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1 “Marte...” La signora Susanna Capestrano
1 “Marte...” La signora Susanna Capestrano-Marmore rimase con l’uncinetto a mezz’aria, aspettando che il figlio staccasse gli occhi dal libro che stava leggendo. “Marte, io non sono eterna.” “Anche se stento a crederlo, lo so, mamma.” Il giovane, infilato l’indice fra le pagine di Eros e Agàpe, le sorrise e si dispose, a giudicare dallo sguardo, a sostenere un duro scontro. “E io sono vecchio, anche questo lo so: quando il sole era in Toro, ho già compiuto ventitré anni. Alla mia età, lo so, molte alme di eroi sono già state, anzitempo, travolte all’Orco. Mentre io . . . dormo ancora nella stanza dei bambini.” “Tranne che tu non sei, se dio vuole, un eroe — ma quello che stavo per dirti è, appunto, che non sei neppure più un ragazzo. E io ho bisogno di una stanza per . . . di una stanza in più.” “Questo è, dunque, un avviso di sfratto?” “In certo qual modo... se vuoi metterla giù dura... beh, sì. Ma c’è parecchio tempo ancora in mezzo. Per adesso ci adattiamo. Poi partiamo per un viaggio, una crociera nei Caraibi, e sarò di ritorno solo dopo le feste di Natale. Poi, se tutto va bene, si vedrà.” “Appunto: chi vivrà. Quanti ne abbiamo, oggi?” “Oggi è il 15 settembre.” E, con un sorriso calcato, soggiunse: “Del 1993. Ci sarebbero le tre sorelle Fiermonte-Venustas. Cioè, una delle tre ti potrebbe andar bene.” 9 PIER FRANCESCO PAOLINI Martino si era riimmerso nella lettura. Senza staccare gli occhi dalla pagina, disse: “Benissimo, credo... a pennello... l’una o l’altra delle tre, secondo babbo.” “Sono tutte e tre carine, mi risulta, il loro padre dice: molto belle... ma è uno che esagera sempre, in materia... anche nei miei riguardi... e, quel che più conta, molto ricche — da parte di madre. Perché, Marte, tu sei uno che non sapresti vivere senza una donna che, metaforicamente parlando, ti rincalza le coperte.” “No, mamma. Pare solo che siano, quale più, quale meno, un po’ strabiche.” “Leggerissimamente. E il loro padre dice, con i tempi che corrono, illibate. Lo era anche Venere, no?” “Illibata?” “Potresti pure avere la cortesia di innamorarti — no? Di una, almeno.” “Sì, mamma.” Poi, dopo un breve silenzio, lesse ad alta voce da Eros e Agàpe di Gianfranco Morra: “‘Secondo Pascal, noi di tutto possiamo dire le ragioni, ma non del perché amiamo: sarebbe ridicolo. Ma oggi il sesso ha sottomesso l’amore: sì che non è più l’amore che si esprime nella sessualità ma è da questa che dovrebbe scaturire quello’ dice qui. Mi segui? ‘Ne consegue che il sesso non solo uccide l’amore, ma alla fine si suicida.’ Come nell’Impero dei sensi. L’hai visto, quel film giapponese? ‘Secondo il teologo luterano Nygren, eros (l’amore che Platone ha definito nel Convivio) e agàpe (l’amore cristiano, la charitas) sono inconfondibili e inassimilabili. Secondo altri pensatori, essi, viceversa, possono conciliarsi benissimo. Non per nulla Sant’Agostino ha detto: Ama et fac quod vis.’ Che te ne pare?” “Bella roba! Ama e fa’ ciò che ti pare.” Le furie della signora Susanna Capestrano-Marmore agitavano, ora, soltanto l’uncinetto. “È perché . . . è perché il dottor Jovine dice che non sei abbastanza aggressivo.” 