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Notazioni sulle novità della riforma costituzionale riguardo alla
FOCUS RIFORMA COSTITUZIONALE
1 GIUGNO 2016
Notazioni sulle novità della riforma
costituzionale riguardo alla
decretazione d’urgenza e al rinvio
presidenziale delle leggi di
conversione
di Alessandro Morelli
Professore associato di Diritto costituzionale
Università di Catanzaro
Notazioni sulle novità della riforma
costituzionale riguardo alla decretazione
d’urgenza e al rinvio presidenziale delle leggi
di conversione*
di Alessandro Morelli
Professore associato di Diritto costituzionale
Università di Catanzaro
Sommario: 1. Qualche premessa. – 2. La costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione
d’urgenza e le previsioni relative all’esame e all’approvazione delle leggi di conversione. – 3. I
diversi momenti del controllo presidenziale sulla decretazione d’urgenza: l’emanazione del
decreto-legge, l’autorizzazione alla presentazione del disegno di legge di conversione, la
promulgazione e l’eventuale rinvio. – 4. Il rinvio presidenziale e l’incerto ruolo del garante
politico della legalità costituzionale: qualche breve considerazione conclusiva.
1. Qualche premessa
Il procedimento di revisione costituzionale dovrebbe servire, innanzitutto, ad adeguare il testo
della legge fondamentale, pur nel rispetto dei suoi principi supremi intangibili, alle mutevoli
esigenze sociali. Si dice solitamente che la Costituzione – o meglio ogni costituzione – sia fatta
per durare nel tempo; non certo per sempre, giacché, come tutti i prodotti culturali umani, anche
il testo costituzionale probabilmente un giorno sarà accantonato, superato dall’avvento di una
nuova forma ordinamentale, che potrà essere vista come un’evoluzione o come un’involuzione
rispetto a quella precedente. Tuttavia, è communis opinio che i testi costituzionali svolgano anche, e
soprattutto, una funzione stabilizzante e che essi, per la loro posizione e per i loro contenuti,
siano destinati ad avere una durata superiore rispetto a quella delle leggi ordinarie e delle altre
fonti normative di rango sub-costituzionale.
Le revisioni, quando si muovano entro i limiti di uno sviluppo fisiologico dell’ordinamento
(ipotesi che, in verità, non sempre è facilmente accertabile) e non tendano a sovvertire, in modo
più o meno esplicito, l’ordine costituito, appaiono ispirate da esigenze e finalità diverse, sulle quali
Il contributo fa parte del focus di federalismi sulla Riforma costituzionale, ed è pubblicato previa
approvazione di un Comitato di valutazione, come da regole contenute nella presentazione del focus.
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incidono sempre, in un modo o nell’altro, i mutamenti dei contesti fattuali; a volte scaturiscono
da una reazione politica ai mutamenti intervenuti in tali contesti, altre volte tendono a sollecitare
esse stesse ulteriori mutamenti fattuali a fronte di disfunzioni istituzionali che si ritengano
insuperabili con altri mezzi.
La stessa legge fondamentale, già all’atto della sua formulazione, può esprimere visioni differenti
in ordine agli oggetti da essa disciplinati e alla dimensione temporale entro cui si sia inteso
collocare la normazione costituzionale: talora, infatti, si è voluto attribuire alla costituzione il
compito di «descrivere un assetto socioeconomico già in atto», ritenendo che le norme
costituzionali dovessero consacrare «l’essere e non il dover essere della società» e che non potessero o
non dovessero «anticipare l’avvenire»1; talaltra, invece, si è ritenuto che il fine della costituzione
fosse quello di «prendere atto di una realtà sociale già esistente, non tanto per consacrarla in
formule giuridiche quanto, piuttosto, per promuoverne la trasformazione indicando gli obiettivi
da raggiungere e gli strumenti idonei a tale scopo»2. Di qui la distinzione, promossa dalla dottrina
marxista-leninista, tra «costituzioni-programma» e «costituzioni-bilancio»3, distinzione che, come
pure è stato notato, non può mai essere intesa come netta poiché anche le costituzioni-bilancio
dispongono per l’avvenire, benché non indichino i fini fondamentali da raggiungere 4. Da tale
punto di vista, anche le revisioni possono risultare connotate diversamente, a seconda che
intendano semplicemente recepire e razionalizzare soluzioni già adottate da parte della
legislazione ordinaria o della giurisprudenza dei giudici comuni o della Corte costituzionale,
mirando a stabilizzare tali soluzioni per esigenze di garanzia della certezza del diritto, oppure
introducano soluzioni innovative, il cui impatto sull’ordinamento non sempre è facilmente
prevedibile (si pensi, ad esempio, alle disposizioni relative al nuovo Senato, rappresentante delle
«istituzioni territoriali», contenute nel disegno di legge costituzionale oggetto d’analisi).
