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Il metodo del Negoziato di Harvard nel modello di mediazione GEO

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Il metodo del Negoziato di Harvard nel modello di mediazione GEO
Vademecum 3
GEOM. FILIPPO VIRCILLO
GEOM. CLAUDIA CARAVATI
GEOM. SIMONE SCARTABELLI
Il metodo del Negoziato
di Harvard nel modello
di mediazione GEO-C.A.M.
ovvero:
Abbiamo visto giusto?
Vademecum del mediatore GEO-C.A.M.
(o del simpatizzante :) !!!)
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GEOMETRI CONSULENTI TECNICI, ARBITRI E MEDIATORI
GEO-C.A.M.
DICEMBRE 2013
ENTE DI FORMAZIONE P.D.G. DEL 3/9/2012 N°344
ORGANISMO DI MEDIAZIONE NAZIONALE INTERDISCIPLINARE
P.D.G. DEL 3/9/2012 N° 922
Il metodo del Negoziato
di Harvard nel modello
di mediazione GEO-C.A.M.
ovvero:
Abbiamo visto giusto?
Vademecum del mediatore GEO-C.A.M.
(o del simpatizzante :) !!!)
«Per comporre una lite
non si porta un coltello che taglia,
ma un ago che cuce.»
Proverbio africano dell’etnia bahumbu della Repubblica Democratica del Congo
INDICE
3 Presentazione
4 Premessa
CAPITOLO 1
5 Quanti e quali modelli di mediazione?
CAPITOLO 2
11 2.1 Harvard Negotiation Project: il metodo del negoziato di principi
15 2.2 Posizioni ed interessi: il paradosso dell'arancia divisa a metà
e gli insegnamenti di Sun Tzu (…e di Manú)
CAPITOLO 3
18 Presentazione e sessioni congiunte: la comunicazione efficace
CAPITOLO 4
20 4.1 Sessioni private: libero sfogo alla fantasia?
22 4.2 Il mediatore creativo: utopia o possibilità
CAPITOLO 5
24 Sessione congiunta finale: accordo o non accordo?
Sorpresa: il mediatore “concreto”!!
CAPITOLO 6
26 Comunicatore o comunic-attore?
CAPITOLO 7
30 Considerazioni finali e conclusioni in libertà
PrESENTAzIONE
La massiccia nascita di molti organismi di mediazione, avvenuta con l'introduzione della
obbligatorietá grazie all'originario decreto legislativo 28/2010, ha dato vita a una ridda di modelli
di mediazione, per lo piu' determinati dalla filosofia che ispirava i fondatori dei singoli O.d.M.
I modelli sono stati talmente tanti e talmente variegati che districarsi tra i diversi approcci
non è esercizio semplice e scontato.
Gli autori di questa pubblicazione hanno voluto fornire un aiuto, un supporto per meglio
comprendere il modello adottato dall'O.d.M. Geo-C.A.M., partendo dall'analisi del metodo di
Harvard e verificandone l'applicazione durante le fasi di una procedura di mediazione. Capire e
condividere questa metodologia significa assaporare il dolce gusto del ricercare un accordo tra
persone in lite, cercando il recupero dei rapporti interpersonali, passando per il duro impegno
che un tentativo come questo porta con sé.
Gli anni che verranno saranno caratterizzati dalla necessitá sempre crescente di risolvere
le controversie prima che degenerino, prima che si trasformino in una causa: per fare questo ci
si dovrá basare, inevitabilmente, su una sempre piú alta qualitá dei mediatori e negoziatori e su
un efficace modello di mediazione. Elevare il livello di chi opera nel campo della mediazione e
delle A.D.r. rappresenterá la vera sfida del prossimo futuro; sará una sfida che vedrá coinvolti
gli studiosi ed i cultori della materia, le istituzioni, gli enti di formazione, gli organismi di mediazione, i mediatori stessi. Avere dei punti di riferimento potrá essere un aiuto importante per
orientare gli sforzi, in modo da coagulare l'impegno di ognuno a vantaggio del risultato finale.
In Geo-CAM crediamo fermamente all'impostazione che è stata subito messa in atto, fin
dal primo momento in cui è nata l'Associazione, e con questa pubblicazione questo concetto
viene ulteriormente, dando la possibilitá a chi ne ha la voglia, la necessitá o la curiositá, di approfondire la genesi, lo sviluppo ed il concretizzarsi della nostra idea.
Il linguaggio usato ed il metodo di scrittura, probabilmente insolito per una pubblicazione di
questo carattere, vuol essere stimolo a leggere con piacere i concetti descritti, cercando di rendere immediatamente fruibile ed assimilabile ció che è riportato.
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PrEMESSA
La breve storia della mediazione in Italia conta già numerosi momenti chiave: partendo
dalla sua introduzione con il decreto del Ministero della Giustizia n. 180/2010, alla definizione
puntuale offerta dal decreto legislativo n. 28/2010, alle strenue lotte pro e contro la mediazione
(tutte con buone ragioni.... più o meno...), alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2012
che aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'obbligo del tentativo conciliativo, fino alla sua reintroduzione a mezzo del Decreto Legge n. 69 del 21 Giugno 2013, convertito nella Legge n. 98
del 9 Agosto 2013.
Gli argomenti che riguardano la mediazione sono tanti, i motivi di discussione numerosi, gli
appigli per critiche ed elogi moltissimi.
Ma nel caos normativo (ma sopratutto filosofico) intorno alla mediazione, molti si fanno trascinare dalla propria “vis polemica”, disquisendo se sia pratica utile o dannosa, ma pochi si
pongono una domanda: Qual'è il modello giusto per un efficace tentativo di conciliazione?
Questo manuale (detto fra noi, chiamarlo così può essere improprio: manuale si dovrebbe
intendere un testo che offre delle certezze, delle modalità codificate e riconosciute per affrontare
certe situazioni.... beh, noi vogliamo fare di piú, facendovi riflettere sul “modus operandi” del
mediatore) senza la pretesa di prendere il posto, sul vostro comodino, del best-seller del momento, intende rispondere alla domanda circa il migliore (secondo noi...) modello di mediazione
e fornire alcuni consigli pratici da seguire e mettere in atto durante un tentativo conciliativo, in
modo da semplificare e rendere fruibile a tutti l'applicazione del metodo che l'Associazione Nazionale Geometri Consultenti Tecnici, Arbitri e Mediatori (in breve Geo-C.A.M.) ha scelto per la
sua attività.
Ma attenzione, cari e coraggiosi lettori, probabilmente questo vademecum Vi porrà anche
delle domande alle quali non potrete sottrarvi facilmente (oltretutto per farlo non potrete bruciare
il libro nel caminetto od utilizzarlo come zeppa per il tavolo che zoppica, visto che per molti sarà
un ebook!!!), ma il suo dichiarato intento è proprio quello di fornire elementi utili per farvi
riflettere e invitare ad approcciarsi alla mediazione con un'idea ben definita su quanto sia importante questo strumento, con la consapevolezza che la mediazione è un mezzo che può favorire un miglioramento della qualità della vita di tutti noi. Certo per far questo dovremmo
vincere naturali ritrosie, ovvie critiche ed altrettante normali pregiudizi. Non nascondiamoci
dietro ad un dito, non illudiamoci troppo né facciamoci prendere dallo scoramento che in certi
momenti può assalirci, la strada sarà lunga e tortuosa ma ricordiamoci quello che ha detto un
giorno la scrittrice e giornalista Clare Boothe Luce, ambasciatrice in Italia durante la presidenza
statunitense di Eisenhower: “Nella vita non ci sono situazioni disperate: ci sono soltanto uomini
che hanno perso ogni speranza di risolverle”.
Con questa premessa Vi auguriamo una buona lettura ed un buon divertimento.
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CAPITOLO 1
QuANTI E QuALI MODELLI DI MEDIAzIONE?
Scelte!
Sì, la nostra vita è fatta di scelte.
Scelte di ogni tipo: dall’ordinare il pranzo al ristorante e decidere la pietanza da mangiare
all’assegnare un compito ad un collega che collabora con noi, dal decidere il locale nel quale
passare la serata con il nostro partner, al negoziare l’orario di rientro a casa di nostro figlio adolescente.
E le nostre scelte si trovano sempre ad essere analizzate, discusse e valutate da chi ha
rapporti con noi, persone che a loro volta nelle loro decisioni saranno influenzate da come abbiamo agito precedentemente, creando una ridda di interazioni che forma, e si confonde, in un
grande ed informe magma, volgarmente definito “rapporti umani”.
Peraltro la nostra abitudine a prendere decisioni non è soggetta a limite di età, partendo già
dal bambino che rifiuta la pappa ed arrivando al novantenne che per l’ennesima volta vuole rinnovare la patente auto per non perdere la propria autonomia.
Il grande numero di decisioni e di scelte che siamo chiamati a prendere può portare a delle
discussioni, a dei confronti che, in taluni casi, sfociano in contrasti e conflitti.
La logica del conflitto, per la stragrande maggioranza degli individui, è quella che “io ho ragione, tu hai torto, quindi io vinco e tu perdi”, la sintetica quanto abusata definizione inglese “winlose” ha come principale limite, a parere di chi scrive, la scarsa durata nel tempo di una tale
soluzione ad una lite.
È indubbio che un epilogo di una controversia che sia percepito come “subito” da una parte
(o peggio ancora da entrambe) sarà mal digerito e rimarrà un’onta della quale vendicarsi alla
prima occasione possibile. È per ovviare a questa sensazione che si può (si deve...) ricorrere
alla mediazione.
La mediazione passa dalla logica “win-lose” al “win-win”, grazie al quale le parti traggono
entrambe soddisfazione dal raggiungimento di un accordo, grazie alla netta distinzione, durante
la negoziazione, delle posizioni (cioè ciò che la parte dice di volere) dagli interessi (ciò che la
parte desidera veramente). Le posizioni sono i comportamenti che le parti nella trattativa assumono in merito all’oggetto del negoziato, gli interessi sono ciò che si vuole ottenere con la negoziazione, il fine è di arrivare a soddisfare gli interessi di tutte le parti.
Come noto ai più la mediazione fa parte della ampia famiglia delle A.D.r., anglofono acronimo di Alternative Dispute resolution, ed il suo ruolo in questa affollata famiglia è senz’altro
tra i più importanti.
Nei paesi anglosassoni la mediation (tradotta in italiano, impropriamente, con il termine mediazione) è ormai prassi radicata nella cultura e strumento di immediata fruizione per chi si trova
coinvolto in un conflitto; gli americani, popolo pratico e positivamente utilitaristico, hanno introdotto sin dal 1887, con la Intestate Commerce Act, un meccanismo di volontaria risoluzione
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delle controversie tra compagnie ferroviarie e dipendenti, per poi dare l’impulso decisivo alle
ADr negli anni ‘60, a seguito del fenomeno della cosiddetta “litigation explosion”, un periodo in
cui, per varie ragioni sociali, ci fu un abnorme aumento delle cause iscritte presso le corti federali
che mise in crisi il sistema giudiziario. Dal ‘70 hanno iniziato a sviluppare e perfezionare i metodi
ADr, ed oggi le statistiche dicono che i procedimenti giudiziari che si chiudono con un accordo
pre causa sono poco meno del 95%. Nello studio di queste pratiche si sono cimentate le più famose università americane e, tra queste, non poteva mancare la prestigiosa Harvard Law
School, che ha dato vita nel 1983 all’Harvard Negotiation Project (HNP), il più importante centro
di ricerche al mondo in materia di teorie e tecniche di negoziazione. HNP è un consorzio universitario dedicato allo sviluppo della teoria e della pratica della negoziazione e risoluzione delle
controversie e può contare sull’apporto dell’università di Harvard, del Massachusetts Institute
of Technology e della Tufts university.