10 IL GIOCO DELLE TRE DONNE “Una seduta o l’altra il dottor Jovine, mi sa” Martino lasciò perdere il libro e squadernarsi sul tappeto, digrignando, “lo dovrà verificare di persona.” “Il guaio è che tu sei troppo suggestionabile. Ti lasci suggestionare dal primo che càpita. Suggerire non solo le mosse, ma anche i pensieri. Questo è il guaio con te – uno dei tanti – figlio mio.” Sua madre distolse lo sguardo e lo posò sul grosso gatto nero che faceva le fusa acciambellato intorno alla teiera. Agli amici più volte aveva detto: «È una gatta, ma l’abbiamo scoperto solo molto tempo dopo averle messo questo nome maschile, Tarakan.») poi, dopo esser sembrata riflettere, disse: “Se però le sorelle Fiermonte-Venustas risultassero non andar bene per te, Marte, potresti ripiegare sulla Minni Tatariàn. Ha qualche anno più di te, ma ne dimostra dieci meno di quanti ne ha. E una donna matura supplirebbe, figlio mio, alla tua immaturità — egregiamente. Senza contare che è la candidata prediletta di Marcello, e non va messo in dubbio che questo tuo padre ha buon fiuto negli affari – come stanno a dimostrare due dei suoi tre o quattro matrimonii – oltre che un grande acume politico.” “Che gli ha consentito di abiurare, ad uno ad uno, tutti gli ideali in cui, in fondo, non aveva comunque mai creduto; e di farsi pietosamente beffe di tanti colleghi sepolti sotto i calcinacci del Muro di Berlino.” “Senza contare inoltre che, se sposassi la bella Tatarina, potresti trovare uno sbocco adeguato alla tua fantasia, ai tuoi estri, alla tua intelligenza. Fra lei e suo padre potrebbero aprirti la porta cocchiera del Teatro Italiano o quella di servizio della Televisione. Potresti metterti insomma a scrivere o a recitare — visto che non hai alcuna propensione per qualcosa di più serio, dopo tre facoltà intraprese e non concluse.” “Due soltanto.” “Quanti esami ti mancano, stavolta?” 11 PIER FRANCESCO PAOLINI “Sette. No, cinque o sei. Ma sono stato bocciato già due volte in Diritto Canonico. Sì, far l’attore non mi dispiacerebbe.” “Bello come sei, sulle scene faresti un figurone, o meglio ancora sullo schermo.” “Senza contare che Minerva mi piace moltissimo.” “E, quello che più conta, tu le piaci — lo ha fatto capire a Marcello Novello.” “Non solo, ma anche l’ammiro e la stimo. Ho visto questa sua commedia, La nemica dell’Amore, al Teatro Valle, e l’ho trovata molto divertente. E anche quelle porcherie che scrive per la tivù hanno il loro lato buono. Un lato capriccioso.” “La Tivù sarebbe buona a far scrivere porcherie anche a Tolstoj... anche a Dickens — parecchio peggiori di certe che ha effettivamente scritto. Comunque, Martino, l’importante... qualunque donna sceglierai per moglie... l’importante è che sia di tuo gusto.” “Oh, a me basta che tu la consideri tale. Cioè, mi fido più dei tuoi che non dei miei gusti.” “A proposito... perché non vai a trovare Giuditta, la tua balia? Quanto tempo è che non la vedi?” “Oh, saranno dieci anni, forse otto, forse cinque.” “Dopo tanto, ho parlato con lei per telefono, giorni fa. Mi ha chiamata, dal Brugnetto, per sapere come stavo — dopo tanto. Le ho detto che sei bello come eri da bambino, e forse anche più bello. E lei è di quelle che restano belle – come me – oltre la sessantina, e ha solo poco più di quarant’anni. Ha un desiderio smisurato, ha detto, di rivederti. Dopo dieci anni. Dieci, esattamente. Tu le devi due volte la vita.” “Sai che non me la ricordo? Il suo aspetto, cioè. La fisionomia. Voglio dire, un altro viso si è sovrapposto al