La costituzionalizzazione di soluzioni precedentemente fatte proprie dalla giurisprudenza nel
silenzio della legge fondamentale, d’altro canto, può avvenire in modi diversi e, in qualche caso,
può dar luogo anche ad esiti applicativi inattesi, considerato che esiste uno scarto mai del tutto
colmabile tra un enunciato interpretativo contenuto in una sentenza (fosse anche della Corte
costituzionale) e una previsione normativa scritta in Costituzione che intenda riprodurre o
T. MARTINES, Prime osservazioni sul tempo nel diritto costituzionale, in Scritti in onore di S. Pugliatti, III, Giuffrè,
Milano 1978, ora in ID., Opere, t. I, Teoria generale, Giuffrè, Milano 2000, 494 s.
2 Ivi, 495.
3 Su tale distinzione, per tutti, C. MORTATI, Costituzione (Dottrine generali), in Enc. dir., XI (1962), 146 ss.
4 Cfr. C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, III ed., UTET, Torino 1976, 190; T. MARTINES, op. cit.,
496, nt. 62.
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recepire il contenuto dell’enunciato giurisprudenziale. A ciò si deve aggiungere che ogni revisione
implica sempre un mutamento del parametro sulla base del quale il Giudice delle leggi sarà
successivamente chiamato a svolgere il proprio sindacato di costituzionalità. Talora, poi, la
revisione intende far fronte a carenze emerse nell’ambito del contenzioso costituzionale, ma
introducendo soluzioni inedite anche per la stessa giurisprudenza della Corte, che potrebbero
determinare effetti imprevedibili in sede attuativa e applicativa del nuovo dettato costituzionale.
Un esempio emblematico di quest’ultima ipotesi è il “recupero” dell’interesse nazionale, limite già
presente nella Carta del ’47, ma in una forma molto diversa da quella nella quale viene richiamato
ora dal nuovo art. 117, comma 4, Cost. introdotto dal disegno di legge costituzionale del
Governo Renzi5.
Fatte queste premesse, che inducono a prospettare con estrema cautela le possibili applicazioni
delle misure presenti nel testo di revisione costituzionale oggetto d’analisi, è possibile trattare le
novità introdotte dalla riforma in merito al procedimento di approvazione e di conversione dei
decreti-legge e alle funzioni di controllo che il Presidente della Repubblica può esercitare sui
decreti stessi e sulle relative leggi di conversione. Si tratta, come subito si dirà, di previsioni che,
in parte, tendono a recepire limiti presenti già nella legislazione ordinaria e fatti valere in diverse
L’interesse nazionale, com’è noto, era previsto come limite di merito per le leggi regionali nella versione
del ’47 ed è stato eliminato dalla legge cost. n. 3/2001. Nel disegno di legge costituzionale del Governo
Renzi, la formula ricompare, ma in una veste totalmente nuova: il nuovo art. 117, comma 4, Cost.
dovrebbe prevedere, infatti, che, «su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie
non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della
Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Come si è sostenuto in altra sede, tale «clausola di
salvaguardia», che pure potrebbe determinare un significativo riaccentramento delle competenze
legislative, potrebbe anche legittimare interpretazioni restrittive delle stesse competenze esclusive del
legislatore statale. La giurisprudenza costituzionale successiva al 2001 sulla ripartizione delle competenze
legislative tra Stato e Regioni e sulla “chiamata in sussidiarietà” si basa, infatti, sul presupposto della
cancellazione del limite dell’interesse nazionale. La stessa lettura di molte delle materie di competenza
esclusiva del legislatore statale come “materie-non materie” o “materie trasversali” si fonda sul medesimo
presupposto, vale adire sull’immanentizzazione dell’interesse nazionale nel nuovo sistema costituzionale delle
competenze legislative e amministrative. Nulla esclude, pertanto, che, nel nuovo quadro costituzionale,
l’esistenza di un apposito strumento atto a legittimare l’intervento a tutto campo del legislatore statale, allo
scopo di far valere l’interesse nazionale, possa costituire un argomento idoneo a supportare letture meno
estensive delle competenze legislative statali da parte della giurisprudenza costituzionale. In altri termini, la
Corte potrebbe anche abbandonare, ove possibile, l’indirizzo delle “materie trasversali” in considerazione
della circostanza che nel loro esercizio non potrebbe più farsi valere l’interesse nazionale immanente,
essendo ora affidata la salvaguardia di quest’ultimo esclusivamente allo strumento previsto dal nuovo art. 117,
comma 4, Cost.; si rinvia, per un maggiore approfondimento della questione, al testo della mia Audizione
alla Commissione parlamentare per le questioni regionali nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo
Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al sistema delle Conferenze, del 23 marzo 2016, consultabile
in Osservatorio costituzionale, 1/2016, 18 aprile 2016. In questo senso cfr. ora anche R. BIN, Sulla riforma
costituzionale. Lettera aperta ai professori di diritto costituzionale che hanno promosso l’appello diffuso il 22 aprile 2016, in
www.astrid-online.it, 5 s.
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occasioni dalla Corte costituzionale e, in parte, introducono alcune novità volte a superare
disfunzioni e patologie da tempo rilevate dalla dottrina.
2. La costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione d’urgenza e le previsioni relative
all’esame e all’approvazione delle leggi di conversione
Per quanto concerne il decreto-legge, il disegno di legge costituzionalizza (con qualche novità),
nel nuovo art. 77, quarto e quinto comma del testo riformato, i limiti previsti dall’art. 15 della
legge n. 400 del 1998, che la Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, aveva già ritenuto
vincolanti nei confronti del Governo legislatore6.