Ma questi importanti istituti non sono gli unici che si interessano di mediazione.
Dalla diversa sensibilità dei ricercatori, dal diverso approccio degli studiosi, sono scaturiti
vari modelli di mediazione; i principali modelli (e più diffusi) sono principalmente quattro:
1) La mediazione valutativa
2) La mediazione facilitativa
3) La mediazione strategica
4) La mediazione trasformativa
Passiamo ad analizzare sinteticamente queste quattro tipologie, individuandone pregi e difetti.
La mediazione valutativa
Il mediatore affronta il problema sin dall’inizio della procedura, dopo la descrizione delle posizioni di ciascuna delle parti.
Il mediatore effettua proposte tecnico/giuridiche sulle quali le parti discutono, valutando la
fondatezza delle rispettive richieste, prendendo posizione sulle richieste stesse, e proponendo
una formula di accordo che contemperi le contrapposte pretese.
Il “taglio” che il mediatore da alla procedura è obiettivo, scevro da coinvolgimenti emozionali,
forzatamente distaccato e poco portato a “scavare” negli interessi sottostanti le posizioni delle
parti in lite.
Per completezza la definizione mediazione valutativa deriva dal termine “evaluative mediation” ed assume, secondo alcuni studiosi, la valenza di sistema “avversariale” (per esempio ne
“La composizione stragiudiziale come metodo di ADr” - autore Caponi, e nella relazione del
decreto legislativo n. 28/2010). Inoltre la mediazione valutativa viene definitiva anche “aggiudicativa”, per alcuni derivante dall’inglese adjudication, sostantivo che nella lingua d’origine indica
il processo davanti al giudice o all’arbitro.
Pregi: Il problema viene analizzato obiettivamente dal mediatore, basandosi su ciò che le
parti hanno prodotto e gli riferiscono.
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Le parti che ricorrono ad un mediatore che imposta con questo metodo il tentativo di conciliazione, gli riconosco senz’altro autorità e terzietá.
Difetti: L’approccio obiettivo del mediatore non facilita la individuazione degli interessi sottostanti le posizioni delle parti, dando la sensazione di procedura “fredda”.
L’impostazione “avversariale” cozza con la definizione ed il concetto di mediazione.
L’eventuale accordo impostato sulla proposta del mediatore, se non basato sulla conoscenza
degli interessi, può non essere duraturo nel tempo perché non affronta complessivamente le
questioni tra le parti ma si focalizza sul contingente problema che causa la lite affrontata dal
mediatore.
La mediazione facilitativa
Il mediatore non affronta immediatamente il problema ma cerca gli interessi sottostanti alle
posizioni; per far questo va oltre quanto rivendicato dalle parti e cerca, con appropriate tecniche
di comunicazione, di riattivare il dialogo tra esse, con l’intento di poter far emergere i veri bisogni
delle parti e far trovare loro un accordo soddisfacente.
Particolare importanza riveste la sensibilità del mediatore che in alcune fasi della procedura,
segnatamente nelle sessioni private, viene particolarmente sollecitata nel tentativo di entrare in
empatia con le parti in modo da capire e carpire le emozioni, le tensioni e le aspettative delle
parti stesse, al fine di accompagnarle verso un accordo condiviso, duraturo nel tempo.
Pregi: Il problema assume un’importanza relativa, venendo depotenziato davanti alle parti
che, se sapientemente condotte, iniziano a valutare la situazione anche da altri punti di vista.
Spesso la soluzione del problema che ha portato le parti in mediazione passa per intese più
ampie, capaci di restituire loro dialogo e voglia di confrontarsi, costituendo base solida per un
recupero del rapporto personale.
Difetti: Il mediatore è molto sollecitato, la preparazione e la sensibilità del mediatore assumono un peso spesso determinante nella riuscita della conciliazione. Errori apparentemente
banali nella conduzione della procedura possono metterne a repentaglio l’esito positivo.
La mediazione strategica
Il mediatore cerca di comprendere come le parti vivono il problema, cerca di far cambiare la
prospettiva di ciascuno nei confronti del problema, individuando e mostrando un obiettivo finale.
Nella mediazione strategica l’abilità del mediatore è concentrata nel riuscire a far cambiare
la posizione percettiva alle parti. Lo scopo è riuscire a far vedere il problema sotto una prospettiva
differente che potrebbe anche rendere il problema stesso decisamente diverso, cercando di spostare la visione di ciascuna parte verso quella dell’altra per tentare un avvicinamento.
Pregi: Se ben utilizzato questo metodo porta ad un avvicinamento grazie alla considerazione di un punto di vista prima non considerato. Il problema appare talvolta di semplice soluzione proprio grazie ad una nuova prospettiva che porta a considerare fattori
precedentemente invisibili.
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Difetti: È un metodo molto complesso e nel caso di alta conflittualità ogni sforzo da parte
del mediatore potrebbe essere vanificato dalla mancanza di volontà delle parti di fare anche un
minimo sforzo nel modificare il proprio modo “di vedere le cose”
La mediazione trasformativa
Il mediatore evita il problema e si concentra solo sulle emozioni delle parti. L’obiettivo primario non è risolvere il problema ma ripristinare la comunicazione.
L’applicazione di questo metodo presuppone un lavoro essenzialmente basato sulle emozioni delle parti. La preparazione del mediatore deve essere molto specifica soprattutto nel
campo della comunicazione. Le emozioni sono principalmente espresse con il linguaggio paraverbale e quello del corpo e l’interpretazione di alcuni segnali può talvolta essere fondamentale.
Molto importante in questo campo riveste anche la capacità di valutazione degli schemi comportamentali delle parti. L’osservazione attenta della parte può rivelare emozioni nascoste che
potrebbero rivelarsi fondamentali per la risoluzione di alcuni conflitti. Questo sistema viene molto
usato nell’ambito della mediazione familiare.
Pregi: una buona gestione può portare le parti a sentirsi comprese, ad aprirsi completamente a qualcuno che riesce davvero ad aiutarle ad affrontare quello che è il loro problema,
con una soluzione che appare quella che loro stesse vorrebbero. Il lavoro con le emozioni ed il
raggiungimento di un altissimo livello di empatia porta grande soddisfazione al mediatore.
Difetti: Si tratta di un metodo per la cui applicazione è necessaria una grande preparazione
da parte del mediatore.
L’utilizzo delle emozioni e la loro interpretazione non può essere affrontata se non con
grande cautela e con capacità di gestione. un errore in questo campo potrebbe rivelarsi devastante, non solo per la risoluzione del conflitto in essere, ma potrebbe innescare una serie di
altri problemi magari irrisolti che eleverebbero notevolmente il problema attuale, alzando la conflittualitá.
Dopo aver elencato tutti i tipi di mediazione, o almeno i più diffusi modelli, si può chiarire
meglio ciò che Geo-C.A.M. ha scelto come riferimento: le mediazione facilitativa (della già molte
volte citata Scuola di Harvard) integrata e completata con contributi e contaminazioni delle altre
metodologie.
Nel modo di condurre una procedura di mediazione il “seguace” Geo-CAM attua cambi di
posizione (mediazione strategica) facendo immedesimare una parte nelle sensazioni che la
controparte può provare nel contesto del conflitto, cercando, con l’uso di tecniche comunicazione, di entrare in empatia con gli attori della procedura e di “accompagnarli” verso una lettura
condivisa della questione che li riguarda.
Il mediatore genera poi numerose opzioni negoziali, quello che nei corsi di formazione viene
definito “allargamento della torta negoziale” e, con estrema cautela e solo su espressa richiesta,
formula una proposta di accordo (mediazione valutativa) da sottoporre alle parti per la loro eventuale accettazione, precisando che Geo-C.A.M. ha previsto che la proposta venga avanzata da
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un mediatore diverso da quello che ha seguito fino a quel momento la procedura e le parti, non
coinvolto nella situazione de quo e quindi scevro da condizionamenti di sorta.
La sintesi delle diverse tipologie di negoziazione formano quindi questo modello che, a parere di chi l’ha pensato e messo a punto, è ritenuto il più adatto ed il più adattabile alle situazioni
cui possiamo affrontare durante l’attività di mediatori.
una delle obiezioni più comunemente riscontrate e raccolte è relativa alla possibile difficoltà
nel passare da un modello all’altro, preservando una visione obiettiva della procedura, propendendo per uno dei metodi che porti ad un accordo che non sia figlio della mediazione facilitativa;
in sintesi forzare le parti a “chiudere” una controversia spingendole con tecniche comunicative.
Il rilievo può essere corretto, è una possibilità che potrebbe verificarsi; a tal proposito per ovviare
a questo rischio il mediatore si impegna a rispettare una tipologia di mediazione stabilita, codificata, che, anche se in presenza di procedura di natura flessibile ed adattabile, con passaggi
obbligati e fondamentali.
Solo per ricordare brevemente lo schema della procedura tipica è il seguente:
1) Presentazione del mediatore e della procedura
2) Sessione congiunta iniziale con le parti
3) Sessioni private con le parti
4) Sessioni congiunta finale con le parti
5) Chiusura della procedura con accordo o non accordo
In ognuna di queste fasi, gli insegnamenti alla Scuola di Harvard hanno una loro applicazione precisa che può fornire un riscontro se correttamente messa in atto.
Nei prossimi capitoli affronteremo, descrivendole, le varie fasi ed il modo di approccio che
dovrà tenere il mediatore per rendere più efficace la propria azione.
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CAPITOLO 2
2.1 HArVArD NEGOTIATION PrOJECT:
IL METODO DEL NEGOzIATO DI PrINCIPI
Dopo aver descritto i vari modelli di mediazione, illustrandone pregi e difetti, siamo arrivati
al momento della scelta: su quale modello investiamo il nostro interesse, la nostra voglia di aiutare la parti in lite, con l’obiettivo di far funzionare la mediazione?
una premessa è, peró, doverosa: a parere di chi scrive non c’é un modello, in assoluto, migliore di un altro. La scelta risente molto della impostazione filosofica che ogni OdM (Organismo
di Mediazione), associazione, ente, istituto, mediatore ha verso la mediazione.
In Geo-C.A.M. siamo stati chiari fin dall’inizio, abbiamo privilegiato la mediazione facilitativa,
con contaminazioni degli altri metodi e modelli (trasformativa, valutativa e strategica) ai quali
attingiamo durante la procedura di mediazione, preparando con attenzione i mediatori GeoCAM ed insistendo, in modo deciso, sul valore della comunicazione. Perché è su questo punto
che si gioca la nostra partita e vorremmo che questo concetto venga recepito in pieno da chi si
avvicina alla mediazione.
