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Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Tahar Ben Jelloun
È QUESTO L’ISLAM
CHE FA PAURA
Traduzione di Anna Maria Lorusso
BOMPIANI
© 2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano
ISBN 978-88-452-7961-4
Prima edizione Bompiani febbraio 2015
PREFAZIONE
Solitudine dell’intellettuale di cultura
musulmana che si trova a dover scegliere
fra la sua libertà di coscienza di cui gode
in Francia, e l’appartenenza alla Umma
islamica che non gli permette di esercitare
la sua libertà
Tutto ciò che riguarda l’islam è ormai
tragico. L’islam è dunque così vulnerabile?
La minima divergenza può far venir fuori
folle di fanatici, isterici, che bruciano bandiere ed effgi dei capi di Stato europei!
Verrebbe da dire: “Calmatevi!, è solo
un disegno! E il profeta non sta in questa
caricatura, perché il profeta è uno Spirito, superiore, impossibile da percepire coi
sensi, impossibile da rappresentare in tutta la sua bellezza e il suo umorismo. Non
riducete il profeta a questo livello!”
Ma questo discorso non è fattibile. La
Umma si impone a tutti i musulmani, i
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buoni e i cattivi. Non ci si può sottrarre.
Si nasce musulmani, si muore musulmani. Lasciare l’islam è una rottura che costa
cara. Alla fne del percorso c’è l’apostasia.
Anche se sulla Terra non è prevista punizione, gli Stati musulmani non fanno altro
che pronunciare condanne a morte, o indegnità civica.
Del resto la caratteristica dei folli è di
essere sordi e ciechi.
Un giorno alla fne di una conferenza
all’università di Fès, uno studente si alzò e
mi fece questa domanda:
“Lei crede in Dio?”
Mi presi un momento di silenzio e risposi:
“È una domanda indiscreta; non sono
tenuto a risponderle.”
Si sollevò un vocio agitato nell’anfteatro. Capii che mi trovavo davanti a un tribunale estemporaneo.
Parlai del principio di libertà di coscienza, del diritto di vivere in privato la
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propria fede o mancanza di fede, la libertà
di scegliere la propria vita e la propria solitudine.
Fatica sprecata. Questo discorso andava a battere contro numerosi muri, e resistenti. Inascoltabile. Inaccettabile.
Qualcuno urlò:
“Sei ateo e non osi confessarlo.”
“Non mi incastrerete in questa trappola. Rivendico la mia libertà di tenere per me
la mia vita religiosa e non condividerla.”
Urla e fschi nella sala. Era fatta... Il
preside mi fece uscire da una porta secondaria e mi fece lasciare Fès, la mia città natale, la sera stessa.
Questo incidente risale a parecchio
tempo fa. La considero la prima manifestazione di intolleranza religiosa del Marocco. Era il 1977!
Da allora non ho mai smesso di rifettere sull’islam, di interrogarlo, di leggere
i suoi testi e i suoi commenti. Tanto sono
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emozionato e colpito dalla bellezza del testo coranico, quanto tremo di paura leggendo certi versetti a proposito delle punizioni riservate ai non credenti, a coloro
che dubitano e che sono politeisti.
È stato mio padre a liberarmi da queste paure: si preoccupava che non praticassi in modo costante questo islam onnipresente.
Mi disse: “Non devi rendere conto a
nessuno su questa Terra. Sei responsabile
dei tuoi atti davanti a Dio. Se fai dal male, ti
ritroverai il male; se fai del bene, ti ritroverai il bene. L’importante è avere dignità, essere onesti, giusti, rispettare la parola data,
rispettare i genitori, gli insegnanti, essere
retti, solidali, fraterni. Sul resto, vedrai. Dio
è molto grande nella sua misericordia.”
Nonostante tutto, in questi ultimi
trent’anni, l’islam è diventato uno degli attori più importanti della vita politica e sociale della Francia e anche dell’Europa.
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Ho scoperto con la laicità un campo di
libertà che non esiste in nessun paese musulmano (neanche in Turchia, paese laico in teoria ma che lo è nei fatti sempre
meno). Questo valore è un segno di civiltà.
La separazione tra Stato e Chiesa, tra Stato
e Sinagoga, tra Stato e Moschea non è negativa. Al contrario, è un segno di rispetto
verso tutte le religioni.
Ma l’islam fa fatica ad accettare la laicità. Certi musulmani l’accettano, altri non
capiscono il senso di questa separazione.
La laicità implica la libertà di espressione. A partire da questo postulato, non
c’è limite a questa parola. Che la cosa ci
piaccia o meno, dobbiamo ammettere che
coloro che si esprimono a parole, con disegni, caricature, poesie, sono persone libere, assolutamente libere.
È diffcile far accettare questo postulato: la libertà di espressione è totale. I milioni di immigrati che lavorano in Europa
non sono abituati a vedere e a sentire dei
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blasfemi. Non fa parte della loro cultura.
I cristiani o gli ebrei, invece, se incontrano un blasfemo, non ci fanno caso. È a
partire dal momento in cui (30 settembre
2005) il quotidiano danese Jyllands-Posten
ha chiesto a una decina di disegnatori di
fare dei disegni del profeta dei musulmani,
delle caricature il cui obiettivo fosse non
solo provocare reazioni violente ma anche affermare il carattere fondamentale di
questa libertà cui tengono i popoli europei, che la popolazione musulmana, nella
sua maggioranza ha scoperto a sue spese i
danni della libertà di espressione. I disegni
rappresentavano Maometto in un modo
indecente, orribile. Per il mondo musulmano erano degli insulti, un attentato alla
dignità di una persona sacra. Inammissibili. Diffcile per un europeo immaginare
cosa questa iniziativa avrebbe provocato,
come sua reazione, nel mondo musulmano. Molte manifestazioni, molta violenza,
molta incomprensione.
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È allora che la mia solitudine mi si è
rivelata: non mi riconoscevo in queste
persone isteriche; non approvavo la pubblicazione di quelle caricature pur riconoscendo ai loro autori il diritto di farle
e di renderle pubbliche. Per me tutto ciò
avrebbe dovuto essere trattato con indifferenza. Ripeto che il profeta Maometto non
sta in questi disegni: è uno spirito, quello
di un uomo semplice diventato un uomo
eccezionale. Il profeta sfugge a questi disegni. Resta l’idea che uno se ne fa. In questo ognuno è libero di immaginarsi quello
che vuole. Non si può inventare una polizia all’entrata dell’immaginazione di ogni
disegnatore o cronista.
Con la tragedia del 7 gennaio 2015 seguita da quella del 9 gennaio, non si può
più tacere o accontentarsi di dire: “Non
è questo l’islam.” Certo, siamo tutti d’accordo. Ma da dove deriva questo islam
che fa paura, che minaccia, uccide, sgoz-
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