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Ecco lo stralcio da una lettera che Leopardi scrisse a un amico il 5

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Ecco lo stralcio da una lettera che Leopardi scrisse a un amico il 5
Ecco lo stralcio da una lettera che Leopardi scrisse a un amico il 5 marzo 1820:
“…poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo
puro e un bel raggio di luna, e sentendo un’aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano, mi
si svegliarono alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel cuore…”
Alcuni mesi dopo, nell’autunno dello stesso anno 1820, il tema della lettera si tradusse nella poesia
Le sera del dì di festa, appartenente agli Idilli, che inizia così:
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
già tace ogni sentiero, e pei balconi
rara traluce la notturna lampa:[…]
La lirica si apre con la descrizione di un tranquillo paesaggio notturno (vv. 1-4) di stampo classico,
che ricorda quelle di poeti greci e latini (per esempio Omero, Virgilio e Ovidio) e, soprattutto per il
lessico, Petrarca. Il ritmo dell’incipit è abilmente rallentato dall'uso di congiunzioni e dalle
inversioni dei due aggettivi che anticipano il sostantivo a cui si riferiscono (“dolce” e “chiara”).
Già da questi primi versi emerge un senso di indeterminatezza, che caratterizza tutta la poetica
degli Idilli; la suggestività del paesaggio, tipico di gran parte della poesia romantica europea,
diventa lo sfondo per la confessione sentimentale del poeta, attraverso un’antitesi tra la pace del
mondo notturno (vv. 2-4: “e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / posa la luna, e di lontan rivela /
serena ogni montagna.”) e il tormento del poeta.
Il confronto tra questi due brani ci permette di capire che, anche se la situazione è la stessa, molto
diverse sono le prospettive e quindi anche i testi che ne risultano. Pertanto, ciò che rende poetico un
testo non è l’argomento, ma l’organizzazione formale che sotto il profilo lessicale, sintattico,
retorico, fonetico sfrutta al massimo le potenzialità della lingua, andando ben oltre il livello
puramente descrittivo o informativo. Inoltre, non basta scrivere in versi perché un testo sia una
poesia. Infatti, la poetessa polacca W. Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996, a
lungo redattrice di una rivista letteraria, a un lettore che le aveva inviato un suo scritto per riceverne
un parere, rispose:
“Dalla lettura delle sue poesie risulta che lei non avverte una differenza sostanziale fra poesia e
prosa. Ad esempio la poesia intitolata “Qui” è una modesta descrizione prosastica d’una stanza e
dei mobili che vi si trovano. In prosa una simile descrizione ha una sua funzione esattamente
definita: indica lo sfondo in cui si svolgerà l’azione. Tra un istante la porta si aprirà, qualcuno
entrerà e comincerà ad accadere qualcosa. Nella poesia è la stessa descrizione che deve
“accadere”. Tutto diventa importante e significativo: la scelta delle immagini, il loro accostamento
e la forma che assumono. La descrizione di una normale camera deve diventare ai nostri occhi la
scoperta della camera e l’emozione di questa scoperta dovrebbe contagiarci. In altre parole, anche
se l’autore ha suddiviso con la massima cura le frasi fra le righe d’una poesia, la prosa resta
prosa”.
La poesia di Leopardi, poi, continua spostandosi dal paesaggio alla donna amata, cui il poeta si
rivolge con un’apostrofe (v. 4: “O donna mia”) ma che rimane indifferente alle sue sofferenze. Essa
è l’interlocutore, cioè il destinatario del discorso poetico che va distinto dal destinatario reale, cioè
il lettore.
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