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SORDELLO, LE POESIE.
Marco BONI SORDELLO, LE POESIE. NUOVA EDIZIONE CRITICA CON STUDIO INTRODUTTIVO, TRADUZIONI, NOTE E GLOSSARIO A CURA DI MARCO BONI A Silvio Pellegrini VII PREMESSA Una nuova edizione delle poesie di Sordello era da molti desiderata, sia per essere il libro del De Lollis, pubblicato ben cinquantasette anni fa 1, ormai introvabile, sia perché l’edizione curata dall’illustre studioso risultava oggi incompleta, in seguito alle scoperte di nuovi componimenti, fatte dal Bertoni 2 e da A. Jeanroy3, sia perché in vari punti il testo del De Lollis appariva suscettibile di grandi o piccoli miglioramenti, anche a chi non spingesse lo sguardo sino ai manoscritti e si limitasse a tener presenti le numerose correzioni che furono proposte dagli studiosi che ebbero a suo tempo a recensire l’opera 4 o ebbero ad occuparsi, in epoca posteriore, del trovatore di Goito5. Ed era pure giudicata cosa quanto mai C. DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello di Goito, Halle, 1896 («Romanische Bibliothek», vol. XI). G. BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, in Giornale storico della letteratura italiana, XXXVIII, 1901, p. 269 e segg. 3 A. JEANROY, Poésies provençales inédites d’après les manuscrits de Paris, in Annales du Midi, XVII, 1905, p. 476 e segg. 4 Particolarmente importanti, per i problemi testuali, le recensioni di A. MUSSAFIA, Zur Kritik und Interpretation romanischer Texte. - Sordel, in Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften di Vienna, Philosophisch-historische Klasse, CXXXIV, 1895, IX Abh., p. 1 e segg.; di O. SCHULTZ-GORA, in Zeitschrift für romanische Philologie, XXI, 1897, p. 237 e segg.; di G. NAETEBUS, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, XCVIII, 1897, p. 202 e segg.; di A. JEANROY, in Revue critique d’histoire et de littérature, XLII, 1896, p. 283 e segg. Parecchie proposte di correzioni fece anche P. E. GUARNERIO, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVIII, 1896, p. 383 e segg.; ma sono in gran parte inaccettabili. Per altre recensioni — che saranno citate nel corso della trattazione quando sarà necessario — cfr. la n. 6 e la bibliografìa in fondo al volume. 5 Meritano particolare ricordo gli importanti contributi di G. BERTONI, I trovatori d’Italia, Modena, 1915, specialm. a p. 297 e segg. 1 2 VIII opportuna che venissero ripresi in esame, dopo le molte e talora assai accese discussioni a cui il libro del De Lollis dette origine (fra cui la famosa polemica tra il De Lollis e il Torraca, che per poco non dette luogo, come è noto, ad un duello) 6 e dopo i numerosi studi successivi 7, i problemi riguardanti la biografìa e le opere del poeta, tenendo conto anche delle ricerche compiute in questi primi cinquant’anni del Novecento intorno a quei trovatori che, come Aimeric de Peguilhan, Uc de Saint Circ, Guilhem de la Tor, Bertran d’Alamanon, Peire Bremon Ricas Novas, Guilhem Montanhagol, Granet, ebbero rapporti con Sordello. A questa duplice esigenza cerca di soddisfare il presente volume, che si propone non solo di tracciare di nuovo — rimeditandone i problemi, alla luce di tutte le indagini che sono state fatte su Sordello dalla pubblicazione del libro del De Lollis ad oggi, nonché dei non pochi e spesso importantissimi studi recentemente venuti alla luce sulla storia francese e italiana del sec. XIII 8 — la biografia del trovatore di Goito e di studiarne le opere, ma anche di dare una nuova edizione completa di tutte le poesie sordelliane, fondata su una revisione completa di tutta la tradizione manoscritta. Tale revisione, come si vedrà, è stata assai fruttuosa, perché mi ha permesso di correggere parecchi errori del De Lollis e anche qualche svista sfuggita al Bertoni nel testo e nell’apparato delle liriche da lui accolte nel suo fondamentale volume dedicato ai Trovatori d’Ita- Si veda: F. TORRACA, Sul «Sordello» di Cesare de Lollis, in Giornale dantesco, IV, 1897, p. 1 e segg.; A proposito di Sordello, ivi, IV, 1897, p. 297 e segg. e V, 1898, p. 191 e segg.; Sul «Pro Sordello» di Cesare De Lollis, ivi, VI, 1898, p. 417 e segg., p. 529 e segg. e VII, 1899, p. 1 e segg., 120 e segg., 174 e segg.; C. DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, in Giorn. stor. d. lett. it., XXX, 197, p. 125 e segg.; P. E. GUARNERIO, A proposito di Sordello, in Giornale dantesco, V, 1898, p. 106 e segg. 7 Non essendo possibile, naturalmente, enumerarli tutti, basterà qui ricordare, come particolarmente notevoli, tra gli studi di carattere generale, quelli del CRESCINI, del NOVATI, del BERTONI, dello JEANROY, del PARDUCCI, del DE BARTHOLOMAEIS, dell’UGOLINI, del VISCARDI, e, fra i contributi particolari, quelli del TALLONE e del MONCHIERO, relativi al feudo di La Morra in provincia di Cuneo, assegnato da Carlo d’Angiò a Sordello, e quelli del BISCARO. Di questi studi si troveranno le indicazioni bibliografiche complete nella bibliografia in fondo al volume. A questa bibliografia rimando anche per altri studi su cui qui sorvolo. 8 Anche queste indagini storiche erano necessarie per precisare vari particolari della biografia e dell’opera del trovatore. Inoltre, esse mi hanno permesso di rintracciare vari nuovi atti angioini, del tutto ignoti fino ad ora agli studiosi di Sordello, in cui il trovatore di Goito appare, come in parecchi altri già segnalati dal DE LOLLIS, nell’elenco dei testimoni, tra i più alti baroni della corte provenzale. 6 IX lia, e persino di restituire a una canzone (la XXV dell’ed. De Lollis; in questa edizione al n. X) la seconda tornada, della cui esistenza il De Lollis non si era accorto. Seguendo una consuetudine ormai universalmente diffusa nelle edizioni di poesie trobadoriche, ho creduto opportuno far seguire a ogni testo di Sordello la traduzione. L’edizione del De Lollis era del tutto priva di traduzioni; e di molti componimenti del trovatore mantovano questa è la prima traduzione che venga pubblicata. Sento il dovere di ringraziare qui vivamente Silvio Pellegrini, il quale mi ha suggerito, quattro anni fa, questo lavoro — che perciò ho voluto che fosse a lui dedicato — e mi ha dato molti preziosi consigli. E assieme a Silvio Pellegrini voglio qui ricordare con animo grato Francesco A. Ugolini, che fin dal 1939, nella prima edizione del suo bel volume su La poesia provenzale e l’Italia, aveva detto quanto mai desiderabile un «coordinatore lavoro complessivo» su Sordello 9, e che ha seguito con grande interesse lo sviluppo delle mie ricerche. Ringrazio inoltre Mademoiselle J. Vieilliard, direttrice dell’«Institut de Recherches et d’Histoire des Textes» di Parigi, e Mademoiselle E. Brayer, direttrice della sezione francese di tale Istituto, che hanno lasciato a mia disposizione, per tutto il tempo che mi è stato necessario, le fotografie di molti manoscritti, e la direttrice della Biblioteca Estense, dott. Emma Pirani, che mi ha agevolato in ogni modo lo studio dei preziosi codici modenesi 10. MARCO BONI F. A. UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, Modena, 1939 (collez. «Testi e manuali» dell’Istituto di filologia romanza dell’Università di Roma), p. XXXIX. Cfr. anche la 2ª ed., Modena, 1949, alla stessa pagina. 10 Avverto che degli scritti citati nelle note si sono date indicazioni bibliografiche complete solo la prima volta in cui sono stati ricordati; successivamente essi sono stati citati in forma abbreviata. Si potranno ritrovare facilmente i dati bibliografici completi ricorrendo alla bibliografia posta in fondo al volume. Con la sigla P. C. rimando alla Bibliographie der Troubadours di A. PILLET e H. CARSTENS, Halle, 1933. 9 INTRODUZIONE XIII I LA VITA DI SORDELLO 1. SORDELLO FINO ALLA PARTENZA DALL’ITALIA Sordello è, in complesso, uno dei trovatori di cui si può tracciare la vita con una certa ampiezza — benché non senza incertezze e dubbi non facilmente solubili in modo sotto ogni rispetto soddisfacente —, per l’abbondanza delle notizie che intorno a lui possediamo, ricavabili non solo dalle sue poesie e dalle due biografie provenzali, in genere, come vedremo, assai attendibili, che i codici ci hanno tramandato (una, più ampia e più autorevole 11, conservata, come è noto, da A a a’, un’altra, più breve, data da I K) 12, nonché dalle poesie dei trovatori con cui ebbe rapporti, ma anche da numerosi documenti e diplomi che riguardano il nostro trovatore o lo citano nell’elenco dei testimoni. Sul luogo di nascita di Sordello — nome proprio assai diffuso in quel tempo13, e diminutivo, come il meno comune Surdinus14, Che la vida di A a a’ sia la migliore è attestato, come già notò il DE LOLLIS (Vita e poesie di Sordello, p. 3), dalla esattezza della notizia della nascita del trovatore a Goito, e dal ricordo dei tre feudatari di casa Strasso, dei quali, come vedremo, si trova ricordo in documenti contemporanei. 12 Trascuro, naturalmente, d, copia di K fatta nel sec. XVI, e ρ, estratto da K risalente al sec. XVII. 13 Un «Sordellus qui fuit de Marano», ad es., è ricordato tra i cittadini del quartiere di Santo Stefano di Vicenza che giurarono il trattato concluso nel 1254 tra Ezzelino III da Romano e Uberto Pelavicino (cfr. C. MERKEL, Sordello di Goito e Sordello di Marano, in Giorn. stor. d. lett. it., XVII, 1891, p. 381 e segg., che confuta l’identificazione col trovatore tentata dal GITTERMANN, Ezzelin von Romano, I Teil, Die Gründung der Signorie, Stuttgart, 1890, p. 95); un «Oldericus Sordelli», forse figlio del precedente, è citato in un atto dell’11 settembre 1260 tra i cittadini posti dal comune di Vicenza a custodia del «girone» sopra la porta del Leone in Bassano, dopo lo sfacelo della signoria ezzeliniana (cfr. VERCI, Storia degli Ecelini, Bassano, 1779, III, p. 427); un «Sordello Mazocho» compare come testimonio in alcuni atti rogati a Cherasco nel 1273 e nel 1289 (Historiae Patriae Monumenta edita iussu regis Caroli Alberti, Chartarum t. II, Torino, 1853, col. 1643, 1709, 1714). Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 2 n.) cita anche un «Waltherius Surdellus» che nel 1206 permuta alcuni beni con l’abate di Tournay. 14 Un «Surdinus» compare in un docum. del 1203 citato dal MORIONDO, Monumenta Aquensia, I, Torino, 1789, col. 130. 11 XIV di Surdus, da cui venne poi il cognome Sordi 15, e non soprannome giullaresco, come, sulle orme di una osservazione del De Lollis 16, ha ripetuto anche recentemente il Bertoni17, nonostante che nella vida più breve18, in varie rubriche19, ai v. 6 e 10 dello scambio di cobbole tra Uc de Saint Circ e Alberico da Romano 20, e al v. 9 del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas21 il nome sia fatto precedere dall’articolo22 — abbiamo testimonianze sicure. La prima e più ampia vida afferma che il nostro trovatore Cfr. anche F. BERTOLINI, Sordello, in Nuova Antologia, CCVIII, 1906, p. 457. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 1. Il DE LOLLIS però si limita a osservare, citando i luoghi dei canzonieri provenzali in cui il nome del nostro trovatore appare preceduto dall’articolo, che il nome Sordello «dové apparire quasi un nomignolo derivato da forme provenzali quali sordei, sordejar...»; e soggiunge che in realtà, il nome non è che un diminutivo di «Surdus». 17 Nella voce Sordello dell’Enciclopedia Italiana (cfr. XXXII, 1936, p. 155). 18 Si veda il testo della vida pubblicato in appendice. 19 Tali rubriche si trovano nei seguenti codici: A, c. 209 a e b, 210 c; D, c. 140 a; I, c. 123 d; K, c. 109 c e d. 20 Basti qui rimandare all’ed. delle poesie di Uc de Saint Circ di A. JEANROY e J. J. SALVERDA DE GRAVE, Toulouse, 1913, p. 112 e ai Trovatori d’Italia del BERTONI, p. 267. Cfr. P. C. 457, 20 a. 21 Cfr. l’ed. delle poesie di Peire Bremon Ricas Novas curata da J. BOUTIÈRE, Toulouse-Paris, 1930, p. 69. Cfr. P. C. 330, 6. 22 Il DE LOLLIS pensava, come si è visto, che il fatto che davanti al nome del trovatore sia posto l’articolo mostri che il nome veniva quasi considerato «un nomignolo derivato da forme provenzali quali sordeis, sordejar, e destinato a contrassegnare un uomo di qualità morali tutt’altro che elevate». Il rapporto però tra il nome Sordel e sordeis o sordejar è molto dubbio: cfr. O. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschrift f. rom. Phil., XXI, 1897, p. 238 e XXII, 1898, p. 302; C. APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Literaturblatt für germanische und romanische Philologie, XIX, 1898, col. 227. Vanno respinti anche il rapporto che il DE LOLLIS poneva (Vita e poesie, p. 1 e 14) tra il nome del trovatore preceduto dall’articolo e l’aneddoto di Benvenuto da Imola (di cui si parlerà ampiamente più oltre), e la supposizione, legata a tale rapporto, che Benvenuto abbia attinto l’aneddoto a una biografia provenzale a noi ignota: cfr. SCHULTZ-GORA, ibid. e APPEL, ibid.; NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 203; e soprattutto F. NOVATI, Il canto VI del Purgatorio letto nella sala di Dante in Orsanmichele, Firenze, 1903, p. 49 e segg., che opportunamente osserva che Benvenuto tende a spiegare in modo simbolico i nomi dei personaggi di cui parla, mettendoli in rapporto coi casi della loro vita, e si compiace di giuochi di parole, sì che non vi è alcun bisogno di pensare a una fonte provenzale per spiegare il rapporto che Benvenuto istituisce tra Sordello e «sordidus». 15 16 XV «fo de Mantoana, d’un castel que a nom Got»23; e la notizia è pienamente confermata non solo da una rubrica del codice H (c. 43 a) ove il poeta è detto Sordel de Goi, ma anche da vari documenti 24 ove è chiamato Sordellus de Godio: testimonianza, quest’ultima, di notevolissima importanza, perché rispecchia l’opinione comune corrente negli ambienti ufficiali della corte angioina, probabilmente risalente a dichiarazioni del trovatore stesso o da lui approvata. Né parrebbe in sostanziale contraddizione con questa notizia l’indicazione fornita dalla vida minore, che lo dice nativo «de Sirier de Mantoana»25: infatti Sirier potrebbe essere identificato, secondo l’ipotesi messa innanzi dal De Lollis 26, con Cereda o Cereta (pronuncia locale Serida), presso Volta Mantovana, a circa 6 km da Goito, o con Sereno (pron. locale Serino), località posta secondo il De Lollis nelle immediate vicinanze della precedente, oppure anche — benché sia meno probabile, essendo i toponimi più lontani dalla forma della vida provenzale27 — con le località Cerlongo e I Cerri, poste a circa 3 km a NO di Goito28. Le due vidas concordemente ci attestano anche che il nostro tro- Cito la lezione di A. Si cfr. il testo in appendice. Il primo di tali documenti è l’accordo tra Carlo d’Angiò e Genova circa questioni di confine, del 21 luglio 1262, ove Sordello è citato tra i testimoni; gli altri sono i diplomi, conservati dai registri angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, relativi alle concessioni di feudi in Abruzzo fatte da Carlo d’Angiò a Sordello (di tutti questi documenti si tratterà ampiamente più oltre). 25 Cito per questa vida, come base, la lezione di I. Cfr. l’Appendice. 26 Vita e poesie, p. 2 e segg. 27 Si potrebbe però osservare, a questo proposito, che non è possibile pretendere una puntuale corrispondenza tra il toponimo italiano moderno e quello provenzale, che è evidentemente una traduzione approssimativa (e non sappiamo quanto fedele), fatta dal compilatore stesso della vida, e forse storpiata poi dai copisti, di un toponimo locale e dialettale antico. 28 Secondo O. SCHULTZ-GORA , Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, in Zeitschrift f. rom. Phil., VII, 1883, p. 203, n. 2 (e cfr. la rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 238) il Sirier della vida sarebbe da identificare piuttosto con Serere a est di Mantova, località che non si trova più registrata nella carta d’Italia dell’Istituto Geografico Militare né in altre nostre carte moderne, ma che corrisponde — come ho potuto accertare mediante un confronto fra la carta al 25.000 dell’I.G.M. (f.o 63, tav. III S. O., Quistello) e la «Topographische Karte von Mittelitalien» usata dallo SCHULTZ-GORA — alla frazione di Corte Cerreto a ovest di Quingentole. Tale località però ci porterebbe, mi sembra, troppo lontano da Goito. Naturalmente, però, anche l’ipotesi del DE LOLLIS lascia non pochi dubbi. 23 24 XVI vatore fu di nobile nascita, benché appartenesse alla piccola nobiltà: la prima vida lo dice «gentils catanis», cioè appartenente alla classe dei «cattani» o signori di castelli, che nella gerarchia feudale avevano, come è noto, un grado intermedio tra i conti e i semplici valvassori; e la seconda lo dice figlio di un cavaliere, specificando però che questo cavaliere era povero di averi: notizia assai credibile, e che ci spiega come il trovatore abbandonasse il luogo natio e tentasse la fortuna nelle corti. La seconda vida aggiunge che il padre di Sordello «avia nom sier el Cort»: espressione nella quale non si sa se si debba ravvisare il vero nome del padre, come inclina a credere il De Lollis29, il quale avverte che «Curtus, nome e patronimico, fu comunissimo nell’Italia settentrionale al secolo XIII», o come un soprannome, allusivo alla breve statura o alle scarse rendite del cavaliere, come vorrebbe invece l’Ugolini 30. Quanto alla data di nascita, che le vidas naturalmente non danno, e che non conosciamo da altra fonte, dovremo fissarla per congettura: ma non è certo troppo arrischiato pensare ai primi anni del sec. XIII o forse, meglio, agli ultimi anni del sec. XII31. Bello di persona, come attesta la biografia più ampia 32 e, co- Vita e poesie, p. 8, n. UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXX. Anche il FAURIEL, nel suo saggio su Sordello pubblicato nella Bibliothèque de l’École des Chartes, IV, p. 95, aveva ritenuto il Cort come un soprannome allusivo alla povertà del padre del trovatore. Il NOVATI, II canto VI del Purgatorio, p. 21, dice Sordello «probabilmente di gran lignaggio, perché a chi conosca le misere condizioni nelle quali sullo scorcio del secolo decimosecondo versavano le più nobili ed antiche famiglie italiane per la suddivisione indicibile dei patrimoni aviti, non può far stupore che i cattani di Goito fossero altrettanto nobili quanto miserabili». È giusta l’osservazione che molte delle più nobili famiglie italiane fossero allora in piena decadenza; ma che Sordello fosse «di gran lignaggio» è ipotesi che lascia non pochi dubbi. Sui nobili di Goito cfr. F. C. CARRERI, Le condizioni medievali di Goito, in Atti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova, 1897-98, p. 157 e segg., e P. TORELLI, Un comune cittadino in territorio ad economia agricola, Mantova, 1930, I, p. 53 e segg. Ma sarebbero utili approfondite ricerche particolari. 31 Cfr. UGOLINI, ibid. Collocano la nascita del trovatore «intorno al 1200» il DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 136; il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 9; il CRESCINI, Sordello, Padova, 1897, p. 16; il BERTONI, Il Duecento, Milano, Vallardi, 1947, p. 27 (e cfr. la voce dell’Enciclopedia italiana; il VISCARDI, Poesie di Sordello, in Dizionario letterario Bompiani, Milano, 1948, V, p. 678. Ai primi anni del sec. XIII pensano invece lo SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italianischen Trobadors, p. 203; e J. ANGLADE, Les Troubadours, Paris, 1929, p. 235. 32 In essa si legge infatti: «E fo avinens hom de la persona...». 29 30 XVII me possiamo facilmente intuire, di ingegno vivace e di animo avventuroso e generoso, Sordello preferì alla vita meschina e monotona di un piccolo nobile del contado la vita del giullare e dell’uomo di corte, più vivace e brillante, e che offriva anche la possibilità di fare fortuna. Erano i tempi in cui la Marca Trevigiana risuonava tutta di canti occitanici, e nelle grandi e piccole corti della regione (quella degli Estensi, quella dei Da Romano, quella dei San Bonifacio, ecc.) trovavano protezione e ottenevano plauso per le loro liriche vari trovatori, fra cui primeggiava Aimeric de Peguilhan 33. E numerosissimi erano i giovani giullari, che invadevano le corti, avidi di doni e di ricompense, ansiosi di affermarsi, rissosi e spregiudicati, in lotta fra loro, ma senza riguardi anche per i trovatori anziani, contro i quali si appuntano pure le loro invidie: i «croi joglaret novel», «enojos e mal parlan», di cui parla Aimeric de Peguilhan nel famoso sirventese Li fol e·il put e·il filol, lagnandosi che essi corrano «un pauc trop enan» e aggiungendo (vv. 6-8). E son ja, li mordedor per un de nos dui de lor; e non es qui los n’esquerna34. Tra questa turba di giullaretti novelli ritroviamo in un primo tempo Sordello, partecipe dei loro giochi e delle loro risse; benché Sulla lirica trovadorica nella Marca Trevigiana e presso gli Estensi, oltre al vecchio studio di T. CASINI, I trovatori nella Marca Trivigiana, in Il Propugnatore, XVIII, 1885, p. 149 e segg., basti rimandare alle seguenti opere: BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 16 e segg., e Il Duecento, p. 20 e segg.; A. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, Toulouse-Paris, 1934, I, p. 244 e segg.; V. DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale in Italia, nel vol. Provenza e Italia, Firenze, 1930, p. 28 e segg. e passim (pagine ripetute senza grandi mutamenti nell’introd. alle Poesie provenzali storiche relative all’Italia, Roma, 1931, I, p. XXXV e segg.), e Primordi della lirica d’arte in Italia, Torino, 1943, principalm. p. 178 e segg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXI e segg. 34 Cito dal testo critico dato dall’UGOLINI, ibid., p. 57 e segg. (e cfr. p. 148), migliore in alcuni punti anche di quello dato dalla recentissima ed. critica delle poesie di Aimeric de Peguilhan di W. P. SHEPARD e F. M. CHAMBERS, Evanston, Illinois, 1950, p. 166. Cfr. anche la ricostruzione, accompagnata da un accuratissimo commento, di V. CRESCINI, Note sopra un famoso sirventese di Aimeric di Peguilhan, in Studi medievali, n. s., III, 1930, p. 6 e segg., riprodotta nel vol. Romanica fragmenta, Torino, 1932, p. 541 e segg., e quella di V. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 241 e segg. Del sirventese il DE BARTHOLOMAEIS ha trattato anche nel saggio Il sirventese di Aimeric de Peguilhan Li fol, li put e·il filhol, in Studi romanzi, VII, 1911, p. 296 e segg.; cfr. anche Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 96 e segg. La composizione del sirventese si può collocare circa al 1220: cfr. UGOLINI, ibid., p. XXIII; e cfr. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 241 e segg. 33 XVIII certo subito si distinguesse tra essi per il suo ingegno, per la sua fierezza (di cui vedremo in seguito notevoli testimonianze), e per le sue doti di poeta e di musico, che la più ampia delle vidas espressamente ricorda35. Infatti nel sirventese sopra ricordato (vv. 11-16) Aimeric de Peguilhan lo distingue chiaramente dalla folla dei «joglaret novel», per quanto non lo stacchi da essi che ironicamente, e lo presenti come un accanito giocatore di dadi, sempre squattrinato, tanto da esser costretto a lasciare il gioco quando gli manchi chi gli presti del denaro: Non o dic contra’n Sordel, q’el non es d’aital semblan, ni no·is vai ges percassan si co·l cavallier doctor, mas, qan faillo·l prestador non pot far cinc, cines, terna36. Questo sirventese di Aimeric de Peguilhan è un prezioso documento degli anni giovanili di Sordello, il quale, al tempo in cui Aimeric scrisse questi versi, doveva essere all’incirca ventenne37. Un altro documento è costituito dallo scambio di cobbole tra Aimeric de Peguilhan e Sordello, che costituisce il testo XXX di questa Vi si dice infatti che Sordello «fo bon chantaire e bon trobaire». Mette conto di ricordare, a proposito del tirocinio poetico del nostro trovatore, che il BERTONI (Il Duecento, p. 29) formula l’ipotesi che Sordello sia stato ammaestrato nell’«arduo esercizio» del rimare in provenzale da Rambertino Buvalelli, che era stato podestà di Mantova nel 1215-16, e aveva usato, per primo, per indicare la donna amata, il senhal di «Restaur», caro poi a Sordello. È un’ipotesi suggestiva, ma che non si appoggia ad alcuna prova sicura. 36 Seguo per il v. 16, tanto discusso, la lezione del CRESCINI e dell’UGOLINI, che mi sembra del tutto soddisfacente. La lezione del DE BARTHOLOMAEIS, No pot far cinc et ill terna, assai lontana dalla tradizione manoscritta, mi sembra meno convincente, nonostante il raffronto istituito con un passo del sirventese Mout m’es (P. C 80, 28) di Bertran de Born (cfr. Il sirventese di Aimeric de Peguilhan, p. 314, e Poesie provenzali storiche, I, p. 243): anche ammettendo, infatti, che Sordello avesse dinanzi questo componimento, non si può escludere che abbia variato l’espressione del suo modello. Né mi sembra accettabile la lezione No pot far cinc ni sieis terna data dall’ed. SHEPARD, CHAMBERS, p. 166 e 169. A proposito dell’interpretazione generale del passo è da notare che il DE BARTHOLOMAEIS pensa che qui Aimeric presenti Sordello come «un procacciante vivente di prestiti e di truffe » (Poesie provenzali storiche, I, p. 243); probabilmente è più nel vero il CRESCINI (Note sopra un famoso sirventese), il quale ritiene che l’ironia sia assai meno pungente. Cfr. anche TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 7 e segg. 37 Per la data del sirventese cfr. nota 34 Sordello si trovava allora nella Marca Trevigiana, non a Saluzzo: cfr. DE BARTHOLOMAEIS, Il sirventese di Aimeric de Peguilhan, p. 303 e segg., e Poesie provenzali storiche, I, p. 243. 35 XIX edizione, interessante perché ci mostra Sordello in aperto contrasto col trovatore tolosano: nella prima cobla infatti Aimeric rinfaccia a Sordello di essersi buscato un colpo di anguistara sulla testa (evidentemente in una rissa in una taverna), e, osservando ironicamente che egli, però, aveva un cuore tanto umile e tanto nobile da prendersi in pace ogni colpo, pur che non vedesse del sangue, lo accusa velatamente di essere un vile; nella seconda Sordello replica violentemente, scagliando contro Aimeric la solita accusa di avarizia, e deridendone la bruttezza e la pretesa — come par che si debba intendere — di voler fare il galante malgrado l’età avanzata38. A queste cobbole, conservate in P, può essere accostata anche un’altra cobbola, conservata da H, in cui Sordello ricorda con compiacenza il colpo di spada con cui un certo Auziers 39 ferì, in modo da tagliargli tutta la guancia, un certo Figeira — che si potrebbe (benché la cosa sia tutt’altro che sicura) identificare con Guilhem Figueira40 — che lo aveva assalito in un sirventese in cui faceva prova della sua «lenga falsa e messongeira». Tale cobbola (testo XXVII di questa edizione) e la precedente sono i più antichi componimenti che ci siano rimasti del nostro trovatore. Di questi versi però non è possibile dare una datazione sicura. Rimando alle note che accompagnano il testo per l’indicazione delle edizioni e per altri particolari. La data del componimento è assai incerta: il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 73 afferma che risale «forse al 1216 o 1220»; il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 78 si limita a dirlo anteriore alla partenza di Sordello dall’Italia, che egli assegna al 1228; lo SHEPARD e il CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 22 e 73, inclinano alla data proposta dallo SCHULTZ-GORA (Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 204), che lo poneva intorno al 1225. Il DE LOLLIS pensava invece al 1220: cfr. più oltre. 39 Qualche studioso ha voluto identificarlo con Guglielmo Augier Novella: cfr. P. MEYER, rec. del vol. di E. LEVY su Guilhem Figueira, in Romania, X, 1881, p. 202; SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnissen der italienischen Trobadors, p. 120; J. MÜLLER, Gedichte der Guillem Augier Novella, in Zeitschrift f. rom. Phil., XXIII, 1899, p. 51; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 62 e seg. e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 183. 40 L’identificazione tra il Figeira o Figera di questo componimento e delle cobbole giulleresche di cui si parla in queste pagine e Guilhem Figueira è stata negata risolutamente dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 250 e seg. e II, p. 63 (ma in parte partendo da un errore messo in luce dall’UGOLINI), e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 111 e 183 e seg.; ed è messa in dubbio dall’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXVIII e seg. Per la tesi favorevole all’identificazione (accettata anche dal PILLET e dal CARSTENS, Bibliographie, n. 217) basti citare: E. LEVY, Guilhem Figueira, Berlin, 1880, p. 2 e segg.; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 4 e segg.; e Pro Sordello de Godio, milite, p. 124 e segg.; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 2 e segg.; e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 419 e segg.; SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 20 e segg., 79 e seg., 94 e segg. 38 XX A una data sicura aveva creduto di poter arrivare il De Lollis 41, il quale, ricollegando queste cobbole ad altre sette conservate in H, una di seguito all’altra (nn. 194-200)42 a non molta distanza dalla cobla di Sordello contro Figeira (che è al n. 237), aveva creduto di poter riferire tutte e dieci le cobbole a un medesimo avvenimento, ossia a una contesa tra giullari che egli pensava avvenuta «verso il 1220» in una taverna di Firenze: deducendo la data dai versi di chiusa della cobla Bertran d’Aurei, se moria, assegnata nel ms. a Figera, che alludono alla Metgia di Aimeric de Peguilhan e non danno a Federico II che il titolo di re, e sono perciò anteriori alla coronazione imperiale di Federico, avvenuta il 22 novembre 1220, e la località dal v. 4 della cobla di Paves. Sarebbe in tal modo possibile pensare a un soggiorno di Sordello a Firenze nell’anno 1220. La tesi del De Lollis, fondata su sottili accostamenti, poteva a prima vista apparire suggestiva. Egli riuniva le prime quattro cobbole date da H (nn. 194-197), che hanno la stessa struttura strofica e le stesse rime, e sono evidentemente connesse tra loro anche per il contenuto 43, alle cobbole 199 e 200, chiaramente collegate asVita e poesie, p. 4 e segg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 124 e segg. Per chiarezza, elenco qui le sette cobbole, nell’ordine in cui si trovano nel codice, citando il primo verso di ciascuna, e indicando l’autore a cui ciascuna è attribuita: n. 194. Figera. Bertram d’Aurel, se moria (P. C. 217, 1 b); n. 195. N’ Aimerics de Piguillan. Bertram d’Aurel, s’[aucizia] (P. C. 10, 13); n. 196. Bertram d’Aurel. N’ Aimeric, laissar poria (P. C. 79, 1); n. 197. Lambertz. Seigner, scel qi la putia (P. C. 280, 1); n. 198. Paves. Anc de Roland ni del pro n’Auliver (P. C. 320, 1); n. 199. Figera. Anc tan bel colp de ioncada (P. C. 217, 1 a); n. 200. N’ Aimerics de Piguillan. Anc tan bella espazada (P. C., 10,9). Le cobbole (edite diplomaticamente dal GAUCHAT e dal KEHRLI in Studi di filologia romanza, V, 1891, p. 523 e segg.) sono state stampate — trascurando edizioni più antiche, come quella del MAHN — dal TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 419 e segg.; dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, 250 e segg., II, 76 e segg.; e da SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 73, 79 e seg., 94 e segg. Le cobbole 194, 195, 196, 197, 199 e 200 si trovano anche nell’ed. delle poesie di Guilhem Figueira del LEVY, p. 55 e seg. La cobbola di Paves (198) è anche nei Trovatori d’Italia del BERTONI, p. 301; e le cobbole 194, 196 e 197 si trovano pure nell’ed. delle poesie di Rambertino Buvalelli del BERTONI (Dresden, 1908), p. 58 e 65 e seg. 43 Nella cobla 194 Figera, imitando lo schema di una tenzone tra Guido di Cavaillon e il conte di Tolosa (cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis; DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite; LEVY, Guilhem Figueira, p. 56; DE BARTHOLOMAEIS, Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 111) si rivolge a Bertram d’Aurel, chiedendogli a chi Aimeric de Peguilhan, se morisse prima di Ognissanti, lascerebbe le ricchezze che ha accumulate in Lombardia soffrendo freddo e fame (la solita accusa di avarizia che gli rivolge anche Sordello); nella 195 Aimeric stesso, prevenendo le risposte e ritorcendo le domande a danno del suo avversario, si rivolge anch’egli a Bertran d’Aurel chiedendogli a chi «Figera ·l deptor», nel caso che fosse stato ucciso da N’ Auzers, avrebbe potuto lasciare il suo fals cor traidor, pieno di ogni sorta di vizi, e tutte le sue 41 42 XXI sieme dalla eguaglianza della struttura strofica e delle rime e dal contenuto, ritenendo che la ferita che N’ Auzers dette a «‘N Guillelm Gauta-segnada» fosse da porsi in rapporto coi primi due versi della cobbola 195; e a questa riteneva si dovessero legare anche la 198, posta nel codice tra i due gruppi, pensando che il colpo di pane secco e duro dato da Capitanis44 a «‘N Guillem l’enojos» fosse da accostarsi al colpo di spada della cobla 200 e al colp de joncada della 199, dati a «‘N Guillelm Testa-pelada» e a «‘N Guillelm Gauta-segnad» (che potrebbero essere la stessa persona), e la 237, ove Sordello accenna a un colpo di spada che ferì Figeira, il quale potrebbe essere identificato con i Guglielmi delle cobbole 198, 199 e 200. E riuniva inoltre alla serie anche le due cobbole scambiate tra Aimeric de Peguilhan e Sordello conservate da P (unite fra loro in modo indubbio dalla eguaglianza della struttura strofica e delle rime), sia per la analogia che gli pareva di notare tra il colpo di engrestara ricevuto da Sordello sul capo e il colp de joncada e l’espazada delle cobbole 199 e 200 (che gli faceva pensare che Sordello ricevesse il colpo di engrestara nella stessa rissa in cui erano stati malmenati i due Guglielmi — riducibili anche a un solo cattive compagnie; nella 196 Bertran d’Aurel distribuisce a suo modo l’eredità di Figera, assegnando a «Çoanet lo menor» l’enjan e la tricharia, a «N’ Auzers lo fegnedor» e a «‘N Budel» il desonor, a «‘N Lambert» la putia, il vizio del bere a «‘N Complit-Flor » e i ribaldi a «N’ Amador»; nella 197 Lambert (nel quale non mi pare da ravvisare in alcun modo Rambertino Buvalelli: cfr. G. BERTONI, Rambertino Buvalelli trovatore bolognese e le sue rime provenzali, Dresden, 1908, p. 11 e segg. e 67 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 250 e segg.; SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 96) si dichiara, con molta libertà di linguaggio, contento dell’eredità che gli è stata riserbata. 44 Questo personaggio non deve, naturalmente, essere identificato con Sordello, come voleva lo SCHULTZGORA, Die Lebensverhältnisse der italianischen Trobadors, p. 130. Cfr. anche TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 5; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 24, 83, 301 e 358; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 77 e segg. XXII personaggio — delle cobbole 198-200), sia per l’identità della struttura strofica, sia per l’identità quasi completa delle rime45, la somiglianza del secondo verso, e il ritorno della parola sanc nel v. 8 delle cobbole 199 e 200 e nella prima cobbola di P. La tesi del De Lollis, che riprendeva in parte quella del Levy 46, ha suscitato però forti obiezioni, non solo da parte del Torraca, che ne fece uno dei punti fondamentali della sua critica al De Lollis 47, ma anche da parte del Naetebus 48 e dello Schultz-Gora49; e anche il Bertoni, pur ammettendo la possibilità dell’ipotesi, ne ha messo in luce il carattere oltremodo congetturale50: sicché oggi si può dire ormai con ragione messa da parte. Le quattro cobbole 194, 195, 196 e 197 di H stanno invero evidentemente per loro conto: infatti i vv. 1-2 della cobbola 195 non bastano a legare strettamente questo gruppo alle altre cobbole, perché — a parte l’incertezza dell’identificazione di Figera con «Guillelm Gauta-segnada» — non è detto che si riferiscano al ferimento di cui parla la cobbola 200, in quanto da essi si può ricavare soltanto che esisteva una rivalità tra Figera e N’ Auzers; e resta sempre possibile pensare, d’altra parte, che tra queste cobbole e le altre intercorra un certo spazio di tempo. E in tal modo vien meno la possibilità di riferire la percossa ricevuta da Sordello mediante l’engrestara di cui parla la cobbola Anc al temps d’Artus ni d’ara di Aimeric de Peguilhan al 1220, che è la data certa di queste quattro cobbole di H, scritte certamente subito dopo la Metgia di Aimeric51 e anteriormente alla coronazione imperiale (22 novembre 1220) di Federico II — che è ancora chiamato rei al L’unica differenza si ha nei v. 1 e 4 ove nelle cobbole 199 e 200 di H si ha la rima in -ada, mentre nella prima cobbola di P si ha la rima in -ara. 46 LEVY, Guilhem Figueira, p. 9 e 55 e segg. 47 TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 2 e segg.; A proposito di «Sordello», p. 301; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 419 e segg. 48 NAETEBUS , rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 203. 49 SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, 1897, p. 238, e cfr. XXII, 1898, p. 302. — Difese invece la tesi del DE LOLLIS, GUARNERIO, nella sua rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 384. 50 G. BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXVIII, 1901, p. 271; Rambertino Buvalelli, p. 65 e segg.; I trovatori d’Italia, p. 83. 51 La Metgia è certamente del 1220: DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 136 e segg.; BERTONI, I Trovatori d’Italia, p. 26; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. XLIII e segg., II, p. 246 e segg., e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 108 e segg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXII; SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 20 e seg. e 148 e seg. Il DE LOLLIS in un primo tempo credeva, col DIEZ, che fosse stata composta poco dopo il 1218 (Vita e poesie, p. 5, n.). Il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 432 e segg., voleva, erroneamente, riportarla a una data ancora anteriore (tra il 1214 e il 1216). 45 XXIII v. 9 della cobla 194 — anche se è forse troppo ardito precisare più minutamente le circostanze in cui furono composte, come fa il De Bartholomaeis, che le ritiene composte lungo la via Emilia 52. E mi sembra assai dubbio l’accostamento alle cobbole 199-200 della cobbola di Paves (n. 198): «Guillem l’enojos» potrebbe essere un personaggio diverso dai Guglielmi in esse ricordati: e con questo verrebbe meno la possibilità di collocare la rissa a Firenze 53. Anche il fatto che la cobbola s’inizia con Anc come le cobbole 199-200 (e come le due di P) non mi sembra abbia gran valore, come vorrebbe il De Lollis 54: si tratta infatti di una formula assai comune 55; e, d’altra parte, anche ammettendo tra queste cobbole un rapporto di diretta imitazione letteraria in un senso o in un altro, non se ne può trarre una deduzione sicura per quanto riguarda la cronologia. Più chiaro sembrerebbe il legame tra la cobbola sordelliana contro Figeira e le cobbole 199-200 di H, sembrando il colpo di spada dato da N’ Auziers a Figeira qui ricordato lo stesso in cui si parla nella cobla 200, inferto da N’ Auzers a Guillelm «Gauta segnada», sempre che si ammetta che tale Guillelm sia il Figueira 56: il che però non ci dà nessun elemento per una precisa datazione della cobla di Sordello. Quanto alle due cobbole di P, la evidentissima somiglian- DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 248, 250; e cfr. Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 108 e segg. Dubitano dell’affermazione del DE BARTHOLOMAEIS anche SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 96. 53 Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 83 inclina invece a legare fra di loro queste tre coblas e a identificare Guillem con il Figueira. Secondo lo SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 204, «Guillem l’enojos» potrebbe essere Guilhem de la Tor. Anche SHEPARD e CHAMBERS sono propensi a porre in stretta relazione le tre cobbole. 54 DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 132. 55 TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 453 e segg. 56 Questa identificazione è assai discussa: la accolgono, ad es., lo SHEPARD e il CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, cit, p. 80; la negano invece il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 427, e il DE BARTHOLOMAEIS, Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 183. Mette conto osservare che il Guillelm «Testa pelada» della cobla 199 ben difficilmente potrà essere lo stesso Figera a cui la cobla è assegnata nel codice: dev’essere un personaggio diverso. Fu forse un modesto giullare, di cui non sappiamo altro che il nome, come sembra intendere il DE BARTHOLOMAEIS? Oppure si deve pensare che questa cobla sia una pura imitazione letteraria di quella di Aimeric de Peguilhan, senza rispondenza con la realtà? Non bisogna dimenticare che anche le coblas satiriche erano un «genere» letterario. 52 XXIV za formale con le cobbole 199-200 di H (identità di struttura metrica, identità di rime salvo quella dei v. 1 e 4, sostituita dall’assonanza, parola sanc in rima all’ultimo verso) non può provare se non questo: che Aimeric de Peguilhan nella cobbola Anc al temps d’Artus ni d’ara seguì lo schema delle cobbole 199-20057: nulla ci obbliga a credere che Sordello ricevesse il colpo di engrestara nella stessa zuffa in cui N’Auzers ferì Guillelm 58. Dobbiamo dunque metter da parte l’ipotesi di un soggiorno di Sordello a Firenze, così come dobbiamo mettere da parte quella di un soggiorno a Saluzzo o genericamente in Piemonte, che si è voluta ricavare dal sirventese Li fol e·il put e·il filol di Aimeric de Peguilhan59; e le cobbole ricordate valgono solo come documento generico della scapigliata vita giovanile del nostro trovatore, se si vogliono, s’intende, considerare ispirate a fatti reali e a reali situazioni, e non — come pure si potrebbe sostenere — pure finzioni letterarie, dettate dal desiderio di dar prova di abilità o di esercitarsi nella poesia satirica e realistica. Sulla vita giovanile di Sordello abbiamo anche due altri curiosi documenti. Il primo è una cobbola di ignoto, anch’essa conservata dal ms. P, subito dopo le due cobbole ingiuriose scambiate tra Sordello e Aimeric de Peguilhan: l’anonimo rimatore dice di perdonare volentieri a Sordello tutte le offese che gli ha fatte, perché egli ne troverà giocando la giusta punizione: infatti — aggiunge — egli si è giocato ambedue i suoi palafreni e il suo destriero, e ora, se giungerà a un fiume ove non sia né guado né ponte, è costretto a spogliarsi e a mostrare le sue rotondità 60. Il secondo è una tenzone tra Figera e Aimeric de Peguilhan che si trova nel canzoniere H (n. 176), in cui si accenna a una movimentata partita a scacchi gio- Si potrebbe anche sostenere che l’imitazione avvenne in senso contrario: ma mi sembra meno verisimile. Secondo il TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 457 Sordello ricevette il colpo d’engrestara in un soggiorno in Piemonte, che gli sembra attestato dal noto sirventese di Aimeric di Peguilhan: ma cfr. la n. 37. 59 Cfr. la nota precedente. 60 La cobla (P. C. 461, 80) è stata stampata dallo STENGEL, nell’ed. diplom. di P (in Arch. für das Stud. der neueren Spr. und Lit., L, 1872, p. 263), dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 73, e da A. KOLSEN, Altprovenzalisches, 18: Das Sirventes des Joan d’Albuzo gegen Sordel, in Zeit. für roman. Phil, LVIII, 1938, p. 99 e segg. Cfr. anche BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 75 e seg. (oltre, naturalmente, a DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 7). 57 58 XXV cata a Brescia, durante la quale Bertram d’Aurel minacciò col coltello Guillelm del Dui-Fraire, suo avversario, che viene chiamato «maiestre d’en Sordel»: maestro di Sordello, verisimilmente, non nel cantare o nel poetare, ma nel giocare agli scacchi 61. Sono due componimenti difficilmente databili 62, ma che ci mostrano anch’essi la passione del trovatore per il gioco negli anni della giovinezza. Particolarmente interessante è il primo, dal quale, per il fatto che Sordello vi appare in possesso di due palafreni e un destriero, il De Lollis 63 pensava che si potesse dedurre soltanto che «i diritti di giulleria di Sordello erano molto elevati e che, dunque, sin dall’inizio della sua carriera, i meriti trovadorici di lui eran tutt’altro che scarsi», ma forse si può ricavare anche, e meglio, con lo Schultz-Gora64 e con altri65 che Sordello, pur mescolandosi alla turba dei «giullaretti novelli», non era propriamente allo stesso livello di essi, ma alquanto al disopra di essi, e spiccava non solo per il suo ingegno, ma per la sua aspirazione a una vita più decorosa e nobile, per un vivo senso della dignità: il che ci spiegherà le sue proteste di non essere un giullare. La tenzone (P. C. 10,36 e 217,4 c) è stata stampata (oltre che da GAUCHAT e KEHRLI, nell’ed. diplom. di H, p. 518) dal LEVY, Guilhem Figueira, p. 57 e segg.; dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 74, e da SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 182 e segg. Su di essa cfr. anche DE LOLLIS, Vita e poesie p. 25; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 7 e segg.; CRESCINI, Note sopra un famoso sirventese, p. 14 e nel vol. Romanica fragmenta, p. 551; D. J. JONES, La tençon provençale, Paris, 1934, p. 37. 62 Il DE LOLLIS ad es. (ibid., p. 7 e 25) li ricollega alla vita giovanile del trovatore, pur senza dare date precise; il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, II, p. 73 e segg.) li assegna genericamente al primo periodo della vita del poeta, giudicandoli anteriori al 1228, anno in cui ritiene avvenuta, al più presto, la partenza di Sordello dall’Italia; il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 8 e seg.) riporta il primo componimento agli anni in cui Sordello non era più alle prime armi, mentre assegna il secondo al tempo del suo esordio poetico; il KOLSEN (Altprovenzalisches, 18: Das Sirventes) inclina ad attribuire il primo componimento a Peire Bremon Ricas Novas, assegnandolo quindi al soggiorno in Provenza; lo SHEPARD e il CHAMBERS (The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 138) pongono il secondo prima del 1225. A mio giudizio, ambedue possono essere attribuiti, con buone probabilità, agli anni più giovanili del poeta. 63 DE LOLLIS, ibid., p. 7. 64 Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 205, ove è detto testualmente: «dieser Umstand zeigt, dass Sordel mit den andern joglars nicht auf eine Stufe zu stellen ist: er muss jedenfalls in seinem Auftreten etwas Glänzenderes und in seinem Wesen etwas Vornehmeres gehabt haben». 65 Ad es. il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 8. 61 XXVI Da tutti questi componimenti — eliminato il soggiorno a Firenze — non possiamo però ricavare alcuna notizia esatta circa i luoghi in cui Sordello ebbe allora a soggiornare. La prima notizia sicura che ci permette di localizzare, per così dire, l’attività giovanile di Sordello è la tenzone (n. XIII di questa edizione) da lui scambiata con Joanet d’Albusson66, ritrovata dal Bertoni nel ms. a’67, dalla quale si deduce che il trovatore di Goito dovette soggiornare per qualche tempo presso la corte estense: infatti in essa Joan rimprovera Sordello di essersi fatto giullare per povertà e di essersi compiaciuto di accettare antan (v. 9) i drappi regalatigli dal Marqes, nel quale è da ravvisare, come ha mostrato il Bertoni, il marchese Azzo VII d’Este68. L’antan ci induce a ritenere il soggiorno di Sordello presso il marchese alquanto anteriore alla tenzone, che sembra appartenere, per le allusioni a Cunizza che paiono trovarvisi, al tempo in cui il trovatore era alla corte di Rizzardo di San Bonifacio o addirittura, come è più probabile, al tempo in cui si trovava presso i Da Romano dopo il ratto di Cunizza 69; d’altra parte, poiché Azzo d’Este in questo periodo fu costantemente in relazioni amichevoli con Rizzardo di San Bonifacio, tanto che anche nel 1230, quando Rizzardo fu catturato da Ezzelino III da Romano, accordatosi coi Montecchi, appoggiò i Padovani, i Vicentini e i Mantovani nel loro tentativo (che, come è noto, riuscì) di liberare il conte 70, sarebbe impossibile pensare che il soggiorno di Sordello presso il marchese avesse avuto luogo dopo il ratto di Cunizza. Notevole è in questa Pensa invece al «Çoanet lo menor» ricordato nella cobbola 196 di H lo SCHULTZ-GORA, Ein Sirventes von Guilhem Figueira gegen Friedrich II, Halle, 1902, p. 43: ma secondo me è ipotesi meno attendibile. Il DE BARTHOLOMAEIS nelle Poesie provenzali storiche, II, p. 71 rimaneva incerto fra la tesi del BERTONI e quella dello SCHULTZ-GORA; ma successivamente (Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 181) si è accostato, pur conservando qualche dubbio, all’opinione del BERTONI. 67 BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 271 e segg., 285 e segg., 292 e segg., e I trovatori d’Italia, p. 76; cfr. anche DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 71 e segg. 68 Anche lo SCHULTZ-GORA (recensione allo studio Nuove rime di Sordello di Goito del BERTONI, in Zeitschrift f. rom. Phil., XXVI, 1902, p. 367), il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, ibid., e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 181 e segg.) ammettono il soggiorno di Sordello alla corte estense. 69 Anche il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, ibid., pensa che la lirica sia posteriore al ratto, ossia al 1226. Cfr. Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 182. Sulla questione cfr. le note al testo. 70 Basta rimandare allo studio di L. SIMEONI, Note sulla formazione della seconda lega lombarda, in Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di scienze morali, s. III, t. VI (1931-32), p. 26. 66 XXVII tenzone il fatto che Sordello vi si difende vivacemente e vigorosamente dall’accusa di essere un giullare, dalla quale, come vedremo, dovrà difendersi anche contro Peire Bremon Ricas Novas in Provenza. In questa sua prima difesa Sordello dichiara di aver preso i drappi del marchese soltanto per rivestire qualche giullare (vv. 10-12): affermazione che sembra trovare conferma nei vv. 9-10 dello scambio di cobbole tra Falcon e Cavaire71, in cui Cavaire rinfaccia a Falcon di essersi fatto rivestire da un joglaret del Marqes d’Est. Se in questo joglaret potesse ravvisarsi Sordello, ne risulterebbe ulteriormente convalidata la tesi del Bertoni, secondo la quale, come si è detto, il Marqes è Azzo VII d’Este. I buoni rapporti tra Azzo VII d’Este e Rizzardo di San Bonifacio ci aiutano a spiegare il passaggio di Sordello dalla corte estense a quella del conte Rizzardo in Verona. La dimora di Sordello presso Rizzardo di San Bonifacio è attestata concordemente dalle due vidas provenzali, la prima delle quali afferma: «Et entendet se en madompna Conissa, sor de ser Aicelin e de ser Albric de Romans, q’era moiller del comte de Saint Bonifaci, ab cui el estava»; e la seconda, più brevemente, dice: «E venc s’en a la cort del comte de San Bonifaci; e·l coms l’onret molt». La testimonianza delle vidas è confermata da Rolandino, secondo il quale — come par che si debba intendere — Sordello appartenne alla familia del conte72: fu cioè suo «famigliare», suo «cortigiano» o «uomo di corte» (qualifica, questa, che gli dà anche Benvenuto da Imola, senza peraltro preci- Su questo scambio di cobbole (P. C. 151,1 e 111,2) si veda: V. CRESCINI, Revestor, in Zeitschrift f. rom. Phil., XLVII, 1927, p. 47 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, 11, p. 70 e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 181 (ove erroneamente il primo dei due giullari è chiamato Folco); UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXIII e seg., 71 e 148. 72 Dice infatti Rolandino (cito dalla più recente ed. di A. BONARDI, nella nuova ed. dei Rerum Italicarum Scriptores, t. VIII, p. I, Città di Castello, 1905, p. 18; cfr. la vecchia ed. dei Monum. Germ. Hist., Script. XIX, p. 40): «...(dompnam Cunizam), vite cuius series fuit. Primo namque data est in uxorem corniti Rizardo de Sancto Bonifacio, set tempore procedente, mandato Ecelini sui patris Sordellus, de ipsius familia, dompnam ipsam latenter a marito subtraxit». Non è chiaro il significato di ipsius. Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 8) lo riferì a Rizzardo, e così par che logicamente si debba intendere, e fu inteso da molti (cfr. ad es. BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 76; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXI); ma vi è stato anche chi, come il DE VIT (Cunizza da Romano, Padova, 1891) l’ha voluto riferire a Cunizza — il che in fondo non cambierebbe sostanzialmente la posizione del trovatore —, e anche chi, come il MERKEL (Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, Torino, 1890, p. 8), volle riferirlo a Ezzelino, ammettendo di conseguenza che Sordello, prima di soggiornare alla corte di Rizzardo di San Bonifacio, fosse per qualche tempo presso i Da Romano e seguisse poi Cunizza in Verona in occasione del suo matrimonio con Rizzardo: ipotesi certo ingegnosa, ma che non sembra del tutto convincente. 71 XXVIII sare il signore che il trovatore avrebbe servito) 73. Ignoriamo però, al solito, in quale momento Sordello si recò alla corte dei San Bonifacio. Alla corte di Rizzardo di S. Bonifacio Sordello trovò Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino III e di Alberico da Romano, che Rizzardo aveva sposato al principio del 122274, quando le famiglie dei Da Romano e dei San Bonifacio si erano pacificate, suggellando i patti di pace con questo matrimonio e con quello di Ezzelino III con Zilia, sorella di Rizzardo. Il trovatore amò la nobile dama, come attestano concordi le due vidas75: e pare che si trattasse, in questo momento, di uno dei soliti vagheggiamenti trovadorici, dato il valore delle espressioni entendet se e enamoret se... a forma de solatz76. E Cunizza egli cantò nei suoi versi: abbiamo infatti un «partimen» tra Sordello e Guilhem de la Tor (n. XV di questa edi- Cfr. l’ed. curata da J. F. LACAITA, Firenze, 1887, III, p. 177: «Hic novus spiritus fuit quidam civis mantuanus nomine Sordellus, nobilis et prudens miles et, ut aliqui volunt, curialis, tempore Eccirini de Romano...». 74 Rolandino non ci dà alcuna data; ma il cronista Gherardo Maurisio afferma che il matrimonio avvenne, insieme a quello di Ezzelino con Zilia di San Bonifacio, durante la podesteria in Vicenza di Guglielmo Amato («in fine potestarie ipsius domini Guillielmi dominus Ecelinus dominam Çiliam, sororem comitis Riçardi de Sancto Bonifacio, similiter uxorem duxit, et comes Riçardus duxit in uxorem dominam Cuniçam, sororem istorum dominorum de Romano»: cfr. la nuova ed. della cronaca a cura di G. SORANZO, nella nuova ed. dei Rerum ltalicarum Scriptores, t. VIII, p. IV, Città di Castello, 1914, p. 20, 1. 27 e segg.). Poiché Guglielmo Amato fu podestà di Vicenza nella seconda metà del 1221 e nella prima metà del 1222, è chiaro che dobbiamo assegnare il matrimonio appunto alla prima metà del 1222. Tale data è appunto assegnata all’avvenimento da L. SIMEONI, nel suo studio Il comune veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statuto, nella Miscellanea di storia veneta edita per cura della R. Deputazione Veneta di storia patria, s. III, t. XV, Venezia, 1922, p. 44. Così affermano anche DE VIT, Cunizza da Romano, p. 13 e CRESCINI, Sordello, p. 16. Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 9) lo dice invece accaduto «tra i primi mesi del 1221 e i primi del 1222»; e così ripete il CIPOLLA, Compendio della storia politica di Verona, Verona, 1899, p. 136, che si rifà per tutta la questione al DE LOLLIS; e a questa data si attiene anche il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 76. 75 La vida più ampia afferma infatti: «Et entendet se en madompna Conissa... q’era moiller del comte de San Bonifaci, ab cui el estava»; e la più breve dice, in questo caso con maggiore abbondanza di particolari: «e s’enamoret de la moiller del comte a forma de solatz, et ella de lui». 76 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 13. 73 XXIX zione)77 in cui Sordello rimette la soluzione della questione a Cunizza 78, e che è stato certamente composto quando i rapporti tra il trovatore e Cunizza erano ancora buoni, cioè prima del matrimonio di Sordello con Otta di Strasso, forse — come è lecito supporre — quando Cunizza era ancora a Verona presso Rizzardo, cioè prima del ratto79. Fin qui la vita del trovatore non aveva avuto alcun avvenimento eccezionale che le desse particolare rilievo. Ma a questo punto Sordello diviene protagonista di un’impresa che, per lo scandalo che suscitò, diede al poeta una straordinaria notorietà, ben più vasta e più clamorosa di quella che gli avevano procurato le rime fino ad allora composte, e lo rese famoso ovunque: il celebre ratto di Cunizza, avvenimento sul quale molto si è discusso, per le incertezze che vi sono sui particolari di esso80, e sul quale esiste ormai una vastissima bibliografia, poiché se ne sono occupati non solo i filologi romanzi e i dantisti, ma anche gli storici. Il ratto avvenne certamente non per iniziativa personale di Sordello, ma per invito dei Da Romano, come attestano concordemente le fonti, ossia le biografie provenzali e Rolandino. Vi sono però divergenze sulla persona che dette l’ordine al trovatore, poiché la biografia provenzale più ampia attribuisce la parte di istigatore ad Ezzelino81, la biografia più breve pone accanto ad Ezzelino anche Su questo partimen basti rimandare, oltre che al DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 24, 168 e segg., 274 e segg., ai Trovatori d’Italia del BERTONI, p. 76, alle edizioni del DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 63 e segg. (e cfr. Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 79 e 183), del BLASI, Le poesie di Guilhem de la Tor, GenèveFirenze, 1934, p. 50 e segg., 72 e segg., e dell’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV e 68 e segg. Per altre indicazioni e discussioni più particolari cfr. il commento al testo. 78 In AD al posto di Cunizza è nominata un’Agneseta o Aineseta. Sulla questione cfr. il commento al testo. 79 Alla tenzone con Johanet d’Albusson, che credo posteriore al ratto, si accenna più oltre. 80 Vi è stato persino chi, come il GITTERMAN (Ezzelin von Romano, I Teil, Die Grundung der Signorie, Stuttgart, 1890, appendice I), ha voluto attribuire il ratto a un altro Sordello, diverso dal trovatore; e a questa tesi mostra di inclinare anche S. MITIS, Storia di Ezzelino IV da Romano, Maddaloni, 1896, p. 19. Ma l’ipotesi, invero assai strana, è stata validamente combattuta dal MERKEL, Sordello di Goito e Sordello di Marano, p. 381 e segg., e definitivamente confutata dal BERTONI, sulla base di un sirventese di Reforzat (Nuove rime di Sordello di Goito, p. 280 e 295 e segg.; cfr. Sordello e Reforzat, in Studi romanzi, XII, 1915, p. 193 e seg.). 81 «E per volontat de miser Aicelin el emblet madompna Conissa e menet la·n via». 77 XXX suo fratello Alberico82, mentre Rolandino83 afferma che il ratto si dovette a un ordine del vecchio Ezzelino II (il Monaco). Tra le tre versioni, mi sembra che la più attendibile sia quella della biografia più ampia, che attribuisce l’iniziativa della cosa ad Ezzelino III, sia perché Ezzelino III aveva in quel tempo, come è noto, una parte preponderante nell’attività politica della famiglia, sia perché era più direttamente interessato all’intervento in Verona, nella quale aspirava a dominare, e alla lotta con Rizzardo di San Bonifacio. Potrebbe però avere un fondo di verità anche la notizia della vida più breve, in quanto si potrebbe ammettere che anche Alberico fosse a conoscenza dell’impresa, o addirittura che la mossa fosse stata concordata da Ezzelino col fratello: è noto infatti che Ezzelino ed Alberico si tennero strettamente collegati nelle lotte che ebbero a svolgere nella Marca Trevigiana contro i loro avversari. Meno convincente è il racconto di Rolandino, in quanto il vecchio Ezzelino II, ritiratosi a vita religiosa nel chiostro di Oliera (a nord di Bassano) da lui fondato — e perciò appunto soprannominato il Monaco — dopo aver diviso i suoi beni tra i due figli, non ebbe più parte attiva, se non occasionalmente, nella politica della famiglia84: d’altra parte Rolandino in tutto questo passo sembra confondere Ezzelino III col padre, perché anche nelle righe immediatamente seguenti a quelle citate, in cui si accenna, come vedremo, all’amore di Sordello e di Cunizza, dice che Cunizza si trovava in patris curia85. Certo anche un interessamento di Ezzelino il Monaco non si può del tutto escludere; e il De Vit ha sostenuto che anche il racconto di Rolandino si potrebbe ammettere, se non altro perché par difficile ritenere che Ezzelino II avesse rinunciato interamente all’autorità paterna 86: ma in complesso mi pare difficilmente sostenibile. Ancor più oscura è la questione della data del ratto. È certo che l’avvenimento è da collocarsi in un momento in cui la tensione, anzi la lotta tra i Da Romano e i San Bonifacio venne ripresa, dopo la passeggera tregua che seguì al duplice matrimonio. Ezzelino, o per «Et avenc si que·l coms estet mal com los fraires d’ella, e si s’estranjet d’ella. E sier Icellis e sier Albrics, li fraire d’ella, si la feirent envolar al comte a sier Sordel». 