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Etty Hillesum

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Etty Hillesum
Cooperativa
Padri filippini
Cattolico-democratica di Cultura
della Pace
Giovedì 27 ottobre 2011, ore 20,45
Sala Bevilacqua, via Pace n. 10, Brescia
Isabella Adinolfi
docente di Storia del pensiero etico-religioso nell’Università di Venezia
autrice del saggio Etty Hillesum. La fortezza inespugnabile, Melangolo, 2011
parlerà sul tema
Etty Hillesum
l’intelligenza del cuore
«Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo
in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo
solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori.
Spesso penso che dovremmo caricarci il nostro zaino sulle spalle
e salire su un treno di deportati»
(Etty Hillesum, Lettere 1942-1943)
www.ccdc.it
Dal Diario 1941-1943 (Adelphi 1990) di Etty Hillesum
«Non dico più: non m’importa più niente. Ci si abbandonava smodatamente alle proprie tristezze, sino all’autodistruzione»: è diventata una frase leggendaria. Ora non succede più. Anche nei giorni di grande stanchezza e
tristezza non mi lascio più cadere così in basso. La vita rimane una corrente ininterrotta, forse in certi giorni un
po’ più lenta e ostacolata, ma continua tuttavia a scorrere. Non dico più: sono così infelice, non so più che fare,
non m’importa più niente. Una volta, avevo ogni tanto la pretesa di essere la persona più infelice di questa terra.
Ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia
siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita e mi sento libera. I cieli si stendono dietro
di me come sopra me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è
grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e «lavorare a se
stessi» non è proprio una forma di individualismo malaticcio. Una pace futura potrà essere veramente tale solo
se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di
qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine.
Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può essere espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono
una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.
Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie
preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha la sua parte.
Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una
cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover
aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche
l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire
a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, io non chiamo in causa la tua responsabilità, più
tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. Ma quasi ad ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: tu non
puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.
La miseria che c’è nel campo di smistamento è veramente terribile – eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è
inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore
si innalza sempre una voce - non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare -, e questa voce dice: la
vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo
crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi.
Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma
soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra
finita. Forse io sono una donna ambiziosa, vorrei dire anch’io una piccola parolina.
Le ultime notizie dicono che tutti gli ebrei saranno deportati dall’Olanda in Polonia. Secondo la radio inglese,
dall’aprile 1941 sono morti 700.000 ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste saranno
altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non
è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi!
Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto.
La gente si smarrisce dietro ai mille piccoli dettagli che ti vengono quotidianamente addosso, e in questi dettagli
si perde e annega. Così non tiene più d’occhio le grandi linee, smarrisce la rotta e trova assurda la vita. Le poche
cose grandi che contano devono essere tenute d’occhio, il resto si può tranquillamente lasciar cadere. E quelle
poche cose grandi si trovano dappertutto e dobbiamo riscoprirle ogni volta in noi stessi per poterci rinnovare
alla loro sorgente. Malgrado tutto, si approda sempre alla stessa conclusione: la vita è pur buona... Questa è la
mia convinzione anche ora, anche se sarò spedita in Polonia con tutta la famiglia.
ULTIMO BIGLIETTO DI ETTY HILLESUM. A Christine van Nooten [presso Glimmen, 7 settembre 1943]. Christien, apro a caso la Bibbia: «Il Signore è il mio rifugio». Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato
vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo
cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre
buone cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora ad Amsterdam; forse avrai notizie. Hai ricevuto la mia ultima lettera? Arrivederci da noi quattro. Etty. Questa cartolina postale, che Etty buttò fuori dal treno
il 7 settembre 1943, fu ritrovata lungo la linea ferroviaria e spedita una settimana dopo. Etty Hillesum morì ad
Auschwitz il 30 novembre di quello stesso anno.
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