La novella, riguardo a tale ambito, è certamente apprezzabile per le esigenze di garanzia della
certezza del diritto costituzionale, poiché fa chiarezza su alcune questioni controverse,
soprattutto in passato, e assicura stabilità a determinate soluzioni la cui adozione dipende, al
momento, dagli orientamenti, pur sempre mutevoli, dell’organo di giustizia costituzionale.
Non sembra esservi dubbio, in particolare, dopo l’inserimento del limite nella legge
fondamentale, che la previsione (ripresa dalla legge ordinaria dell’‘88) secondo cui il Governo non
può, mediante provvedimenti provvisori con forza di legge, disciplinare le materie indicate
nell’art. 72, quinto comma, Cost. (nel nuovo testo), ponga una riserva di legge; così come la
novella fa chiarezza sul fatto che i suddetti limiti, al pari degli altri ora previsti dalla norma
costituzionale (immediata applicabilità, specificità, omogeneità ed attinenza al titolo), dovranno
ritenersi vincolanti anche nei confronti della legge di conversione del decreto-legge, pena la
violazione del nuovo parametro costituzionale. Quanto a tale ultimo profilo, com’è noto, la stessa
Corte, soprattutto negli ultimi anni, ha chiarito che la mancanza dei presupposti richiesti dall’art.
77 per l’adozione del decreto-legge, una volta intervenuta la conversione, si traducono in vizi in
procedendo della relativa legge 7 . Analogamente ha precisato che la mancanza dei requisiti di
omogeneità e di diretta applicabilità della disciplina contenuta nel decreto-legge è motivo
d’incostituzionalità dello stesso ed è vizio che può essere fatto valere anche nei confronti della
legge di conversione, che non solo non può sanarlo, ma non può nemmeno aggiungere norme
disomogenee nel contenuto a quelle del decreto convertito 8 . Anche tale divieto è ora
Per un quadro di sintesi sulle modifiche introdotte dalla riforma alla disciplina sulla decretazione
d’urgenza cfr. P. VIPIANA, Le modifiche alla disciplina della decretazione d’urgenza, in P. COSTANZO-A.
GIOVANNELLI-L. TRUCCO (a cura di), Forum sul d.d.l. costituzionale “Renzi-Boschi”. Dieci studiosi a confronto,
Torino, 2015, 121 ss.
7 Cfr., in tal senso, soprattutto le sentt. n. 29 del 1995, n. 341 del 2003, n. 171 del 2007, n. 128 del 2008.
8 Cfr. sent. n. 22 del 2012 e ord. n. 34 del 2013; sentt. n. 220 del 2013 e n. 32 del 2014.
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costituzionalizzato nella previsione dell’ultimo comma del nuovo art. 77, a norma del quale «nel
corso dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate
disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto».
La costituzionalizzazione delle previsioni contenute nell’art. 15 della legge n. 400 ha luogo con
qualche novità: quanto alla materia elettorale, si prevede la possibilità, necessitata da esigenze
pratiche, di adottare decreti-legge per la disciplina «dell’organizzazione del procedimento
elettorale e dello svolgimento delle elezioni»; per quanto concerne, invece, il divieto di
reiterazione dei decreti-legge, si adotta il limite più ampio, elaborato già nella sent. n. 360 del 1996
della Corte costituzionale (divieto di «reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in
legge»), piuttosto che quello più ridotto previsto dalla legge n. 400 (divieto di «rinnovare le
disposizioni di decreti legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una
delle due Camere»).
Tali modifiche hanno il merito di collocare finalmente in Costituzione norme sulla produzione
del diritto, per definizione dotate di natura materialmente costituzionale9; d’altro canto, non è
agevole prevedere se esse avranno apprezzabili effetti deflattivi sulla produzione dei decreti-legge.
Al riguardo, occorre anche prendere in considerazione l’introduzione del «procedimento
legislativo a data certa», previsto dal nuovo art. 72, comma 7, Cost., in base al quale il Governo
potrà chiedere alla Camera di deliberare, entro cinque giorni, che un disegno di legge indicato
come «essenziale per l’attuazione del programma di governo» sia iscritto con priorità all’ordine
del giorno e quindi sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera stessa entro settanta
giorni dalla deliberazione. In tal caso, i termini previsti dal terzo comma dell’art. 70 verranno
ridotti della metà e il termine potrà essere differito per non più di quindici giorni, «in relazione ai
tempi di esame da parte della Commissione nonché alla complessità del disegno di legge». Nelle
intenzioni dei riformatori, tale procedimento, assicurando una corsia preferenziale ai disegni di
legge «essenziali» per il programma di governo, risulterebbe alternativo alla decretazione
d’urgenza e, quindi, dovrebbe contribuire a ridurre ulteriormente il ricorso allo strumento del
decreto-legge.