83 Si cfr. il passo riportato alla n. 72. 84 Cfr. su questo punto le opportune considerazioni del DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 9 e seg. 85 Per togliere la confusione bisognerebbe interpretare l’espressione in patris curia come equivalente a «nel palazzo del padre»: ma è interpretazione che lascia dubbi. 86 DE VIT, Cunizza da Romano, p. 18 e segg. 82 XXXI sua personale iniziativa, o d’accordo con Alberico, dovette far rapire Cunizza dal palazzo di Rizzardo e farla venire presso di sé in un momento in cui era in lotta con Rizzardo, e temeva per l’incolumità di lei, o voleva anche col ratto offendere l’avversario e rompere con lui, per cosi dire, tutti i ponti: cosa che è confermata, in fondo, dalla vida più breve, che accenna a una ostilità tra Rizzardo e Cunizza dovuta all’inimicizia scoppiata tra il conte e Ezzelino ed Alberico 87. Perciò è difficile pensare che il ratto sia accaduto prima del 1226: infatti prima di questo anno non vi fu uno stato di vera e decisa ostilità tra i Da Romano e Rizzardo di San Bonifacio. Anche se, a quanto narra il Maurisio, i Da Romano furono urtati dal fatto che Rizzardo aveva lasciato il passo a duecento cavalieri bresciani che accorrevano a Vicenza per recare soccorso al podestà Lorenzo da Martinengo di Brescia 88 minacciato dal partito aristocratico (che era quello che appoggiava i Da Romano), e se più tardi, nel 1224, Ezzelino, a quanto fa capire Rolandino, provò sdegno per le crudeltà commesse da Azzo VII d’Este (alleato di Rizzardo nelle lotte contro Salinguerra, il quale disputava ad Azzo il possesso di Ferrara) nel castello di Fratta, che impediva le sue comunicazioni con Verona, e che venne da lui preso e distrutto, è certo che tutti questi fatti non portarono a una lotta vera e propria tra i Da Romano e Rizzardo. Né Ezzelino intervenne apertamente in Verona verso la fine del dicembre 1225, quando il partito dei Monticoli e dei Quattrovinti (partigiani del conte staccatisi da lui) insorse contro il partito di Rizzardo e si impadronì del potere 89; né pare essere intervenuto nei mesi immediatamente successivi durante la podesteria di Leone dalle Carceri90. Un intervento diretto di Ezzelino, verisimilmente sollecitato a ciò dai Monticoli, si ha invece alla fine di maggio o ai primi di giugno del 1226: e in seguito ad esso EzzeCfr. nota 82. Fu podestà nel 1222 e nel 1223: è ricordato in documenti che vanno dal 5 settembre 1222 al settembre 1223 (cfr. le note all’ed. della cronaca del Maurisio curata dal SORANZO, in Rerum Italic. Script., alla n. 64, p. 30). 89 Seguo, per tutte queste vicende, la acuta ricostruzione che ne ha fatto il compianto mio Maestro LUIGI SIMEONI nello studio, già ricordato, Il comune veronese sino ad Ezzelino, p. 44 e segg. Ivi si troveranno tutti i necessari riferimenti alle fonti, che non starò qui a ripetere. Si vedano anche, dello stesso, le Note sulla formazione della seconda lega lombarda, p. 3 e segg.; e cfr. le pagine del DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 10 e segg. 90 Il SIMEONI dubita alquanto del complicato racconto del Maurisio, che sembra in qualche particolare (come l’agguato teso da Rizzardo ad Ezzelino) alquanto romanzesco, e suggerito dal desiderio di mostrare che Ezzelino avrebbe voluto mantenersi estraneo alle lotte dei partiti in Verona, e che solo la perfidia di Rizzardo l’aveva costretto a unirsi ai nemici di lui (Il comune veronese sino ad Ezzelino, p. 55 e segg.). 87 88 XXXII lino diventa (almeno a partire dal 5 giugno, a stare alle attestazioni dei documenti) podestà della città. A mio parere è probabile che proprio in questo momento egli facesse rapire Cunizza dalla casa di Rizzardo, o per sottrarla ad eventuali rappresaglie da parte di Rizzardo o dei suoi partigiani, o perché il suo odio per l’avversario lo spingeva ad allontanare da lui la sorella 91. A mio giudizio quindi la data più probabile è quella a cui giunse, dopo un’indagine assai accurata, anche se fondata in parte sul racconto romanzesco del Maurisio, Cesare De Lollis, cioè il 1226 92: e tale data è stata accettata anche dal Cipolla93, dal Merkel94, dallo Schultz-Gora95, dal De Bartholomaeis96, dal Cavaliere 97 e da altri98. Inclina invece ad assegnare il ratto al 1225 il Bertoni 99, fondandosi soprattutto sul fatto che Rizzardo era allora podestà di Mantova, e che quindi quello era un momento assai opportuno per il trovatore per rapire Cunizza: ma confesso che questa data mi sembra assai meno probabile, per quanto sopra si è detto, nonostante che possa anche sostenersi, data la vicinanza al momento dell’intervento di Ezzelino in Verona, soprattutto se si pensa al mese di dicembre, in cui si preparò e si attuò l’insurrezione contro Rizzardo; e anche questa data ha trovato qualche sostenitore100. Del Se si potesse credere al racconto del Maurisio, si potrebbe pensare anche ai mesi precedenti al giugno. Vita e poesie, p. 10 e segg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 151. 93 Compendio della storia politica di Verona, p. 138. 94 Cfr. la rec. al vol. del DE LOLLIS, in Archivio storico lombardo, s. III, vol. VI, a. XXIII, 1896, p. 212. 95 Cfr. la rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 238. 96 Poesie provenzali storiche, I, p. XLIX, II, p. 60; Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 182. 97 Cento liriche provenzali, Bologna, 1938, p. 400. 98 Ad es., J. BOUTIÈRE, A. SCHUTZ, Biographies des troubadours, Toulouse-Paris, 1950, p. 422. 99 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 296 e segg.; I trovatori d’Italia, p. 76; Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia nel Paradiso di Dante, nel vol. Studi critici in onore di G. A. Cesareo, Palermo, 1924, p. 225; Il Duecento, p. 29; voce Sordello dell’Enciclopedia italiana. 100 Cfr. ad es.: H. G. CHAYTOR, The Troubadours, Cambridge, 1912, p. 101; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 165. L’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXI, prudentemente cita come date possibili tanto il 1225 quanto il 1226, ponendovi a fianco un punto interrogativo. 91 92 XXXIII tutto da respingere per me è il 1224, a cui pensavano, sulle orme del Verci 101, il De Vit102, il Restori103, e, in un primo tempo, anche lo Schultz-Gora104 e ancor meno plausibile è che il ratto avvenisse nel 1222-1223, come ha pensato il Biscaro 105, il quale si fonda su un capitolo degli Statuti trevigiani compilato nel 1225 e riguardante coloro «qui jurant mulieres in absconso», che sarebbe stato aggiunto, secondo il Biscaro, in conseguenza dell’avvenuto matrimonio segreto di Otta di Strasso con Sordello, sia per lo scandalo provocato da questo fatto, sia per le pressioni degli Strasso, di cui il podestà di Treviso nel 1225, Odolrico da Beseno, era — pare — un lontano parente: è infatti un’ipotesi che manca, a mio parere, di ogni sicuro fondamento, per quanto appaia ingegnosa e sembri suggestiva, potendo il provvedimento essere stato determinato da un altro fatto qualsiasi 106. Del resto, lo stesso Biscaro in un suo saggio molto più recente 107 ha modificato la sua precedente ipotesi, spostando la data del ratto al 1224, e ha dichiarato ammissibile, pur preferendo il 1224, la tesi del De Lollis. Il ratto, secondo quanto si può desumere da un passo di Reforzat (se si vuole ammettere, come sembra fare il Bertoni108, che nelle parole del trovatore provenzale, scritte a tanta distanza di tempo, e in Provenza, si conservi un’eco fedele dell’avvenimento)109 avvenne di notte: Sordel ten hom per cavalier leial, Qar leialmen saup la dona enantir, Q’el fes de nueg de son alberc fugir, Per qe·n meiret antre nos son hostal.110 Storia degli Ecelini, I, p. 120. Cunizza da Romano, p. 19 e seg. 103 Letteratura provenzale, Milano, 1891, p. 105; Per un sirventese di Guilhem de la Tor, in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere ed arti, s. II, XXV, 1892, p. 315. 104 Die Lebensverhältnisse der italianischen Trobadors, p. 203. 105 G. BISCARO, Sordello e lo statuto trevigiano «De his qui jurant mulieres in abscondito», in Giorn. stor. d. lett. it., XXXIV, 1899, p. 368 e segg. 106 Si vedano le giuste considerazioni del BERTONI nello studio Nuove rime di Sordello di Goito, p. 296 e segg. 107 La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, in Archivio Veneto, LVII, 1927, vol. II, p. 104 e segg.: cfr. specialm. p. 114 e 130. 108 I trovatori d’Italia, p. 77; cfr. Nuove rime di Sordello di Goito, p. 295 e segg., e Sordello e Reforzat, p. 194. Su questo serventese cfr. anche P. C. 419,1. 109 Si potrebbe anche esser tentati a pensare, a rigore, che il de nueg possa essere una ricostruzione poetica dell’avvenimento dovuta alla fantasia di Reforzat. 110 Cito il testo del BERTONI, Sordello e Reforzat, p. 199. 101 102 XXXIV Particolare, del resto, del tutto verisimile, anzi, direi, quasi ovvio. Non sappiamo però (tutto questo periodo della vita di Sordello è seminato di dubbi e di incertezze, se si vuol fermare l’attenzione sui particolari) ove il trovatore portasse la donna. È certo che la condusse presso i fratelli, o presso Ezzelino: infatti se la vida più ampia dice semplicemente «menet la·n via», accennando che più tardi il trovatore andò a Treviso, e stava in casa di messer Ezzelino, la vida più breve espressamente dichiara, subito dopo aver detto che Ezzelino e Alberico «feiren envolar» Cunizza da Sordello, che il trovatore «s’en venc estar con lor... en gran benenansa»; e Rolandino accenna a un soggiorno di Cunizza e di Sordello «in patris curia», cioè nella casa dei Da Romano111. Ma è impossibile precisare se Sordello portò Cunizza presso Ezzelino in Verona, nel periodo in cui egli si trovava in quella città, oppure in Treviso, o in qualche altro possesso della famiglia 112. Secondo Rolandino, dopo il ratto Sordello sarebbe divenuto l’amante di Cunizza113. Anche qui gli studiosi sono discordi, volendo alcuni negar fede alla testimonianza del cronista padovano – non solo per quel prudente dictum fuit con cui egli mette innanzi la cosa, ma anche perché Rolandino, come è noto, è un accanito avversario di Ezzelino, e la sua cronaca è soprattutto espressione dell’odio lasciato in Padova dalle crudeltà del «tiranno», e scrive a una certa distanza degli avvenimenti – e altri invece inclinando ad accettare la notizia 114. Certo, le biografie provenzali parlano — come Cfr. la nota 113. Il BISCARO, nel saggio La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, sopra ricordato, ha sostenuto che Ezzelino fece da Sordello trasportare Cunizza, per evitare per quanto era possibile lo scandalo, e per meglio custodirla, in un luogo non esposto ai colpi di mano dei nemici, nel castello di Oderzo, dove avrebbe tenuto custodita anche la moglie Zilia, sorella di Rizzardo di San Bonifacio, ordinando poi al trovatore di ritirarsi nel vicino castello di Levada, appartenente agli Strasso (dove Sordello avrebbe poi amato Otta). L’ipotesi è acuta, ma debbo confessare che mi lascia molto perplesso, e che sono tutt’altro che incline ad accettarla, perché mi sembra troppo vago il ricordo del notaio Meliorino d’Arpo, registrato nella deposizione del 1285, su cui poggia tutta la dimostrazione del Biscaro. 113 Il cronista padovano narra infatti, nella frase immediatamente seguente al passo già citato nella n. 72: «cum qua in patris curia permanente dictum fuit ipsum Sordelium concubuisse» (ed. BONARDI, Rer. Italic. Script., t. VIII, p. I, p. 18; ed. Monum. Germ. Hist., Script. XIX, p. 41). 114 Inclina a prestar fede a Rolandino e a credere in un amore non soltanto platonico il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 13 e segg., e Pro Sordello de Godio, milite, p. 151 e segg.; e alla sua tesi propendono, fra gli altri, il MERKEL (recensione al vol. del DE LOLLIS, p. 213), il PARODI (Il Sordello di Dante, in Bullettino della Società Dantesca italiana, IV, 1896-97, p. 187), il CRESCINI (Sordello, p. 16 e segg.), il SIMEONI (voce Romano (da) nell’Enciclopedia italiana, XXX, 1936) e l’UGOLINI (La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXI). Pensano invece a un amore puramente ideale il DE VIT (Cunizza da Romano, p. 20 e segg.), il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, 111 112 XXXV sembra — di un amore letterario e poetico, come si è visto, e, se avessimo solo la testimonianza di Rolandino saremmo tentati a relegare la notizia tra le testimonianze dell’odio anti-ezzeliniano ancor vivo in Padova. Ma abbiamo qualche altro elemento che può indurci a dar fede all’ipotesi di un amore non soltanto platonico. Non molta importanza ha certo Benvenuto da Imola, il cui aneddoto sugli amori di Sordello e di Cunizza ha un evidente sapore novellistico 115, e non mi sembra derivato, come vorrebbe il De Lollis 116 da una terza biografia provenzale scomparsa, perché il bisticcio tra opus sordidum e locum sordidum che si trova nell’aneddoto e il rapporto, istituito poco più oltre, fra il nome del trovatore e l’aggettivo sordidus117, non sono legati all’accordo che un ipo- p. 9 e segg.; A proposito di Sordello, p. 302 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 529 e segg.) e il NOVATI (Il canto VI del Purgatorio, p. 21 e 49). Dubitano della testimonianza di Rolandino, pur senza negarla in modo assoluto, BISCARO (Sordello e lo statuto trevigiano, p. 373), il BERTONI (Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia, p. 255 e segg.) e il D’OVIDIO (Sordello, nel vol. Studii sulla Divina Commedia, parte I, Caserta, 1931, p. 8 e seg.). 115 Cfr. l’ed. LACAITA, III, p. 177: «Nunc poëta describit virum singularem, compatriotam Virgilii. Ad cuius intelligentiam debes prius scire, quod hic novus spiritus fuit quidam civis mantuanus nomine Sordellus, nobilis et prudens miles, et, ut aliqui volunt, curialis, tempore Eccirini de Romano, de quo audivi (non tamen affirmo) satis jocosum novum, quod breviter est talis formae. Habebat Eccirinus quamdam sororem suam valde veneream, de qua fit longus sermo Paradisi capitulo IX. Quae accensa amore Sordelli ordinavit caute, quod ille intraret ad eam tempore noctis per unum ostiolum posterius juxta coquinam palatii in civitate Veronae; et quia in strata erat turpe volutabrum porcorum, sive pocia brodiorum, ita ut locus nullo modo videretur suspectus, faciebat se portari per quemdam servum suum usque ad ostiolum, ubi Cunitia parata recipiebat eum. Eccirinus autem hoc scito, uno sero subornatus sub specie servi, transportavit Sordellum et dixit: “Sufficit. De caetero abstineas accedere ad opus tam sordidum per locum tam sordidum”. Sordellus terrefactus suppliciter petivit veniam, promittens numquam amplius redire ad sororem. Tamen Cunitia maledicta retraxit eum in primum fallum. Quare ipse timens Eccirinum, formidatissimum hominum sui temporis, recessit ab eo.. ». 116 Vita e poesie, p. 14 e segg. 117 Ed. LACAITA, III, p. 194: «Dicit ergo: Sordel, et videtur nomen conveniens, quasi parum sordidus libidine». XXXVI tetico «novellatore provenzale» (come dice il De Lollis) o meglio l’ipotetico autore di tale vida perduta doveva sentire tra le voci provenzali sordeis e sordejar e il nome del poeta, ma, come acutamente ebbe ad osservare il Novati — e già ne abbiamo fatto cenno118 — si rivelano fattura di Benvenuto, il quale si compiaceva di simili giochi di parole e cercava sottili accordi tra i nomi delle persone e le loro azioni. Del resto lo stesso Benvenuto racconta il fatto più che altro come un aneddoto piacevole, e mette innanzi una prudente riserva (non tamen affirmo); e con l’audivi con cui introduce l’aneddoto dichiara esplicitamente (anche questa osservazione è del Novati) di non essersi servito direttamente della fonte provenzale immaginata dal De Lollis ma di una tradizione orale. Però bisogna pur sempre ammettere che questo aneddoto mostra che anche Benvenuto conosceva qualche diceria, non certo derivata da Rolandino, sugli amori tra Sordello e Cunizza119. E in accenni che si trovano presso alcuni trovatori par di poter scorgere una conferma della fama di tali amori, che si era diffusa e correva ormai ovunque, tra i commenti suscitati dal clamoroso rapimento. Particolarmente significativa, a questo proposito, la risposta che Uc de Saint Circ dava a un sirventese di Peire Guilhem de Luserna, un trovatore che parecchi studiosi credono italiano120, il quale aveva Cfr. la nota 22. L’aneddoto si trova anche nel commento alla Divina Commedia dell’anonimo fiorentino, in una forma molto simile al racconto di Benvenuto (Commento alla Divina Commedia d’anonimo fiorentino del sec. XIV, a cura di P. FANFANI, t. II, Bologna, 1868, p. 105). Vi è tuttavia anche qualche differenza (fra l’altro, vi manca il giuoco di parole tra opus sordidum e locum sordidum, poiché Ezzelino dice a Sordello: «Sordello, io non credevo che tu avessi pensiero di fare questo; tu sai bene che tu non hai ragione» e «Vatti con Dio; questa volta ti perdono, et priegoti che tu non m’offenda più»); e il SANTANGELO, Dante e i trovatori provenzali, Catania, 1921, p. 192 e seg., ha sostenuto che il racconto dell’anonimo fiorentino non deriva da Benvenuto e conserva l’aneddoto in una redazione più genuina. Non essendovi però divergenze sostanziali, non ho ritenuto opportuno riferire qui il racconto dell’anonimo (che, del resto, come ha mostrato il GUERRI, Il Commento del Boccaccio a Dante, Bari, 1926, p. 32, scriveva in epoca ancor più tarda di Benvenuto, probabilmente al principio del sec. XV). 120 Lo ritengono italiano il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 22), il GUARNERIO (Pietro Guglielmo di Luserna, trovatore italiano del sec. XIII, Genova, 1896), il TORRACA (Federico II e la poesia provenzale in Italia, in Nuova Antologia, vol. CXXXIX, 1895, p. 246 e seg.; Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 12; Sul «Pro Sordello» di C. de Lollis, p. 534 e segg.); il MEYER (in Romania, XXVI, 1897, p. 154), il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, I, p. XCIV e II, p. 59 e segg.; Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 194 e 225). Ne nega risolutamente l’italianità lo SCHULTZ-GORA, Ein Sirventes von Guilhem Figueira, p. 59 (e cfr. rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 239). Di opinione incerta appaiono invece JEANROY e il BERTONI: il primo nella Revue des langues romanes, XL, 1887, p. 392, ha negato l’italianità del trovatore, ma nella Poésie lyrique des troubadours, I, p. 407 ha ammesso anche la possibilità della nascita di lui in Piemonte, senza pronunciarsi sulla questione; mentre il secondo nei Trovatori d’Italia, p. 70 e segg. ha ritenuto molto probabile, anche se non assolutamente certa, la nascita di Peire Guilhem in Piemonte, e nel 118 119 XXXVII preso, con un tono un poco spavaldo, le difese di Cunizza, dicendo che chi si fosse volto contro di lei o le avesse fatto fellonia avrebbe dovuto provare la sua spada. Uc de Saint Circ risponde che Cunizza ha fatto una tal terna per cui ha perduto la vita eterna121: e con la parola terna, da non intendersi, come generalmente s’intende 122, nel senso generico di «colpo», ma nel senso proprio di «terno» o «gruppo di tre colpi», si allude probabilmente, secondo l’acuta interpretazione dell’Ugolini123, alla fuga di Cunizza dalla casa del marito, agli amori con Sordello e alla fuga con Bonio124. Accanto a questo passo di Uc si possono porre i versi, che citeremo tra poco, in cui Joanet d’Albusson allude alle peregrinazioni di Cunizza (che il trovatore, rivolgendosi a Sordello, chiama vostra dompna) con Bonio, e alcune oscure allusioni della tenzone — probabilmente da collocarsi in questo periodo — tra lo stesso Joanet d’Albusson e Sordello (n. XIII di questa edizione) 125, nonché un passo ancora più oscuro della tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa (n. XIV di questa edizione) 126. Sicché mi sembra che si debba concludere che dovette Duecento, p. 37 ha dichiarato sembrar quasi certa la sua origine provenzale. Alla tesi dell’italianità propende il CAVALIERE, Cento liriche provenzali, p. 387. Cfr. P. C. 344. 121 Cfr. i vv. 4-6 del componimento: Car de na Cuniça sai qez ill fez ogan tal terna per q’ill perdet vita eterna Cito dal testo del BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 276. 122 Così intendono ad es. lo JEANROY e il SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 135 e 214, il BERTONI, ibid., p. 277 e 254 e il CAVALIERE, Cento liriche provenzali, p. 391 e 568; e a tale interpretazione pare attenersi anche il CRESCINI, Sordello, p. 20. Il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, 62 traduce «terno», senza dare altri chiarimenti. 123 La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. 124 Su questo avvenimento cfr. quanto è detto in seguito. 125 Si vedano specialm. i vv. 2-3 e 29-30. Certo, i vv. 2-3 potrebbero anche essere una battuta ironica per rintuzzare l’accusa di Joanet d’Albusson. Nei vv. 29-30 anche il BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 292 scorge una probabile allusione alla sua relazione con Cunizza. Cfr. le note che accompagnano il testo. 126 Si vedano i vv. 29-30, in cui Peire Guilhem sembra insinuare un dubbio sulle oneste intenzioni di Sordello nella corte in cui soggiornava con un richiamo assai enigmatico a un’offesa fatta — pare — a un altro signore alla cui corte si era trovato altra volta. Il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 12 e segg. volle vedervi però una allusione a Otta e ai suoi fratelli. XXXVIII essere voce assai diffusa e insistente, e non ristretta agli ambienti politicamente ostili ad Ezzelino, che i rapporti tra Sordello e Cunizza non rimanessero entro i limiti di una «servitù d’amore» trovadorica, anche se, come è ovvio, non possiamo dirci del tutto sicuri della reale esistenza di tale relazione. Dopo il ratto di Cunizza, la biografia provenzale più ampia — che definisce Sordello «mout... truans e fals vas dompnas e vas los barons ab cui el estava» — accenna ad un’altra clamorosa avventura del trovatore di Goito: «E pauc apres et el s’en anet en Onedes 127, ad un castel d’aqels d’Estras 128, de ser Henric e de ser Guillem e d’en Valpertin, q’eron mout siei amic. Et esposet una soa seror celadamens, que avia nom Otha». La seconda biografia non fa parola di ciò; né se ne trova traccia altrove. Anche qui possono sorgere non pochi dubbi: ma sembra che la notizia si debba considerare attendibile, dato che i nomi dei tre personaggi di casa Strasso si rinvengono nei documenti raccolti dal Verci e dal Bonifaccio e segnalati dal De Lollis 129 e in altri documenti trevisani messi in luce dal Biscaro 130, e i dati della vida appaiono quindi in perfetto accordo con la storia, salvo forse il soa seror, che sembrerebbe inesatto, poiché parrebbe di poter desumere dalle notizie che abbiamo che En- Così concordemente hanno tutti i manoscritti. Nei manoscritti qui si trova concordemente destrus (in a’ però l’u è sottosegnato dal correttore); più oltre (in righe che saranno citate più avanti) A ha destrus, a destrais, e a’ destrous (ritoccato però in modo non del tutto chiaro dal correttore). Ma l’emendamento d’ Estras può ritenersi sicuro. 129 Un Enrico di Strasso compare in atti degli anni 1214 e 1218 (VERCI, Storia degli Ecelini, III, p. 158, 167); un Guglielmo l’11 novembre 1257 appare tra gli anziani che approvano l’atto con cui il vescovo di Treviso affida al comune la custodia del castello di Mestre contro eventuali assalti dei Da Romano (ibid., p. 394); un Valperto di Strasso fu inviato nel 1239 dal comune di Treviso a Venezia per chiedere aiuti contro l’imperatore ed Ezzelino (BONIFACCIO, Istoria di Trivigi, Venezia, 1744, p. 192). Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 16. 130 Enrico di Strasso appare come testimonio ad una grossa vendita stipulata in Treviso il 3 aprile 1227, e nel 1229 ricompare in un atto di vendita come mallevatore per il venditore. Enrico, Guglielmo e Valpertino figurano, inoltre, nel libro dei vecchi debiti del comune di Treviso denunciati nel 1275 dai creditori e dai loro successori; e Valpertino da solo compare nello stesso registro nell’elenco dei militi e degli stipendiati feriti nei combattimenti che le milizie di Alberico da Romano avevano sostenuto contro l’esercito di Ezzelino dal 1239 in poi, e per un indennizzo ottenuto nel 1238 per la perdita di un cavallo subita mentre si trovava a Ravenna in servizio del comune. Cfr. BISCARO, La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 120. 127 128 XXXIX rico di Strasso fosse padre di Guglielmo e di Valpertino, e che solo questi due ultimi fossero in realtà fratelli di Otta. Non è però possibile, anche per questa nuova avventura dell’intraprendente trovatore, chiarire i particolari del fatto; e soprattutto è difficile identificare i luoghi in cui esso avvenne. Al De Lollis infatti la lezione Onedes, ancorché data concordemente da A a (e data anche, aggiungiamo, da a’ che egli non conosceva), parve errata, perché gli Strasso appaiono, per una donazione di Enrico IV risalente al 1090, secondo una notizia data dal Bonifaccio 131, signori di Noventa e di Levada, che si trovano sui confini del Cenedese (ossia del territorio di Ceneda a nord di Conegliano); sì che egli pensò che si dovesse accettare la correzione Cenedes, proposta dal Marchesan132, rigettando invece la correzione Oneges proposta dal Carreri133, secondo il quale il toponimo si riferirebbe al territorio di Onigo (a sud di Valdobbiadene)134. L’ipotesi del De Lollis non fu però accolta dallo Schultz-Gora135, e non soddisfece neppure il Crescini, che nel suo Manuale per l’avviamento agli studi provenzali136 manteneva Onedes, aggiungendo nel glossario 137, dopo aver citato le ipotesi del Carreri e del De Lollis: «Luoghi però anche trevigiani che potessero esser denominati Onedo (* ALNETUM), sì che fosse Onedes il territorio, non dovettero mancare», e rimandando agli studi dell’Olivieri e del Marchesan 138. E l’Ugolini ha più recentemente mantenuto Onedes139. Il Boutière e lo Schutz sono però ultimamente ritornati all’emendamento accolto dal De Lollis 140. Istoria di Trivigi, p. 107. L’Università di Treviso nei sec. XIII e XIV, Treviso, 1892, p. 69; cfr. dello stesso Treviso medievale, Treviso, 1923, I, p. 271. 133 Versi. Estrus, Padova, 1892, p. 22; Del luogo ove Sordello amò Otta di Strasso, in Nuovo Archivio Veneto, XIII, 1897, p. 211 e segg. 134 Questa correzione lasciava assai dubbioso anche il CRESCINI (Manualetto provenzale, Padova, 1892, p. CLXIII; Manuale per l’avviamento agli studi provenzali, Milano, 1926, p. 484), benché per un momento paresse incline ad accettarla (Sordello, p. 18: «forse in quel d’Onigo»). 135 Nella recens. del vol. del DE LOLLIS, p. 238. 136 CRESCINI, Manuale per l'avviamento, p. 334. 137 Ibid., p. 484. 138 D. OLIVIERI, Saggio di una illustrazione generale della toponomastica veneta, Città di Castello, 1915, p. 150 e 383; MARCHESAN, Treviso medievale, I, p. 5 e 549. 139 La poesia provenzale e l’Italia, p. 66. 140 BOUTIÈRE, SCHUTZ, Biographies des troubadours, p. 322 e 423. 131 132 XL Certo, l’accoglimento della lezione Cenedes da parte del Boutière e dello Schutz non è di gran peso, perché questi due studiosi per tutte le questioni riguardanti Sordello si attengono puramente e semplicemente, per lo più, ai risultati degli studi del De Lollis, senza riprendere in esame il problema. L’ipotesi del De Lollis sembrerebbe però avere buone probabilità di coglier nel vero, in seguito alle ricerche del Biscaro141, il quale dichiara bensì non degna di fede la notizia, data dal Bonifaccio, della donazione di Noventa e Levada fatta da Enrico IV nel 1090 agli Strasso, perché sarebbe una notizia falsa accolta dallo storico non sulla base di fonti degne di fede, ma di annotazioni del sec. XVI dovute a un Girolamo di Strasso, che tendeva ad esaltare la sua famiglia anche citando atti immaginari, ma dimostra, fondandosi su documenti ritrovati negli archivi di Treviso, che il borgo di Levada presso Ponte di Piave appartenne veramente agli Strasso, tanto che era designato spesso col nome di «Levada de Strasio», per distinguerlo da altre due località egualmente chiamate Levada dell’antico distretto trevisano; e ritiene, in conseguenza, che questo fosse il castello in cui Sordello venne ospitato da ser Enrico, ser Guglielmo e ser Valpertino di Strasso, e in cui si innamorò di Otta e la sposò segretamente142. Resta, tuttavia, sempre il dubbio che possa trattarsi di un altro castello della stessa famiglia; d’altra parte confesso che, come ho già avvertito, mi lascia assai incerto il resto della ricostruzione del Biscaro, secondo il quale Sordello si sarebbe recato a Levada per ordine di Ezzelino III subito dopo aver accompagnato Cunizza a Oderzo. Un altro punto delle ricerche del Biscaro è assai interessante: ed è la dimostrazione che egli fa, fondandosi su vari documenti 143, che La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 116 e segg. Certo può parere arrischiato mutare la lezione data concordemente dai mss.; si deve però considerare che nei nomi propri gli errori sono abbastanza frequenti, e che proprio in questa parte della vida in tutti i mss. la vera lezione Estras, la cui esattezza non può essere messa in dubbio, è sostituita da lezioni errate. D’altra parte il passaggio da Cenedes a Onedes paleograficamente è facilmente spiegabile. — Il nome Senedes compare, come è noto, nella danseta di Uc de Saint-Circ (v. 22), di cui si farà cenno in seguito. 143 Fra l’altro, il 21 settembre 1214 Enrico di Strasso interviene quale testimone al lodo pronunciato da Ezzelino II circa le questioni pendenti coi fratelli Da Prata, e il 4 maggio 1218 è pure presente alla richiesta di restituzione della dote della defunta figlia Palma che Ezzelino II fa al genero Gualpertino da Cavaso; mentre il 3 aprile 1227 è testimone di una grossa vendita stipulata in Treviso da Ansedisio dei Guidotti, nipote di Ezzelino III (Cfr. La dimora opitergina di Zilia di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 118 e segg.). 141 142 XLI gli Strasso erano amici e fautori dei Da Romano: il che può confermare la frase della vida in cui si allude alla grande amicizia che legava Sordello agli Strasso, in quanto permette di spiegarci facilmente il sorgere di questa amicizia, essendo Sordello presso i Da Romano144. Dopo il matrimonio segreto con Otta, sempre secondo la biografia più ampia che racconta questo episodio, Sordello si recò a Treviso presso Ezzelino: notizia che sembra confermata dalla seconda biografia, che accenna a una dimora di Sordello presso i Da Romano. Ciò dovette avvenire, come osserva il De Lollis145, a partire dal secondo semestre del 1227, in cui Ezzelino lasciò la podesteria di Verona e si ritirò a Treviso, facendo di questa città il centro delle sue operazioni fino ai primi mesi del 1229. Molto probabilmente in questo periodo Aimeric de Peguilhan indirizzò a Sordello il suo noto flabel, in cui si difende dalla solita accusa di vecchiaia, mossagli questa volta da una donna, che gli aveva consigliato di lasciare donei e çan, e invita Sordello a dare sulla questione un giudizio «leial aissi cum s’es usaz», in modo che egli possa essere discolpato 146. Ed è pure probabile che a questo periodo appartenga anche il curioso scambio di cobbole fra Uc de Saint Circ e Alberico da Romano, in cui Uc si rivolgeva, in tono assai ironico, con un giuoco di parole assai bene illustrato dal Crescini, al fratello di Ezzelino, pregandolo, in nome proprio e in nome di «el Sordel», di aiutare un tale ser Ar- È pure degna di nota la considerazione fatta dal BISCARO (ibid., p. 131) a proposito dell’atto del 3 aprile 1227, già ricordato, in cui Enrico di Strasso interveniva in Treviso a una vendita stipulata da Ansedisio dei Guidotti, nipote di Ezzelino III, e assai caro al potente signore: che cioè la presenza di Enrico di Strasso a questo atto sembra escludere che a quella data vi fossero contrasti fra gli Strasso ed Ezzelino a causa di Sordello. È un’osservazione che potrebbe servire, se si ammette il racconto dato più oltre dalla vida, secondo il quale Sordello perseguitato dagli Strasso e dai San Bonifacio fu protetto da Ezzelino, a datare approssimativamente le nozze segrete con Otta. 145 Vita e poesie, p. 17. 146 Sul componimento (P. C. 10,44) cfr. le edizioni che ne hanno dato il BERTONI, Noterelle provenzali, IV: Il «flabel» di Aimeric de Peguilhan a Sordello, in Revue des langues romanes, XLVI, 1903, p. 244 e segg., il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 80 e segg., e SHEPARD, CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 208 e segg. E cfr. anche: SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 206; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 17; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 77; DE BARTHOLOMAEIS, Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 184 e seg. 144 XLII dizzone, novel espos, e assai scarso di mezzi di sostentamento, e Alberico gli risponde nello stesso tono, e riprendendo anch’egli il giuoco di parole, dichiarando di accondiscendere alla preghiera per amore di lui e di Sordello, a cui dà la lode di pros e valens147. Il soggiorno di Sordello a Treviso però non fu lungo. La vita più ampia racconta che quando gli Strasso seppero che il trovatore era a Treviso cercavano di colpirlo per vendicarsi, e altrettanto facevano gli amici e i partigiani del conte di San Bonifacio, cosicché egli se ne stava armato in casa di Ezzelino, e «qand el anava per la terra, el cavalgava en bos destriers ab granda compaignia de cavalliers»; e prosegue dicendo che «per paor d’aicels qe·il volion offendre, el se partic, et anet s’en en Proenssa». La notizia della partenza per la Provenza è data anche dalla vita più breve, che però pone senz’altro questa andata in Provenza dopo il soggiorno che il trovatore fece «en gran benenansa» presso Ezzelino e Alberico, senza accennare affatto non solo alle minacce degli Strasso (come è logico, dato che non vi si fa parola di Otta), ma nemmeno a quelle dei San Bonifacio. Anche qui il racconto della vida più ampia sembra pienamente accettabile, considerato anche che sembra confermato da un passo del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas, in cui si afferma che Sordello «fece tale ardimento da non poter starsene tra i Lombardi» e che egli «conosce tutti i baroni da Treviso sino a Gap» 148: dal che par di dover dedurre che anche per il Ricas Novas Treviso fu il punto di partenza del viaggio che portò Sordello in Provenza e che il trovatore si allontanò per sfuggire alle minacce di qualcuno 149. Possiamo dunque credere che la decisione di partire da Treviso sia nata nell’animo di Sordello per sfuggire alle vendette, sempre Su questo scambio di cobbole (P. C. 457, 20 a) cfr.: JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de SaintCirc, p. 112 e segg.; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 66 e segg., 267 e seg., 519; V. CRESCINI, Ugo di Saint Circ a Treviso. II «Meil» e «moill», in Studi medievali, n. s. II, 1929, p. 41 e segg., e poi nel vol. Romanica fragmenta, p. 586 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 75, e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 184; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXVII e 72. — A questo tempo si potrebbe pure assegnare la già ricordata tenzone con Joanet d’Albusson, se la si vuole credere posteriore alle nozze segrete con Otta. 148 Vv. 14-15 (cito dall’ed. di BOUTIÈRE, p. 69): q’el fetz tal ardimen q’entre·ls Lombartz non cap, e·ls baros conois totz de Trevis tro a Gap 149 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 17 e segg. 147 XLIII incombenti su di lui, degli Strasso e dei San Bonifacio150. Può darsi però che a ciò si aggiunga anche un’altra causa. Rolandino, nel passo già ricordato, accennando al nuovo amore di Cunizza con Bonio, dice che avvenne dopo che Sordello fu cacciato da Ezzelino151, e Benvenuto da Imola sembra — pur dovendosi, naturalmente, attribuire alla sua testimonianza un valore alquanto limitato, essendo essa collegata col noto aneddoto di sapore novellistico sugli amori del trovatore con Cunizza — confermare la notizia, non accennando però a una cacciata di Sordello da parte di Ezzelino, ma semplicemente al timore che il trovatore aveva del feroce signore 152. Non si può quindi escludere — anche se non vogliamo giungere ad affermare, come fa troppo recisamente il De Lollis 153 il quale accetta pienamente, ponendola in primo piano, la testimonianza di Rolandino, che «spinse» Sordello fuori di Treviso «l’ira del formidabile Ezzelino» — che Sordello, come afferma l’Ugolini 154 pensasse di mutare ambiente anche per la sensazione di esser per cadere dalle grazie di Ezzelino, a cui certo non dovevano essere graditi i rapporti del trovatore con Cunizza, oramai divenuti di pubblica fama, che gettavano un’ombra poco onorevole sulla famiglia dei Da Romano155. Quanto alla data dell’avvenimento, Il BISCARO, Sordello e lo statuto trevigiano, p. 277 e segg., pensa che Sordello temesse anche che potessero essere applicate contro di lui le pene previste dallo statuto di Treviso non solo contro i rapitori di donne, ma anche contro coloro che celebravano nozze segrete senza il consenso dei parenti della sposa: ma questo timore, se vi fu, dovette avere una importanza secondaria di fronte alle minacce delle potenti casate che il trovatore aveva offeso, che mettevano in pericolo la sua vita. 151 «Et ipso [Sordello] expulso ab Ecelino...» (ed. BONARDI, Rerum Italic. Script., VIII, p. I, p. 18; nell’ed. dei Monum. Germ. Hist., Script., XIX, p. 41). 152 «Quare ipse, timens Eccirinum, formidatissimum hominum sui temporis, recessit ab eo» (ed. LACAITA, III, p. 177). 153 Vita e poesie, p. 19, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 151 e segg. 154 La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. 155 Naturalmente questo motivo della partenza di Sordello è del tutto escluso o ritenuto molto dubbio da coloro che stimano che Sordello non fosse legato a Cunizza che da una «servitù d’amore» puramente ideale e poetica: cfr. DE VIT, Cunizza da Romano, p. 22 e seg.; e specialmente TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 9 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 529 e segg. Anche il BERTONI accenna all’inimicizia di Ezzelino molto dubitativamente e di sfuggita (I trovatori d’Italia, p. 77, n.: «la fuga, a decidere la quale si vuole sia intervenuta, a un dato momento, anche un’inimicizia di Ezzelino sorta più tardi...»); e dubbi solleva pure il CRESCINI, Sordello, p. 18. E dubbi certo sempre rimangono anche su questo punto della vita di Sordello, così seminata di punti interrogativi. 150 XLIV si può pensare al 1228, o al più tardi ai primi mesi del 1229 156. Intanto Cunizza trovava, secondo quel che ci racconta Rolandino, un nuovo amante, un miles di Treviso, di nome Bonio (o meglio, secondo le ricerche del Biscaro, appartenente alla famiglia De Bonio) 157, dal quale si lasciò rapire e col quale, presa da una profonda passione, fece lunghi viaggi, profondendo molto danaro e dandosi bel tempo158. A questi viaggi di Cunizza con Bonio al- Tale data è ormai comunemente accettata: cfr. F. DIEZ, Leben und Werke der Troubadours, Leipzig, 1882, p. 376 e segg.; SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse, p. 206; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 17, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 151 e segg. e 167; BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 277, e I trovatori d’Italia, p. 519; CHAYTOR, The Troubadours, p. 101; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 161; G. BERTONI e A. JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle. Les sirventés échangés entre Sordel et Peire Bremon Ricas Novas, in Annales du Midi, XXVIII, 1916, p. 277; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. Vorrebbero restringere la data al 1228 il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 14 e segg. (ma fondandosi su una argomentazione errata, perché i sirventesi scambiati tra Sordello e Peire Bremon sono del 1240-41), il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. XCVII e II, p. 63, e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 186; BOUTIÈRE, SCHUTZ, Biographies des troubadours, p. 422. 157 Secondo il BISCARO, La dimora opitergina di Zilla di San Bonifacio e di Cunizza da Romano, p. 121 e seg., il Bonio, che secondo Rolandino fu amante di Cunizza, potrebbe con qualche probabilità identificarsi con un Enrico de Bonio, appartenente a una famiglia assai facoltosa di Treviso, residente in città nel quartiere di Ripa, nella parrocchia di S. Pancrazio, il quale figura dal 1213 al 1221 in una serie di atti col titolo di judex e colle funzioni di procuratore del comune e di console-giudice della curia del podestà. Curioso è che questo Enrico de Bonio, in data anteriore a quella in cui sarebbe divenuto l’amante di Cunizza, appare sposato con una donna Cecilia, che era la sua terza moglie! Il BISCARO fornisce in questo studio altre notizie interessanti sulla famiglia de Bonio; cfr. anche Sordello e lo statuto trivigiano, p. 370. Prima del BISCARO già il CASINI, I trovatori nella Marca Trivigiana, p. 166, n. 2 aveva indicato un Paulus de Bonio e un Zan de Bonio, che giurarono con altri milites di Treviso l’osservanza dei patti con i Coniglianesi il 12 novembre 1259, come probabili figli dell’amante di Cunizza. Su Enrico de Bonio e sulla sua famiglia cfr. inoltre MARCHESAN, Treviso medievale, II, p. 207 e 273; e sugli amori tra Bonio e Cunizza cfr. DE VIT, Cunizza da Romano, p. 24 e segg.; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 21 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 153; CRESCINI, Sordello, p. 19 e segg.; G. SECRÉTANT, Il canto IX del Paradiso, Firenze, 1911 (Lectura Dantis), p. 17; BERTONI, I Trovatori d’Italia, p. 77, e Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia nel Paradiso di Dante, p. 256; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. 158 «Et ipso [Sordello] expulso ab Ecelino, miles quidam nomine Bonius de Tarvisio dompnam ipsam amavit eandemque a patris curia separavit occulte; et ipsa, nimium amorata in eum, cum ipso mundi partes plurimas circuivit, multa habendo solacia et maximas faciendo expensas» (ed. BONARDI, Rerum Italic. Script., p. 18; ed. Monum. Germ. Hist., Script., XIX, p. 41). 156 XLV lude molto probabilmente un sirventese di Joanet d’Albusson 159 — verisimilmente scritto non immediatamente dopo il nuovo ratto, ma qualche tempo dopo — nel quale questo trovatore ironicamente dice a Sordello che la sua donna lo sta imitando160, poiché, mentre egli conquista la Provenza, l’Inghilterra, la Francia, Lunel, il Limosino, l’Alvernia e il Viennese, e la Borgogna e la Spagna e gli altri paesi (l’elenco è fantasiosamente ricco di nomi, per dare maggior rilievo all’ironia), ella si è messa in moto per conquistare l’impero di Manuele, l’Ungheria e la grande Cumania, e ha conquistato senza opposizione la Russia, ed è andata forse al di là dal mare per conquistare anche l’impero che colà si trova: cosicché — conclude con crescente sarcasmo Joanet — essi finiranno col conquistare tutto il mondo, conquistando l’uno all’ingiù e l’altro all’insù. Se si ammette che nella «vostra dompna» di Joanet si nasconda Cunizza, si può rinvenire in questo vivace sirventese una prova della veridicità della notizia data da Rolandino sulle peregrinazioni della nobile dama con Bonio: il che rafforza indirettamente, in genere, l’autorità del cronista padovano per quanto riguarda Cunizza. A questo nuovo scandalo suscitato da Cunizza, come abbiam visto, allude forse anche Uc de Saint Circ nella risposta al sirventese di Peire Guilhem de Luserna in difesa di Cunizza, là dove parla della terna che ha fatto, a suo giudizio, perder la vita eterna alla dama: sì che appare ragionevole la data (1229 circa) che l’Ugolini 161 Il testo di questo sirventese (P. C. 265, 3) è stato pubblicato criticamente, con commento, dal KOLSEN, Altprovenzalisches, 18: Das Sirventes. Cfr. anche: DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 19 e segg., e Pro Sordello de Godio, milite, p. 153 e seg.; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 13 e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 553 e segg. (ove però a torto, secondo il mio giudizio, si vuol togliere alla poesia ogni riferimento alla realtà, considerandola un puro scherzo); CRESCINI, Sordello, p. 20; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. 160 Accetto anch’io per il v. 2 la correz. vos contrafatz che fu proposta dubitativamente dal GAUCHAT e dal KEHRLI nella loro edizione diplomatica del canzoniere H (p. 516), e che è stata accolta anche dal KOLSEN nell’ed. cit. 161 La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXII. Anche il De LOLLIS, Vita e poesie, p. 21 e segg. e il CRESCINI, Sordello, p. 19 ritengono i due sirventesi posteriori alla partenza di Sordello da Treviso. Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 73, si limita a porre le due liriche dopo il ratto di Cunizza da parte di Sordello. 159 XLVI propone per i due sirventesi, dissentendo dal De Bartholomaeis che li assegna al 1226162. Se queste liriche si riferiscono a Cunizza, si riferisce invece a Sordello 163 un’altra lirica, anch’essa di Uc de Saint Circ: la nota danseta, in cui Uc argutamente deride un personaggio adombrato sotto il senhal di «Ma Vida», presentato come un seduttore e un ingannatore di donne164, al quale rivolge appunto il suo canto, per rallegrargli il cuore dolente. Il componimento venne scritto probabilmente nel territorio vicentino (come par di poter ricavare dal v. 15); e nel territorio vicentino si trovava allora anche Sordello165, Poesie provenzali storiche, II, 59 e seg., e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 182. Ancor meno giustificata è la data proposta da JEANROY e SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 165, che collocano i sirventesi «vers 1225». 163 Anche per me coglie senza alcun dubbio nel segno l’ipotesi proposta dal BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 77 n., e rec. dell’ed. delle poesie di Uc de Sant Circ di Jeanroy e Salverda de Grave, in Romania, XLII, 1913, p. 110, e da JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 159 e 202, e accettata dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 84 e segg., e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 185, secondo cui il personaggio che si nasconde sotto il nome di «Ma Vida» è Sordello. 164 Cfr. soprattutto il mordace ritornello, che rivela che Sordello aveva fama di uomo amante delle avventure galanti e piuttosto spregiudicato in amore: Ab dous chan, en dansan, voil que s’anes conortan, baratan e trichan las domnas e galian. (Cito dall’ed. JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, p. 100; cfr. anche l’ed. del DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 85). È interessante notare la concordanza tra questo ritornello e la frase della biografia più ampia che accenna alla fama di ingannatore di donne di cui godeva il nostro trovatore («mas mout fo truans e fals vas dompnas e vas los barons ab cui el estava»). Sulla accusa di instabilità in amore fatta a Sordello cfr. anche la tenzone Pos anc no·us valc tra Bertran d’Alamanon e Granet, v. 44: «Pos en Sordel n’a ben camiadas cen...» (J. J. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, Toulouse, 1902, p. 119; A. PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, nella Miscellanea di letteratura del medio evo, pubblicata dalla Società filologica romana, Roma, 1929, p. 24 e 34). 165 Si vedano i vv. 20-25: Mantoana e Verones, perdut l’ai, e Trevis’ e Senedes atresi sai, e se·l perc Visentines o·l menerai? (ed. JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, p. 100 e seg.). Sulla presenza di Sordello e di Uc in quel tempo nel territorio veronese basti rimandare a ibid., p. 159 e seg., e al DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 85 e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 185. 162 XLVII il quale era incamminato verso la Francia meridionale, come appare dalla strofa IV, nella quale le località sono citate, naturalmente, a caso, tenendo presenti anche le necessità della rima, ma è chiaramente indicata la direzione del viaggio 166. II viaggio verso la Provenza deve essere stato compiuto da Sordello a tappe, fermandosi alle varie corti che trovava sul suo cammino, come è naturale, e come del resto si può forse dedurre dal sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas, che afferma che Sordello «conosce tutti i baroni da Treviso sino a Gap» 167. Da questo passo si potrebbe supporre anche che il trovatore passasse le Alpi per uno dei valichi delle Alpi Cozie, essendo Gap nell’alta valle della Durance (odierno dipartimento delle Hautes Alpes)168; ma bisogna riconoscere che di ciò siamo tutt’altro che sicuri, poiché la località potrebbe essere stata nominata qui, come è stato osservato169, a causa della rima170. 2. SORDELLO OLTRE LE ALPI: IL VIAGGIO IN ISPAGNA E ALTRE PEREGRINAZIONI. IL SOGGIORNO ALLA CORTE DI PROVENZA Passate le Alpi, e lasciati dietro di sé quei territori ove aveva vissuto anni tanto ricchi di avventure, e dove aveva incominciato ad acquistarsi fama con le sue liriche, Sordello dovette errare per varie Vv. 27-32 (ibid.): En Alvergne et en Fores et en Veslai, lai on no sabon qi s’es ni·ls trag q’el trai; pueis me trai l’en Vianes, a Anonai. 167 «E·ls baros conois totz de Trevis tro a Gap» (v. 15: cfr. BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 69). 168 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 23. Però è molto dubbio che, come sostiene il DE LOLLIS, nel sirventese Qi na Cuniça guerreia di Peire Guilhem de Luserna (P. C. 344, 5) si debba scorgere una allusione a Sordello, e che sia appunto Sordello il «malvogliente» che deve guardarsi dall’andare a Luserna: cfr., ad es., A. JEANROY , rec. al vol. Pietro Guglielmo di Luserna del GUARNIERO, in Revue des langues romanes, XL, 1897, p. 388 e segg.; TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 534 e seg. Anche il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 71 e segg. sembra non accedere all’opinione del DE LOLLIS. 169 Cfr. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 239 e TORRACA, Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 544. 170 Qui il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 23) accenna anche a un soggiorno di Sordello a Saluzzo, fondandosi sul noto sirventese Li fol e·il put e·il filol. Abbiamo già visto come questa opinione sia inaccettabile. 166 XLVIII corti senza fermarsi a lungo in nessuna. Non è facile seguirne le prime peregrinazioni, tanto più che pare che non si trattenesse a lungo in Provenza e varcasse ben presto anche i Pirenei. A questo soggiorno oltre i Pirenei accenna il sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas, già altre volte citato, nel quale, dopo aver detto che Sordello «troppo conosce e troppo sa» dei baroni di Spagna 171, Peire Bremon ricorda un signore, che rifiutò a Sordello una mula, da lui chiesta con troppa disinvoltura172, e che parrebbe da identificarsi con il «seignor de Leon» che è ricordato nella tornada dello stesso componimento173, e aggiunge (v. 23): «mas dels autres dos ac qan venc d’Espaigna rics». Il viaggio di Sordello in Ispagna è quindi del tutto sicuro: ma rimangono, al solito, dubbi circa i particolari. Il re di León secondo il De Lollis 174 sarebbe Alfonso IX, morto nel 1230, poiché egli fu l’ultimo sovrano che portasse questo titolo, dato che suo figlio Ferdinando III fu re di León e di Castiglia 175. Siccome però dal v. 20 (ma no·m mand ad aquel que fo sos enemics) risulta evidente che il personaggio in questione era ancora vivo nel momento in cui Peire Bremon Ricas Novas scriveva il sirventese, più giustamente si pensa 176 che si tratti invece di Ferdinando III, quello stesso contro V. 16: «e pois d’aqels d’Espaigna trop conois e trop sap» (cito dall’ed. di BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 69). 172 Vv. 20-22 (ibid.): mas no·m mand ad aquel que fo sos enemics que la mula no·il det, dond el fo tant enics; mout la·il ques francamen, mas no·il en valc prezics 173 Vv. 40-41 (ibid.): Del seignor de Leon dis aquel mal que poc en Sordels, tan l’es greu, qand qer, c’om no·l ditz d’oc. 174 Vita e poesie, p. 26 e segg., e Pro Sordello de Godio, milite, p. 165 e segg. 175 Ebbe dapprima il regno di Castiglia dal 1217, per l’abdicazione della madre Berenguela di Castiglia, a cui spettava il trono come erede del fratello Enrico I, morto appunto nel 1217; divenne anche re di León alla morte del padre Alfonso IX nel 1230. Morì nel 1252. 176 Cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 14 e segg., e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 548 e segg.; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 277 e seg., 304 e seg.; BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 115 e seg.; JEANROY, La poesie lyrique des troubadours, I, p. 213; I. FRANK, Les troubadours et le Portugal, in Mélanges d’études portugaises offerts à M. Georges Le Gentil, Lisbona, 1949, p. 202. 171 XLIX cui Sordello rivolgerà un sarcastico rimprovero nel famoso planh in morte di Blacas; né fa difficoltà il fatto che sia designato soltanto col titolo di «seignor de Leon», che era stata la principale ragione per cui il De Lollis si era fermato su Alfonso IX, perché conviene ammettere la possibilità che un trovatore, per ragioni metriche o per altri motivi (non esclusi i capricci della sua fantasia) designasse con uno solo dei suoi titoli qualche personaggio che ne avesse più di uno, come prova il fatto che Bonifacio Calvo chiama col semplice epiteto di «re di León» Alfonso X di Castiglia177. Nella Spagna Sordello non dovette però soggiornare solo presso il «seignor de Leon», ma anche presso altri principi, come mostra il v. 23, già ricordato, dello stesso sirventese, secondo il quale altri signori furono più generosi col trovatore, che tornò ricco dalla Spagna178. È molto probabile che tra questi generosi protettori si debba annoverare Giacomo I di Aragona, che era successo al padre Pietro II nel 1213 ancor fanciullo di 5 anni, e che quindi era ancor giovanissimo quando il trovatore mantovano fu alla sua corte: tanto più che a questo re Sordello dedicò uno dei suoi sirventesi morali (Qui be·is membra: n. XXII di questa edizione), in cui lo rappresenta come l’unico «sostegno di pregio» in mezzo all’universale decadenza 179. Non è invece probabile che Sordello sia stato alla Nel v. 30 del sirventese Un nou sirventes ses tardar, n. XIV dell’ed. di M. PELAEZ, in Giorn. st. d. lett. it., XXIX, 1897, p. 340. Sulla questione cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 14 e seg., Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 549 e seg.; DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 166 e seg.; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 305; BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 116; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 213. Il TORRACA cita anche un passo del sirventese Seign’ en Jorda di Paulet de Marseilla (P. C. 319, 7 a e 248, 77) in cui Alfonso X, re di León e Castiglia, è semplicemente designato come «lo valen rei a cui s’apen Leos» (cfr. l’ed. di E. LEVY, Le troubadour Paulet de Marseille, in Revue des langues romanes, XXI, 1882, p. 284). 178 Lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 197 vorrebbe però intendere la frase in senso ironico, e pensa che Sordello non fosse in Aragona più fortunato che in Castiglia, poiché si affrettò a lasciare la penisola iberica per recarsi nel Poitou. 179 Lo JEANROY, ibid., ritiene il sirventese composto nel 1230; ma tale data non è, a mio parere, accettabile, poiché nella prima tornada del componimento si celebra una dama adombrata sotto il senhal di Agradiva, che, come vedremo, è usato da Sordello per Guida di Rodez; inoltre dal tramet del v. 39 par che si debba arguire che il trovatore allora era lontano dalla corte aragonese, e verisimilmente nella Francia meridionale. È da notare che nel celebre planh per la morte di Blacatz neanche Giacomo I d’Aragona, come è noto, è risparmiato. 177 L corte del re di Navarra Sancho VII «el Fuerte», perché questo sovrano, che era allora alla fine della sua vita e del suo lungo regno (morì, come è noto, nel 1234, ed era salito al trono nel 1194) negli ultimi suoi anni visse ritirato nel suo palazzo di Tudela — tanto che fu detto anche «el Encerrado» —, e non risulta essere stato protettore di trovatori180. Si è avanzata anche l’ipotesi che Sordello si sia recato pure in Portogallo. Infatti nel noto canzoniere portoghese della Biblioteca Vaticana (Vat. 4803), pubblicato dal Monaci181, al n. 1021 si trova una breve tenzone tra due poeti portoghesi, Joan Soarez Coelho e il giullare Picandon, nella quale Joan Soarez chiede a un certo punto a Picandon come mai Sordello, autore di molte buone tenzoni e di molte buone melodie, lo tenga in tale conto, benché sia così poco pratico di giulleria, da renderlo gradito a corte, aggiungendo: «o voi o egli datemene buon conto», ossia «datemene una convincente spiegazione» 182. Da questi versi è evidente che Sordello fu in rapporti abbastanza stretti con i due trovatori portoghesi, e dall’ultimo risulta anche che quando essi componevano questa tenzone il trovatore di Goito non era molto lontano da loro. E il De Lollis in un primo tempo183 pensò che Joan Soarez e Picandon tenzonassero in Portogallo, supponendo che Joan Soarez non si fosse mai allontanato dalla corte portoghese; ma poi, avendo la Michaëlis de Vasconcellos dimostrato che questo trovatore al contrario viaggiò molto e fu assai accetto nelle corti spagnole184, mutò parere e rinunciò alla sua ipotesi, affermando che la cono- Cfr. JEANROY, ibid., I, p. 220. E. MONACI, Il canzoniere portoghese della Biblioteca Vaticana, Halle a. S., 1875. 182 Ecco la strofe che ci interessa: Vedes, Picandon, som maravilhado eu d’en Ssordel que ouço en tençôes muytas e bôas e en mui bôos sôes, como foi em seu preito tam errado. Pois nom sabedes jograria fazer, por que vus fez per corte guarecer? Ou vos ou el dad’ ende bom recado (MONACI, Il canzoniere portoghese, p. 352; cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 28; BERTONI, Nuove rime di Sordello, p. 281; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVIII). Cfr. anche l’ed. del Cancioneiro da Ajuda di C. MICHAËLIS DE VASCONCELLOS , II, Halle a. S., 1904, p. 371. 