazione è la voce del mondo musulmano. 66 Radio Vaticana, Organizzazione dei Paesi Islamici difende i cristiani di Mosul. 67 Zoja, Il gran muftì d'Egitto: "Violati tutti i principi dell'Islam". 68 Al Arabiya News, "ISIS is enemy No. 1 of Islam" says Saudi grand mufti. 69 Corriere della Sera, Lega Araba, "tutti uniti contro l'ISIS". 46 Gormez, presidente degli affari religiosi turchi e da centinaia di imam sunniti e sciiti di tutto il mondo. I media occidentali, potente veicolo di idee e formatori di cultura, danno poca visibilità a queste posizioni che rappresentano la maggior parte del mondo musulmano. Spesso, infatti, l'eliminazione o la scarsa visibilità di questa parte consistente di opinione del mondo musulmano, contribuisce a far emergere l'idea di un Islam violento, di un Islam del terrore, la cui immagine più spettacolare è appunto lo Stato Islamico. Insidioso, pericoloso e ancora più diffuso è il pensiero che l'Islam abbia due facce: un volto pacifico e un volto feroce. Il nuovo Califfato, così come le altre organizzazioni terroristiche sorte nell'ambito musulmano, sarebbe quindi una delle forme dell'Islam, quella violenta. Essendo respinta dalle più autorevoli autorità islamiche nonché dalla maggior parte dei fedeli, il nuovo Califfato è qualcosa di diverso dall'Islam in quanto ne viola tutti i principi. Dare più risalto alle posizioni del mondo musulmano, mostrare come i terroristi di qualsiasi organizzazione non rappresentino una religione, ma siano espressione di interpretazioni ed idee molto personali, aiuterebbe forse a combattere il fondamentalismo, ma ancora di più aiuterebbe a combattere ignoranza e sospetto, diffidenza e odio. Riuscire ad instaurare e pubblicizzare il dialogo con le autorità sopracitate può essere dunque un primo passo nella conoscenza delle reciproche diversità, nella comprensione reale dell'altro. 3.6 Le strategie comunicative L'obiettivo del Califfato è quello di islamizzare la modernità, anziché modernizzare l'Islam. Da qui assistiamo all'emanazione e all'attuazione di alcuni decreti e orientamenti da parte del Califfato che appaiono decisamente anacronistici, dalla proibizione della visione di partite di calcio all'ascolto e produzione di musica, dall'abolizione della ginnastica scolastica alla furia iconoclasta. Atteggiamenti che, oltre ad apparire irragionevoli, derivano da 47 interpretazioni molto arbitrarie e forzate della legge islamica o, quando non è possibile trovare legami con essa, sono motivati dalla volontà di rifuggire le decadenze occidentali. Nonostante ciò, a differenza dei talebani con cui si potrebbero trovare alcune somiglianze, lo Stato Islamico non disdegna l'utilizzo dei social media, anzi, ne ha fatto un pilastro della propria strategia comunicativa e propagandistica. Il Califfato utilizza supporti come Youtube, Twitter, Facebook inserendo foto, video, post, commenti e molto altro. Durante eventi di portata mondiale, come i mondiali di calcio in Brasile del 2014, lo Stato Islamico utilizzava hashtag 70 come #Brazil2014, #ENG, #France, #WC201471, al fine di comparire nei risultati di ricerca di chi inserisse tali etichette e di aumentare esponenzialmente il proprio bacino di visibilità. L'utilizzo di questi social network permette di raggiungere milioni di persone, le cui coscienze possono quindi essere indirizzate, convinte, plagiate dall'abile propaganda islamista. In questo modo si reclutano volontari da tutto il mondo e “si moltiplicano i lupi solitari, singoli individui che scelgono di diventare protagonisti della jihad lanciandosi in attacchi personali, non coordinati con altri, e dunque molto difficili da prevenire”72. Internet diventa quindi la piazza dove reclutare e diffondere un messaggio fortemente ideologico. Un messaggio ideologico teatralizzato attraverso l'utilizzo di video professionali, a tratti “hollywoodiani”, e rivolto al mondo intero, utilizzando l'inglese, se non già parlato, sottotitolato, come lingua veicolare. 3.7 L'eredità del Califfato Possiamo dunque affermare che il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi non eredita il ruolo, la funzione, l'autorità dei califfati del passato. 70 Da Garzanti Linguistica: "parola o frase preceduta dal simbolo cancelletto (#), che permette di contrassegnare i messaggi con una parola chiave utile a classificarli, rendendoli facilmente reperibili agli utenti interessati all’argomento". 71 Milmo, Iraq crisis exclusive: Isis jihadists using World Cup and Premier League hashtags to promote extremist propaganda on Twitter. 72 Molinari, Il Califfato del terrore, p. 141. 48 Il califfato radunava sotto di sé l'intera umma, l'intero mondo musulmano, ed era elemento di unità che oltrepassava le barriere etniche. Nonostante negli ultimi secoli di vita il suo potere effettivo fosse praticamente nullo, la figura del califfo aveva ancora autorità e forte valore simbolico. Il Califfato attuale, quello nero di al-Baghdadi, poggia parte del suo consenso sulla nostalgica affezione all'idea di califfato. Per alcuni musulmani, più che l'effettiva esistenza di un califfato, ciò che importa è l'insieme di valori e ideali che esso porta con sé. Ideali che evocano gloria, fratellanza, pace tra musulmani, che evocano libertà dal giogo occidentale. I seguaci dello Stato Islamico non rincorrono questi stessi valori, non hanno questo obiettivo, i fatti lo dimostrano. Il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi del califfato porta solo il nome. 49 Capitolo 4 La geografia del Califfato Gli accordi di Sykes-Picot (16 maggio 1916) imposero un certo ordinamento della territorialità73 in Medio Oriente. Questo ordinamento, accettato per qualche decennio, nel 2014 è stato messo in discussione dallo Stato Islamico. Gli appartenenti a tale gruppo non solo non lo ritengono legittimo, cioè non lo riconoscono politicamente e socialmente, ma ne hanno già dichiarato il decadimento, in favore di un nuovo ordinamento, una nuova geografia islamica. Intendiamo per geografia la forma territoriale dell'agire sociale secondo quanto definito da Turco74. 