Spesso le persone che sono “costrette” a trattare con gli altri, conoscono solo due tipi di
trattativa: la trattativa dura (impositiva) e la trattativa morbida (remissiva). Le differenze sono immediatamente percepibili perché ognuno di noi si trova continuamente a vivere queste due impostazioni nelle quotidiane negoziazioni che affrontiamo (dalla sveglia, in famiglia, alla attività
lavorativa, con i colleghi od il datore di lavoro, al tempo libero, con gli amici). Quando prevale la
linea morbida vogliamo evitare i conflitti personali, accorciando i tempi del conflitto, e facilmente
facciamo concessioni per chiudere con un accordo pacifico che, spesso, porta con se il retrogusto amaro di essere stato sfruttato e non essere totalmente contenti della soluzione. Quando
invece è la linea dura che scegliamo, siamo convinti che avrà la meglio chi dimostrerà la volontà
più ferrea, chi assumerá la posizione più estrema ed intransigente, resistendo con tutte le forze
ed allungando il più possibile la durata del conflitto; questo modo di negoziare trova, spesso,
una risposta proporzionalmente dura, portando ad un faticosissimo svolgimento della trattativa,
esaurendone spesso energie e mezzi disponibili, compromettendo di frequente i rapporti personali con l’altra parte, minando la durata dell’eventuale accordo.
La teoria di Harvard ha invece preso in considerazione un terzo modo di negoziare, non
sposando né la linea dura né quella morbida, ma cercando di miscelare le caratteristiche delle
due modalità descritte: è il cosiddetto metodo della trattativa oggettiva o del negoziato di
principi.
In cosa consiste il negoziato di principi? Semplice, si pone come obiettivo di valutare oggettivamente i fatti, considerare e decidere le controversie in base alla loro importanza e al loro
contenuto oggettivo, non ricorrendo al mero mercanteggiare, dando luogo a transazioni che
spesso scontentano tutte le parti. Il negoziato va esattamente nelle direzione opposta: cerca il
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reciproco vantaggio, insistendo sul fatto che il risultato della negoziazione si basa su principi
corretti e indipendenti dalla volontà delle due parti. La classica transazione (“io voglio 100, tu
offri 50, chiudiamo a 75”) si basa sull’utilitaristico concetto di atteggiamento mercantile della
propria posizione, la cui soluzione positiva porta ad un accordo che, spesso, non soddisfa pienamente entrambe le parti, con la conseguenza che molto difficilmente migliorerá il loro rapporto,
minacciando la durata dell’accordo faticosamente raggiunto.
Spostare il conflitto sui veri interessi in campo riesce, secondo il metodo di Harvard, ad avvicinare le parti ad una soluzione condivisa che tenga conto dei reciproci veri bisogni.
Il mediatore deve quindi essere particolarmente abile nel riportare l’attenzione sul problema
e sulle possibili soluzioni, verificando effettivamente quali altri interessi nasconde l’atteggiamento
manifesto delle parti. La pervicace difesa della propria posizione di una parte non aiuta nel percepire a pieno tutti i termini del conflitto. È di capitale importanza, quindi, che il mediatore sappia
far apprendere alle parti come si possa essere convinti dei propri interessi/bisogni primari, ma
anche quanto sia importante una certa dose di flessibilità nei confronti dell’altra parte e dei suoi
comportamenti, per evitare la creazione di situazioni di stallo che probabilmente condurranno
ad un vicolo cieco. Il mediatore sa benissimo (mentre le parti non sempre ne hanno piena coscienza...) che il rapporto soggettivo tra le parti stesse deve essere affrontato e gestito separatamente dalla questione oggettiva, pur rendendosi conto che, inevitabilmente, l’uno influenzerà
l’altro. Ecco la importanza di entrare in empatia con le parti.... servirá per gestire le percezioni,
le emozioni e la comunicazione fra esse. uno sforzo particolare dovrá vedere impegnato il mediatore: portare il problema nella sua percezione egocentrica «io e il mio problema», verso l’assunto «noi e il nostro problema». Tenendo conto che qualsiasi conflitto, anche se tra societá o
multiparte (per esempio il condominio in lite con l’Amministrazione), vede in campo delle persone
e che le emozioni hanno un grande peso, molto spesso più grande delle parole dette; le emozioni fluiscono, fluttuando in attesa di essere riconosciute ed esternate, con l’impegno del mediatore a non eliminarle ma a identificarle e catalogarle, motivando la loro origine e non
frenandole perché sono fonte di informazioni e possibilitá di conoscere il vero problema che origina il contrasto.
In tutto questo ampio e complesso contesto risulta basilare il ruolo della comunicazione.
Tratteremo questo argomento nei prossimi capitoli, pur se non sviscerandolo completamente
perché la vastitá di questa materia e delle tecniche atte a renderla efficace meritano un manuale
che tratti esclusivamente di questo. Cercheremo di fornire alcuni concetti base e qualche codice
che potrebbe esserci utile nella attivitá di mediatore, sollecitando e solleticando l’interesse di
chi legge ad approfondire questa affascinante scienza.
La comunicazione è un fenomeno bidirezionale, dove c’é un soggetto emittente e un altro
ricevente. Puó sembrare assurdo ma in presenza di piú persone la comunicazione avviene sempre: anche l’atteggiamento di mutismo ed assoluto silenzio di una persona comunica che quell’individuo non vuole comunicare, diventando cosí, suo malgrado, una forma di comunicazione
verso gli altri.
Si comunica in maniera volontaria e involontaria, con la parola (comunicazione verbale) ma
anche con il proprio corpo (comunicazione non verbale): tramite i gesti, la postura, l’espressione
del viso o dello sguardo, il tono della voce, la cadenza, l’abbigliamento ecc. Comunicando non
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si trasmette solo un’informazione, ma si realizza un autentico processo di interazione. Per potersi
comprendere l’emittente e il ricevente devono avere la medesima «lunghezza d’onda» o, comunque, devono essere capaci di codificare e decodificare il messaggio. Succede peró spesso,
nell’ambito di un conflitto che le parti in lite si evitino, non si affrontino direttamente, interrompendo quelle forme di partecipazione necessarie a cercare di risolvere il problema. In questa
fase le parti hanno bisogno di un soggetto che faccia in modo di riattivare i contatti tra esse e
faccia fluire emozioni e pensieri, riuscendo a codificarle insieme alle parti, leggendo il verbale
ed il non verbale.
Il mediatore deve mirare per quanto possibile al vantaggio di entrambe le parti e nel caso
in cui gli interessi delle parti siano in contrapposizione, dovrá cercare di orientare il risultato basandolo su principi corretti ed indipendenti dalla volontà delle parti.
Leggendo i molti testi in materia (l’importante “L’Arte del Negoziato” di ury, Fisher e Patton
è uno di essi) si possono elencare i quattro fondamenti che, secondo la Scuola di Harvard, sono
necessari per affrontare positivamente un negoziato:
Dobbiamo scindere le persone dai problemi.
Ciò che conta sono gli interessi reali, non le posizioni apparenti.
Le parti, sia individualmente che collegialmente, devono generare alternative che siano vantaggiose per entrambe.
Gli accordi devono basarsi su criteri oggettivi, a mezzo dei quali sia possibile misurare il risultato dell’accordo
Scindere le persone ed i problemi
Come abbiamo giá spiegato in precedenza in ogni conflitto, ogni confronto, in qualsiasi materia, tra privati, enti o associazioni, avremo a che fare con delle persone. uomini e donne che
sono condotti da sentimenti, passioni e valori, che ne influenzano i punti di vista ed i modi di
pensare. È del tutto evidente che il rapporto umano, percepito e stabilito tra le parti, possa offrire
vantaggi o rappresentare un freno allo sviluppo del negoziato. un rapporto personale stretto, il
sentire ed avere fiducia e rispetto nella controparte possono farci raggiungere piú rapidamente
un’intesa. La rabbia, la voglia di vendetta, la paura e la frustrazione insidiano, a volte irrimediabilmente, il percorso che porta ad un risultato positivo. In un negoziato ci si deve impegnare nel
non confondere i rapporti personali con i contrasti oggettivi che hanno portato alla lite. Come
fare? una buona base di partenza è considerare la controparte come una persona, con i suoi
limiti e pregi, evitando che le differenze di opinione, le sensazioni o i malintesi impediscano di
capirsi in pieno: se le idee non sono precise e ben delineate, cercate una precisazione. Se le
emozioni prendono il sopravvento, cercate il modo di smorzare l’eccitazione ed i sussulti. Se ci
sono dei malintesi, migliorate la comunicazione.
Nei giá citati testi di riferimento si propone il rispetto di dodici semplici regole che aiutano a
scindere persone e «conflitti personali»:
1. Mettersi nei panni dell’altro. Cercare di capire il suo pensiero ed il suo punto di vista.
2. Parlare delle idee e delle proposte di entrambe le parti.
3. Non attribuire la colpa dei problemi alla controparte.
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4. Coinvolgere la controparte nel risultato: fare in modo che sia coinvolta nel processo di
trattativa e non ne subisca lo svolgimento. Deve essere e sentirsi parte attiva nel negoziato.
5. Tendere a trovare stratagemmi per permettere all’altra parte di salvare la faccia, adattando le eventuali proposte ai valori di riferimento dell’altra persona.
6. riconoscere ed esprimere le emozioni, legittimando anche quelle dell’altra parte.
7. Scaricare le tensioni senza reagire agli sfoghi emotivi di chi vive il conflitto.
8. Attribuire grande importanza ai gesti simbolici (una stretta di mano, chiedere scusa ecc).
9. Ascoltare attentamente ogni opinione ed dare il proprio feedback su ciò che è stato detto.
10. Cercare il piú possibile di farsi capire, per evitare malintesi.
11. Parlare di noi, non della controparte.
12. Costruire relazioni attive, imparando a conoscere gli altri.
Far emergere gli interessi, non concentrarsi sulle posizioni
Non ci stancheremo di ripeterlo: dobbiamo fare emergere gli interessi delle parti, non focalizzarci sulle posizioni che queste palesano. Il lavoro certosino da fare è quello di scoprire quali
sono le vere motivazioni della posizione esternata piú o meno in modo veemente. Il risultato di
un negoziato che prende come riferimento gli interessi ha ottime probabilitá di rappresentare
un traguardo soddisfacente e stabile nel tempo. Dobbiamo far si che le parti manifestino chiaramente i propri interessi e che gli stessi siano reciprocamente percepiti come un elemento oggettivo del problema.
uno studioso delle tecniche negoziazione sostiene che “l’importante è guardare avanti e
non indietro. La domanda «perché» ha due dimensioni. Una è rivolta al passato e ricerca una
causa o un motivo, ritiene che il nostro comportamento sia determinato da eventi precedenti.
L’altra guarda avanti e cerca obiettivi, considera il nostro comportamento come conseguenza
del libero arbitrio. Le risposte a quest’ultimo «perché», gli interessi orientati al futuro e all’obiettivo, sono quelli per cui vale la pena di negoziare”.