183 DE LOLLIS, ibid., p. 28 e seg. 184 C. MICHAËLIS DE VASCONCELLOS, Geschichte der portugiesischen Litteratur, in Grundriss der romanischen Philologie del Gröber, II, p. II, Strassburg, 1897, p. 199, n. 5; cfr. inoltre, della stessa studiosa, l’ed. cit. del Cancioneiro da Ajuda, II, p. 365, 368, 371 e segg. Anche FRANK, Les troubadours et le Portugal, p. 202, ritiene che Joan Soarez 180 181 LI scenza tra Joan, Picandon e Sordello dovette aver luogo più verisimilmente in una delle corti di Spagna, probabilmente in quella di León 185. Più tardi il Bertoni riprese in considerazione la possibilità di un’andata di Sordello in Portogallo 186 fondandosi, oltre che sulla tenzone tra Joan Soarez e Picandon, su un passo del sirventese Dui cavalier joglar di Reforzat, altre volte ricordato, nel quale è detto che Sordello anet al Saint, e·l Santz ac espaven, car non lai venc plus escaridamen187. e supponendo che il viaggio di Sordello in Portogallo sia stato legato a un suo pellegrinaggio al celebre santuario di S. Giacomo di Compostella188. Ma in realtà non è affatto necessario interpretare quel «Saint» come un riferimento al santuario di Compostella, potendosi senza difficoltà riferire a qualche altro santuario: e lo stesso Bertoni si avvide in seguito della fragilità del suo ragionamento 189. Sicché, in complesso, considerando anche che mancano altre tracce di relazioni personali tra il re di Portogallo e qualche trovatore190, penso che il viaggio di Sordello in Portogallo debba ritenersi dimorasse presso Ferdinando III. Cfr. H. R. LANG, The Relations of the Earliest Portuguese Lyric School with the Troubadours and Trouvères, in Modern Language Notes, X, 1895, p. 104 e segg. 185 Pro Sordello de Godio, milite, p. 167. 186 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 281 e segg. 187 Vv. 23-24: cito dal saggio ibid. p. 282 e 291. Cfr. anche l’ed. del sirventese data successivamente dallo stesso BERTONI nel saggio Sordello e Reforzat, p. 199, ove il car è emendato in q’om. 188 Formulava anche l’ipotesi, acuta, ma invero molto fantastica, e che egli stesso presentava del resto con ogni riserva, che Sordello avesse mascherato la sua fuga dall’Italia con un pellegrinaggio in Galizia al santuario di S. Giacomo. 189 L’illustre studioso scriveva, nei Trovatori d’Italia, p. 80, n. 1: «In quel Saint io proposi di vedere S. Giacomo di Compostella. Parmi oggi che la congettura possa ancora presentarsi, qualora però la si circondi di molte cautele, perché “andare al santo” o “ai santi” può essere stato adoperato in altro senso, e cioè col semplice significato di “andare in chiesa”, e fors’anche in una chiesa speciale...». E nel saggio su Sordello e Reforzat, p. 205 il mutamento di opinione è ancora più esplicito: «Il poeta dice che Sordello fece un viaggio che non poteva dirsi faticoso per un cavaliere, per un giullare, per un romeo. Sordello dové dunque recarsi in luoghi vicini, forse in una chiesa, ove fosse venerato qualche santo patrono, qualche immagine...». 190 Cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 221 e seg.; MICHAËLIS DE VASCONCELLOS, Geschichte der portugiesischen Litteratur, p. 171. LII estremamente improbabile191. È certo invece che Sordello rimase assai poco in Ispagna, come ci fa capire, ancora una volta, una allusione del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas, veramente prezioso per la ricostruzione della vita del trovatore di Goito. Al v. 24, subito dopo il ricordo del ritorno di Sordello dalla Spagna, Peire Bremon afferma che Sordello fece esperienza, nel Poitou, della liberalità di messer Savarico 192. Si tratta certamente di Savaric de Mauleon, che ebbe per molti anni una considerevole autorità nella Francia meridionale, come siniscalco del Poitou, e fu, come afferma lo Jeanroy193, «pendant quelque dizaine d’années la providence des troubadours», per la sua generosità, e fu trovatore egli stesso. Ora, siccome Savaric morì prima del 27 novembre 1231, come ha mostrato il Torraca 194, nel 1231 o addirittura nel 1230, se si accetta la supposizione dello Jeanroy che il nobile barone sia morto in quell’anno, Sordello dovette esser di nuovo in terra di Francia 195. È assai difficile seguire Sordello nelle altre sue peregrinazioni in terra di Francia fino al 1241 — anno in cui incominciano a venirci in aiuto documenti storici, che ci danno informazioni sicure —, perché qui vengono quasi del tutto meno le notizie delle biografie, che, scritte verisimilmente in Italia 196, conoscono ben poco del soggiorno del poeta oltralpe, e non possiamo fondarci che su dati Anche l’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXIII, giudica poco probabile tale andata in Portogallo. E il FRANK, Les troubadours et le Portugal, p. 202, 208 e seg., e 225, non esita a ritenere che la conoscenza tra Sordello e Joan Soarez abbia avuto luogo fuori del Portogallo, forse alla corte di Ferdinando III. Anche la MICHAËLIS DE VASCONCELLOS (ed. del Cancioneiro da Ajuda, p. 368 e 372 e segg.) pensa che l’incontro tra i due poeti avvenisse in Ispagna. 192 «et apres en Peitau cum dav’en Savaric» (ed. BOUTIÈRE, p. 70). 193 La poésie lyrique des troubadours, I, p. 154 e seg. 194 Annales du Midi, XIII, p. 530. Lo CHABANEAU ne fissava la morte, invece, nel 1233 (Les biographies des troubadours, Toulouse, 1885, p. 46, n. 6). Su Savaric cfr.: B. LEDAIN, Savari de Mauléon et le Poitou à son époque, Saint-Maxent, 1893; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint-Circ, p. 152 e seg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadors, e Histoire sommaire de la poésie occitane des origines à la fin du XIII e siècle, Toulouse-Paris, 1945, p. 25; H. J. CHAYTOR, Savaric de Mauléon Baron and Troubadour, Cambridge, 1939; BOUTIÈRE, SCHUTZ, Biographies des troubadours, p. 419. Cfr. per altri rimandi P. C. 432. 195 È stata avanzata anche, sia pure con molta prudenza, l’ipotesi di un secondo viaggio di Sordello oltre i Pirenei: cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 29 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 167 e 202; SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 239. Ma, a parte il fatto che questo viaggio sarebbe legato all’andata in Portogallo, del tutto improbabile, come abbiamo visto, si tratta di un’ipotesi molto vaga, assai scarsamente fondata. 196 Il PANVINI, Le biografie provenzali. Valore e attendibilità, Firenze, 1952, p. 100 e segg. pensa che la vida più ampia sia stata scritta in Italia, e che la vida più breve sia stata invece composta in Provenza. Ma in verità anche la vida più breve dice ben poco della vita del trovatore in Provenza: e resta per me sempre possibile ritenerla scritta in Italia. 191 LIII spesso assai incerti ricavati esclusivamente dalle liriche del poeta; e la stessa contradditorietà dei risultati a cui i vari studiosi che si sono occupati di Sordello hanno creduto di poter giungere mostra la grande incertezza che regna in questo punto della biografia sordelliana. Siamo tuttavia certi che il nostro trovatore soggiornò a lungo alla corte di Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, come prova un passo del sirventese Hoimais no·m cal di Peire de Castelnou, composto nel 1266 o poco dopo197, nel quale Raimondo Berengario è lodato per aver trattenuto presso di sé Sordello 198, e come è testimoniato, oltre che dalle due vidas, concordi nell’attestare la presenza di Sordello presso un conte di Provenza che non può esser che Raimondo Berengario 199, da un documento, di cui si tratterà ampiamente più oltre, in cui Sordello appare presente, tra il seguito del conte di Provenza, al convegno tenuto nel 1241 a Montpellier tra Raimondo Berengario IV, Giacomo I d’Aragona e Raimondo VII di Tolosa a proposito del progettato divorzio tra Raimondo VII e Sancia d’Aragona. È verisimile però che il soggiorno di Sordello alla corte di Provenza sia cominciato assai prima del 1241. Il Nella lirica (P. C. 336, 1) si allude infatti chiaramente alla battaglia di Benevento, che è appunto del 1266. Lo JEANROY, Un sirventés contre Charles d’Anjou, in Annales du Midi, XV, 1903, p. 163 e segg., vorrebbe vedervi invece una allusione alla battaglia di Tagliacozzo (1268); ma la sua tesi è stata confutata dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 230 e segg., il quale ha mostrato che la lirica non può essere posteriore alla battaglia di Tagliacozzo, in quanto al v. 6 è ricordato come ancor vivo Barrai del Baus, che morì qualche settimana prima di questa battaglia. Cfr. anche BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 277 e segg., e I trovatori d’Italia, p. 77 e seg. (in quest’ultimo volume il Bertoni ritiene preferibile, come data, il 1268). 198 Vv. 23-27: Per que·l pros com Berengiers o fes be, can mosegne ‘n Sordel retenc ab se, e, si no·is fos cortes e plazentiers al comenzar, no·l retengra estiers, ni no saubr’om son pretz ni sa valenza. Cito dal BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 78; cfr. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 232. 199 La vida più ampia infatti dice: «E per paor d’aicels qe·il volion ofendre, el se partic et anet s’en Proenssa; et estet ab lo comte de Proenssa. Et amet una gentil dompna e bella de Proenssa...». E la vida più breve reca: «E pois s’en anet en Proensa, on el receup grans honors de totz los bos homes, e del comte e de la comtessa, que li deron un bon castel e moillier gentil». 197 LIV Bertoni200 pensava che si potesse dimostrare la presenza di Sordello presso Raimondo Berengario fin dal 1233, fondandosi sul sirventese De guerra sui deziros di Blacasset201, nel quale questo trovatore esprimeva, colorendolo con le solite esaltazioni della guerra e dei bei colpi di spada, che costituivano ormai, dopo Bertran de Born, un luogo comune della poesia trobadorica, il desiderio che non si concludesse la pace tra i conti di Tolosa e di Provenza, e si rivolgeva a Sordello perché incitasse Raimondo Berengario a non indursi a concludere la pace col suo avversario. Il Bertoni ritiene che il sirventese si debba ascrivere all’anno 1233, parendogli che nei vv. 27-30: vissem tal envazimen far al comte proenzal, qe cel qi ven per son mal tengues aunitz tot sa via202 vi sia una allusione all’inviato di Federico II (Caille de Gurzan), che appunto in quell’anno si proponeva di pacificare la Provenza, favorendo l’apertura di trattative e placando le discordie tra i due conti 203; e pensa che Blacasset indirizzi il componimento a Sordello appunto perché egli doveva trovarsi, verisimilmente, alla corte di Provenza e doveva avere una certa influenza sull’animo del conte. Ed è una ipotesi che si può accettare (ammettendo, naturalmente, viaggi e soggiorni episodici in altri luoghi, di cui non è possibile fissare con precisione la data), benché si debba riconoscere che è, in fondo, tutt’altro che sicura 204. Certo Sordello si trovava presso Raimondo Berengario quando, nel 1237, come sembra, o nel 1238, scrisNuove rime di Sordello di Goito, p. 277 e segg.; I trovatori d’Italia, p. 78. P. C. 96, 3 a. 202 Cito dall’ed. del BERTONI, Nuove rime di Sordello di Goito, p. 289. 203 Su questa missione di Calile de Gurzan, che arrivò in Provenza al principio del 1233, e riuscì a imporre una tregua ai contendenti, cfr. L. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, Marseille, 1882, n. 246, 249 (p. 69 e 70); P. FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne (1138-1378), Paris, 1891, p. 133 e segg.; V. L. BOURRILLY, R. BUSQUET, La Provence au moyen âge, Marseille, 1924, p. 49 e segg.; V. L. BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille des origines à la victoire de Charles d’Anjou, Aix-enProvence, 1925, p. 132 e segg. I primi ad aderire agli inviti di Calile de Gurzan, promettendo di accettare la sua mediazione, furono i Marsigliesi, Barral de Baus e Guillaume de Berre, figlio di Raimon de Baus (23 marzo 1233). 204 Lo JEANROY (rec. al vol. Nuove rime di Sordello di Goito del BERTONI, in Annales du Midi, XIV, 1902, p. 208 e seg.) ha infatti osservato che il personaggio a cui si accenna nei v. 29-30 potrebbe anche essere Raimondo VII, e che quindi il sirventese potrebbe anche riferirsi al 1237 o al 1239. 200 201 LV se, come vedremo, il sirventese Puois no·m tenc o dei «tre diseredati» (n. XX di questa edizione), poiché in tale componimento (v. 31) il conte di Provenza è chiamato dal trovatore «mon segnor»205. Altri dati sicuri sulla presenza di Sordello alla corte di Raimondo Berengario ci sono forniti dai rapporti che egli ebbe con Peire Bremon Ricas Novas, col quale, dopo un periodo di rapporti amichevoli, venne a una rottura tanto grave da giungere con lui a quello scambio di aspri e violenti sirventesi che il Bertoni e lo Jeanroy, dandone il testo critico, hanno definito un vero «duel poétique» 206. Sembra, a quanto par di intendere, se si accetta l’interpretazione che dà il Boutière 207 del sirventese Be·m meraveil d’en Sordel e de vos, che l’inimicizia sia incominciata alla corte di Raimondo Berengario a causa di un danno o torto fatto subire dal conte (che parrebbe essere appunto Raimondo Berengario) a Peire Bremon Ricas Novas; torto a cui Sordello e Bertran d’Alamanon, preoccupati di non perdere il favore del loro protettore, avrebbero assistito senza alcuna manifestazione di rincrescimento e senza cercare di fare qualcosa in favore del Ricas Novas 208. Il fatto sembra essere accaduto Nello stesso modo si potrebbe forse spiegare anche il nostre del v. 16 riferito al re Giacomo I d’Aragona: Giacomo era infatti cugino di Raimondo Berengario, poiché, come è noto, Pietro II padre di Giacomo e Alfonso II padre di Raimondo Berengario erano fratelli. 206 BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIle siècle. 207 BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. XV e segg., 57 e seg., 108 e seg. 208 Si vedano i vv. 2-6: ... anc sosfritz mon dan qe·l coms mi fes; anc no fezetz semblan, s’eu pris onta ni dan, qe mal vos fos; e degraz l’engardar de fallimen, e mi de dan, qe·us servi lialmen; e più oltre i vv. 15-16: Mas ben pot far le cons sens o foudat, qe tot li er per vos autres lausat (Cito dall’ed. BOUTIÈRE, p. 57 e seg.). Che il conte sia Raimondo Berengario mi sembra accertato dal v. 10 del terzo sirventese di Sordello contro Peire Bremon Ricas Novas (n. XXV di questa edizione), in cui è detto che il conte di Provenza ha allontanato da sé il Ricas Novas (qu’a son tort l’a partit de si·l coms proensals). — Del sirventese Be·m meraveil d’en Sordel e de vos ha dato una diversa interpretazione A. PARDUCCI, nello studio Granet trovatore provenzale, pubblicato nella Miscellanea di letteratura del medio evo, uscita in Roma, 1929, a cura della Società filologica romana, p. 12 e segg., attribuendo appunto la lirica (anonima in P) a Granet. Mi sembra però che tale attribuzione (accennata già dal TORRACA, Sul «Sordello» di Cesare de Lollis, p. 19) non sia accettabile, e che sia preferibile attribuire la lirica al Ricas Novas, come fa il BOUTIÈRE, e come è del resto opinione comune: cfr., SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse, p. 211, e Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, in Arch. für das Stud. der neueren Spr. und Lit., XCIII, 1894, p. 128, n.; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 47; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 276. Anche nella Bibliographie, di PILLET e CARSTENS la lirica è elencata non tra le poesie di Granet, ma tra quelle di Peire Bremon Ricas Novas (330, 3 a). 205 LVI dopo il 1237, poiché, come pensa, ragionevolmente, il Boutière, il compianto composto da Peire Bremon Ricas Novas in morte di Blacas ad imitazione di quello famoso di Sordello e di quello, anch’esso ispirato al planh sordelliano, di Bertran d’Alamanon, è probabilmente anteriore alla rottura tra i due poeti 209. Il Ricas Novas si recò allora a Marsiglia210, presso Barral de Baus, da cui però si allontanò per breve tempo, per recarsi presso il conte di Tolosa Raimondo VII, il quale non sembra gli facesse buone accoglienze211, cosicché egli tornò presso Barral. Più tardi l’inimicizia si acuì, anche in conseguenza, a quanto par di ricavare dalla tornada del primo sirventese di Sordello contro il Ricas Novas 212, di una rivalità amorosa, e si arrivò al fa- Infatti, se la rottura fosse avvenuta, Peire Bremon Ricas Novas non si sarebbe accontentato di imitare il planh di Sordello e di citarlo all’inizio della sua lirica insieme a quello di Bertran d’Alamanon, ma lo avrebbe criticato e avrebbe preso lo spunto da esso per mettere in ridicolo il suo avversario: cfr. ed. BOUTIÈRE, p. XV. 210 Secondo il v. 10, già citato, del terzo sirventese di Sordello contro il Ricas Novas (Sol que m’afi: n. XXV di questa ed.) sembrerebbe che la partenza del Ricas Novas non fosse avvenuta per iniziativa del trovatore, ma in conseguenza di un ordine del conte di Provenza. Ma non è difficile conciliare i due passi, immaginando che Peire Bremon, già caduto in disgrazia, sia stato fatto allontanare dalla corte, e che il dan consistesse appunto in una perdita del favore del conte, che costrinse il Ricas Novas ad allontanarsi. 211 Cfr. i vv. 41-44 del secondo sirventese di Sordello contro il Ricas Novas (Lo reproviers vai averan, n. XXIV di questa ed.): Gen l’a saubut lo valens coms onrar de Tolosa, si co·is taing ni·s cove, c’a Marseilla l’a faich azaut tornar, per que laisset son seignor e sa fe; e i vv. 9-11 del terzo sirventese: .... sos sens es tals qu’a son tort l’a partit de si·l coms proensals e l’autre coms no·l vol, quar sap qui es ni quals. 212 Cfr. i vv. 31-33 (n. XXIII di questa ed.): Serventes, vai dir al fals ufanier, qe mal vic mi e mon corren destrier e lieis, per qe m’a faich enic e brau Sulla questione cfr.: BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 269; ed. BOUTIÈRE, p. XVII. 209 LVII moso scambio di sirventesi, che ebbe luogo molto probabilmente nel 1240-41, poiché la pace in tempo di primavera a cui si accenna nel terzo sirventese di Sordello 213 sembra essere quella del 1241: infatti le sole tre paci tra il conte di Provenza e il conte di Tolosa che si possono prendere in considerazione sono quelle del 1234, del 1237 e del 1241; e le prime due sembrano da scartare: la prima, in quanto Barral entrò in possesso della sua parte dell’eredità paterna soltanto alla fine del 1234214, e quindi è difficile ammettere che Sordello potesse scrivere nel suo terzo sirventese che Peire Bremon Ricas Novas si trovava presso Barral 215; la seconda, in quanto in quell’anno la pace seguì a contese di breve durata, perché le ostilità non erano state riprese che nella primavera, e Sordello — come già aveva osservato il De Lollis216 — fa evidentemente allusione «a una guerra di qualche durata e a trattative non brevi di pace». D’altro canto mi sembra che il «duel poétique» non possa aver avuto inizio prima del 1237, epoca in cui i due poeti sembrano ancora in buoni rapporti, come appare dal planh di Peire Bremon in morte di Blacas, imitazione, senza alcuna parodia o alcun sentimento di ostilità, di quello di Sordello 217. Quando ebbe luogo lo scambio dei sirventesi Sordello era certamente alla corte di Raimon- 213 Cfr. il v. 19: hueymais, pus ven la patz e·l gai[s] temps de pascor Cfr. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 257, p. 73 (26 novembre 1234); DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello, p. 44 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 170; ed. BOUTIÈRE, p. 108. Dissente su questo punto il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 17, e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 552. 215 Si vedano i vv. 14-15: Be·m meravelh quo·l pot retener en Barrals, qu’ad ops de bon senhor non es en re cabals E si cfr. i vv. 5-8. 216 Vita e poesie, p. 45. 217 La questione della cronologia dei sirventesi scambiati tra Sordello e il Ricas Novas è tra le più complesse e discusse. La data 1240-41, che mi sembra la più probabile, è quella proposta dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 43 e segg. e Pro Sordello de Godio, milite, p. 169 e seg., che è stata accolta dal BOUTIÈRE, ed. cit., p. XVII e seg., 109 e segg., e quindi da altri (ad es. dall’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVI). Lo SCHULTZ-GORA era assai vicino al DE LOLLIS, anzi, si può dire, sostanzialmente d’accordo con lui, perché proponeva come data il 1240 (Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon; rec. al vol. del DE LOLLIS; e cfr. Die Lebensverhälltnisse, p. 211). Il BERTONI e lo JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, rimanevano incerti tra il 1234, il 1237 e il 1240-41. Il TORRACA, dal canto suo, propendeva a ritenere le liriche composte prima del 1233 (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 17 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 546 e segg.). Per una più minuta discussione su vari particolari rimando alle note che accompagnano il testo dei tre sirventesi di Sordello (nn. XXIII-XXV di questa edizione). — Intorno alle guerre tra il conte di Tolosa e il conte di Provenza che interessano la nostra questione basti rimandare qui alle opere di FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 130 e segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 124 e segg., ove si troveranno numerosi altri rimandi bibliografici. E si veda, naturalmente, l’Histoire générale de Languedoc di C. 214 LVIII do Berengario, come si rileva dal terzo sirventese contro il Ricas Novas218. Alla corte di Raimondo Berengario doveva certamente essere Sordello anche quando scrisse insieme con Guilhem Montanhagol il partimen che costituisce la lirica XVI di questa edizione, composto verisimilmente non prima del 1241, anno in cui venne conclusa stabilmente la pace tra i conti di Tolosa e di Provenza, in quanto è difficile, anzi, a mio parere, del tutto inverosimile che il Montanhagol, il quale da altre liriche ci appare fedelissimo alla causa di Raimondo VII di Tolosa, potesse fare, prima della pacificazione tra il suo protettore e il conte provenzale, quel caldo elogio di Raimondo Berengario che il trovatore tolosano si compiace di inserire nel nostro componimento219. In questo periodo infatti siamo del tutto sicuri che Sordello (come è provato anche dall’atto del 1241, già ricordato, relativo al convegno di Montpellier) era presso Raimondo Beren- DEVIC e J. VAISSETTE, nuova ed., Toulouse, 1866, VI, p. 664 e segg. — Sulla datazione qui accennata del planh di Sordello in morte di Blacatz si v. più oltre. 218 Cfr. il verso 8, «e nostra cort hueymai no pes del tornar ges», da intendersi in stretta unione col v. 10, «q’a son tort l’a partit de si·l coms proensals», e dei vv. 3-8 del primo sirventese (Lo bels terminis) di Peire Bremon Ricas Novas contro Sordello, ove il trovatore accenna ai suoi amici di Provenza che sono lontani da lui: car ades ai sovinenssa — on qez eu m’estia — de mos amics de Proenssa; pero si·ls vezia, car ab lor ai conoissenssa, plus m’alegraria (ed. BOUTIÈRE, p. 59). 219 Si vedano i vv. 1-4: Senh’en Sordelh, mandamen ai del ric comte plasen proensal, qu’a pretz valen, que·us deman.... E l’elogio ritorna nei versi della tornada scritta dal Montanhagol: Sordelh, le ricx coms prezatz, on es fis sabers triatz, proensals jutge, si·l platz, esta nostra partia... LIX gario; e anche se non ne avessimo la certezza per altra via, basterebbe a provarlo il v. 79 del partimen, ove Sordello chiama «mos senher» il conte provenzale che Guilhem Montanhagol ha lodato. È possibile che Sordello abbia anche cantato Beatrice di Savoia, moglie di Raimondo Berengario, benché sembri — come vedremo — che egli abbia composto le sue poesie d’amore soprattutto per Guida di Rodez 220. Se è cosa certa che Sordello soggiornò per lungo tempo alla corte di Raimondo Berengario IV di Provenza, non si può escludere che abbia dimorato per più brevi periodi altrove. Non è improbabile, ad esempio, che abbia soggiornato per qualche tempo presso la corte comitale di Rodez, o in qualche località dipendente dai baroni di Montlaur, come Posquières (oggi Vauvert, nel dipartimento del Gard)221: infatti, come vedremo tra poco, egli cantò, sicuramente in una canzone, e probabilmente in varie altre liriche, Guida di Rodez, figlia di Enrico I e sorella dei conte Ugo IV di Rodez, maritata nel Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 79 (e cfr. Nuove rime di Sordello, p. 280) ritiene che sia stata composta alla corte di Provenza e per Beatrice la tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa (n. XIV di questa edizione): la comtessa del v. 2, per il cui amore Sordello, a detta di Peire Guilhem, sarebbe venuto alla corte, e per la quale Blacas è divenuto canuto, sarebbe appunto Beatrice, e li coms del v. 27 sarebbe Raimondo Berengario. Per il DE LOLLIS anche questo componimento è invece da considerarsi scritto per Guida: cfr. Vita e poesie di Sordello, p. 30, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 171 e segg.; e a Guida lo avevano riferito precedentemente il DIEZ, Leben und Werke der Troubadours, Zwickau, 1829, p. 473, e SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse, p. 208 (e cfr. di quest’ultimo la rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 240). Della stessa opinione sono anche il FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, de Castries et de Montlaur, inspiratrice de la poésie provençale, in Annales du Midi, XXIV, 1912, p. 161 e 164 e D. J. JONES, La tenson provençale, Paris, 1934, p. 40. Nega che si tratti di Guida, e pensa invece a Beatrice il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 22 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 535 e segg.), il quale vorrebbe eliminare Guida dalla vita di Sordello e fare di Beatrice contessa di Provenza l’ispiratrice di tutte le liriche d’amore del trovatore di Goito: tesi manifestamente esagerata, perché, come vedremo, vi sono buone ragioni per ritenere scritta per Guida almeno una delle canzoni di Sordello. 221 Sul soggiorno di Guida a Posquières cfr. FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 159 e segg. 220 LX 1235 — a quanto pare222 — a Pons barone di Montlaur nel Vivarais. Questo soggiorno a Rodez è ammesso anche dal De Lollis 223 e dal Bertoni224, nonché, naturalmente, dal Fabre: e se potessimo riferire a Guida la tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa225 avremmo la prova di tale soggiorno nei vv. 3-4 del componimento, in cui Peire Guilhem dice a Sordello che tutti vanno dicendo che egli è venuto lì per amore della contessa226, a patto, naturalmente, di ritenere la lirica anteriore al matrimonio di Guida con Pons de Montlaur 227. Certo però si può ammettere, come pensava anche il Bertoni 228, che Guida sia stata cantata varie volte anche da lontano229. Non si può indicare la data di tale soggiorno, poiché non si può escludere che Sordello abbia cantato Guida di Rodez anche dopo il suo matrimonio col barone di Montlaur230. Da un passo del sirventese morale Puois trobat ai231 parrebbe di poter dedurre che Sordello fece anche un breve soggiorno a Tolosa. A questa data si oppose il FABRE (nel suo studio già citato, ricco di dati e assai interessante e acuto, ma anche troppo ricco di ipotesi e in molti punti evidentemente esagerato per troppo vivo entusiasmo per la tesi sostenuta, p. 154), tentando di riportare indietro il matrimonio di Guida fino al 1226: ma il FABRE si fonda sulla testimonianza assai dubbia di una genealogia dei Montlaur ritrovata; da un erudito locale, della quale egli, per di più, non pubblica il testo né dà informazioni precise, e perciò la sua dimostrazione mi sembra tutt’altro che convincente. Cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 183, n. 1. 223 Vita e poesie, p. 32. 224 I trovatori d’Italia, p. 79, n. 2. 225 Sulla questione cfr. la n. 220. 226 Qe tuit van dizen e gaban qe per s’amor es sai vengutz 227 Non sarebbe possibile pensare a una data posteriore al 1235, poiché il v. 33 parla di un coms, e dopo il 1235 Guida dovette lasciare Rodez per seguire il marito Pons de Montlaur, che non era conte, ma soltanto barone. 228 I trovatori d’Italia, p. 79. 229 Si vedano ad es. i vv. 31-32 («q’eu tem morir desiran son cor gai | qar loing dels oillz e pres del cor m’estai») della canzone Si co·l malaus (n. X di questa edizione), che si può ritener scritta per Guida, dato che al v. 41 vi è usato il senhal di Restaur, di cui, come vedremo, molto probabilmente, Sordello si serve per indicare Guida. 230 Se è giusto ritenere, come io credo, Restaur un senhal usato per Guida, possiam dire di avere una prova sicura dell’ipotesi che Sordello abbia cantato Guida anche dopo il suo matrimonio nel fatto che a una dama adombrata sotto il senhal di Restaur — la quale sarebbe, appunto, Guida — è indirizzato il celebre planh in morte di Blacatz, che è probabilmente del 1237. 231 È la lirica XXI di questa edizione. Si vedano i vv. 5-6: per que mos cor[s] en demorar s’atura a Tolosa al mens un mes o dos. 222 LXI Altri accenni sono troppo vaghi per ricavarne notizie che abbiano una certa probabilità d’essere attendibili 232. In questi anni Sordello compose molte liriche, mediante le quali dovette certo salire in fama, ed affermarsi come uno dei più notevoli trovatori del tempo. Tra quelle che ci sono rimaste (è lecito sospettare che parecchie siano andate perdute) non poche sono le liriche d’amore, che fanno sorgere il problema della identificazione della dama o meglio delle dame da lui cantate, che è forse la questione più oscura e più difficilmente chiaribile di tutta la biografia sordelliana, perché non abbiamo, per tentar di darne una soluzione, che indizi assai vaghi ed incerti. È possibile tuttavia affermare che tra le dame cantate dal trovatore il primo posto spetta a Guida di Rodez, che abbiamo già ricordato. Ad essa Sordello rivolse certamente — e qui mi sembra che abbia del tutto torto il Torraca che volle negarlo 233 — la canzone Aitant ses plus (n. II di questa edizione), in cui il nome di Guida è accennato velatamente, ai vv. 13-19, per mezzo di un gioco di parole sottilmente elaborato, che si impernia sulle parole guitz, guidar, guida. In questa canzone il nome di Guida è celato sotto il senhal di N’Agradiva (v. 41); ma purtroppo questo senhal non ci serve per identificare altre liriche d’amore scritte per Guida, poiché si trova bensì nella tornada del sirventese morale Qui be·is membra (n. XXII di questa ed., v. 36) e nella chiusa dell’Ensenhamen d’onor (n. XLIII di questa edizione, v. 1300 e 1326) — così che queste poesie dovranno ritenersi indirizzate a Guida — ma non compare in nessun’altra canzone d’amore. Tuttavia parecchie altre liriche d’amore saranno state verisimilmente composte per Guida: e tra esse andranno collocate con qualche probabilità le canzoni Gran esfortz fai, Per re no·m puesc, Qan plus creis, Si co·l malaus, Tos temps serai (nn. VII, VIII, Si veda quanto è detto più oltre a proposito della canzone Er encontra·l temps de mai (n. VI di questa edizione), ove par nominata la località di Assas non lungi da Montpellier, e a proposito della canzone Tos temps serai (n. XII di questa edizione) in cui par nominata una dama di Mison. 233 Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 20 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 5 e segg. Che la lirica sia stata scritta per Guida pare indubbio al DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 30, e Pro Sordello de Godio, milite, p. 171 e segg., 203; e per Guida la ritiene scritta «con molta verisimiglianza» anche il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 535. Per Guida sta anche lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 183. Sulla questione cfr. anche GUARNERIO, A proposito di Sordello, p. 110, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 306. 232 LXII IX, X, XII di questa ed.), nelle quali, come osservò il De Lollis 234 si nota, con leggere variazioni formali, la ripetizione — che non sembra fortuita, ma voluta, quasi a sottolineare un costante motivo ideale e a segnare un intimo legame, una stretta affinità —, di una frase in cui si esprime «il sentimento di rispetto che nell’animo del poeta sopraffà quello dell’amore»235. E accanto ad esse con qualche probabilità va posto anche il «partimens» Bertrans, lo joy con Bertran d’Alamanon (n. XVII di questa ed.), nel quale ricorre pure (v. 52) la frase «salvan s’onranza», e si nomina esplicitamente, nella prima tornada, la contessa di Rodez. Se accettiamo questi accostamenti, che, certo, sono, come è naturale, tutt’altro che inoppugnabili236, dobbiamo ammettere che il trovatore mantovano si sia servito per designare Guida anche del senhal di Restaur, poiché con tale senhal è indicata nella canz. X (della nostra numerazione) la donna cantata dal poeta 237. Vita e poesie, p. 32. Canz. VII, v. 14 «s’onor salvan», v. 33 «salvan s’onor»; canz. VIII, v. 16 «gardan son bon pretz»; canz. IX, v. 28 «salvan vostr’ onramen»; canz. X, v. 38 «salvan s’onor»; canz. XII, v. 50 «salvan s’onor». Anche lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 183, n. 4 ritiene indirizzato a Guida questo partimens. 236 Si deve infatti riconoscere che queste frasi compaiono anche in altri trovatori, come ha riconosciuto per primo lo stesso DE LOLLIS, ibid., p. 32, n. 1, e hanno sottolineato poi, tra gli altri, il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 21; il WECHSSLER, Das Kulturproblem des Minnesangs, Halle, 1909, p. 168; lo JEANROY e il SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 189; il PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 28. Occorre però notare che tali frasi non ricorrono mai presso altri trovatori con tanta insistenza (un’insistenza che fa pensare a un deliberato proposito di fare di esse un modulo stilistico, una formula di particolare significato) ma sono usate sporadicamente, occasionalmente. — Inoltre, tra gli esempi citati, bisogna distinguere quelli anteriori a Sordello — come quello di Rambaldo di Vaqueiras o, forse, quello di Uc de Saint Circ — da quelli che si ritrovano presso trovatori che potrebbero aver imitato Sordello, come Bertran d’Alamanon e Granet. Sui dubbi che suscitano vari riferimenti di queste liriche a Guida cfr. anche JEANROY, ibid. — Che la contessa nominata nel partimen con Bertran d’Alamanon sia Guida è ammesso, oltre che dal DE LOLLIS, anche dal SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 121 e seg. (che ritiene il componimento anteriore al 1235, ossia anteriore al matrimonio di Guida), dal FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 336 e segg. (che indica come data probabile il periodo 1250-53) e dal PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 7 e seg. (che segue il Fabre nella data). Cfr. pure SELBACH, Das Streitgedicht in der altprov. Lyrik, Marburg, 1886, p. 48 e R. ZENKER, Die provenzalische Tenzone, Leipzig, 1888, p. 51. — Sulle questioni riguardanti Guida cfr. anche F. BERGERT, Die von den Trobadors genannten oder gefeierten Damen, Halle a. S., 1913, p. 52 e seg. 237 Sull’uso di due diversi senhals per indicare la medesima dama cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 33 e seg. e UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XV.— Nega che sotto il senhal di Restaur si celebri Guida lo JEANROY, ibid.. 234 235 LXIII Più discutibile è il riferimento a Guida della canzone Atretan dei (n. III di questa edizione), nella cui tornada è nominata chiaramente la contessa di Rodez (vv. 43-44) — onde il De Lollis inclinava a ritenerla scritta per Guida 238 — perché la seconda parte del v. 44 sembra una allusione a un’altra donna, che sarebbe quella veramente amata dal trovatore, mentre la contessa sarebbe unicamente la dama alla quale il trovatore rivolge un omaggio nella tornada: interpretazione che potrebbe trovare conferma nel v. 46, dove il lei potrebbe riferirsi a una donna diversa dalla contessa del v. 45. Secondo lo Schultz-Gora però239 la contessa di Rodez nominata nella tornada potrebbe essere Isabella, moglie di Ugo IV di Rodez, mentre la donna cantata per la maggior parte della lirica e amata dal poeta potrebbe essere Guida: ipotesi acuta e certo sostenibile, essendo accertato che Sordello amò e cantò Guida. Non occorre dire naturalmente, che per il Torraca anche questa canzone venne scritta per Beatrice di Provenza240. Che Sordello amasse e cantasse Guida di Rodez è provato anche dal sirventese Pos al comte di Granet241, nel quale questo trovatore, che afferma di intervenire nella questione per invito del «comte» (il quale, secondo alcuni è, come è preferibile, Raimondo Berengario, secondo altri, invece, Carlo d’Angiò) 242, riallacciandosi Vita e poesie, p. 32; e cfr. Pro Sordello de Godio, milite, p. 182 e segg., e 204. Nella rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 240 e XXII, p. 303 e seg. 240 Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 20; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 8 e segg. 241 È il n. II dell’ed. di PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 19 e seg. Da questa ed. tolgo i versi che cito. 242 La diversa identificazione del «comte» è naturalmente in rapporto con la data che si assegna al componimento, e che costituisce un problema sul quale molto si è discusso: il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 32 e seg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 185, pensava al 1241; il FABRE, Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 336 e segg. preferiva scendere fino al 1250-53, e con lui si è schierato il PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 7 e seg.; mentre il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 121 e seg., era propenso a risalire fin verso il 1235. La questione va strettamente collegata con la discussione sulla data del «partimen» Bertrans, lo joy tra Sordello e Bertran d’Alamanon, ma non si deve, a mio giudizio, collegarla anche altrettanto strettamente, come faceva il DE LOLLIS (Vita e poesie, ibid., Pro Sordello de Godio, milite, p. 172 e segg.), con quella riguardante la tenzone Pos anc no·us valc amors tra Granet e Bertran d’Alamanon (n. IV dell’ed. PARDUCCI di Granet, p. 23 e segg.; n. XVII della ed. SALVERDA DE GRAVE di Bertran d’Alamanon, p. 117 e segg.), che è da ritenersi componimento completamente indipendente da Pos al comte, per quanto, naturalmente, essendo posteriore, non sia senza riferimenti a tale lirica. Il DE LOLLIS credeva (Vita e poesie, ibid.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 173 e segg.) che con Pos al comte Granet provocasse a tenzone Sordello e Bertran, e riteneva che la tenzone Pos anc fosse nata dalla accettazione della sfida da parte di Bertran, che aderì all’invito (mentre Sordello l’avrebbe lasciato cadere, non degnandosi di rispondere); ma non avvertì che in realtà Pos al comte è solo un commento al «partimen» Bertrans, lo joy, commento che sta del tutto a sé, e non fa affatto da introduzione a Pos anc, ed errò nel vedere nel v. 8 di Pos anc (Per qu’ie·us cosselh que de l’arma·us sovenha) un richiamo alla scelta delle armi fatta da Bertran nella tenzone con Sordello (Bertrans, lo joy), poiché tale verso non significa affatto, com’egli 238 239 LXIV alla tenzon partia di Sordello e di Bertran d’Alamanon, biasima sia l’uno che l’altro dei contendenti, affermando che ciascuno dei due ha scelto follamen, perché Sordello, che ha scelto l’amore, in amore non è valso mai nulla, e Bertrando, che ha scelto le armi, è un uomo pieno di indolenza, che in battaglia è tutt’altro che un valoroso, e soggiunge (vv. 17-20): crede (Pro Sordello de Godio, milite, p. 174) «per il che vi consiglio che vi sovvenga delle armi», bensì «per la qual cosa vi consiglio che vi sovvenga dell’anima» (si tratta cioè di una esortazione a combattere contro gli infedeli, in rapporto alla menzione dell’Antecrist del v. 5). Su questo punto hanno senza dubbio ragione il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 20 e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 2 e segg.) e il SALVERDA DE GRAVE (Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 121 e segg.), anche se, naturalmente, si può ammettere in Pos anc qualche richiamo a Pos al comte, e, di riflesso, a Bertrans, lo joy (cfr. ed. PARDUCCI, p. 33). Certo la questione della data di Pos anc, posteriore, può influire su quella della data di Pos al comte. Non è il caso però di discutere qui la complessa questione della data di Pos anc: rimando in proposito alla bibliografia data dall’ed. PARDUCCI, p. 32 e seg., a cui va aggiunto SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 304). Quanto alla data di Pos al comte, a me sembra non vi siano ragioni che obbligano assolutamente a credere che il conte sia Carlo, come vorrebbe il PARDUCCI (p. 8), seguendo il FABRE. Osserva il PARDUCCI che Granet ci appare solo in rapporto con Carlo d’Angiò e non con Raimondo Berengario: ma se il rapporto con Carlo è attestato dalla lirica Comte Karle (n. III dell’ed. PARDUCCI) non per questo è da escludere del tutto che Granet avesse rapporti anche con Raimondo Berengario. Erra poi il PARDUCCI quando sostiene che, se si fosse trattato di Raimondo Berengario, Granet l’avrebbe chiamato piuttosto duca che conte, essendo egli «duca di Narbona»: Raimondo Berengario non fu mai duca di Narbona, titolo che era ereditario nella famiglia dei conti di Tolosa, e fu portato, come è noto, da Raimondo VII di Tolosa fino alla pace di Parigi del 1229, nella quale fu costretto a deporlo, e poi di nuovo a partire dal 1242, anno in cui egli riprese il titolo (DEVIC, VAISSETTE, Histoire générale de Languedoc, VI, p. 744; VIII, docum. CCXLVII, col. 1092 e segg.). D’altra parte — pur riconoscendo il valore di questo argomento — non mi sembra assolutamente necessario vedere nel v. 55 di Bertrans, lo joy, ove si parla di Jean de Valery «qu’ab pretz d’armas s’enansa» un riferimento alla crociata in cui il Valery, come racconta Joinville, tanto si distinse: questa potrebbe essere anche un’allusione a imprese precedenti dell’illustre barone francese. LXV Per la comtessa de Rodes valen an ras lor cap cavalier mais de cen; e s’en Sordel se vol gardar de failla, son cap raira, o ia Deus non li vailla. La contessa di Rodez di cui qui si parla è infatti molto probabilmente Guida, come è Guida quella contessa di Rodez che Sordello nomina nella tornada del partimen con Bertran d’Alamanon a cui la lirica di Granet fa riferimento. Potrebbero invece indurci a pensare a un amore di Sordello per un’altra donna le canzoni Bel m’es ab motz e Er encontra·l temps de mai (nn. IV e VI di questa edizione), nelle quali Sordello designa la donna col senhal di dolza enemia243. Nella prima di queste il De Lollis 244, che era propenso a legare a Guida tutte o quasi tutte le liriche d’amore scritte da Sordello in questi anni, ritrovava, al v. 29 (quar fis amicx no sier ges d’aitai guia) una allusione a Guida di Rodez: ma qui, come è stato osservato giustamente dallo Schultz-Gora245 e dal Torraca246, la parola guia (che in questo passo significa semplicemente «maniera») è citata isolatamente, di sfuggita, senza alcuna particolare insistenza, e senza il complicato gioco di parole che la sottolinea nella canzone Aitant ses plus, e per di più è manifestamente richiamata alla mente del poeta da esigenze di rima; sì che il riferimento a Guida di Rodez appare tutt’altro che provato. Esso non è stato escluso del tutto dal Bertoni 247, il quale, riprendendo in esame la questione, ha osservato che il v. 14 della canzone Er encontra·l temps de mai, ove par di vedere nominata la città di Assas, posta nel dipartimento dell’Hérault non lungi da Montpellier, potrebbe farci pensare appunto a Guida, che risiedette per vari anni col marito (come abbiamo accennato) a Posquières (oggi Vauvert), luogo anch’esso non lontano da Montpellier. Ma anche il Bertoni mette innanzi tale ipotesi con molti dubbi e perplessità248: IV, v. 33; VI, v. 41. Vita e poesie, p. 32; Pro Sordello de Godio, milite, p. 171 e segg. e 203. 245 Rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 240, e XXII, p. 303 e seg. 246 Sul «Sordello» di C. de Lollis, p. 20; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 5 e segg. 247 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 287, 293; I trovatori d’Italia, p. 79, n. 248 Non solo il BERTONI propone con ogni riserva il riferimento a Guida possibile con la lezione Assas, ma accenna anche alla possibilità che si debba leggere invece a Sas, castello non chiaramente localizzabile; lezione 243 244 LXVI onde convien concludere che è assai difficile non dico accertare, ma supporre con una qualche buona probabilità chi sia la donna che si nasconde sotto questo senhal249. Un’altra allusione oscura a una donna amata diversa da Guida si trova nella canzone Si co·l malaus (n. X di questa edizione), dove ai vv. 34-35 si parla di una dompn’ ab cor camjan da cui l’amore per la donna cantata nella lirica e designata col senhal di Restaur (la quale è verisimilmente Guida) ha allontanato il poeta. Su questa donna non possiamo dir nulla; ma anche questo è un elemento che ci conferma che nella vita di Sordello oltre le Alpi entrarono varie donne; come pare dal resto di dover ricavare — anche senza dar troppo peso a questa allusione scherzosa, che potrebbe essere sem- che farebbe sfumare la possibilità di vedere nella lirica una allusione a località non lontane da Montpellier. Alla lezione a Satz inclinava anche lo SCHULTZ-GORA (cfr. BERTONI, Nuove rime di Sordello, p. 293). È da avvertire che il BERTONI inclinava a credere che questa canzone fosse stata composta da Sordello al ritorno dal suo viaggio in Portogallo. — Per la canzone Bel m’es si deve anche tener presente, come hanno avvertito lo SCHULTZ-GORA (Die Lebensverhälltnisse, p. 207 e seg.) e il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 24 e seg.), la cobla Per cinc en podetz demandar di Blacasset (P. C. 97, 9; ed. O. KLEIN, Der Troubadour Blacasset, Jahres-Bericht der Städtische Realschule zu Wiesbaden, Wiesbaden, 1887, p. 15), nella quale questo trovatore si diverte a scherzare ironicamente sul «furto del cuore» di cui Sordello diceva (nella seconda strofa di Bel m’es) di essere stato vittima da parte degli huelh lairo della donna da lui cantata. Di questa cobla è interessante particolarmente il v. 8, in cui Blacasset invita Sordello ad appellarsi al comte per chieder giustizia del furto subito: il che, mentre escluderebbe che la canzone Bel m’es possa riferirsi a Guida sposata, moglie del barone (e non conte) Pons de Montlaur, potrebbe anche portare ad escludere un riferimento a Guida prima del matrimonio, poiché, come ha osservato il TORRACA, ibid., «lo scherzo poteva esser permesso... da un marito» ma un fratello non «l’avrebbe lasciato passare senza risentirsene»: così che si potrebbe pensare che la donna cantata in Bel m’es sia Beatrice di Provenza, moglie di Raimondo Berengario IV. Però (a parte la questione della validità dell’osservazione del Torraca ultimamente citata) tutto il ragionamento cade se si considera che non è strettamente necessario che la dama contro cui Sordello avrebbe potuto appellarsi fosse presente alla corte del comte, e che Sordello avrebbe anche potuto appellarsi al comte — che potrebbe anche essere Raimondo Berengario — per l’offesa di una donna lontana. — Nessuna indicazione utile per l’identificazione della donna cantata come «dolz’enemia» viene dalla vida più ampia, dove è detto soltanto: «Et amet una gentil dompna e·bella de Proenssa; et apellava la en los sieus chantars, que el fazia per lieis, ‘Doussa enemia’; per la cal dompna el fetz maintas bonas chanssos»; notizia probabilmente ricavata esclusivamente dalla lettura delle canzoni sordelliane in cui ricorre tale senhal. Sulla questione cfr. anche F. BERGERT, Die von den Trobadors genannten oder gefeierten Damen, Halle, 1913, p. 53. 249 Tale è anche l’opinione dell’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXIII. LXVII plicemente una estrosa battuta satirica, nata in gran parte dal ricordo dell’avventurosa giovinezza del trovatore in Italia — dal v. 44 della tenzone già ricordata tra Granet e Bertran d’Alamanon (Pos anc no·us valc) nella quale Bertran afferma che Sordello ha cambiato più di cento dame250. Non sembra invece il nome di una donna amata quella na Rambauda che Sordello designa come giudice nella prima tornada del partimen Doas domnas con Bertran d’Alamanon (n. XVIII di questa edizione), e che è probabilmente da identificarsi con quella Rambauda del Baus che compare nella imitazione del planh di Sordello per la morte di Blacas scritta da Bertran d’Alamanon: questa na Rambauda appare una dama a cui Sordello indirizza la lirica per renderle omaggio 251. E la stessa osservazione si deve fare a proposito di quella dama di Mison (castello non lontano da Sisteron, nel dipartimento delle Basses Alpes), che secondo alcuni 252 sarebbe nominata nella tornada della canzone Tos temps serai253 — canzone che parrebbe una delle liriche ispirate all’amore per Guida —: infatti il v. 50 (Salvan s’onor de lieys cuy mi suy datz) sembrerebbe, se si accetta la lezione Mison, porre una distinzione tra la dona de Mison e colei a cui il poeta ha consacrato il suo cuore 254. Accanto alle liriche d’amore tengono un posto cospicuo tra le liriche di questi anni i componimenti di ispirazione politica. Il più antico di questi pare il sirventese Non pueis mudar (n. XIX di questa edizione) definito dal De Lollis «il più oscuro dei sirventesi politici di Sordello», che il De Lollis 255 ritiene composto intorno al 1235, ricollegando gli accenni, che si trovano nel sirventese, al forte malcontento dei baroni provenzali (fra i quali particolarmente scontento nell’ultima strofa appare Blacatz) contro il duro fiscalismo di RaimonCfr. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 119; PARDUCCI, Granet trovatore provenzale, p. 24 (e cfr. p. 34). Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 34. 251 La data del componimento è assai discussa: il S ALVERDA DE GRAVE (Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 84 e segg.) lo pone «avant 1235»; il F ABRE (Guida de Rodez, baronne de Poquières, p. 338) lo ritiene non anteriore al 1250. Sulla questione cfr.. le note che accompagnano il testo. Cfr. anche S CHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 21. 252 SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS; TORRACA, ibid. 253 N. XII di questa edizione, vv. 46-47. 254 Sarebbe quindi un caso analogo a quello della tornada della canzone Atretan deu, se si accetta la tesi dello SCHULTZ-GORA (cfr. n. 239), secondo la quale la contessa di Rodez ivi nominata sarebbe Isabeau, moglie di Ugo IV di Rodez. 255 Vita e poesie, p. 34. 250 LXVIII do Berengario e la notizia a noi giunta di una convenzione conclusa tra Raimondo Berengario e i baroni (tra i quali appunto figura in primo piano Blacatz) il 7 ottobre 1235256; ma che sembra invece anteriore al maggio 1233, perché par riferirsi — come hanno mostrato il Torraca 257 e il Salverda de Grave258 — agli stessi avvenimenti a cui si ispira il sirventese Qi qe s’esmai di Bertran d’Alamanon, da assegnarsi appunto secondo il Salverda de Grave al 1233, e l’accenno a Ugo de Baus della strofe IV sembra, in particolare, da porsi in relazione con la prigionia di Ugo de Baus e di suo figlio Gilbert, caduti nelle mani di Raimondo Berengario nel 1231 e liberati soltanto nel maggio 1233259. Posteriore a questo è certamente il sirventese Puois no·m tenc (n. XX di questa edizione), detto comunemente dei «tre diseredati», il quale è rivolto contro Giacomo I re di Aragona, Raimondo VII conte di Tolosa e Raimondo Berengario IV conte di Provenza, chiamati appunto al v. 6 «tres deseretatç». Intorno a questo sirventese si è molto discusso, e sono state proposte le date più diverse, anche lasciando da parte l’Éméric-David260, che pensava al 1229: lo Schultz-Gora lo riteneva in un primo tempo del 1231 o al più tardi del 1232 261 — trovando consenso nel Salverda de Grave, che adottava anch’egli questa data 262 — e più tardi del 1237-38263; il Torraca lo assegnava al 1233264; il De Lollis lo poneva dopo il 1238 265. Io credo che non si possa dubitare che il sirventese — C. DE NOSTREDAME, Histoire et chronique de Provence, Lyon, 1614, p. 190; GIOFFREDO, Storia delle Alpi Marittime, in Monumenta historiae patriae, Scriptores, II, Torino, 1839, col. 537; cfr. SCHULTZ-GORA, Zu den Lebensverhältnissen einiger Trobadors, in Zeit. für roman. Phil., IX, 1885, p. 119, n. 2 e 133, n. 3. 257 Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 18 e segg. 258 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 10 e segg. 259 Per altre considerazioni particolari cfr. le note che accompagnano il testo. Sulla prigionia di Ugo e di Gilbert del Baus, oltre al TORRACA e al SALVERDA DE GRAVE e alla bibliografia ivi citata si veda: F OURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 130 e segg.; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 47 e segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 130 e segg. — Dato il contenuto del sirventese, si potrebbe, con le debite riserve, avanzare l’ipotesi che Sordello, quando lo componeva, non fosse ancora alla corte di Raimondo Berengario. 260 Histoire littéraire de la France, XIX, Paris, 1838, p. 454. 261 Die Lebensverhältnisse der italienische Trobadors, p. 207, n. 2. 262 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 102 e segg. 263 Rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 247 e seg., XXII, p. 304. 264 Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 26 e segg.; Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 13 e segg. 265 Il DE LOLLIS non ha definito la sua opinione in modo del tutto preciso, a questo proposito. Nel vol. Vita e poesie, p. 37 n., sembrerebbe pensare all’incirca al 1239, mentre nel Pro Sordello de Godio, milite, p. 186 ritiene il sirventese composto «qualche anno dopo il 1238». 256 LXIX come hanno pensato il De Lollis e lo Schultz-Gora (quest’ultimo, si intende, nella sua seconda proposta) — sia posteriore alla riconquista di Millau, occupata da Giacomo I di Aragona, da parte di Raimondo VII di Tolosa, avvenimento che ebbe luogo, a quanto sembra, nel 1237 266. Non lontano da questo sirventese cronologicamente è il famoso compianto in morte di Blacatz (n. XXVI di questa ediz.). Anche sulla data di questa poesia vi è stata tra gli studiosi una lunga controversia, nella quale gli interventi sono stati anche più numerosi che a proposito del componimento precedente, a causa della grande notorietà della lirica, e tra le date proposte vi sono divergenze assai notevoli: il De Lollis infatti267, seguito dal Merkel268 ritenne che la poesia si dovesse collocare intorno al 1240, e il Fabre269 pensava addirittura al 1242, mentre il Salverda de Grave270 credeva opportuno retrocedere fino al 1234, data che egli assegnava anche all’imitazione di Bertran d’Alamanon271. Ma lo Strónski ha mostrato272 che Blacatz La viscontea di Millau era stata data in pegno da Pietro II d’Aragona, padre di Giacomo I, a Raimondo VI di Tolosa; essa venne posta sotto il controllo della Chiesa insieme ad altri feudi dell’eretico Raimondo VI, e nel 1223 Giacomo ricusò per deferenza verso la Chiesa di accettare l’invito rivoltogli dal console e dagli anziani della città di Millau di far valere i suoi diritti. Col trattato di Parigi (1229) il re Luigi IX la restituì a Raimondo VII, senza tener conto dei diritti di Giacomo I, il quale non si rassegnò alla perdita, e probabilmente nel 1237 (C. DE TOURTOULON, Don Jaime I el conquistador, traduz. spagnola, II, Valencia, 1874, p. 8; M. A. F. DE GAUJAL, Études historiques sur le Rouergue, II, Paris, 1858, p. 105; cfr. DEVIC, VAISSETTE , Histoire générale de Languedoc, VI, p. 705, n. 5) ricorse alle armi e occupò la città; ma venne ben presto (sec. il GAUJAL, ibid., nel 1237) assalito da Raimondo VII, e dovette ritirarsi. — Credo che non si debba ritentere il sirventese molto lontano dall’avvenimento, e che quindi sia più nel vero lo SCHULTZ-GORA che il DE LOLLIS: cfr. SCHULTZ-GORA, ibid. Si vedano per altri particolari le note che accompagnano il testo. 267 Vita e poesie, p. 37 e segg.; Pro Sordello de Godio, milite, p. 185 e segg., 204 e seg. 268 Rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 215. 269 Guida de Rodez, p. 172 e 179 e segg. 270 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 97 e segg. 271 Ibid., p. 109. 272 Notes sur quelques troubadours et protecteurs de troubadours célébrés par Elias de Barjols, III, Blacatz, in Revue des langues romanes, L, 1907, p. 39 e segg.; Sur la date de mort de Blacatz, in Annales du Midi, XXIV, 1912, p. 569. Non credo che siano accettabili le riserve formulate in proposito dal F ABRE, Guida de Rodez, baronne de Poquières, p. 172 e 179 e segg., il quale vorrebbe riferire il documento del 1238 citato dallo STROŃSKI a Blacasset. Cfr. BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 258. Cfr. però anche JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 175. 266 LXX era già morto nel febbraio 1238, e che la sua morte doveva risalire con molta probabilità all’anno precedente273; e altre considerazioni sembrerebbero indurre a ritenere il componimento anteriore alla morte di Giovanni di Brienne, avvenuta il 23 marzo 1237274. D’altra parte, se è indiscutibile che il compianto è posteriore al maggio 1234, in cui Thibaut IV conte di Champagne venne incoronato re di Navarra275, e molto probabilmente posteriore al 7 ottobre 1235, giorno in cui Blacatz risulterebbe ancora vivo 276, forse vi è qualche ragione per ritenerlo posteriore anche al momento in cui (1236) Luigi IX assunse personalmente la direzione degli affari del regno277: sì che, in complesso, anche per altre considerazioni che verranno esposte nelle note che accompagnano l’edizione del testo, io inclinerei a credere la lirica composta verso il 1237, o addirittura nel 1237, data già proposta dal Diez278 e da altri279. Questo compianto, come vedre- Anche DE NOSTREDAME (Histoire et chronique de Provence, p. 193) assegnava la morte di Blacatz al 1237: ma di tale testimonianza, in mancanza di altre prove, era lecito dubitare. 274 Nel v. 39 dell’imitazione che del nostro planh fece Peire Bremon Ricas Novas è ricordato infatti come ancora vivente un «reys d’Acre», che sembra doversi identificare con Giovanni di Brienne, designato comunemente con questo titolo (SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 101; BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 124 e segg.). Il planh del Ricas Novas è dunque stato scritto prima della morte di Giovanni; e a maggior ragione è anteriore a tale data quello di Sordello. Cfr. D E BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 134 e seg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV. 275 ed. BOUTIÈRE, p. 121; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 109. 276 Il 7 ottobre 1235 infatti pare che Blacatz firmasse, con altri baroni, una convenzione con Raimondo Berengario (cfr. n. 256): cfr. O. SOLTAU, Blacatz, ein Dichter und Dichterfreund der Provence, Berlin, 1898, p. 29 e 53; DE LOLLIS, Vita e posie, p. 34 e 40. Dubitano però del documento il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 98 e seg., e il BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 120 e seg. 277 Infatti il rimprovero rivolto da Sordello al re Luigi IX nei vv. 15-16 del planh sembrerebbe più giustificato dopo che egli cominciò a regnare personalmente e non fu più obbligato a sottostare alla tutela della madre: cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 262; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 529; ed. BOUTIÈRE, p. 122; DE BARTHOLOMAEIS , Poesie provenzali storiche, II, p. 135. Dissente il SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 108 e seg. 278 Leben und Werke der Troubadours, p. 476. 279 Come lo SPRINGER, Das altprovenzalische Klagelied mit Berücksichtigung der verwandten Litteraturen, Berlin, 1895, p. 70; lo SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209, rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 241, e Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 135; e il SOLTAU, Blacatz, p. 59. Più recentemente la data del 1237 è stata accettata dal C HAYTOR, The Troubadours, p. 103; dal BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 529, e voce dell’Enciclopedia italiana (però in Il Duecento, p. 29 il planhs è assegnato al 1240); dallo JEANROY, La poésies lyrique des troubadours, II, p. 334 (cfr. però I, p. 175); dal BOUTIÈRE, ed. cit., p. 119 e segg. Si avvicinò a tale data anche il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 28 e segg., Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 25 e seg.), che lo riteneva non posteriore al 1238. Il DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 134 e segg. lo assegna al 1236 o ai primi mesi del 1237 (prima del 23 marzo), e l’U GOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV lo dice «anteriore al marzo 1237». Il CAVALIERE, Cento liriche provenzali, p. 569, lo ritiene composto «verso il 1237». 