4.1 Le trasgressioni alla territorialità Pase ci insegna che l'istituzionalizzazione di comportamenti territoriali porta alla creazione di “orizzonti stabili di relazione verso le altre società e tra i membri al suo interno”75. Tali orizzonti stabili di relazione possono essere chiamati “ordinamenti della territorialità”. Essi possono tuttavia essere violati attraverso diversi tipi di trasgressioni76. In particolare Pase distingue quattro tipi di trasgressione. In primo luogo la "circolazione di uomini e cose o di comunicazione di 73 Per Raffestin la territorialità è l'insieme delle relazioni esistenziali e/o produttive che un attore instaura con il territorio e che gli permettono di relazionarsi con altri attori; Raffestin, Per una geografia del potere. 74 Turco sostiene che la geografia è forma territoriale dell'agire sociale. L'agire sociale dell'uomo, nel corso della storia, ha sempre avuto come obiettivo rifuggire gli aspetti deterministici della natura, cercando di raggiungere una certa autonomia. Questa autonomia permette all'uomo di liberarsi da relazioni deterministiche, in favore di una maggiore libertà di scelta e azione; si vengono ora a creare, dunque, relazioni non più deterministiche, ma aleatorie. Lo scarto tra ciò che verrà attuato e ciò che rimarrà allo stato potenziale viene definito da Turco "complessità" e va a costituire l'elemento centrale di ogni sistema sociale e territoriale. Turco, Verso una teoria geografica della complessità. 75 Pase, Linee sulla terra, p. 47. 76 Pase, Linee sulla terra, p. 63. 51 informazione che l'ordinamento vieta"77; quando cioè il limite definito da un confine viene oltrepassato nell'illegalità, violando la norma imposta dall'ordinamento. Contrabbando di merci, migrazioni clandestine e passaggio di informazioni indesiderate sono trasgressioni diffusissime, storicamente note e ancor oggi presenti nei nostri ordinamenti della territorialità. Se trasgressioni di questo tipo si possono in parte considerare fisiologiche del nostro sistema geografico e politico, è chiaro che nel momento in cui raggiungono importanti dimensioni quantitative diventano un netto segnale dell'inadeguatezza dell'ordinamento in questione o dell'inefficacia degli attori che lo impongono. Un secondo tipo di trasgressione è quello che porta ad un “cambiamento di forma o di tracciato del confine tra interno ed esterno” 78; cioè quando muta l'assetto dell'ordinamento: un limite viene spostato, dei muri che delimitavano un confine vengono abbattuti, il tracciato di una frontiera viene modificato, ecc.. Un terzo tipo è legato al “cambiamento delle regole di accesso a un campo definito da un sistema di limiti”79. La norma cambia: ciò che prima era escluso ora può essere incluso, ciò che prima poteva accedere ora è escluso. Questo cambiamento delle regole può essere dovuto a precedenti infrazioni alle quali non si riusciva a porre fine o da necessità sorte dopo l'istituzione di tale ordinamento. Infine, l'ultimo tipo di trasgressione è “l'annuncio di un cambiamento di ordinamento”80. È la trasgressione più radicale, più drastica, poiché è un cambiamento che si pone a monte, all'origine del problema: un ordinamento non viene più riconosciuto tale dagli attori che lo vivono e al suo posto viene imposto un altro ordinamento. Un nuovo “interno” - ciò che sta dentro – ed un nuovo “esterno” - ciò che sta fuori – vengono creati e possono differire completamente da quelli precedenti. Questo ultimo tipo di trasgressione è quello che ci interessa di più ai fini del nostro discorso, poiché è la trasgressione 77 Ibidem. 78 Ibidem. 79 Ibidem. 80 Ibidem. 52 avvenuta per mano dell'autoproclamatosi Stato Islamico lungo il confine siriano-iracheno nel corso del 2014. 4.2 La fine di Sykes-Picot Nel luglio 2014, dopo la proclamazione della nascita del Califfato da parte di Abu Bakr al-Baghdadi, venne pubblicato su Youtube un video intitolato La fine di Sykes-Picot in cui un militante cileno81 annunciava l'annientamento del confine tra Siria ed Iraq deciso dagli accordi franco-britannici del 1916. Secondo Napoleoni, affidare l'annuncio ad un cileno è una strategia comunicativa per rendere “un'immagine dello Stato Islamico tanto cosmopolita quanto reale, un'organizzazione dotata di un raggio d'azione globale” 82. Malgrado l'account del video sia stato immediatamente bloccato e reso indisponibile l'indirizzo internet collegato, il video è ancora recuperabile e visibile83. Dal video si possono recuperare le immagini che mostrano la rimozione dei cumuli di terra che segnavano il confine tra Siria ed Iraq attraverso l'azione di spianamento di un bulldozer, la manifestazione di gioia tra i presenti e le frasi soddisfatte quali “abbiamo cancellato Sykes-Picot”. Il vecchio ordinamento territoriale, quello imposto nel 1916 con i trattati di Sykes-Picot e materialmente tangibile nei reticolati, nei cippi posti nel bel mezzo dei deserti mediorientali, perde di valore e acquista senso e legittimità quello imposto dal Califfato. Nello stesso video, sottotitolato in inglese, si ascoltano frasi di una certa eloquenza. Durante il viaggio verso il confine un militante siriano afferma: “vengo dalla Siria e ho 28 anni. Questa è la prima volta che entro in Iraq senza passaporto”; lo stesso concetto viene ripetuto da un suo compagno: “vengo dalla Tunisia e questa è la prima volta che entro in Iraq senza utilizzare un passaporto, un visto o qualsiasi altra cosa”. La scena si conclude con il militante 81 Il militante si presenta come Abu Safiyya, ma il suo vero nome è stato scoperto essere Bastian Alexis Sanchez. 