Creare possibilità decisionali a beneficio di tutti gli attori del negoziato
Sempre piú spesso le parti in conflitto ritengono di conoscere la soluzione della lite e spingono perché la loro visione delle cose e del problema abbia il sopravvento. Sono talmente convinte della propria idea che se dovessimo ridurla ad un grafico, spesso formerebbe una linea
retta tra la propria posizione e quella della controparte. Questa presa di posizione assoluta impedisce un processo di risoluzione creativo, che invece di essere una linea retta rappresenta
una linea curva che, prima di congiungere le parti, esplora mille possibilitá, nella ricerca di un
risultato più vantaggioso per entrambi i compartecipanti al conflitto.
Applicare criteri oggettivi
Impostare una trattativa su criteri oggettivi, misurabili, quantificabili, “scarriolabili”, può portare
alla chiusura di un accordo efficace e ragionevole. Sforzarsi nella determinazione una serie di
criteri. una volta fatto questo, possiamo/dobbiamo seguire tre principi:
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1. Trasformare ogni aspetto della controversia in una ricerca comune basata sui criteri oggettivi concordemente stabiliti.
2. Accogliere ed essere aperti verso le argomentazioni che si basano su criteri ragionevoli
e contengono indicazioni pratiche ed attuabili sulle modalità di concretizzare l’accordo.
3. Non cedere mai alle pregiudizievoli e pretestuose pressioni, ma ragionare ed andare incontro solo ai ragionevoli principi.
È evidente che tutto ció che abbiamo elencato in questo capitolo rappresenti un modo tra i
mille possibili di avvicinarsi ad una controversia; peraltro, se le parti fossero capaci, potrebbero
seguire queste linee risolvendo da sole molti dei conflitti che quotidianamente si trovano ad affrontare. Ma le parti, non dimentichiamocelo, spesso sono talmente coinvolte nella lite e nel problema che risulta difficile per loro avere una visione obiettiva della situazione. Il mediatore
assume allora la veste di persona che guida le parti nella comprensione del problema, accompagnandole verso la loro soluzione.
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2.2 POSIzIONI ED INTErESSI: IL PArADOSSO
DELL’ArANCIA DIVISA A METà E GLI
INSEGNAMENTI DI SuN Tzu (…E DI MANù)
Nel precedente capitolo abbiamo descritto sommariamente il metodo della Scuola di Harvard, spiegando concetti e definendo alcuni punti essenziali. un modo ancora piú semplice e
diretto per descrivere i concetti della mediazione facilitativa è fare ricorso al paradosso dell’arancia divisa a metá. è una breve storia che peró racchiude tutta la filosofia della Harvard Negotiation Project. Eccola:
“Due bambine litigano per prendere l’unica arancia rimasta nel cesto della frutta.
La prima afferma: ”l’arancia spetta a me perché sono la più grande!”
L’altra risponde:“No! spetta a me perché io l’ho presa per prima!”.
La madre interviene, cercando di porre fine alla lite, tagliando l’arancia in due parti perfettamente uguali e dandone metà a ciascuna bambina.
Le due bambine però non rimangono soddisfatte della decisione della madre e continuano
a litigare in quanto ognuna di loro vuole tutta l’arancia e non vuole cederne neanche un
pezzo all’altra.
Interviene la nonna, che dopo aver attentamente osservato la scena, domanda alle bambine il motivo reale dell’interesse a voler l’arancia intera. La prima bambina risponde di
aver sete e di voler spremere l’arancia per berne il succo, l’altra risponde che vuole grattugiarne la buccia per fare una torta. La nonna senza indugio spreme la polpa perché la
più piccola ne possa bere il succo e grattugia la buccia dell’arancia affinché l’altra possa
usarla per fare la torta. In questo modo la nonna ha soddisfatto entrambe le bambine e finalmente torna la pace.”
Analizzando la storia è possibile comprendere il reale valore della mediazione rispetto alla
trattativa diretta e alla soluzione. Le due bambine erano impegnate a litigare e non hanno provato
ad ascoltarsi e comprendersi, focalizzandosi solo sul tentativo di far valere i propri diritti, impegnandosi completamente e non lasciando spazio ad una risoluzione alternativa della controversia.
Neanche la soluzione proposta dalla madre (che assomiglia alla sentenza di un tribunale,
emessa da un Giudice) è efficace, anche se è senz’altro imparziale ed equa.
Il successivo intervento della nonna (assimilabile al mediatore) invece, riesce ad essere efficace ed a dare soddisfazione ad entrambe le bambine. La nonna infatti indaga sui reali motivi
che spingono le due bambine a volere l’arancia, spostando il fulcro della disputa dalle rigide
posizioni agli interessi sottostanti. La soluzione della nonna infatti soddisfa completamente entrambe le bambine .
Il giudizio (nel caso di specie la decisione della mamma) è essenzialmente «selettivo» e
rende impossibili i tentativi di scovare soluzioni alternative, così come depotenzia il senso critico.
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Occorre invece conoscere gli interessi delle parti e passare a prevedere più soluzioni, ricercando
vantaggi comuni e allargando le prospettive. Il mediatore deve saper spostare l’attenzione su
una serie di criteri oggettivi che possano essere condivisi da entrambe le parti. La individuazione
di una soluzione basata su standard oggettivi (ad esempio leggi, precedenti favorevoli, rilevazioni
scientifiche, principi universali ecc.) può aiutare le parti ad allontanarsi da uno sterile confronto
fra posizioni preconcette. Il mediatore dovrà quindi indicare dei riferimenti esterni, indipendenti
dalle parti, in base ai quali parametrare l’efficacia dell’eventuale accordo.
La teoria della HNP è stata influenzata, nella sua elaborazione, da Sun Tzu e “L’arte della
Guerra”. Sun Tzu (o Sun Wu) era un generale cinese, vissuto fra il VI e il V secolo a.C.. Oltre ad
essere un grande generale possedeva le qualitá del filosofo, e tale caratteristica gli ha consentito
di scrivere uno dei più importanti trattati di strategia militare di tutti i tempi,“L’arte della guerra”.
Sun Tzu sembra avesse origini umili e riuscí a farsi affidare il comando delle armate dell’esercito
cinese. Affascinanti le circostanze del ritrovamento del manuale di Sun Tzu, ritrovato ad inizio
degli anni ‘70 nella provincia di Shantung, durante gli scavi archeologici per la ricerca di una
tomba della dinastia Han. Il manuale era stato scritto su dei listelli di bambú, conservato oggi
nella collezione della university of California. Le regole della negoziazione, contenute dal manuale di Sun Tzu e riferite al generale, hanno contribuito a costituire la base per la conciliazione
e per la mediazione e sono state considerate in molte strategie di marketing.
Ne abbiamo estrapolate alcune, a parere nostro le piú significative:
“Il generale vincitore, prima che venga combattuta una battaglia, fa molte riflessioni nella
sua tenda” (assimilando al mediatore, puó essere riferito alla attenta e puntigliosa preparazione
e gestione del luogo fisico dove si svolgerá la mediazione, il cosiddetto setting).
“Uno dovrebbe modificare i propri piani secondo che le circostanze siano favorevoli o
meno” , “Perciò come l’acqua modella il suo corso secondo la natura del terreno su cui scorre
così il generale trova la vittoria in relazione al nemico che ha di fronte” e “Il generale che ha
piena consapevolezza dei vantaggi che derivano dalle variazioni tattiche sa come guidare le
truppe”, utile riferimento alla prontezza del mediatore nel cogliere spunti nuovi durante la procedura ed essere flessibile nella gestione della stessa.
“Spetta al generale essere calmo e perciò assicurare il riserbo” ,“Maltrattare gli uomini e poi
temerne le reazioni indica una suprema mancanza di intelligenza” e “Quando gli alti ufficiali sono
incolleriti ed insubordinati, ed all’incontro con il nemico danno battaglia di loro iniziativa per una
sorta di risentimento e, comunque prima che il comandante in capo dica se è, o meno, in grado
di combattere, il rischio è la rovina”; cosí il mediatore deve mantenersi obiettivo, calmo e non farsi
coinvolgere e trascinare nel conflitto, assumendo posizioni od atteggiamenti che ne possano mettere in dubbio la terzietá verso le parti, mantenendo in mano la condotta della procedura.
Come citato dall’Avv. Calcagno nel post “Sun Tzu, Harvard e Manù” , sul blog www.mediaresenzaconfini.org, prima dell’ “L’Arte della Guerra” di Sun Tzu, in India era stato scritto il Manava-Dharmasastra detto anche Codice di Manù, un manuale di vita pratica per gli esseri umani
e anche di strategia militare, i cui principi risalgono con tutta probabilità al XII secolo a.C.
Manù era un demiurgo a cui fu affidata la creazione del mondo e dunque è personaggio di
invenzione: probabilmente il testo è frutto dell’elaborazione secolare dei sacerdoti.
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I precetti che vengono consigliati al sovrano sono capisaldii della negoziazione ad ogni livello. Eccone alcuni che possono tranquillamente essere considerati utili nell’ambito dell’attivitá
del mediatore (nei primi il mediatore è assimilabile all’ambasciatore):
“Viene lodato l’ambasciatore di un re , quando affabile, puro, destro, di buona memoria,
pratico dei luoghi e dei tempi, di bella presenza, intrepido ed eloquente”
“Dal capitano dipende l’esercito, dalla giusta applicazione delle pene il buon ordine, il tesoro ed il paese dal re, la guerra e la pace dall’ambasciatore”
“L’ambasciatore ricongiunge i nemici, divide gli alleati, perché tratta gli affari determinanti
rottura e buona armonia”
“Nei negoziati con re straniero, l’ambasciatore indovini le intenzioni di questo re da certi
segni, dal contegno e dai gesti di lui, e per i segni e gesti dei suoi emissari segreti…”
“Non mostrare cattivo umore nemmeno nell’afflizione; né nuocere altrui, neppure col pensiero; né proferire parola da cui alcuno possa essere trafitto, la quale chiuderebbe l’accesso
al Cielo”
“Scopra la mente degli uomini per mezzo dei segni esterni, del suono di loro voce, del colore del volto, del contegno, del portamento del corpo, degli sguardi e dei gesti.
Dal contegno, dal portamento, dai gesti, dalle parole, dai moti degli occhi o del volto si indovina l’intero pensiero”.
Frequenti i riferimenti al captare le idee delle parti, studiando il linguaggio verbale e non
verbale.
In mediazione, lo abbiamo ripetuto molto spesso, è importante la condivione delle idee e la
cooperazione tra le parti ed il mediatore, per convogliare gli sforzi verso l’accordo. Ecco un altro
suggerimento di Manú:
“Una cosa facilissima diventa difficile per un uomo solo; con più forte ragione il governare
un regno senza essere assistito;”
Il Codice di Manù tratta anche i principi sulla neutralitá e terzietá che sono alla base del
ruolo del mediatore.
“La bontà, l’arte di conoscere gli uomini, il valore della compassione, un’inesauribile liberalità, formano l’ornamento di un principe neutrale»
Si puó tranquillamente affermare che, nella storia, la figura del negoziatore-mediatore ha
sempre rivestito un’importanza fondamentale per la composizione dei conflitti, riconosciuta peraltro da filosofi, pensatori, generali e sovrani. Il mediatore porta con sé questo grande bagaglio
di nozioni, un background che nasce dallo studio del comportamento dell’uomo nei millenni,
che ne certifica l’utilitá anche nella odierna societá, dove il quotidiano conflitto non si puó risolvere con la forza né con il subitaneo ricorso alla giustizia ma che deve trovare come strada principale quella della ricerca di un accordo condiviso e stabile tra chi è in lite. Ed è per questo che
passiamo al prossimo capitolo che tratta dell’inizio della procedura di mediazione.