273 LXXI mo, ebbe subito vastissima risonanza, e fu certo una delle liriche che più contribuirono a dare fama a Sordello, come prova anche il fatto che subito venne imitata da due dei più noti trovatori provenzali del tempo, Bertran d’Alamanon e Peire Bremon Ricas Novas. A dare rilievo alla personalità di Sordello in questo periodo concorrono le sue relazioni con i più noti trovatori del tempo. Particolarmente notevoli appaiono, dai componimenti che ci sono stati conservati, le relazioni con Peire Bremon Ricas Novas e Bertran d’Alamanon. Con Peire Bremon Ricas Novas il trovatore di Goito fu dapprima, come abbiamo accennato, in rapporti assai amichevoli, come risulta dalla tornada, della canzone Si·m ten Amors280, in cui il Ricas Novas si rivolge a Sordello in modo assai cordiale, e forse anche dai primi versi della canzone Tut van canson demandan281, nei quali si è voluto scorgere una allusione a Sordello 282. Ancora nel 1237 le relazioni tra i due poeti dovevano essere buone, poiché in quell’anno, con molta probabilità, come abbiamo accennato, il Ricas P. C. 330, 16; ed. BOUTIÈRE, n. X, p. 37 e segg.; cfr. XV, e 100 e segg. P. C. 330, 19; ed. BOUTIÈRE, n. XI, p. 42 e segg. 282 Tale è l’opinione del B OUTIÈRE, ibid., p. XV e 102 e segg. Su questa lirica si è assai discusso, perché è conservata, anonima, unicamente dal ms. T, c. 223, dopo la canzone di Sordello Per re no·m puesc (n. VIII di questa edizione), data però senza indicazione d’autore, e prima della canzone So don me cudava bordir) (P. C. 330, 17: ed. BOUTIÈRE, n. III, p. 7 e segg.) del Ricas Novas, recante nella rubrica il nome dell’autore; e l’APPEL era stato indotto (Provenzalische inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig, 1892, p. 224) — considerando anche che la prima strofe contiene un elogio dei Lombardi e che nel v. 14 è detto «Lonbart sai eser» — ad attribuire la lirica a Sordello. L’ipotesi però è stata lasciata cadere dal DE LOLLIS, che non ha accolto questa lirica nella sua edizione (cosa di cui lo rimprovera, a torto, il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 12, e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 464, pur non prendendo posizione in merito al componimento), ed è stata recisamente confutata dal BOUTIÈRE, ibid., i cui argomenti mi sembrano persuasivi. 280 281 LXXII Novas compose, ad imitazione di Sordello, il suo planh per la morte di Blacatz, in cui come ha mostrato giustamente il Boutière 283, non vi è nessuna punta polemica verso Sordello (che non sarebbe mancata, naturalmente, in caso di rottura) ma è imitato fedelmente — con le inevitabili variazioni — il componimento del trovatore italiano. Più tardi, come abbiamo visto284, i rapporti si guastarono e la tensione giunse fino al noto violentissimo scambio di sirventesi, a cui abbiamo già accennato, dopo i quali nulla più ci risulta circa i rapporti tra i due poeti285. Improntati a cordialità, per quanto si conosce, furono invece i rapporti con Bertran d’Alamanon, che fu anch’egli a lungo alla corte di Provenza. Con Bertran Sordello discusse due questioni d’amore nei due partimens Bertrans, lo joy e Doas domnas (nn. XVII e XVIII di questa edizione): nel primo Bertran chiama ripetutamente286 Sordello «amic», e nel secondo i due trovatori si danno reciprocamente tale titolo 287. Né credo debbano intendersi come una dimostrazione di disaccordo i versi iniziali dell’imitazione che Bertran fece del planh di Sordello in morte di Blacatz288, che sono semplicemente, a mio avviso, un pretesto per introdurre la nuova Ed. BOUTIÈRE, p. XV; e cfr. p. 119 e segg. Cfr. il sirventese Be·m meraveil, ed. BOUTIÈRE, n. XV, p. 57 e segg. 285 Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 48, fondandosi sulla canzone Mei oill an gran manentia (P. C. 330, 10 - 331, 2) ove si accenna a una donna che è «en Suria», pensa che il Ricas Novas abbia partecipato alia crociata del 1248; e la sua opinione è stata accettata dal SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 102; ma il BERTONI (Peire Bremon lo Tort, in Annales du Midi, XXV, 1913, p. 476 e segg.) e il BOUTIÈRE (Peire Bremon lo Tort, in Romania, LIV, 1928, p. 429 e segg.; Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. XVIII e seg.) hanno dimostrato che la lirica in questione appartiene a Peire Bremon lo Tort, e che quindi l’ipotesi del DE LOLLIS e del SALVERDA DE GRAVE manca di un fondamento sicuro. Comunque, non si sa nulla dei rapporti con Sordello in questi anni: certo se il Ricas Novas tornò alla corte di Provenza vi dovette essere tra i due un ravvicinamento. 286 Vv. 11, 41, 53. 287 Vv. 2 e 48. 288 Vv. 1-8 (ed. SALVERDA DE GRAVE, n. XV, p. 95): Mout m’es greu d’en Sordel, car l’es faillitz sos sens, qu’eu cuidava qu’el fos savis e conoissenz; era sui en mon cug faillitz, don sui dolenz; car tan onrat condug don’ a tan avols genz con lo cor d’ en Blacatz, qu’ era sobrevalenz. Aora lo vol perdre, en que faill malamenz, c’ aissi cum pert aquest, en perdria cinc cenz; mas ia no·i er perduz entre·ls flacs recrezenz. 283 284 LXXIII spartizione, che Bertran propone, del cuore del prode barone defunto. Nella canzone Nuls hom non deu, che sembra posteriore, Bertran si rivolge ancora a Sordello, nella tornada, con parole piene di affettuosa cordialità 289. E ai rapporti cordiali fin qui constatati non contraddice certo l’allusione scherzosa dei vv. 44-45 della tenzone con Granet Pos anc no·us valc, ove si accenna alla volubilità di Sordello in fatto d’amore290. Meno riccamente testimoniate sono le relazioni con Peire Guilhem de Tolosa, con Granet, con Guilhem Montanhagol, con Reforzat e con Montan. Con Peire Guilhem de Tolosa Sordello scambiò, come abbiamo ricordato, la tenzone En Sordell, qe vos es semblan (n. XIV di questa edizione)291; e a lui rivolse anche una lirica, giuntaci verisimilmente frammentaria (n. XXXIX di questa edizione), nella quale lo rimprovera di aver ecceduto nel lodare. In quest’ultimo componimento è ricordata anche una «madompna de Fois», che è verisimilmente Ermengarda di Narbonne, che andò sposa il 25 gennaio 1232 a Roger-Bernard II conte di Foix292, ed è ricordata come ancor viva nel 1241 293. A Granet non è rivolto alcuno dei componimenti di Sordello che ci sono rimasti. Però Granet si rivolge a lui con molta deferenza, nel sirventese Pos al comte, chiamandolo «seigner» (v. 2), benché ne biasimi la scelta fatta nel partimen Bertrans, lo joy, accusandolo di non valer nulla in amore, e deridendolo per la sua concezione tutta ideale dell’amore294. Vv. 19-23 (ed. SALVERDA DE GRAVE, n. XX, p. 136): Estat avem compagnon lonzamen, amic Sordel, de ioi e d’ alegranza, mas ar m’a Deu mis en tan gran eransa... Secondo il Salverda de Grave la lirica è posteriore al 1240 (l’É MÉRIC-DAVID, Histoire littéraire, XIX, p. 467, credeva invece che si riferisse all’epoca della crociata del 1238; mentre il P APON, Histoire générale de Provence, Paris, 1777, III, p. 443, la riteneva scritta nel momento di partire per Napoli, al tempo della spedizione di Carlo d’Angiò in Italia). 290 Ed. SALVERDA DE GRAVE, n. XVII, p. 119: pos en Sordel n’a ben camiadas cen, ben puesc camiar una, si no m’es bona Cfr. l’ed. PARDUCCI, Granet, trovatore provenzale, p. 24. Per la data di questa tenzone cfr. la n. 242. 291 La tenzone è stata attribuita anche a Peire Guilhem de Luserna (cfr. P. C. 344, 3 a; 345, 1); ma credo preferibile l’attribuzione a Peire Guilhem de Tolosa, proposta, oltre che dal B ARTSCH, Grundriss zur Geschichte der provenzalischen Literatur, Elberfeld, 1872, 345, 1, dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 30, e dallo SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhälnisse der italienischen Trobadors, p. 208. 292 DEVIC, VAISSETTE, Histoire générale de Languedoc, VI, p. 672. 293 Nel testamento del padre Aimeric (ibid., p. 731). 294 Ed. PARDUCCI, p. 20 e seg. Per la data cfr. la n. 242. 289 LXXIV Con Guilhem Montanhagol Sordello scambiò tra il 1241 e il 1245, come abbiamo accennato, il partimen Senh’ en Sordel (n. XVI di questa edizione) su una questione d’amore295, dove il Montanhagol, come appare dal primo verso, mostra di avere per il nostro trovatore una grande stima, poiché ne fa precedere il nome non solo dalla «particella onorevole», ma anche da «senh’». Pure amichevoli, a quanto ci è attestato, le relazioni con Montan, delle quali però non abbiamo altra traccia che lo scambio di cobbole di argomento morale, che costituiscono il componimento XXX di questa edizione296. A Sordello si dimostra invece ostile Reforzat, visconte di Marsiglia, signore di Trets e di Forcalquier, barone appartenente alla stessa famiglia a cui apparteneva Barral de Baus, che nel suo sirventese Dui cavalier joglar, composto verisimilmente dopo il famoso «duel poétique» tra Sordello e Peire Bremon Ricas Novas (assegnabile, probabilmente, come si è visto, al 1240-41), attacca con pungente ironia tanto il Ricas Novas che Sordello, rimproverando a quest’ultimo la sua scarsa lealtà297 e di essere andato «al Saint» tanto male in arnese che il Santo ne ebbe spavento298. Ormai Sordello godeva di larghissima rinomanza. E anche la sua posizione sociale era ben superiore a quella che aveva avuto in Italia, ove pure si era innalzato alla dignità di «uomo di corte» di Rizzardo di San Bonifacio e dei Da Romano. In Provenza egli acquistò non solo notevoli ricchezze 299, ma anche la dignità caval- Cfr. p. LVIII. Su Montan cfr. P. C. n. 306. Il nostro testo è la 3ª lirica ivi citata. 297 Sono i noti versi, già citati, in cui si è voluto vedere un’allusione al ratto di Cunizza: cfr. p. XXXIII. 298 Anche questi versi sono stati già citati, a proposito del problema dell’andata di Sordello in Portogallo: cfr. p. LI. Una allusione oscurissima e per di più assai dubbia a Reforzat che (stando alla lez. di D) avrebbe sorpreso Sordello «ad Ais al macel», e forse ad altri versi di Reforzat contro Sordello, si ha nella quarta cobla del secondo sirventese (Tant fort m’agrat) di Peire Bremon Ricas Novas contro Sordello: cfr. B ERTONIJEANROY Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 289 e 301; BOUTIÈRE, Le poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 65 e 113. Su Reforzat, oltre agli studi del BERTONI ricordati alle pag. citate, cfr. SCHULTZ-GORA, Zu den Lebensverhältnissen einiger Trobadors, p. 127; SPRINGER, Das altprovenzalische Klagelied, p. 76; O. SOLTAU, Die Werke des Trobadors Blacatz, in Zeitschrift. f. rom. Phil., XXIV, 1900, p. 48; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 276; BOUTIÈRE, Le troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. XVII. 299 Cfr. i vv. 15 e 41 del sirventese Tant fort m’agrat di Peire Bremon Ricas Novas (ed. B OUTIÈRE, XVII, p. 64 e segg.), ove si accenna alla «longa renda» di Sordello (a meno che la frase non debba prendersi in senso ironico), e i vv. 61-62 del sirventese Lo bels terminis m’agensa, pure del Ricas Novas (ed. BOUTIÈRE, XVI, p. 61), ove Sordello è detto «trobador d’aver, non ges d’onor», espressione che sembra suggerita dall’invidia per la buona accoglienza fatta a Sordello dal conte di Provenza (cfr. S CHULTZ-GORA, Ueber den Liederstreit zwischen 295 296 LXXV leresca. Infatti da un passo del sirventese En la mar major di Peire Bremon Ricas Novas300, invero assai oscuro e controverso, pare di dover ricavare che il trovatore mantovano esercitò diritti feudali nella località di «Cananillas», che si ritiene vada identificata con Chénerilles, nell’odierno dipartimento delle Basses-Alpes, a pochi chilometri da Digne301: notizia che parrebbe confermata dalla Vida più breve, in cui si dice che Sordello dal conte di Provenza ricevette «un bon castel e moiller gentil»302. Che vivesse da cavaliere risulta anche dalla terza strofa del sirventese Tant fort m’agrat di Peire Bremon Ricas Novas, nonostante l’evidente ironia 303, e nonostante che nel sirventese successivo En la mar major si affermi che Sordello non è mai stato cavaliere304; e del resto nella Sordel und Peire Bremon, p. 131; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 298; ed. BOUTIÈRE, p. 112). 300 Vv. 28-29 (ed. BOUTIÈRE, p. 70): mas si d’entre·ls Lombartz fos el issitz plus tart, ja mais a Cananillas non feira far issart. 301 Sulla questione cfr. SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhälnisse der italienischen Trobadors, p. 210; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 25 e seg., Pro Sordello de Godio, milite, p. 168 e seg.; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 15 e seg., e Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 546 e segg.; GUARNEIRO, A proposito di Sordello, p. 109, e rec. al DE LOLLIS, p. 385; BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 305; BOUTIÈRE, Le troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 116. Seguo la tesi del DE LOLLIS, adottata anche dal BERTONI, dallo JEANROY e dal BOUTIÈRE, circa la identificazione del luogo, e anche per l’interpretazione di far issart, allusione al diritto di disboscamento (cfr. la frase exartum facere nel DUCANGE, III, p. 339 e seg., sotto exartus; e faire issartz (o eissart) in Bertran de Born, ed. A. STIMMING, Bertran de Born, sein Leben und seine Werke, Halle, 1879, p. 163 e 217; cfr. F. J. M. RAYNOUARD, Lexique roman, Paris, 1838-44, III, p. 245 e E. LEVY, Provenzalisches SupplementWörterbuck, Leipzig, 1894, II, p. 330. 302 È da notare che di una moglie di Sordello si parla anche nel sirventese Lo bels terminis di Peire Bremon Ricas Novas, vv. 53 e segg. (ed. BOUTIÈRE, p. 61). Tuttavia io credo che il noto scambio di cobbole Sordel dis mal de mi (n. XXXII di questa edizione) riguardi Carlo d’Angiò e non Raimondo Berengario (v. più oltre). 303 Vv. 17 e segg. (ed. BOUTIÈRE, p. 65): Soven feretz d’espaza e de coutel; pois garnitz es, ben a gauch qui·us vezes. Dels cavaliers semblatz del bagastel quand el cavai etz pojats ab l’arnes, e no·us cuidetz q’ ieu en luoc vos atenda pois q’ieu veirai c’ ab armas seretz pres... 304 Vv. 25-27 (ed. BOUTIÈRE, p. 70): Anc en Sordels non fo, que ten hom per rainart, cavalliers, per ma fe (so·m dis ad una part Joanetz d’Albusson - s’el ditz ver, el s’o gart)... L’affermazione rientra evidentemente nella serie degli aspri attacchi che il Ricas Novas muove a Sordello in questi sirventesi; e il riferimento ironico alla testimonianza di Joanet d’Albusson mi sembra che riveli chiaramente che in realtà Sordello conduceva vita da cavaliere. LXXVI cobla A lei puesc ma mort demandar (n. XXXIV di questa edizione) Sordello stesso fa intendere chiaramente che partecipava ai tornei305. Di questa altissima posizione in cui Sordello era salito alla corte di Raimondo Berengario abbiamo anche una riprova indiscutibile in un documento storico: l’atto relativo all’accordo stipulato il 5 giugno 1241 in Montpellier da Giacomo I d’Aragona, Raimondo Berengario IV di Provenza e Raimondo VII di Tolosa, per decidere il divorzio tra Raimondo VII e Sancia d’Aragona (zia di Giacomo I), onde aprire la via al matrimonio — che poi non ebbe luogo 306 — tra Raimondo VII e Sancia, terza figlia di Raimondo Berengario IV e futura erede della contea di Provenza: accordo nel quale venne stabilito con garanzia di Giacomo I, Raimondo Gaucelm di Lunel e Albeta di Tarascon, che Raimondo VII avrebbe obbligato Sancia a chiedere il divorzio davanti ai giudici a ciò delegati dalla Chiesa, minacciandola di espellerla dai suoi stati. Nell’atto figurano come testimoni il conte di Empurias (uno dei quattro conti soggetti al re di Aragona), Eximino de Foces (altro grande vassallo di Giacomo I), Sordello, Bertran d’Alamanon e altri illustri personaggi. Sordello — il quale doveva evidentemente far parte, come Bertran d’Alamanon, del seguito di Raimondo Berengario IV, come è provato dal fatto che né lui né Bertrando sono nominati in altri due atti stipulati in quei giorni da Raimondo VII e Giacomo I senza la partecipazione del conte di Provenza — è al terzo posto, subito dopo i due grandi vassalli del re aragonese, mentre Bertran d’Alamanon è all’ultimo: sì che è lecito Più tardi, al tempo di Carlo d’Angiò, Sordello è esplicitamente chiamato miles in vari documenti che avremo occasione di esaminare. 306 Infatti, se il fidanzamento tra Raimondo VII e Sancia di Provenza ebbe luogo per procura ad Aix l’11 agosto 1241, non si giunse alla celebrazione delle nozze: e più tardi Raimondo Berengario — forse anche per l’influenza di Bianca di Castiglia, che voleva evitare che Raimondo VII avesse un erede, affinché il suo stato passasse nelle mani di Alfonso di Poitiers, sposo dell’unica figlia del conte tolosano — dichiarò nulla la promessa fatta a Raimondo VII di dargli la figlia, e sposò nel luglio 1243 Sancia a Riccardo di Cornovaglia, fratello del re di Inghilterra Enrico III, il quale aveva sposato Eleonora, secondogenita di Raimondo Berengario (cfr. BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 58 e seg.). 305 LXXVII pensare che fosse considerato come uno dei più alti personaggi del seguito di Raimondo Berengario307. Raimondo Berengario IV morì il 19 agosto 1245; poco dopo Carlo d’Angiò, con l’appoggio del papa Innocenzo IV e di Bianca di Castiglia, sposava, il 31 gennaio 1246, mandando a vuoto le aspirazioni degli altri pretendenti (Raimondo VII di Tolosa, il figlio di Giacomo I d’Aragona e Corrado figlio di Federico II), l’ultima figlia di lui Beatrice, la quale, in virtù del testamento paterno del 20 giugno 1238, era erede della contea di Provenza, e si impadroniva dello stato provenzale 308. Sordello, che durante il periodo che va dalla morte di Raimondo Berengario e l’avvento di Carlo d’Angiò dovette verisimilmente rimanere alla corte di Provenza presso la contessa Beatrice, accolse con favore il nuovo signore e gli rivolse un componimento (n. XXVIII di questa edizione), in cui esortava nobilmente il «suo signore» a compiere alte imprese, se desiderava ottenere pregio 309. Sordello si poneva in tal modo decisamente — a differenza Ecco la parte finale del documento, in cui compare il nome di Sordello: «Datum Montispesulano nonas junii, anno domini Mº.CCº.XLº. primo. Testes sunt Comes Empuriarum, Eximen de Focibus, Sordellus, Rostangnus de Podio alto, G. de Labanera, Bertrandus Alamandoni et ego Guillermonus scriba, qui mandato predictorum et voluntate hec scripsi, loco, die et anno prefixo». Il passo è stato pubblicato dal D E LOLLIS, Vita e poesie, p. 316; tutto il documento era stato precedentemente stampato dal DE TOURTOULON, Don Jaime I el conquistador, II, p. 423 e seg. sull’originale conservato nell’Archivo de la Corona de Aragón, Colección de pergaminos de Jaime I, n. 845. Cfr. SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der itallenischen Trobadors, p. 211; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 51; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 159. Sulla situazione politica a cui il documento si ricollega cfr. DEVIC, VAISSETE, Histoire générale de Languedoc, VI, p. 728 e seg.; DE TOURTOULON, ibid., p. 49 e seg. 308 Cfr. K. STERNFELD, Karl von Anjou als Graf der Provence (1245-1265), Berlin, 1888, p. 21 e segg.; B OURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 61 e segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 157 e segg. 309 Che in questo componimento Sordello si rivolga a Carlo d’Angiò risulta chiaro, oltre che dal mon seignor del v. 7, anche dal fatto che la lirica appare rivolta a un «bars» ventenne, il che corrisponde perfettamente all’età di Carlo d’Angiò, che era nato nel marzo del 1226. Anche l’esortazione a grandi imprese appar naturale se rivolta a Carlo, in quanto questo principe, come osserva il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 52, n.), nella prima giovinezza non pareva aver l’animo rivolto a grandi imprese, ma unicamente alle feste, ai tornei, al comporre versi e al giocare a dadi. Lo SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 242) afferma di non essere d’accordo con l’interpretazione data dal De Lollis a questa lirica, osservando che il verso iniziale del componimento (certo tramandatoci in modo frammentario), che nel codice è scritto quasi a mo’ di titolo in minio, conviene piuttosto a un pianto. Ma non mi sembra che la cobla che ci è rimasta intera ammetta altra spiegazione che quella data dal DE LOLLIS e da me accettata. Se il primo verso appartiene a questa lirica, si può pensare che il componimento si iniziasse con un compianto di Raimondo Berengario e continuasse con un saluto e una esortazione a Carlo d’Angiò. 307 LXXVIII di Guilhem Montanhagol, che, forse un poco più tardi (ma non quanto pretenderebbe il De Lollis), nel sirventese Ges per malvestut (V dell’ed. Coulet) rimpiange la signoria di Raimondo Berengario, accusando la signoria angioina di avarizia e di slealtà, ed esortando il re di Aragona e il conte di Tolosa a unirsi contro i Francesi310 — a fianco di Carlo d’Angiò, a cui rimarrà poi, come vedremo, sempre fedele. Carlo d’Angiò, spinto da quella grande ambizione, che si può Cfr. J. COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, Toulouse, 1898, p. 26 e seg., 95 e segg., il quale ritiene, giustamente, che il sirventese debba collocarsi, tra il 1246 e il 1249, ma più vicino alla prima data che alla seconda. Troppo tarda mi sembra la data del DE LOLLIS (ibid., p. 54), che vorrebbe collocare il componimento durante l’assenza di Carlo dalla Provenza a causa della crociata; e certamente erronea è la data del DE TOURTOULON, ibid., p. 114 il quale crede che la lirica sia posteriore all’aprile 1250, perché Raimondo VII di Tolosa, nominato come ancor vivo al v. 24, morì, come è noto, il 27 settembre 1249. L’avvento del dominio di Carlo d’Angiò in Provenza è accolto sfavorevolmente anche nel planh Ab marrimen doloros et ab plor, ove si deplora la morte del conte Raimondo Berengario, e si compiangono i Provenzali che hanno perduto «solatz, iuec e deport | e gaug e ris, onor et alegranza», poiché sono venuti «en man de cels de Franza». Il D E LOLLIS, seguendo il BARTSCH, attribuiva questo componimento a Aimeric de Peguilhan, a cui lo danno i mss. I e K, e a questa attribuzione si attenne anche il C OULET (ibid., p. 99 e seg.); né ha osato staccarsene lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 334, pur dandola come dubbia. Ma lo ZINGARELLI, nel saggio Per un «descort» di Amerigo di Pegugliano, compreso nel vol. Intorno a due trovatori in Italia, Firenze, 1899, p. 39 e segg. e il BERTONI, nel saggio Il «pianto» in morte di Raimondo Berengario IV conte di Provenza (1245), inserito negli Scritti vari di erudizione e di critica in onore di Rodolfo Renier, Torino, 1912, p. 249 e segg. hanno mostrato, in modo che mi sembra convincente, che la lirica non può essere di Aimeric de Peguilhan; e il B ERTONI ha sostenuto, con buone ragioni, che essa si deve attribuire, col ms. a’ (ignoto al BARTSCH, al DE LOLLIS e allo ZINGARELLI), a Peire Bremon Ricas Novas; e tale attribuzione è stata accettata anche dal P ILLET e dal CARSTENS (10, 1 e 330, 1 a). E in verità questo planh sembra inserirsi perfettamente in ciò che sappiamo della attività del Ricas Novas, che fu protetto da Barral de Baus, ostile a Carlo d’Angiò (come vedremo) fino al 1251. Il BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. VIII, attribuisce invece il componimento a Aimeric de Belenoi. Lo SHEPARD e il CHAMBERS, nella loro recentissima edizione di Aimeric de Peguilhan, negano risolutamente che la poesia sia del Peguilhan, e citano l’attribuzione al Ricas Novas del PILLET e del CARSTENS (p. 27 e seg., 49). Le frasi che ho citate sono tolte dall’ed. del B ERTONI, assai migliore, in complesso, di quella dello ZINGARELLI. 310 LXXIX considerare veramente la qualità fondamentale del suo carattere 311, e da quello spirito avventuroso, che in lui si univa all’ambizione, e dava impeto e slancio ai suoi sogni grandiosi (condannandoli però talora all’insuccesso), si volse ben presto a quelle nobili imprese, a cui Sordello, con una esortazione che si adattava al fondo segreto del carattere del principe angioino, benché fosse soltanto suggerita da una consuetudine tradizionale nella lirica trobadorica, lo aveva chiamato. La prima di tali imprese fu la partecipazione, nel 1248, alla settima crociata, promossa da suo fratello Luigi IX. Sordello però, che forse era stato sollecitato a unirsi alla spedizione, non volle seguire il conte «oltra mar»; e se ne scusò con un vivace componimento (n. XXIX di questa edizione), in cui adduce come motivo il temere grandemente il mare e il non saper sopportarne le furie, e propone a Carlo di prendere con sé, in sua vece, Bertran d’Alamanon, dipingendo un po’ ironicamente le proprie paure, ma divertendosi anche alle spalle dell’amico Bertran, che presenta come un «marinier ben saben», aggiungendo però subito dopo che è tanto esperto dei venti «q’en un jorn passa e s’en torna leumen»312: espressioni nelle quali riecheggia in tono scherzoso l’accusa di pusillanimità e di mancanza di energia altre volte formulata contro Bertran da Guigo de Cabanas, da Blacasset e da Granet313. Carlo salpò alla volta dell’Oriente alla fine di agosto del 1248 Basti rimandare, su questo punto, al LAVISSE, Histoire de France, III, 2 (par Ch. V. LANGLOIS), Paris, 1901, p. 45, a E. JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris, 1909, p. 415 e segg. e a E. DUPRÈ THESEIDER, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna, 1952, p. 86 e seg., ove è tracciato un acuto e vivo profilo della personalità di Carlo d’Angiò. Cfr. anche BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 64. 312 Pare di dover intendere col DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 53) che Bertran «si crociò altra volta, ma tornò poi indietro al momento di imbarcarsi». Cfr. SALVERDA DE GRAVE , Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 158. 313 Cfr. SALVERDA DE GRAVE, ibid., p. 157 e seg.; per Granet cfr. anche PARDUCCI, Granet, trovatore provenzale, p. 26 e seg., 35 e seg.; per Blacasset cfr. anche KLEIN, Der Troubadour Blacasset, p. 15. Anche altri trovatori avevano ricusato di partecipare alle crociate: ad es. Bertran de Born, che si era scusato nella lirica Ara sai eu (P. C. 80, 4; ed. STIMMING, p. 103) del non prender parte alla 3ª crociata; e Blacatz, che si era rifiutato di partecipare alla crociata (la 6ª) guidata da Federico II (cfr. lo scambio di cobbole con Folquet de Romans, P. C. 156, 4 e 97, 2: cfr. R. ZENKER, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle, 1896, p. 25, e 69 e seg.; SOLTAU, Die Werke des Trobadors Blacatz, XXIII, p. 246 e XXIV, p. 57; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 92). 311 LXXX ad Aigues-Mortes314 e rimase lontano dalla Provenza due anni. Non sappiamo nulla circa la vita di Sordello in questo periodo, in cui la Provenza fu agitata da vari contrasti (provocati in parte dalla rigidità e dal fiscalismo della amministrazione angioina), e soprattutto dalla solita, tenace resistenza di Marsiglia, e dai tentativi autonomistici di Arles e di Avignone, che si appoggiano a Barrai de Baus (il quale era già dal 1246 podestà di Avignone, e divenne nel dicembre 1249 anche podestà di Arles) e giungono a una aperta ribellione 315: probabilmente continuò a vivere alla corte comitale, presso Beatrice e il siniscalco di Carlo Amaury de Thury 316. Nell’ottobre 1250 Carlo ritornava dall’Oriente, sbarcando ad Aigues-Mortes, e subito intraprendeva insieme al fratello Alfonso di Poitiers un’energica azione per sottomettere i ribelli, ottenendo rapidi successi: il 30 aprile 1251 Arles si sottometteva a Carlo, e poco dopo, il 7 maggio, Avignone si sottometteva ad Alfonso317. Più a lungo durò la resistenza di Barral e di Marsiglia. Nel giugno però Barral si piegava a firmare con Carlo una tregua di undici mesi, e il 30 ottobre veniva ad un accordo definitivo; il 19 novembre, infine, il fiero barone prestava omaggio a Carlo, e si obbligava ad appoggiarlo nella guerra contro Marsiglia, impegnandosi a consegnargli, come garanzia delle sue promesse, i suoi castelli, e a dargli come ostaggi suo figlio e suo nipote Guglielmo de Pertuis. A questo atto, stipulato ad Aix, era presente come testimone, accanto a Bertran Cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 47; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 67; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 168 e 172. 315 Su questo periodo assai intricato della storia provenzale cfr. STERNFELD, ibid., p. 52 e segg.; FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 180 e segg.; LABANDE, Avignon au XIIIe siècle, Paris, 1908, p. 115 e segg.; BOURRILLY, BUSQUET, ibid., p. 67 e segg.; BOURRILLY, ibid., p. 164 e segg. 316 Al periodo della permanenza di Carlo in Oriente il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 54, riferisce, oltre al sirventese di Guilhem Montanhagol, di cui abbiamo già discorso, il sirventese Pueis chanson far di Bertran d’Alamanon (n. V dell’ed. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon): ma in realtà questo componimento, come mostrano i v. 4 e 54, fu composto quando Carlo era ancora in Francia, e non era ancora partito per l’Oriente: cfr. ibid., p. 35 e segg. 317 Cfr. STERNFELD, ibid., p. 70; BOURRILLY, BUSQUET, ibid., p. 69; BOURRILLY, ibid., p. 179 e segg. 314 LXXXI d’Alamanon, ad Albeta di Tarascon e ad altri baroni, anche Sordello, che vi è designato col titolo di miles318. Più tardi anche Marsiglia si piegava alla pace, che era firmata il 26 luglio 1252 ad Aix: e anche in questo atto compare fra i testimoni Sordello, a fianco di Barral de Baus — che sarà d’ora innanzi un fedelissimo sostenitore di Carlo — di Ponzio d’Alamanon, di Bonifacio de Castellane e di molti altri319. Sordello, designato ancora Ecco la parte conclusiva dell’atto, in cui compare il nome di Sordello: «Actum Aquis, in castro domini comitis, anno Domini millesimo ducentesimo quinquagesimo primo, dominica proxima ante festum Beati Clementis, presentibus venerabilibus patribus Philippo, Dei gratia Aquensi archiepiscopo; Fulcone, Regensi; Benedicto, Massiliensi episcopis; et Otone, electo Vapicensi, Vicedomino, preposito Grassensi preposito Aquensi, qui in testimonio predictorum sigilla sua presentibus apponi fecerunt. Testes etiam rogati et acciti fuerunt Hugo de Arsicio, senescallus Provincie, Albeta de Tharascone, Guido Lupi, Symon Bagoti, Landericus de Floriaco, Guillelmus Tade, Bertrandus de Lamannon, Sordellus et Jacobus Gantelmi milites, Galterus, capellanus dicti domini comitis, Adam, canonicus Turonensis, ejusdem domini comitis clericus, et plures alii. Et ego Alanus, canonicus de Lusarchiis, publicus notarius dicti domini comitis, presentibus interfui et hanc cartam scripsi et signum meum apposui». L’atto è conservato nell’originale a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 345, ed è stato pubblicato per intero dal BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 405 e seg., da cui ho tolto la citazione. Era stato riassunto dal BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 361 e 362, p. 103 e seg. (con la data inesatta del 22 novembre); ed era rimasto ignoto al De Lollis e a tutti gli altri studiosi che fino ad ora si erano occupati di Sordello. Sulla situazione politica in cui l’atto venne concluso cfr. BOURRILLY, ibid., p. 183. 319 L’atto è conservato, nell’originale, a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 348; un altro originale si trova nell’Archivio Comunale di Marsiglia, AA 13, ove se ne trova anche una copia, con la segnatura AA 21. È stato edito dallo STERNFELD, Karl von Anjou, p. 273 e segg., e più esattamente dal BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 407 e segg.; il passo in cui compare il nome di Sordello è stato riprodotto, dall’ed. dello STERNFELD, anche dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 316 e seg. Tale passo è il seguente (seguo l’ed. del BOURRILLY, ibid., p. 423 e seg., più esatta di quella dello STERNFELD): «Acta sunt hec in castro Aquis in retrocurte, anno et die et indictione quibus supra. In presentia et testimonio venerabilium in Christo patrum dominorum Henrici, archiepiscopi Ebredunensis; Benedicti, episcopi Massiliensis; Bonifatii, episcopi Dignensis; F[uIconis], episcopi Regensis, B[ertrandi], episcopi Forojuliensis; nobilis viri Lantelmi Prealoni, potestatis Massilie; domini Henrici de Soliaco; Guidonis de Miliaco; Barrali de Baucio; Vicedomini, prepositi Grassensis; Rostagni de Agouto; Albete de Tharascone; Pontii de Alamanono; Bertrandi de Alamanono; Sordelli; Bonifacii de Castellana; Bonifacii de Galberto; Guillelmi de Pichiniaco; Guillelmi de Sparrono; Alani, canonici de Luzargis; Landerici de Floriaco; Symonis Bagoti; Ancelmi Feri; Guillelmi Chaberti, causidici; Johannis Blanchi, causidici; Petri Vetuli; Andree de Portu, judicis curie comunis Massilie; Johannis Vivaudi; Philippi Ancelmi; Guillelmi Dieude; Johannis Magistri; Raimundi Caudole; Andriveti; Andree Peregrini; Andree Raolini, draperii; Pontii Bonifacii; Hugonis Ricavi, militis; Hugonis Rostagni, militis; Bernardi Gaschi, campsoris; Guitelmi de Tharascone; Nicholai de Castronovo, notarii Massilie, et Bernardi Raimundi, notarii Aquis et plurium aliorum, et mei Guillelmi Lurdi, notarii publici Massilie, qui mandato predicti domini comitis et domine comitisse et predictorum Britoni Ancelmi et Nicholai Guitelmi, syndicorum comunis Massilie, de predictis hanc cartam scripsi et feci et signo meo signavi». Su questo patto tra Carlo e Marsiglia cfr. STERNFELD, ibid., p. 79 e segg.; BOURRILLY, ibid., p. 383 e segg.; cfr. anche C. MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 13; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 54; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 164. 318 LXXXII col titolo di miles, è presente anche alla ratifica del trattato, avvenuta in Marsiglia il 27 luglio da parte del podestà Lantelmo Prealon e del consiglio del comune di Marsiglia, alla presenza dei rappresentanti ufficiali del conte e della contessa di Provenza, Barral de Baus, Gui de Millac e Vicedomino prevosto di Grasse, incaricati di ricevere la conferma e il giuramento del consiglio comunale marsigliese 320. Il nome del trovatore non compare invece fra i testimoni della cerimonia del 30 luglio, in cui la popolazione marsigliese, riunita in pubblico parlamento, approvava a sua volta solennemente i patti, alla presenza di Carlo d’Angiò, giunto a Marsiglia in compagnia di una numerosa schiera di baroni e di ecclesiastici. Non è impossibile però che Sordello fosse anch’egli presente alla cerimonia, pur non avendo apposto la sua firma all’atto. Sordello rimase in Provenza anche nel lungo periodo (inverno 1252primavera 1257) in cui Carlo d’Angiò ne rimase lontano, prima perché reggente del regno di Francia, insieme col fratello Alfonso di Poitiers, nel tempo che intercorse tra la morte della regina madre Bianca di Castiglia (27 novembre 1252) e il ritorno di Luigi IX dall’Oriente, poi perché impegnato nell’impresa dell’Hainaut, la qua- Ecco la parte finale dell’atto, che ci interessa: «Testes hujus rei fuerunt dominus Fabianus, miles; dominus Johanes, judex major Provincie; Sordellus, miles; Focaudus, miles; Jo. de Villaforti, miles; Jacobus de Aurasone, miles; Alanus, clericus domini comitis; Raembaudus de Perussa, miles; G. Guiraudus, clericus; dominus Vaissallus Scarminatus, judex major palatii Massilie; Giraudus Maurinus, notarius; Bernardus Raimundus, notarius domini comitis Provincie; et ego Guillelmus Lurdus, publicus notarius Massilie, qui mandato dictorum domini Guidonis de Miliaco et domini Barrali et domini Vicedomini prepositi Grassensis, et dicti domini Lantelmi Prealoni potestatis Massilie, et tocius dicti consilii generalis hec scripsi et signo meo signavi». Questa ratifica fa seguito al testo del trattato e si trova perciò sia nei due originali che nella copia citati nella nota precedente. Anche questo atto era rimasto ignoto al DE LOLLIS e agli altri studiosi di Sordello. Sulla cerimonia cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 80; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 187. 320 LXXXIII le, dopo avergli fatto concepire la speranza di insignorirsi di quella ricca contea — offertagli da Margherita, contessa di Fiandra e di Hainaut, in odio a Jean d’Avesnes (suo figlio di primo letto, verso il quale essa provava una avversione profonda) e a Guglielmo d’Olanda, re dei Romani, che lo sosteneva — gli fruttò soltanto una cospicua indennità di guerra 321. Egli fu allora protetto da Barral de Baus, che era divenuto, da avversario della dominazione angioina, uno dei più autorevoli fautori di essa e collaborava attivamente coi siniscalchi preposti al governo della contea (Hugues de Arcis e poi Odon de Fontaines) e con l’arcivescovo di Aix per il buon governo della Provenza e il mantenimento della pace 322. La presenza di Sordello presso Barral è comprovata da una serie di atti che si sono fortunatamente conservati. Il primo (che purtroppo possediamo solo in un riassunto del sec. XV) è un atto del 15 dicembre 1255 col quale Barral fa donazione al nostro trovatore di cinquanta lire coronate da prelevarsi sulle rendite che gli pagava il comune di Marsiglia323. Altri tre atti si riferiscono alla controversia sorta tra Marsiglia e Barral de Baus, che, forte dell’appoggio di Carlo d’Angiò, considerando come non avvenuta la transazione firmata tempo prima da suo padre Ugo con il comune di Marsiglia, pretendeva di far valere sulla città i diritti ereditari della sua casa. Marsiglia naturalmente si oppose a tali pretese, e riuscì, sollecitando l’intervento di Alfonso X di Tale indennità di guerra fu imposta alla contessa Margherita da Luigi IX (che, ritornato in Francia, decise come arbitro la controversia) col dit di Péronne, del 24 settembre 1256, col quale si pose termine alia lunga contesa. Sull’impresa dell’Hainaut cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 94 e segg.; CH. DUVIVIER, La querelle des d’Avesnes et des Dampierre jusqu’à la mort de Jean d’Avesnes, Bruxelles, 1894; LAVISSE, Histoire de France, III, 2, p. 89 e segg.; H. PIRENNE, Histoire de Belgique, I5, Bruxelles, 1929, p. 258. 322 Cfr. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 382, 389, 407; STERNFELD, ibid., p. 114 e seg.; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 72; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 214. 323 Il riassunto è conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 1209, n. 158: «Item instrumentum donacionis facte per dominum Bertrandum (sic) dominum Baucii Surdello de quinquaginta libris regalium coronatorum recipiendis de illis. CL. libris censualibus quas comune Massilie serviebat ipsi domino Baucii annis singulis sub Mº.CCº.LVIº. indictione XV octavo decimo Kalendas januarii signatum per A.». È stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 317; ed era stato anche registrato dal BARTHÉLEMY, ibid., n. 392 (sbagliando però il numero del registro). Cfr. anche SCHULTZ-GORA, Zu den Lebensverhältnissen einiger Trobadors, p. 117, n. 3; MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 14 e 29. 321 LXXXIV Castiglia, a fare accettare a Barral l’arbitrato di frate Lorenzo, penitenziere del papa. Primo di tali atti è quello firmato il 17 dicembre 1256, presso il castello di S. Marcello, nelle vicinanze di Marsiglia, nel quale Barral e Bernard Gasc, rappresentante della città di Marsiglia, accettavano come arbitro frate Lorenzo; il secondo è quello, firmato a Marsiglia il 23 dicembre dello stesso anno, nel quale è registrato il giudizio arbitrale pronunciato da frate Lorenzo; il terzo è quello, stipulato nello stesso giorno, dallo stesso notaio, in cui Barral de Baus e suo figlio Bertrand approvavano la decisione dell’arbitro (non completamente loro favorevole, poiché stabiliva il versamento annuale di una somma da parte del comune, ma costringeva la casata a rinunciare a ogni altra pretesa) e promettevano di conformarvisi. In tutti e tre gli atti Sordello è ricordato nell’elenco dei testimoni, sempre col titolo di miles324. Forse circa in questo tempo Bonifacio de Castellane indirizzò a Sordello il suo sirventese Era, pueis yverns325, sulla cui data e sulla Il primo atto è inserito nel documento relativo al secondo, conservato nella sua forma originale a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 353, e pubblicato dal BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 434 e segg. Ecco il passo che interessa Sordello (ibid., p. 438 e seg.): «Actum in area que est ante bastidam castri Sancti Marcelli, in presentia et testimonio Isnardi de Antravenis de Tholono; Jacobi Vivaudi; Sordelli, militis; Aicardi de Sancto Felicio; Guillelmi de Lauriis; Petri Bermundi de Auriolo; Nicholai Guitelmi; Alberti de Lavania, jurisperiti; Guillelmi Chaberti, jurisperiti; Johannis Blanci, jurisperiti; Andree de Portu, jurisperiti; Petri Vetuli; Ancelmi Andree; Raimundi de Sancto Marcello; Albagnete, militis; fratris Petri de ordine Minorum, et plurium aliorum testium rogatorum. Et mei Guillelmi Lurdi, notarii publici Massilie, qui rogatu partium hoc compromissum scripsi signoque meo signavi». La parte finale del secondo atto è la seguente: «Acta sunt hec in aula viridi palacii communis Massilie, in presentia et testimonio domini Bonifacii de Castellana; Sentonii, jurisperiti; Imberti de Aurasone; Sordelli, militis; Guillelmi Finaudi, judicis majoris communis Massilie; fratris Petri, de ordine Minorum; magistri Eximini; Johannis Blanci, jurisperiti; Guillelmi Chaberti, jurisperiti; Alberti de Lavania, jurisperiti; Andree de Portu, jurisperiti; Raimundi Caudole, vicarii; Giraudi Amalrici, notarii; Marquesii Anglici, notarii; Jacobi Davini, notarii; Raimundi de Santo Marcello; Raimundi de Soleriis, militum, testium rogatorum, et tocius consilii generalis Massilie, et mei Guillelmi Lurdi, notarii publici Massilie, qui mandato dicti arbitri seu arbitratoris et rogatu dictarum partium hanc cartam feci et scripsi et signo meo signavi» (ibid., p. 448). L’originale del terzo atto si trova anch’esso a Marsiglia, nello stesso Archivio e nello stesso registro; una copia è conservata nell’Archivio comunale di Marsiglia, AA 5, c. 74-78. Esso non è riprodotto dal BOURRILLY; ma i testimoni sono gli stessi che nel secondo atto. Questi tre atti non erano noti fino ad ora agli studiosi di Sordello. Sugli avvenimenti qui ricordati basti rimandare al BOURRILLY, ibid., p. 220 e segg. 325 P. C. 102, 1; v. il testo in APPEL, Provenzalische Inedita, p. 82 e segg.: cfr. G. C HABANEAU, Le chevalier Raimbaud et la comtesse de Flandres, in Revue des langues romanes, XXXII, 1888, p. 560 e segg.; A. PARDUCCI , Bonifazio di Castellana, in Romania, XLVI, 1920, p. 495 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 175 e segg. Sordello è nominato nella tornada, al v. 52. 324 LXXXV cui interpretazione tanto si è discusso, con risultati quanto mai diversi, poiché secondo il Milá y Fontanals326 il componimento sarebbe da assegnare al 1241, secondo il De Bartholomaeis327 al 1251-52, secondo l’Appel328, il Bertoni 329 e il Parducci330 agli anni 1250-1254, secondo il De Lollis331 agli anni 1257-1262, secondo il Salverda de Grave332 al 1259. Io credo che sia del tutto da scartare la data del Milá y Fontanals, e che non siano sufficienti le ragioni addotte dal De Lollis e dal Salverda de Grave per considerare il sirventese dei tempi di Corradino; e penso che sostanzialmente siano nel vero l’Appel, il Bertoni e il Parducci nel pensare agli anni 1250-54. Quando Carlo d’Angiò nella primavera del 1257 ritornò in Provenza, Sordello riprese il suo posto alla sua corte: infatti lo troviamo presente in Aix, sede della corte provenzale, in qualità di testimone (tra i primi, e col titolo di «dominus»), insieme a Bertran d’Alamanon, alla conclusione del nuovo trattato di pace che il 2 giugno di quell’anno Carlo imponeva alla città di Marsiglia, la quale, mentre era nell’Hainaut, aveva concluso, ripresa dal suo antico spirito autonomistico, un trattato con Alfonso X di Castiglia, e non aveva osservato certe condizioni dei patti precedentemente conclusi 333. De los trovadores en España, Barcelona, 1861, p. 176. Poesie provenzali storiche, II, p. 175 e segg. (ove però a p. 176 il 1257 è un errore di stampa per 1252 ed è errore il dire che in quell’anno la corona di Napoli fu offerta a Edmondo d’Inghilterra; si tratta invece di Riccardo di Cornovaglia, fratello di Enrico III re d’Inghilterra; l’offerta del regno a Edmondo, figlio cadetto di Enrico III, avvenne dopo l’offerta a Carlo d’Angiò). 328 Provenzalische Inedita, p. 82 e 348. 329 I trovatori d’Italia, p. 27. 330 Bonifatio di Castellana, p. 485 e seg., 497 e segg. Il PARDUCCI cerca però di precisare la data dell’APPEL e del BERTONI, ponendo il componimento tra il 13 dicembre 1250 (morte di Federico II) e il 21 maggio 1254 (morte di Corrado IV), ma inclinando a ritenerlo più vicino alla prima data che alla seconda (a p. 501 lo dice forse «di poco posteriore alla prima metà del 1252»). 331 Vita e poesie, p. 57. 332 Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 59 e seg. 333 Ecco il passo che interessa Sordello: «Acta sunt hec Aquis, in prato castelli seu palatii domini comitis, in presentia et testimonio domini Odonis de Fontanis, senescalci Provincie et Forcalquerii, et domini Roberti de Laveno, legum professoris; domini Johannis de Bonamena, majoris judicis Provincie; domini Isnardi de Antravenis de Tholono; Jacobi Gantelmi; domini Sordelli; domini Bertrandi de Alamanono; domini Imberti de Auronis; domini Sanctonii, jurisperiti; Poncii Coisini, archidiaconi Massilie; et Rostagni Begueti; Petri Baldi; Tergavaire; Johannis Vivaudi; Vivaudi Dalmatii; Hugonis Vivaudi; Nicolai Bouverii; Philippi Ancelmi; Bernardi Pontevenis, clerici; domini Baralli, Provincie notarii; Guillelmi de Avinione, notarii Massilie; Poncii Ancelmi, notarii publici Provincie, testium rogatorum, et in presentia plurium aliorum et mei Johannis de Mafleto, clerici domini senescalci et notarii publici Provincie et Forcalquerii, qui predictis interfui et rogatus a partibus hoc publicum instrumentum scripsi et signo meo signavi». L’originale del documento è conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône B 354; e due copie di esso si trovano 326 327 LXXXVI Il 17 luglio il nostro trovatore è di nuovo presente a due atti stipulati a Riez, nel quale Guigues VII, delfino di Vienna, acconsentiva a prestare omaggio a Carlo d’Angiò, che minacciava di muovergli guerra, per il territorio di Gap, sul quale Carlo vantava diritti, come successore dei conti di Forcalquier334, non riconoscendo le pretese dei delfini di Vienna, che sostenevano di aver acquistato dai conti di Forcalquier tale territorio. È da notare che in ambedue gli atti il nome di Sordello (accompagnato nel primo dal titolo di dominus e nel secondo da quello di miles) compare tra i primi, subito dopo al nome dei più alti funzionari della contea, quali Odon de Fontaines. siniscalco di Provenza e Jean «de Bonamena» giudice maggiore della Provenza335. nell’Archivio comunale di Marsiglia, AA 1, c. 122-137 e AA 3, c. 1-19. È stato riprodotto per intero dallo STERNFELD, Karl von Anjou, p. 285 e segg. e dal BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 449 e segg.; il passo riguardante Sordello è stato stampato anche dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 317 e seg. Io ho seguito l’ed. del BOURRILLY. Avverto che la data che dà il DE LOLLIS (6 giugno) è errata: la vera data del trattato, alla cui stipulazione fu presente Sordello, è il 2 giugno; il 6 è la data della ratifica del trattato da parte dei Marsigliesi riuniti in parlamento, cerimonia a cui il trovatore di Goito non fu presente: cfr. STERNFELD, ibid., p. 132; TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello (Sordello e la Morra d’Alba), nel Bollettino storico-bibliografico subalpino, XV, 1910, p. 192; BOURRILLY, ibid., p. 223; e cfr. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. di DE LOLLIS, p. 259. Sulle vicende a cui si ricollega il trattato cfr. STERNFELD, ibid., p. 132; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 73; BOURRILLY, ibid., p. 222 e segg.; cfr. anche MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 29 n. 40; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 55; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 164. 334 La contea di Forcalquier era stata lasciata da Raimondo Berengario IV, che la possedeva per eredità materna, alla moglie Beatrice di Savoia; nel 1256 Beatrice l’aveva ceduta a Carlo d’Angiò, in cambio di una rendita annuale (BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 72; BOURRILLY, ibid., p. 214). 335 La parte finale del primo documento, che concerne i patti di concordia conclusi tra Carlo e il delfino di Vienna, è la seguente: «Actum apud Regium in domo episcopali, presentibus et vocatis infrascriptis testibus, scilicet nobili viro domino Guidone comite Foresii; domino Barallo, domino Baucii; domino Guillermo de Bellomonte, milite dicti domini comitis Karoli; domino Henrico de Lusarchiis, canonico Carnotensi, dicti domini comitis Karoli capellano; domino Odone de Fontanis, milite, Provincie senescallo; domino Sordello; domino Roberto de Lavenno, juris professore, vicario Massilie; magistro Petro Lonbardo; domino Azemario; domino Avomari; Guillermo Silbondi; domino Berllione de Turri; domino Alamando de Condriaco; domino Guillermo Augerio; domino Raymundo de Monte Albano; domino Bertrando de Medullione de Chalma; Petro Rostengno de Ronseto; Girardo de Sancto Marcello; domino Johanne de Bonamena, majori judice Provincie; Bastardino de Monte Ferrato; Azemario de Bresiaco; Gonterio de Brientenio; Raymundo scriptore notario; domino Gerino de Condriaco, et me Johanne de Mafleto, clerico et publico notano dicti domini Karoli comitis, qui ad mandatum et requisicionem predicti domini Karoli comitis et dicti Guigonis dalfini presentem cartam scripsi et hoc signo meo signavi». Ed ecco la parte finale del secondo documento, in cui il delfino riconosce la signoria di Carlo sulle terre contestate: «Acta fuerunt hec Regii, in presencia predictorum prelatorum et nobilium, qui in testimonium veritatis et ad probacionem supradictorum sigilla sua istis litteris apposuerunt; et fuerunt eciam presentes plures et alii, scilicet Odo de Fontanis, miles, senescallo Provincie; dominus Johannes de Bonamena, major judex Provincie; et Sordellus, miles; et Isnardus de Antravenis de Tholone; et Bringnona de Brinonia, miles; et dominus Girardus de Saciaco, miles; dominus Johannes de Braiesel; dominus Gaufridus de Sarginis; dominus Espero de Sperrone, et multi aliis». I documenti, che erano conservati nell’Archivio di Stato di Napoli, Reg. ang. II, Carolus I, 1268 O, c. 130 e 131, e purtroppo sono andati perduti in seguito alla nota distruzione del ricchissimo materiale dell’Archivio, avvenuta durante la recente guerra, furono pubblicati dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò, I, Napoli, 1863, app. II, doc. I, p. LXIV e segg.; i passi riguardanti Sordello furono riprodotti anche dal DE LOLLIS, Vita LXXXVII Il 30 agosto dello stesso anno Sordello assiste a Saint Remy, insieme a Barral de Baus, a Bertran d’Alamanon e a Bonifacio de Castellane, alla stipulazione dell’atto col quale il vescovo di Marsiglia cedeva a Carlo d’Angiò la città superiore. Anche qui il trovatore di Goito è chiamato miles336. e poesie, p. 318 e seg. Seguo il testo del DE LOLLIS, che afferma di aver ricollazionato gli originali, ponendo però le maiuscole e la punteggiatura secondo l’uso moderno. Cfr. anche M ERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 29; TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 192 e seg. Sul contrasto tra Carlo e il delfino cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 136; FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 212; BOURRILY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 74; oltre, naturalmente, alla vecchia opera del VALBONNAIS, Histoire du Dauphiné, I, Genève, 1721, p. 205 e segg. 336 Ecco la chiusa dell’atto, ove compare il nome di Sordello: «Actum apud Sanctum Remigium, in prioratu Sancti Remigii, presentibus et vocatis testibus infrascriptis domino B. Foroiuliensi episcopo; domino Vicedomino electo Aquensi, domino P[etro] episcopo Nicie, B[ernardo] abbate Sancti Honorati Lirignensis; Egidio, arcidiacono Aquensi; Henrico de Lusarchiis canonico Carnotensi, supradicti domini comitis capellano; Hugone Stacca; Barralo, domino Baucii; Bonefacio de Galbetto, domino de Salernis; Bonefacio de Regio, domino Castellane; Sordello, milite; Roberto de Lavenno, legum professore, vicario Massilie; G. de Brinonia, milite; Isnardo de Antravenis, domino Tholoni; Bertrando de Alamanone, domino de Rugnis; Odone de Fontanis, milite; Girardo de Saceia, senescallo Provincie; Johanne de Arcisiis, senescallo Venessini; Imberto de Auronis, jurisperito; Philippo de Morteriolo, milite; Hugone Petito, milite; Symone de Foresta, milite, et me Hugone de Nivernis, publico Provincie et Forcalquerii comitatuum notario, qui mandato dictorum domini comitis, domine comitisse et dicti domini episcopi hanc cartam scripsi et hoc signo meo signavi». L’originale dell’atto, conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 355, è stato pubblicato dall’ALBANÈS, Gallia Christiana novissima... Marseille, Valence, 1899, n. 283, col. 152 e segg. (al cui testo io mi sono attenuto); e si trova riassunto nell’Histoire de la ville de Marseille del DE RUFFI, Marseille, 1642, p. 131. La parte finale, che interessa Sordello, è stata stampata anche dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 319 e seg.; cfr. SCHULTZ-GORA, Zu den Lebensverhältnissen einiger Trobadors, p. 117, n. 3; DE LOLLIS, ibid., p. 55; SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 164; TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 193. Sulle vicende storiche a cui l’atto si ricollega vedi STERNFELD, Karl von Anjou, p. 140; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 73 e seg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 231. LXXXVIII Circa due anni dopo, il 19 luglio 1259, vediamo ancora Sordello (sempre col titolo di miles) assistere in Brignoles, come testimone, in compagnia di Barral de Baus e di altri, alla stipulazione dei nuovi e più favorevoli patti che i cittadini di Hyères avevano concordato coi rappresentanti di Carlo d’Angiò circa l’estrazione del sale dalle saline situate nel loro territorio 337. Pochi giorni dopo, il nostro trovatore era presente a un nuovo atto, di ben maggiore importanza, col quale Carlo d’Angiò ampliava la sua influenza nell’Italia superiore (nella quale già possedeva, dal 1258, la contea di Ventimiglia) 338 e rendeva più vasto quel dominio in terra italiana, che doveva di lì a poco servirgli come preziosa Il documento è conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 358. La chiusa, ove ricorre il nome di Sordello, è la seguente: «Actum Brinonie, in prato dicti domini cornitis juxta vallatum. Et isti fuerunt testes: dominus Vicedominus, Aquensis archiepiscopus, et dictus dominus Bertrandus, Forojuliensis episcopus; dominus Enricus de Luasarcis, domini comitis cappellanus; dominus Barralus de Baucio; dominus Guillelmus de Bellomonte; Sordellus, miles; Petrus Blancus; Raimundus Bocius, miles; Raimundus Quatruels de Areis; Martinus et Rodulfus et Petrus Roca, notarius domini comitis; et ego Petrus Corraterius, notarius predicti domini comitis, qui predictis omnibus et mandato dicti domini comitis et domine comitisse et dictorum militum et proborum hominum hanc cartam scripsi et signo meo signavi». Il passo è stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 320. Cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 151. 338 Sull’acquisto di Ventimiglia e gli inizi della dominazione angioina nell’Italia superiore cfr. soprattutto: STERNFELD, ibid., p. 144 e seg.; C. MERKEL, Il Piemonte e Carlo d’Angiò, in Memorie della R. Accademia di Scienze di Torino, s. II, t. XL, 1890, p. 286 (e cfr. la ristampa nel vol. Un quarto di secolo di vita comunale e le origini della dominazione angioina in Piemonte, Torino, 1890, p. 141); JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 563 e seg.; G. M. MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, Torino, 1930, p. 4 e segg. 337 LXXXIX base di operazioni per la conquista del regno di Sicilia: l’atto, stipulato il 24 luglio 1259 a Pignans, non lontano da Brignoles, nel quale gli inviati di Cuneo ponevano la città sotto la protezione e la signoria del conte di Provenza. Anche qui accanto al nostro trovatore («dominus Sordellus») si trovano Barral de Baus e Bertran d’Alamanon339. Sordello assisté poi il 21 luglio 1262, ad Aix, a due altri atti importanti: nel primo venivano composti i dissidi che erano sorti per ragioni di confine tra Carlo d’Angiò (in quanto signore della contea di Ventimiglia) e il comune di Genova; nel secondo Carlo d’Angiò e sua moglie Beatrice di Provenza cedevano al comune di Genova tutti i loro diritti sul castello di Dolceacqua nel territorio di Ventimiglia. È da notare che, mentre nel secondo di questi atti Sordello è chiamato «dominus», come altre volte abbiamo avuto occasione di osservare, nel primo è detto «Sourdello de Godio», appellativo che ritroveremo d’ora in poi frequentemente negli atti angioini riguardanti il nostro trovatore, e che conferma, come si è visto, la nascita a Goito340. Ecco la chiusa dell’atto, ove è ricordato Sordello: «Actum apud Piniacum in viridario canonice ecclesie Beate Marie de Pignans jucxta fontem dicti viridarii, anno a nativitate Domini millesimo cclviiijº die xxiiij julii. Testes dominus Henricus, cappellanus predicti domini comitis; dominus Galterius de Alneto, miles, Provincie senescallus; dominus Barralis, dominus de Baucio; dominus Sordellus; dominus Bertrandus de Lamenone; dominus Girardus de Passerio, miles; Guillermus Olivarius; et Jacobus Cassius, admiralli eiusdem domini comitis; et ego Raimundus Jordanus, publicus notarius domini Raimundi Berengarii condam comitis et marchionis Provincie, de mandato predicti domini comitis et dictorum sindicorum et embaxatorum hanc cartam scripsi». Il passo è stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 320 e seg., sulla base dell’originale dell’Archivio di stato di Torino (Perg. orig., Prov. di Cuneo, m.º 1, n. 4). Il DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò, I, app. II, p. LXVIII e segg. pubblicò il testo inserito nel diploma con cui Carlo II nel 1306 confermava i patti stipulati da Carlo I con Cuneo. Cfr. TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 193. Sul trattato tra Carlo d’Angiò e Cuneo nel quadro della politica angioina, in Italia cfr. STERNFELD, Karl von Anjou, p. 153 e seg.; MERKEL, Il Piemonte e Carlo d’Angiò, p. 288 e segg. e Un quarto di secolo di vita comunale, p. 145 e seg.; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 564; MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, p. 5. 340 Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 57 e seg. e 321 erroneamente inverte l’ordine dei due documenti, ritenendo l’atto relativo alla sistemazione dei dissidi riguardanti i confini del 22 luglio, mentre è anch’esso del 21 e anteriore (cfr. in proposito ciò che osserva il TALLONE, ibid., p. 193). Il primo atto è conservato nell’Archivio di stato di Torino, nell’esemplare del Liber jurium reipublicae genuensis dell’Archivio di stato di Genova (c. 412), e nell’esemplare dello stesso Liber jurium della Biblioteca universitaria di Genova (c. 287); ed è stato pubblicato per intero sulla base dell’originale dell’Archivio di stato di Torino nell’ed. del Liber jurium reipublicae genuensis che fa parte dei Monumenta historiae patriae edita iussu regis Caroli Alberti, I, Torino, 1854, col. 1402 e segg. La chiusa ove compare il nome di Sordello è nella col. 1410: «Actum Aquis in palacio predicti domini comitis, in aula superiori, supradicto die inter tertiam et nonam, presentibus et vocatis testibus infrascriptis, videlicet venerabilibus patribus Egidio, Tyrensi archiepiscopo, Vicedomino, Aquensi archiepiscopo, B[ertrame] episcopo Porojuliensi; Boucardo, comite Vindocinensi; magistro Johanne, decano Meldensi; et Galterio de Alneto; Sourdello de Godio; Guilielmo Estendardi de Boyne; Johanne de Braesilva; Roberto de Lavenno, 339 Symone de Foresta, militibus; Johanne, maiore judice Provincie et Forchalcherii; Guillielmo Olivarii; Jacobo Cassii, admiralii Nicie; Nicholao Banbazario publico notario comunis Janue et pluribus aliis et me Martino de Magdalena, Parisiensi, canonico Sancti Laudi Andegavensis, publico notario dicti domini comitis, qui predictis omnibus interfui et de mandato suprascritorum domini comitis et domine comitisse et predictorum legatorum et sindicorum hanc cartam scripsi et hoc signo meo signavi». Ho seguito l’edizione dei Monumenta hist. patriae, introducendo le maiuscole ove occorressero e la punteggiatura. Il passo è stato pubblicato anche dal DE LOLLIS, ibid., p. 321, sulla base dei due mss. genovesi. II secondo atto compare dopo il precedente, nell’orig. dell’Arch. di stato di Torino, e nei cod. dell’Arch. di stato di Genova, c. 414 e della Bibl. Univ. di Genova, c. 288, e si trova anch’esso nell’ed. del Liber jurium, col. 1411 e seg. La chiusa, ove è citato Sordello, è la seguente (col. 1412): «Actum Aquis in palatio dicti domini comitis, presentibus domino Vicedomino, archiepiscopo Aquensi, Bertrame, episcopo Forojuliensi, domino Sordello, magistro Johanne decano Meldensi testibus rogatis, inter tertiam et nonam». Anche questo passo è stato edito dal DE LOLLIS, ibid., p. 231, sulla base dei codici genovesi. Su questi patti tra Genova e Carlo d’Angiò cfr. anche STERNFELD, Karl von Anjou, p. 166 e seg.; MERKEL, Un quarto di secolo di vita comunale, p. 177, e Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 16 e 29, n. 43; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 565. XC Due anni e mezzo più tardi, il 23 gennaio 1265, Sordello assisteva in Aix alla firma del trattato di alleanza concluso da Carlo con i Torriani di Milano e coi comuni di Lodi, Bergamo, Como e Novara341. 