82 Napoleoni, ISIS lo stato del terrore, p. 54. 83 https://www.youtube.com/watch?v=TxX_THjtXOw (consultato per l'ultima volta il 26/09/2015) 53 siriano che ripete: “ora siamo uno stato, lo Stato Islamico, con il Califfo, Principe dei Fedeli, Abu Bakr al-Baghdadi”. Sono poche frasi, ma dense di significati. Innanzitutto la novità di poter passare da uno stato all'altro senza la documentazione prima richiesta. L'ordinamento precedente è stato abbattuto, almeno in quell'area ha perso di significato. Persone e cose il cui passaggio era presidiato e sorvegliato, possono ora attraversare il confine senza particolari problemi e controlli. È la prima volta che ciò accade negli ultimi cento anni. In secondo luogo l'esplicitazione della trasgressione di cui si parlava sopra, quella più radicale, cioè il cambiamento di ordinamento: ora vi è lo Stato Islamico. Non ci sono più Siria, Iraq e i confini sorti dalle ceneri dell'Impero Ottomano, ma c'è un nuovo unico stato, lo stato del Califfo. La costituzione di un nuovo ordinamento territoriale non si conclude con il dissolvimento del confine siriano-iracheno ma, secondo quanto riferito da un portavoce dello Stato Islamico, procederà con l'abbattimento dei confini in Giordania, Libano e Iraq84. 4.3 Dar al-Islam La geografia che Abu Bakr al-Baghdadi vuole imporre è una geografia nuova. Nuova non solo perché diversa da quella attuale - anche se ormai dovremmo dire “precedente” poiché le conquiste territoriali del Califfato non sono semplici progetti, ma realtà tangibili -, che prevedeva degli stati mediorientali divisi da confini ben definiti ideati nei primi decenni del XX secolo. Nuova soprattutto perché completamente diversa da quella a cui ci aveva abituato la cartografia del Novecento. Lo Stato Islamico, infatti, non divide tra stati nazionali, non pone i confini che noi poniamo, non ragiona con le nostre logiche. Esso, lo dice la denominazione stessa, è un unico stato, lo Stato. Uno stato la cui discriminante è il suo essere islamico. È l'Islam dunque, che pone il confine: dove c'è l'Islam c'è (o ci dovrebbe essere) lo Stato Islamico. 84 Internazionale, Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante proclama il califfato. 54 In questo caso la geografia è serva della religione: si trasforma in semplice rappresentazione cartografica di un ordine verso l'interno e verso l'esterno che è già stabilito dalla religione. La geografia diventa un mezzo attraverso il quale mostrare e rendere esplicita la distinzione di fede, attraverso il quale la religione si può dispiegare concretamente sulla terra. Se si volesse trovare un confine in questa concezione dello spazio, esso ricalcherebbe il confine della umma. La comunità religiosa dei musulmani forma il popolo, forma la nazione. Tutto ciò che si interpone, che tenta di alterare lo spazio in altri modi, di distinguere diversamente, è errato, poiché umano. Allah stesso, infatti, parla di una dar al-Islam, una casa dell'Islam dove possono vivere solamente i musulmani e, con qualche limitazione, i dhimmi, le genti del libro (Ahl al-Kitab) cioè i cristiani e gli ebrei. Come accennato nel precedente capitolo (si veda capitolo 3), l'attuale struttura del Califfato prevede un responsabile per i territori iracheni ed un responsabile per quelli siriani. Questi sono tuttavia incarichi idealmente transitori, poiché transitorio, secondo Abu Bakr, è il pensare ancora a Siria ed Iraq come stati permanenti. L'indirizzo è quello della creazione di una nuova concezione di geografia, dove lo spazio esiste in funzione di Dio e dove l'appartenenza ad uno stato, il vincolo nazionale, di cittadinanza, è sostituito completamente dal vincolo religioso. Sarà dunque uno Stato Islamico sicuramente composito, poiché formato da molteplici gruppi socio-culturali, con diverse lingue, storie, consuetudini, ma unito sotto la bandiera nera di Abu Bakr al-Baghdadi. 4.4 Dar al-Harb Si è detto che la dar al-Islam è la dimora della umma e che l'unico legame vincolante al suo interno, nonché l'unico legittimo, è quello religioso. Questo è il concetto fondante nella creazione della nuova geografia islamista dell'ISIS che definisce ciò che sta “dentro”. Ma come viene definito ciò che sta fuori? Quale considerazione ha la dar al-Islam per ciò che è esterno al suo confine? 