suo... un ritratto si è come sovrimpresso all’immagine sua 12 IL GIOCO DELLE TRE DONNE vera . . . e l’ha come cancellata. E quando penso a lei – oh, abbastanza spesso – non riesco che a vedere la Madonna di Senigallia.” “Valla a trovare, le farai piacere.” “Oh, sì, ci voglio andare. Ma davvero ...” Entrò, esile esile, la signora Vassalla a chiedere a che ora volessero pranzare. “Alla solita ora.” “A un’ora qualsiasi.” La signora Vassalla uscì. La signora Susanna disse: “Tutti i giorni la stessa domanda. E magari consistesse solo in questo, la sua rompiballeria. Ma cosa vuoi! Non so come licenziarla. O meglio, me ne manca il coraggio.” “Non è da te.” Quindi Martino seguitò: “Ma davvero le somiglia? Ha quella faccia tonda, più che ovale, un poco piatta, tratti poco marcati, da contadinotta, quegli occhi pesanti... trovi che le somigli?” “Oh! non sono una per le somiglianze, io. Pensa che persino te mi sembri me, sputato, come ero nella Bella Elena... nel ’55 o giù di lì, mentre invece tutti dicono che, sì, mi somigli, ma non a tal punto. Ah! mi ha detto che il marito, un certo Orlando Giovanardi, o Zelindo, il padre putativo della Odda, una sera esce di casa, tre anni fa, per andare a comprare le sigarette, o che, e non si è più fatto vivo, né mai trovare morto. Le ha lasciato un discreto conto in banca – il veterinario – che si va prosciugando però. E l’erboristeria non rende niente. Rende poco. E quel poco le basta, mi ha detto. Ma dovremmo aiutarla, in qualche modo. Ah! quasi dimenticavo. C’è tuo padre che, dice, ha da parlarti. Mi ha telefonato l’altra sera. Dice che è importante. Mi stai a sentire, Martino? Tuo padre vuol vederti — urgentemente.” “Quale di loro?” 13 PIER FRANCESCO PAOLINI 2 Il cavalier Tiziano Marmore appariva di umore rimuginoso. Disse, senza finire di dire, tra i denti, a suo figlio: “A vedermi, nessuno lo direbbe. Ma sono sull’orlo della bancarotta — e se questo viaggio va a vuoto . . .” Il treno filava, veloce, tra sventaglianti assidui chiaroscuri di luce e di fragore – dentro e fuori di quelle gallerie, via l’una l’altra, fitte, uggiosamente – e Martino lo lasciò filare fin oltre Orte, quando alfine l’alterno tormento ebbe termine, e il ritmo divenne uniforme, riposante. Allora domandò: “E che cosa dovrebbe non andar a vuoto, a Milano? Credevo, babbo, che fosse soltanto la mostra di Matisse e la Semiramide con Lucia Valentini-Terrani alla Scala — lo scopo evidente del viaggio.” “Ti dirò. Ma mi raccomando: non ti scappasse detto nulla... men che meno con tua madre. Tienti il cece.” Martino attese. Dopo un po’, il suo compagno di viaggio sbottò, all’improvviso: “Tu non ti rendi conto mai di niente. Tutto ti passa, a te, sopra la testa. Mi sai dire che aiuto potrei aspettarmi, da te, in caso di . . . in caso di bisogno? Scusami, Mars, è solo l’umor nero che mi rende così di malumore. Così ingiusto, ingrato pure. Non ho niente contro di te, figliolo, niente, assolutamente. Passerà. Ma, come ti stavo dicendo . . . Ah! le giornate sono troppo fitte! Si susseguono, l’una dopo l’altra, attaccate le une alle altre, inesorabilmente, mentre invece dovrebbero esserci, ogni tanto degli spazi, dei vuoti, delle tessere di cotto.” “Ma ci sono delle pillole, le sbornie, dei momenti di abbandono, di relax, le mostre di Matisse, le caccie alla volpe, le malattie. Ci sono le vacanze. Quali tessere di cotto?” 14