3. IL RITORNO IN ITALIA - LA MORTE Questo patto preludeva, come altri conclusi da Carlo in quel tempo, alla spedizione angioina in Italia. Questa volta Sordello seguì il suo signore. Non fece però parte, probabilmente, del vero e proprio seguito di Carlo, il quale, imbarcatosi a Marsiglia alla metà di maggio del 1265, venne in Italia per mare, con solo 500 cavalieri e Il documento (conservato a Marsiglia, Archives départementales des Bouches-du-Rhône, B 365) è stato edito dallo STERNFELD, ibid., p. 309 e segg., ed è stato successivamente ripubblicato da G. GALLAVRESI in appendice al suo studio La riscossa dei Guelfi in Lombardia dopo il 1260 e la politica di Filippo della Torre, nell’Archivio storico lombardo, s. IV, vol. V, XXXIII, 1906, p. 59 e segg. Il passo che interessa Sordello, ristampato anche dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 322, è il seguente (lo cito secondo la lezione dell’originale, di cui ho preso visione mediante una fotografia, gentilmente inviatami dall’Arch. di Marsiglia): «Actum Aquis in camera domini comitis predicti presentibus et vocatis testibus in infrascriptis, videlicet fratre Bertrando, priore fratrum Praedicatorum Massilie; fratre Fulcone Aycardi, de ordine fratrum Praedicatorum, fratre Petro Guffredo, preceptore domorum militie Templi Nicie et Grasse, et fratre Boucardo, preceptore domus militie Templi de Rua; domino Barallo domino Baucii; Petro de Vicinis, domino Limosii et senescallo Provincie et Forcalcherii; Guillelmo de Baucio; Gauchero de Rupe; Bertrando de Baucio; Bonifacio de Gamberto; domino Sordello de Gadio; Fulcone de Podio Riccardi; Symone Bagoto; Eustachio de Omentorio; Thoma de Castellana; Petro Rogerii; Raymundo de Turcho, loco vicarii Massilie; et Sperone de Bigio, Petro de Laverrune, Guillelmo de Tarascone, militibus; Guillemo Cornuto cive Massilie; et Ottone de Brayda, cive Albe; Bertrando de Beza, cive Avinionensi; domino Johanne de Bonamena, majore judice Provincie et Forcalcherli; Guillelmo de Villanova; Nicolao Farnello, judice Tharasconis; Petro Gortati; Petro Sardine; Frederico et Aquarato de Alba; et Hugone Stagua, bajulo Aquensi, juris perito; Agoto de Balmis; Fremundo Berengerii; Egidio de Bonirivis, bajulo Cistoriciensi; Guillelmo Mastarone, cive Mediolanensi, notario; et me Milone de Meldis clerico, publico notario dicti domini comitis, cui praedicti dominus comes et Accursius praesens instrumentum et plura alia ejusdem tenoris conscribere jusserunt, et qui praesentem cartam sive instrumentum scripsi de ipsius comitis mandato et ad instantiam et requisitionem praedicti Accursii et hoc meo signo signavi. Anno Domini praedicto, mense januarii, die Veneris in crastino beati Vincentii». Come si vede, l’esser risalito direttamente all’originale mi ha permesso di correggere vari errori di trascrizione che si trovavano nel testo dato dallo STERNFELD, riprodotto dal DE LOLLIS e (con qualche ritocco) dal GALLAVRESI, e di eliminare le incertezze intorno alla lezione de Sadio, sulla quale si è assai discusso. Si deve leggere non de Sadio, come stamparono lo STERNFELD, il DE LOLLIS e il GALLAVRESI, ma (per quanto le forme dell’S e del G siano nel documento assai simili) de Gadio, come mostra l’identità tra la maiuscola iniziale di Gadio e la maiuscola iniziale di Gamberto, nome di lettura indubbia che precede nella stessa riga. La lezione de Gadio è chiaramente un errore dello scriba in luogo del consueto de Godio. — Sul trattato cfr. STERNFELD, ibid., p. 217 e seg.; MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 16, e La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, in Memorie dell’Accad. delle scienze di Torino, s. II, XLI, 1891, p. 230 e segg.; GALLAVRESI, ibid., p. 42 e segg.; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 572 e seg.; MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, p. 16 e seg. 341 XCI 1000 balestrieri, sbarcando il 21 maggio presso Roma ed entrando in città il 23 maggio342. Verisimilmente Sordello, che era così poco incline, come sappiamo, ai viaggi per mare, entrò in Italia per via di terra col grosso dell’esercito angioino, che partì dalla Provenza nell’autunno del 1265 e attraverso il colle di Tenda giunse in Pie- STERNFELD, Karl von Anjou, p. 243 e segg; MERKEL, La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 241 e seg.; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 559 e seg.; DUPRÈ THESEIDER, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia, p. 113 e segg. 342 XCII monte nel novembre343. Il trovatore riponeva quindi il piede, ormai vecchio, sul suolo della penisola, dopo più di 35 anni di assenza, in condizioni ben diverse da quelle in cui era partito nella sua avventurosa giovinezza, che era ormai un lontano ricordo. E tornava, mutato, in un’Italia mutata, ove molti di quelli che aveva conosciuto o al cui fianco aveva vissuto erano scomparsi: Rizzardo di San Bonifacio era morto nel 1253; e scomparsi, con la totale rovina della loro signoria, erano Ezzelino da Romano, morto a Soncino il 1º ottobre 1259 in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Cassano d’Adda, e suo fratello Alberico, caduto per tradimento nelle mani dei guelfi a San Zenone e trucidato ferocemente il 26 agosto 1260 insieme alla moglie e ai figli. Rimaneva viva, della potente casata, soltanto Cunizza, che, dopo essersi sposata, morto Bonio, con un nobile della casa di Breganze, e aver avuto, a detta di Rolandino, anche un terzo marito 344, alla caduta dei Da Romano aveva trovato rifugio in Toscana, presso i conti di Mangona, suoi parenti per parte di madre, e che proprio nel 1265, il 1o aprile, in Firenze, essendo ospite in casa di Cavalcante de’ Cavalcanti, firmava un atto nel quale affrancava i servi dei suoi fratelli, esclusi quelli — biasimati con fiere parole di esecrazione — che avevano, col loro tradimento, permesso la cattura e lo scempio di Alberico e dei suoi famigliari345. Non sappiamo esattamente in quali luoghi si sia recato Sordello una volta giunto in Italia, e se abbia partecipato — come vogliono Sull’itinerario seguito dall’esercito angioino nella sua marcia verso l’Italia e attraverso il Piemonte e la Lombardia cfr. MERKEL, La dominazione di Carlo l d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 257 e segg.; JORDAN, Les origines de la domination angevine en Italie, p. 591 e segg. 344 Sulla questione, che ci interessa solo marginalmente, cfr. DE VIT, Cunizza da Romano, p. 24 e segg.; SECRÉTANT, Il canto IX del Paradiso, p. 17; BERTONI, Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia, p. 256 e seg. Il passo di Rolandino è nell’ed. BONARDI, p. 18. 345 Cunizza visse ancora a lungo: ci resta infatti il suo testamento, rogato a Firenze il 10 giugno 1279, nel quale essa istituiva erede di quanto possedeva e di tutti i suoi diritti Alessandro dei Conti di Mangona. È probabile che morisse poco dopo; ma la data esatta della sua morte ci è ignota. Sulla dimora di Cunizza in Toscana cfr. C. GUASTI, Cunizza da Romano nel cielo dantesco, in Rassegna nazionale, XXVII, 16 febbraio 1886, p. 505 e segg.; DE VIT, ibid., p. 36 e segg.; A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, trad. di E. Gorra, Bologna, 1902, p. 442 e segg.; F. ZAMBONI, Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi, n. ed., Roma-Torino, 1906; R. DAVIDSOHN, Geschichte von Florenz, II, I, Berlin, 1908, p. 575; SECRÉTANT, ibid., p. 17; BERTONI, ibid., p. 256 e seg.; D’OVIDIO, Sordello, p. 14; N. ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, I, Milano, 1931, p. 133. 343 XCIII alcuni, fra cui il De Lollis 346, ma, a mio parere, senza sufficienti ragioni — alla battaglia di Benevento, il 22 febbraio 1266. È certo però che il 22 settembre 1266 il trovatore di Goito si trovava a Novara, come afferma chiaramente un passo di un breve, in tale data, di papa Clemente IV a Carlo d’Angiò; passo nel quale il papa rimprovera Carlo di aver trattato con poca generosità coloro che lo avevano seguito e servito, citando come esempio, appunto, Sordello: «Hiis est consequens quod inhumanus diceris, et ad nullum afficeris prout dicitur amicitia, quod ex eo a multis presumitur, quod tuos Provinciales tanquam eos in servos emeris ad onera supra vires adstrictos et tibi fideliter obsecutos suis fraudas stipendiis; quorum multi perierunt inedia, multi contra sue nobilitatis et non minus tue honorem in hospitalibus pauperum iacuerunt, multi te pedites sunt secuti. Languet in carcere filius nobilis viri Iordani de Insula, Mediolani detentus; languet Novarie miles tuus Sordellus, qui emendus esset immeritus nedum pro meritis redimendus; multique alii qui te in Ytalia servierunt nudi et pauperes ad propria sunt reversi» 347. Si può desumere dalle parole del pontefice, e specialmente dall’«emendus» e dal «redimendus», che Sordello a Novara doveva essere trattenuto in carcere, non semplicemente giacere ammalato, come a prima vista potrebbe far credere il «languet» 348: ma è diffìcile determinare le ragioni di tale prigionia, che secondo alcuni sarebbe da riconnettersi con qualche scaramuccia che pare avesse luogo DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 60 e Pro Sordello de Godio, milite, p. 195 e segg. A questa ipotesi ha accennato dubitativamente anche il DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale e l’Italia, p. 69, e Poesie provenzali storiche, I, p. LXXIII. Contro questa ipotesi cfr. TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 34 e seg. 347 Il breve venne pubblicato integralmente dal MARTÈNE, Thesaurus novus anecdotorum, II, Lutetiae Parisiorum, 1717, col. 406 e segg., n. 380, e poi dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico di Carlo I e II d’Angiò, I, p. 179, n. LIII; ed è stato riassunto dal POTTHAST, Regesta pontificum romanorum, II, Berolini, 1865, p. 1598 e da E. JORDAN, Les régistres de Clément IV, I, fasc. 4, Paris, 1904, p. 392, n. 1129 (Bibliothèque des Écoles francaises de Athènes et de Rome, 2e série, XI, 4). È conservato negli Archivi Vaticani, reg. 33, c. 46, n. 254 ed è ripetuto in altri registri. 348 Pensò che Sordello si trattenesse in Novara forse perché ammalato il MERKEL, La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 261, L’opinione dei contemporanei sull’impresa italiana di Carlo d’Angiò, in Atti della R. Accademia dei Lincei, s. IV, vol. IV, 1888, p. 404, Sordello e la sua dimora presso Carlo I d’Angiò, p. 18, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 219 e segg. (pur non escludendo la prigionia per debiti). 346 XCIV qua e là349, secondo altri sarebbe più verisimilmente350 una prigionia per debiti 351. Comunque, il breve papale è importante, perché attesta in quale grande stima fosse tenuto Sordello, citato come esempio dell’ingratitudine di Carlo accanto al figlio di Giordano IV (signore dell’Isola - Joudain, uno dei più nobili e potenti baroni di Carlo e uno dei capi dell’esercito angioino), e ricordato con parole di elogio così solenni352. L’intervento del papa valse certamente ad affrettare la liberazione del trovatore, benché, naturalmente, ci sia ignoto il momento in cui questa avvenne. Certo Sordello era libero, e forse si ritrovava presso Carlo d’Angiò quando Luchetto Gat- Pare che l’esercito angioino dovesse sostenere, secondo il cronista Andrea Ungaro, un piccolo scontro presso Vinzaglio (cfr. MERKEL, La dominazione di Carlo I d’Angiò in Piemonte e in Lombardia, p. 261), e forse altri se ne ebbero altrove. A una prigionia di guerra pensarono il PARODI, Il Sordello di Dante, p. 188; il NOVATI, Il canto VI del Purgatorio, p. 24 e seg., e 51; il CHAYTOR, The Troubadours, p. 102; e il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 80, e nella voce dell’Enciclopedia italiana. 350 Novara era città fedele a Carlo d’Angiò, in quanto retta dai Torriani (si è visto che aveva stipulato un accordo con Carlo nel 1265); d’altra parte sappiamo che l’esercito angioino fece una tappa nella città (cfr. MERKEL, ibid., p. 261). Non è quindi molto verisimile che proprio a Novara Sordello fosse trattenuto come prigioniero di guerra. 351 Favorevole alla ipotesi della prigionia per debiti è l’U GOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXIV; a questa opinone si era mostrato incline anche il MERKEL, benché non escludesse anche l’ipotesi della malattia (cfr. gli scritti sopra citati, e specialmente la rec. al vol. del DE LOLLIS). Il CRESCINI, Sordello, p. 23, si limitò a dire il trovatore «forse prigioniero» a Novara senza accennare alla causa. Alla tesi della prigionia, pur non precisando la causa, inclinava il PARODI, II Sordello di Dante, p. 188; e «prigioniero per cause non note» lo ha detto anche il DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale e l’Italia, p. 69; Poesie provenzali storiche, I, p. LXXIII, Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 277. II TALLONE, nello studio Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 190, accennò alle varie ipotesi senza pronunciarsi in merito; e incerto rimane anche il T ORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 34 e seg. Il VISCARDI, Poesie di Sordello, in Dizionario letterario Bompiani, V, Milano, 1948, p. 678 ha pensato che il trovatore mantovano languisse in un ospizio destinato ai mendici. In un curioso errore è caduto l’ANGLADE, che anche nella quarta ed. del vol. Les troubadours, Paris, 1929 affermava che Sordello venne imprigionato da Carlo d’Angiò («Sordel reçut des donations de Charles d’Anjou, mais après avoir été mis en prison par lui pour une cause que nous ne connaissons pas»)! Cfr. anche S CHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnissen der italienischen Trobadors, p. 213 e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 243. 352 Non diminuisce il valore dell’alto riconoscimento papale dei meriti di Sordello il fatto che il papa Clemente IV, nato a Saint Gilles presso Nîmes, figlio di un giudice e cancelliere dei conti di Tolosa, aveva conosciuto Sordello in Provenza, forse nel 1256, quando svolse un’inchiesta sulla amministrazione del siniscalco di Provenza per ordine di Luigi IX, o nel 1257-1259, quando fu vescovo di Puy, anni in cui, secondo il FABRE, avrebbe — come vedremo — imitato l’Ensenhamen d’onor del trovatore mantovano. 349 XCV tilusio gli indirizzava, chiamandolo «segn’ en Sordel», verisimilmente non molto dopo il 27 maggio 1267, il sirventese D’un sirventes m’es granz volontatz preza, in cui rivolgeva a Carlo, che aspirava alla vicaria o alla bailia dell’impero, vari consigli 353, e l’altro sirventese pubblicato dal Rajna, di cui la malaugurata perdita quasi totale della prima strofe ci vieta di citare il primo verso, scritto anch’esso fra gli ultimi mesi del 1267 e i primi del 1268354. Carlo però non si limitò a intervenire per la liberazione di Sordello. Egli cercò di riparare alla sua trascuratezza nei riguardi del Per il testo di questo componimento (P. C. 290, 1 a), oltre alla edizione necessariamente lacunosa e imperfetta del RAJNA (Un frammento di un codice perduto di poesie provenzali, in Studi di filologia romanza, V, 1891, p. 48 e segg.) fondata sul solo ms. r, cfr.: G. BERTONI, I trovatori minori di Genova, Dresden, 1903, p. 28 e segg., e I trovatori d’Italia, p. 438 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 226 e segg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. 120 e seg. Circa la data del sirventese credo abbia ragione l’U GOLINI, ibid., p. XXXV e XLIX, a ritenerlo posteriore al 27 maggio 1267, giorno in cui a Viterbo Carlo d’Angiò concluse un trattato con Baldovino II, già imperatore latino d’Oriente, promettendogli di aiutarlo a combattere Michele Paleologo, che nel 1261 lo aveva cacciato dal trono di Costantinopoli, ma non posteriore al 1268. Sono d’accordo con l’UGOLINI (ibid., p. 149 e seg.) nel rifiutare il riferimento alla Puglia che lo JEANROY (Annales du Midi, XIII, 1901, p. 88) e il BERTONI (I trovatori d’Italia, p. 438 e 584), seguiti dal DE BARTHOLOMAEIS (ibid., p. 228) vollero introdurre al v. 17, con una correzione non necessaria. Il R AJNA (ibid., p. 32 e segg.) ritenne che il componimento fosse da collocarsi tra il 1268 e il 1273; e a tale data si attenne anche il D E LOLLIS (Vita e poesie, p. 67), mentre il BERTONI (I trovatori d’Italia, p. 584) preferiva pensare al periodo 1261-1273, e il DE BARTHOLOMAEIS (ibid., p. 226 e segg.; Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 274) lo assegna al gennaio-febbraio 1266. Col DE BARTHOLOMAEIS sta anche G. M. MONTI, Nuovi studi angioini, Trani, 1937, p. 415. Quanto all’autore, non v’ha dubbio che va abbandonata la vecchia attribuzione a Lanfranco Cigala proposta dal RAJNA, sulla base della rubrica di r, unico manoscritto a lui noto, e che la lirica deve ritenersi sicuramente (nonostante le incertezze del DE BARTHOLOMAEIS, non messe da parte neppure nel recente volume sui Primordi della lirica d’arte in Italia, che è del 1943) di Luchetto Gattilusio, come sostenne fermamente il BERTONI fondandosi sulla rubrica di a’: infatti, come ha dimostrato inoppugnabilmente l’U GOLINI (ibid., p. XLII e segg.) Lanfranco Cigala morì tra il 16 marzo 1257 e il 24 settembre 1258. 354 Per il testo del sirventese cfr. RAJNA, Un frammento di un codice perduto, p. 45 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 245 e segg. Anche questa lirica è stata attribuita, sulla base della rubrica di r, unico ms. in cui è conservata, a Lanfranco Cigala (cfr. RAJNA, ibid., p. 27 e segg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 245 e segg. e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 283; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 97; P. C. 282, 26 a); ma è da togliere senz’altro a Lanfranco, per la ragione già detta, e da assegnare con molte probabilità al Gattilusio (cfr. UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV e XLIV). Quanto alla data non vi sono divergenze di rilievo, anzi sostanzialmente i vari studiosi concordano: il RAJNA (ibid., p. 27 e segg.) e il DE BARTHOLOMAEIS (Poesie provenzali storiche, II, p. 245 e segg.) collocano il componimento tra l’estate del 1267 e la primavera del 1268; il B ERTONI (ibid., p. 97) pensa che ci si possa restringere all’autunno del 1267. 353 XCVI suo fedele cavaliere con prove più evidenti della sua benevolenza e della sua protezione. Probabilmente non molto dopo il breve papale e la liberazione del trovatore, Carlo investiva Sordello dei diritti feudali sopra il castello di La Morra, nel territorio di Cuneo, e delle sue pertinenze 355. La concessione deve necessariamente collocarsi tra il 31 novembre 1259, giorno della dedizione della città di Alba a Carlo d’Angiò, e il 28 maggio 1269, data del documento in cui si fa menzione, per incidenza, della avvenuta concessione dei diritti del castello di Morra e delle sue pertinenze a Sordello 356; ma è difficile pensare che la concessione fosse avvenuta quando Sordello era ancora in Provenza, come pure è difficile pensare che a tale concessione Carlo addivenisse dopo aver dato al trovatore i feudi abruzzesi, la cui prima concessione è, come vedremo, del 5 marzo 1269. Sicché credo lecito col Tallone formulare l’ipotesi che la concessione del castello della Morra fosse una prima concessione provvisoria, fatta da Carlo per riparare ai suoi torti nell’attesa di ulteriori infeudazioni da farsi dopo che fosse completata la sottomissione del regno, cioè dopo la sconfitta di Corradino 357. S’intende che siamo sempre, però, nel campo delle ipotesi, perché mancano elementi per arrivare ad una datazione esatta 358. Sulla questione cfr. lo studio di TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 189 e segg.; e E. MONCHIERO, Il Piemonte sotto la dominazione angioina, in Comunicazioni della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici per la provincia di Cuneo, anno III, 1931, n. 2, p. 7 e segg. (specialmente l’ultima parte, p. 12 e segg., che reca il titolo La Morra, feudo di Sordello di Goito). 356 Carlo, concedendo ad alcuni cittadini di Alba e di Cherasco, per soddisfare un debito contratto dal suo siniscalco Guglielmo Stendardo, il ricavato della vendita delle «comunanze» di Alba e Cherasco a lui spettanti, precisa che da tale concessione vanno eccettuati «redditus quos excipere debet Sordellus de Godio miles noster in castro Morre et pertinencijs eius» (Arch. di stato di Napoli, Registri angioini, IV, Carolus I, 1269 B, c. 167 r). 357 Anche MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, p. 20 accetta la tesi del T ALLONE, assegnando la concessione al 1266. 358 Il TALLONE (ibid.) osserva che da un documento del 4 luglio 1269 (Arch. di Stato di Napoli, Reg. ang. IV, Carolus I, 1269 B, c. 115 v.), che integra l’atto del 28 maggio, dando disposizioni in caso di mancato accordo tra i cittadini di Alba e Cherasco e i cittadini di Cuneo, ai quali le «comunanze» in questione erano già state assegnate per un biennio, risulta che il biennio per il quale era stata concessa ai cittadini di Cuneo la quota regia delle «comunanze» di Alba e Cherasco era prossimo a scadere, e che quindi la concessione delle «comunanze» stesse doveva risalire circa alla seconda metà del 1267; ma è chiaro che ciò non permette nessuna illazione precisa riguardo a Sordello, in quanto la concessione a lui fatta è del tutto indipendente da quella fatta ai cittadini di Cuneo. Il MONCHIERO (ibid., p. 7 e segg.) vorrebbe far risalire la concessione all’ottobre 1265, epoca in cui avvenne — egli dice — il soggiorno di Carlo in Alba; ma non so da quali fonti ricavi la data di tale soggiorno, che sembra da lui ricollegato alla venuta in Italia, a quella data, dell’esercito angioino, col quale fa discendere in Italia anche Carlo (p. 10), mentre è noto che Carlo venne in Italia non per via di terra, ma per mare, partendo da Marsiglia alla metà del maggio 1265 e sbarcando presso Roma il 21 maggio. 355 XCVII Più tardi, dopo che la battaglia di Tagliacozzo e il supplizio di Corradino gli ebbero assicurato definitivamente il dominio del regno, Carlo d’Angiò includeva Sordello nel numero di quei baroni a cui faceva ampie concessioni di feudi, sia per premiarli della loro fedeltà e del loro appoggio, sia per inserire tra la feudalità dello stato recentemente conquistato un buon numero di suoi fedeli, onde assicurarsi un appoggio ed eliminare la possibilità di insurrezioni359. Il 5, o più probabilmente il 12 marzo 1269 il sovrano angioino, considerando i «grandia, grata et accepta servitia» che Sordello gli aveva reso e gli avrebbe reso in futuro, concedeva al trovatore «et heredibus suis utriusque sexus ex ipsius corpore legitime descendentibus natis jam et etiam nascituris», i castelli abruzzesi di Monte Odorisio, Monte San Silvestro, Paglieta e Pila, e il casale di Castiglione 360: feudi che complessivamente 361 avevano una rendita Dopo la vittoria di Benevento vi furono poche distribuzioni di feudi, poiché Carlo considerò come leali avversari i baroni di Manfredi e dopo la battaglia li liberò e lasciò loro i feudi. Ma i baroni che si erano ribellati ponendosi dalla parte di Corradino vennero tenuti in conto di traditori e furono spogliati dei loro beni a profitto della corona (cfr. P. DURRIEU, Études sur la dynastie angevine de Naples. Le «Liber donationum Caroli Primi», in Mélanges d’archeologie et d’histoire de l’École française de Rome, VI, 1886, p. 213 e segg.). 360 Non «il castello di Casale Castiglione», come intende il D E LOLLIS, Vita e poesie, p. 61: infatti nel documento si legge «castra Montis Odorisii, Montis Sancti Silvestri, Pallete et Pile et casale Castillonis... donamus, tradimus et concedimus», e più oltre «de castris et casali predictis», «castra et casale predicta», etc. Si veda il testo completo del documento in appendice. Il documento, già conservato nell’Archivio di stato di Napoli (Reg. ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 13), fu segnalato dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò, II, p. I, p. 268 n., e fu pubblicato integralmente dal DE LOLLIS, ibid., p. 323 e segg. È da notare che nel registro il documento, come vari altri, era cassato, e che a margine era scritto «mutatum est et rescriptum». Sulla questione della data cfr. T ALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 194 e seg. Cfr. inoltre SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 213; MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 19, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 223; DE LOLLIS, Pro Sordello de Godio, milite, p. 192; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 32. 361 Tale somma è indicata nel Liber donationum, Archivio di stato di Napoli, c. 90 B, 91 B. Sul Liber donationum (che è il n. VII della serie dei registri angioini) cfr. lo studio del D URRIEU, Études sur la dynastie angevine de Naples. 359 XCVIII di 157 once d’oro362. È da notare che nel documento Sordello è designato coi titoli di miles e di dilectus familiaris et fidelis noster, tra i quali è particolarmente notevole quello di familiaris, che non si soleva concedere se non ai baroni più legati alla corte e a quelli di più alto lignaggio, ed era unito a particolari diritti e a particolari distinzioni alla corte363. Il 21 maggio dava Carlo inoltre ordine ai suoi ufficiali del principato di Terra di Lavoro e d’Abruzzo di mettere in possesso Sordello (detto ancora miles e familiaris et fidelis noster), o un suo delegato, del castello di Civitaquana nell’Abruzzo e di tutte le dipendenze e di tutti i diritti feudali ad esso pertinenti. Non si trattava però, questa volta, di una donazione trasmissibile agli eredi, ma di una donazione personale a vita364. Verso la fine di giugno, però, essendosi decisa la concessione della contea di Chieti a Rodolfo di Courtenay365, Sordello, evidentemente per compiacere al sovrano e a Rodolfo, rassegnò alla regia curia i castelli di Monte San Silvestro, Pila e Paglieta, che vennero Tale rendita ci mostra che la donazione non era di poco conto, se si pensa che a Bertran de Baus, appartenente a una delle più illustri casate feudali della Provenza, Carlo donava in quello stesso anno, e sempre in Abruzzo, vari feudi (Archi, San Valentino, Filetto, Miglianico, Corbara ecc.) per una rendita di 230 once d’oro (cfr. BARTHÉLEMY, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, n. 556, p. 159; Arch. di stato di Napoli, Reg. ang., VI, Carolus I, 1269 D, c. 7), e che per ogni 20 once d’oro di rendita il feudatario doveva fornire al re, in caso di guerra, un cavaliere armato ed equipaggiato (cfr. C AMERA, Annali delle Due Sicilie, I, Napoli, 1841, p. 297; P. DURRIEU, Les Archives angevines de Naples. Étude sur les registres du roi Charles Ier (1265-1285), I, Paris, 1886, p. 68, e Études sur la dynastie angevine de Naples, p. 201 e seg. 363 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 61 e seg., che rimanda allo studio del DURRIEU, Les Gascons en Italie, Auch, 1885, p. 7, n. 2. 364 L’atto di donazione (Arch. di stato di Napoli, Reg. Ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 189 B) è stato pubblicato dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 234 e seg.; ed è stato riprodotto integralmente in appendice. Cfr. anche TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 196. 365 Rodolfo di Courtenay fu investito del «comitatum Theatinum situm in Justiciariatu Aprucij» il 29 giugno (Arch. di stato di Napoli, Reg. Ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 152). Anche questo atto era già stato segnalato dal DEL GIUDICE, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d’Angiò, II, p. I, p. 269 n., ma con la data del 30 giugno. Cfr. TALLONE, ibid.. 362 XCIX aggregati alla contea di Chieti, e ne ricevette in cambio, con un decreto del 30 giugno, il castello di Palena, anch’esso nell’Abruzzo, con tutte le sue pertinenze. In questo atto era confermata al trovatore la donazione in feudo vitalizio del castello di Civitaquana, e insieme ad essa quella del castello di Ginestra, di cui non si parla nell’atto del 21 maggio né in altro atto a noi giunto, ma presumibilmente avvenuta tra il 21 maggio e il 30 giugno 366. Sordello in tal modo restava in possesso dei castelli di Monte Odorisio e di Palena e del casale di Castiglione a titolo di feudo trasmissibile agli eredi, e dei castelli di Civitaquana e di Ginestra a titolo vitalizio: complessivamente questi feudi rappresentavano una rendita di 200 once d’oro 367. Dopo la donazione di Palena, borgo famoso per le sue tintorie, e le sue gualchiere368, sottoposte un tempo all’autorità dei feudatari del luogo, che esercitavano dei diritti sulle loro rendite 369, vanno forse collocate le cobbole scambiate tra Sordello e un principe, in cui si è appunto voluto vedere Carlo d’Angiò. Su questi versi (n. XXXII di questa edizione), che costituiscono, se si accetta la loro attribuzione a questo momento della vita del trovatore, l’ultima voce poetica di Sordello, si è molto discusso, perché molti hanno voluto assegnarli ai tempi di Raimondo Berengario IV, attribuendo naturalmente a questo principe la cobbola di risposta. E veramente bisogna confessare che non abbiamo elementi sufficienti per arrivare a una soluzione del problema che non lasci dubbi o incertezze. Il codice che, unico, ci conserva queste cobbole (P)370 non ci dà sfortunatamente alcun elemento utile: la rubrica che precede il componimento (cobla de messer Sordel qera malad) ci assicura bensì che la prima cobla è di Sordello — cosa che del resto appare dal primo verso della cobla di risposta, da cui non è escluso che il compilatore del codice o del suo antigrafo abbia tratto lo spunto per la rubrica — ma non ci forAnche questo atto (Arch. di stato di Napoli, Reg. ang., IV, Carolus I, 1269 B, c. 151) era stato segnalato dal DEL GIUDICE, ibid., II, I, p. 269 n. e venne pubblicato dal DE LOLLIS, ibid., p. 325 e seg. Cfr. TALLONE, ibid. Erra il DE LOLLIS quando afferma che della donazione di Ginestra si parla nell’atto del 21 maggio: di essa si fa menzione solo nell’atto del 30 giugno. 367 Archivio di stato di Napoli, Liber donationum, c. 90 B. 368 Cfr. AMATI, Dizionario corografico illustrato dell’Italia, Milano, 1875 e segg., V, p. 854. 369 Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 63, che rimanda al MINIERI-RICCIO, Biblioteca storico-topografica degli Abruzzi, Napoli, 1862, p. 421. 370 c. 65 a, n. CXLVIII: cfr. l’ed. diplomatica, di E. S TENGEL, Die provenzalische Liederhändschrift Cod. 42 der Laurenzianischen Bibliothek in Florenz, nell’Arch. für das Stud. der neueren Spr. und Lit., L (1872), p. 281. 366 C nisce alcuna indicazione circa l’autore della cobla di risposta; né alcun’altra rubrica è posta, a chiarire il problema, prima di questa ultima cobbola. E nemmeno si può trarre, naturalmente, qualche dato sicuro dalla lirica Non sai qe ie die che segue alle nostre cobbole, preceduta dalla rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl, poiché tale rubrica non prova nulla, mi sembra, riguardo a ciò che precede 371. Non ci resta quindi che ricorrere ad elementi interni, che tuttavia sono anch’essi tutt’altro che abbondanti e sicuri. L’accenno ai fol però sembra essere un richiamo alle gualchiere di Palena. È stato obiettato dallo Schultz-Gora372 che Sordello non poté prender moglie da vecchio; ma è obiezione senza fondamento, perché — a parte il fatto che, come osservano il De Lollis 373 e il Merkel374, un matrimonio di interesse sarebbe pur sempre stato possibile anche in età molto tarda375 — nulla ci obbliga a pensare a un matrimonio re- Il NAETEBUS, nella sua rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 204, vorrebbe riferire la rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl non ai versi che seguono — i quali, come vedremo, non appartengono certo al trovatore mantovano, ma sono un motet francese che si ritrova in varie raccolte — ma alla cobla di risposta del nostro componimento. Egli pensa che questa annotazione potesse trovarsi nel margine dell’antigrafo o in un altro ascendente di P accanto alla cobla Sordels diz mal de mi, e che la sua collocazione prima dei versi francesi Non sai qe ie die — coi quali in questo caso non avrebbe alcun legame — sia da attribuirsi all’arbitrio di un copista; e vorrebbe intendere pro Karl nel senso di «anstatt Karls», ammettendo in conseguenza che anche la cobla di risposta sia stata scritta da Sordello, il quale in essa avrebbe dato forma poetica a una frase di Carlo d’Angiò occasionata dalla cobla di Sordello. È una ipotesi assai acuta, ma non certo tale da essere accettata senza riserve, e di fronte alla quale si resta assai incerti. — Un indizio dell’appartenenza di queste coblas agli anni in cui Sordello visse in Italia, e quindi, nel nostro caso, agli ultimi anni della vita del trovatore, e della identificazione del «seignor» con Carlo d’Angiò potrebbe anche essere il fatto che le coblas si trovano nel manoscritto P, scritto in Italia, che ci conserva pure un altro testo unico, da riferirsi però alla giovinezza del trovatore, e cioè lo scambio di cobbole con Aimeric de Peguilhan (n. XXX di questa edizione). Ma anche questo, in verità, è un argomento tutt’altro che sicuro. 372 Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209. 373 Vita e poesie, p. 63 e seg. 374 L’opinione dei contemporanei sull’impresa di Carlo d’Angiò, p. 133, n. 3. 375 Tanto più — si potrebbe aggiungere — che Carlo talora diede in moglie a qualche barone, per assicurargli una ricompensa, qualche nobile damigella o vedova del reame che possedesse feudi: basti citare come esempio caratteristico quello offerto dal Liber donationum Caroli Primi, c. 103, ove è detto: «Seville, jadis fame de Rogier de Terne, est doneie a fame a Adenaise de Tarascon o toute sa terre, c’est a ssavoir: 371 Le castel de Terne Le castel de Rocque } vaut L unces » (cfr. P. DURRIEU, Études sur la dynastie angevine de Naples, p. 218). CI cente, potendo la frase accennare a un matrimonio anche di data notevolmente anteriore376. Più seria è l’obiezione mossa dal Torraca 377, che Sordello non poteva dirsi «paubre d’aver» dopo la donazione di questi feudi; ma si può superare, pensando che Sordello non fosse contento di tali donazioni (che forse potevano parergli esigue di fronte a quelle fatte ad altri baroni o situate in luoghi troppo lontani e scomodi), o che la cobla di Sordello sia stata scritta subito dopo la donazione, quando ancora egli, ammalato (come appare dal v. 4) e forse impossibilitato a muoversi, non aveva riscosso alcuna rendita dai suoi feudi lontani378. Né è obiezione di gran peso il fatto che Carlo d’Angiò non ci ha lasciato versi provenzali, ed è noto solo come autore di versi francesi: da un lato, parecchi suoi componimenti saranno andati perduti, ed è verisimile che abbia scritto in ambiente provenzale qualche componimento d’occasione in lingua occitanica; d’altra parte nulla toglie che egli abbia scritto o fatto scrivere questa cobla, eccezionalmente, per rispondere a Sordello379. Dopo le donazioni di Carlo, Sordello non dovette vivere a lungo. Tale è anche l’opinione delI’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVI e seg. Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 32 e seg. 378 Si potrebbe anche pensare che la cobbola di Sordello sia stata scritta prima della donazione dei feudi, e la risposta di Carlo d’Angiò subito dopo; ma non è certo il caso di pensare, col FAURIEL e col MERKEL, che la cobbola di Sordello sia stata scritta quando il trovatore giaceva ammalato a Novara e la risposta di Carlo dopo le note donazioni (e in particolare dopo quella delle gualchiere di Palena): tre anni di distanza sono troppi, come ebbe giustamente ad osservare il TORRACA (Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 33). Cfr. inoltre TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 200. 379 Per la tesi favorevole all’identificazione del «seignor» di questo componimento con Carlo d’Angiò cfr. principalmente: DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 48 e seg., 63 e seg., Pro Sordello de Godio, milite, p. 191 e segg.; GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 388; MERKEL, L’opinione dei contemporanei sull’impresa italiana di Carlo d’Angiò, p. 405, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 26, e rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 224; NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 204; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 263 e seg. e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 291 e seg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVI e seg. Credono invece o inclinano a credere che si tratti di Raimondo Berengario IV lo S CHULTZ-GORA, Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 126, e Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 209; l’APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, col. 229; il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 31 e seg., Sul «Pro Sordello» di C. De Lollis, p. 30 e segg., e Noterelle provenzali, in Atti della R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, n. s., vol. XII, 1931-32, p. 245; il TALLONE, Un nuovo documento intorno a Sordello, p. 197 e segg.; il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 80. Cfr. anche APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, col. 229. 376 377 CII I feudi a lui assegnati infatti il 30 agosto 1269 venivano concessi 380, sempre con la stessa dichiarazione di valore (200 once d’oro), a Bonifacio di Galibert, un cavaliere provenzale che aveva fatto parte anch’egli della corte di Carlo d’Angiò in Provenza, e che aveva poi, al pari di Sordello, seguito Carlo in Italia 381. Nel registro non è notato se il trasferimento sia accaduto per cambio oppure per la morte di Sordello; ma il fatto che nei registri angioini, come risulta dalle diligenti ricerche del De Lollis382, il nome del nostro trovatore non compaia più, porta, a formulare l’ipotesi che nella stessa estate del 1269 egli sia morto senza eredi, non sappiamo bene in quale località, ma certo in Italia, e verisimilmente nel reame angioino 383. Circa il modo in cui Sordello venne a morte si è assai discusso. Benvenuto da Imola afferma che correva voce che Sordello fosse stato fatto uccidere da Ezzelino da Romano: «timens Eccirinum, formidatissimum hominum sui temporis, recessit ab eo; quem Eccirinus, fecit postea trucidari» 384; e l’anonimo fiorentino ripete la notizia, benché non nasconda i suoi dubbi: «Vuol dire alcuno che poi fu morto di subitana morte, e per questo l’autore il mette in questo luo- Liber donationum Caroli Primi, c. 90 B. Lo ritroviamo infatti, accanto a Sordello, tra i testimoni del trattato di pace firmato tra Carlo e la città di Marsiglia il 26 luglio 1252, dell’atto di cessione della parte superiore di Marsiglia fatta dal vescovo di Marsiglia a Carlo il 30 agosto 1257, e del trattato concluso tra Carlo e i Torriani nel 1265. Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 64, n. 3, lo suppose imparentato con la famiglia dei da Castellane, poiché suo figlio è detto «Refortiatus de Castellana» in un documento del 22 marzo 1283 (Arch. di stato di Napoli, Fasc. ang. 6, c. 131 B). 382 Cfr. Vita e poesie, p. 65 e seg., n. 383 Lo SCHULTZ-GORA suppose (Die Lebensverhaätnisse der italienischen Trobadors, p. 213) che Sordello ritornasse in Provenza e ivi appunto venisse a morte; ma tale ipotesi venne giustamente combattuta già dal RAJNA, Un frammento di un codice perduto, p. 40, e non è stata più ripresa, essendo manifestamente priva di fondamento. — Bonifacio di Galibert tenne i castelli che erano stati di Sordello fino al 1279, anno in cui venne a morte, lasciando erede dei suoi diritti il figlio Reforzat: cfr. il documento del 13 settembre 1279, Arch. di stato di Napoli, Reg. ang., Carolus I, 1276 B, c. 235 B, nel quale si accenna alla morte recente di Bonifacio («Bonifacii de Galberto fidelis nostri qui nuper decessit»). II figlio di lui «Refortiatus» è ricordato il 22 marzo 1283 come «feudatarius et dominus ipsius castri Palene» (Arch. di stato di Napoli, Fasc. ang. 6, c. 131 B). 384 Ed. LACAITA, III, p. 177. 380 381 CIII go; ma che questo intervenisse non si truova» 385. E alcuni studiosi, anche per il luogo assegnatogli da Dante nell’antipurgatorio 386, hanno accolto l’ipotesi della morte violenta o hanno pensato che Dante ritenesse Sordello morto violentemente387. Tale ipotesi però a me sembra inaccettabile. È evidente che la notizia, nella forma in cui si presenta in Benvenuto, non ha fondamento, essendo Sordello sopravvissuto ad Ezzelino. Ma anche ammettendo che l’attribuzione della morte violenta di Sordello a un ordine di Ezzelino sia un’invenzione di Benvenuto, legata al racconto degli amori tra Sordello e Cunizza e all’accenno alla crudeltà di Ezzelino, e che sia corsa realmente voce che il trovatore di Goito perisse di morte violenta, a me non sembra che vi siano motivi sufficienti per ritenere la notizia anteriore a Dante. Per me si tratta di una notizia nata in margine al testo dantesco, ad opera di interpreti che dal luogo in cui è collocato Sordello nell’antipurgatorio desumevano che egli appartenesse alla schiera dei «morti per forza», e supponevano che Dante avesse posto in tale luogo il trovatore perché lo reputava ucciso violentemente. Ed. FANFANI, II, p. 105 e seg. Essi credono, naturalmente, che Sordello faccia parte della schiera dei «morti per forza». 387 Affermano che Sordello forse morì di morte violenta l’ANGLADE, Les troubadours, p. 236 e il MARIGO, ed. del De vulgari eloquentia, Firenze, 1938, p. 125. Il C HAYTOR, The Troubadours, p. 103 si limita a citare l’ipotesi della morte violenta senza pronunciarsi in merito. Credettero che Dante ritenesse il trovatore morto violentemente il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 43, A proposito di «Sordello», p. 306 e seg. e il CRESCINI, rec. al vol. del MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, in Giorn. stor. dela lett. it., XVII, 1896, p. 127; S. SANTANGELO, Dante e i trovatori provenzali, Catania, 1921, p. 13 e p. 188 e segg. Sembra inclinare a porre Sordello tra i «morti per forza» anche il commento di CASINI-BARBI, n. a Purg., VII, 40 (cfr. T. CASINI, Bull. d. Soc. Dant. II., IX, p. 51). Cfr. anche SCARTAZZINI, commento lipsiense alla Divina Commedia, II, p. 89. Assegnano invece Sordello alla valletta il GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 389 e segg.; lo ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, II, p. 1056; e fra i commentatori il Pietrobono, n. a Purg., VI, 5859 e (con l’aggiunta di un «probabilment ») il M OMIGLIANO, n. a Purg., VII, 40. Nega che appartenga alla schiera dei «morti per forza» e lo accosta ai principi della valletta, ponendolo però quasi in una sotto-schiera speciale il PARODI, Il Sordello di Dante, p. 190 e segg., alla cui opinione si attiene anche il D’O VIDIO, Studi sulla Divina Commedia, I, p. 17. Ricollegano il trovatore ai principi della valletta, assegnandogli però una funzione speciale, quella di giudice di tali anime, il CRESCINI, A proposito di Sordello, p. 43 e 60 e segg., e V. ROSSI, commento al Purgatorio, n. a VI, 59 e VII, 40. Il D’ANCONA, Il canto VII del Purgatorio, Firenze, 1901, p. 13 e seg., inclina a credere che Sordello appartenga alla schiera delle anime della valletta, pur senza escludere che Dante abbia voluto in qualche modo distinguerlo da esse. Al P ORENA, comm. al Purgatorio, n. a VII, 40, il trovatore non sembra appartenere a nessun gruppo, ma stare a sé. 385 386 CV II L’OPERA POETICA DI SORDELLO I. POESIE DI SICURA ATTRIBUZIONE E POESIE DI DUBBIA AUTENTICITÀ Tra i trovatori, Sordello è uno di quelli di cui è stato conservato un numero abbastanza cospicuo di liriche; tra i trovatori italiani, poi, egli merita senz’altro, quanto al numero delle liriche pervenuteci, il primo posto. Egli ci ha lasciato infatti quarantatre componimenti di sicura attribuzione388, uno dei quali è il lungo poemetto didattico Ensenhamens d’onor. Per molti componimenti l’attribuzione a Sordello è data concordemente da tutti i manoscritti, o compare ben chiara nell’unico codice che ci ha conservato la poesia. Per qualche altro si presenta qualche oscillazione, che però non dà luogo a vere incertezze, essendo l’attribuzione a Sordello testimoniata dai codici più autorevoli; è il caso della canzone Gran esfortz fai (n. VII di questa edizione), anonima in f e attribuita a Peire Bremon Ricas Novas in T, ma data a Sordello da C R, della canzone Per re no·m puesc (n. VIII di questa ed.), in T anonima e posta dopo a Gran esfortz fai (attribuita al Ricas Novas) ma assegnata da C R a Sordello, e del sirventese morale Qui be·is membra, dato a Sordello da tutti i manoscritti, ad eccezione di I2 K2 che lo assegnano ad Aimeric de Peguilhan. Né suscita gravi difficoltà la attribuzione a Sordello della cobla con tornada Entre dolsor et amar (n. XXXVIII di questa ed.), che è data a Sordello da F, ed è anonima in P. Più complesso è il problema della lirica No·m maraveill si·l marit son gilos (n. XLI di questa ed.), conservata unicamente dal ms. I, c. 124 r., la quale è unita senza alcuna distinzione, come se si trattasse di un’altra strofe di essa, alla lirica Si com estau taing qu’esteja (n. XLII di questa ed.), ma evidentemente va distinta da essa, per la radicale differenza del metro (la prima lirica è in decasillabi, la seconda è in settenari). Siccome però la lirica XLII è preceduta nel codice dalla rubrica Densordels de mantoana possiamo ritenere con molta probabilità che anche la lirica XXI sia da assegnare al trovatore di Goito. Mette conto di osservare che il Grundriss del BARTSCH e la Bibliographie di PILLET e CARSTENS si dimenticano completamente di questa lirica, che non è registrata né tra le poesie di Sordello, né tra le anonime, né tra quelle di altro trovatore, come ho potuto constatare, per la Bibliographie, scorrendo la tavola delle rime. Il BARTSCH la riteneva certo un tutto unico con la lirica Si com estau, come si scorge anche dal rimando al MAHN, Gedichte der Trobadors, Berlin, 1856-73, n. 1276 (benché, a dire il vero, il MAHN distingua abbastanza chiaramente con un trattino e con una numerazione indipendente la seconda lirica dalla prima). Nella Bibliographie del PILLET e del CARSTENS si tratta di una vera e propria svista (favorita certo dalla dimenticanza del BARTSCH), perché la lirica Si com estau — che conserva il n. 32 assegnatole dal BARTSCH — è accompagnata dall’indicazione «cobla», il che mostra che il PILLET e il CARSTENS hanno giustamente considerato tale lirica una cobla isolata, ma si sono poi dimenticati di registrare anche la lirica No·m maraveill. Forse la svista del PILLET e del CARSTENS fu favorita dal fatto che il DE LOLLIS non pensò a corredare la sua edizione di un indice delle poesie in essa contenute. Avverto che nelle introduz. che accompagnano i testi sono sempre notate le attribuzioni date dai codici per ciascun componimento. II sirventese Un sirventes farai ses alegratge, attribuito a Sordello dalla tavola di C, non è certamente del trovatore di Goito: la rubrica che lo precede nel ms. C a c. 267 r. lo dà a Bertran d’Alamanon, mentre M (c. 234 v.) lo attribuisce a «Pere Bremont»; e oggi il componimento viene generalmente riconosciuto come opera di Bertran d’Alamanon: cfr. SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 1 e segg.; P. C. 76, 22. 388 CVI Di questi componimenti, come è noto, quaranta (ivi compreso l’Ensenhamen d’onor) si trovano già nell’edizione del De Lollis. Ad essi si sono aggiunti in seguito la canzone Er encontra·l temps de mai (P. C. 437, 4 a; n. VI di questa ed.) e la tenzone con Joanet d’Albusson (P. C. 437, 10 a; n. XIII di questa ed.), conservate solo nel ms. a’ e pubblicate per la prima volta dal Bertoni 389, e la lirica Mant home·m fan meravilhar (P. C. 437, 20 a; n. XL di questa ed.) sfuggita alle indagini precedenti e data alla luce per la prima volta, di su l’unico ms. R, da Alfred Jeanroy390. Oltre a questi 43 componimenti certi abbiamo altre due liriche la cui attribuzione è assai discutibile. La prima è la breve lirica francese Non sai qe ie die, che già abbiamo avuto occasione di ricordare, conservata dal cod. P, c. 65 a, n. CXLIX391 ove è preceduta dalla rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl. Fondandosi sulla rubrica il Bartsch nel suo Grundriss registrò il componimento tra le poesie di Sordello, al n. 22; e tra le poesie di Sordello, con lo stesso numero, la lirica compare anche nella Bibliographie di A. Pillet e H. Carstens. Ma in realtà il componimento non è altro che un motet francese, che compare due volte392, anonimo, con poche differenze rispetto alla Nuove rime di Sordello di Goito, p. 285 e segg. Poésies provençales inédites, p. 476 e seg. 391 Cfr. l’ed. diplom. dello STENGEL, p. 282. I versi vennero ripubblicati anche dal MERKEL, L’opinione dei contemporanei sull’impresa italiana di Carlo d’Angiò, p. 406, n. 2. 392 n. CXLI, c. 235 r. e n. CCXXX, 2, c. 305 v. 389 390 CVII redazione di P, nella raccolta di liriche francesi conservata nel codice della biblioteca della Facoltà di medicina di Montpellier (prima metà del sec. XIV) e nel frammento di una raccolta di motets francesi e latini della seconda metà del sec. XIII che costituisce oggi il cod. add. 30091 del British Museum 393. Perciò il Meyer, nel suo studio Des rapports de la poésie des trouvères avec celle des troubadours394 osservava che molto probabilmente il componimento non è di Sordello; e forti dubbi sulla attribuzione al trovatore mantovano avanzava il De Lollis 395, il quale notava che alla rubrica di P non si deve dare gran fede, essendo essa «di conio italiano» come quella che va innanzi alle cobbole scambiate tra Sordello e Carlo d’Angiò, che immediatamente precedono, cosicché si può formulare l’ipotesi che la rubrica risalga al compilatore di P, il quale pensò di attribuire a Sordello questi versi francesi perché i versi provenzali che nel ms. da cui egli trascriveva li precedevano apparivano chiaramente di Sordello in quanto il nome del trovatore compare nel primo verso della cobla di risposta; indotto a ciò forse anche dal fatto che in questi versi francesi si impreca contro l’avarizia, e l’accusa di avarizia è rivolta spesso da poeti e cronisti a Carlo d’Angiò396. Il De Lollis formula, accanto a questa, anche un’altra ipotesi (che il De Lollis dice «altrettanto probabile» della prima, e che io credo in fondo più plausibile), che cioè l’attribuzione a Sordello, dovuta alla fama che il trovatore di Goito godeva come autore di poesie morali, risalisse a un’epoca anteriore alla compilazione del codice P397, e aggiunge che forse la lirica già circolava, indipendentemente da tale attribuzione, riferita a Carlo d’Angiò, in conseguenza della solita e ben nota accusa di avarizia. Vi è stato anche chi, come il Il testo del cod. di Montpellier è stato pubblicato dal DE COUSSEMAKER, L’art armonique aux XIIe et XIIIe siècle, Paris, 1865, p. 214 (con alcuni errori, come sais al v. 1 in luogo di sai, e vilainie al v. 2 in luogo di vilanie); il testo del cod. del British Museum è stato stampato da P. MEYER, Mélanges. III. Motets, in Romania, VII, 1878, p. 101. Il motet è stato ristampato, tenendo a fondamento il cod. di Montpellier, con le varianti degli altri due, da G. RAYNAUD, Recueil des motets français des XIIe et XIIIe siècle, I, Paris, 1883, p. 165 e 316. 394 Romania, XIX, 1890, p. 34. 395 Vita e poesie, p. 98, n. 1; e cfr. XV, Apparato critico. 396 Si potrebbe aggiungere che la cobla di Sordello Toz hom me van disen, che precede, poteva sembrare un’accusa all’avarizia del «seignor» che si difende nella cobla di risposta Sordels diz mal de mi: cosicché al copista di P (o al compilatore del suo antigrafo) parve da attribuire a Sordello anche il motet. 397 Anche P. MEYER, Des rapports de la poésie des trouvères avec celle des troubadours, in Romania, XIX, 1890, p. 34, afferma che il nostro motet deve la sua introduzione in un canzoniere di rime provenzali al fatto che era attribuito a Sordello. 393 CVIII Naetebus398, ha pensato, come si è visto, che la rubrica Aqest fe messer Sordel pro Karl non sia altro che una nota marginale esistente nell’antigrafo o in un altro ascendente di P e riferentesi alla cobla Sordel diz mal de mi, che precede, erroneamente interpretata come una osservazione riferentesi ai nostri versi francesi, e introdotta nel testo a modo di rubrica dei versi francesi in conseguenza di questa falsa interpretazione. Comunque siano andate le cose — su questo punto, come è ovvio, dobbiamo accontentarci di ipotesi — io ritengo con la maggioranza degli studiosi 399 che questi versi non siano di Sordello, e perciò li ho senz’altro esclusi, come ha fatto il De Lollis, dalla raccolta delle poesie del nostro trovatore. Mentre però il De Lollis ha creduto bene non pubblicare il componimento nemmeno in una nota o in una appendice, io ho ritenuto più opportuno ristampare questi versi in appendice, per offrire agli studiosi la possibilità di seguire meglio questa discussione intorno ad essi. L’altro componimento di dubbia attribuzione è il sirventese «lombardo» Poi qe neve ni glaza che si trova, anonimo, in fondo al codice Campori (a’), e che fu dato anch’esso alla luce per la prima volta dal Bertoni400: componimento che, come mostrò il Bertoni, deve risalire al sec. XIII, e doveva molto probabilmente trovarsi nella raccolta di rime messa insieme da Bernart Amoros. Il Bertoni notò che l’autore del componimento fu certo un poeta esperto del provenzale, e quasi certamente un trovatore italiano 401, e mise avanti l’ipotesi che potesse trattarsi di Sordello, ricordando il noto passo del De vulgari eloquentia, in cui Dante celebra il trovatore mantovano: «Dicimus ergo quod forte non male opinantur qui Bononienses asserunt pulcriori locutione loquentes, cum ab Ymolensibus, Ferrarensibus et Mutinensibus circumstantibus aliquid proprio vulgari asciscunt, sicut facere quoslibet a finitimis suis conicimus, ut Sordellus de Mantua sua ostendit, Cremone, Brixie atque Verone conCfr. la nota 371. Nel P. C. questi versi sono però elencati tra i componimenti di Sordello (437, 22): e come di Sordello erano già stati registrati dal BARTSCH nel suo Grundriss. 400 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 298 e segg. Venne successivamente ristampato dal SAVJ-LOPEZ e dal BARTOLI, Altitalienische Chrestomathie, Strassburg, 1903, p. 43; ed è stato recentemente edito di nuovo, in modo assai migliore, da F. A. UGOLINI, Testi antichi italiani, Torino, 1942, p. 92 e segg. 401 Nuove rime di Sordello di Goito, p. 306 e seg. Giustamente il BERTONI osserva, fra l’altro (p. 307, n.), che dal no m’acresco dei vv. 7-8 si può forse dedurre che l’autore del sirventese aveva composto anche sirventesi provenzali. 398 399 CIX fini: qui, tantus eloquentie vir existens, non solum in poetando, sed quomodocumque loquendo patrium vulgare deseruit» (I, XV, 2)402. Sul passo molto si è disputato; e alcuni studiosi, come il D’Ovidio403 e il De Lollis404, pensarono che il periodo — in verità non del tutto perspicuo — sia gravemente corrotto o lacunoso. E molto spazio sarebbe necessario per passare in rassegna e per ridiscutere punto per punto ogni interpretazione. Ma dal contesto in cui le frasi riguardanti Sordello sono collocate — la lode cioè data ai Bolognesi, in quanto fondono nella loro parlata i caratteri delle parlate vicine, contemperando la mollezza degli Imolesi con la garrulitas dei Ferraresi e dei Modenesi — mi sembra risulti evidentemente inaccettabile l’interpretazione del De Lollis405, secondo la quale Dante colla frase patrium vulgare deseruit volle semplicemente dire che Sordello abbandonò il patrio volgare per poetare sempre in provenzale 406. Forse nel deseruit e nel quomodocumque loquendo si può nascondere anche un accenno all’uso del provenzale da parte del poeta mantovano sia nei suoi componimenti poetici sia nelle eloquenti conversazioni tenute nelle corti di Provenza durante il suo lungo soggiorno oltralpe (che a Dante fu certamente noto) 407; ma qui Dante deve aver voluto dire che Sordello ha fatto individualmente ciò che i Bolognesi han fatto collettivamente, cioè ha saputo contemperare nell’arte della parola i caratteri della lingua di Mantova con quelli della lingua delle città confinanti, e ha voluto quindi accennare, indubbiamente, a composizioni in volgare italico; ed è quindi nel vero il Marigo, il quale ritiene408 che «l’insieme del ragionamento di Dante porta a pensare in primo luogo ad eloquenza oratoria e poetica in volgare italiano». Si può formulare con lo Zingarelli 409 l’ipotesi che col quomodocumque loquendo Dante alludesse «a conversazioni auliche, a discorsi, arringhe, delle quali egli doveva sapere, composte in un volgare italiano che non lasciava trapelare il dialetto nativo»; e si può anche pensare che alludesse a com- Cito il passo dall’ed. del MARIGO, Firenze, 1938, p. 124 e segg. Saggi critici, Napoli, 1878, p. 400 n. 1. 404 Vita e poesie, p. III e segg. 405 Ibid. 406 Secondo il DE LOLLIS (ibid., p. 115 n.) qui loquendo avrebbe un senso assai vicino a quello di poetando «che pur sta sintatticamente ad avversare». Il MARIGO (ibid., p. 126) vi vede invece, più giustamente, una allusione alla «parola eloquent» di Sordello «nei vari uffici di uomo di corte». 407 Cfr. ed. MARIGO, p. 126. 408 Ibid. 409 La vita, i tempi e le opere di Dante, p. 574. 402 403 CX ponimenti poetici in volgare italiano, a lui noti e poi perduti. Per questo la suggestiva ipotesi che il nostro «sirventes lombardo» — che è componimento tutt’altro che «rozzo», come un po’ sbrigativamente e superficialmente lo definisce il Marigo, anzi una lirica di ispirazione dotta e aulica, e piena di provenzalismi — possa essere di Sordello è certo alquanto arrischiata, come osserva l’Ugolini 410, ma non si può mettere del tutto da parte. E per questo, pur senza accogliere l’attribuzione messa innanzi dal Bertoni, anzi lasciando sussistere ogni ragionevole dubbio intorno ad essa, ho accolto anche questo componimento nell’appendice 411. 2. SGUARDO GENERALE ALLE LIRICHE DI SORDELLO. LE LIRICHE FRAMMENTARIE Le quarantadue liriche che ci restano di Sordello (lasciamo per ora da parte l’Ensenhamen d’onor, di cui tratteremo più oltre) hanno notevole varietà. Il gruppo più numeroso è costituito dalle canzoni, che (se guardiamo solo ai componimenti giuntici per intero) sono dodici (I-XII)412; di esse una (I) è una canzone con ritornello. Sette sono i sirventesi: due politici (XIX e XX), due morali (XXI e XXII), e tre personali (contro Peire Bremon Ricas Novas: XXIII- La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXVII. Oltre agli scritti citati del D’OVIDIO, del DE LOLLIS, del BERTONI, dello ZINGARELLI, dell’UGOLINI, si cfr. sulla questione dell’interpretazione del passo del De vulgari eloquentia e la possibilità che Sordello abbia composto versi anche in volgare italiano: P. RAJNA, ed. crit. del De vulgari eloquentia, Firenze, 1896, p. CXCIX e seg.; CRESCINI, Sordello, p. 33; PARODI, rec. al vol del DE LOLLIS, in Bullettino della Società dantesca italiana, n. s., II, 1894-95, p. 122, e Il Sordello di Dante, p. 189 e seg. Su tale questione, e insieme sul problema dell’autore del «sirventes lombardo» cfr.: NOVATI, Il canto VI del Purgatorio, p. 51 (il quale, pur ammettendo a p. 26 che Sordello poetasse, tornato in Italia, anche in volgare italiano, crede che il sirventese sia opera non di un italiano ma di un provenzale venuto in Italia, «spinto da vaghezza di novità ad abbandonare per brev’ora il suo idioma nativo... per piegare a modi poetici la favella che udiva suonargli dintorno»); DE BARTHOLOMAEIS, La poesia provenzale e l’Italia, p. 56 e Primordi della lirica d’arte in Italia, p. 67 e seg. (il quale accenna alla possibilità che il componimento sia di Sordello, pur non escludendo che possa essere stato opera di altro scrittore); VISCARDI, Poesie di Sordello, p. 679 (che riferisce l’ipotesi del BERTONI, senza pronunciarsi in merito). 