55 Ciò che non è casa dell'Islam è dar al-Harb, casa della guerra, spazio di conflitto. Alcuni studiosi, del presente e del passato, affermano che esso è spazio di conflitto, del disordine poiché deve ancora giungervi la parola di Allah e l'Islam deve ancora porre le sue basi; le genti che abitano questi luoghi di innocente ignoranza si combattono poiché non conoscono la verità e la via per la pace. Si può qui osservare come l'Islam abbia il compito di costruire ordine dal caos, di costituire una situazione normale, in cui cioè possa essere applicata una norma. Altri islamologhi85, invece, affermano che è spazio di conflitto poiché è spazio esterno alla umma e quindi considerato “come potenzialmente ostile e come spazio di conquista”86. É proprio questo il punto su cui la retorica dello Stato Islamico insiste. I miscredenti, i pagani, gli infedeli devono immediatamente convertirsi all'unica vera religione, altrimenti saranno passati a fil di lama. Importante è sottolineare come Abu Bakr al-Baghdadi e i suoi adepti non esitino a colpire e a considerare ostili anche cristiani ed ebrei, cioè coloro che lo stesso Corano suggerisce di trattare con un certo riguardo87. Molinari riporta ciò che Dabiq, rivista dello Stato Islamico, annunciava: “Prenderemo Roma, spezzeremo le sue croci, renderemo schiave le sue donne, e se non saremo noi a farlo, ci riusciranno i nostri figli o i nostri nipoti, vendendo sui mercati degli schiavi i figli di Roma”88. L'obiettivo del Califfato, quindi, è chiaro: occupare i luoghi appartenuti nel passato all'Islam ed invadere i principali luoghi della cristianità, di cui Roma è simbolo. Nella figura 6, la carta rappresenta i territori obiettivo della conquista islamista, 85 Il termine "islamisti", soprattutto a causa del suo utilizzo giornalistico, è entrato nell'uso corrente per indicare gli estremisti religiosi islamici. Si è dunque scelto di utilizzare il più neutro termine "islamologhi" per indicare studiosi e ricercatori della cultura islamica. 86 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 30. 87 "Coloro che credono, i Giudei, i Sabei o i Nazareni e chiunque creda in Allah e nell'Ultimo Giorno e compia il bene, non avranno niente da temere e non saranno afflitti" (Corano V, 69); "I credenti sono tutti fratelli: mettete dunque pace tra i vostri fratelli, e temete Iddio, e chissà che Egli abbia pietà di voi" (Corano XLIX, 10). In generale ebrei e cristiani, in quanto in possesso di rivelazioni riconosciute dall'Islam come precedenti al Corano, godono di una considerazione del tutto particolare. 88 Molinari, Il califfato del terrore, p. 19. 56 secondo i progetti dell'organizzazione. Essi comprendono l'intera Africa settentrionale e parte di quella equatoriale, tutto il Medio Oriente con Afghanistan e Pakistan e, ancora più ad est, le vecchie repubbliche sovietiche dell'Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Tagikistan). Sono poi segnati alcuni territori di Cina, Russia, India e altri stati. Fig. 6 - I territori obiettivo dell'ISIS (fonte: www.ilsole24ore.com) ultima consultazione 29/09/2015 Il progetto di conquista di Abu Bakr al-Baghdadi non si limita ad Africa e Asia, giunge nel cuore dell'Europa, scuotendo le nostre coscienze e accendendo le nostre paure. Se fosse una minaccia confinata ad altri continenti non la sentiremmo nostra, poiché rimarrebbe relegata ad un altrove che, in quanto tale, non è qui89. Sarebbero circostanze che considereremmo certamente terribili, ma legate ad altri, circostanze legate in maniera esclusiva a terre dove regna il caos e l'instabilità politica, in contrapposizione al nostro democratico e civile Occidente90. Garantiremmo il nostro dissenso a tali barbarie e la nostra solidarietà alle genti vittime di esse, ma ci dimenticheremmo presto di tutto ciò, convinti che crisi del genere riguardino solo gli altri, sicuri all'interno della 89 Aime - Papotti, L'altro e l'altrove. 90 Said, Orientalismo. 57 “Fortezza Europa”91, o meglio, della “Fortezza Occidente”. Tuttavia non è così, la bandiera del terrore colora di nero anche la Spagna e i Balcani e la sua propaganda colpisce Roma, l'Italia, il resto dell'Europa e dell'Occidente, e mai come oggi la sentiamo così vicina. 4.5 La jihad globale Siamo di fronte a quella che viene spesso definita jihad globale, cioè la lotta armata per l'espansione dell'Islam in tutto il mondo. Jihad viene spesso tradotto in “guerra santa”, ma il suo significato letterale e profondo è quello di “sforzo”, uno sforzo volto a vivere attivamente la propria fede. Il musulmano pio ha il compito di fare il possibile per aumentare la qualità e la quantità, per usare dei termini economici, del proprio servizio a Dio. Non per forza, come si è soliti pensare, tale sforzo deve essere rivolto verso l'esterno. Anzi, spesso si distingue tra una “piccola jihad”, forse la più famosa al pubblico occidentale, cioè lo sforzo militare, la guerra santa di cui si scriveva prima, e una “grande jihad”, la più importante, “quella che ciascun credente è chiamato a combattere all'interno di se stesso per sconfiggere quanto lo distrae dal suo Signore” 92. Abu Bakr e i suoi seguaci sembrano intenzionati a portare avanti e fino in fondo una jihad fatta con le armi contro chi non si piega al volere del Califfo, imponendo l'Islam teoricamente in tutto il mondo. La jihad dello Stato Islamico è un mezzo attraverso il quale portare la propria concezione di mondo in tutto il globo, annullando le geografie nazionali, le logiche politiche e creando la umma mondiale. 91 Con l'espressione "Fortezza Europa" s'intende quell'immagine di Europa, o meglio, di Unione Europea, che, antiteticamente ai valori di libertà di movimento che propugna al suo interno, dimostra una tendenza a chiudersi in se stessa innalzando un sistema di barriere intorno a sé. 92 Saccone, I percorsi dell'Islam, p. 289. 