Non è affatto detto però che ciò avvenga, anche per le numerose incognite di tale inedito
procedimento 10 ; decisiva sarà, in questo come in molti altri casi, la disciplina di attuazione,
Cfr. A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, V ed., Torino, 2009, spec. 171 ss.; ID., La
impossibile “omogeneità” di decreti-legge e leggi di conversione, per effetto della immissione in queste ultime di norme di delega
(a prima lettura di Corte cost. n. 237 del 2013), in Forum di Quad. cost., 3 dicembre 2013, 8.
10 Su cui si rinvia ora, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a T. GUARNIER, Rischi e aporie del
procedimento legislativo a data certa, in questa Rivista, Focus Riforma costituzionale, 2 marzo 2016.
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soprattutto quella che dovrà essere introdotta nel regolamento della Camera. Qui si può solo
notare come, non essendo prevista alcuna conseguenza in caso d’infruttuosa decorrenza dei
termini e non essendo stato inserito nel testo di revisione il divieto di porre la fiducia sui disegni
di legge per i quali si attiverà il procedimento a data certa, potranno prospettarsi almeno due
possibili scenari alternativi: tale procedimento potrebbe non trovare alcuna significativa
applicazione o, al contrario, potrebbe essere combinato sistematicamente all’uso della questione
di fiducia, dando legittimazione a prassi mortificanti il dibattito parlamentare, molto simili o
identiche a quelle da tempo consolidatesi sotto il vigore della disciplina costituzionale vigente.
Da notare che il nuovo sesto comma dell’art. 77 prevede, inoltre, una rigida scansione temporale
del procedimento di esame delle leggi di conversione, stabilendo che l’esame sia disposto dal
Senato entro trenta giorni dalla presentazione dei disegni di legge di conversione alla Camera e
che le proposte di modificazione possano essere deliberate entro dieci giorni (anziché trenta) dalla
data di trasmissione dei disegni, che deve avvenire non oltre quaranta giorni dalla presentazione.
In tale quadro occorre adesso analizzare le novità riguardanti i controlli spettanti al Presidente
della Repubblica sulla decretazione d’urgenza.
3. I diversi momenti del controllo presidenziale sulla decretazione d’urgenza:
l’emanazione del decreto-legge, l’autorizzazione alla presentazione del disegno di legge
di conversione, la promulgazione e l’eventuale rinvio
Anche nel sistema delineato dal disegno di revisione costituzionale il Capo dello Stato continuerà
ad intervenire (come avviene oggi) in tre momenti nel procedimento di formazione e di
conversione
del
decreto-legge:
quello
dell’emanazione
del
provvedimento,
quello
dell’autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di legge di conversione e quello
della promulgazione (e dell’eventuale rinvio ex art. 74 Cost.) della stessa legge di conversione.
L’unica modifica introdotta attiene all’ultimo di tali momenti: il nuovo art. 74, comma 2, Cost.
prevede, infatti, che, nel caso in cui la richiesta avanzata dal Presidente di una nuova
deliberazione del Parlamento riguardi la legge di conversione di un decreto-legge, il termine per la
conversione in legge sarà differito di trenta giorni. Il maggior lasso di tempo disponibile dovrebbe
evitare situazioni nelle quali il Presidente si trovi a dover scegliere tra un rinvio che, comportando
di fatto l’impossibilità di riapprovare la legge entro i sessanta giorni di efficacia del decreto,
determinerebbe la decadenza di quest’ultimo (traducendosi, pertanto, in un sostanziale veto) e la
rinuncia all’esercizio del potere di rinvio che l’art. 74 Cost. attribuisce al Capo dello Stato anche in
riferimento alle leggi di conversione dei decreti-legge. In passato, il disagio provato da qualche
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Presidente dinanzi a tale dilemma è stato espresso in promulgazioni accompagnate da comunicati
stampa e da lettere rivolte ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri, in
cui si giustificava il mancato rinvio o addirittura s’invitavano i destinatari a promuovere rapide
modifiche alla disciplina appena varata 11 . Simili episodi, come pure è stato notato, hanno
Riguardo a questi casi di «promulgazione con motivazione», si sono distinte due ipotesi: quella in cui la
motivazione ha inteso indicare le ragioni per le quali il Presidente non ha ritenuto di dover effettuare il
rinvio e quella in cui essa illustrava ragioni che, invece, «avrebbero potuto giustificare il rinvio della legge,
in quanto del tutto simili o analoghe a quelle poste appunto a motivazione di rinvii presidenziali»: così R.
ROMBOLI, Il rinvio delle leggi, in Riv. AIC, 1/2011, 18 gennaio 2011, 10.