412 Tutti i numeri con cui vengono citati i componimenti di Sordello rimandano al nuovo ordinamento che ho creduto opportuno di dare in questa edizione alle rime sordelliane. Stimo superfluo d’ora innanzi avvertirlo ogni volta. 410 411 CXI XXV). Di planh vi è un solo esempio: ed è il celeberrimo compianto scritto per la morte di Blacatz (XXVI). Le tenzoni e i partimen, quasi tutti di argomento amoroso, sono complessivamente sei. Delle due tenzoni una, appartenente alla produzione giovanile del trovatore e anteriore alla sua andata oltralpe, venne scambiata con Joanet d’Albusson (XIII); l’altra fu scambiata con Peire Guilhem de Tolosa, durante il soggiorno in Provenza (XIV). Dei quattro partimens il primo, scritto quando Sordello era ancora in Italia, fu scambiato con Guilhem de la Tor (XV); gli altri tre, composti durante la dimora oltre le Alpi, furono scambiati con Guilhem Montanhagol (XVI) e con Bertran d’Alamanon (XVII e XVIII)413. Un’altra lirica costituisce un interessante esempio di salut (XXXIII); un’altra è un componimento scritto in occasione della crociata, a cui, come si è visto, Sordello rifiuta di partecipare (XXIX). Tre sono gli scambi di cobbole; uno, giovanile, con Aimeric de Peguilhan (XXX), uno con Montan, scritto in Provenza (XXXI), e uno, come sembra probabile, con Carlo d’Angiò, scritto — se questa ipotesi coglie nel vero — in Italia, durante gli ultimi anni della vita del poeta (XXXII). Due altre liriche sono brevi componimenti di due coblas con tornada, uno di argomento amoroso (XXXVI), l’altro di argomento morale (n. XL). E le liriche rimanenti constano tutte di una sola cobla, con o senza tornada. Le coblas con tornada sono tre: XXXVIII, XXXIX, XLI. Le coblas uniche senza tornada sono sei: XXVII, XXVIII, XXXIV, XXXV, XXXVII, XLII (nel n. XXVIII la cobla è però preceduta da un verso a mo’ di rubrica). Le coblas isolate, con o senza tornada, sono, come si vede, assai numerose. Probabilmente però parecchie di tali liriche non sono state composte originariamente da Sordello nella forma in cui oggi si presentano, e sono avanzi di componimenti più ampi, di cui è andata perduta una parte. Che ciò sia potuto avvenire è mostrato in modo evidente dalla sorte di varie liriche sordelliane, tramandate per intero in alcuni manoscritti, ma conservate soltanto in parte in altri codici, specialmente in F e in D c. In F infatti della canzone Aitant, ses plus (II) sono conservate solo le coblas prima e quinta, della canzone Bel m’es (IV) solo la cobla seconda (preceduta però dal primo verso della lirica), della canzone Dompna, meillz (V) solo le coblas prima e La lirica XVIII (Doas domnas) è indicata come «tenzone» nel P. C. (n. 11); ma in realtà si tratta piuttosto di un partimen, e come tale la definisce lo JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 268. 413 CXII terza, del sirventese Qui be·is membra (XXII) solo le coblas terza e quarta (precedute dal primo verso)414; e in Dc, il noto florilegio di Ferrarino da Ferrara, della canzone Aitant, ses plus (II) rimane solo la prima cobla, quasi fosse una cobla esparsa, della canzone Atretan dei (III) son rimaste solo le coblas terza e quinta (precedute dal primo verso della lirica), e della tenzone con Peire Guilhem de Tolosa (XIV), del partimen con Guilhem de la Tor (XV) e del planh in morte di Blacatz (XXVI) restano soltanto, rispettivamente, i vv. 35-36, 29-30 e 31-32. Questo fatto si nota anche in H, in cui della canzone Bel m’es (IV) compaiono solo la seconda cobla e la tornada, e in T, ove della canzone Aitant, ses plus (II) abbiamo solo la seconda cobla415; ma più raramente. Evidentemente dovremo sospettare che siano frammenti soprattutto le coblas che compaiono solo in Dc o solo in F o anche in entrambi questi manoscritti. E certamente frammento di una lirica più ampia è la lirica XXVIII, conservata solo in Dc, il cui primo verso isolato è scritto in minio quasi che fosse un titolo: è avvenuto a questo componimento quello che è accaduto, ad es., alla canzone Bel m’es in F, ridotta, come si è visto, al primo verso e alla seconda cobla416. Ma anche le coblas XXXIV (conservata solo in F) e XXXVII (conservata solo in D c F), di carattere amoroso, mi sembrano quasi sicuramente frammenti di canzone417. Ed è possibile che anche la cobla XXXV (conservata solo in F), di argomento mo- Del partimen Bertrans, lo joy (XVIII) rimane nel codice addirittura solo la seconda tornada, ma ciò è dovuto a una lacuna del codice (i versi della tornada sono all’inizio della c. 9 r., e la c. 8, come è noto, manca) (cfr. l’ed. diplomatica dello STENGEL, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana, Marburg, 1878). 415 Dc e F, che, come è noto, sono due florilegi, danno parzialmente anche molte altre liriche di altri trovatori: ad es., della canz. Ar ab lo coinde pascor di Guilhem Montanhagol (n. II dell’ed. COULET) danno solo la seconda cobla, preceduta a mo’ di titolo dal primo verso della lirica. 416 Si tenga presente anche la sorte del sirventese Qui be·is membra in F, ridotto al primo verso e alle coblas terza e quarta, e della canzone Atretan dei in Dc, ridotta al primo verso e alle coblas terza e quinta. E cfr. la nota precedente. Noto che anche nel P. C. (n. 4) il componimento è detto «Liedfragment». 417 La lirica XXXVII è ritenuta certamente un frammento di canzone dal D E LOLLIS, Vita e poesie, p. 136 (e cfr. p. 85), e a tale opinione inclina anche il P.C. (n. 13); per la XXXIV tanto il D E LOLLIS, ibid., p. 86 e 135, quanto il P. C. (n. 3) restano in dubbio se sia un frammento di canzone o una cobla esparsa. Si confronti la sorte della prima cobla della canzone Aitant, ses plus in Dc, ove è conservata isolatamente. 414 CXIII rale, sia in realtà un frammento di sirventese 418. Né in fondo, è possibile eliminare il sospetto anche per la lirica XXXIX (cobla con tornada, conservata solo in F)419; e forse potrebbe essere formulato anche per altri componimenti 420. Comunque, anche se escludiamo le coblas che sono in realtà frammenti di componimenti più ampi che la tradizione ha conservato solo parzialmente, resta sempre nella raccolta delle rime di Sordello un certo numero di coblas sparse: e cioè, oltre alle cobbole scambiate con Aimeric de Peguilhan (XXX), con Carlo d’Angiò (XXXII) e con Montan (XXXI) — quest’ultima, s’intende, se non si vogliono accettare i dubbi del De Lollis in proposito421 —, la cobbola giovanile contro Fige[i]ra (XXVII) e la cobbola XLII. Il che mostra che anche Sordello coltivò, accanto ai «generi» lirici di più antica tradizione, anche il nuovo «genere» delle coblas, che, comparso alla fine del sec. XII, trovò nel sec. XIII larga diffusione422. 3. LE CANZONI Tra le liriche di Sordello, come si è visto, il gruppo più cospicuo per numero è quello delle canzoni, parecchie delle quali cantano o sembrano cantare l’amore per Guida di Rodez, celata sotto i senhals di N’Agradiva e di Restaur, altre una dama indicata col senhal di Dous’ enemia (che per alcuni sarebbe anch’essa da identificare con Guida), altre forse qualche altra donna: problemi oscuri e difficilmente solubili (tanto che hanno fatto dire al Bertoni, giustamente, che è «cosa molto ardua distinguere ciò che spetta ad una o ad altra donna nelle poesie di Sordello» 423, a cui già si è accennato, e che non occorre, dato che hanno un interesse soprattutto biografico, riprendere in esame qui, ove si vuol guardare un po’ più da vicino la poesia di Sordello, mettendone in luce i principali aspetti e motivi e il valore poetico. Anche il DE LOLLIS, ibid., p. 85 e 130, e il P. C. (n. 8a), pur ammettendo che si possa trattare di cobla esparsa, mettono innanzi anche la possibilità che questa lirica sia un frammento di sirventese. 419 Il sospetto si affaccia anche al DE LOLLIS, ibid., p. 85. Non appare invece nel P. C. (n. 19). 420 Il DE LOLLIS, ibid., ad es., pensa che sia possibile che anche lo scambio di cobbole con Montan (XXXI) sia un frammento di un componimento più ampio, ossia di una tenzone. Secondo il P. C. anche il n. XXXVIII potrebbe essere un frammento. 421 Ibid. 422 Ibid.; JEANROY, La poésie lyriques de troubadours, II, p. 274 e segg. 423 I trovatori d’Italia, p. 79. 418 CXIV Nelle canzoni Sordello ripete assai spesso, con poca varietà, motivi tradizionali in tutta la lirica trobadorica, ricantandoli per lo più senza grande novità: come gli esordi ispirati alla stagione (peraltro assai poco sviluppati, anzi spesso appena accennati)424, il dolore della lontananza425, il tormento che dà l’amore 426 e la dolcezza che pur nasce dall’affanno 427, l’alternarsi di momenti di gioia e di tristezza428, la devozione alla donna, a cui il poeta ha consacrato tutto se stesso, talvolta espressa nella consueta forma del «vassallaggio d’amore» 429, la timidezza di fronte all’amata430. Tuttavia non mancano anche motivi che diventano comuni solo presso i trovatori del sec. XIII, e costituiscono una innovazione rispetto alla lirica precedente. Tra questi specialmente è notevole una certa idealizzazione dell’amore, che avvicina il trovatore mantovano a Guilhem Montanhagol, che di questo nuovo spiritualismo amoroso è appunto in terra occitanica il massimo interprete. Il Montanhagol, nella canzone Ar ab lo coinde pascor afferma che l’amore non è peccato, anzi è un dovere, in quanto è fonte di virtù e guida verso il bene, induce alla virtù e rende buoni i malvagi e migliori i buoni: Ben devon li amador de bon cor servir Amor, quar amors non es peccatz, anz es vertutz que·ls malvatz fai bos, e·lh bo·n son melhor, Un esordio primaverile si trova nella canzone Er encontra·l temps de mai (VI); e un accenno, ridotto al solo primo verso, si ha nella canzone Tant m’abelis (XI). Un esordio estivo si nota invece nella canzone con ritornello Ailas, e que·m fau (I). Un accenno ad un esordio invernale con richiamo all’estate (varietà di cui, come è noto, aveva dato esempio per primo Marcabruno) si trova nella canzone Atretan deu (III). 425 Cfr., ad es., le canzoni Ailas, e que·m fau (I), v. 8-10, 23-26, 50; Dompna, meillz (V), v. 46; Er encontra·l temps de mai (VI), v. 7-8 e 25 e segg.; Gran esfortz fai (VII), v. 13 e segg.; Qan plus creis (IX), v. 32, ecc. 426 Cfr. ad es. le canzoni Atretan dei (III), v. 25 e segg.; Gran esfortz fai (VII), passim; Si co·l malaus (X), v. 12, ecc. 427 Cfr. ad es. la canzone Si co·l malaus (X), v. 9 e segg., ecc. 428 Cfr. ad es. le canzoni Aitant, ses plus (II), v. 1 e segg.; Tos temps serai (XII), passim, ecc. 429 Cfr. ad es. le canzoni Aitant, ses plus (II), v. 42-43; Atretant dei (III), v. 18, 46; Bel m’es (IV), v. 4, 35; Dompna, meillz (V), v. 8-10, 19-20, 51-52, ecc. Per l’immagine del vassallaggio cfr. specialmente la canzone III, v. 46. L’immagine del vassallaggio ritorna più ampiamente nel salut (XXXIII), v. 3 e segg. 430 Cfr. ad es. la canzone Per re no·m puesc (VIII), v. 31 e segg. 424 CXV e met om’ en via de ben far tot dia; e d’amor mou castitatz, quar qui·n amor ben s’enten no pot far que pueis mal renh.431 E proclama in un’altra canzone (No sap per que) che egli si fa custode dell’onore della sua donna: Triat vos ai, dompna, mi ses enjan, de bon talan, que ben gar vostr’onor...432 E nel sirventese Nulhs om no val afferma che è indegno del nome di amante e non deve essere amato l’uomo che invita la donna a commettere una colpa, un’azione che possa toglierle onore: Mas ieu no tenc que si’ enamoratz cel qu’en amor vay ab galiamen; quar non ama ni deu esser amatz om que sidons prec de nulh falhimen, qu’ amans non deu voler per nulh talen ren qu’a sidons tornes a desonransa, qu’amors non es res mas aysso qu’ enansa so que ama e vol ben lialmen, e qui·n quier als, lo nom d’amor desmen.433 Anche Sordello dice di preferire la morte all’ottenere una gioia che rechi nocumento al «fin pregio» della donna amata: Aital m’ autrei, fis, vertadiers, a vos qu’ etz ses par de valor, q’eu am mais morir ab dolor, qe de vos mi veng’ aligriers q’al fin pres q’en vos s’abrija puesca dan tener; e si ja mais me trobaz vas vos d’autre talen, ja non aiaz merce ni chausimen.434 Bisogna, infatti, che l’amante ami soprattutto l’onore della dama: perciò Sordello prega la sua donna di non volergli concedere ciò che egli possa chiederle contro il suo onore: Q’ amar non pot nuls cavaliers sa dompna ses cor trichador, s’engal lei non ama sa honor; per qe·us prec, bels cors plazentiers COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, n. II, v. 11 e segg., p. 70. Ibid., n. IX, v. 17 e segg., p. 131. 433 Ibid., n. X, v. 10 e segg., p. 140. 434 Canz. Qan plus creis (IX), v. 9 e segg. 431 432 CXVI qe pauc ni gaire ni mija non fassatz de re qe·us dija, q’esser puesca contra·l vostr’onramen. Gardaz s’ie·us am de fin cor leialmen!435 Preghiera, questa, che ritorna anche altrove: E si·m fai ren desirar amors, qe non deiatz faire, per merce vos voill pregar qe no·m faissatz pauc ni gaire, qar mais am ‘ viur ‘ ab turmenz qe vostre prez vailla menz, dompna, per re qe·m fassatz...436 E all’onore della dama il poeta ha sempre rivolto lo sguardo, tanto che spesso introduce nelle sue liriche la frase salvan s’onor o le frasi similari salvan vostr’ onramen e gardan son pretz437, ripetute, è vero, talora meccanicamente, quasi come formule fisse — e forse, come abbiamo visto, secondo alcuni usate nelle liriche scritte per Guida di Rodez come frasi destinate ad esprimere la particolare venerazione del trovatore per questa dama e a caratterizzare, per così dire, i componimenti a lei dedicati438 —, ma che mostrano quanto Sordello si compiacesse di questo motivo. Per questo il trovatore mantovano dichiara di rinunciare ad assaporare il dolce frutto dell’amore, la cui dolcezza si volgerebbe in amarezza: qu’ eu non voill ges nul fruit asaborar, per que lo dolz me tornes en amar439 e di esser ben più felice di servir la sua dama, senza riceverne alcuna concessione, che di amare un’altra, la quale tutta gli si concedesse: e quar non sai autr’el mon tan presan de qn’ie·n preses plaser jazen baisan...440 E quar am de bon pretz ses par, am mais servir lieys en perdo qu’autra q’ab si·m degnes colgar441 E aggiunge che si appaga soltanto di amare la sua donna e di servirla fedelmente: Ibid., v. 17 e segg. Canz. Dompna, meillz (V), v. 21 e segg. 437 Cfr. la nota 235. 438 Cfr. pag. LXII. 439 Canz. Atretan dei (III), v. 23-24. 440 Ibid., v. 21-22. 441 Canz. Bel m’es (IV), v. 25 e segg. 435 436 CXVII q’asatz ai de vos, cui dezir, sol qe de bon cor me suffratz qe vos posc’amar e servir 442 e di essere illuminato dal riflesso delle virtù dell’amata: e, sitot als no m’enansa, tant creys sos pretz ab onor, qu’ ieu prenc per paya l’onransa; qar gent es de sidons payatz totz fis amans qu’es en sidons honratz443 Il nostro trovatore giunge sino a dichiarare che la dama provvista di pregio e valore è quella di cui non si osa chiedere l’amore: Sabetz a que pot hom triar bona dompna qu’a pretz valen? Quan degus non a l’ardimen que l’auze s’amor demandar; mas quant ela es fol’e savaya, quascus la preya e l’asaya, e sembla que alcus li play als fols captenemens qu’ilh ay; mas a bona dompna prezan auza hom greu dir son talan.444 È vero che sfugge al poeta, un paio di volte, qualche espressione che sembra rivelare un desiderio sensuale, come là dove par che accenni al timore che egli ha di morire per il desiderio del bel corpo dell’amata: S’en breu no·ill pren merces, tan soi cochatz dels mals dun sui per s’amor tormentatz, q’eu tem morir desiran son cors gai, qar loing dels oillz e pres del cor m’estai445 o dove confessa che non può «ses lo joy vius durar» 446; ma (a parte il fatto che si potrebbe per il primo esempio dubitare che la frase abbia veramente un senso crudamente sensuale, potendosi, a mio modo di vedere, restare un po’ incerti se non si tratti piuttosto del desiderio di vedere e di avere dinanzi a sé la donna amata, che è lontana) si tratta — come già notò il De Lollis447 — di momenti Canz. Dompna, meillz (V), v. 28 e segg. Canz. Tos temps (XII), v. 5 e segg. 444 Canz. Per re no·m puesc (VIII), v. 41 e segg. 445 Canz. Si co·l malaus (X), v. 29 e segg. 446 Canz. Aitant, ses plus (II), v. 27. 447 Vita e poesie, p. 78. 442 443 CXVIII passeggeri, forse di reminiscenze e di riecheggiamenti della concezione d’amore diffusa presso i trovatori precedenti, che non riescono a mutare la fisionomia fondamentale della concezione amorosa di Sordello, caratterizzata, come si è detto, da una spiritualizzazione dell’amore448. In armonia con questa idealizzazione dell’amore Sordello — come fa del resto anche il Montanhagol — nel lodare la donna amata lascia da parte ogni particolare relativo al corpo di lei (i v. 29-30 della canzone Gran esfortz fai: que·l cors a gras, delgat, e de bel gran, la car’humil, fresca, ab bel semblan, sono, come già ebbe ad osservare il De Lollis 449, un’eccezione, e, del resto, di non grande rilievo), e si limita ad espressioni generiche e vaghe, in cui ogni particolare fisico sfuma nell’indeterminatezza, come, ad es., nella canzone Si co·l malaus (X, v. 25 e segg.): A, can mal vi sa cara, son cors car, e·l ric senblan, e·l bel aculimen, e·l plazen ris e l’amoros parlar, e·l douz esgart, e·l gai captenemen! o nella canzone Dompna, meillz (V, v. 15 e segg.): que·l cors a dreg e plazen, cara douza e rizen, e natural la beltatz o nella canzone Tant m’abellis (XI, v. 60 e segg.): c’ a si conques e mes a sos comans ab gais semblans, ed ab digz saboros, et ab cor blos de totz faitz malestans, et ab trians entiers aips cabalos...450 A questo proposito il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 152 e seg., si domanda invece se tali tratti in cui «la sensualità erompe con i suoi desideri» non siano indizio di una «insincerità» dell’idealismo amoroso di Sordello, che potrebbe essere «un frutto della moda letteraria», «uno degli influssi della lirica che gli sonava d’intorno, senza per questo rispondere a un intimo bisogno del suo spirito». E aggiunge che ciò spiegherebbe l’atteggiamento canzonatorio di Peire Guilhem de Tolosa e di Blacasset, «ai quali forse non isfuggì questo sdoppiamento del poeta, tra sensuale e casto». Ma a me sembra che il problema della sincerità per così dire psicologica di Sordello sia del tutto secondario, e che (pur riconoscendo il valore dell’osservazione dell’insigne romanista) delle critiche di Peire Guilhem de Tolosa e degli altri derisori dell’amore ideale di Sordello si debba dare almeno in parte, come si vedrà, un’altra spiegazione. 449 Vita e poesie, p. 80. 450 Naturalmente non si vuol negare con questo che esempi di tale genericità si possano trovare anche presso trovatori anteriori al Montanhagol e a Sordello. 448 CXIX Si noti la particolare insistenza con cui ritornano la lode del gentile e amoroso parlare e la lode del sorriso: quest’ultima tanto cara a un altro trovatore italiano contemporaneo — forse di qualche anno più anziano di Sordello 451 — Lanfranco Cigala, che fece di essa uno dei motivi fondamentali della sua lirica 452. Per questa idealizzazione dell’amore le canzoni di Sordello sono notevoli documenti di quella trasformazione della lirica d’amore che si opera nella poesia provenzale del sec. XIII, sia oltralpe che in Italia, e che precorre, entro certi limiti, il «dolce stil novo». Anche a proposito di tale idealizzazione si è assai discusso: e alcuni hanno pensato — dando del fatto una interpretazione strettamente biografica che mi par suscettibile di varie riserve — che essa tragga origine, in Sordello, dell’influenza di Guida di Rodez, dama di assai nobile sentire e di grandi virtù 453, altri hanno pensato — più giustamente, a mio giudizio — che sia legata alla diffusione di queste idee nel mondo letterario e «cortese» del tempo e anche all’influenza diretta del Montanhagol, con cui Sordello, come si è visto, fu in amichevoli relazioni, documentate dal partimen che con lui ebbe a scambiare (XVI), assegnabile agli anni 1241-45. Che l’idealismo Morì infatti tra il 16 marzo 1257 e il 24 settembre 1258 (e non nel 1278, come si credeva), come ha messo in luce l’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XLII e segg.: il che permette di far indietreggiare di circa un ventennio tutta l’attività del trovatore, e anche di considerare più antica di quanto non si credesse e probabilmente riferibile, secondo l’ipotesi del RESTORI (Per le donne italiane nella poesia provenzale, in Giornale dantesco, IX, 1901, p. 206 e seg.), ad Alasia, sorella di Guglielmo Malaspina e vedova dal 1215 di Guglielmo marchese di Massa, la canzone Tan franc cor de dompn’ai trobat, che è quasi certamente un’esercitazione giovanile. L’ipotesi del RESTORI era stata scartata come «non verisimile per ragioni di cronologia» dal DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 157. 452 Su questo punto basti rimandare al BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 153 e segg. 453 L’idea fu formulata decisamente, dapprima, dal FABRE, Guida de Rodez, baronne de Poquières, p. 162 e segg., il quale, esaltando per amor del suo tema l’influenza di Guida, «inspiratrice de la poésie provençale», afferma che Guida «imposa... à Sordel un culte tout platonique et idéal». Alla tesi del FABRE accenna favorevolmente — ricollegandola alla tesi già proposta da A. THOMAS, Francesco da Barberino et la littérature provençale en Italie au moyen âge, Paris, 1883, p. 54, e ripresa e sviluppata con nuovi argomenti dal COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, p. 46 e segg., e da lui accettata, secondo la quale il mutamento nella poesia d’amore nel sec. XIII fu dovuto all’influenza del clero persecutore degli eretici e di ogni immoralità — lo JEANROY (La poésie lyrique des troubadours, II, p. 166 e seg.), il quale nota che «il est remarquable que les deux premiers chantres de l’amour platonique, Sordel et Montanhagol, aient tous deux courtisé Guida de Rodez, dont la vertu parait avoir été très chatouilleuse». Il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 150, ricorda anch’egli, ma brevemente, la tesi del FABRE, senza pronunciarsi su di essa. 451 CXX amoroso di Sordello si debba però esclusivamente all’influenza del Montanhagol, come vorrebbero alcuni critici 454 non mi sembra sostenibile: infatti le liriche del Montanhagol in cui più tipicamente si esprime la concezione dell’amore da cui «mou castitatz», cioè quelle che sono state or ora ricordate, sono, a giudizio del Coulet, posteriori almeno al 1242455, e a tale data è posteriore anche un’altra lirica del trovatore tolosano in cui si scorge qualche accenno a questa nuova concezione 456, mentre almeno una parte delle canzoni di Sordello sembrerebbe verisimilmente da collocarsi a una data precedente. Certo, un’altra lirica del Montanhagol in cui vi è pure qualche accenno alla nuova dottrina d’amore non è databile e potrebbe essere anteriore alle altre457, e si può ammettere che varie altre liriche del Montanhagol siano andate perdute e che da esse Sordello abbia potuto trarre qualche spunto; ma in complesso mi sembra che Sordello non possa ridursi a un semplice imitatore del Montanhagol. Anche se il Montanhagol ha dato alle nuove idee sull’amore un’espressione più netta e più decisa di quella che ha dato loro Sordello, come ha osservato il Coulet458, sì che egli appare il più caratteristico rappresentante di questa nuova corrente, allo stato attuale delle nostre conoscenze Sordello deve ritenersi, a mio giudizio, uno degli innovatori della lirica amorosa del sec. XIII: il che mi sembra confermato, del resto, dai commenti ironici di cui le sue idee sull’amore sono fatte oggetto da parte di Peire Guilhem de Tolosa, nella tenzone di cui ci occuperemo tra poco, e da parte di Granet, che nel suo sirventese Pos al comte, che abbiamo già avuto occasione di ricordare, mette in ridicolo la rinuncia di Sordello ai piaceri del senso: Ben sabon tut d’en Sordel son usage, qe ben ama, ses iauzimen, s’amia, ni ia non voill qe·il vegna d’agradage qe·l colg ab se, qar vergona·l penria.459 Cfr. ad es. A. VISCARDI, Letterature d’oc e d’oil, Milano, 1952, p. 420. La canzone No sap per que pare da collocarsi nel periodo 1242-1250 (COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, p. 29 e 132); la canzone Ar ab lo coinde pascor è da porsi negli anni 1252-1257 (ibid., p. 28 e 72); e il sirventese Nulhs om no val fu composto tra il 1252 e il 1258 (ibid., p. 28 e 144). 456 È la canz. Non an tan dig, VII dell’ed. COULET, che è da ritenersi composta tra il 1242 e il 1250 (ibid., p. 29 e 113). 457 È la canz. Non estarai, a proposito della quale il COULET dice (ibid., p. 122): «rien ne nous permet d’entrevoir la date possible de la composition de cette chanson». 458 Ibid., p. 57. 459 V. 9-12. Cito dall’ed. PARDUCCI, p. 20. Per la data del componimento cfr. la nota 242 del cap. I. 454 455 CXXI Questi attacchi mi sembrano mostrare non solo che Sordello non ripeteva idee allora comuni e andava per così dire «contro corrente», ma anche che appunto appariva come uno dei principali rappresentanti della nuova maniera di poetare, anche se non si può escludere che tali critiche fossero dovute, come ebbe a osservare il Bertoni 460, alla diffidenza che suscitavano queste proteste di idealismo amoroso da parte di un poeta che era giunto in Provenza con la fama di innamorato tutt’altro che platonico e di conquistatore intraprendente ed audace. La questione dovrà essere ripresa più ampiamente, e dovrà essere approfondita anche in rapporto alla posizione, in questo rinnovamento della lirica d’amore, di Lanfranco Cigala, per la quale converrà attendere i risultati degli studi dell’Ugolini, che ha promesso da tempo l’edizione critica completa delle rime del trovatore genovese, nella quale verrà anche più precisamente ricostruita la cronologia delle rime cigaliane 461. Credo però che si debba pensare, non tanto a una innovazione partita da un solo autore, quanto piuttosto — secondo l’ipotesi già affacciata dal De Lollis462 — a un processo di rinnovamento attuato da un «gruppo innovatore» di poeti, in cui deve riconoscersi a Sordello una delle posizioni di primo piano463. Interessante è anche nelle canzoni di Sordello l’analisi dell’origine dell’amore, pur essa cara ai più tardi trovatori, e cara poi agli stilnovisti; la quale si manifesta soprattutto, come già ebbe ad osservare il De Lollis 464, nella canzone Bel m’es (IV), ove il trovatore descrive (v. 9 e segg.) il fenomeno dell’innamoramento notando come dagli oc- I trovatori d’Italia, p. 151. Cfr. il vol. La poesia provenzale e l’Italia, p. XX. L’UGOLINI promette di riprendere ampiamente in esame anche il problema dei rapporti tra la lirica provenzale d’oltr’Alpe e quella del Cigala, e fra la lirica del Cigala e quella degli stilnovisti: cfr. p. XLIII. 462 Nello studio Dolce stil novo e «noel dig de nova maestria», apparso in Studi medievali, I, 1904-05, p. 17. 463 Sul problema del nuovo indirizzo della poesia d’amore nella lirica provenzale del sec. XIII e dei suoi rapporti col «dolce stil nuovo», su cui non è possibile indugiarci in questa sede, cfr. principalmente: DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello, p. 79 e seg., e studio cit.; COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, p. 46 e segg. (che però dà della questione una spiegazione che mi sembra troppo ristretta e inadeguata, in quanto ritiene che il sorgere della nuova concezione dell’amore sia dovuto unicamente alla necessità di «désarmer la rigueur des clercs» e di non dare occasione ai sospetti dell’inquisizione); K. VOSSLER, Die philosophischen Grundlagen zum «süsen neuen Stil» des Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti und Dante Alighieri, Heidelberg, 1904; P. SAVJ-LOPEZ, Trovatori e poeti, Milano-Palermo, 1906, p. 16 e segg.; E. G. PARODI, La lettura di Dante in Orsanmichele, in Bullettino della società dantesca italiana, n. s., XIII, 1906, p. 242 e segg.; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 152 e segg. e Il Duecento, p. 247 e segg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 166 e segg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, op. XX; VISCARDI, Poesie di Sordello, p. 679, e Letterature d’oc e d’oil, p. 418 e segg., 426 e segg. 464 Vita e poesie, p. 80. 460 461 CXXII chi della sua donna Amore gli sia entrato, attraverso gli occhi, nel cuore, e abbia tratto poi con sé il suo cuore, portandolo alla donna, la quale ora lo tiene in suo potere: Gen mi saup mon fin cor emblar al prim qu’ ieu miriey sa faisso, ab un dous amoros esguar que·m lansero siey huelh lairo. Ab selh esguar m’intret en aisselh dia Amors pe·ls huelhs al cor d’aital semblan, que·l cor en trays e mes l’a son coman, si qu’ ab lieys es, on qu’ ieu an ni estia. Anche se le immagini del cuore rubato da Amore o dagli occhi della donna e degli occhi intesi come via per giungere al cuore erano già presenti nei trovatori precedenti465, certo esse ricevono particolare sviluppo presso i trovatori più recenti: e anche per questo Sordello ci appare in armonia col suo tempo, e si può presumibilmente giudicare uno dei trovatori che contribuirono, per così dire, a fissare la maniera poetica predominante ai suoi tempi. Degna di nota è pure — anche questa è una osservazione del De Lollis 466, che qui riprendiamo per render compiuto il nostro esame delle canzoni del trovatore mantovano — l’insistenza con cui in Sordello ritorna la personificazione dell’amore, comune anche presso i trovatori più antichi, ma non presentata presso di essi con quella ricchezza di particolari con cui compare presso i trovatori del sec. XIII. Oltre all’esempio già ricordato della canzone Bel m’es, son da citare due passi della canzone Tant m’abellis (XI): nel primo (v. 15-16) il poeta personifica anche il desiderio e la morte, il primo dei quali fabbrica i dardi che poi Amore scaglia nel cuore, mentre l’altra li tempera; e nel secondo (v. 73-75) Amore intaglia nel cuore del poeta le fattezze della donna amata. Certo, quanto al valore poetico, bisogna riconoscere che le canzoni di Sordello non hanno la grazia, la finezza, l’impeto lirico, la felicità espressiva di quelle di Lanfranco Cigala. Bisogna tuttavia 465 466 Cfr. ibid., p. 81 e 282. Ibid., p. 81. CXXIII anche ammettere che non mancano componimenti o passi in cui il trovatore mantovano riesce a dare espressione abbastanza viva al suo mondo poetico. Specialmente notevoli mi sembrano la canzone Aitant, ses plus (II) che anche il Bertoni467 giudicava uno dei componimenti migliori del poeta, tra le sue cose «più forti e rappresentative», e la canzone con ritornello Ailas, e que·m fau, componimento vivace e grazioso, anch’esso segnalato dallo Schultz-Gora e dal Bertoni468. 4. LE TENZONI E I PARTIMEN Subito dopo le canzoni possiamo collocare, in questo rapido sguardo alle poesie di Sordello, le tenzoni e i partimen, in gran parte di argomento amoroso. L’unica eccezione è infatti la tenzone con Joanet d’Albusson (XIII), che è la più antica delle due tenzoni, perché risale, come si è visto, alla dimora giovanile di Sordello nella Marca Trivigiana. È una tenzone che si potrebbe dire di argomento personale, nonostante qualche accenno all’amore per Cunizza, e che è interessante (oltre per la ricostruzione della biografia del poeta, come si è visto) soprattutto per l’accusa che Joanet d’Albusson muove in essa a Sordello, di essere un giullare e di mendicare doni — accusa che è la stessa che, come vedremo, gli verrà rivolta in Provenza, tra le altre, da Peire Bremon Ricas Novas (il quale citerà proprio la testimonianza di Joanet per convalidare la sua affermazione che Sordello non è cavaliere) — e per la difesa arguta e vivace con cui il trovatore mantovano ribatte l’attacco dell’avversario, sostenendo che non fa il giullare se non per dir bene della sua amica e che ha preso doni solo per fare a sua volta doni a un giullare. Ben più vigorosa e alta sarà la difesa con cui Sordello risponderà al Ricas Novas; ma questo componimento giovanile ne presenta già, in abbozzo, alcuni motivi. Più notevole è la seconda tenzone, scambiata oltre le Alpi con Peire Guilhem de Tolosa (XIV). In essa Peire Guilhem deride Sordello per il suo amore del tutto spirituale, che gli pare (v. 13-18) del tutto strano e fuor del comune: En Sordell, anc entendedor non sai vi mais d’aital color com vos es; que lh’autr’amador 467 468 I trovatori d’Italia, p. 75 e 152. Cfr. anche DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 86 Cfr. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, XXI, p. 243; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81. CXXIV volon lo baizar e·l iaçer, e vos metes a no caler so q’ autre drut volon aver. e insinua (v. 25-30) ironicamente dei dubbi sulla sincerità del trovatore mantovano, invitando il coms presso cui si trova a guardarsi dall’astuzia di lui e a non fidarsi troppo. Tra le risposte di Sordello all’avversario è interessante soprattutto la cobla quarta (v. 19-24), in cui il poeta afferma la purezza del suo sentimento d’amore: De leis vueilh solaz et honor, Peire Gilhem, e si d’amor i mesclava un pauc de sabor, per merce e non per dever, qi·s volges ages tot l’aver, sol q’ ieu n’ ages aqel plazer. Sono versi che vanno anch’essi ricordati, accanto a quelli citati delle canzoni, come documento dell’idealismo amoroso di Sordello. Il più antico dei partimens è quello con Guilhem de la Tor (XV), scritto, come si è visto, quando il trovatore era ancora nella Marca Trivigiana. La questione intorno a cui si impernia il dibattito è posta da Guilhem de la Tor, ed è se debba vivere oppure morire colui a cui la morte ha tolto la sua amica, vedendo che non la può dimenticare. Sordello sostiene che per chi si trovasse in una simile situazione sarebbe preferibile la morte, anche a costo di giungere a darsela con le proprie mani: se egli morisse come la sua dama, sarebbero per lui finiti i pianti e i sospiri, e otterrebbe la lode di aver bene amato. Guilhem de la Tor, come era nella tradizione del genere, sostiene l’opinione contraria. Anche nel partimen con Guilhem Montanhagol (XVI), composto, al pari degli altri due, in Provenza, il quesito non è posto da Sordello, ma dal Montanhagol, il quale domanda all’amico, dicendo di averne avuto espresso incarico dal «comte... proensal» (nel quale, come si è visto, è da ravvisare Raimondo Berengario IV) se preferisca che la sua amia conosca il suo cuore e come egli l’ama, oppure che sia data a lui stesso la possibilità di conoscere il cuore di lei, e se ella lo ama o lo inganna. Sordello dichiara di preferire la prima delle due ipotesi, perché ritiene che conoscendo il suo cuore e osservando la sua fedeltà la donna proverà pietà, e volgerà in gioia il male di cui egli soffre; e si indugia a dichiarare la sua devozione profonda alla dama, a cui egli si è donato, e in cui è la sua morte e la sua vita; mentre il Montanhagol sostiene esser preferibile CXXV leggere nel cuore della dama, per vedere se merita tale fedeltà, perché spesso sotto un bel sembiante si nasconde una grande falsità. Nei rimanenti due partimens (XVII, XVIII) Sordello disputa con Bertran d’Alamanon; e ambedue le volte pone lui stesso il quesito. In Bertrans, lo joy Sordello domanda all’amico se preferisca ottenere l’amore delle dame o la gloria delle armi: e Bertran sceglie le armi, la cui gloria continuamente s’accresce, dichiarando di lasciare a Sordello l’amore, che — egli afferma — non ha mai dato gioia ad alcuno, o solo una gioia passeggera e caduca. Sordello invece difende l’amore, senza il quale nessun uomo può avere «pretz fi», e che gli fa sperare le più grandi gioie del mondo. In Doas domnas è trattato un tema che presenta una certa affinità col precedente (tanto che è lecito pensare che i due componimenti sian stati scritti a breve distanza l’uno dall’altro): Sordello chiede se ami di più quella dama che raccomanda all’innamorato di distinguersi per mezzo delle armi più che può, per meritare il suo amore, o quella che gli raccomanda di non pensare a ciò, se vuole essere amato. Bertran, assumendo una posizione analoga a quella del componimento precedente, sostiene che ama di più quella dama che vuole che l’amico combatta e conquisti onore per mezzo di nobili gesta, poiché se fosse vile sarebbe disonorato, e il disonore ricadrebbe su di lei; e Sordello, che ancora una volta prende le difese dell’amore, afferma invece che ama maggiormente colei che non vuole che l’amico affronti i rischi delle guerre e desidera che si conservi in vita e eviti mutilazioni. Queste tenzoni e questi partimen non hanno certo un rilevante valore poetico, ma sono interessanti come esempi di questi «generi» lirici, e possono stare alla pari di tanti componimenti consimili che ci sono rimasti, tutti generalmente assai modesti dal punto di vista artistico. 5. I SIRVENTESI E IL COMPIANTO Miglior poeta è Sordello nei sirventesi, anzi in alcuni di essi e nel planh egli raggiunge i suoi più alti accenti poetici, sì che è del tutto esatto quel che ebbe a scrivere il Crescini, che Sordello «è, meglio assai che un poeta d’amore, un moralista e un satirico; meglio che un poeta da canzoni, un poeta di sirventesi» 469. Due dei sirventesi, come si è accennato, sono di argomento politico (XIX e XX). Il più antico (verisimilmente anteriore, come si è 469 Cfr. CRESCINI, Sordello, p. 31. CXXVI visto, al maggio 1233), che è il più oscuro, e ci è giunto in non buone condizioni 470, è rivolto contro Raimondo Berengario IV di Provenza, criticato per il suo fiscalismo e la durezza del suo governo, che rendeva irrequieti e ribelli i baroni, tra i quali è ricordato in modo particolare Blacatz. Il più recente, posteriore al 1237, è rivolto contro i «tre diseredati», Giacomo I d’Aragona, Raimondo VII di Tolosa e Raimondo Berengario IV di Provenza: al primo si rimprovera di aver di nuovo perduto Millau, dopo il vano tentativo fatto per riconquistarla 471; al secondo, dopo un accenno non del tutto chiaro alla riconquista di Beaucaire 472, si rinfaccia l’umiliazione subita col trattato di Parigi (1229), che lo aveva spogliato di molti feudi e lo aveva costretto a rinunciare al titolo di duca473; del terzo si dice (posto che così si debba intendere) che riscuote ora le rendite del porto di Marsiglia, ossia della città bassa, che gli erano state tolte dal conte di Tolosa 474. Ha infatti, come vedremo, varie lacune, fra cui quella di un’intera strofe, rilevate dallo stesso copista, che ha lasciato vari spazi bianchi; il che mostra che egli attingeva a un originale già lacunoso, o così danneggiato da essere talora incomprensibile. 471 Su questo fatto cfr. la nota 266 del cap. I. 472 Cfr. su questo punto la nota illustrativa ai v. 21 e segg. 473 Raimondo VII dovette infatti cedere alla corona di Francia una parte dei suoi domini (ossia tutti i territori che possedeva nelle diocesi di Carcassonne, Narbonne, Béziers, Montpellier, Agde, Lodève e Nîmes, e in parte in quelle di Albi e di Rodez) che il re di Francia governò direttamente per mezzo di suoi siniscalchi, e porre sotto il controllo della Chiesa il Venaissin, e conservò soltanto il territorio tolosano e una parte dell’Albigeois, dei quali però veniva proclamata erede, nel caso che egli non avesse altra prole, l’unica figlia sua Giovanna, destinata in isposa e poi maritata nel 1237 ad Alfonso di Poitiers, fratello di Luigi IX. Inoltre Raimondo VII rinunciò ai titoli di duca di Narbona e di marchese di Provenza (cfr. D EVIC, VAISSETE, Histoire generale de Languedoc, VI, p. 639 e seg.; FOURNIER, Le royaume d’Arles et de Vienne, p. 127 e seg.; LAVISSE, Histoire de France, III, 2, p. 8). Raimondo riassunse poi il titolo di marchese di Provenza nel 1234, in seguito al diploma di Federico II che gli accordava l’investitura dei Venaissin e di tutte le terre da lui anticamente tenute nel reame di Arles (cfr. FOURNIER, ibid., p. 142; BOURRILLY, BUSQUET, La Provence au moyen âge, p. 52), e il titolo di duca di Narbona nel 1242 (DEVIC, VAISSETE, ibid., VI, p. 744). 474 Nel 1230 Marsiglia, in contrasto con Raimondo Berengario IV, aveva invocato l’aiuto di Raimondo VII di Tolosa e, accorso questi in aiuto, si era posta sotto la sua signoria con atto del 7 novembre 1230, dando inizio in tal modo a una lunga e complicata guerra che ebbe termine soltanto, dopo vari periodi di ostilità intramezzati da tregue (più o meno lunghe e sempre instabili) con la pace conclusa tra la città e Raimondo Berengario il 22 giugno 1243. Su questa contesa, di cui non è il caso di rievocare qui le complesse vicende, cfr. DEVIC, VAISSETE, ibid., VI, 664 e segg.; FOURNIER, ibid., p. 130 e segg.; BOURRILLY, BUSQUET, ibid., p. 46 e segg.; BOURRILLY, Essai sur l’histoire politique de la commune de Marseille, p. 122 e segg. Cfr. anche le note ai v. 31 e seg. del componimento. 470 CXXVII In complesso sono due liriche di non grande rilievo. Il De Lollis osserva 475 che in esse si ripetono accuse abbastanza comuni, assai diffuse nei sirventesi del tempo, e che anche l’accenno alla donna amata e all’amore che il poeta introduce nella quinta strofa e nella tornada del secondo sirventese è tutt’altro che una novità, poiché già alcuni sirventesi e canzoni-sirventesi di Bertran de Born terminano inaspettatamente con un accenno all’amata476, e anche Peire Vidal chiude il suo sirventese Per pauc de chantar, rivolto contro vari sovrani europei, con un ricordo della gioia d’amore, in cui dice di trovar conforto al dolore che suscita in lui la scomparsa delle più nobili virtù477; e aggiunge che è in fondo un motivo tradizionale anche la dimostrazione di sdegnosa noncuranza — che compare nell’ultima strofe del secondo sirventese — per il risentimento che i rimproveri susciteranno in coloro che ne sono colpiti478: il che lo porta a concludere che «non ispetta a Sordello un posto singolare tra i molti trovatori che cantaron di politica dopo gli avvenimenti della crociata albigese479. Giudizio che si può sottoscrivere, in fondo, se lo si limita a questi due sirventesi, e non lo si estende anche al planh in morte di Blacatz, come vorrebbe, pur con qualche temperamento, il De Lollis; benché si debba riconoscere, d’altra parte, che queste liriche possono essere ritenute degne di star accanto a molti componimenti consimili, e che non mancano, qua e là, specie la seconda, di un certo vigore. Vita e poesie, p. 69 e segg. Cfr. i sirventesi Mout m’es, No puosc mudar, Rassa, mes si e le canzoni-sirventesi Rassa, tan creis e S’abrils e fuolhas (P. C. 80, 28, 29, 36, 37, 38; cfr. l’ed. STIMMING, rispettivamente p. 90, 99, 78, 113, 124. 477 P. C. 364, 35. Cfr. l’ed. J. ANGLADE, Les poésies de Peire Vidal, Paris, 1923, n. XXXII, p. 103. 478 Il DE LOLLIS (ibid., p. 73 e seg.) cita come esempi di questo motivo tradizionale il sirv. De sirventes faire di Peire Cardenal (P.C. 335, 17; cfr. C. A. F. MAHN, Werke der Trobadors, Berlin, 1846-86, II, p. 224 e seg.), il sirv. D’un sirventes far di Guilhem Figueira (ed. LEVY, p. 35, P. C. 217, 2), il sirv. Ar farai, sitot di Guilhem Anelier (ed. GISI, Solothurn, 1887, p. 30; P. C. 204, 2), il sirv. Ja no voill di Bernart de Rovenac (P. C. 66, 3; cfr. MAHN, ibid., III, p. 132 e seg.), e il sirv. Era pueys yverns di Bonifacio da Castellana (in APPEL, Provenzalische Inedita, p. 82 e seg. e DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 175 e segg.; P. C. 102, 1). È da notare che tra questi sirventesi solo i primi due sono anteriori ai sirventesi di Sordello; e che l’affermazione di non curare l’ira di coloro che il poeta biasima è in essi all’inizio del componimento, non nella chiusa, come in Sordello. 479 DE LOLLIS, ibid., p. 72. 475 476 CXXVIII Due altri sirventesi sono di argomento morale (XXI e XXII). Ambedue sono rivolti principalmente contro i ricchi, per quanto il poeta si allarghi da questo argomento a considerazioni di ambito più vasto. Nel primo il trovatore mostra quanto sia sconveniente che i prodi siano poveri e che i vili siano ricchi; auspica una migliore distribuzione delle ricchezze, in guisa che l’eccessiva abbondanza dei ricchi «malvas e nuallos» vada a sollevare la povertà dei valenti che son privi di mezzi; fa l’elogio della mesura, che potrebbe sanare i mali degli uomini480, e aggiunge che le ricchezze e la povertà non danno la misura del valore degli uomini, perché il prode, quando ha maggiore mancanza di averi, meglio può mostrare quanto è valente, e il ricco, quando ha maggior potenza, meglio mette in evidenza la sua flacha natura, concludendo con l’affermare nella tornada che ciò che maggiormente importa non è la ricchezza, ma la prodezza qe ses aver nascet cascus de nos e ses aver serem de verms pastura. Il secondo — indirizzato con doppia tornada a N’Agradiva, cioè a Guida, e al re d’Aragona Giacomo I — deplora la decadenza delle virtù più nobili, che si va diffondendo, e l’attribuisce principalmente al fatto che i potenti e i ricchi, che guidano la società, sono condotti a non amare più onore e pregio; da essi appunto la corruzione discende di grado in grado ai menors, in guisa che tutta la società ne è guastata. Anche qui siamo nel solco della tradizione. Le accuse contro i ricchi sono infatti un motivo comune della poesia trobadorica di ispirazione morale, fin dalle sue più antiche espressioni (si può risalire fino a Marcabru e a Guiraut de Borneill; e sarebbe superfluo attardarsi in citazioni): e anche l’epiteto di malvaz dato ai ric (XXI, v. 22; XXII, v. 35) è quello che ormai si era fissato nella tradizione. E tradizionale, e risalente pur esso, come è noto, fino a Marcabruno (anzi qualche spunto se ne potrebbe additare già in Cercamon), è pure il ricordo della decadenza di domnei, joi, solatz, onor e pretz. L’elogio della mesura è assai caro a Sordello, che dedica ad essa un intero paragrafo dell’Ensenhamen d’onor (v. 373-394), e vi allude anche nella lirica XXXLX, v. 9. Ma è anch’esso un motivo comune presso i trovatori del sec. XIII: basti citare il Montanhagol, sirv. Qui voi esser, passim (ed. COULET, XIII, p. 161 e segg.) e sirv. Nulhs om no vai, v. 28 e segg. (ed. COULET, X, p. 141) e gli esempi di Bartolomeo Zorzi ricordati dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 75, n. 5. E cfr. le osserv. del COULET, ed. cit., p. 52 e segg. 480 CXXIX Né manca la possibilità di qualche riscontro più preciso. Come ha mostrato il De Lollis481, Sordello deve aver tenuto presente nel comporre questi sirventesi il sirventese Lo sabers d’[aqu]est segle es foudatz di Peire Cardenal (P. C. 335, 34), dal quale probabilmente prese lo spunto, nel primo sirventese, per l’antitesi tra i difetti del ricco e i pregi del povero 482, e trasse varie frasi e persino qualche verso del secondo sirventese483, nel quale si compiacque inoltre di riprodurre fedelmente anche lo schema metrico del suo modello. E i versi 29-35 del secondo sirventese, in cui si descrive la discesa della malvagità dai maggiori ai minori, forse traggono lo spunto dal sirventese Si per mo Sobre-Totz di Guiraut de Borneill (P. C. 242, 73) 484; mentre nei versi 17 e segg. del primo, ove la morte è detta migliore di una vita a cui manchino joi e solatz si può forse risentire un ricordo di passi di trovatori precedenti, come Pons de Capduoill o Peire Vidal o Peire Cardenal485. Tuttavia questi sirventesi, pur rimanendo nel solco della tradizione e contenendo talora riecheggiamenti di idee e immagini altrui (forse minori, per altro, in complesso, di quanto non appaia dalle pagine del De Lollis), hanno una certa forza d’espressione; né vi mancano, specialmente nel secondo, che a me sembra il migliore, dei versi vigorosi, ove vibra un nobile sdegno, che ravviva e rinnova anche le eventuali reminiscenze letterarie, come nella strofe (v. 29-35) ove si accenna alla malvestatz che discende di grado in grado dai maggiori ai minori: DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 76. Secondo il DE LOLLIS anche il v. 28, che afferma non potersi chiamar propriamente povertà per l’uomo prode la mancanza di danaro, potrebbe esser stato suggerito dal v. 8 del componimento del Cardenal, nel quale è detto che la ricchezza mondana è povertà. 483 Ecco gli esempi più significativi (cito nella prima colonna i versi del sirventese di Peire Cardenal, secondo il testo datone dal K. VOSSLER, Peire Cardenal, ein Satiriker aus dem Zeitalter der Albigenserkriege, in Sitzungsberichte der K. Bayerische Akademie der Wissenschaften, Phil. hist. Klasse, Jahrg. 1916, Abh. 6, p. 76, e nella seconda i versi di Sordello): 481 482 v. 7 et al Lazer, cal mes Dieus en soan v. 10 qu’el en pert Dieu e s’arma eissamen v. 13 que per aver gieta Dieu a son dan v. 22 mas tant es grans del segle·l cobeitatz v. 20 c’onor e pretz meton en soan v. 16 com cel qui pert Dieu e·l segle eissamen v. 21 e Dieu e·l mon en getan a lur dan v. 19 tant los destreing nonfes e cobeitatz V. 37: e moc la colpa dels alsors (cito dall’ed. di A. K OLSEN, Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, Halle a. S., 1910, p. 464). 485 Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 76. 484 CXXX Dels maiors mou tota la malvestatz, e pois apres de gra en gra dissen tro als menors, per que torna a nien jois e pretz, si que, qui pretz vol ni·l platz, pot n’ aver leu, car tant n’ es granz mercaz que per cinc solz n’a hom la peza e·l pan: si·l tenon vil li ric malvaz truan! o come in questi altri (22-26), ove la deplorazione dell’avidità di oro e di argento, che induce i nobili a imbastardire il loro lignaggio, e della vanità delle ricchezze terrene si unisce alla constatazione della brevità della vita e della rapidità con cui sopraggiunge la morte: Ai, com pot tan esser desvergoingnatz nuls hom gentils, que an enbastarden son lignage per aur ni per argen? Qe l’avers vai leumenz e la rictatz, e·ill vida es breus e la mortz ven viatz... Notevole anche la chiusa del primo sirventese, già citata, che venne lodata anche dallo Schultz-Gora486. Ma certo ai sirventesi morali sono ancor superiori i tre sirventesi satirici e personali, diretti contro Peire Bremon Ricas Novas nel celebre «duel poétique» di cui già si è fatto cenno. Il primo di essi, come ormai è stato assodato dalle ricerche del Bertoni e dello Jeanroy487, che hanno mostrato l’esattezza dell’ordine proposto dal De Lollis 488 e messo definitivamente da parte l’ordine che era stato congetturato dallo Schultz-Gora489 e che lo Schultz-Gora stesso, Rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 243. BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 269 e segg. Non sto a ripetere la esauriente dimostrazione dei due illustri studiosi, dal momento che nessuno più avanza dubbi sulle loro conclusioni, e rimando senz’altro i lettori alle loro pagine. L’ordinamento BERTONI-JEANROY è stato accettato anche dal BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 59 e segg., 109 e segg., e dall’UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. 84 e segg. 488 Vita e poesie di Sordello, p. 45 e segg.; cfr. anche la risposta allo S CHULTZ-GORA in Pro Sordello de Godio, milite, p, 206. 489 Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 124 e segg. Lo SCHULTZ-GORA aveva avuto il merito di riconoscere che i sirventesi Lo bels terminis, Tant fort m’agrat e En la mar major del Ricas Novas sono, nell’ordine, le risposte ai sirventesi Qan q’ieu chantes, Lo reproviers e Sol que m’afi di Sordello, dimostrando inaccettabile un diverso ordinamento proposto dal DIEZ, Leben und Werke der Troubadours, p. 385 e segg.; ma sosteneva che i sei sirventesi dovettero esser composti in questo ordine: 1) Sord. Sol que m’afi, Br. En la mar major; 2) Sord. Lo reproviers, Br. Tan fort m’agrat; 3) Sord. Qan q’ieu chantes, Br. Lo bels terminis. 486 487 CXXXI dopo la pubblicazione del volume del De Lollis, aveva riconosciuto meno verisimile490, è il sirventese Qan q’ieu chantes, con cui Sordello attacca il Ricas Novas, pur senza nominarlo e senza lasciarsi andare ad allusioni troppo precise. È, dei tre sirventesi, il meno personale, perché Sordello vi imita largamente, non solo nel tono generale, un po’ fanfaronesco, ma anche in particolari immagini e in varie espressioni491 il noto vanto Drogoman senher di Peire Vidal (P. C. 364, 18) — lirica che dovette certo godere di assai larga diffusione — di cui riprende anche lo schema metrico e le rime. Nonostante questi ricordi della lirica del trovatore tolosano Sordello ha saputo però dare alla lirica uno sviluppo in gran parte originale: ché mentre il Vidal nel suo vanto si era semplicemente divertito, secondo il suo costume, ad esaltare, col suo solito piglio un po’ fanfaronesco e caricaturale, la propria bravura nelle armi, e anche nell’amore e nella galanteria (v. cobla quarta), con lo scopo, sin troppo evidente perché dichiarato per ben due volte (v. 1 e 25), di ottenere dal protettore designato col senhal di Drogoman492 il dono di un buon destriero, e perciò non aveva parlato di nemici se non in tono molto generico, Sordello, rielaborando con bravura gli spunti tratti dal suo modello, ha fatto della sua lirica un attacco personale ben preciso, anche se volutamente privo di allusioni troppo esplicite, che ha già il tono violento e talora anche i tratti caricaturali che avrà nei sirventesi seguenti, come appare soprattutto dalla terza cobla: Cfr. la recensione al vol. del DE LOLLIS, p. 242. Ad es. il vanto che Sordello fa nella seconda cobla della sua bravura in guerra deriva particolarmente dalle prime due coblas del sirventese di Peire Vidal; e in particolare il v. 9 (qand eu los vei, que s’om los me mentau) e il v. 12 (per que l’es ops qe·is gart de mon esclau) sono manifestamente suggeriti dai v. 3 e 12 di Drogoman senher (c’aqui mezeis cant hom lor me mentau... tan me dopton can senton mon esclau). Alle stesse due coblas del Vidal risale anche la celebrazione della guerra che Sordello fa nella prima strofe. II ricordo del corren destrier che Sordello inserisce nel v. 32 è reminiscenza dei versi 1 e 25 del trovatore tolosano; e il m’a faich enic e brau del v. 33 è suggerito da un’altra espressione del Vidal, il mi sabon fer e salvatg’ e brau del v. 6. E la preghiera che Sordello fa nei v. 19-20 di non considerarlo uno spaccone è certo nata in margine alle vanterie a cui il Vidal, secondo il suo solito, si abbandona nella sua lirica; così come viene dal trovatore tolosano (v. 28-30), benché sia inserita in un contesto diverso, la menzione di Montpellier e della Crau (v. 23-24). Per altre osservazioni cfr. le note al testo. Seguo l’ed. ANGLADE, Les poésies de Peire Vidal, n. XIV, p. 40 e segg. 492 Il personaggio è di difficile identificazione: sulla questione cfr., fra l’altro, P. M EYER, Explication de la pièce de Peire Vidal «Drogoman senher», in Romania, II, 1873, p. 422 e segg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 154; S. BATTAGLIA, La poesia di Peire Vidal, in Studi romanzi, XXIII, 1933, p. 143. 490 491 CXXXII cel qe·l conois lo ten per messongier, flac e volpil, avol et ufanier; c’ ab croi semblan, fals avinen, soau, se feing cortes, e non val un denier; qe·il dich son gros e·l faich son menudier, per q’ entre·ls pros non es prezatz un clau. A tale sirventese Peire Bremon Ricas Novas rispose, riprendendo lo schema della canzone Tant ai uno cor ple de joya di Bernart de Ventadorn (P. C. 70, 44), forse non direttamente, ma attraverso il sirventese Falsedatz e desmesura di Peire Cardenal (P. C. 335, 25) 493, col sirventese Lo bels terminis, nel quale cerca di gettare il discredito sull’avversario, sdegnosamente definendolo un giullare «fals ab lecharia», che è fuggito di Lombardia per la sua condotta sleale, ne deride le pretese di apparire un cavaliere — riallacciandosi anche all’ostentazione di bravura guerresca fatta da Sordello nel suo sirventese —, chiamandolo «joglars garnitz»; e nota che per la sua viltà non è neppur degno di giacere con la sua donna, suggellando la serie delle ingiurie con l’accusa di essere un «trobador d’aver, non ges d’onor»494. Era naturale che Sordello non lasciasse cadere la contesa, soprattutto per quell’accusa di essere un giullare, che aveva combattuto già nella sua giovinezza, tenzonando con Joanet d’Albusson, e che ora si ripresentava in tono più acre e ingiurioso, con accento più sprezzante, e rispondesse con un altro sirventese alle aspre offese, che lo pungevano nel vivo. Il nuovo sirventese (Lo reproviers vai averan), originalissimo, anche se forse è condotto sullo schema metrico del sirventese Puois Ventadorns di Bertran de Born (P. C. 80, 33) 495 e tutto vibrante di fierissimo sdegno, si inizia con una strofa ironica, in cui il poeta finge di maravigliarsi che un «fals volpills» abbia preso sopra di sé il sirventese precedente, di cui afferma sarcasticamente di voler fargli dono. Ma subito Sordello passa a confutare le accuse dell’avversario; e prima ritorce contro il Ricas NoChe il sirventese di Peire Cardenal sia stato il modello diretto del Ricas Novas si può desumere dal fatto che le rime usate dal Ricas Novas nel suo componimento (che è in coblas unissonans) sono quelle usate dal Cardenal nell’ultima cobla. Per il testo del sirventese del Cardenal cfr. F. J. M. RAYNOUARD, Choix des poésies originales des troubadours, Paris, 1816-21, IV, p. 338 e segg.; MAHN, Werke der Trobadors, II, p. 192 e segg. 494 Cfr. la citata ed. BERTONI, JEANROY, Un duel poétique au XIII e siècle, p. 281 e segg., e BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 59 e segg. 495 Cfr. F. W. MAUS, Peire Cardenals Strophenbau in seinem Verhältniss zu dem anderer Trobadors, Marburg, 1884, p. 90; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 129. 