58 4.6 La geografia araba Importante ai fini propagandistici ed efficace per capire le idee che guidano gli islamisti dell'ISIS è osservare come essi utilizzino con attenzione la terminologia e le definizioni. Abu Bakr al-Baghdadi evoca la rinascita di al-Sham, territorio che comprenderebbe in modo approssimativo gli attuali stati di Siria, Libano, Iraq, Giordania, Israele, Palestina. Nella denominazione originale araba, prima di passare alla più semplice definizione di Stato Islamico, l'organizzazione si definiva al-Dawla al-Islamiyya fi al-ʿIraq wa l-Sham, dove appunto si parlava di Stato Islamico di Iraq e al-Sham. Questo ha creato numerose difficoltà di traduzione ai media e agli stessi governi del mondo non arabo. Come già scritto nel precedente capitolo (si veda il capitolo 3), si è optato per l'acronimo "ISIS" dove le ultime due lettere sono le iniziali di Iraq e Siria. Così facendo, tuttavia, si perdono alcuni territori rivendicati nella denominazione in lingua araba, come la Giordania, il Libano, la Palestina. Soprattutto dai governi statunitense e britannico e in generale negli ambienti anglofoni, si è utilizzato "ISIL", parlando di Iraq e di un più generico Levante, che non ha alcuna connotazione territoriale, ma si costituisce come rappresentazione eterocentrata di un altrove dai confini non ben definiti. Il problema, lo stesso per quelle poche testate giornalistiche che per breve tempo hanno mantenuto “Iraq e al-Sham” senza tradurre quest'ultima espressione, è far capire al pubblico cosa si intenda a livello geografico; in altre parole, il territorio di al-Sham ha una collocazione precisa ma spesso ignota a noi occidentali, tanto che per molti il termine rimane sconosciuto. Trovare un'espressione che sia familiare al pubblico europeo e statunitense e che sia geograficamente corrispondente diventa un'impresa che necessariamente deve andare incontro ad un certo grado di approssimazione. È qui che si mostra in tutta la sua grandezza la differenza di visione tra il Califfato e il resto del mondo. Il Califfato e buona parte del mondo arabo utilizza termini come al-Sham, Hegiaz, al-Andalus. 59 L'Occidente invece rappresenta questi territori attraverso quei confini e quegli stati che sono l'esito di un processo di territorializzazione e di un ordinamento territoriale propri dell'Occidente. Processi e ordinamenti che sono stati caratterizzati da relazioni asimmetriche, con un Occidente, attore forte, che spesso ne ha stabilito arbitrariamente l'esistenza e le modalità di esistenza, senza badare ai bisogni degli altri. Ecco quindi che noi ci riferiamo a Sykes-Picot, parliamo di Siria e non di al Sham, di Arabia Saudita e non di Hegiaz, di Spagna e non di Andalus. Da qui l'incomunicabilità tra i due mondi, tra le due geografie. Le difficoltà di mediare con le parole derivano dal fatto che esse hanno significati ben più profondi: nominare un luogo, cioè dargli un nome, è un primo atto di territorializzazione, rappresenta una prima modalità di uso, produzione e trasformazione del territorio93. La costruzione linguistica di un territorio è il passo iniziale verso il suo controllo e, oltre a contenere e trasmettere informazioni su di esso, è espressione della cultura che nomina. 4.7 L'alternativa allo Stato Islamico La geografia mediorientale è una geografia imposta dall'Occidente. Per di più è una geografia imposta su un mondo che è un mosaico di gruppi socio-culturali, religioni, lingue e consuetudini. La complessità culturale e l'eterogeneità sociale diventano elementi che spesso ostacolano o quantomeno pongono difficoltà alla costruzione di una solida unità nazionale sui confini imposti dopo gli accordi di Sykes-Picot. Anche per questo lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi trova consenso e spazio d'azione. Egli infatti parla con un altro linguaggio, riporta in vita territori e geografie che riaccendono sentimenti di appartenenza e identità nei cuori arabi. Inoltre allarga il proprio consenso sociale ponendo come base di riconoscimento non il gruppo sociale o la cittadinanza, ma la religione islamica, che unisce arabi, persiani, turchi, kurdi e via dicendo. A rimetterci sono le minoranze religiose (cristiani, ebrei, musulmani sciiti). 93 Turco, Verso una teoria geografica della complessità. 60 Il giornalista Robin Wright affermava nel 2013 che in Medio Oriente94 “una mappatura differente sarebbe un elemento di svolta strategica praticamente per tutti, capace potenzialmente di riconfigurare alleanze, le sfide legate alla sicurezza, i commerci e i flussi di energia per gran parte del mondo” 95. La figura 7 immagina un nuovo tipo di suddivisione amministrativa all'interno dello scacchiere mediorientale. Dai cinque stati attuali (Libia, Siria, Iraq, Arabia Saudita e Yemen) si arriverebbe a quattordici nuove entità territoriali. In particolare, rimpiccolendo la scala sull'area di nostro interesse, avremmo una Siria divisa in tre: una zona di influenza alawita, cioè abitata dagli appartenenti a tale gruppo sciita, di cui fa parte anche l'attuale leader siriano Bashar alAssad; una seconda zona denominata Kurdistan, abitata quindi dalla popolazione kurda, che si allarga fino all'Iraq settentrionale; infine il “Sunnistan”, Fig. 7 - La nuova ipotetica divisione del Medio Oriente (fonte: Limes - Le maschere del Califfo) 94 La stessa espressione "Medio Oriente" rispecchia una certa logica eterocentrata e quindi non esente dalle critiche di cui sopra. L'origine della definizione risale alla divisione del mondo asiatico operata dalla Gran Bretagna durante il suo dominio coloniale: “Vicino Oriente” per i territori ottomani, dal Marocco alla Turchia; “Medio Oriente” per i territori