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CAPITOLO 3
PrESENTAzIONE E SESSIONI CONGIuNTE:
LA COMuNICAzIONE EFFICACE
La procedura di mediazione Geo-C.A.M. segue uno schema di massima, il cui primo step
è rappresentato dalla presentazione del mediatore e della procedura nella sessione congiunta
iniziale. Sovente capita di accogliere le persone in lite, notandone l’atteggiamento aggressivo
o in altri casi di estremo disinteresse verso il tentativo di conciliazione. Spesso questo tipo di
atteggiamento non è cosí profondamente radicato nella persona ma rappresenta una inconscia
(qualche volta anche conscia....) tattica per far percepire alla controparte quanto si è fermi e
convinti delle proprie posizioni. Per certi versi assomiglia ai rituali che gli animali hanno prima
(ed a volte anche dopo...) il conflitto. Per esempio le gazzelle prima di lottare si avvicinano,
scuotono le corna e si mostrano la gola reciprocamente. Se nessuno si ritira, si agganciano
entrambi per le corna e iniziano a lottare.
Prima di dare inizio alle schermaglie ed al vero e proprio confronto il mediatore deve presentare se stesso e la procedura alle parti; nella mediazione obbligatoria e marginalmente
anche in quella volontaria, sará frequente incontrare le parti e loro consulenti che non sanno
cos’é davvero la mediazione, come si svolge, quali caratteristiche e quali vantaggi puó offrire.
Il passaggio è fondamentale perché i pregiudizi dei consulenti o l’ignorare l’argomento da parte
degli attori del conflitto potrebbe bloccare sul nascere la possibilitá di esperire il tentativo di
conciliazione. E per essere chiari e convincenti non è sufficiente conoscere dettagliatamente
la norma o le nozioni basilari della mediazione, si dovrá ricorrere ad una buona comunicazione
per risultare autorevoli e convincenti. Potremmo usare la mediazione strategica che ha tra i
propri effetti quelli di diminuire la conflittualità, perché orientata a comprendere la logica e gli
schemi mentali degli intervenuti nel conflitto, per entrare in empatia con essi. Possibilmente
dovremmo usare un linguaggio semplice, che possa essere facilmente compreso, flessibile in
base al soggetto con cui ci si relaziona. Porre particolare attenzione al cosiddetto feedback,
ovvero il messaggio di ritorno, da parte di chi ci ascolta, che permetterá al mediatore di assumere delle informazioni in grado di aiutarlo a tarare meglio il suo modello comunicativo, adattandolo alle caratteristiche della parte.
Dopo essersi presentati ed illustrato accuratamente la procedura, daremo spazio alle parti,
in modo che ognuna di esse esprima il proprio sentire, il proprio punto di vista, le proprie emozioni intorno al problema che le ha portate in mediazione. Questa fase è importante per il mediatore per conoscere la questione nella sua parte visibile, esteriore, palesemente percepibile:
probabilmente le parti faranno la cronistoria delle vicissitudini passate, attribuendo torti e responsabilitá alla controparte, elencando i rancori suscitati da determinati comportamenti. Il
mediatore sará chiamato a far esporre i singoli punti di vista delle parti, evitando esasperazioni
e scontri troppo violenti ma non bloccando lo scorrere delle emozioni, anzi sollecitando la loro
espressione con domande mirate, che partendo da concetti ampi arrivino a risposte specifiche
che possano cambiare la percezione delle asserzioni. Basilare in questa fase l’utilizzo della
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parafrasi: nei corsi per la formazione del mediatore viene spesso citata ed altro non è che la
rielaborazione di quanto affermato da una parte sfrondata dalle cariche negative dai commenti
polemici, in modo da far focalizzare meglio su quale sia il problema, comprendendolo correttamente e non dando alcuna valutazione od interpretazione.
un esempio pratico: se una parte afferma “Il mio vicino ha costruito, con l’inganno, una
immonda baracca in tavolacce di legno sul mio confine senza rispettare l’altezza stabilita!!!”,
il mediatore potrebbe dire: “Mi permetta di vedere se ho compreso quello che ha esposto: diceva che il suo vicino ha edificato una costruzione in legno sul confine tra le due proprietá e
mi ha preisato che la costruzione non rispetta i limiti di altezza”.
Il semplice eliminare le accezioni negative dall’esposizione della parte e restituire una versione “pulita” dalle negativitá è il primo passo per poter far percepire alle parti l’obiettivo problema e per iniziare ad instillare in esse che puó non essere vera la presunzione per cui, dietro
a posizioni opposte, si trovino solo interessi inconciliabili.
Questa fase di sessione congiunta potrá essere utile anche per iniziare a capire gli atteggiamenti delle parti verso il negoziato. Sostanzialmente ci si puó trovare davanti a quattro tipi
di comportamento, il Collaborativo, l’Oppositivo, Chi vorrebbe ma non puó, Chi non puó far
niente (fonte: Nardone, Cavalcare la propria tigre, Ponte alle Grazie).
La persona collaborativa sembra possedere tutte le risorse emotive e razionali per partecipare attivamente, in modo sempre positivo, alla negoziazione. Spesso la voglia di essere corretto e fare bene porta il collaborativo ad invadere il campo degli altri. Il mediatore, per
disinnescare questo possibile atteggiamento che potrebbe infastidire la controparte, dovrá fare
ricorso ad una comunicazione razionale-dimostrativa, accettando la collaborazione verificandola puntualmente durante la procedura.
L’individuo oppositivo, invece, si oppone strenuamente all’interlocutore, con critiche o prese
di posizione anche forti ed estreme. In tal caso la comunicazione deve essere paradossale, cioé
davanti ad una resistenza ostile od a continue interruzioni delle parti il mediatore afferma che il
tentativo di mediazione sta procedendo nel miglior modo possibile grazie al loro contributo. Questo tipo di comunicazione spesso spiazza le parti, rimettendo (apparentemente) a loro il controllo
della procedura e facendogli percepire la mancata correttezza di tale atteggiamento.
Persone che vorrebbe partecipare attivamente al negoziato ma che a causa di blocchi emotivi non riescono a collaborare. Nel caso occorre fare ricorso ad una comunicazione di tipo
suggestivo, guidando la parte a fare attenzione ad aspetti irrilevanti delle nostre argomentazioni
– presentati però come fondamentali – o a indicazioni che lo costringano a concentrarsi su
certi dettagli , mentre lo convinciamo a comprendere ciò che è importante (Informazioni Obiettivi - Dialogo - Accordo ) proponendolo come marginale.
Per ultimo c’é l’atteggiamento di chi non puó fare niente, non puó opporsi ne’ partecipare
attivamente al raggiungimento dell’accordo, spesso a causa di una rigidità mentale che ingessa ogni possibile movimento: il mediatore dovrá cercare di muoversi nella logica rigida, evitando di squalificare tale atteggiamento, orientando la parte verso cambiamenti di prospettive
della realtà.
Bene, siamo alle fine della sessione congiunta iniziale, abbiamo raccolto alcune informazioni (il conflitto secondo i punti di vista delle parti) ed individuato che tipo di interlocutori abbiamo davanti: possiamo sbizzarrirci nelle sessioni private!!!
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CAPITOLO 4
4.1 SESSIONI PrIVATE: LIBErO SFOGO
ALLA FANTASIA?
Abbiamo affrontato, seppur in modo non approfondito, gli aspetti legati ad una buona impressione iniziale, importante per entrare in empatia con le parti e “condurle” verso il loro accordo. Dopo la presentazione il mediatore, acquisita una sorta di acquiescenza delle parti verso
il metodo che ha loro esaurientemente (ed in modo appassionato) descritto, si troverá ad affrontare le sessioni private con i soggetti in lite. Alcuni definiscono queste sessioni come quelle
“del cuore”, riferendosi alla probabile emozione che la parte proverá nell’aprirsi al mediatore,
sollecitato dalle domande di quest’ultimo, confidandogli aspetti e situazioni che esulano dal
semplice motivo di lite e quella del « cervello» dove tutto quanto emerso viene utilizzato per
creare una possibile via d’uscita; altri preferiscono definirle sessioni creative, alludendo alla capacitá del mediatore nell’ “inventarsi” domande per raccogliere piú informazioni possibili per generare una ridda di possibili proposte da esplicitare nella sessione congiunta finale. È nelle
sessioni private che il mediatore puó (deve) incidere generando opzioni, esplorando possibilitá,
inventando soluzioni creative per aiutare le parti ad arrivare ad un accordo.
È in questa fase che il metodo HNP sollecita il passaggio dalle posizioni agli interessi: vediamo nello specifico a cosa ci riferiamo.
È noto a molti che ció che diciamo non è ció che vogliamo. Da studi scientifici condotti in
comunicazione è emerso che quanto è espresso apertamente con la parola vale solo il 7 % di
ció che pensiamo e che vogliamo dire.
La parola, nella forza e l’importanza che riveste, non puó rappresentare l’unico mezzo di
comunicazione possibile; è infatti indubbio quanto sia eloquente il linguaggio non verbale.
Se ci fermiamo un attimo ad osservare gli altri mentre comunicano, possiamo cogliere
quanto siano importanti la gestualitá, le espressioni, i movimenti piú o meno marcati. Tutto concorre a fare comunicazione, a dire qualcosa, a trasmettere ció che la persona sta provando. ritornando alle percentuali che citavamo prima, il linguaggio non verbale, comunemente detto
linguaggio del corpo, incide nella comunicazione per il 55%, mentre il paraverbale cioè come
dico le cose, ritmo e tono della voce, che rappresenta il 38%, superano di gran lunga il verbale
che ha un’influenza del 7%. Il dato numerico stride con la normale concezione di comunicazione
che, sovente, ognuno di noi ha, dove la parola la fa da padrona, senza prestare attenzione ad
alcuni particolari che rivelano molte altre informazioni. Attraverso la comunicazione non verbale
si possono esprimere le emozioni e i pensieri più profondi. I segnali prodotti possono essere
coerenti, ma anche incoerenti: si pensi, ad esempio, alla frase «non mi sto annoiando», detta
mentre si sta guardando sistematicamente il proprio orologio, oppure alla frase «sono felice»,
pronunciata quando il proprio volto sembra trasmettere esattamente il contrario. Ed è in questo
terreno, impervio ed affascinante, che il mediatore deve sapersi muovere per leggere (o sollecitare) i reali interessi di ognuno di noi verso una determinata questione.
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Per far emergere gli interessi sottaciuti, il mediatore dovrá entrare in empatia con la parte,
utilizzando i canali sensoriali prediletti da quest’ultima, andando a toccare e solleticare gli aspetti
piú reconditi per poter fare, poi, sentire alla parte che si puó fidare del mediatore, confidando a
lui ció che in sessione congiunta non ha voluto/potuto riportare.