Accostando tali messaggi alle pronunce della Corte costituzionale, si è detto che nel primo caso si
riscontrerebbero «motivazioni che esprimono una decisione di inammissibilità, per mancanza dei
presupposti legittimanti il rinvio in quanto il vizio denunciato non è ritenuto sindacabile dal Capo dello
Stato» (ivi, 10 s.). A questa categoria apparterrebbero, ad esempio, la motivazione del Presidente Einaudi
riguardo alla richiesta di rinviare la c.d. legge truffa, nella quale si affermava che sarebbe stato estraneo ai
compiti del Capo dello Stato il sindacato sulle asserite irregolarità verificatesi nell’iter di approvazione della
legge medesima; il comunicato del Quirinale del 27 dicembre 2000, con il quale il Presidente Ciampi intese
precisare che, «in merito a commenti sui tempi di promulgazione della legge finanziaria, che seguono
all’appello su “irregolarità procedurali” che sarebbero avvenute nel corso dell’iter parlamentare, negli
ambienti del Quirinale si fa osservare che, sulla base del nostro ordinamento costituzionale, è inibito al
Presidente della Repubblica di sindacare l’iter parlamentare dei provvedimenti legislativi il quale si
conclude con il “messaggio” del Presidente dell’ultimo dei due rami del Parlamento che ha approvato in
via definitiva il testo legislativo» [su tale comunicato cfr. G. D’AMICO, Ripensando al controllo presidenziale sulle
leggi in sede di promulgazione (a proposito di una nota del Quirinale), in Rass. parl., 2002, 265 ss.]; la motivazione
della promulgazione della legge n. 124 del 2008 (c.d. «lodo Alfano») da parte del Presidente Napolitano,
secondo cui la legge in questione avrebbe rispettato i principi indicati dalla Corte costituzionale nella sent.
n. 24 del 2004 relativa alla legge n. 140 del 2003 (c.d. «lodo Schifani»), che conteneva misure analoghe a
quelle introdotte con la nuova legge. Anche la seconda legge, com’è noto, è stata poi dichiarata illegittima,
con la sent. n. 262 del 2009.
Per quanto riguarda, poi, la seconda ipotesi – quella che in dottrina è stata definita «promulgazione con
motivazione contraria» (da A. RUGGERI, Verso una prassi di leggi promulgate con “motivazione”… contraria?, in
Forum di Quad. cost., 1 luglio 2002) o «promulgazione dissenziente» (da C. DE FIORES, Il rinvio delle leggi tra
principio maggioritario e unità nazionale, in Riv. dir. cost., 2002, 214 ss.) –, ad essa sono riconducibili: la lettera
del Presidente Ciampi del 15 giugno 2002 di accompagnamento alla promulgazione della legge di
conversione del decreto-legge n. 63 del 2002 (recante «Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia
di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici,
adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento
delle infrastrutture»); la lettera del Presidente Napolitano del 15 luglio 2009 di accompagnamento alla
promulgazione della legge n. 94 del 2009 (recante «Disposizioni in materia di pubblica sicurezza»); la
lettera dello stesso Napolitano del 22 maggio 2010 di accompagnamento alla promulgazione del decretolegge n. 40 del 2010 (recante «Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi
fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti ‘caroselli’ e ‘cartiere’, di
potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa
comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno
della domanda in particolari settori»: c.d. «decreto incentivi»); la lettera ancora di Napolitano del 30
dicembre 2010 di accompagnamento alla promulgazione della legge n. 240 del 2010 (recante «Norme in
materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al
Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario»): cfr. R. ROMBOLI, Il rinvio delle
leggi, cit., 11 ss.; per un’analisi dettagliata di tali rinvii cfr. I. PELLINZONE, Contributo allo studio sul rinvio
presidenziale delle leggi, Milano, 2011, spec. 259 ss., della quale si v. anche, con riguardo alle questioni poste
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indebolito sensibilmente la funzione di garanzia del potere di rinvio e la stessa posizione del Capo
dello Stato nel sistema istituzionale12.
Il differimento del termine per la promulgazione e la scansione temporale, prevista per l’esame e
l’approvazione del disegno di legge di conversione dall’art. 77, comma 6, dovrebbero allontanare
il rischio che si verifichino ancora situazioni analoghe.
È stata, invece, espulsa, com’è noto, dal testo originario del disegno la previsione (invero,
fortemente criticata) della possibilità di un rinvio parziale, riguardante solo specifiche disposizioni
della legge di conversione13.
La valorizzazione del potere di rinvio delle leggi di conversione sembrerebbe voler riaffermare la
centralità del relativo momento nella funzione di controllo esercitata dal Capo dello Stato e
potrebbe costituire un ulteriore argomento contrario all’ammissibilità, nel nuovo contesto
istituzionale, di un potere di rifiutare l’emanazione del decreto-legge da parte dello stesso
Presidente. Com’è noto, esistono diversi precedenti in tal senso14, ma la legittimità di un siffatto
potere, non espressamente previsto da alcuna disposizione normativa e controverso già
nell’ambito dell’attuale quadro costituzionale, sarebbe ancor più dubbia nel nuovo.
L’esistenza di un potere di rinvio dei decreti-legge analogo a quello previsto dall’art. 74 Cost. per
le leggi è stata sostenuta sulla base di diversi argomenti, come la considerazione dei ruoli del
Presidente della Repubblica e del Governo nella dimensione della forma inter-istituzionale
italiana, l’analogia tra la funzione della “promulgazione” della legge e quella dell’“emanazione” dei
decreti-legge, atti ai quali peraltro l’art. 87 Cost. fa richiamo congiuntamente (l’intervento del
Capo dello Stato si colloca, in entrambe le ipotesi, nella fase integrativa dell’efficacia del
dalla riforma costituzionale relativamente al potere di rinvio, Procedimenti di formazione delle leggi e potere di
rinvio, in questa Rivista, Focus Riforma costituzionale, 4 maggio 2016.