dalla Persia all'India; “Lontano Oriente” per tutto ciò che si estendeva ancora più a est. 95 Wright, Imagining a Remapped Middle East. 61 cioè lo stato dei musulmani sunniti che scende ad occupare buona parte dell'attuale Iraq rimanendo distinto dallo “Sciistan” che probabilmente si fonderebbe coi territori iraniani. Se confrontassimo tale carta con una carta delle aree occupate dallo Stato Islamico, potremmo osservare che è proprio nella zona del cosiddetto “Sunnistan” che esso ha costruito buona parte del suo dominio. Si potrebbe discutere sulla ragionevolezza di tale divisione, cercando di capire se l'analisi di Wright sia effettivamente valida e se ri-cartografare il Medio Oriente possa essere effettivamente un'alternativa plausibile per combattere e annientare la minaccia del Califfato e del terrorismo in generale, trovando quindi una via per la pace e la stabilità. La carta pensata da Wright cerca di conciliare le necessità di autonomia di ciascun gruppo, evitando di creare nazioni eterogenee e cercando invece di dividere i territori in base a discriminanti etnico-religiose. Pare quindi essere una divisione più mediata rispetto agli attuali stati nazionali imposti nel passato, un ridisegnare la terra tentando di riconoscere i vari bisogni di ognuno. Ma quella attuata agli inizi del XX secolo da Francia e Gran Bretagna e questa proposta da Wright rimangono comunque soluzioni eterocentrate, soluzioni imposte/proposte ad un Medio Oriente visto come incapace di scegliersi il meglio per sé. Anche qui ritorna il ragionamento di Said su come tendiamo a costruire l'altro in contrapposizione a ciò che noi pensiamo di essere: ci identifichiamo in un Occidente civile, democratico, politicamente stabile, per sottolineare e creare l'alterità di un Medio Oriente incapace di auto-dirigersi. Non contenti di questo, ci sentiamo incaricati di una missione pedagogica che riveli agli altri la corretta via all'autodeterminazione. Tornando alle riflessioni di Wright, dividere e distinguere questi gruppi etnicoreligiosi è la strada più adeguata? Tale divisione non lascia fuori o spezza gli equilibri di altri gruppi, di altri elementi che non sono stati presi in considerazione? Ancora più a monte, una divisione per stati nazionali alla maniera occidentale, con un'area definita e confini ben delineati, è la soluzione migliore per quei popoli? 62 Sono domande a cui non è facile dare risposta. Ma a volte, più che nelle risposte, l'importanza sta nelle domande stesse. Porsi tali questioni significa avere la volontà di andare a fondo della problematica, significa aver compreso che una logica territoriale e un ordinamento che possa funzionare non possono nascere dal tavolo di uno studio, ma devono essere l'esito di un progetto condiviso anche da chi lo deve vivere, altrimenti “l'ordinamento della territorialità sarà costruito e determinato dall'attore dominante, spesso con un semplice processo di riproduzione automatica”96. L'ordinamento deve invece nascere attraverso la discussione, il dibattito costruttivo tra i vari attori che su quel territorio muoveranno le loro relazioni sociali. Solo così si potrà raggiungere una maggiormente condivisa identità territoriale, una più efficace capacità di riconoscersi nel proprio ordinamento territoriale. 4.8 Identificarsi, non identificarsi, identificarsi contro Identificarsi con un luogo significa avere “la sensazione di appartenere a quel luogo”97. In questo contesto entrano in gioco i sentimenti personali che vanno a costituire il sense of place, il senso del luogo, cioè il modo in cui esso viene da noi sentito e pensato. È facile immaginare, perché probabilmente parte dell'esperienza personale di ciascuno, come un luogo possa anche essere percepito come irrilevante ai fini del proprio senso di sé, oppure come ognuno possa costruire la propria identità mettendosi in contrapposizione ad un determinato luogo. In questi ultimi casi non ci sentiremo parte di tale luogo, non ci identificheremo con esso e con l'ordinamento che esso porta con sé o, anzi, ci identificheremo contro. Questa eventualità è frequente in quei contesti in cui l'ordinamento è stato imposto: difficile identificarsi in un luogo che non si sente proprio, che ci si è visti calare dall'alto. Questo è proprio quello che è accaduto nel nostro caso di studio, in Siria, in 96 Pase, Linee sulla terra, p. 55. 97 Massey – Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, p. 67. 63 Iraq e più in generale in Medio Oriente. Ed è in queste situazioni che gli attori che non si riconoscono parte del territorio possono cercare di mantenere attive “opzioni diverse, connessioni alternative”98, ovvero le trasgressioni di cui si parlava all'inizio di questo capitolo. La trasgressione operata dallo Stato Islamico, cioè il dichiarato decadimento del confine nazionale tra Siria ed Iraq e la conseguente formazione di un nuovo ordinamento con la creazione del Califfato, trova legittimità e consenso tra i suoi sostenitori anche a causa del sentimento di opposizione e non rappresentazione nei confronti del precedente confine. Ora, non è detto che si sia arrivati ad un punto definitivo da cui non si potrà più trasgredire: il flusso delle trasformazioni, infatti, è proprio ciò che dà linfa alle trasgressioni. Ogni volta che si pone un nuovo limite, un nuovo ordinamento, si crea una serie di nuove possibili trasgressioni: “La trasgressione anzi appare connaturata con l'idea stessa di limite”99. 98 Pase, Linee sulla terra, p. 62. 99 Ibidem. 