È frequente, nelle sessioni private, accantonare per un po’ di tempo il problema che ha generato il tentativo di mediazione per conoscere meglio la parte: domande personali, preferenze,
passioni, hobby, interessi, organizzazione familiare e lavorativa, sono solo alcuni degli aspetti
che posso venire toccati e che possono fornire elementi utili nel possibile raggiungimento di un
accordo. un’esperienza fatta da un mediatore Geo-cam è stata, in questo senso significativa:
nell’ambito di una procedura il mediatore si è trovato a gestire una controversia che consisteva
nella presenza di alcuni difetti su una abitazione di nuova costruzione, e vedeva in lite acquirente,
venditore e impresa esecutrice delle opere. I difetti lamentati erano riferiti al cattivo isolamento
termico della unitá, con conseguenti ponti termici e muffa da umiditá, una tinteggiatura esterna
non univoca come colorazione ma con presenza sulle pareti di chiazze di colore piú chiaro, e
la non rispondenza dei requisiti di legge in merito all’isolamento acustico. Dopo tre sessioni private con ciascuna delle parti (durata che le ha stancate fisicamente e dal punto di vista della
concentrazione, consistente in 3 giorni per tutta la procedura) erano emerse, quali elementi condivisi tra le tre parti coinvolte:
a) il mare
b) le barche
c) la pesca
L’accordo trovato, dopo aver lungamente lavorato con ognuna di esse, si è basato sulla installazione di alcune bocchette di aerazione forzata per favorire il ricambio d’aria all’interno dell’abitazione, cosí da eliminare le muffe presenti anche in considerazione che la casa era abitata
da due coniugi entrambi con incarichi “dirigenziali”, spesso fuori di casa, con orari massacranti
e con conseguente difficoltà di aerare i locali. Poi si è passati all’accollo da parte di impresa e
venditore della posa di un pannello per isolamento acustico (senza la richiesta di riduzione del
prezzo di acquisto del fabbricato) con l’impegno da parte dell’acquirente dell’immobile (abilissimo pescatore nelle gare di pesca a livello regionale) a partecipare al campionato con la squadra di pesca dove il venditore è il presidente e l’impresario è il vicepresidente della societá
sportiva.
L’esempio, per quanto banale, rende l’idea di come la soluzione puó significarsi in una strada
che nessuno immaginava; o per meglio specificare, nessuno ad eccezione del mediatore che
ha saputo far emergere elementi apparentemente insignificanti alla lite in questione.
Ma qual’è stata la forza del mediatore? Quali armi ha usato per scovare informazioni utili in
sede di accordo? Semplice, fare le domande opportune!!!!
È con le domande che emergeranno aspetti confidenziali, emozioni nascoste, aspettative
genuine..... ed è per fare le domande piú efficaci che serve preparazione e creativitá. È grazie
a quest’ultima, condita da intuito e spirito di osservazione, che si possono indirizzare le giuste
domande per chiarire, esplorare, sondare, verificare le possibilitá. Per questo le domande non
dovranno essere tendenziose (cioé formulate in modo da indurre la parte a percepire il media-
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tore come fazioso), non dovranno essere chiuse (cioé domande alle quali si debba rispondere
con un si o con un no), non dovranno essere troppo vaghe (cercando di approfondire gli aspetti
della lite e quelli emozionali della parte, partendo dalla larga scala per poi scendere nel particolare).
L’importanza delle domande riveste davvero un ruolo essenziale anche nella seconda sessione privata, la cosiddetta sessione “del cervello”, dove tutti gli elementi emersi grazie all’empatia
creatasi, devono essere ben utilizzati per far emergere le opzioni negoziali. Grazie alle domande
sarà possibile verificare quali tra interessi ed opzioni risultano condivisi, così da portare le parti
ad una soluzione che davvero puó rivelarsi imprevedibile.
Chi mai avrebbe pensato che in una controversia relativa a difetti costruttivi di un fabbricato,
una gara di pesca avrebbe rivestito un ruolo fondamentale per la sua soluzione?
La buona tecnica delle domande unita alla capacità comunicativa del mediatore portano
davvero a soluzioni impensabili ma assolutamente condivise dalle parti e quindi durature nel
tempo.
4.2 IL MEDIATOrE CrEATIVO:
uTOPIA O POSSIBILITà?
Nel precedente paragrafo abbiamo definito le sessioni private come creative o “del cuore”e
“del cervello”. Che si opti per una delle definizioni, risulta indubbio che la creatività giochi un
ruolo fondamentale nella gestione delle sessioni private. La capacità di cogliere e sviluppare informazioni che possono inizialmente apparire banali, è sicuramente frutto di un insieme di capacità e conoscenze della comunicazione e di una grande abilità creativa.
Per poter generare la possibilitá di creazione di piú opzioni si possono seguire alcuni punti
cardine:
1. ll metodo di ricerca e creazione delle molteplici opzioni deve essere del tutto scollegato
dalla valutazione delle opzioni stesse. La verifica della bontá delle soluzioni negoziali sará fatta
in una fase successiva.
2. Cercare di generare piú opzioni possibili e non di ricercare «la» soluzione.
3. Sforzarsi nel trovare vantaggi per tutte le parti coinvolte.
4. Studiare e proporre soluzioni che facilitino la decisione all’altro, sollevandolo da responsabilitá che potrebbero generare blocchi.
uno dei metodi piú usati è quello del brainstorming; è una tecnica usata molto spesso nelle
aziende e consiste nel riunire un gruppo di persone al fine di poter generare piú soluzioni ad un
problema o piú proposte per un progetto. La regola è che durante il la prima fase del brainstorming le persone possono avanzare qualsiasi idea in piena libertá, anche la piú assurda, e le
proposte non possono essere in alcun modo commentate ma solo elencate. In alcuni corsi, facendo riferimento alla storia dell’arancia (vedi capitolo 2.2), si afferma che “Dividere l’arancia
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non è l’unica soluzione. Si può anche sbucciarla, spremerla, o addirittura piantarla e far crescere
un intero albero di arance. La migliore soluzione ad una trattativa si trova solo mettendo nel
piatto tutte le possibilità.”
Il successo di una trattativa (che si sublima nell’accordo finale) sta nel fatto che le parti prendano le decisioni che vadano anche ad altrui vantaggio. Cosí il mediatore dovrá fare in modo di
facilitare queste decisioni, mettendo a confronto una parte con una scelta che sia per lei il più
possibile indolore, magari cercando (a volte creando...) un «precedente», un’analoga soluzione
adottata in situazione similare.
Frequentemente si puó fare ricorso allo stratagemma di far immaginare alle parti (in sessione
privata) quale possa essere la conseguenza di un mancato accordo (ad esempio incertezza,
lungaggini e costi per farsi riconoscere un supposto diritto tramite una causa civile); quando abbiamo sgombrato il campo dalle conseguenze negative o comunque controproducenti, siamo
pronti ad accogliere nuove soluzioni costruttive, valutando finalmente altre possibilitá. un’altra
eventualitá è quella di far immaginare alle parti cosa potrebbe succedere se l’accordo venisse
raggiunto e ratificato; questo ci permette di considerare ipotesi che, se concentrati sul problema
e non sulla soluzione, non riusciamo a cogliere ed a valutare se sono concretamente realizzabili
e, inoltre, di pensare e vagliare gli effetti indesiderati che potrebbero derivare dal raggiungimento
dell’accordo.
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CAPITOLO 5
SESSIONE CONGIuNTA FINALE:
ACCOrDO O NON ACCOrDO?
SOrPrESA: IL MEDIATOrE “CONCrETO”!
Dopo aver sollecitato le parti a creare piú opzioni negoziali o, piú frequentemente, suggerendole loro in modo indiretto (per far si che quella possibile proposta non possa essere identificata come la “soluzione del mediatore”), il mediatore è chiamato a concretizzare gli sforzi ed il
lavoro fatto insieme fino a quel momento.
La fase finale della procedura è delicata perché gli ultimi dubbi, le restie perplessitá e resistenze delle parti verso l’accordo potrebbero cadere in questo passaggio o, per contro, esacerbarsi e mettere in pericolo un possibile epilogo positivo della lite. Potrebbero inoltre emergere
elementi nuovi ed inaspettati che possano sparigliare le carte fino ad allora considerate.
un esempio pratico ci viene fornito da un caso reale (spesso ripreso come esercitazione
per i mediatori dell’Ass. Geo-CAM) che ha riguardato un conflitto sorto tra due amici, Paolo e
Guido, che avevano fondato insieme un biscottificio artigianale, con rispettive quote di proprietá
del 60% e del 40%.
Paolo, che si occupava degli aspetti commerciali e di distribuzione del prodotto, aveva aperto
un’altra attivitá di distribuzione bevande che gestiva parallelamente al biscottificio, a completa
insaputa del socio di minoranza Guido.
Guido, che da sempre si occupava della produzione dei biscotti, impegnato direttamente
dall’impasto alla cottura, chiedeva investimenti che modernizzassero le attrezzature ed i macchinari, sollevandolo cosí dal grande impegno in termini di tempo e di fatica, facendogli di conseguenza guadagnare un po’ di tempo libero da dedicare a famiglia ed hobby ed innalzando il
livello qualitativo della propria vita extraprofessionale.
Paolo si opponeva agli investimenti economici richiesti da Guido, adducendo problemi finanziari, senza peró specificare che tali impedimenti derivavano dallo sforzo economico che
aveva sostenuto nell’azienda di distribuzione bevande, chiedendo al mediatore, che aveva raccolto la confidenza in sessione privata, di non rivelare la circostanza.
Nelle esercitazioni svolte spesso il mediatore è riuscito a far emergere elementi importanti
per chiudere un accordo, basandosi su un investimento dilazionato nel tempo, generalmente
bilanciato dal riassetto delle quote societarie, condizionandolo sovente ad una nuova assunzione
che supporti Guido e lo sollevi da orari gravosi.
Semplice! Quasi lapalissiano! Praticamente un accordo fatto...
Ma qui spesso è uscita l’idea che il mediatore ha della filosofia conciliativa, concretizzata
nell’amletico dubbio: è giusto che si concluda un accordo che non ha la certezza di durata e tenuta nel tempo?
L’incognita della durata è rappresentata dalla mancata rivelazione dell’esistenza della seconda societá di Paolo ed il perdurare di un’ambiguitá in un rapporto dove affari ed amicizia si
intrecciano in modo indissolubile.
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È stato interessante vedere come spesso il finale della esercitazione abbia preso strade diverse, orientate dal mediatore e dalle emozioni delle parti; in alcuni casi le parti hanno chiuso
l’accordo non rendendo noto il “segreto” della seconda attivitá.
In altri casi Paolo ha confessato a Guido il nuovo impegno lavorativo, raccogliendo una reazione rabbiosa ma che ha poi portato comunque ad una comprensione della situazione e ad
una intesa.
In altri casi ancora Guido, dopo essere stato messo a conoscenza della distribuzione di bibite, non è riuscito a superare la delusione, sentendosi tradito dall’amico, con conseguente mancato accordo.