493 CXXXIII vas la taccia di slealtà e di viltà, indi respinge con nobile fierezza l’accusa di essere un giullare, quella che più lo tormentava: Ben a gran tort car m’apella joglar, c’ ab autre vai et autre ven ab me, e don ses penre, et el pren ses donar, q’ en son cors met tot qant pren per merce; mas eu non pren ren don anta m’eschaia, anz met ma renda e non vuoili guizerdon mas sol d’amor; per qe·m par q’ el dechaia et eu poje, qui nos jutga a razon. Si noti la decisa affermazione con cui si chiude la strofe, in cui il trovatore di Goito proclama con tanta energia la sua superiorità sull’avversario, che nasce dalla consapevole adesione agli alti ideali cavallereschi e cortesi a cui il poeta ispira tutta la sua vita. E a contrasto con la nobiltà e la dignità della sua vita Sordello traccia molto efficacemente un ritratto grottesco dell’avversario, dipingendolo come un uomo effeminato, che non pensa che ad adornarsi, e si vagheggia ridicolmente davanti allo specchio, immaginandosi di far innamorare tutte le donne: Car sol si sap peigner et afaitar, e car se feing tot jorn non sap de que, e car se sap torser e remirar, cre qe·is n’ azaut tota dompna de se. Ma una nobile dama — aggiunge Sordello — non si volgerà mai ad amare un uomo sì vile: il Ricas Novas troverà la dama che gli conviene nel quartiere malfamato di Marsiglia. Il sirventese termina con il ricordo sarcastico delle «degne accoglienze» tributate al Ricas Novas dal conte di Tolosa, che non ha voluto saperne di lui e lo ha rinviato a Marsiglia, senza che egli, peraltro, nella sua bassezza e nella sua insensibilità morale ne provasse vergogna: Gen l’a saubut lo valens coms onrar de Tolosa, si co·is taing ni·s cove, c’a Marseilla la faich azaut tornar, per que laisset son seignor e sa fe; mas el no tem vergogna, ni s’esmaia, don degr’ estar marritz tota sazon lo fals volpills q’ a nom, car pauc s’ essaia, «cor de conill ab semblan de leon». Il verso finale suggella in modo felicissimo il componimento, che CXXXIV è veramente, come giudicarono il De Lollis 496 e il Pelaez497, la più bella poesia di Sordello (accanto, a mio giudizio, al celebre planh in morte di Blacatz), e uno dei migliori sirventesi satirici di tutta la letteratura occitanica. Questo sirventese non è l’ultimo della serie. Peire Bremon Ricas Novas risponde a sua volta col sirventese Tant fort m’agrat498 — costruito sul modello appena modificato del secondo sirventese di Sordello — fingendosi anch’egli meravigliato che Sordello abbia ritenuto riferito a se stesso il sirventese e ritornando ancora sulle accuse di essere un giullare e di non essere un cavaliere, con allusioni anche assai oscure; e Sordello torna per la terza volta, col sirventese Sol que m’afi, a scagliarsi contro l’avversario, insistendo specialmente sul fatto che non lo hanno voluto tenere presso di sé né il conte di Provenza né quello di Tolosa: se Barral lo respingerà, dove troverà rifugio? E rinnova in altra forma l’accusa di pusillanimità e di viltà, aggiungendovi l’accenno a particolarità fisiche che compiono la caricatura del suo nemico: Que·l cors a gran e lonc, e·l cor petit e fals... Ara·l veyrem parer, penhen et afachan, anar d’ artelh a pe e puiar estruban, e, son gran cors malvatz cenhen e remiran portar camiz’ ab aur que·l molher cos tot l’ an... Benché forse non raggiunga in tutto il precedente, anche questo sirventese, assai originale, è certo da collocare fra le poesie migliori di Sordello. Esso provocò da parte di Peire Bremon Ricas Novas un’ultima risposta, assai interessante per le allusioni che contiene — e che abbiamo già avuto occasione di ricordare — a fatti della vita del trovatore mantovano: il ricordo dell’ardimen per cui Sordello non può aver più posto tra i Lombardi, il suo andar erranVita e poesie, p. 77. Veramente il DE LOLLIS sembra dare tale giudizio dell’ultimo dei tre sirventesi (cioè, poiché, come si è detto, egli propose lo stesso ordine che fu poi riconosciuto per vero dagli studi successivi, il sirv. Sol que m’afi) ma trattasi certo di una svista, perché dalle righe del testo, in cui si accenna ad una antitesi tra le qualità di Sordello e quelle del Ricas Novas, e ancor più dalla nota, che rimanda alla Histoire littéraire des troubadours del MILLOT (II, Paris, 1774, p. 88-89) e ai Testi antichi provenzali del MONACI (Roma, 1889, col. 9091), si comprende agevolmente che egli voleva riferirsi al secondo: infatti solo questo sirventese venne largamente tradotto dal Millot nel suo volume, e venne riportato dal Monaci nella sua antologia. 497 Nella recensione del vol. del DE LOLLIS pubblicata nella Nuova antologia, CXLVI, 1896, p. 561. 498 Cfr. le citate ed. BERTONI, JEANROY, p. 287 e segg., e BOUTIÈRE, p. 64 e segg. 496 CXXXV do, sì da conoscere tutti i baroni «de Trevis tro a Gap» e i baroni di Spagna, il diniego della mula, la dimora presso Savaric de Mauleon, l’oscura allusione a Cananillas e un’altra ancora più oscura alla sfortuna di Sordello in amore. Non sappiamo con certezza se Sordello replicasse ancora o no; ma è molto probabile — come del resto si può desumere dal fatto che la tradizione manoscritta limita a questi sei sirventesi il celebre contrasto poetico — che Sordello abbia a questo punto lasciato cadere la polemica, avendo ormai detto all’avversario tutto ciò che l’animo gli dettava. Resta ora da dire del celeberrimo planh in morte di Blacatz, la lirica più famosa del nostro trovatore, e la più nota e divulgata anche nei sec. XIII e XIV, poiché è la poesia che più frequentemente si trova trascritta nei canzonieri che ci hanno conservato le liriche dei trovatori499. In essa Sordello ha rinnovato originalmente la impostazione tradizionale del planh — che di solito o si limitava ad esprimere il dolore del poeta per la scomparsa del personaggio da lui cantato e a tesserne l’elogio, o tracciava un confronto generico fra le qualità buone del morto (le solite del formulario trobadorico) e i vizi della società contemporanea500 — ricorrendo (ma in modo nuovo) al motivo assai diffuso del «cuore mangiato» 501 e invitando i più alti re e principi d’Europa a mangiare un poco del cuore del nobile barone defunto per tentar di acquistare quelle virtù di cui gli sembravano privi. Così del morto cavaliere si Si trova infatti — se si tien conto anche di Dc, che ce ne ha conservato solo un esiguo frammento — in 10 manoscritti (escludendo dal computo, s’intende, le copie tardive come Ab, ecc.). 500 SPRINGER, Das altprovenzlische Klagelied; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 237 e segg. Lo JEANROY, ibid., II, p. 333 e segg. dà anche la lista dei planhs anteriori a quello di Sordello. 501 Per la vasta bibliografia esistente sul motivo del cuore offerto in pasto nelle sue varie forme basti citare: A. D’ANCONA, commento alla Vita nuova di Dante, 2ª ed., Pisa, 1884, p. 32 e segg.; V. CRESCINI, Contributo agli studi sul Boccaccio, Torino, 1887, p. 58; J. E. MATZKE, The Legend of the Eaten Hert, in Modern Language Notes, XXVI, 1911, p. 1 e segg.; H. HAUVETTE, La 39e nouvelle du Decameron et la legende du «coeur mangé», in Romania, XLI, 1912, p. 184 e segg.; LOMMATZSCH, Provenzalische Liederbuch, Berlin, 1917, p. 474; LÅNGFORS, introduz. a Les chansons de Guilhem de Cabestanh , 2ª ed., Paris, 1924; J. E. MATZKE, M. DELBOUILLE, introduz. all’ed. del. Roman du Chastelain de Couci et de la Dame de Fayel, Paris, 1936; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV. Ivi si troveranno altri rimandi bibliografici. 499 CXXXVI parla appena, brevissimamente, all’inizio del componimento, e tutto il resto della lirica è occupato dalle acerbe rampogne rivolte ai principi contemporanei, disposti, per così dire, in ordine di importanza decrescente. La serie si inizia con l’imperatore Federico II, a cui è data la taccia di deseretatz perché non riesce a domare i Milanesi. Seguono i quattro re più importanti: il re di Francia, Luigi IX, a cui sono rimproverate la rinuncia al regno di Castiglia502 e l’eccessiva condiscendenza verso la madre; il re d’Inghilterra, Enrico III, a cui si rimprovera la rinuncia a riconquistare i possessi che erano stati strappati alla sua casa dal re di Francia 503; il re di Castiglia, Ferdinando III, che tiene due regni (la Castiglia e il León) 504 e non è prode nemmeno per uno, e che anch’egli è dominato dalla madre; il re di Aragona, Giacomo I, che «riceve onta» a causa di Marsiglia e di Millau 505. A questi segue un re di minore importanza, Tebaldo di Navarra, prima semplice conte di Champagne, a cui Sordello dice che valeva più come conte che come re; e ultimi vengono i due conti di Tolosa e di Provenza, al primo dei quali il poeta rimprovera, come nel sirventese dei «tre diseredati», le notevoli perdite di territorio da lui subite506, mentre al secondo — alla corte del quale Sordello molto probabilmente si trovava, come abbiam visto, quando scrisse questo componimento — non è rivolto tanto un rimprovero quanto piuttosto un incitamento a continuare energicamente la resistenza contro i suoi nemici. Per queste acerbe critiche il compianto è in gran parte un vero e proprio sirventese; e il De Lollis 507 lo accosta strettamente ai sirventesi contro Raimondo Berengario e contro i «tre diseredati», e, pur riconoscendo l’originalità della trovata del cuore offerto in A cui avrebbe avuto diritto come figlio di Bianca di Castiglia, primogenita di Alfonso III: cfr. la nota al v. 14 del testo. 503 Si tratta dei territori che Filippo Augusto aveva tolto a Giovanni Senza Terra nel 1204 e che invano Enrico III aveva cercato di riconquistare nel 1230: cfr. la nota ai v. 19-20 del testo. 504 Il primo ereditato dalla madre Berengaria, sorella minore di Bianca, il secondo ereditato dal padre Alfonso IX di León: cfr. la nota al v. 22 del testo. 505 In quanto non riesce, come si deve intendere, a far ritornare la prima di queste città sotto la sovranità del cugino Raimondo Berengario IV, a cui si era ribellata, e lascia nelle mani di Raimondo VII di Tolosa Millau, antico feudo della sua casa: cfr. la nota 266, la nota 474 e la nota al v. 27 del testo. 506 Alle quali aveva dovuto piegarsi col trattato di Parigi: cfr. la nota 473 di questo capitolo. 507 Vita e poesie, p. 68 e segg. 502 CXXXVII pasto ai principi, lo coinvolge nelle stesse critiche, osservando che anche nel planh Sordello non fa che riprendere le accuse tradizionalmente ripetute in molti sirventesi, a proposito degli stessi principi o di altri, e che la chiusa riprende anch’essa motivi tradizionali, sia per quanto riguarda l’ostentato disprezzo dell’ira dei baroni offesi, sia per il ricordo della donna amata, nell’amore della quale il poeta dichiara di trovare conforto all’odio dei suoi nemici. E l’osservazione ha un innegabile fondo di verità se si guarda esclusivamente al contenuto. Ma a questi motivi mi sembra che Sordello abbia saputo dare vigoroso rilievo poetico, rivivendoli, nell’originale impostazione del planh, con gagliardia di sentimento e incisività di forma. Anche l’inizio della lirica, che rimpiange la scomparsa del prode barone, nel quale il poeta ha perduto «senhor et amic bo», sì che ne ha il cuore triste e smarrito, ha un accento commosso — pur nella sua sobria pacatezza — che non si ritrova in molti altri componimenti consimili. Cosicché io credo che in complesso di questa lirica nobile e fiera si debba dare un giudizio più positivo di quel che ne diede il De Lollis, e che essa debba collocarsi accanto ai due ultimi sirventesi contro il Ricas Novas, nel gruppo delle liriche migliori di Sordello 508. Il che spiega la sua grande diffusione, testimoniata dai manoscritti, e spiega le imitazioni 509 che ne fecero Bertran d’Alamanon, il quale invitò a dividersi il cuore di Blacatz le dame «de qu’el er enveyos»510 e Peire Bremon Ricas Novas, il quale divide il corpo 511 del nobile signore in quattro parti, assegnandole ai vari popoli d’Europa, e destinando la testa a Gerusalemme; imitazioni che, certo, si ispirano, come osserva il De Lollis 512, alla «trovata fondamentale» del cuore del prode offerto in pasto 513 — che era, del resto, Per una valutazione del planh più positiva di quella del DE LOLLIS basti citare: BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 532; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXXV; VISCARDI, Poesie di Sordello, p. 679. Cfr. anche PARODI, Il Sordello di Dante, p. 193. 509 Il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 42, 48 e 74 chiama «parodie» i due componimenti di Bertran d’Alamanon e del Ricas Novas. In realtà — come ha bene osservato il BOUTIÈRE, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, p. 120 — queste imitazioni non hanno nulla che possa far veramente pensare a una parodia. 510 Cfr. le ed. dello SPRINGER, Das altprovenzalische Klagelied, p. 96 e segg. e del SALVERDA DE GRAVE, Le troubadour Bertran d’Alamanon, p. 95 e segg. 511 A torto il BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 81 e 532 afferma che il Ricas Novas invitò i popoli a dividersi «il cuore» del prode barone. 512 DE LOLLIS, ibid., p. 74. 513 L’idea di Peire Bremon Ricas Novas di distribuire il corpo è evidentemente una variante — suggerita dal desiderio di evitare monotonia e di trovare qualcosa di nuovo — del motivo fondamentale del planh di Sordello, che era già stato ripreso da Bertran d’Alamanon. 508 CXXXVIII il particolare della lirica che appariva più facilmente sfruttabile con qualche pretesa di novità — ma che sono una testimonianza eloquente dell’ammirazione che il planh dovette suscitare anche tra i contemporanei. Da questo vigoroso componimento, in cui si sente, come scrive il Bertoni, la voce di una «dignitosa e netta coscienza»514, trasse — come vedremo — ispirazione Dante per la sua mirabile trasfigurazione del trovatore mantovano e per l’episodio della rassegna dei principi nella valletta dell’antipurgatorio. 6. LE LIRICHE MINORI E I FRAMMENTI Dobbiamo ora dare uno sguardo ai componimenti lirici minori, a proposito dei quali il nostro esame potrà essere più breve. Due di queste liriche formano un gruppo ben distinto, in quanto sono state indirizzate sicuramente a Carlo d’Angiò. La più antica (Ar ai proat; XXVIII), giuntaci, come abbiamo visto, allo stato di frammento, fu indirizzata a Carlo subito dopo che il suo matrimonio con Beatrice figlia ed erede di Raimondo Berengario IV lo rese signore della Provenza: ed è una esortazione al giovane principe, affinché si volga a nobili imprese se aspira a ottenere pregio, poiché le imprese più belle si accordano con la giovinezza, e difficilmente otterrà pregio nella vita chi non l’avrà ottenuto in gioventù 515. L’altra è il rifiuto di partecipare alla crociata (XXIX), scritto, come si è detto, nel 1248: il quale, come la lirica precedente, ha soprattutto un interesse biografico, benché non manchi di una certa grazia, specialmente per la garbata ironia con cui il poeta dipinge la paura che egli ha del mare, esasperandola comicamente516, e per l’ironico accenno a Bertran d’Alamanon, vivace variazione della solita accusa di viltà e di fiacchezza che era rivolta a questo trovatore517. Accanto ad esse possiamo collocare, per l’ispirazione personale e perché riguarda con molta probabilità, come abbiamo accennato, Carlo d’Angiò, lo scambio di cobbole Toz hom me van disen (XXXII), in cui il poeta da tempo ammalato sfoga la sua malinconia e si I trovatori d’Italia, p. 81. Per l’ipotesi che in questa lirica si piangesse anche la morte di Raimondo Berengario cfr. p. LXXVII e cfr. le note al testo. 516 Si vedano soprattutto i v. 14-16 e 22-24. 517 Cfr. cap. I, p. LXXIX. 514 515 CXXXIX lamenta del «seignor», il quale nella cobbola di risposta gli dà la taccia di brontolone e di incontentabile. Tra le liriche di ispirazione amorosa la più interessante è il componimento Dompna valen (XXXIII), che è un esempio di salut, ossia di quella particolare e non molto comune forma di lirica d’amore che, come è noto518, incominciava di solito (benché non costantemente) con un saluto alla dama — particolare da cui traeva il nome — e si svolgeva come una epistola in versi, più o meno lunga, in quanto il poeta rivolgeva costantemente il discorso alla donna amata. Comunemente il salut era in metro diverso da quello delle canzoni, per lo più in ottonari a rima baciata, il metro della poesia narrativa. Due soli salut hanno la struttura metrica delle canzoni: uno è quello di Rambertino Buvalelli (D’un saluz me voill entremetre: P. C. 282, 3)519, l’altro è questo di Sordello, che per questo motivo è assai degno di attenzione, benché in fondo non sia altro che un garbato complimento in versi. Tra il salut del Buvalelli e quello di Sordello c’è però una certa differenza, perché il componimento del trovatore bolognese è assai lungo (cinque coblas con tornada), mentre quello di Sordello consta di una cobla di 8 versi a cui ne segue un’altra più breve (6 versi) a mo’ di tornada, ma non costruita secondo la legge che regola la struttura delle tornadas520. Di ispirazione amorosa è anche un’altra breve lirica (due coblas con tornada; XXXVI) in cui Sordello biasima le donne che sono restie ad accogliere l’amore dei loro adoratori, e prega la sua donna di accordargli il suo amore, prima che il dolore di non vedersi corrisposto lo conduca alla morte, e ricorda l’esempio di un cavaliere di Fiandra morto per amore: lirica anch’essa non priva di grazia, e notevole per la menzione del cavaliere di Fiandra, che ci mette dinanzi un esempio di innamorato consunto dal dolor d’amore diverso dal solito Andrea di Francia, il cui ricordo era divenuto tradizionale e che si trova citato innumerevoli volte dai trovatori521. Sul salut cfr. lo studio di P. MEYER, Le salut d’amour dans les littératures provençale et française, in Bibliothèque de l’École des chartes, XXVIII, 1867, p. 124 e segg. Il M EYER però non conosceva il salut di Sordello; e anche altri componimenti gli sono sfuggiti, sì che il lavoro appare alquanto invecchiato. L’argomento meriterebbe di esser ripreso in esame. 519 Su questo componimento cfr. BERTONI, Rambertino Buvalelli, p. 19 e segg., 47 e segg., e I trovatori d’Italia, p. 238 e segg., 503 e segg.; A. STIMMING, rec. del vol. di BERTONI, in Zeit. für roman. Phil., XXXIV, 1910, p. 224 e segg. 520 Cfr. però le osservazioni del NAETEBUS , rec. al vol. del DE LOLLIS, per cui cfr. le n. ai v. 10 e 12 della lirica. 521 Un buon numero di citaz. è stato registrato dal RAYNOUARD, Choix des poésies, II, p. 299 e segg.; ma molte altre se ne potrebbero aggiungere: cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 274 e seg., 290. Non pare che nel passo di Sordello si debba correggere Flandres in Fransa: cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 490, e cfr. la nota al v. 2 del testo. 518 CXL E di argomento amoroso sono anche due altri componimenti di una sola cobla con tornada, a cui abbiamo dato i numeri XXXVIII e XLI. Nel primo (Entre dolsor), costruito su un insistente gioco di parole fondato sul contrasto tra amar e dolsors, il trovatore rappresenta il suo stato d’animo incerto tra la dolcezza che gli danno gli amorosi pensieri e il tormento che gli dà il non essere amato; e termina con una preghiera alla donna affinché ricambiandolo lo liberi da ogni amarezza. Il secondo (No·m meraveill), più interessante, ha un carattere tutto diverso: Sordello vi si vanta di essere tanto esperto in amore, che nessuna donna si può difendere dalle sue lusinghe, e confessa di non meravigliarsi se i mariti sono gelosi di lui, ma aggiunge che non si cura affatto del dolore che possa loro recare e delle loro proteste, pur che possa godere dei piaceri d’amore. È una lirica cinicamente sensuale, degna di qualche attenzione, perché contrasta con le canzoni, ove, come abbiamo visto, Sordello mostra di avere una concezione così alta dell’amore e si rivela tanto sollecito dell’onore della sua dama e incurante dei piaceri del senso, e rivela, anche per il tono, l’influenza di Peire Vidal, il quale si compiacque spesso di vantare, col suo fare un po’ da spaccone, le sue imprese amorose. Una «esercitazione stilistica» alla maniera di Peire Vidal, che è un non disprezzabile documento della suggestione esercitata su Sordello dall’originale ed estroso trovatore tolosano, la cui fama durava certo ancora assai viva. Affine a questa lirica nel tono e nel contenuto, e anch’essa da ricollegarsi all’influenza del Vidal, è la cobla esparsa Si com estau (XLII), tra spavalda e cinica, in cui Sordello si compiace di rappresentarsi in guerra con tutto il mondo per le sue imprese amorose, e di affermare che ciò non gli fa alcuna paura e che egli vive lieto anche se gli altri siano addolorati. Dissimili sono invece altre due cobbole di argomento amoroso (XXXIV, XXXVII), che si presentano come coblas esparsas, ma potrebbero anche, come si è visto, essere frammenti di componimenti più ampi, di cui una parte si è perduta. La prima di esse (A lei puesc) è interessante perché si allontana dal sentiero trito della comune tradizione della lirica d’amore trobadorica, in quanto descrive nei suoi vari particolari un episodio di torneo, ed è notevole anche come documento biografico, in quanto ci attesta — come abbiam già accennato — che Sordello partecipava a tornei e faceva CXLI vita da cavaliere; mentre la seconda (Donpna, tot eissamenz) merita qualche attenzione come garbata variazione dal motivo, assai consueto, della gioia che suscita nel poeta la vista della sua donna e della malinconia che nasce invece quando per la lontananza non può contemplarne le sembianze. I componimenti XXXI, XXXV, XXXIX e XL sono di argomento morale. Il più importante dei quattro è il XL (Mant home·m fan), pubblicato per la prima volta dallo Jeanroy522, che è veramente notevole per la nobiltà dei sentimenti che Sordello vi esprime, specialmente nella prima cobla, ove il trovatore proclama che le ricchezze non gli servono che per spenderle degnamente o per farne dono, e che esse devon essere rivolte a ottenere pregio e amore. Anche se forse è da giudicare alquanto eccessivo il giudizio dello Jeanroy, che affermava che in questi versi «se peint, mieux peut-être qu’en aucune autre de ses oeuvres, l’anima altera du grand poète lombard», è certo che la lirica merita di esser posta accanto ai momenti migliori dei sirventesi morali e ai passi dei sirventesi contro il Ricas Novas in cui Sordello, difendendosi dalle accuse dell’avversario, proclama altamente i nobili ideali a cui si ispira la sua vita, e di esser considerata una significativa espressione dell’animo del trovatore mantovano. Il componimento XXXIX (Lai a’n Peire Guillem) è una cobla con tornada — indirizzata a un Peire Guillem, che probabilmente è Peire Guilhem de Tolosa — in cui Sordello biasima le eccessive lodi che questo trovatore non aveva avuto ritegno di tributare non sappiamo bene a chi; ed è da ricollegare per l’argomento — del resto abbastanza comune presso i trovatori — con un passo dell’Ensenhamen d’onor523 in cui Sordello ritorna su questo tema. Può darsi, come abbiamo accennato, che il componimento sia un frammento di un sirventese in parte perduto; osservazione che si può fare anche a proposito della cobla XXXV (Ben deu esser bagordada), la quale ripropone il consueto tema — tanto caro a Sordello — dell’esaltazione della liberalità, celebrando il donar come una virtù essenziale a una corte, che senza di essa diverrebbe un ajost[z] d’avols gentz. Nello scambio di cobbole con Montan (XXXI) Sordello biasima i baroni che parlano molto del bene ma non lo fanno, e coloro che fanno promesse con l’intenzione di non mantenerle: un biasimo 522 523 Nel saggio Poésies provençales inédites, p. 476 e segg. Cfr. i v. 351 e segg. CXLII che era anch’esso, in fondo, uno dei luoghi comuni della morale trobadorica 524. Tono violentemente satirico ha invece la nota cobbola giovanile contro quel Fige[i]ra nel quale si è voluto vedere Guilhem Figueira (XXVIII); e analogo è il primo dei tre scambi di cobbole che ci sono stati tramandati, quello tra Sordello e Aimeric de Peguilhan (XXX): in esso infatti Sordello, rispondendo al trovatore tolosano (che lo aveva accusato di viltà, ricordando un colpo di engrestara da lui ricevuto sulla testa), ne deride l’avarizia e il meschino aspetto. In complesso queste liriche minori non aggiungono molto alla figura poetica di Sordello, ma, oltre all’interesse dal punto di vista biografico (per alcune di esse invero assai rilevante), concorrono certo a dare varietà alla raccolta delle rime del trovatore mantovano e a darci un più ampio quadro delle sue esperienze letterarie. 7. OSSERVAZIONI SULLO STILE Sordello compone le sue liriche in uno stile semplice e piano, e rifugge del tutto dal trobar clus. Egli stesso confessa, del resto, questa sua predilezione per uno stile semplice e facile all’inizio della canzone Bel m’es (IV), ove dichiara che canterà «ab motz leugiers», perché alla sua donna non piace un «chantar de maestria»: Bel m’es ab motz leugiers a far chanson plazen et ab guay so, que·l melher que hom pot triar, a cuy m’autrey e·m ren e·m do, no vol ni·l plai chantar de maestria; e mas no·lh plai, farai hueymais mon chan leu a chantar e d’ auzir agradan, clar d’ entendre e prim, qui prim lo tria. Rifugge dalle immagini strane, dai vocaboli rari 525, dalle costruzioni contorte; e assai scarsi sono in lui anche i giochi di parole, che pur sono assai comuni presso i trovatori526. E in genere nemmeno ama introdurre nelle sue liriche delle similitudini. Quelle che Cfr. ad es. LEVY, Guilhem Figueira, p. 47. Qualche parola rara si trova, eccezionalmente, nel sirventese contro Raimondo Berengario (XIX), in cui talora si avverte anche la ricerca della rima difficile. 526 Un esempio abbastanza cospicuo di un insistente gioco di parole è la lirica XXXVIII, disegnata sulla continua contrapposizione tra amar e dolsor, accanto alla quale si può collocare la XXXIX, in cui Sordello si 524 525 CXLIII vi si incontrano sono tutt’altro che rare, e sono in numero veramente esiguo. La più ampia è quella del malato appena guarito, che per imprudenza ricade nel male e nella ricaduta è in condizioni peggiori di prima (canz. X, v. 1-4), derivata probabilmente da una canzone di Peire Vidal 527: Si co·l malaus qe no se sap gardar qan es garitz, per qe·l mals lo repren e·l fai trop peig en son recalivar qe non a faich... Appena accennate sono le altre tre o quattro che è dato di rinvenire: quella del selvaggio che fa festa al cattivo tempo, assai diffusa 528, quella, pure comune, della stella polare che guida la nave in mare 529 e quella del magnete o della bussola che guida la nave530, a cui si può aggiungere il comunissimo paragone tra la donna e la rosa o la neve531. Che, del resto, Sordello si tenesse lontano dai maestri o dai fautori del trobar clus o del trobar ric appare evidente anche dallo studio delle reminiscenze di vari trovatori che si possono rintracciare qua e là nelle sue rime. Ritroviamo infatti in Sordello varie reminiscenze, di maggiore o minore rilievo, di Peire Vidal 532, di compiace di applicare l’artificio del mot tornat, insistendo per tutta la lirica sulle parole laus, lauzar e su voci affini. Cfr. anche II v. 14-17, 20. 527 È la canz. S’eu fos en cort (P. C. 364, 42), ed. ANGLADE, n. VII, v. 21 e segg., p. 18. 528 Nel sirventese contro i «tre diseredati» (XX), v. 28. Sui ricordi dell’«uomo selvaggio» nella letteratura provenzale e nell’antica lirica volgare italiana cfr. A. GASPARY, La scuola poetica siciliana, Livorno, 1882, p. 101 e seg.; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 83 e 259, e Sul canzoniere di Chiaro Davanzali, suppl. I al Giorn. stor. d. lett. it., 1898, p. 107; F. NERI, La maschera del Selvaggio, in Giorn. stor. d. lett. it., LIX, 1912, p. 47 e segg., ristampato nel vol. Letteratura e leggende, Torino, 1952, p. 158 e segg.; BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 298, e Il «conforto» del Selvaggio, nel vol. Poesie, leggende e costumanze del medioevo, Modena, 1927, p. 93 e segg.; SCHULTZ-GORA, Vermischte Beiträge zum Altprovenzalischen. I. Der «wilde Mann» in der provenzalischen Literatur, in Zeitschr. f. rom. Phil., XLIV, 1924, p. 129 e segg. (e cfr. Zeitschr. f. rom. Phil., XXL 1897, p. 248 e seg.). 529 Nella canz. II, v. 15-16, 17-18. Esempi di vari poeti nel DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 277 e seg.; e cfr. le note al testo. 530 Nella canz. II, v. 16. Il DE LOLLIS, ibid., p. 82 e 277 e seg., pensava invece che qui si accennasse alla calamita che attrae il ferro; ma cfr. BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 534 e seg. 531 Nella canz. III, v. 5-6; cfr. anche canz. XII, 38. 532 Abbiamo già notato che dal «vanto» Drogoman senher Sordello trae ispirazione per il primo sirventese contro il Ricas Novas; che da motivi vidaliani derivano le liriche XLI e XLII; e che dalla canzone S’eu fos en cort viene probabilmente la similitudine del convalescente che ricade nel male della canz. X. Si può aggiungere che forse dai v. 21-24 della lirica Tant ai ben dig del Vidal (P. C. 364, 47; ed. ANGLADE, p. III; cfr. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, I, p. 45; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. 8) forse è stata suggerita l’immagine dei vv. 15-16 della canz. XI. La reminiscenza indicata dal DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 83 n. 5 non riguarda Peire Vidal, perché la lirica è ora comunemente assegnata a Peire Guilhem de Luserna (cfr. nota 538). CXLIV Peire Cardenal533, di Guiraut de Borneill 534, e forse si potrebbe risentire anche una qualche influenza di Bernart di Ventadorn535 o di Guilhem Montanhagol536, e qualche traccia dell’influenza di Aimeric de Peguilhan 537 o di Peire Guilhem de Luserna538, e inoltre, benché con qualche dubbio, un tenue ricordo di un componimento di Rambertino Buvalelli 539. Ma nessuna traccia si ritrova di Marcabru o di Peire d’Alvernhe, né di Raimbaut d’Aurenga, né di Arnaut Daniel, né di minori seguaci della stessa corrente, come Peire Raimon de Tolosa o Gavaudan. Questa mancanza di interesse di Sordello per i trovatori che si compiacquero del trobar clus o del trobar ric è confermata dallo studio della metrica: come vedremo, il trovatore mantovano tolse lo schema metrico di qualche sua lirica (per quanto si può congetturare dai dati che ora abbiamo) da Bertran de Born, da Guiraut de Borneill, da Gaucelm Faidit, da Raimon de Miraval, da Raimbaut de Vaqueiras, da Folquet de Marseilla, da Peire Cardenal, ma mai si servì come modelli delle liriche ispirate al trobar ric o scritte in istile ermetico. Né indulse, come vedremo, alle rimas caras. Tutt’al Ad un sirventese di Peire Cardenal Sordello si ispira, come si è visto, per i suoi due sirventesi morali. Un’immagine del sirventese morale Qui be·is membra (XXII) forse fu suggerita — come abbiamo accennato — da un passo di un sirventese di Guiraut de Borneill. Qualche generica influenza inoltre le liriche di Guiraut possono aver esercitato sulle liriche d’amore di Sordello. 535 È probabile che anche Bernart de Ventadorn abbia esercitato una qualche influenza sulle canzoni sordelliane. 536 Cfr. però le riserve espresse in proposito a p. CXX. 537 La cobla con cui Sordello risponde all’attacco mossogli da Aimeric de Peguilhan risente evidentemente della cobla di Aimeric. 538 Nell’inizio della canz. III si può forse avvertire, come parve al DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 83, n. 5), un’eco dei v. 5-7 della canz. No·m fai chantar di Peire Guilhem de Luserna (P. C. 344, 4; cfr. l’ed. del BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 278), che il DE LOLLIS attribuiva, seguendo l’ed. del BARTSCH, a Peire Vidal. 539 Nel salut di Rambertino si avvertono infatti qua e là alcune espressioni (v. 7 con l’am senz cor galiador; v. 8 que·m penria per servidor che ricorrono anche nel salut di Sordello (v. 3 e 11). Inoltre è da tenere presente che, come abbiamo rilevato, il salut del Buvalelli ha anch’esso la forma della canzone, del tutto eccezionale in questo «genere» lirico. Cito dall’ed. del BERTONI, I trovatori d’Italia, p. 238. 533 534 CXLV più potremo trovare in lui un certo numero di rime «leonine»: ma tali rime, come è noto, erano assai comuni, e spesso più risultato del caso che di una precisa ricerca da parte del poeta. 8. LA METRICA DELLE LIRICHE Ecco gli schemi metrici delle liriche di Sordello: a) Canzoni I. a’7 b7 a’7 b7 a’7 b7 a’7 b7; c7 c7 Cinque coblas singulars con ritornello (di due versi: c7 c7). MAUS, Peire Cardenals Strophenbau in seinem Verhältniss zu dem anderer Trobadors, Marburg, 1884, p. 71 e seg., 104 n. 222540; DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello, p. 134 e seg. Di questo schema si citano solo altri tre esempi simili, ma non identici (di cui uno posteriore, di Guiraut Riquier): l’esempio più vicino è quello della lirica 70 di Peire Cardenal 541, ove però tutte le rime sono maschili. II. a10 b10 b10 a10 c10 c10 d’10 d’10 Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.)542. MAUS, p. 89 n. 44 e 116 n. 535, 20; DE LOLLIS, p. 132. Schema molto comune. III. a10 b10 b10 a10 c10 c10 d10 d10 Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.). Schema identico al precedente, salvo che le rime qui son tutte maschili. IV. a8 b8 a8 b8 c’10 d10 d10 c’10 Quattro coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 111 n. 397, 4; DE LOLLIS, p. 133. Schema raro con questi tipi di versi. ISTVÁN FRANK ha condotto a termine un rimaneggiamento e un aggiornamento del repertorio del MAUS, intitolato Répertoire métrique de la poésie des troubadours. Il volume, secondo le informazioni che mi ha gentilmente inviato il FRANK, è attualmente in corso di stampa. 541 I numeri con cui vengono designate in queste pagine le liriche dei trovatori sono quelli del Grundriss del BARTSCH e della Bibliographie di PILLET e CARSTENS. 542 Ho rinunciato a indicare le tornadas con sbarrette verticali (come si sarebbe potuto fare, seguendo il metodo adottato dall’ALMQVIST — che però usa sbarrette orizzontali, in conformità col tipo di schema da lui preferito -— nella sua recente edizione di Guilhem Ademar, Uppsala, 1951, p. 76), per ragioni tipografiche e per evitare confusione. Del resto è noto che le tornadas riproducono sempre fedelmente lo schema e le rime dell’ultima cobla; sì che dal numero dei versi si può ricavare lo schema di ogni tornada. 540 CXLVI V. a7 b’7 a7 b’7 c7 c7 d7 e8 d8 e8 Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v). MAUS, p. 110 n. 374, 2 (errato); DE LOLLIS, p. 136. Schema che non si trova altrove. Lo Zorzi ha uno schema non molto dissimile, che è possibile sia dovuto a un’imitazione di Sordello. VI. a7 b7 b7 a7 c8 c8 d10 d10 Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 89 n. 44 e 116 n. 535. Lo schema non si trova altrove con questi tipi di versi, benché tale intreccio di rime sia comunissimo. VII. a10 b10 b10 c’10 d10 d10 c’10 a10 Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.). MAUS, p. 124 n. 701; D E LOLLIS, p. 133. Lo schema ricorre solo in questa canzone di Sordello e (del tutto identico) nella lirica 36 di Gaucelm Faidit, che verisimilmente fu il modello a cui si ispirò, quanto al metro, il trovatore mantovano. VIII. a8 b8 b8 a8 c’8 c’8 d8 d8 e8 e8 Cinque coblas unissonans e la tornada (2 v.). MAUS, p. 117 n. 549, 4; DE LOLLIS, p. 133. Schema abbastanza comune. IX. a8 b8 b8 a8 c’7 c’7 d10 d10 Tre coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 2 v.)543. MAUS, p. 116 n. 535, 16; DE LOLLIS, p. 133. Lo schema ricorre anche altrove, ma non molto frequentemente. Secondo il DE LOLLIS Sordello trasse questo schema da Raimon de Miraval. X. a10 b10 a10 b10 c10 c10 d10 d10 Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 62, 88 n. 27, 108 n. 359, 4; D E LOLLIS, p. 134. È uno degli schemi più comuni. XI. a10 b10 b10 c10 c4 d6 d4 c6 c4 d6 c4 e6 e4 c6 Cinque coblas unissonans e la tornada (8 v.). MAUS, p. 122 n. 666; DE LOLLIS, p. 137. Di questo schema il MAUS non registra che questo esempio di Sordello. XII. a7 b7 b7 a7 c’7 a7 c’7 d8 d10 Cinque coblas unissonans: e la tornada (5 v.). MAUS, p. 98 n. 503; DE LOLLIS, p. 134. Il MAUS non registra che questo esempio. La seconda tornada manca nell’ed. del DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 188); essa figurava però nell’ed. diplomatica di F curata dallo STENGEL, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana, col. 3. 543 CXLVII b) Tenzoni e partimen XIII. a8 a8 a8 a8 a8 b’7 a8 b’7 Quattro coblas singulars, senza tornadas. Ogni cobla è divisa in quattro sezioni di due versi ciascuna; la rima b’ si ripete in tutte le coblas. MAUS, p. 21, 91 e 97 n. 22. Schema unico con questi tipi di versi; qualche altro esempio con versi di altra specie. XIV. a8 a8 a8 b8 b8 b8 Sei coblas doblas e doppia tornada (2 v. + 2 v.). MAUS, p. 98 n. 61, 2; DE LOLLIS, p. 131. Il MAUS cita solo altri due esempi di questo schema (Falco 1, Simon Doria 3). XV. a’7 b7 a’7 b7 c7 c7 d7 d7 e7 e7 Sei coblas unissonans e doppia tornada (6 v. + 6 v.). MAUS, p. 109 n. 366, 2; D E LOLLIS, p. 131. Schema raro; anzi usato solo da Uc de Saint Circ 25 con la rima femminile al primo e al terzo verso. XVI. a7 a7 a7 b’6 a7 b’6 c7 c7 c7 b’6 c7 b’6 Sei coblas unissonans e doppia tornada (6 v. + 6 v.). MAUS, p. 98 n. 56; DE LOLLIS, p. 134. Schema che non ricorre altrove, a quanto risulta dal Maus. XVII. a’10 b10 b10 a’10 c10 c10 a’10 a’10 Sei coblas doblas e doppia tornada (4 v. + 4 v.). MAUS, p. 115 n. 510; DE LOLLIS, p. 131 e seg. Questo schema si trova, oltre che nella lirica 36 di Guiraut Riquier (unico esempio citato dal MAUS, oltre a quello di Sordello), anche nel sirventese No·s pot sofrir, attribuito dal cod. Sg (che solo lo conserva) a Guiraut de Borneill, e nella canzone francese S’onkes nus hom por dure departie di Ugo di Berzé. Secondo P. MEYER Sordello imitò la canzone di Ugo di Berzé544. Cfr. MEYER, Des rapports de la poésie des trouvères avec celle des troubadours, p. 35 e segg. All’opinione del Meyer si accostò il DE LOLLIS, il quale (Vita e poesie, p. 188) sostiene che il sirventese No·s pot sofrir non è di Guiraut de Borneill, ma di un suo imitatore, ed è posteriore a Sordello: sì che il problema per lui è quello di determinare se l’autore del sirventese abbia imitato Sordello o Ugo di Berzé. Ma il KOLSEN, anche dopo le obiezioni del DE LOLLIS, ha mantenuto, nella sua ed. completa delle liriche del trovatore (Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, p. 436 e seg.), l’attribuzione del sirventese a Guiraut, che è accettata anche dal PILLET e dal CARSTENS (242, 52 a): e non par lecito dubitare (pur restando qualche incertezza) che la lirica sia di Guiraut. Sicché può anche darsi che Sordello imitasse il sirv. No·s pot sofrir, tanto più che anche questa poesia ha le stesse rime. La lirica di Ugo de Berzé si può vedere nella raccolta delle liriche del troviero francese curata da C. ENGELCKE, Die Lieder des Hugues de Bregi, tesi dell’Univ. di Rostock, 1885. Su Ugo de Berzé cfr. anche G. PARIS, Hugues de Berzé, in Romania, XVIII, 1889, p. 553 e segg.; F. LECOY, introduz. all’ed. della Bible au seigneur de Berzé, Paris, 1938, e Sur la chronologie de Hugues de Berzé, in Romania, LXII, 1942-43, p. 243 e segg. Altra 544 CXLVIII XVIII. a10 b10 b10 c10 c10 d10 d10 Sei coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 4 v.), MAUS, p. 122 n. 660, 2; DE LOLLIS, p. 134. Schema di cui si hanno vari altri esempi (Peirol 21 ha le stesse rime e lo stesso numero di stanze). c) Sirventesi XIX. a7 b’6 a7 b’6 a7 b’6 c3 c7 c3 c7 per le coblas 1, 2, [5], 6. [a]7 b’6 a7 b’6 a7 b’6 a3 a7 a3 a7 per le coblas 3 e 4. Sei coblas doblas (di cui la penultima è andata perduta). MAUS, p. 105 n. 261, 1; DE LOLLIS, p. 128 e seg. Lo schema si ritrova, oltre che in questo sirventese, soltanto in Raimbaut de Vaqueiras (lirica 12) e in Lanfranco Cigala (lirica 17): è probabile che Sordello e il Cigala abbiano imitato indipendentemente Raimbaut de Vaqueiras (cfr. anche B ERTONI, I trovatori d’Italia, p. 552). XX. a8 b8 a8 b8 c’6 d8 d8 c’6 d8 d8 Cinque coblas unissonans e la tornada (5 v.). MAUS, p. 50 e seg., 89 n. 30, 111 n. 40; D E LOLLIS, p. 129. Si hanno vari altri esempi che offrono anche identiche rime. Secondo il MAUS, ibid., e l’APPEL, Provenzalische inedita, p. 134, n., l’invenzione di questo schema si deve a Guiraut de Borneill (lir. 51). XXI. a10 b10 b10 a10 c’10 d10 d10 c’10 Cinque coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 89 n. 45 e 119 n. 579, 3; D E LOLLIS, p. 130. Schema abbastanza comune. È molto probabile che Sordello abbia imitato Folquet de Marseilla (lir. 16), che ha le stesse rime. XXII. a10 b10 b10 a10 a10 c10 c10 Cinque coblas unissonans e doppia tornada (4 v. + 4 v.). MAUS, p. 89 n. 34 e 113 n. 463; DE LOLLIS, p. 130 e seg. Di questo schema si hanno alcuni altri esempi. Sordello ebbe a modello il sirv. Lo sabers d’est segle di Peire Cardenal (n. 34). XXIII. a10 a10 b10 a10 a10 b10 Cinque coblas unissonans e la tornada (3 v.). MAUS, p. 99 n. 87, 4; DE LOLLIS, p. 129. Schema abbastanza diffuso. Sordello imita, come si è visto, il sirv. Drogoman senher di Peire Vidal (n. 18). bibliografia nel Manuel bibliographique de la littérature française au moyen âge del BOSSUAT, Melun, 1951, p. 256. Cfr. P. C., p. 214. CXLIX XXIV. a10 b10 a10 b10 c’10 d10 c’10 d10 Sei coblas unissonans senza tornada. MAUS, p. 110 n. 383, 3; DE LOLLIS, p. 129. Schema di cui si ha qualche altro esempio; secondo il Maus (p. 90) Sordello imita il sirventese Puois Ventadorns di Bertran de Born (n. 33). A questa opinione inclinano anche il BERTONI e lo JEANROY, Un duel poétique au XIIIe siècle, p. 298. XXV. a12 a12 a12 a12 a12 a12 a12 a12 Cinque coblas singulars senza tornada. MAUS, p. 96 n. 12; DE LOLLIS, p. 129. È lo stesso schema del planh in morte di Blacatz, che pare il più antico esempio di tale schema, stando agli esempi citati dal Maus: infatti l’esempio di Bertran d’Alamanon è la nota imitazione del planh per Blacatz, i due esempi di Peire Bremon Ricas Novas sono l’imitazione del planh per Blacatz e il terzo sirventese contro Sordello (che riprende lo schema del sirventese di cui stiamo occupandoci), e l’esempio di Uc de Saint Circ è il sirv. Un sirventes vueill faire, composto, come è noto, tra l’agosto 1240 e l’aprile 1241 545. d) Compianto XXVI. Lo schema è identico a quello del n. XXV. Cinque coblas singulars e doppia tornada (2 v. + 2 v.). e) Liriche varie e frammenti XXVII. a’10 a’10 a’10 b10 a’10 b10 a’10 b10 Cobla esparsa (senza tornada) MAUS, p. 98 n. 52; DE LOLLIS, p. 128. Il Maus cita altri quattro esempi di questo schema. XXVIII. a10 a10 a10 a10 a10 a10 a10 a10 Frammento (una intera cobla, preceduta dal primo verso della lirica). M AUS, p. 96 n. 12, 2; DE LOLLIS, p. 130. Di questo schema si ha qualche altro esempio. XXIX. Schema identico al precedente. Tre coblas singulars e tornada (4 v.). XXX. a’7 b5 b7 a’7 c7 c7 d10 d10 Scambio di coblas. MAUS, p. 116 n. 535, 17; DE LOLLIS, p. 128. Nel ms. al posto di b5 si ha b6, ma credo che si possa accogliere Cfr. ZINGARELLI, Intorno a due trovatori in Italia, Firenze, 1899, p. 1 e segg.; JEANROY, SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, p. 158 e seg.; DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche, II, p. 153 e seg.; UGOLINI, La poesia provenzale e l’Italia, p. XXVIII. Sui componimenti provenzali in dodecasillabi cfr. SCHULTZGORA, Ueber den Liederstreit zwischen Sordel und Peire Bremon, p. 125 e segg. 545 l’emendamento proposto dal De Lollis546. Di questo schema abbiamo vari altri esempi. XXXI. Schema identico a quello del n. XXIV. Scambio di coblas. XXXII. a’12 a’12 a’12 a’12 a’12 a’12 Scambio di coblas. MAUS, p. 97, n. 17; DE LOLLIS, p. 130 (errato). Schema di cui si hanno alcuni altri esempi. XXXIII. a10 b10 b10 a10 a10 c’10 d10 d10 per la prima cobla. a10 a10 b10 a10 d10 d10 per la seconda cobla. La seconda cobla sembra funga da tornada, e ne riproduce tre rime, ma non è costruita secondo lo schema regolare delle tornadas (che, come è noto, riproducono le rime e l’ordine delle rime dell’ultima parte della cobla precedente)547. MAUS. p. 114 n. 480; DE LOLLIS, p. 136. Lo schema non si trova altrove. XXXIV. Schema eguale al n. IV, con cui ha anche identità di rime (D E LOLLIS, p. 135). Cobla (cobla esparsa o frammento?). XXXV. Schema eguale a quello del n. XXX (D E LOLLIS, p. 130) Cobla (cobla esparsa o frammento?). XXXVI. a10 b10 b10 a10 c’10 c’10 d10 d10 Due coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 116 n. 535, 20; DE LOLLIS, p. 135. Schema analogo a quello del n. II da cui differisce solo per la collocazione delle rime femminili, e a quello del n. III, che ha tutte le rime maschili; e molto comune. XXXVII. a6 b6 b6 a6 c6 d6 d6 e8 e8 f10 f10 Cobla (probabilmente non cobla esparsa, ma frammento di canzone). MAUS, p. 120 n. 599; DE LOLLIS, p. 136. Questa disposizione delle rime si trova solo nella lirica 72 di Guiraut de Borneill, che evidentemente fu il modello a cui si ispirò qui Sordello, usando però versi di diverso tipo (lo schema usato da Guiraut è: a7 b7 b7 a7 c5 d2 d3 e4 e7 f7 f7). XXXVIII. a10 b’10 b’10 a10 a10 c10 d’10 d’10 c10 c10 Cobla e tornada (4 v.). MAUS, p. 44 e segg., 89 n. 39, 114 n. 428; DE LOLLIS, p. 136. Schema non infrequente, che secondo il Maus fu inventato da Gaucelm Faidit. XXXIX. a’10 b10 b10 a’10 c10 c10 a’10 Cobla e tornada (3 v.) (Probabilmente è un frammento). MAUS, 546 547 Tale emendamento è stato accolto anche da SHEPARD e CHAMBERS, The Poems of Aimeric de Peguilhan, p. 72. Cfr. nota 520, p. CXXXIX. CLI p. 115 n. 509, 2; DE LOLLIS, p. 130. Di questo schema si ha un altro esempio solo in Arnaut de Maroill (lir. 5), però con rime tutte femminili. XL. a8 b8 b8 a8 c8 c8 d10 d10 Due coblas unissonans e la tornada (4 v.). MAUS, p. 116 n. 535, ove son registrati vari altri esempi. XLI. a10 b10 a10 b10 c’10 d10 d10 c’10 Cobla con tornada (4 v.). MAUS, p. III n. 397, 3; DE LOLLIS, p. 135 e segg. Schema assai frequente; Sordello ebbe molto probabilmente presente la lirica 14 di Pons de Capdueil, che ha le stesse rime. XLII. a’7 b7 a’7 b7 a’7 b7 b7 a’7 b7 b7 Cobla esparsa (senza tornada). MAUS, p. 104 n. 251; DE LOLLIS, p. 136 e segg. Questo schema, secondo il De Lollis, fu usato per la prima volta da Gui d’Uisel nella pastorella L’autre jorn cost’una via (n. 13), e da essa passò poi alle coblas, a cui venne esclusivamente riservato. È riprodotto in varie coblas, sempre con le stesse rime. Dagli schemi sopra riportati risulta che Sordello compone le sue canzoni generalmente di cinque coblas548: hanno cinque coblas dieci canzoni sulle dodici che ci son giunte intere (I, II, III, V, VI, VII, VIII, X, XI, XII). Una sola (la IV) ha quattro coblas, e un’altra (la IX) tre. Undici canzoni (II-XII) hanno la tornada, che è doppia in quattro casi (II, III, VII, IX); la canzone I è invece una canzone con ritornello. Nei sirventesi troviamo come nelle canzoni una netta prevalenza delle liriche a cinque coblas: cinque volte si trovano cinque coblas (XX, XXI, XXII, XXIII, XXV), e solo due volte sei coblas (XIX e XXIV)549. Tre sirventesi sono senza tornada (XIX, XXIV, XXV), tre con tornada semplice (XX, XXI, XXIII), uno con doppia tornada (XXII). Al tipo più comune dei sirventesi si uniforma il compianto, che ha anch’esso cinque coblas; ha però la doppia tornada. Nelle tenzoni e nei partimens le coblas sono per lo più sei (cinque volte: XIV, XV, XVI, XVII, XVIII); una sola volta (XIII) sono quatNei trovatori del periodo classico invece la canzone, pur avendo spesso cinque coblas, ne ha frequentemente anche sei: cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 69. 549 Il sirventese contro Raimondo Berengario ha ora 5 coblas, perché una cobla è andata perduta: ma qui, come è ovvio, non dobbiamo tener conto della lacuna. 548 CLII tro. Nei componimenti di sei coblas abbiamo anche la doppia tornada; la tenzone di quattro coblas non ha tornada: ma è da notare che in essa ogni cobla (di otto versi) è divisa in quattro parti, perché il dialogo tra i due interlocutori avviene per tutto il componimento attraverso battute di due versi ciascuna. La lirica in cui Sordello rifiuta di partecipare alla crociata (XXIX) ha tre coblas con tornada; due altri componimenti (XXXVI, XL) constano di due coblas con tornada; e tre (XXXVIII, XXXIX, XLI) di una cobla con tornada550. Una forma speciale ha il salutz (XXXIII), in cui la seconda cobla più breve non è una tornada regolare. Tre sono gli scambi di coblas (XXX, XXXI, XXXII); cinque le coblas isolate, di cui due (XXVII, XLII) sicuramente esparsas. La cobla è costituita prevalentemente di 8 versi: ciò accade infatti 24 volte (II, III, IV, VI, VII, IX, X, XIII, XVII, XXI, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXI, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XL, XLI). Subito dopo, ma a notevole distanza, vengono le coblas di 10 versi, di cui si hanno 8 casi (I, V, VIII, XV, XIX, XX, XXXVIII, XLII)551. Le coblas di altro tipo sono in numero nettamente inferiore: le coblas di 6 versi si hanno solo in 3 liriche (XIV, XXIII, XXXII), e le coblas di 7 versi pure solo in 3 liriche (XVIII, XXII, XXXIX); mentre di coblas di 9, 11, 12, 14 versi si ha un unico esempio 552. Il che mostra che Sordello si mantiene sostanzialmente vicino ai trovatori dell’epoca classica — presso i quali la cobla ha di solito 8 o 9 versi553 — preferendo però, accanto alla cobla di 8 versi, per la quale ha una particolare predilezione, la cobla di 10 versi, anziché quella di 9; e mostra pure che in Sordello, come nei trovatori dell’epoca classica, c’è una certa riluttanza ad usare coblas di più di 12 versi554. Anzi si può dire che nell’usare coblas di A proposito delle tornadas mette conto notare che sono quasi sempre invii come accade nella lirica provenzale meno antica: le tornadas che fanno semplicemente da epilogo alla lirica, riprendendone o ripetendone alcuni motivi, secondo l’uso dei più antichi trovatori (J EANROY, La poésie lyrique des troubadours, p. 93, n. 3) si hanno soltanto in quattro poesie: VII (canzone), VIII (canzone), XXI (sirventese morale), XLI (cobla con tornada). 551 Per la canz. I naturalmente si è considerato il ritornello come parte integrante della strofe. 552 Cobla di 9 versi: XII; cobla di 11 versi: XXXVII; cobla di 12 versi: XVI; cobla di 14 versi: XI. 553 Cfr. JEANROY, ibid., p. 72. 554 Le coblas di 12 versi e più sono assai rare presso i trovatori dell’epoca classica, ma diverranno più comuni in seguito (ibid.). 550 CLIII questo tipo il trovatore mantovano sia anche più moderato di alcuni trovatori dell’età classica555. Le coblas sono composte ora di versi di uno stesso tipo, ora di versi di differenti specie. Vi è tuttavia un’evidente predilezione per le coblas composte di versi di un unico tipo, che ricorrono in ben 27 liriche, ossia in più dei tre quinti delle liriche sordelliane che ci sono giunte. Unicamente in versi decasillabi sono 19 componimenti: II, III, VI, X, XVII, XVIII, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXI, XXXIII, XXXVI, XXXVIII, XXXIX, XLI. Unicamente in versi eptasillabi sono 3 componimenti: I, XV, XLII; e altre tre sono in dodecasillabi: XXV, XXVI, XXXII. In due liriche (VIII, XIV) è usato invece l’ottosillabo. Gli altri 15 componimenti hanno versi variamente combinati fra loro. Tra le varie combinazioni prevalgono quelle formate da decasillabi, ottosillabi e eptasillabi, che si presentano complessivamente 8 volte; e ora risultano dalla riunione di due tipi di tali versi (ottosillabi + decasillabi, 3 volte: IV, XXXIV, XL; ottosillabi + eptasillabi, una volta: XIII; eptasillabi + ottosillabi, una volta: V) ora dalla riunione di tutti e tre (VI, IX, XII). Altre volte si hanno combinazioni in cui compaiono anche esasillabi, pentasillabi, quadrisillabi e trisillabi. Più spesso si trovano gli esasillabi, che sono usati 5 volte: una volta in unione con gli eptasillabi (XVI), una volta con gli ottosillabi (XX), una volta cogli ottosillabi e i decasillabi (XXXVII), una volta con eptasillabi e trisillabi (XIX), una volta con decasillabi e quadrisillabi (XI). I pentasillabi compaiono due volte sole, combinati cogli eptasillabi e coi decasillabi (XXX, XXXV). I quadrisillabi e i trisillabi compaiono una sola volta, con esasillabi e decasillabi i primi (XI), con esasillabi ed eptasillabi i secondi (XIX). C’è, come si vede, una certa varietà. Tra i versi prevale nettamente il decasillabo, che compare 19 volte da solo, ed entra nella maggior parte delle combinazioni di vari tipi di versi: e in questo Sordello si adegua all’uso trobadorico dei suoi tempi, allontanandosi dai trovatori più antichi, in cui il decasillabo o non era usato, o era rarissimo 556. Si avverte una certa cura nell’evitare la ripetizione degli stessi schemi557; ma non vi è in genere una ricerca insistente di schemi rari o di schemi nuovi, benché tre schemi — stan- Guiraut de Borneill ad es. ha anche, eccezionalmente, coblas di 18, 24 e 25 versi (cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, p. 72). 556 Cfr. ibid., p. 74. 557 Gli schemi ripetuti sono infatti soltanto cinque: XXVI (= XXV), XXIX (= XXVIII), XXXI (= XXIV), XXXIV (= IV), XXXV (= XXX). 555 CLIV do agli elenchi del Maus — siano unici in tutta la tradizione trobadorica (XI, XII, XXXIV), e uno schema (usato due volte: XXV, XXVI) rappresenti una innovazione rispetto alla tradizione precedente. Quanto alle rime, prevalgono di gran lunga le rime maschili. Infatti 15 liriche sono tutte in rime maschili: III, VI, X, XI, XIV, XVIII, XXII, XXIII, XXV, XXVI, XXVIII, XXIX, XXXII, XXXVII, XL; e nelle altre le rime maschili sono quasi sempre in maggioranza. C’è però per eccezione una lirica (XXXII) che ha versi esclusivamente a uscita femminile; e in un’altra (XXVII) le rime femminili prevalgono (cinque contro tre)558. È da notare che la rima femminile compare in tutti i tipi di versi usati da Sordello, all’infuori che nei tre versi più brevi (pentasillabi, quadrisillabi e trisillabi). Il numero delle rime nella cobla è generalmente vario. Prevalgono le combinazioni di quattro rime, che si hanno in 21 componimenti: II, III, IV, VI, VII, IX, X, XII, XVIII, XX, XXI, XXIV, XXX, XXXI, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVIII, XL, XLI. Le combinazioni di tre rime ricorrono 6 volte (I, XVI, XVII, XIX, XXII, XXXIX); 5 volte si hanno combinazioni di due rime (XIII, XIV, XXIII, XXVII, XLII), e altrettante volte coblas aventi una sola rima (XXV, XXVI, XXVIII, XXIX, XXXII). Ancora meno frequenti le combinazioni di cinque rime (usate solo 4 volte: V, VIII, XI, XV); mentre del tutto eccezionale è la cobla di sei rime, che si ha una volta sola (XXXVII). Le rime interne non compaiono in nessuna lirica. Vi è invece un esempio di rim trencat (che si ha, come è noto, quando la rima è ottenuta troncando a metà una parola, la cui prima parte è posta in fin di verso e l’altra metà al principio del verso seguente) al v. 14 della canzone IX559. Per quanto concerne la disposizione delle rime nella lirica è da notare che prevalgono di gran lunga le coblas unissonans, che compaiono in 21 delle 29 liriche che a questo proposito si debbono prendere in considerazione560: II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, V’è anche una lirica in cui il numero dei versi a rima maschile è pari al numero dei versi in rima femminile (XVII). 559 Su questa specie di rima, certo assai rara, ma di cui non manca qualche esempio anche presso i migliori trovatori (ad es. Guiraut de Borneill) cfr. JEANROY, ibid., p. 73; e cfr. Las Leys d’Amors, ed. GATIEN-ARNOULT, I, Toulouse, 1841, p. 52, 196, 278; e ed. J. ANGLADE, Toulouse-Paris, 1919-20, II, p. 51, 118 e 141. 560 Vanno esclusi naturalmente le coblas esparsas, gli scambi di cobbole e i frammenti. 558 CLV XI, XII, XV, XVI, XVII, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXXVI, XL. Le coblas singulars si trovano in 5 poesie: I, XIII561, XXV, XXVI, XXIX. Le coblas doblas ricorrono in 3 poesie (XIV, XVIII, XIX): ma è da avvertire che i primi due casi sono una tenzone e un partimens. Del tutto eccezionale è la rima isolata o rim estramp562: si trova soltanto nel v. 5 della lirica XXXVII, che è quasi certamente un frammento di canzone, sì che si può supporre che tale rima ritornasse nelle coblas perdute563. Parimenti eccezionale è la parola rima564, che ricorre due volte: nella canzone XII (ove si ha enansa al v. 5 di ogni cobla), e nella lirica XXXVI (ove il primo verso di ognuna delle due coblas termina con amor). Sordello, come si vede, non ama le complicazioni e gli artifici: come è provato anche dal fatto che non vi è alcun esempio di coblas capcaudadas e di coblas capfinidas565. Non si nota alcuna ricercatezza nella qualità delle rime. Mancano esempi di rimas caras: solo nel sirventese Non pueis mudar (XIX) si nota talora qualche rima meno comune566. Vi sono alquanti esempi di rime leonine perfette e di rime consonanti legali567: I, v. 3, 5 gensa: agensa; ibid., v. 17, 19 cossenta: senta; ibidem, v. 25, 27 tenha: retenha; ibidem, v. 33, 35, 39 traire: retraire: estraire; III, v. 17, 20 pensamen: men; ibid., v. 42, 44, traire: estraire; V, v. 25, 26 turmenz: menz; ibid., v. 32, 34 aire: repaire; VII, v. 26, 27 cortes: es; X, v. 2, 4 repren: pren; ibid., v. 7, 8 garai: ai; XVII, v. 9, 15 fadia: dia; XIX, v. 1. 3, 5 es: espres: es; XXII, v. 8, 11 prezatz: mesprezatz; XXIII, v. 27, 30 au: enclau; XXIV, v. 5, 7 aia: retraia; XXV, v. 9, 12 tals: Espitals; XXVI, v. 1, In questa poesia però la rima b’ rimane costante in tutte le cobbole. Cfr. JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 76 e seg. 562 Cfr. ibid., p. 77 e segg. 563 Non credo che si debba considerare un caso di rim estramp la rima in -ia (c’ dello schema) del salut (XXXIII, v. 6), la quale non ritorna più nella strofe più breve che segue, che, come si è detto, ha la funzione di una tornada pur non avendone la struttura: infatti è difficile pensare che la lirica avesse altre coblas, ora perdute (basta, mi sembra, una rapida lettura del breve componimento per convincersene). 564 Cfr. ibid., p. 79. 565 Cfr. ibid., p. 80 e segg. 566 Cfr. specialmente le rime in -uc delle coblas 3 e 4. 567 Cfr. Las Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 158 e segg. Le «rubriche» riguardanti queste rime, insieme ad alquante altre, mancano, come è noto, nel codice pubblicato dall’ANGLADE (II, p. 5 e 99) a causa della perdita delle carte 94-99. 561 CLVI 2, 5 so: razo: sospeisso; ibid., v. 34, 39, 40 te: chapte: soste; XXXVII, v. 6, 7 revei: vei. Ma parecchi di essi sono certo fortuiti; e altrettanto è da dirsi dei casi di rime leonine semplici, anch’essi non molto frequenti 568. Vi è qualche esempio di rime derivative 569: II, v. 6, 7 grasitz: grazida; ibid., v. 13, 15, 19 guitz: guida: gidar; ibid., v. 30, 32 feritz: ferida; ibid., v. 36, 39 partentz: partida; III, v. 5, 7 chan: chantar; ibid., v. 35, 40 guezerdon: geserdonar; X, v. 22, 23 amatz: amarai; XII, v. 7, 9 onransa: honratz; XXXVI, v. 14, 15 auzia: auzir; XXXV, v. 3, 6 don: donar; XXXIX, v. 5, 6 lauzor: lauzador. E vi è pure qualche esempio di rime equivoche 570: III, v. 15, 24 amar («amare » e «amaro»); V, v. 35, 36 genz («gentile» e «genti»); X, v. 12, 18 gen («gente» e «gentile»); XI, v. 3, 58 esfortz (sostantivo e verbo); ibid., v. 8, 53 enans (avverbio e verbo); XXIII, v. 6, 18 clau («chiave» e «chiodo»); XXVI, v. 1, 4 so («suono» e «sono»); XXXVII, v. 8, 9 ve («vede» e «viene»). Si tratta però, come si vede, di casi assai sporadici, e che non rivelano alcuna ricerca di tali preziosità stilistiche. Anche la allitterazione non è ricercata: se ne trovano due casi, che non sono forse fortuiti, nei versi 8 e 53 del sirventese Non pueis mudar (XIX), che è uno dei rarissimi componimenti in cui si può avvertire qualche lieve traccia di artifici formali. La cesura nei dodecasillabi ha luogo regolarmente dopo la sesta sillaba accentata, sì da dividere il verso in due parti; è in prevalenza maschile, ma vi sono anche 21 casi su 96 di cesura femminile 571. Nel decasillabo — il verso preferito da Sordello — molto spesso la cesura è posta dopo la quarta sillaba accentata, conformemente alla consuetudine codificata poi dalle Leys d’Amors572. Vi sono però alquanti casi della cosiddetta «cesura lirica», in cui la quarta sil- Basti citare, senza indugiarci a dare un elenco completo: XII, v. 41, 43, s’ enansa : benanansa; XVII, v. 2, 3, sazo : razo; ivi, v. 23, 24, entendre : atendre; ivi, v. 28, 32, entendre : estendre; XXI, v. 5, 8, s’ atura : escriptura; ivi, v. 29, 32, fraitura : natura; XXII, v. 9, 10, membramen : vivamen. Cfr. Las Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 160 (anche questa «rubrica» manca nel codice pubblicato dall’ANGLADE). 569 Cfr. Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 184; ed. ANGLADE, II, p. 112 e segg.; J EANROY, La poésie lyrique des troubadours, II, p. 90. 570 Cfr. Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 188; ed. ANGLADE, II, p. 115 e seg.; JEANROY, ibid. 571 Cfr. i versi 1, 3, 4, 9, 12, 21, 22, 29, 37, 40 del n. XXV; e 6, 10, 14, 15, 19, 20, 24, 27, 31, 33, 36 del n. XXVI. Nel n. XXXII non si nota alcuna cesura femminile. 572 Ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 114; ed. ANGLADE, p. 68 e seg. 568 CLVII laba, finale di parola, è disaccentata573, e casi in cui la cesura ha luogo dopo la quinta sillaba atona, la quale viene elisa davanti alla vocale iniziale dalla parola seguente o dà luogo alla sinalefe574. Accettando la lezione del ms. H (l’unico che ci abbia tramandato la lirica), vi sarebbe anche un caso — peraltro assai discusso — della cosiddetta «cesura epica», che si ha, come è noto, quando la cesura cade dopo la quinta sillaba atona, ma questa non viene computata tra le dieci sillabe costituenti il verso575. Nell’ottosillabo è frequente la cesura dopo la quarta sillaba accentata, in modo che il verso ne risulta diviso in due parti eguali 576. Per ciò che riguarda lo iato, lasciando da parte i casi in cui lo iato è permesso dalle Leys d’Amors (ossia nell’incontro tra un dittongo e una vocale, tra due vocali avvicinate dall’elisione di una vocale atona che le separava, o tra una vocale iniziale e alcune parole di uso assai comune, come qui, si, ni, ecc.)577 ci limiteremo a segnalare i casi che non entrano fra quelli tollerati dalle Leys, che si pos- Di questa cesura si possono distinguere due casi: 1) versi in cui la pausa si trova dopo la quarta sillaba e non è trasferibile dopo la sesta sillaba (II, v. 12, 41; III, v. 5, 43; X, v. 23; XVIII, v. 1, 43; XXI, v. 12; XXII, v. 1, 9; XXIV, v. 9; XXVII, v. 2; XXVIII, v. 9; XXIX, v. 1; XXXI, v. 10; XXXVI, v. 4; 2) versi in cui la pausa può essere collocata dopo la sesta sillaba (accentata) (II, v. 2, 40; III, v. 45; VII, v. 27; X, v. 14; XII, v. 45; XVII, v. 4, 5, 49; XVIII, v. 46; XXI, v. 6, 14, 16, 28; XXII, v. 4, 24, 36; XXIII, v. 19; XXIV, v. 24, 42, 43; XXVII, v. 4; XXVIII, v. 5; XXIX, v. 2, 3, 5, 26; XXXI, v. 6; XXXIX, v. 1, 8; XLI, v. 11). La cesura dopo la sesta sillaba non è giudicata corretta dalle Leys (ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 116; ed. ANGLADE, p. 69). 