12 Cfr., in tal senso, R. CALVANO, La decretazione d’urgenza nella stagione delle larghe intese, in Riv. AIC, 2/2014,
2 maggio 2014, 14.
13 In tema si rinvia, per tutti, ai contributi Sulla legittimità (ammissibilità) costituzionale di un rinvio parziale di una
legge ai sensi dell’art. 74 Cost. (con particolare riguardo ad emendamenti apposti in sede di conversione di un decreto-legge),
pubblicati in www.astrid-online.it.
14 Tra i più noti, il rifiuto opposto dal Presidente Pertini, con lettera del 24 giugno 1980, alla richiesta di
emanazione di un decreto-legge in materia di verifica delle sottoscrizioni delle richieste di referendum
abrogativo; la richiesta, effettuata da parte dello stesso Presidente, il 3 giugno 1981, al Presidente del
Consiglio dei ministri di riconsiderare la congruità dell’emanazione per decreto-legge di norme per la
disciplina delle prestazioni di cura erogate dal Servizio sanitario nazionale; il rifiuto opposto dal Presidente
Cossiga, con lettera del 10 luglio 1989, alla richiesta di emanare un decreto-legge in materia di profili
professionali del personale dell’ANAS, per carenza dei presupposti di necessità e urgenza; il rifiuto da
parte del Presidente Napolitano nel 2009 di emanare il «decreto Englaro»: per una ricostruzione di tale
ultima vicenda, che ha ingenerato un ampio dibattito dottrinale, sia consentito rinviare al mio Tra Babele e il
nulla. Questioni etiche di fine vita, «nichilismo istituzionale» e concezioni della giustizia, in P. FALZEA (a cura di),
Thanatos e nomos. Questioni bioetiche e giuridiche di fine vita, Napoli, 2009, 160 ss.
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procedimento di formazione dell’atto normativo)15; ed ancora il richiamo al principio di leale
cooperazione tra poteri, che dovrebbe ispirare l’impiego di un metodo dialogico come quello del
rinvio del decreto 16 , e l’esigenza di trovare un equilibrio tra gli stessi poteri, anche al fine di
prevenire ulteriori conflitti che potrebbero incrementare il contenzioso costituzionale 17 . Se il
rinvio è stato da molti ritenuto legittimo, non si è riconosciuto un potere di «veto assoluto»
all’emanazione di un decreto-legge, se non nei casi di scuola di carenza dei requisiti essenziali
dell’atto o di provvedimento eversivo, idoneo ad integrare gli estremi dell’attentato alla
Costituzione (nella quale ipotesi, il rifiuto di emanazione costituirebbe una forma di resistenza
esercitata dal Presidente)18.
Il problema centrale, oltre al silenzio costituzionale in merito a tale potere, è però quello della
responsabilità dello stesso, non essendo il rinvio del decreto-legge sottoposto a controfirma
ministeriale19. Se è pur vero che anche al momento dell’adozione del provvedimento governativo
il Presidente non può essere considerato un mero «passacarte» 20 , d’altro canto appare
irragionevole attribuirgli un potere del quale né egli né altri siano responsabili21. Paradossalmente,
è più facilmente ammissibile proprio quel veto assoluto nei casi estremi sopra ricordati, che il
Capo dello Stato dovrebbe opporre se non altro per non incorrere nella responsabilità ex art. 90
Cost., che non un potere di rinvio tratto per analogia dalle previsioni dell’art. 74 Cost.
Nel nuovo possibile quadro costituzionale delineato dalla riforma, un siffatto potere si
giustificherebbe ancor meno, sia perché la costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione
d’urgenza darebbe maggiore certezza ai parametri di riferimento per la promulgazione (o per
Cfr. V. ONIDA, Il controllo del Presidente della Repubblica sulla costituzionalità dei decreti-legge, in www.astridonline.it, 1.
16 Cfr. A. RUGGERI, Il caso Englaro e il controllo contestato, in www.astrid-online.it, 3; M. LUCIANI, L’emanazione
presidenziale dei decreti-lege, ivi, 1.
17 Ancora A. RUGGERI, op. et loc. ult. cit.
18 Cfr., in tal senso, G.U. RESCIGNO, Commento all’art. 87, in Commentario della Costituzione, a cura di G.
Branca, Bologna-Roma, 1978, 207 s.; L. VENTURA, Le sanzioni costituzionali, Milano, 1981, 151; V. ONIDA,
Il controllo del Presidente della Repubblica sulla costituzionalità dei decreti-legge, cit., 1; R. ROMBOLI, Il controllo
presidenziale e quello della Corte costituzionale: qualche osservazione in merito al rifiuto di emanazione del decreto legge per
il caso Englaro, in www.astrid-onlne.it, 2; M. LUCIANI, L’emanazione presidenziale dei decreti-legge, cit., 14, nt. 51.
19 Nell’ambito del dibattito intorno al rifiuto del Presidente Napolitano di emanare il «decreto Englaro»
hanno criticato tale potere, tra gli altri, A. BALDASSARRE, nell’intervista Baldassarre: Napolitano sbaglia, non
può rifiutarsi di firmare, in ItaliaOggi, 7 febbraio 2009; ID., nell’intervista Se il governo insiste, il Colle deve firmare,
in Liberal, 7 febbraio 2009; C. CHIOLA, Il rifiuto dell’emanazione del decreto-legge, in www.astrid-online.it.