Qualcuno dei coraggiosi lettori, tenacemente arrivato fin a questo capitolo, si domanderá:
“....E il mediatore cosa ha fatto? Come si è posto? Ha cercato di orientare l’opinione delle parti?”
Nella premessa avevamo promesso domande.... beh, eccole!!! Il mediatore ha seguito il
proprio istinto, la propria indole, la propria sensibilitá ed ha agito di conseguenza, non in modo
univoco in ogni esercitazione. Importante per lui è stato riuscire a non essere implicato nelle
emozioni vissute e trasmesse dalle parti: la luciditá del negoziatore è un punto fermo rispetto al
quale non si puó venir meno, anche (e sopratutto) davanti a situazioni particolarmente coinvolgenti, dove schierarsi da una parte è una forte tentazione.
ricordiamoci che il nostro compito è quello di riattivare la comunicazione tra le parti ed accompagnarle verso la soluzione della lite, in modo neutrale, equiprossimo a loro, gestendo le
loro tensioni, le loro ansie, le loro frustrazioni, esaltando gli aspetti positivi in campo e neutralizzando le cariche negative che un conflitto offre in abbondanza.
Quando avrete risposto alla domanda posta qualche riga fa, circa la chiusura di un accordo
che non ha solida base che ne garantisca la durata nel tempo, vi preghiamo di soffermarvi su un
altro aspetto non secondario: quello dell’applicazione dei cosiddetti filtri alla possibile soluzione.
Per filtri si intendono le limitazioni ad un accordo rappresentate da leggi, norme locali e/o
sovraordinate, convenzioni o prassi. un esempio banale ci viene offerto da un caso reale affrontato da un mediatore Geo-CAM: In un conflitto tra due vicini (il proprietario di un’abitazione
e il titolare dell’attigua officina meccanica) riguardante il rumore tra gli ambienti, la costruzione
di una barriera antirumore, costituita da pannelli altri m 2,50 e nascosta in una siepe, avrebbe
rappresentato la soluzione del problema; non è stato possibile attuarla a causa delle stringenti
e non chiare norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico comunale, gravanti sulla
zona di ubicazione degli immobili oggetto di contestazione. Il mediatore ha dovuto portare le
parti ad “inventare” un’alternativa che ha limitato il rumore agendo sugli orari di lavorazione dell’azienda, con l’impegno di esse a presentare congiuntamente una argomentatissima richiesta
all’Amministrazione per la variazione della norma ostativa ed a procedere, nel caso di accettazione della richiesta e del conseguente decadimento delle limitazioni degli orari lavorativi, alla
costruzione della barriera antirumore.
La concretezza del mediatore, piú volte richiamata, sta anche nella presa d’atto e nella “virata” a volte forzatamente imposta alla soluzione condivisa. La voglia di chiudere un conflitto
non deve mai farci dimenticare, nell’entusiasmo dell’intravedere una via tracciata che porti all’accordo, che il nostro sforzo (e ovviamente quello delle parti) deve essere attentamente verificato sotto ogni punto di vista, analizzando con pazienza le circostanze e le conseguenze di
una soluzione piuttosto che un’altra.
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CAPITOLO 6
COMuNICATOrE O COMuNIC-ATTOrE?
Comunicazione, comunicazione, comunicazione!!! Che ci piaccia o no la nostra vita è basata
sul comunicare con gli altri. Efficace o inutile che sia, non possiamo prescindere dal relazionarsi
con chi ci sta vicino. E questo per ogni nostra attivitá: lavoro, affetti, amicizia....
Dal libro piú famoso di Daniel Defoe, “La vita e le straordinarie, sorprendenti avventure di
robinson Crusoe” (scritto nel 1719, anni cui la scienza della comunicazione non era ancora
stata codificata), si riporta un passo che, a parere di chi scrive, è indicativo:
“…Ed ora accingendomi alla malinconica relazione di una scena di vita taciturna, di una
tal vita che forse non se ne udì mai una simile dacchè il mondo e mondo, io la ripiglierò dal suo
principio, continuandola nel suo ordine di tempo. …Dopo essere rimasto quivi circa dieci o
dodici giorni mi venne in mente che avrei perduto il computo del tempo per mancanza di libri,
penne ed inchiostro, e che avrei persino dimenticati i giorni festivi confondendoli con quelli di
lavoro. Perchè ciò non avvenisse, alzai uno stipite in forma di croce su la spiaggia ove presi
terra la prima volta, e con un coltello scolpii sovr’esso in lettere maiuscole: IO.” Per robinson
Crusoe, il prototipo del solitario non per scelta, il non comunicare rischiava di essere una mancata autodeterminazione. Crusoe ha una sua idea della comunicazione e l’incontro con l’indigeno Venerdi, nella difficoltá della lingua vicendevolmente incomprensibile, rivela quanto i lunghi
anni di solitudine sull’isola siano stati superati grazie alla comunicazione con il diario, con gli
animali (emblematico il caso del pappagallo a cui robinson insegna a parlare con frasi di cui si
pente: “Povero Robinson Crusoe, dove sei tu? Dove sei stato? Come sei venuto sin qui?”) e
con il trascendente (memorabili alcune pagine con la descrizione del rapporto con Dio, in virtú
degli accadimenti che gli erano occorsi). Ovviamente si tratta di una comunicazione unidirezionale, condita da non risposte, ma che assolve comunque al compito di alleggerire l’animo da
tensioni e preoccupazioni.
Proprio sull’importanza di questa attivitá è basato il “lavoro” a cui è chiamato il mediatore:
riattivare la comunicazione tra le parti in conflitto è il primo imprescindibile passo verso un accordo.
Nei paragrafi che avete letto fin qui, è ricorsa spesso la parola “empatia”
Dalla Enciclopedia Treccani, il significato di empatia è “la capacità di porsi nella situazione
di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici
dell’altro.” Proprio questa definizione ci da la cifra e l’importanza che ha l’empatia nell’approcciarsi del mediatore con le parti in conflitto. Il compito del mediatore di capire le parti, riattivando
tra loro il contatto e poterle condurre verso un’intesa, sará tantomeno gravoso quanto piú il mediatore saprá entrare in empatia con gli attori del tentativo di conciliazione.
Questo capitolo non vuole sviscerare ed approfondire le tecniche di comunicazione (per
farlo servirebbe un insieme di libri dedicati e, sopratutto, esercitazioni pratiche in corsi tenuti da
formatori capaci ed esperti): l’intento è di segnalare alcuni dei concetti fondamentali da seguire
in considerazione al negoziato. Ne abbiamo scelti tre, tra i piú importanti:
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Scelta del canale sensoriale
1. Individuazione dell’enneatipo
2. Lettura di alcuni aspetti della comunicazione «non verbale»
Vediamo per sommi capi di che cosa si tratta:
Scelta del canale sensoriale
Ognuno di noi ha una predilezione all’uso di uno dei cinque sensi, nell’ambito della possibilitá di esprimere le proprie emozioni e nel percepire le altrui sensazioni. Semplificando le tipologie dei canali sensoriali sono tre:
1. uditivo
2. Visivo
3. Cenestesico
La persona uditiva prediligerá l’utilizzo del senso dell’udito; sará particolarmente sensibile
a recepire concetti, sollecitazioni su ció che riguarda il rumore, la musica e comunque quello
che puó essere captato dall’orecchio. La persona uditiva utilizzerá, nel parlare, verbi che abbiano
a che fare con questo senso (per esempio: “Hai sentito cos’ha detto Luigi?”), probabilmente
ascoltando gli altri ruoterá leggermente la testa, orientando l’orecchio verso l’interlocutore, mentre parlando userá un tono di voce di media intensitá e ponendo lo sguardo orizzontalmente.
La persona visiva preferirá descrivere situazioni con il verbo “vedere” (per esempio: “Hai
visto che bel concerto ieri sera?), avrá un tono di voce alto, squillante, parlando velocemente,
con lo sguardo rivolto direttamente verso l’interlocutore e verso l’alto.
Il cenestesico vivrá emozionalmente le esperienze, dará particolare importanza al tatto, al
contatto fisico con le persone, probabilmente salutandovi appoggerá la mano sulla vostra spalla
o vi sfiorerá la schiena. In genere parlerá con voce bassa e lentamente; nel descrivervi concetti
cercherá di farvi provare le sensazioni che ha vissuto, coinvolgendovi dal punto di vista emozionale.
Con un po’ di esercitazione riuscirete ad indivduare il canale sensoriale della persona che
avrete davanti, rendendo cosí piú efficace il messaggio che vorrete trasmetterle, utilizzando voi
stessi il medesimo canale sensoriale e posizionandosi sulla stessa lunghezza d’onda.
Il caso lampante è quello del venditore di automobili che modula le informazioni sulla vettura
in base al potenziale acquirente; trovandosi davanti un visivo probabilmente dirá “Vede che design e che bella linea ha questa auto?”.
Con un uditivo esordirá dicendo: “Sente che rumore accattivante ha questo motore da 150
CV??!!”
Con un cenestesico punterá per “Tocchi il rivestimento interno in pelle: sente com’é morbido
e liscio?”.
È intuibile che utilizzando il canale sensoriale preferito sará piú semplice creare un rapporto
con il proprio interlocutore. Il mediatore che riesce a riconoscere questa caratteristica delle parti
in mediazione, si troverá ad essere facilitato nell’approccio con esse e nella comunicazione diretta con loro, favorendo la comprensione dei rispettivi interessi e ponendo la prima pietra nella
costruzione dell’accordo condiviso.
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Individuazione dell’Enneatipo
Gli uomini non si distinguono per razza, religione, censo o cultura. O meglio, non solo per
queste caratteristiche. Nell’approcciarsi con gli altri individui si possono individuare nove grandi
famiglie di schemi comportamentali. Citando pedissequamente “Il Manuale del Geometra Mediatore e Conciliatore”, per la parte curata dal geom. Filippo Vircillo ed edito dalla uTET per la
collana “Manuali del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati”, questi grandi nove
gruppi sono legati ad una tipologia e sono i seguenti:
1) Il Perfezionista
2) L’Altruista
3) Il Manager
4) Il romantico
5) L’Eremita
6) Lo Scettico
7) L’Artista
8) Il Capo
9) Il Diplomatico
Le caratteristiche di ogni enneatipo sono le seguenti:
1) Perfezionista: Persona dedita alla logica, attenta al dettaglio ed innamorata della perfezione. È persona che cura l’organizzazione, puntuale agli appuntamenti, con un forte controllo
sulle proprie emozioni. Per lei esiste una (ed unica) strada corretta per affrontare le cose. Tende
ad essere critica con gli altri. Di regola non perdona ed, in genere, è persona difficile con la
quale rapportarsi.
2) L’Altruista: Persona con forte senso e valore dell’amicizia, molto importante nella sua
vita. Ama ascoltare ed aiutare gli altri. Predilige il contatto fisico, risultando spesso cenestesico.
Puó eccedere nell’emotività. Sovente frequenta persone influenti.
3) Il Manager: Obiettivo unico il successo. Cerca di apparire attraente e positivo, curando i
dettagli della propria immagine. Ha la cultura del lavoro, risultando iperattivo, essendo anche
sensibile all’apprezzamento di questa manifesta vitalitá. Se deve ottenere qualcosa agisce immediatamente, senza pensarci troppo. Ha grande fiducia nelle proprie qualitá. In genere d’accordo va con gli altri, pur volendo essere il leader.