64 Conclusione Abbiamo provato ad ipotizzare i fattori di spinta che hanno condotto lo Stato Islamico a cercare di eliminare il confine nazionale tra Siria e Iraq, trasgredendo e abolendo l'ordinamento stabilito dagli accordi di Sykes-Picot nel 1916, e ad imporre un nuovo ordine territoriale, la cui norma si riassume nella totale sottomissione al Califfato islamico. Il primo capitolo ci ha introdotto alla comprensione del confine non solo in quanto linea di demarcazione e divisione tra un interno-esterno, bensì come luogo frutto di relazioni di potere ed esso stesso creatore di relazioni. Nel secondo capitolo abbiamo osservato nello specifico il confine tra Siria e Iraq nei momenti immediatamente precedenti alla sua creazione, o meglio, alla creazione di quello che poi, in seguito ad altre minori trasformazioni, diventerà l'attuale limite nazionale. Si è quindi analizzato il volere delle due parti, quella occidentale e quello araba, prima di creare l'ordinamento, le trattative che sono state portate avanti in segreto tra Gran Bretagna e Francia ed infine l'ufficializzazione dell'effettiva imposizione occidentale, legittimata dall'affidamento mandatario da parte della Società delle Nazioni. Già a questo punto la relazione di potere asimmetrica è divenuta evidente. Con il terzo capitolo siamo entrati nel cuore del Califfato islamico, conoscendone le origini, la storia, il credo, gli obiettivi, l'organizzazione ed infine, nel quarto capitolo, abbiamo analizzato che tipo di ordinamento ha imposto lo Stato Islamico e per quale motivo. Il Califfato ha dunque concretamente elaborato e attuato una strategia di controllo del territorio che si basa sul riconoscimento di una generale e particolare identità musulmana. Generale perché riconosce come parte della umma ogni musulmano, indipendentemente dal gruppo etnico di riferimento (arabo, persiano, kurdo, …); ma allo stesso tempo particolare perché non viene considerato musulmano ogni islamico che si dichiari tale, ma solo colui che si sottomette ad Abu Bakr al-Baghdadi. 65 La creazione di questo nuovo stato ci pone di fronte a due riflessioni. Innanzitutto dobbiamo tentare di mettere da parte il nostro etnocentrismo, cioè cercare di superare i nostri preconcetti e le nostre categorie: la nostra idea di Stato è quella occidentale dello Stato-nazione, cioè di un'entità che esercita sovranità su un territorio definito da confini lineari, all'interno del quale vive un popolo che condivide lingua, cultura, storia, ecc.; lo Stato Islamico non rappresenta questa idea: ha certamente delle caratteristiche e delle peculiarità che lo accomunano al paradigma statale occidentale, ma esso fonda la propria sovranità su un territorio in continua ideale espansione, senza confini, e su un popolo che non deve condividere altro se non il credo in un unico dio, “Il Dio” (Allah), e il messaggio del suo profeta Muhammad. Nonostante non sia totalmente assimilabile al nostro modello di Stato, non significa che la sua concretezza geografica e politica non abbia consistenza. Questo ci porta alla seconda considerazione. Lo Stato Islamico è una realtà geografica in evoluzione e ad oggi, settembre 2015, ufficialmente in vita da più di un anno: possiamo quindi affermare che purtroppo non si è rivelata una minaccia facilmente risolvibile, anzi. Il Califfato si è rapidamente concretizzato sullo scacchiere internazionale e non è detto che in un futuro, prossimo o remoto che sia, non saremo costretti a confrontarci con esso in altri termini che non siano quelli militari. A questo punto verrebbe da domandarsi quali siano le nostre responsabilità; quali siano, se ci sono, le responsabilità dell'Occidente nella nascita di questa nuova minaccia salafita e quali siano le mancanze nell'affrontarla. Sicuramente, ad un primo esame, non ne usciremmo indenni. Al di là del passato da dominatori (abbiamo visto nel secondo capitolo le vicende storiche che legano Iraq e Siria a Regno Unito e Francia), anche gli accadimenti recenti hanno visto un Occidente (questa volta Stati Uniti in primis) dimostrare un'endemica volontà di ingerenza negli affari del Medio Oriente. Certo, si potrà obiettare che la sua frequente instabilità politica sia stata e sia una minaccia che ha reso necessari tali interventi. Essi, tuttavia, non si sono mai rivelati determinanti nel risolvimento delle problematiche, anzi, spesso 66 hanno contribuito a rendere il quadro ancora più caotico ed instabile. Con tali precedenti diventa più arduo il compito di affrontare lo Stato Islamico, diventa più aspro il dibattito su come farlo e diventa più fragile la credibilità occidentale. A ciò si aggiunga che l'imprevedibile dinamicità politica del Califfato, il suo essere in perpetuo divenire e in costante evoluzione, rendono necessario un continuo aggiornamento delle osservazioni e delle riflessioni su di esso, anche di quelle proposte in questo lavoro. Riprendendo quanto affermato nell'introduzione al presente studio, dovremo quindi aspettare il quietarsi degli eventi per avere un giudizio storico scevro di eventualità e barcollanti ipotesi. 