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programma spettacolo
Programma Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita.” Anton Pavlovic Cechov Quest’opera fondamentale del Novecento dopo più di cent'anni riesce ancora a parlare in modo forte e vibrante, coinvolgendo esistenze e sentimenti. Condensa in sé tutta la modernità di un universo umano inesorabilmente vittima del tempo che fugge, dei rimpianti, della nostalgia, dell'incapacità di agire. Così Il giardino dei ciliegi torna a essere quello che è: un’enorme tenuta che va alla malora, un tempo principale fonte di reddito della svagata famiglia di aristocratici decaduti. Un frutteto che una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori bianchi e diventa “giardino”, metafora e simbolo di purezza, rimpianti, speranze e sogni. Ogni anno il ciclo delle stagioni si compie, e ogni anno il giardino ritorna giovane, ricomincia la sua vita. A contemplare questo miracolo per l’ultima volta, riuniti nella grande casa dell’infanzia, i personaggi della commedia non possono che scorgere su di sé, ognuno nell’altro, i segni del tempo che passa, il miracolo che su di loro non si compie, l’approssimarsi di una resa dei conti col proprio destino, che ormai non concede più dilazioni. Così, nell’arco di un’ultima estate, si compie una vicenda fatta di nulla, ma che attraverso il chiacchiericcio inconsistente che copre la disperazione, attraverso pause di silenzio da riempire subito di risate o di lacrime, lascia intrasentire “il ridacchiare del tempo, quel galoppo da padrone”, lascia intravedere le ferite della vita, tutte le sfaccettature che la nostra mente elabora, tutti i personaggi che negli anni interpretiamo inconsciamente nel vivere ogni giorno…quella vita che a volte scorre “senza averla vissuta”. Il balletto colloca l’intero svolgersi della commedia in una specie di limbo, l’antica stanza dei bambini, che è simbolicamente punto di ritrovo della famiglia per questa sorta di bilancio involontario dell’esistenza, fra oggetti concreti e al tempo stesso carichi di valenze evocative: un libro di fotografie, dei soprammobili, degli animali impagliati, prigionieri di una vita artificiale, oggetti che piano piano andranno sparendo, recidendo legami col passato, fragili e malati, lasciando spazio alla durezza impietosa del presente o alle utopie luminose del futuro. Lo spettacolo è costruito su dei simboli. Cechov descrive un arrivo, una partenza e un'attesa come metafora incessante della vita. L’attesa può essere con la vita o nei confronti di noi stessi. …La mia camera, le mie finestre, è come se non fossi mai partita. Sono a casa! Domattina mi alzerò e correrò in giardino... Oh, se potessi prendere sonno! Non ho chiuso occhio per tutto il viaggio, ero tormentata dall'agitazione… “Ma sono proprio io che sto seduta qui? (Ride).Ho voglia di saltare, di gesticolare. (Si copre il viso con le mani).O scoprirò che sto dormendo! Dio mi è testimone, io amo la mia terra, l'amo teneramente, ma non potevo guardarla dal finestrino del vagone, non facevo che piangere” Oh, infanzia mia, purezza mia! In questa stanza io dormivo, da qui guardavo il giardino, la felicità si svegliava con me ogni mattina e il giardino era tale quale adesso, nulla è cambiato. (Ride di gioia).Tutto, tutto bianco! Oh, giardino mio! Dopo lo scuro, piovoso autunno e il freddo inverno, tu sei di nuovo giovane, colmo di felicità, gli angeli del cielo non ti hanno abbandonato... Se potessi togliermi dal petto e dalle spalle queste pietre pesanti, se potessi dimenticare il mio passato! “Ogni inverno che arriva soffro la fame, mi ritrovo ammalato, sperduto, povero come un mendicante e dove non mi ha sbattuto il destino, dove non sono stato! Ma la mia anima, nonostante tutto, in ogni singolo istante, di giorno e di notte, è sempre stata colma di inspiegabili presentimenti. Sento che arriva la felicità, riesco già a vederla...” Fatemeli vedere i nostri giardini d'infanzia, di cui tanto si parla, le sale di lettura. Nei romanzi, forse, esistono, in realtà neanche uno. Non c'è che sporcizia, volgarità, fatalismo... Ho paura e non sopporto le facce troppo serie, mi fanno paura i discorsi seri. Faremmo meglio a star zitti! …Non vedete che da ogni ciliegia di questo giardino, da ogni foglia, da ogni tronco vi guardano creature umane, non sentite le loro voci... È talmente chiaro che per cominciare a vivere nel presente, bisogna prima di tutto riscattare il nostro passato, farla finita; e riscattarlo è possibile solo con la sofferenza, solo con una continua e straordinaria fatica. .. “Calmatevi, mia cara. Non bisogna ingannare se stessi, almeno una volta nella vita bisogna guardare la verità diritto negli occhi.” …L'umanità si evolve, perfeziona le proprie risorse. Ciò che oggi sembra irraggiungibile, un giorno sarà accessibile, chiaro, bisogna solamente lavorare, aiutare con tutte le proprie forze quelli che cercano la verità. .. Quale verità? Voi riuscite a vedere dove stiano la verità