20 Così C.A. CIAMPI nell’intervista rilasciata a La Repubblica, 8 febbraio 2009; ma nello stesso senso anche
M. AINIS, Il Quirinale è sentinella e non maggiordomo, in La Stampa, 8 febbraio 2009, e A. SPADARO, Può il
Presidente della Repubblica rifiutarsi di emanare un decreto-legge? Le “ragioni” di Napolitano, in Forum di Quad. cost.,
10 febbraio 2009, 5.
21 Sul complesso tema della responsabilità del Capo dello Stato si rinvia, per tutti, ora all’ampia trattazione
di A. SPERTI, La responsabilità del Presidente della Repubblica. Evoluzione e recenti interpretazioni, Torino, 2010.
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l’eventuale rinvio) della legge di conversione, sia per il differimento del termine introdotto
nell’eventualità di esercizio del potere ex art. 74 Cost. in riferimento ad una legge di conversione.
Tali modifiche parrebbero concentrare la funzione di controllo presidenziale proprio nella fase
conclusiva dell’iter di conversione del decreto, che è il momento nel quale essa può svolgersi in
modo più lineare e trasparente.
Il secondo intervento del Presidente è quello consistente nell’autorizzazione alla presentazione
dei disegni di legge di conversione, atto per il quale valgono le stesse considerazioni svolte in
riferimento alla possibilità di rinviare il provvedimento governativo. Si deve solo aggiungere che,
fermo restando un potere di rifiuto dell’autorizzazione negli stessi casi eccezionali in cui sarebbe
ammissibile il diniego di emanazione del decreto, i tempi ristretti previsti per la conversione
sembrano precludere una mera richiesta di riesame da parte del Presidente, difficilmente
giustificabile se si considera oltretutto che tale richiesta sarebbe sempre possibile, e con il
predetto differimento dei termini, al momento della promulgazione della legge.
Per quanto riguarda, infine, il terzo momento, quello appunto nel quale dovrebbe esercitarsi in
modo più rigoroso la funzione di controllo esercitata dal Capo dello Stato, può rilevarsi come la
costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione d’urgenza, se da un lato conferisce certezza ai
parametri di riferimento dell’intervento presidenziale, dall’altro potrebbe avere come effetto
quello di cristallizzare tale intervento come una mera forma di controllo preventivo di manifesta
incostituzionalità della legge di conversione, secondo una formula impiegata dal Presidente
Ciampi in una sua nota esternazione22.
Nella prassi, salvo qualche caso, il rinvio di leggi di conversione è sempre stato motivato dalla
violazione di parametri costituzionali e, per lo più, dalla mancata copertura finanziaria ex art. 81
Cost., nonché – a partire dai rinvii del Presidente Ciampi e poi in quelli del Presidente Napolitano
– da rilievi attinenti alla tecnica legislativa impiegata, fatta oggetto di censura per l’inserimento
nella legge di conversione di emendamenti atti a stravolgere il contenuto originario del decreto o
per la violazione dei limiti previsti dall’art. 15 della legge n. 400 del 1988 23 . Si è parlato, in
proposito, di una «dottrina presidenziale del sistema delle fonti del diritto»24.
Si fa riferimento alla risposta che il Presidente Ciampi diede, il 27 giugno 2003, all’Università Humboldt
di Berlino, ad una studentessa che gli chiedeva perché non avesse rinviato alle Camere il c.d. «lodo
Schifani», affermando che, essendo diverso il compito del Capo dello Stato rispetto a quello della Corte
costituzionale, il rinvio può essere esercitato soltanto in casi di «manifesta non costituzionalità» delle leggi;
l’episodio è stato ampiamente commentato in dottrina: si rinvia, per tutti, ai riferimenti contenuti in R.
ROMBOLI, Il rinvio delle leggi, cit., 4, nt. 12.
23 Cfr. ancora R. ROMBOLI, op. ult. cit., 7 e tabella ivi allegata.
24 A. RUGGERI, Verso una prassi, cit., 1.
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La costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione d’urgenza recepisce evidentemente anche le
sollecitazioni presenti in tali messaggi ed esternazioni presidenziali, ma potrebbe avere effetti
diversi e, allo stato, non agevolmente prevedibili sulle dinamiche inter-istituzionali.
4. Il rinvio presidenziale e l’incerto ruolo del garante politico della legalità costituzionale:
qualche breve considerazione conclusiva
Tornando a quanto anticipato nelle premesse a queste brevi osservazioni, l’analisi del dato
normativo porta a concludere che la nuova disciplina relativa alla decretazione d’urgenza e al
potere di rinvio delle leggi di conversione, pur rispondendo ad esigenze di garanzia della certezza
del diritto, della legalità costituzionale e della separazione dei poteri, potrebbe anche concorrere al
rafforzamento della tendenza, da tempo in atto, all’assimilazione del sindacato esercitato dal Capo
dello Stato al momento della promulgazione a quello svolto dalla Corte costituzionale nel giudizio
sulle leggi25. Un’assimilazione che talora ha suscitato disorientamento e critiche, come quando la
Corte ha annullato norme di legge promulgate dal Presidente della Repubblica senza rinvio,
specie quando, come si è verificato in qualche caso, quest’ultimo si era pubblicamente espresso
nel senso della conformità a Costituzione della stessa legge poi dichiara illegittima26.