4) Il Romantico: Persona creativa, con passione per qualsiasi forma d’arte. Si lamenta per
quello che non ha oggi e rimpiange ció che aveva ieri o ció che avrebbe potuto avere. Si rende
unico nell’abbigliamento e/o nello stile di vita, a volte risultando eccentrico. Ambisce al partner
perfetto. Facilmente si rattrista e si sente abbandonato.
5) L’Eremita: Essendo eremita preferisce stare da solo e non ama essere socialmente attivo.
È un esperto o comunque persona dalle ampie conoscenze intellettuali e culturali. Non gradisce
le domande personali. È un attento osservatore ed ha grande fiducia in se stesso.
6) Lo Scettico: È fondamentalmente un indeciso ed ha spesso un comportamento ambi-
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valente e contraddittorio. Si crede troppo serio, anche se dubita delle proprie capacitá. È solito
chiedere consigli agli altri, verso i quali lealtà e la fiducia hanno grande importanza.
7) L’Artista: Persona piena di energia, piena di vita, allegra e spensierata. Ottimista e iperattiva, sempre pronta a mettersi in ballo in nuove esperienze ed iniziative. riesce a fare piú
cose in contemporanea. riesce ad attirare l’attenzione altrui ed è un ottimo comunicatore, dotata
di carisma. Ambisce ad avere rapporti eccitanti ed intensi.
8) Il Capo: Parole d’ordine leadership e controllo delle situazioni. Molto abile nel persuadere
le persone. Molto competitivo, se sfidato diventa aggressivo, trovando piacere nello scontro diretto. È vendicativo ma onesto, dicendo sempre quello che pensa, riuscendo ad esprimere in
modo convincente la propria opinione.
9)Il Diplomatico: Persona che si adatta volentieri alle situazioni e ai suoi interlocutori. Ottimista, gentile e disponibile. Convinta che i problemi si possano risolvere da soli. Non conosce
molto i propri bisogni ed esige poco dagli altri. Tende a distrarsi facilmente ed a posticipare le
cose.
Le peculiaritá di ogni enneatipo sono evidenti e ben marcate, connotando cosí la persona
in relazione all’atteggiamento verso gli altri.
riuscire ad individuare l’enneatipo di chi abbiamo davanti potrá orientare il nostro approccio,
in modo da trovare la giusta chiave per costruire un rapporto personale ed organizzativo che
funga da cuscinetto per attutire gli “urti” che l’animositá della parte puó provocare nel corso della
procedura di mediazione.
Lettura di alcuni aspetti della comunicazione «non verbale»
I comportamenti assunti da ciascuno di noi in alcune situazioni, se ben osservati e compresi
rappresentano un grande aiuto per l’individuazione del soggetto con cui abbiamo a che fare e
di alcune delle sue caratteristiche fondamentali.
Senza volerci troppo addentrare, come già sopra specificato, nel complicato mondo della
comunicazione, vorremmo peró far rilevare come alcuni atteggiamenti assolutamente banali
possano in realtà dare al mediatore segnali importantissimi.
Pensiamo per esempio al modo in cui può essere stretta la mano nel momento del primo
incontro. una stretta di mano vigorosa, con il palmo della mano rivolto verso il basso e magari
il braccio teso, deve subito mettere in allerta, perche è possibile avere di fronte una persona
con caratteristiche di dominanza che ovviamente tenderà a gestire il conflitto con il medesimo
approccio.
Al contrario una stretta di mano timida, con il palmo della mano verso l’alto o con la mano
«molle» deve far capire che colui che abbiamo di fronte sarà molto probabilmente una persona
remissiva, che nel medesimo modo affronterà il conflitto, magari accettando una soluzione non
del tutto soddisfacente pur di non dover combattere soprattutto se dall’altra parte vi è un soggetto
dominante.
Ovviamente l’elenco di modelli di comportamento che abbiamo indicato altro non sono che
una breve e schematica traccia che il mediatore, grazie alla preparazione di cui è dotato, adatterá
alla situazione che si troverá ad affrontare.
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CAPITOLO 7
CONSIDErAzIONI FINALI E CONCLuSIONI IN LIBErTà
Siamo arrivati alle fine di questo libretto; l’intenzione nello scriverlo era segnatamente quella
di fornire elementi utili per comprendere ed apprezzare l’approccio facilitativo alla mediazione,
facendo riferimento al metodo di Harvard. Speriamo di averlo fatto perché far propria questa filosofia di gestione dei conflitti potrá dare, col tempo, risultati ottimi ed un miglioramento dei rapporti umani degli individui tra loro in lite. È un’opportunitá che va colta e sfruttata al meglio, ma
diventerá tanto piú efficace quanto chi opera in questo settore sará capace di trasmettere agli
altri le positivitá ed i vantaggi che puó fornirci la mediazione. Dopo le ultime novitá normative
introdotte dalla Legge n. 98 del 9 agosto 2013 (conversione del decreto n. 69/2013) è stata istituita la particolaritá del primo incontro di mediazione per le procedure dove il tentativo di mediazione è obbligatorio per passare alla eventuale successiva causa civile; in questo incontro le
parti cercheranno un accordo e decideranno se continuare nel tentativo di conciliazione o se
presentarsi davanti al Giudice ed iniziare il lungo (ed estenuante) cammino della causa. È del
tutto evidente che le capacitá del mediatore, nel far comprendere bene alle parti cos’é la mediazione ed i vantaggi che puó comportare, saranno ancora piú importanti. E per rendere efficaci
queste capacitá è necessario allenarle. Come?! leggendo, studiando, assistendo colleghi piú
esperti e tutto ció che regolarmente facciamo nell’aggiornarci per le nostre “normali” competenze
professionali.
Il “mestiere” di mediatore non è un lavoro come un altro, o meglio non dovrebbe esserlo; è
sotto gli occhi di tutti come sia naufragato il business degli Organismi di Mediazione seriale
(spesso in franchising), segno evidente ed inequivocabile di come non si possa sopravvivere
grazie ai verbali di mancata comparizione. Si narra che alcuni OdM si erano trasformati in attivitá
specializzate in “sfornate” di questi tipi di verbale a € 50,00 cadauno.
Senza voler caricare di significati troppo profondi e/o filosofici, il mediatore deve essere caratterizzato e spinto dalla voglia di miglioramento della vita altrui, mezzo attraverso il quale la
nostra societá potrá abbassare il proprio livello di polemica e di animositá, acuito anche dal difficile momento economico che stiamo vivendo nel nostro paese. In questi momenti è sempre
piú facile trovare la persona incline a cercare la via piú breve (?!) per risolvere il conflitto: quello
della rissa!!!
Abbiamo accennato nella premessa di questo manualetto alla somiglianza del percorso
della mediazione ad una strada lunga e tortuosa.... È per questo che chiudiamo questo libello
con una storia. L’abbiamo trovata nel libro di favole di Gianni rodari “Favole al telefono”, scritto
nel 1962 e che per la prima volta abbiamo letto alla fine degli anni settanta, durante le scuole
elementari, rimanendo colpiti dall’intensitá e dalla potenza delle fiabe.
La storia si intitola “La strada che non porta in nessun posto”, ve la riportiamo di seguito:
“All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso
la città e la terza non andava in nessun posto.
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Martino lo sapeva perchè l’aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva avuto la stessa risposta:
– Quella strada li? Non va in nessun posto! È inutile camminarci.
– E fin dove arriva?
– Non arriva da nessuna parte.
– Ma allora perchè l’hanno fatta?
– Ma non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì!
– Ma nessuno è mai andato a vedere?
– Oh sei una bella testa dura! Se ti diciamo che non c’è niente da vedere...
– Non potete saperlo se non ci siete stati mai.
Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo «Martino Testadura» ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.
Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una
mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e
andò sempre avanti.
Il fondo era pieno di buche e di erbacce ma per fortuna non pioveva da un pezzo così non
c’erano pozzanghere; a destra e a sinistra si allungava una siepe ma ben presto cominciarono i boschi.
I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura
e fresca nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale.
Cammina e cammina...la galleria non finiva mai,la strada non finiva mai.
A Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene
indietro quando vide un cane.
– Dove c’è un cane c’è una casa – riflettè Martino – o perlomeno un uomo!
Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani, poi si avviò lungo la strada e
ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.
– Vengo! Vengo! Vengo – diceva Martino incuriosito.
Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla
soglia di un grande cancello di ferro.
Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate e il
fumo usciva da tutti i comignoli e da un balcone una bellissima signora salutava con la
mano e gridava allegramente:
– Avanti! Avanti, Martino Testadura!
– Toh! – si rallegrò Martino – io non sapevo che sarei arrivato..ma lei si!
Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone.
Era bella! E vestita anche meglio delle fate, delle principesse e in più era proprio allegra e
rideva.
– Allora non ci hai creduto!
– A che cosa?
– Alla storia della strada che non andava in nessun posto
– Era troppo stupida e secondo me ci sono anche più posti che strade!
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– Certo! Basta aver voglia di muoversi! Ora vieni ti farò visitare il castello.
C’erano più di cento saloni zeppi di tesori d’ogni genere, come quei castelli delle favole
dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze.
C’erano diamanti pietre preziose, oro, argento e ogni momento la bella signora diceva:
– Prendi! Prendi quello che vuoi! Ti presterò un carretto per portare il peso.
Figuratevi se Martino si fece pregare! Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta
sedeva il cane che era un cane ammaestrato e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.
In paese, dove l’avevan già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa.
Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere!
Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici e dovette raccontare cento volte la sua avventura e ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si
precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto.
Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro con la faccia lunga così per il dispetto: la
strada per loro finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine.
Non c’era più nè cancello, nè castello, nè bella signora perchè certi tesori esistono soltanto
per chi batte per primo una strada nuova e il primo era stato Martino Testadura.”
Probabilmente se nel comunicare la nostra idea di mediazione, sapremo essere dei Martino
Testadura, contribuiremo a migliorare la vita di molti.
Buon viaggio!
__________________________________________________________________________________
Hanno redatto il testo: Filippo Vircillo, geometra: la presentazione
Claudia Caravati, geometra: i capitoli 1, 2.1, 2.2, 3
Simone Scartabelli, geometra: la premessa e i capitoli 4.1, 4.2, 5, 6, 7
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Vademecum 3
GEOM. FILIPPO VIRCILLO
GEOM. CLAUDIA CARAVATI
GEOM. SIMONE SCARTABELLI
Il metodo del Negoziato
di Harvard nel modello
di mediazione GEO-C.A.M.
ovvero:
Abbiamo visto giusto?
Vademecum del mediatore GEO-C.A.M.
(o del simpatizzante :) !!!)
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GEOMETRI CONSULENTI TECNICI, ARBITRI E MEDIATORI
GEO-C.A.M.
DICEMBRE 2013
ENTE DI FORMAZIONE P.D.G. DEL 3/9/2012 N°344
ORGANISMO DI MEDIAZIONE NAZIONALE INTERDISCIPLINARE
P.D.G. DEL 3/9/2012 N° 922
Fly UP