e la menzogna, io sono come accecata, non vedo più nulla. Voi risolvete prontamente tutti i problemi importanti, ma ditemi, caro, non è forse perché siete giovane che non avete ancora fatto in tempo ad affrontare realmente le sofferenze della vita? Voi guardate avanti con coraggio, ma non è forse perché non vi aspettate nulla di spaventoso, visto che la vita non si è ancora mostrata ai vostri giovani occhi? Voi siete più coraggioso, più onesto, più profondo di noi, ma riflettete, siate generoso almeno un pochino, risparmiatemi. Io qui sono nata, qui hanno vissuto mio padre e mia madre, mio nonno, io amo questa casa, senza il giardino dei ciliegi non ha senso la mia vita… Noi, leggeremo insieme tanti libri... Non è vero? Leggeremo nelle sere d'autunno, leggeremo tanti libri, e davanti a noi si aprirà un mondo nuovo, meraviglioso... Eccola la felicità, eccola che viene, si fa sempre più vicina, ne sento già i passi. E se noi non la vedremo, non la riconosceremo, che importa? La vedranno gli altri! Non si poteva tornare indietro, le erbacce avevano invaso il sentiero. Non bisogna ingannare se stessi, almeno una volta nella vita bisogna guardare la verità diritto negli occhi. Il giardino dei ciliegi è stato venduto, non esiste più, ti è rimasta la vita da vivere, ti è rimasta la tua anima, così buona, pura... Vieni via con me, andiamo, cara, via da qui, andiamo!... Pianteremo un nuovo giardino, più bello di questo, lo vedrai, capirai, e la gioia, una gioia tranquilla e profonda scenderà nella tua anima, come il sole al far della sera, e tu sorriderai, mamma! Andiamo, cara! Andiamo!... Resto un minuto ancora. Prima non avevo mai visto le pareti che ci sono in questa casa, i suoi soffitti, ed ora li guardo con una tale avidità, con un amore così tenero...Addio, casa! Addio, vita vecchia! Mio caro, dolce, meraviglioso giardino!... Vita mia, giovinezza mia, felicità mia, addio!... Addio!... Noi siamo al di sopra dell'amore. Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita. Avanti! Avanziamo inarrestabili verso una stella luminosa, che splende là, in lontananza! Avanti! La vita è passata, è come se non avessi vissuto... Il messaggio sarà quello della deturpazione del bello, della solitudine e dell’iperattività. Mali del nostro oggi. Un mondo, quindi, finito e ribaltato. E così i personaggi del dramma vivono nella memoria e nella nostalgia del passato, altri nell'angoscia del futuro. Nessuno di loro è in grado di vivere il presente, allora come oggi, nella nostra realtà contemporanea. Perché Il giardino dei ciliegi racconta anche dell’avvicendarsi delle generazioni, di vite che si chiudono dopo aver attraversato secoli e di vite che si aprono al futuro piene di speranza. Sono il tempo e il nostro sentire i protagonisti di questo balletto, rarefatti, buffi e disperati: il trascorrere delle stagioni nella vita degli individui e nella vita del mondo, la necessità di afferrare quel poco o quel tanto di vita che ci è concessa, prima che la scure abbatta gli alberi e le speranze si trasformino in rimpianti. L'opera a cui il balletto si è ispirato è conosciuta in tutto il mondo come "Il Giardino dei ciliegi", ma Cechov in realtà scrisse "Il Giardino delle visciole", con l'idea di raccontare la fragilità di questa pianta come metafora della vita. La visciola è una ciliegia amara, il cui albero fiorisce conservando la sua bellezza solo per qualche istante, per poi cominciare a sfiorire. E' un albero inutile. Il desiderio è quello di mettere in scena questa fragilità, la nostra fragilità. E noi, che viviamo questo ciclo legandolo al nascere e al morire di storie, di personaggi, di continue proiezioni nel futuro e di dialoghi privilegiati con noi stessi, attraverso la chiarezza e l’umiltà del raccontarsi e del raccontare, siamo entrati nel Giardino in punta di piedi, cercando di coglierne la grande bellezza poetica, ma anche la grande concretezza di specchio della vita reale. Proviamo a nasconderci dietro la storia, i personaggi, le loro relazioni, così come anche Čechov si nasconde dietro la sua creazione, senza imporci una tesi o una visione, lasciandoci liberi di ascoltarne le risonanze, di leggervi quello che ciascuno sente importante per sé. Il resto non conta. Il risultato finale appare come una profonda riflessione sulla vita che sfugge e su come la nostra mente la elabora. Si ringrazia: Voce: Angela Ricciardi Franco Mussa per i programmi di sala Proiezioni: Anna Matteucci COMUNE DI SETTALA Provincia di Milano Fotografia: Gabriele Corbelli ASSESSORATO ALLA CULTURA con la direzione artistica di Riprese Video e Realizzazioni video Giampiero Villa GWENDOLEN DUNCAN Organizza Luci: Guendalina Duncan,Omar Bavaglia, Sonoria snc Grazie a tutte le persone che con dedizione e passione hanno permesso che tutto questo si realizzasse Grazie a tutti gli allievi per partecipare con immensa passione alla realizzazione di un sogno 2016 Auditorium S.Allende, Via Verdi, Settala con la partecipazione degli allievi della Compagnia