Si è faticosamente tentato di distinguere il ruolo di controllore del Capo dello Stato, che, si dice,
può rinviare una legge per manifesta illegittimità (formale o sostanziale), ma anche per ragioni
attinenti al «merito politico», da quello della Corte, garante giuridico della legalità costituzionale.
E, tuttavia, in un contesto politico-partitico fortemente frammentato e conflittuale come il
nostro, il riferimento a parametri costituzionali è evidentemente inteso come il modo più sicuro
per giustificare interventi di garanzia del Presidente, rappresentandoli come espressione di un
esercizio imparziale della funzione. Molto indicativo, in tal senso, appare il messaggio che
accompagnò il rinvio da parte del Presidente Scalfaro della legge di conversione del decreto-legge
n. 401 del 1994, in quanto in contrasto con una giurisprudenza consolidata della Corte
costituzionale che, come scrisse l’allora Capo dello Stato, andava considerata «alla stregua di un
vero e proprio contrasto con la Costituzione», non essendo contestabile «che quella
giurisprudenza, specialmente quando non soffre eccezioni, come in questo caso, rappresenta la
specificazione vivente, attualizzata sul piano storico e culturale, della nostra Carta fondamentale,
Su tale questione cfr ora la considerazioni di R. ROMBOLI, op. ult. cit., 19 ss.; sul potere di rinvio in
relazione al modo in cui la dottrina ha ricostruito la figura costituzionale del Presidente della Repubblica si
veda P. FALZEA, Il rinvio delle leggi nel sistema degli atti presidenziali, Milano, 2000, spec. 55 ss.
26 Si fa riferimento alla già richiamata promulgazione “motivata” della legge n. 124 del 2008 (c.d. «lodo
Alfano») da parte del Presidente Napolitano.
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specificazione dalla quale il legislatore non può discostarsi nelle forme ordinarie»27. A prescindere
dalla fondatezza di un simile riconoscimento, l’attribuzione da parte del Presidente di un tale
ruolo alla giurisprudenza della Corte costituzionale, nella sede del controllo esercitato al
momento della promulgazione della legge, finisce con l’attribuire allo stesso Capo dello Stato un
ruolo subalterno a quello del Giudice delle leggi, riconoscendogli esclusivamente il compito di
svolgere una sorta di sindacato preliminare e delibatorio sulla palese incostituzionalità dell’atto da
promulgare.
Senza voler qui indugiare nella formulazione d’incerte previsioni sull’impatto che la riforma
potrebbe avere sulle dinamiche inter-istituzionali, data l’importanza che avranno, nel caso in cui il
disegno di legge costituzionale dovesse vedere la luce, l’attuazione normativa e il modo in cui gli
attori politici interpreteranno concretamente il nuovo assetto istituzionale, si rileva, in
conclusione, come nel quadro definito dalla riforma non si dissolvano, ma anzi si accentuino le
difficoltà d’inquadramento del potere di rinvio e, più in generale, dello stesso ruolo istituzionale
del Presidente.
In un sistema nel quale le istanze di garanzia trovano risposta ormai quasi esclusivamente nelle
autorità giudiziarie e negli organi di controllo estranei al circuito politico rappresentativo, il
paradigma di una funzione politica di garanzia, come quella che vorrebbe ancora attribuirsi al
Presidente, appare sempre più recessivo28. Non può escludersi, pertanto, che in futuro, qualora, a
seguito dell’entrata in vigore della riforma costituzionale, le forze politiche dovessero avvertire
l’esigenza di un riequilibrio dell’assetto dei poteri volto a controbilanciare il peso dell’Esecutivo,
potrebbe individuarsi proprio nel Capo dello Stato il soggetto istituzionale più idoneo ad
incarnare il ruolo di contropotere squisitamente politico, decidendo così di ridefinirne modalità di
designazione e funzioni.
Cfr., in merito, le osservazioni critiche di T. MARTINES, Diritto costituzionale, XIII ed. interamente
riveduta da G. Silvestri, Milano, 2013, 292 s., e ora D. GALLIANI, Il Capo dello Stato e le leggi, t. I, Aspetti
storici, profili comparatistica, ordinamento italiano, Milano, 2011, spec. 524 ss.
28 Di estremo interesse, al riguardo, appare la ricostruzione di O. CHESSA, Il Presidente della Repubblica
parlamentare. Un’interpretazione della forma di governo, Napoli, 2010, e ID., Capo dello Stato, politica nazionale e
interpretazione costituzionale. Una replica ai critici, in Forum di Quad. cost., 24 gennaio 2012, il quale critica l’uso
stesso dello schema che contrappone l’organo d’indirizzo politico all’organo di garanzia come canone per
qualificare e classificare gli atti presidenziali.
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