67 Bibliografia AIME Marco – PAPOTTI Davide, L'altro e l'altrove – Antropologia, geografia e turismo, Torino, Einaudi, 2012. BARR James, A Line in the Sand – Britain, France and the Struggle for the Mastery of the Middle East, Londra, Simon & Schuster, 2011. BLACK Jeremy, Le guerre nel mondo contemporaneo, Bologna, Società editrice il Mulino, 2006. BOROLI Achille – BOROLI Adolfo, Il Milione – Enciclopedia di tutti i paesi del mondo, vol. 6, ASIA – Stati del Sud-Ovest, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1985. JESS Pat – MASSEY Doreen (a cura di), Luoghi, culture e globalizzazione, Torino, UTET Libreria, 2001. MOLINARI Maurizio, Il Califfato del terrore – Perché lo Stato Islamico minaccia l'Occidente, Milano, Rizzoli Editore, 2015. NAPOLEONI Loretta, ISIS. Lo stato del terrore. Chi sono e cosa vogliono le milizie islamiche che minacciano il mondo, Milano, Feltrinelli Editore, 2014. NEGRI Alberto, Lo Stato Islamico visto da vicino, Limes – Rivista italiana di geopolitica, n. 9/2014 “Le maschere del califfo”, p. 39-48. PASE Andrea, Linee sulla terra – Confini politici e limiti fondiari in Africa subsahariana, Roma, Carocci Editore, 2011. 69 QUIRICO Domenico, Il grande califfato, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2015. RAFFESTIN Claude, Per una geografia del potere, Milano, Unicopli, 1981. ROMERO Federico, Storia internazionale dell'età contemporanea, Roma, Carocci Editore, 2012. SAID Edward, Orientalismo, Milano, Feltrinelli, 1999. SACCONE Carlo, I percorsi dell'Islam – Dall'esilio di Ismaele alla rivolta dei nostri giorni, Padova, Messaggero di Sant'Antonio – Editrice, 2003. TURCO Angelo, Verso una teoria geografica della complessità, Milano, Unicopli, 1988. ZANINI Piero, Significati del confine – I limiti naturali, storici, mentali, Milano, Bruno Mondadori, 1997. 70 Sitografia Tutti i siti internet sono stati visitati per l'ultima volta in data 26 settembre 2015. La sitografia è in ordine alfabetico per cognome dell'autore delle pubblicazioni. Per le pubblicazioni che non segnalavano l'autore si è scelto di inserire il link in fondo alla lista, indicando le informazioni note. ANATI Emmanuel, L’epoca dei sogni - Realtà esistenziale e realtà del sogno nella società aborigena dell’Australia, "Scienza e piscoanalisi", 01/05/2005, <http://www.psicoanalisi.it/etnopsicoanalisi/4566#.VgV0IMvtmkp>. BELARDELLI Giulia, Anatomia del califfato: al-Baghdadi, 2 vice, 24 governatori e un comitato religioso. Ecco come funziona l'Isis, "L'Huffington Post", 19/09/2014, <http://www.huffingtonpost.it/2014/09/19/anatomia-del-califfato_n_5849140.html>. BLACK Ian, The Islamic State: is it Isis, Isil – or possibly Daesh?, "The Guardian", 21/09/2014, <http://www.theguardian.com/world/shortcuts/2014/sep/21/islamic-state-isis-isildaesh>. CHULOV Martin, Abu Bakr al-Baghdadi emerges from shadows to rally Islamist followers, “The Guardian”, 06/07/2014, <http://www.theguardian.com/world/2014/jul/06/abu-bakr-al-baghdadi-isis>. COMPASSO Ivan, Nel Kurdistan siriano liberato dall'IS, “La Repubblica”, 71 13/08/2015, <http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/repit/2015/08/13/news/reportage_siria_barbarie_is-120874113/>. LISTER Tim, ISIS: The first terror group to build an Islamic state?, “CNN”, 13/07/2014, <http://edition.cnn.com/2014/06/12/world/meast/who-is-the-isis/index.html?hpt=imi_t4>. MILMO Cahal, Iraq crisis exclusive: Isis jihadists using World Cup and Premier League hashtags to promote extremist propaganda on Twitter, “The Independent”, 22/06/2014, <http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/iraq-crisis-exclusive-isisjihadists-using-world-cup-and-premier-league-hashtags-to-promote-extremistpropaganda-on-twitter-9555167.html>. ROGGIO Bill, The Rump Islamic Emirate of Iraq, “The Long War Journal”, 16/10/2006, <http://www.longwarjournal.org/archives/2006/10/the_rump_islamic_emi.php#>. TAYLOR Adam, Charting the murky leadership structure of the Islamic State, “The Washington Post”, 30/10/2014, <https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2014/10/30/charting-themurky-leadership-structure-of-the-islamic-state/>. THOMPSON Mark, U.S. Military Plan For Looming ISIS Offensive Takes Shape, “TIME”, 26/02/2015, <http://time.com/3722740/isis-islamic-state-military/>. 72 WRIGHT Robin, Imagining a Remapped Middle East, “The New York Times”, 28/09/2013, <http://www.nytimes.com/2013/09/29/opinion/sunday/imagining-a-remapped-middleeast.html?pagewanted=all&_r=0>. ZOJA Federica, Il gran muftì d'Egitto: "Violati tutti i principi dell'Islam", “Avvenire”, 13/08/2014, <http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Il%20gran%20muft%20dEgitto%20%20Violati %20tutti%20i%20principi%20dellislam%20.aspx>. AL ARABIYA NEWS, "ISIS is enemy No. 1 of Islam" says Saudi grand mufti, “Al Arabiya News, 19/08/2014, <http://english.alarabiya.net/en/News/middle-east/2014/08/19/Saudi-mufti-ISIS-isenemy-No-1-of-Islam-.html>. CORRIERE DELLA SERA, Lega Araba, "tutti uniti contro l'ISIS", “Il Corriere della Sera”, 08/09/2014, <http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Esteri/Lega-Araba-uniti-Isis/08-09-2014/1A_014579258.shtml>. INTERNAZIONALE, Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante proclama il califfato, “Internazionale”, 30/06/2014, <http://archivio.internazionale.it/news/iraq/2014/06/30/lo-stato-islamico-delliraq-e-dellevante-proclama-il-califfato>. RADIO VATICANA, Organizzazione dei Paesi Islamici difende i cristiani di Mosul, “Radio Vaticana”, 22/07/2014, 73 <http://it.radiovaticana.va/news/2014/07/22/organizzazione_paesi_islamici_difende_cri stiani_a_mosul/1103212>. RQUOTIDIANO, Iraq, il califfo integralista al-Baghdadi: “Conquisteremo Roma e il mondo intero”, “Il Fatto Quotidiano”, 02/07/2014, <http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/02/iraq-lultima-minaccia-di-al-baghdadiconquisteremo-roma-e-il-mondo-intero/1047631/#1x1>. 74