574 Cfr. VII, v. 18; XVIII, v. 3; XXIII, v. 3; XXIV, v. 11, 19, 22; XXIX, v. 21. Un caso in cui la quinta sillaba verrebbe computata tra le dieci sillabe del v. si avrebbe secondo il DE LOLLIS al v. 22 del n. XXII. Ma cfr. la n. al verso. 575 Si tratta del v. 6 del n. XXVII. Il MUSSAFIA propone però (Zur Kritik und Interpretation romanischer Texte, p. 1) di emendare il verso eliminando il qe, cosicché le cesura epica verrebbe a mancare, e si avrebbe un verso con la quarta sillaba disaccentata e possibilità di cesura dopo la sesta sillaba (cfr. nota 573, n. 2); e la sua correzione incontrò il favore anche dello SCHULTZ-GORA (rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 245). Ed è un emendamento che si può anche accettare, benché si debba osservare che qualche raro caso di «cesura epica» si ha anche nelle liriche composte da trovatori di origine provenzale: uno, ad es., è nella canzone Non pot esser di Guilhem Ademar (ed. ALMQVIST, n. VII, v. 7, p. 130). 576 Si veda: IV, v. 1, 2, 4, 17, 19, 20, 26, 27, 28; VIII, v. 1, 4, 5, 7, 9, 12, 19, 21, 22, 24, 29, 32, 34, 37, 38, 41, 50, 51, 52; XII, v. 17, 44; XIV, v. 7, 8, 9, 11, 20, 24, 31, 33, 39, 40; XX, v. 6, 1, 26, 29, 36, 40, 44, 50, 52, 54; XXVII, v. 8. 577 Cfr. Leys, ed. GATIEN-ARNOULT, I, p. 24 e segg.; ed. ANGLADE, II, p. 37 e segg. 573 CLVIII sono ridurre ai seguenti: 1) iato tra due parole di cui la prima termina con la vocale con cui l’altra si inizia: IV, v. 8 entendre e; VII, v. 24 Ni ylh; ibid., v. 30 fresca, ab; XII, v. 22 ve el; XXI, v. 6 Tolosa al; XXII, v. 6 viura ab; XXV, v. 26 pe e; XXVII, v. 4 espada ab; XXXVII, v. 11 ve, e578; 2) iato nell’incontro di due dittonghi: I, v. 1, 11, 21, 31, 41, 51 miey huelh; IV, v. 6 farai hueymais; ibid., v. 12 siey huelh; VII, v. 20 plai, aucire; XVII, v. 33 cuy ay; XXVI, v. 3 luy ai; XXXI, v. 2 fai eissamen; ibid., v. 16 estei aisso; XXXIII, v. 14 cui eu; XXXVII, v. 4 Sui eu579; 3) iato all’incontro di due vocali diverse: III, v. 6 Aultresi es; V, v. 8 tro al; ibid., 13 Qe anc; XVII, v. 18 be ans; ibid., v. 50 jutge, amicx; XVIII, v. 29 vida es; ibid., v. 46 Ranbauda, on; XXI, n. 39 fora ops; XXII, v. 7 aissi enan; ibid., v. 30 gra en; ibid., v. 31 Tro als; XXIV, v. 2 tebe ancse; XXV, v. 35 fara elh; XXX, v. 13 ve a; XXXI, 10 Meraveilla, en580. È da osservare però che iati di questo tipo si incontrano anche presso non pochi altri trovatori581. L’elisione avviene normalmente secondo l’uso comune della poesia trobadorica; e non occorrono citazioni582. Altrettanto è da dirsi della sinalefe 583. Interessante è però notare che talora la sinalefe ha luogo anche tra vocali tra le quali cade la cesura (che però è sempre, in questi casi, femminile): III, v. 14 dopna, a; ibid., v. 32 dopna e; VII, v. 18 lonha, e; VIII, v. 5 corteza e; XXIV, v. 11 ausaria ad; ibid., v. 19 penre, et; ibid., v. 22 renda e; XXIX, v. 21 passa e. Per quanto riguarda l’aferesi, non vi sono da segnalare, come sicuri, che due casi del comunissimo ‘n per en (l’ama, ’n Bertran, È da notare però che in alcuni di questi casi lo iato è addolcito dall’esistenza di una pausa nel verso in coincidenza con l’incontro delle due vocali (in VII, 30 e XXXVII, 11 al punto dell’incontro vi è una pausa segnata modernamente con la virgola; in XXII, 6 tra le due vocali cade la cesura): cfr. C. A PPEL, Bernart von Ventadorn, Halle a. S., 1915, p. CXVII e seg.; ALMQVIST, Poésies du troubadour Guilhem Adémar, p. 82 e seg. 579 Anche qui si noti che in VII, 20 lo iato è addolcito dalla pausa richiesta dal senso (espressa modernamente dalla virgola) e che in XXXI, 16 è facilitato dalla cesura. 580 Si notino anche qui XVII, 50, XVIII, 46 e XXXI, 10 ove lo iato è facilitato dalla pausa richiesta dal senso, segnata dalla virgola. 581 Cfr. per es. per Bernart de Ventadorn APPEL, ibid., e per Guilhem Ademar l’ed. cit. dell’ALMQIST, ibid. 582 Si veda del resto la ricca esemplificazione che dà il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 143. 583 Cfr. ibid., p. 144. 578 CLIX XVIII, v. 16; a ’n Peire, XXXIX, v. 1) già registrati dal De Lollis; ma accanto ad essi mette forse conto di ricordare che potrebbero esser spiegate con un’aferesi — se non si vogliono attribuire a sviste dei copisti, dato che le due liriche ci son conservate da un solo manoscritto, o non si vogliono considerare «italianismi» — le lezioni co stai di XXI, 10 e e spaven di XXIX, 24584. 9. LA TRADIZIONE MANOSCRITTA. CRITERI SEGUITI IN QUESTA EDIZIONE Le liriche di Sordello sono conservate nei seguenti manoscritti (trascurando, s’intende, quei codici che sono una evidente e ben nota copia di canzonieri conservati)585: A (Roma, Biblioteca Vaticana, Vatic. lat. 5232) [scritto in Italia] 586: 5 liriche: XI (c. 125 d - 126 a-b), XXVI (c. 126 b-c), XV (c. 183 b-c), XXIII (c. 209 a-b), XXIV (c. 209 b-d). C (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 856, già 7226): 10 liriche: II (c. 263 b-d); IV (c. 263 d); VIII (c. 264 a-b); XII (c. 264 b-c); XXV (c. 264 c-d, 265 a); VII (c. 265 a-b); *I (c. 265 b-c); XXVI (c. 265 c-d, 266 a); XVI (c. 389 a-c); XVII (c. 390 b-d). D (Modena, Biblioteca Estense, α, R, 4, 4) [di mano italiana]: 4 liriche: XI (c. 84 b-c); XXIII (c. 140 a-b); XXIV (c. 140 c-d); XV (c. 148 a-b). Da [parte di D derivata dal Liber Alberici]: 1 lirica: XXVI (c. 178 d - 179 a). Dc [parte di D contenente il florilegio di Ferrarino da FerSulla questione cfr. quanto è detto più oltre, nel paragrafo dedicato alla lingua. Tali sono ad es., come è noto, il ms. AG. XIV. 49 della Bibl. Braidense di Milano (detto Aa dallo JEANROY e Ab dal BERTONI) copia di A dovuta a mano italiana del sec. XVI; d (Modena, Bibl. Estense, legato insieme al ms. D), copia di K eseguita nel sec. XVI; g 2 (Bologna, Bibl. Universitaria, 1290) copia di M, ecc. Ho indicato in nota, per i manoscritti di cui esistono, le edizioni diplomatiche. Sui manoscritti citati non ho creduto opportuno, per brevità, dare ampie notizie: rimando per questo alle seguenti opere: B ERTONI, I trovatori d’Italia, p. 185 e segg.; A. JEANROY, Bibliographie sommaire des chansonniers provençaux, Paris, 1916; PILLET-CARSTENS, Bibliographie der Troubadours, p. X e segg.; C. BRUNEL, Bibliographie des manuscrits littéraires en ancien provençal, Paris, 1935. Ho registrato per ogni manoscritto le liriche nell’ordine in cui sono trascritte nel codice. I componimenti che si trovano solo in un codice sono contrassegnati da un asterisco. 586 Ed. diplom. di A. PAKSCHER e C. DE LOLLIS, Il canzoniere provenzale A, in Studi di filologia romanza, III, 1891, p. 1 e segg. 584 585 CLX rara]587: 9 liriche, in parte frammentarie: II (solo i v. 1-8; c. 258 c); III (solo i v. 1, 1724, 33-40; c. 258 c); XXXIX (c. 258 c-d); XXXVII (c. 258 d); XXXI (c. 258 d); *XXVIII (c. 258 d); XXVI (solo i v. 31-32; c. 258 d); XIV (solo i v. 35-36; c. 258 d); XV (solo i v. 29-30; c. 259 b). E (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 1749, già 7698): 2 liriche: XIV (p. 224); XV (p. 224-225). F (Roma, Biblioteca Chigiana L. IV. 106, già 2348; ora alla Bibl. Vaticana) [di mano italiana]588: 13 liriche, in parte frammentarie: XVII (solo i v. 53-56; c. 9 r.) 589; IV (solo i v. 1, 9-16; c. 9 v.); *IX (c. 9 v. - 10 r. v.); V (v. 1-10, 21-30; c. 10 v.); XXXVII (c. 10 v. - 11 r.); XXXVIII (c. 11 r.); XXXIX (c. 11 r.); II (solo i v. 1-8, 3340; c. 11 r. v.); XXXI (c. 11 v. - 12 r.); *XXXIV (c. 12 r.); *XXXV (c. 12 r.); *XXIX (c. 12 r. v.); XXII (v. 1,15-28; c. 12v. - 13r.). G (Milano, Biblioteca Ambrosiana, R 71 sup. [copiato in Italia; forse di amanuense italiano]590: 1 lirica: XV (c. 95)591. H (Roma, Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 3207 [di mano italiana]592: 7 componimenti di cui uno frammentario: XXVI (c. 3 a-b); V (c. 3 b-c); *X (c. 4 c-d); *XXXIII (c. 43 a); *XXXVI (c. 50 a-b); IV (solo i v. 9-16, 33-36; c. 50 b); XXVII (c. 55 d). I (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 854, già 7225) [di mano italiana]: 10 liriche (una delle quali data due volte): XI (e. 123 b-c); II (c. 123 c-d); III (c. 123 d - 124 a); *XLII (c. 124 a); *XLI (c. 124 a-b); XV (c. 157 c-d); XVIII (c. 160 b); XXII (c. 188 c); XXIV (c. 188 c-d); XXVI (c. 188 d - 189 a); XXII (c. 199 a-b). K (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 12473, già Vat. Ed. diplom.: TEULIÉ-ROSSI, L’anthologie provençale de maître Ferrari de Ferrare, in Annales du Midi, XIII, 1901, e XIV, 1902. 588 Ed. diplom. di STENGEL, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana. 589 La mutilazione di questa lirica è dovuta però alla perdita della c. 8 del codice; la lacuna si può colmare ricorrendo a Fa (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2981, p. 1), a F b (Milano, Biblioteca Ambrosiana, D 465 inf. n. 25, c. 222) e al ms. 990 della Biblioteca Palatina di Parma, che sono, come è noto, copie (due dirette e una indiretta) di F. Lo STENGEL nella sua ed. diplomatica (ibid., col. 1a-1b) colma la lacuna ricorrendo a Fa. 590 Ed. diplom. di G. BERTONI, Il canzoniere provenzale della Biblioteca Ambrosiana, Dresden, 1912 (tra le pubblicazioni della «Gesellschaft für romanische Literatur», Bd. XXVIII). 591 Il ms. contiene anche a c. 131-140 l’Ensenhamen d’onor. 592 Ed. diplom. di GAUCHAT e KEHRLI, II canzoniere provenzale H, p. 341 e segg. 587 CLXI lat 3204) [di mano italiana]: 8 liriche (una delle quali data due volte): XI (c. 109 b-c); II (c. 109 c-d); III (c. 109 d); XV (c. 143 c-d); XVIII (c. 146 b-c); XXII (c. 174 a-b); XXIV (c. 174 b); XXVI (c. 174 c); XXII (c. 184 d). M (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 12474, già Vat. lat. 3794) [di mano italiana]: 4 liriche: II (c. 163 d - 164 a-b); *XIX (c. 246 d - 247 a-b); XIV (c. 255 a-c); XVII (c. 256 d - 257 a-c). N (New York, Pierpont Morgan Library, n. 819, già nella biblioteca di T. FitzRoy Fenwick a Cheltenham, n. 8335) [di mano italiana] 593: 2 liriche: XIV (c. 278 [già 275] a-c); XV (291 [già 288] c-d, 292 [già 289] a). O (Roma, Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 3208) [di mano italiana]594: 1 lirica: XIV (p. LXXXIV). P (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Pl. XLI, cod. 42) [di mano italiana] 595: 3 liriche: *XXX (c. 55 b); XXXVIII (c. 59 d - 60 a); *XXXII (c. 65 a). Q (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2909) [di mano italiana] 596: 1 lirica: XV (c. 47 b-c). R (Paris, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 22543, già La Vallière 14): 8 liriche: XXVI (c. 21 b-c); XXV (c. 23 a-b); VII (c. 23 b); VIII (c. 36 b-c); XII (c. 36 c); II (c. 60 a-b); *XL (c. 142 b); XVIII (c. 143 b). S (Oxford, Bodleian Library, Douce 269) [di mano italiana]597: 1 lirica: XXVI (c. 219). T (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 15211, già suppl. franç. 683 e anteriorm. 1091) [di mano italiana]: 6 liriche: *XX (c. 217 r. - 218 r.); XXII (c. 218 r. v.); *XXI (c. 219 r. v.); VII (c. 222 r. v.); VIII (c. 223 r. v.); IV (solo i v. 9-16; c. 280 r.). a’ (Modena, Biblioteca Estense, fondo Campori γ, N. 8, 4; C. F. BÜHLER, The ‘Phillipps Manuscript’ of Provençal Poetry now ‘Ms. 819’ of the Pierpont Morgan Library, in Speculum, XXII, 1947, p. 68 e segg. 594 Ed. diplom. di C. DE LOLLIS, Il canzoniere provenzale O, in Memorie della R. Accademia dei Lincei, S. IV, vol. II, 1886, p. 4 e segg. 595 Ed. diplom. di STENGEL, Die provenzalische Liederhändschrift Cod. 42 der Laurenzianischen Bibliothek in Florenz, XLIX, p. 59 e segg., 283 e segg., e L, p. 241 e segg. 596 Ed. diplom. di G. BERTONI, Il canzoniere provenzale della Riccardiana nº. 2909, Dresden, 1905 (nelle pubblicazioni della «Gesellschaft für romanische Literatur», Bd. VIII). 597 Ed. diplom. di P. W. SHEPARD, The Oxford Provençal Chansonnier, Princetown-Paris, 1927 (ElliottMonographs, n. 21). 593 CLXII 11, 12, 13)598: 4 liriche: *VI (p. 380); XXVI (p. 380-382); *XIII (p. 539); XIV (p. 59394). e (Roma, Biblioteca Vaticana, Barber. 3965, già XLV. 59): 1 lirica: II (c. 122124). f (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. franç. 12472): 1 lirica: VII (c. 24 r.). Come si vede da questo elenco, il codice che a prima vista parrebbe più ricco di liriche sordelliane è F (13 componimenti); ma in realtà in esso quattro liriche date altrove per intero sono riportate solo parzialmente599. I codici più ricchi di liriche interamente conservate risultano quindi C e I (10 liriche), a cui seguono, accanto a F, K (8 liriche), R (8 liriche), e quindi — con un numero minore di poesie — H, T, A, D-Da, Dc, M, a’, P. Su questi manoscritti, di varia importanza, ma che tutti recano all’edizione contributi più o meno notevoli, perché anche manoscritti generalmente secondari come M e P ci conservano, come si è visto, componimenti di cui non è restata traccia altrove, è principalmente fondata la ricostruzione della raccolta delle liriche di Sordello. Manoscritti veramente secondari, che recano solo scarsi o marginali contributi all’edizione delle liriche del trovatore mantovano sono invece E, G (prescindendo, naturalmente, dall’Ensenhamen d’onor), N, O, Q, S, e, f. Delle 42 liriche che la tradizione manoscritta ci ha conservato 21, e precisamente quelle contrassegnate coi numeri I, VI, IX, X, XIII, XVI, XIX, XX, XXI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXII, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XL, XLI, XLII, ci sono state tramandate da un solo codice600. Per queste ho riprodotto fedelmente la lezione del manoscritto anche nei particolari grafici, introducendo però tutti quegli emendamenti che mi sono parsi necessari a sanare i passi manifestamente corrotti (sempre, naturalmente, riportando nell’apparato la lezione data dal codice). Per le 8 liriche, che sono state conservate da due soli mano- Ed. diplom. di G. BERTONI, Il canzoniere provenzale di Bernart Amoros (Complemento Campori), Friburgo, 1911. Naturalmente, non è da considerare frammentaria la lirica XVII, conservata parzialmente solo a causa della perdita della c. 8 e ricostruibile mediante le copie cinquecentesche di F. 600 Non tenendo conto, s’intende, delle copie di codici conservati, che non hanno alcuna importanza per la ricostruzione del testo. 598 599 CLXIII scritti601, e cioè per le liriche contrassegnate dai numeri V, XII, XXIII, XXV, XXXI, XXXVII, XXXVIII, XXXIX, si è scelto come manoscritto di base quello in cui il componimento è conservato intero (come è accaduto per la canzone V, di cui F ci serba soltanto frammenti, ed è stato necessario quindi seguire H), o quello che risultava manifestamente più corretto (come è accaduto per la lirica XXXVIII, dove F è stato preposto a P, e per la XXXI, ove D c è stato preposto a F), o — nel caso in cui nessuno dei due codici spiccasse a proposito del componimento in questione per particolare correttezza — quello che nel complesso si può considerare più autorevole e usa un sistema ortografico più coerente (come a proposito di XXV e XII, dove si è preferito C a R, di XXIII, dove si è preferito A a D, e di XXXVII, dove D c è stato preferito a F). Come è ovvio, la lezione del manoscritto di base è stata abbandonata per far posto a quella dell’altro manoscritto o a un emendamento nel caso in cui apparisse guasta o meno soddisfacente. Per le rimanenti liriche (II, III, IV, VII, VIII, XI, XIV, XV, XVII, XVIII, XXII, XXIV, XXVI), che sono state tramandate da tre o più manoscritti, la ricostruzione del testo si fonda in primo luogo sullo studio dei rapporti — relativamente a ogni singola lirica — tra i vari manoscritti, dei quali è stata data una classificazione, riassunta nel consueto stemma: studio che ha confermato in gran parte i risultati delle ricerche già compiute dal De Lollis602. Tuttavia, per quanto riguarda la grafia, salvo particolari ragioni, si sono seguiti per lo più, anche nell’intento di ottenere una certa uniformità, A, C e I. Come è ovvio, saranno date indicazioni particolari a proposito di ogni lirica. Nella stesura dell’apparato critico si è tenuta una via di mezzo tra l’apparato essenziale, seguito dal De Lollis nel suo libro, e adottato dalla maggior parte degli editori di testi provenzali, e l’apparato integrale, cioè così minuto da registrare anche le più piccole particolarità esclusivamente grafiche dei vari manoscritti, preferito dal Bertoni nel suo volume sui Trovatori d’Italia e da parecchi altri studiosi, specialmente in questi ultimi anni. Quest’ultimo certo rappresenta sempre la soluzione migliore, perché attraverso di esso lo studioso ha modo di seguire anche le minime differenze tra i manoscritti; e d’altra parte è evidente che anche le differenze grafiche, talvolta anche quelle che apparentemente sono più insignificanti, 601 602 Escludendo anche qui le copie di cui alla nota precedente. Vita e poesie, p. 117 e segg. CLXIV concorrono a documentare l’affinità o le divergenze tra i manoscritti. Tuttavia un apparato così costituito ha anche lo svantaggio di essere molto ampio e di appesantire notevolmente il volume, specialmente nel caso in cui esso sia già, come questo libro, di mole assai notevole, e di disperdere — se non si ricorre, come anche si è fatto, al sistema del doppio apparato603 — le varianti significative entro la massa delle varianti di scarso rilievo. Perciò io ho accolto nell’apparato di questa edizione non solo, come è ovvio, tutte le varianti essenziali, ma anche varianti di minor conto, e anche piccole oscillazioni fonetiche che il De Lollis ha trascurato, come quelle tra -it, -ich, -ch, -g da -ct(dreit, dreich, drech, dreg), tra o, uo-ue da o breve accentato (loc, luoc, luec), e tra e e ie da e breve accentato (eu, ieu), o come il mantenimento o la soppressione del n mobile (no e non), e simili. Ho però lasciato generalmente da parte le divergenze puramente grafiche (cfr. in proposito le avvertenze premesse all’ed. dei testi)604. Quanto all’ordinamento delle liriche, ho ritenuto assolutamente necessario modificare quello del De Lollis, contro il quale furono rivolte non poche critiche 605, e che è assai insoddisfacente. Non potendosi però giungere a un ordinamento cronologico, per l’impossibilità di fissare con una certa sicurezza, sia pure in modo approssimativo, la data di molti componimenti, e sembrandomi d’altra parte non solo del tutto estrinseco, ma anche scarsamente orientativo, anche se comodo, un ordinamento generale puramente alfabetico (cioè secondo l’ordine alfabetico degli incipit delle varie liriche), mi sono deciso per un ordinamento misto, fondato prevalentemente su un raggruppamento per «generi» e sui dati cronologici sicuramente accertati, che mi è parso avere se non altro il merito di permettere agli studiosi un rapido orientamento e una facile ricerca delle liriche interessanti le loro indagini. Ho posto quindi dapprima le 12 canzoni che ci son giunte intere, in ordine alfabetico, non essendo possibile giungere ad una datazione precisa di esse, ed essendo d’altra parte assai incerte le iden- Basti ricordare, a mo’ d’esempio, l’ed. delle Poesie di Peire Raimon de Tolosa curata da A. CAVALIERE, Firenze, 1935, e la recentissima ed. delle poesie di Guilhem Ademar dovuta a ALMQVIST, già citata. 604 S’intende che, come ho avvertito nella Premessa, tutti i manoscritti sono stati da me ricollazionati per intero o direttamente o su fotografie. 605 Cfr. ad es. quanto scrive l’APPEL nella sua recensione al volume del DE LOLLIS, col. 228. 603 CLXV tificazioni delle dame cantate dal trovatore mantovano (anche a proposito di Guida di Rodez abbiam dovuto constatare quanto siamo lontani dalla certezza circa il numero delle liriche a lei indirizzate). Alle canzoni ho fatto seguire in altre due sezioni le tenzoni e i partimens, quasi tutti di argomento amoroso, ponendo prima in ciascuna sezione i componimenti anteriori alla partenza dall’Italia (XIII e XV) e poi i componimenti scritti oltralpe. Quindi ho posto i sirventesi, distinti per chiarezza in tre gruppi (politici, morali e personali), adottando per il secondo gruppo, per il quale mancano dati cronologici, l’ordine alfabetico, e per gli altri due l’ordine cronologico: il che mi ha permesso anche di mantenere strettamente uniti e di presentare, come mi è parso necessario, nell’ordine in cui furono composti — che sarebbe stato inevitabilmente spezzato adottando un ordinamento generale alfabetico — i tre sirventesi contro Peire Bremon Ricas Novas. Nella sezione quinta ho collocato l’unico planh composto da Sordello, il celebre planh per la morte di Blacatz. Infine, nella sezione sesta (l’ultima dedicata alle liriche, poiché la successiva è riservata all’Ensenhamen d’onor, che logicamente doveva stare a sé) ho raccolto le liriche minori e i frammenti, cercando di disporli in modo che fossero agevolmente rintracciabili dagli studiosi e tenendo anche conto, nei limiti del possibile, della cronologia: così ho posto prima la cobbola giovanile contro Figeira, poi le due liriche scritte rispettivamente per l’avvento di Carlo d’Angiò sul trono provenzale e per la crociata del 1248; quindi i tre scambi di cobbole, e il salut; e da ultimo, in ordine alfabetico, il gruppo delle 9 rimanenti brevi liriche (in parte sicuramente coblas esparsas, in parte probabilmente frammenti di componimenti più ampi in parte perduti, conservati per lo più da F e Dc, qualcuno anche da H, I e P) per le quali è impossibile arrivare a una datazione sufficientemente precisa. Per comodità, e soprattutto in vista delle citazioni che occorrerà di fare dei componimenti sordelliani, le poesie sono state numerate progressivamente con cifre romane, indipendentemente dalle sezioni in cui sono suddivise. A rendere più facili e rapide le ricerche degli studiosi si sono aggiunti all’indice generale delle rime secondo questo nuovo ordinamento, che porta l’indicazione delle pagine di questa edizione, un indice alfabetico generale degli incipit, pure con l’indicazione della pagina, e una tavola di concordanza, che, avendo per base i numeri della Bibliographie di A. Pillet e H. Carstens, indica i numeri corrispondenti di questa edizione e di quella del De Lollis. CLXVI 10. L’«ENSENHAMENS D’ONOR» Ci resta da esaminare il poemetto didattico di Sordello, che è intitolato, nll’explicit dell’unico manoscritto che ce lo ha conservato, l’Ambrosiano R. 71 sup. (G) Documentum honoris, ma che più probabilmente sarà da intitolarsi Ensenhamens d’onor, poiché così lo chiama l’autore stesso nei versi di chiusa: Fag ai l’ensegnamen d’onor, q’ aissi·l devon gran e menor apellar... S’eu ai en mon ensegnamen mostrat re, que plaz’ a la gen... (v. 1283 e segg.) (v. 1297 e segg.) Probabilmente il titolo Documentum honoris si deve al copista, che tradusse in latino (lingua adoperata spesso, tradizionalmente, negli explicit) il titolo provenzale. II poemetto è assegnato esplicitamente a Sordello nel manoscritto, e non vi è ragione di dubitare di tale attribuzione, anche perché vi sono evidenti concordanze, sia nei concetti, sia nelle espressioni, tra quest’opera e le liriche sordelliane 606, e perché il componimento è dedicato a una dama designata col senhal di N’ Agradiva607, che, come sappiamo, è usato da Sordello per Guida di Rodez. La dedica a N’ Agradiva ci rende certi che l’opera venne composta da Sordello durante la sua dimora in Provenza: è però assai difficile arrivare a fissare con qualche buon fondamento una data più precisa. Lo Schultz-Gora608 congetturava che l’opera fosse stata composta tra il 1240 e il 1250; il De Lollis 609 inclinava a credere che la composizione di essa dovesse «aggirarsi intorno al 1240»; lo Jeanroy la collocava «verso il 1250»610; il Fabre pen- Ad es. i v. 371-372 dell’Ensenhamen (mas bon en fai esser cargatz | cor om en viu totz temps onratz) sembrano corrispondere ai v. 11-12 del secondo sirventese morale (XXII), dove il pregio è considerato come un fascio, di cui è caricato l’uomo virtuoso; l’elogio della mesura e il biasimo della desmesura dei v. 373-394 dell’Ensenhamen si ritrovano nei v. 33-40 del primo sirventese morale (XXI); il biasimo delle ricchezze accompagnate dalla malvagità, che si trova ai v. 439 e segg. del poemetto è pure un motivo comune dei due sirventesi morali; e l’affermazione che l’innamorato deve amare soprattutto l’onore della sua donna, che ricorre nei v. 1099 e segg. dell’Ensenhamen, ripete manifestamente le idee espresse in molti passi delle liriche d’amore, e specialmente della canz. V, v. 21 e segg. Per altri confronti si vedano le note al poemetto. 607 Si vedano i v. 1300 e segg. 608 Rec. allo studio Le poesie inedite di Sordello del PALAZZI, in Zeitschrift f. rom. Phil., Xll, 1888, p. 271. 609 Vita e poesie, p. 87. 610 Histoire sommaire de la poésie occitane, p. 83. 606 CLXVII sava, fondandosi peraltro su ragioni non del tutto convincenti) che fosse opportuno scendere a qualche anno dopo il 1250, e precisamente al periodo 1252-1257611. Il Parducci, dal canto suo, senza però corredare di alcuna prova la sua affermazione, ha sostenuto che il poemetto venne scritto dal trovatore negli ultimi anni della sua vita, nella seconda metà del sec. XIII 612. Ma si tratta sempre di congetture. Sembra tuttavia che il poemetto di Sordello sia anteriore a quello su Los VII gautz de Nostra Dona di Gui Folqueys (il futuro papa Clemente IV), poiché i v. 1-22 del poemetto di Gui sembrano una diretta imitazione dell’inizio dell’Ensenhamen del trovatore mantovano613. E se Gui Folqueys compose il suo poemetto, come pensò il Fabre 614, negli anni 1257-59, quando fu vescovo Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 343 e segg. Nel vol. Costumi ornati. Studi sugli insegnamenti di cortigiania medievali, Bologna, 1927, p. 44. 613 Ecco i versi che ci interessano del poemetto di Gui Folqueys, che trascrivo dell’edizione datane dal SUCHIER, Denkmäler provenzalischer Literatur und Sprache, Halle, 1883, I, p. 272 e segg.: Escrig trop, et aisi es vers, que de Dieu ven totz bos sabers e no val tan argen ni aurs co sabers, qu’ es us ric thezaurs, ab que gen sia despendutz. Car qui pro n’ a e n’esta mutz, no·s pot esdir de cobezeza; e sel que·l despen en vaneza non es larcx, ans es degalhiers, per que·s tanh c’ om lo men estiers. E car l’hom l’a e·l ten de Dieu, dretz es c’ om li ‘n serva so fieu e que despenda son saber en luy amar, en luy temer, en lui lauzar, en lui servir, en lui onrar et obezir. Et yeu, sitot m’en ai petit, sai que del pauc l’ ai mal servit, e no m’es lunhs razonamens, car cascus del mai o del mens li deu servir segon que n’ a, et es forfaitz si non o fa. Si confrontino con i v. 1-13 dell’Ensenhamen di Sordello, per cui rimando all’edizione (n. XLIII di questo volume). Del SUCHIER si tengano presenti anche le note, p. 542 e segg.: a p. 542 si trovano anche notizie sulla vita di Gui Folqueys. 614 Guida de Rodez, baronne de Posquières, p. 344. 611 612 CLXVIII di Puy615, è verisimile che la data dell’Ensenhamen di Sordello non possa esser portata oltre il 1257. E può darsi che si debba risalire a qualche tempo prima. Quando Sordello compose il suo poemetto, già alcuni «insegnamenti» erano stati composti. Nella seconda metà del sec. XII, e forse negli ultimi anni di essa, se si accoglie la data proposta dallo Jeanroy616, era stato composto l’«insegnamento» più antico, l’«insegnamento della dama» di Garin lo Brun (El termini d’estiu), in 650 senari rimati a due a due, conclusi da un bioc (la parola domna); e non molto tempo dopo, verso il 1200617, Arnaut Guillem de Marsan aveva pensato ad ammaestrare anche l’uomo di nobile lignaggio, componendo il suo «insegnamento del cavaliere» (Qui comte vol aprendre) in 628 senari rimati a due a due, conclusi anch’essi da un bioc (la parola Amen). Qualche tempo dopo, se si accetta la data ultimamente proposta dallo Jeanroy, o press’a poco alla stessa epoca, se si tien fede alla data comunemente nota riguardo all’attività di questo trovatore618, Arnaut de Maroill raccolse in un poemetto (Razos es e mesura) di 364 senari rimati a due a due, conclusi da un bioc (ancora la parola dona), una serie di consigli sul modo di vivere nobilmente e lodevolmente, ricordando in fine i pregi degli ecclesiastici, dei borghesi, dei cavalieri e delle dame619. Il FABRE, ibid., p. 345, pensa anzi che Gui Folqueys abbia potuto conoscere Sordello e prender visione del suo Ensenhamen (che doveva essere allora, sempre secondo il Fabre, o composto o in composizione) nel 1256, epoca in cui fece un’inchiesta sull’amministrazione del siniscalco di Provenza per ordine di Luigi IX. 616 Histoire sommaire de la littérature occitane, p. 83. 617 È la data dello JEANROY (ibid.). Secondo il PARDUCCI, Costumi ornati, p. 58, l’insegnamento di Arnaut Guillem de Marsan sarebbe press’a poco contemporaneo a quello di Garin. Cfr. anche R. LEJEUNE, La date de l’«Ensenhamen» d’Arnaut Guilhem de Marsan, in Studi medievali, n. s., XII, 1939, p. 160 e segg., secondo la quale l’ensenhamens di Arnaut sarebbe il più antico di tutti, e andrebbe collocato tra il 1170 e il 1180. 618 Nell’Histoire sommaire de la littérature occitane, che è del 1945, lo JEANROY afferma che l’ensenhamen di Arnaut fu composto «vers 1220» (p. 83). Ma comunemente l’attività del trovatore viene assegnata all’ultimo quarto del sec. XII: e del resto lo stesso JEANROY nell’opera citata, in un altro punto (p. 43), osserva che il trovatore fiorì «vers 1180-1200» (nella Poésie lyrique des troubadors, I, p. 338 «dernier tiers du XIIe siècle»). 619 Sulla serie degli ensenhamens provenzali, oltre alle pagine ad essi dedicate in opere generali sulla letteratura provenzale, come quelle del BARTSCH, Grundriss, p. 44 e segg.; del RESTORI, Letteratura provenzale, Milano, 1891, p. 144 e segg.; dello STIMMING, Provenzalische Literatur, nel Grundriss del GRÖBER, Strassburg, 1897, II, 2, p. 43 e seg., 48 e segg.; dell’ANGLADE, Histoire sommaire de la littérature méridionale au moyen âge, Paris, 1921, p. 178 e segg.; e dello JEANROY, Histoire sommaire de la littérature occitane, p. 81 e segg.; si vedano: W. BOHS, Abril issi’ e mays intrava. Lehrgedicht von Raimon Vidal von Bezaudun, in Romanische Forschungen, XV, 1903, p. 204 e segg. (allo studio del poemetto didattico di R. V. è premesso un cenno generale sugli ensenhamens); J. BATHE, Der Begriff des provenzalischen ‘Ensenhamen’, in Archiv f. das Studium d. n. Spr. u. Liter., CXIII, 1904, p. 394 e segg., e Die moralischen Ensenhamens im Altprovenzalischen, Marburg, 1906; PARDUCCI, Costumi ornati, (capitoli I e II). Sugli ensenhamens riguardanti la dama cfr. anche A. A. HENTSCH, De la littérature didactique du moyen âge s’adressant spécialement aux femmes, Cahors, 1903. 615 CLXIX Questi «insegnamenti», che costituivano ormai una tradizione, furono certo tenuti presenti da Sordello. Ma egli seppe tuttavia raggiungere una certa originalità. Garin lo Brun si era rivolto esclusivamente alla dama, e aveva indirizzato i suoi precetti particolarmente ad insegnare alla dama le doti più esteriori, dando soprattutto minute norme sulla vita quotidiana e accennando solo brevemente alla vita morale: la maggior parte dei precetti riguarda infatti le operazioni che la dama deve compiere al mattino al levarsi di letto, la cura del corpo e delle vesti, le ancelle, il contegno in chiesa e in casa, il contegno con gli ospiti; e solo la parte centrale del poemetto tratta, sommariamente, dei pregi che a una dama si convengono (orgoglio, gaiezza e cortesia) 620. Arnaut Guillem de Marsan aveva fatto qualcosa di simile: rivolgendosi al cavaliere, egli aveva trattato soprattutto, premettendovi un elenco di esempi di valenti «amatori», da Paride a Tristano e a re Artù, delle cure che il cavaliere — per meritare amore — deve avere delle sue vesti e della sua persona (persino scendendo ad ammonimenti particolari riguardanti i capelli, i baffi e la barba), degli scudieri da tenere, del modo di ricevere gli ospiti e di trattarli a tavola, del modo di tener corte, dei giochi, dei cavalli e dei ronzini, e del combattere nei tornei621. Da questi due ensenhamens Sordello è assai lontano. Egli mira soprattutto a dar precetti sulla vita morale: e per questo appare assai vicino ad Arnaut de Maroill, che si propone di mostrare come si deve contenere colui che vuole ottenere buona lode622, e espone Sull’ensenhamen di Garin lo Brun cfr. specialmente l’ampia analisi e l’illustrazione, accompagnate da una traduzione (corredata di copiose note), che ne ha dato il PARDUCCI, Costumi ornati, p. 21 e segg., 219 e segg. 621 Cfr. l’analisi, l’illustrazione e la traduzione del PARDUCCI, ibid., p. 24 e segg., 251 e segg. 622 Egli afferma infatti in principio dei suo ensenhamen (v. 36-38): mostrarai com se deu captener qui vol bon laus aver (cfr. l’ed. del MAHN, Werke, I, p. 177). 620 CLXX ai suoi lettori una serie di precetti morali 623, aggiungendo poi una rassegna dei diversi pregi di cui possono essere adorni i cavalieri e le dame, i borghesi e i chierici. Anzi io ritengo che si possa formulare l’ipotesi che proprio a questo poemetto di Arnaut de Maroill si sia ispirato Sordello nel comporre l’Ensenhamen d’onor. Oltre alla fondamentale analogia di contenuto, mi sembra infatti che vi siano tra le due opere precise rispondenze in vari punti. Se il paragone tra il sapere non comunicato ad alcuno e i tesori tenuti nascosti, con cui Sordello inizia il suo poemetto, può derivare da altra fonte (benché si possa anche qui formulare l’ipotesi che l’idea sia venuta a Sordello proprio dal testo di Arnaut de Maroill)624, mi I principali sono: onorare e temere Dio; osservare come agiscono i buoni e i malvagi, per imparare a seguire i primi e ad evitare i vizi dei secondi; vendicare le onte e contraccambiare i benefici ricevuti; essere umili verso i buoni e ergulhos verso i malvagi; cercare soprattutto la prodezza (che non viene dal lignaggio, ma dal cuore), e insieme ad essa sabers, sens, largueza e poders, che sono i fondamenti del pregio. 624 Il paragone tra il sapere non comunicato e il tesoro nascosto e le due idee su cui esso si fonda, quella dell’inutilità del tesoro nascosto e quella dell’inanità del sapere non comunicato, sono assai comuni nella poesia provenzale. Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 295 e seg.) ha rilevato che il paragone si trova nella canzone S’eu agues di Bernart d’Auriac (P. C. 57, 4) e nei poemetti didattici di Gui Folqueys su Los VII gautz de Nostra Dona e di Daude de Pradas sulle quattro virtù cardinali; che l’idea della inutilità del tesoro nascosto compare nel sirventese En aqest gai sonet di Peire Guilhem de Luserna (P. C. 344, 3) e nel sirventese De sirventes di Bertran del Pojet (P. C. 87, 2); e che l’idea della vanità del sapere non comunicato ricorre nell’ensenhamen di Arnaut de Maroill e in quel prologo di un poema didattico perduto che è conservato dal canzoniere R e fu fatto conoscere da P. MEYER (Mélanges de littérature provençale. V. Prologue d’un poème inconnu, in Romania, I, 1872, p. 114 e segg.). Ora, delle tre liriche sopra citate solo quella di Peire Guilhem de Luserna è sicuramente anteriore all’ensenhamen sordelliano; ma essa presenta l’idea in modo assai diverso («Car l’avers non a valenza | mas q’om en trai sa guirenza | e qar hom se·n pot far grazir»: v. 25 e segg., ed. B ERTONI, I Trovatori d’Italia, p. 272), e mi sembra difficile che sia stata il punto di partenza dei versi di Sordello. Dei quattro poemetti didattici bisogna mettere senz’altro da parte quello di Gui Folqueys, quasi certamente, come si è detto, posteriore all’ensenhamen di Sordello, e quello di Daude de Pradas, in cui ricorrono espressioni assai lontane da quelle usate dal trovatore di Goito («Et un proverbi dizon tug, | que sens rescost non porta frug. | Et avers cant esta resclaus | non ret a nueill ni lag ni aus»: v. 115 e segg., ed. di A. STICKNEY, The Romance of Daude de Pradas on the Four Cardinal Virtues, Firenze, 1879, p. 20). Molto vicini al testo di Sordello sembrano invece i v. 67-70 del prologo del poema perduto pubblicato dal Meyer («Car trestotz sabers es perdutz | qu[e s’] estay ades escondutz, | e selh es ades pus valens | qu’es ensenhatz cominalmenz»): ma lascia qualche dubbio il fatto che questi versi si trovano in un contesto che non offre alcuna corrispondenza con il prologo dell’Ensenhamen d’onor, ad eccezione dei v. 9-10 («Car sabers creys pretz e lauzors | on pus es auzitz per pluzors»). Sicché resta sempre la possibilità che Sordello abbia avuto l’idea di inserire il paragone nel suo prologo dall’ensenhamen di Arnaut, che comincia con questi versi: «Razos es e mezura, | mentr’ om el segle dura, | que aprenda chascus | de sels que sabon plus. | Ja·l sens de Salamon, | ni·l saber de Platon, | ni l’engeinz de Virgili, | d’Omer ni de Porfili, | ni dels autres doctors | qu’avetz auzitz plusors, | no fora res presatz | s’agues estat selatz». Naturalmente anche con questa ipotesi non si può escludere l’influenza di altri ricordi e di altre letture. Si tratta però sempre di ipotesi: e non si può escludere che la fonte sia da cercare altrove. 623 CLXXI sembra che possano ritenersi suggeriti da Arnaut de Maroill altri elementi del prologo, come le espressioni in cui Sordello accenna ai limiti della sua cultura e al suo proposito di trattare il tema secondo le sue modeste forze625. E anche la chiusa, in cui Sordello Afferma infatti Arnaut (v. 13 e segg.; ed. MEYER, p. 176): Per qu’ ieu soy en cossire com pogues far ni dire tal re que·m fos honors, e grazit pels melhors. Mas negus non entenda qu’ieu aquest fais mi prenda que l’encrim de folhor, ni·m tengna per doctor. De saber no·m fenh ges, mas de so qu’ai apres, escotan e vezen, demandan et auzen; car nulhs non a doctrina ses autrui disciplina. Mos sabers non es grans, mas qu’en tira·l talans d’aprendre e d’auzir so qu’om degues grazir. Que eys lo mieu apenre si nulhs es de mi menre de sen ni de sciensa. Segon la conoissensa qu’ieu ai ni sent ni sai, del segle mostrarai com se deu captener qui vol bon laus aver. Si confronti coi v. 13 e segg. del poemetto di Sordello. È da notare che le introduzioni dei poemetti di Garin lo Brun e di Arnaut Guillem de Marsan sono del tutto diverse. 625 CLXXII fa l’elogio di N’ Agradiva ed esprime il suo amore per lei sembra suggerita da quella del poemetto di Arnaut, che canta anch’essa la donna, con espressioni di ammirazione e di devozione626. Anche in qualche particolare precetto sembra di risentire l’eco dell’ensenhamen di Arnaut: il primo precetto, ad es., in Sordello è quello di amare e temere Dio, come in Arnaut 627; e in ambedue i poemetti si trova (benché certo si possa a rigore pensare a un’idea diffusa nella società del tempo, che, dato l’argomento, i due poeti dovevano, anche indipendentemente l’uno dall’altro, includere nelle Si v. i versi 350 e segg. (ibid., p. 183 e seg.): Ab sol que Dieus me guar ma dona doss’ e cara que·m capdela e·m gara de tot autre cossir, mas de lieys obezir. Dona pros e valens, corteza et avinens, s’en ren ai conoissensa, la vostra sovinensa, que m’es cor et escrima la·m dona e la m’ aprima per que ieu de totz mos bes vos ren laus e merces, e·us o grazisc ades, car m’es del cor pus pres, dona! L’ensenhamens di Garin lo Brun finisce anch’esso con parole rivolte alla donna; ma non si tratta di espressioni d’amore e di ammirazione, bensì di una serie di consigli come quelli rivolti alla donna precedentemente (tutto il poemetto, come è noto, è una serie di precetti a una dama). L’ensenhamens di Arnaut Guillem de Marsan termina, come si è detto, con una rassegna di dame conquistate dal cavaliere da cui si immaginano dati i precetti raccolti nel poemetto. 627 Si confrontino ad es. i v. 37-52 di Sordello con i v. 54-62 di Arnaut (ibid., p. 177): Qui vol corteza vida demenar ni grazida, ab ferm cor e segur, per tal que son pretz dur, sapcha Dieu retener et onrar e temer; car pretz ni cortesia ses Dieu non cre que sia. 626 CLXXIII loro opere) l’affermazione che la prodezza nasce dal cuore e non dalla nobiltà dei natali628. Pur tenendo presente (se si accetta l’ipotesi che mi è sembrato di poter formulare) il poemetto di Arnaut de Maroill, Sordello dette al suo ensenhamen una fisionomia originale. Non solo, infatti, rielaborò e trasformò, come si può vedere dai raffronti precedentemente istituiti, gli spunti derivati da Arnaut, ma diede anche alla sua trattazione una ampiezza assai maggiore, inserendo nel suo poemetto molti precetti che in Arnaut non apparivano629, e aggiungendovi alla fine630 una vasta sezione di precetti dedicati alle dame, che non trova alcun riscontro nell’ensenhamen di Arnaut631. Certo molte delle considerazioni e molti dei precetti che Sordello accoglie nel suo ensenhamen erano assai comuni nella poesia provenzale di ispirazione moraleggiante, da Marcabru a Peire Cardenal; ma non mancano nemmeno osservazioni e sviluppi che non rientrano in tutto nel solco della tradizione, e spesso la materia è Si confrontino i v. 635 e segg. di Sordello con i v. 145 e segg. di Arnaut (ed. cit., p. 179): E si dirai als gais de proeza don nais. Ges no nais ni comensa segon autra naissensa, qu’ins el cor, so sapchatz, la noiris voluntatz. Er no·us sia veiaire s’ el filhs fo de bon paire, ... 629 Rimando per brevità al minuto sommario dell’ensenhamen sordelliano che ho premesso, per orientamento dei lettori, alle note al testo (XLIII); e all’accenno del contenuto del poemetto di Arnaut dato alla n. 623. 630 V. 1071-1244. 631 Forse in questi precetti rivolti alla dama, in cui si tratta principalmente del come contenersi nell’amore, si potrebbe scorgere un’influenza dell’anonimo poemetto comunemente designato col titolo di Cour d’amour, in ottonari rimati a due a due, del principio del sec. XIII (cfr. l’ed. di L. CONSTANS, in Revue des langues romanes, XX, 1881, p. 157 e segg.): ma si tratta, se mai, di un ricordo molto lontano, perché il tema è svolto in modo diversissimo: fra l’altro, in Sordello non vi è alcuna traccia di quell’allegorismo che domina per tanta parte la struttura della Cour d’amour, e mancano completamente quei precetti sul modo di abbigliarsi a cui l’anonimo autore della Cour d’amour si compiace di dedicare una lunga serie di versi. D’altra parte, la concezione dell’amore a cui si ispira l’ensenhamens sordelliano è quella che abbiamo trovato nelle canzoni e nei partimens del trovatore di Goito, caratterizzata da quella idealizzazione dell’amore che avvicina Sordello al Montanhagol, mentre nella Cour d’amour non mancano momenti in cui affiorano desideri sensuali. 628 CLXXIV esposta in modo assai vivace, pur nel consueto tono discorsivo che è proprio dei poemetti didattici. E per questo motivo, nonché per l’ampiezza del disegno, a me sembra che abbia, se non in tutto, almeno in parte ragione lo Schultz-Gora632, il quale dava all’Ensenhamen d’onor sordelliano un posto segnalato tra gli ensenhamens provenzali, e penso che vada in parte riveduto il giudizio molto limitativo del De Lollis633, benché certo, come vedremo, abbia ragione il De Lollis nel ritenere contro lo Schultz-Gora che il poemetto non abbia contribuito a suggerire a Dante la sua grandiosa raffigurazione di Sordello nell’antipurgatorio. Forse l’Ensenhamens d’onor non aggiunse molto alla fama del trovatore mantovano, che dovette trarre alimento soprattutto dalle sue liriche — prima fra tutte il planh in morte di Blacatz —; ma è probabile che anch’esso abbia avuto una certa diffusione634, e abbia contribuito a consolidare e a rafforzare la fama che Sordello aveva saputo conquistarsi in terra occitanica 635. Quanto alla metrica il poemetto di Sordello differisce dagli ensenhamens di Garin lo Brun, di Arnaut Guillem de Marsan e di Arnaut de Maroill, che sono in senari rimati a due a due, essendo scritto, come il poemetto sulle quattro virtù cardinali di Daude de Pradas e l’anonima Cour d’amour, in ottonari, rimati anch’essi a coppie secondo la tradizione della poesia didattica e narrativa. La serie degli ottonari, che sono complessivamente 1326, è chiusa da un quadrisillabo a uscita femminile. La cesura per lo più cade dopo la quarta sillaba; e nei casi, molto frequenti, in cui proprio sulla quarta sillaba cade il primo dei due accenti principali del verso, l’ottonario risulta diviso in due parti eguali. Non mancano tuttavia casi in cui il primo accento cade sulla terza sillaba o sulla quinta, che possono, se non sono finali di parola, esser seguite da una sillaba atona. Predominano le rime maschili, che ricorrono in 520 coppie di versi, mentre le coppie a rima femminile sono solo 143. In genere, Rec. allo studio del PALAZZI, p. 270. Vita e poesie, p. 88 e seg. 634 Il fatto che l’Ensenhamen d’onor compaia in un solo manoscritto può far pensare che l’opera non fosse largamente divulgata, ma non ci obbliga a ritenere che essa fosse quasi dimenticata. Del resto, è noto che anche il poemetto di Daude de Pradas sulle quattro virtù cardinali e il Romans de mondana vida di Folquet de Lunel sono conservati da un solo manoscritto (P. C. p. III e 124). 635 Del resto, come si è visto, il poemetto di Sordello fu molto probabilmente imitato da Gui Folqueys. 632 633 CLXXV come accade nelle liriche, non abbiamo alcuna ricerca di raffinatezze formali, che non erano d’altra parte d’uso nella poesia didattica. Si notano però anche qui, tuttavia, varie rime leonine perfette e consonanti legali, probabilmente, nella maggior parte dei casi, non volutamente ricercate: v. 5-6 aurs: tesaurs; v. 33-34 pres: repres; v. 47-48 empara: desempara; v. 153-154 torna: destorna; v. 271-272 reprenda: prenda; v. 323-324 descubrir: cubrir; v. 423-424 aia: essaia; v. 573-574 ausa: causa; v. 605-606 descargar: cargar; v. 613-614 forsan: esforsan; v. 643-644 ara: cara; v. 700-701 met: entramet; v. 701-702 mesura: desmesura; v. 715716 folla: affolla; v. 769-770 conosser: desconosser; v. 779-780 plai: desplai; v. 789-790 prenda: emprenda; v. 861-862 creire: mescreire; v. 933-934 desplazer: plazer; v. 937-938 pacha: desempacha; v. 941-942 leumen: men; v. 955-956 arma: desarma; v. 967-968 promet: met; v. 1009-1010 corda: descorda; v. 1049-1050 onran: desonran; v. 1095-1096 adreig: dreig; v. 11031104 prendre: aprendre; v. 1143-1144 azaut: desazaut; v. 1145-1146 adautada: desazautada; v. 1147-1148 endreg: dreg; v. 1149-1150 adauta: desazauta; v. 1191-1192 desplazer: plazer; v. 1207-1208 vers: revers; v. 1317-1318 azauta: auta. Vi sono anche alquante rime leonine semplici, in gran parte certo casuali: v. 11-12 razo: sazo; v. 19-20 diversas: aversas; v. 37-38 entendre: contendre; v. 67-68 pendra: prendra; v. 377-378 estiers: entiers, ecc.; v. 927-928 desastrucs: malastrucs; v. 963-964 entendre: atendre; v. 1171-1172 talenz: valenz; v. 1175-1176 sazo: razo, ecc. Rare le rime equivoche: v. 147-148 forza («forza» e «sforza»); v. 263-264 part (sostantivo e verbo); v. 331-332 azauta (aggettivo e verbo); v. 1213-1214 garda (sostantivo e verbo); v. 1237-1238 fi («fino» e «fine»). Esempi di mot tornat (artificio che consisteva, come è noto, nell’usare a breve distanza parecchie voci aventi lo stesso tema) si hanno ai v. 1048 e segg. (ripetiz. di onrar e voci) e ai v. 1143 e segg. (ripetiz. di azautar e voci affini). Un esempio di allitterazione certamente voluta ricorre al v. 1230. Ai v. 409-413 si nota la ripetizione della medesima parola all’inizio del verso. Trattandosi di un componimento conservato soltanto in un codice, si è naturalmente riprodotta fedelmente la lezione del manoscritto, anche nelle particolarità grafiche, salvo che nei casi in cui si imponeva una correzione: in questi casi, come è ovvio, la lezione del codice è stata sempre registrata nell’apparato. Anche per questo poemetto ho ricollazionato interamente il manoscritto. Ho creduto opportuno eliminare dall’apparato i continui richiami che fa il De Lollis CLXXVI all’edizione del Palazzi636, conservando — nelle note — soltanto quelli che hanno ancora qualche interesse. 11. OSSERVAZIONI SULLA LINGUA La lingua usata da Sordello nelle sue poesie è, come è stato osservato dal Bertoni637, il provenzale illustre comune, quale si era venuto formando per opera dei migliori trovatori. E il poeta mantovano sa usar tale lingua invero con singolare perizia e molta correttezza, tanto che il Bertoni638 non esita a giudicarlo il più esperto nella lingua provenzale dei trovatori italiani. Del tutto eccezionali e di non grande rilievo infatti in Sordello sono le vere e proprie scorrettezze e i decisi italianismi: si può citare come scorrettezza la mancanza dell’articolo davanti al pronome possessivo mieus nel partimen con Guilhem Montanhagol (XVI, v. 68) che, nonostante che sia invero singolare in Sordello, sembra sicura, perché non è possibile correggere il passo ammettendo una enclisi di lo con una parola (don) terminante per n stabile639. E si possono ricordare, come italianismi, la mancanza di e prostetico in scorjatz (XIX, v. 60) — caso del tutto sicuro, perché l’aggiunta dell’e- prostetico allungherebbe il verso, contrariamente allo schema metrico — e forse anche in spaven (XXIX, v. 24) e in stai (XXI, v. 10) — casi dubbi, perché si potrebbero spiegare anche altrimenti 640; — e la voce verbale golei, da cfr. con l’antico italiano goliare, goleare, golare641. Nella memoria Le poesie inedite di Sordello, apparsa negli Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, s. VI, t. V, 1886-1887, p. 1452 e segg. 637 I Trovatori d’Italia, p. 165. 638 Ibid., p. 164. 639 Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 288; COULET, Le troubadour Guilhem Montanhagol, p. 174; BERTONI, I Trovatori d’Italia, p. 164. 640 Le due forme potrebbero anche essere spiegate come errori dovuti ai copisti, essendo i due componimenti conservati in un solo manoscritto, e mancando quindi il controllo di altri codici; e l’errore è facile ad ammettersi per spaven, dato che precede e, e non difficile ad ammettersi nemmeno per stai, considerato che proprio al verso seguente (nonché naturalmente altrove) ricorre la forma corretta estai. Si potrebbe però pensare anche a casi di aferesi; e l’aferesi potrebbe essere particolarmente giustificata nel caso di stai, dato che, precedendo o, si avrebbe un incontro di vocali assai duro in sinalefe (anche il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 141, dopo aver messo innanzi la possibilità che si tratti di un italianismo aggiunge «a meno che non vi si voglia sentire quasi un assorbimento dell’e- da parte dell’-o che precede»). 641 Di goliare nel senso di «desiderare» si hanno esempi nei nostri lirici del sec. XIII: cfr. Gallo da Pisa, canz. In alta donna, v. 14, «ch’i’ ho ciò ch’e’ golia» (Rimatori siculo-toscani del Dugento, serie I, Pistoiesi, Lucchesi, Pisani a cura 636 CLXXVII Questo è tutto ciò che si può indicare con sicurezza. Altre volte, più che di scorrettezze e di italianismi, si tratta di costrutti rari, o evitati dalla comune lingua trobadorica, ma documentati in territorio provenzale, o di forme sospette, che potrebbero anche imputarsi ai copisti. È questo il caso della voce fau, 3a pers. plur. dell’indicativo pres. di faire, in luogo di fan (I, 1, 11, 21 ecc.), esempio, del tutto isolato, di quelle terze persone plurali in -au che ricorrono frequentemente, in alcuni presenti indicativi (faire, anar, aver, estar) e nei futuri, in documenti e in poemetti di argomento morale di G. ZACCAGNINI e A. PARDUCCI, Bari, 1915, p. 135); e Bonagiunta da Lucca, canz. Fin amor mi conforta, v. 30, «Per innamoramento di donna che golia» (ibid., p. 55). C’è anche un esempio di infinito sostantivato, con senso affine a «golena», nelle Favole d’Esopo volgarizzate per uno da Siena, ed. a cura di O. TARGIONI-TOZZETTI e G. T. GARGANI, Firenze, 1864, p. 145: «e tanto li pare dolce il goliare, che non se ne sa fuori il becco isfangare». Sulla voce, oltre al Tommaseo-Bellini, cfr. REW, 3910; Battisti-Alessio, D.E.I., p. 1841; Prati, Vocabolario etimologico ital., p. 505 (gola). Goleare ricorre presso Guido dalle Colonne, canz. La mia vita è sì forte, v. 24, «ch’io l’ho sì fortemente goleato» (cfr. l’ed. del cod. Vat. 3793 a cura di F. EGIDI, S. SATTA e G. B. FESTA, col titolo Il libro de varie romanze volgare, Roma, 1901-1906, p. 74; cfr. la precedente ed. D’ANCONACOMPARETTI, I, Bologna, I, 1878, p. 447); e presso Uggeri Apugliese, Umile sono ed orgoglioso, v. 13-14, «Umile sono quando la veo | e orgolglioso che goleo | quella per chui mi deleo» (MONACI, Crestom., p. 209). Golare nel senso di «allegrarsi» ricorre nella canz. Sì come ‘l pescio di Leonardo del Guallacca, v. 20, «sì che mai non par gola» (Rimatori siculo-toscani, p. 139); e nel senso di «desiderare» in un passo della Tavola ritonda citato dal TOMMASEO-BELLINI, «golava d’avere un figliuolo del suo corpo» (però nell’ed. POLIDORI, I, p. 48, condotta forse su altro ms., si legge: «e avea in sé gulosia d’avere uno figliuolo...»), e nel l. X cap. 21 della cronaca di Matteo Villani (ed. di TRIESTE, 1858, II, p. 337) «non curarono li comandamenti de’ loro signori, golando il soldo di messer Bernabò». Sulla voce cfr., oltre il T OMMASEO-BELLINI, il D.E.I., p. 1839 (gola2). Va tolto dagli esempi della voce il verso di Guittone d’Arezzo citato dal TOMMASEO-BELLINI, perché in quel passo (canz. O cari frati miei, v. 47) si deve leggere, come ha mostrato l’EGIDI nella sua ed. critica (Bari, 1940, p. 85) «ma non galea alcun tanto, né mira», ove «galeare» vale «ingannare» (cfr. il glossario). È da ricordare che un altro esempio di golejar si trova al v. 2664 delle Poésies religieuses provençales et françaises du manuscrit extravag. 268 de Wolfenbüttel, pubblicate da E. LEVY, Paris, 1897, p. 112 («Dal fel nos gart, que tant fort nos goleia»). Questo esempio non ci porta però, neppur esso, nell’area provenzale vera e propria, perché queste poesie provenzali sembrano, secondo l’opinione di LEVY (p. 9), e anche secondo l’attento esame del BERTONI, I Trovatori d’Italia, p. 177 e segg., essere opera di un italiano del Nord. Cfr. LEVY, S. W., IV, 144 e K. STICHEL, Beiträge zur Lexicographie des altprovenzalischen Verbums, Marburg, 1890 («Ausgaben u. Abhandlungen» dello Stengel, LXXXVI), p. 60. Il BERTONI, ibid., p. 164, annovera fra i sicuri italianismi di Sordello anche la voce engrestara (XXX, 4); ma l’illustre romanista cadde qui in una curiosa svista, perché la parola si trova nella cobbola indirizzata da Aimeric de Peguilhan a Sordello, e va messa quindi — poiché non si può pensare che questo sia uno scambio di cobbole «fictif» composto tutto da Sordello — sul conto di Aimeric e non su quello del trovatore mantovano. Il DE LOLLIS (Vita e poesie), pur notando l’italianismo a p. 249, si era ben guardato dal registrarlo tra gli italianismi sordelliani a p. 141. CLXXVIII e religioso, ma che erano evitate dai trovatori, benché spuntino qua e là in alcuni canzonieri, e specialmente in C: può darsi appunto che la nostra forma sia dovuta al copista di C, manoscritto che è il solo a conservarci la canzone in cui tale forma ricorre642. Anche l’isolato gascuna della lirica XXXVI, v. 6, è probabilmente dovuto al copista di H o del suo antigrafo, poiché in molti altri passi ricorre la normale forma chascun o quascun, -a643; d’altra parte si tratta di forma non ignota al provenzale 644. E al copista si può supporre che appartenga l’italianismo (dato che si debba considerarlo tale) galta per gauta (XXVII, v. 6) 645. Quanto al cong. dignas della lirica XXXIII, v. 5, non credo che si debba considerare, come ritiene il De Lollis 646, un italianismo, ma piuttosto un indicativo usato per eccezione in rima invece del congiuntivo, cosa che accade, seppur molto raramente, anche presso i trovatori dell’età classica 647. E se è certo inconsueto nella lingua trobadorica l’isco usato come prima persona singol. dell’indic. pres. di eissir nella canzone V, v. 36 — forma che è necessario mantenere per la misura del verso — è stato osservato che tali forme in -o non sono ignote a testi provenzali antichi 648; sicché anche qui è lecito concludere Su queste terze pers. plurali in -au cfr. P. MEYER, Les troisièmes personnes du pluriel en provençal, in Romania, IX, 1879, p. 193; G. BERTONI, Sur quelques formes de la «Vie de Sainte Enimie», in Annales du Midi, XXV, 1913, p. 64 e segg., e I trovatori d’Italia, p. 165; CRESCINI, Manuale, p. 112. Cfr. gli esempi tratti da antiche carte provenzali cit. da C. BRUNEL, Le plus anciennes chartes en langue provençale, Paris, 1926, p. XLI, XLII, XLVII e relativo Supplément, Paris, 1952, p. XIV, XXIX, XXX. Esempi di fau sono registrati nei glossari di questi due preziosi volumi, rispettivamente a p. 470 e a p. 242. 643 Cfr. ad es. III, 20; XXVI, 44; XLIII, 384, ecc. 644 La forma gascu si trova infatti in Flamenca (ed. di P. MEYER, Paris, 1865, p. XXXII) [non ho a mia disposizione la nuova ed. del 1901]. 645 DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 141 e 248 e seg.; B ERTONI, I trovatori d’Italia, p. 164; e cfr. la nota al testo. 646 DE LOLLIS, ibid., p. 141. 647 C. CHABANEAU, Notes sur divers textes, in Revue des langues romanes, XXXII, 1838, p. 203, 205, 207; BERTONI, ibid., p. 164. 648 Cfr. la nota di C. C HABANEAU al v. 1314 delle Poésies religieuses provençales et françaises edite dal LEVY, p. 131, che tratta delle prime pers. sing. dell’indic. in -iu (delle quali si ha un esempio anche nella canz. Escur prim chantar di Lanfranco Cigala, v. 60: cfr. BERTONI, ibid., p. 318), e la nota dello stesso studioso al Livre des privilèges de Manosque: cartulaire municipal latin-provençal (1169-1315) edito dall’ISNARD, Digne, 1894, che rileva nelle carte di questo volume numerose prime pers. sing. in -o. Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 292; CRESCINI, Manuale, p. 108 e seg. 642 CLXXIX che Sordello ha adottato, probabilmente per ragioni metriche, e forse anche (se si vuole) per un ricordo dell’uso italiano 649, una forma rara, che pare non trovare riscontro nell’uso trobadorico650. Altra particolarità interessante è la riduzione di -ca a ja (inv. di -ga) che si trova nella canz. IX (v. 5 amija, v. 6 destrija, v. 13 abrija ecc.), e che risale sicuramente a Sordello, perché è richiesta dalla rima, come mostrano i v. 13-15. È un tratto limosino651, accanto al quale si può mettere forse l’uso di lo·i invece di lo·li (ossia la sostituzione dell’avverbio di luogo al pronome personale di 3ª persona), che si riscontra nella lirica XVIII, v. 19 e nell’Ensenhamen d’onor (XLIII), v. 831652. Una forma guascone sembrerebbe essere il deu (1a persona sing. dell’indicativo pres.) della canzone III, v. 1 e 7, secondo il testo del De Lollis: ma si tratta nel v. 1 di una forma ricostruita dal De Lollis — i codici infatti danno dou (IK) o dei (Dc) — ed è legittimo il sospetto che la lezione vera sia quella di D c, e che il dou di questo verso, certamente errato, e il deu del v. 7 siano dovuti a una svista del copista dell’antigrafo di IK o di un codice ad esso anteriore; sì che io non ho creduto opportuno accoglierlo nel testo 653. Comunque è lecito ammettere come cosa probabile, accettando una ipotesi del Bertoni654, che Sordello, «dati i suoi viaggi per la Così sostiene il BERTONI, I trovatori d'Italia, p. 164. Un altro presente indicativo di tale tipo si potrebbe ravvisare nella lirica XLII, v. 8, se si accetta l’opinione del LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 257. Ma il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 203) e il MUSSAFIA (Zur Kritik und Interpretaiion romanischer Texte, p. 18) intendono diversamente. 651 Il fenomeno è nel limosino moderno, e probabilmente si trovava già nel limosino antico: cfr. D E LOLLIS, ibid., p. 284; C. CHABANEAU, Grammaire limousine, Paris, 1876, p. 62, n. 2; BERTONI, ibid., p. 165; CRESCINI, Manuale, p. 26. 652 Cfr. CHABANEAU, ibid., p. 179; STIMMING, Bertran de Born, p. 245 (n. al v. 23 del n. VII); DIEZ, Grammatik der romanischen Sprachen, Bonn, 1882, p. 802; A. VON ELSNER, Ueber Form und Verwendung des Personal -Pronomen im Altprovenz., Kiel, 1886, p. 48, 51; W. BONHARDT, Das Personal-Pronomen im Altprovenz., Marburg, 1888, p. 42 e segg.; BERTONI, ibid., p. 165; CRESCINI, ibid., p. 83. 653 Cfr. BERTONI, ibid., p. 165. 654 Ibid. 649 650 CLXXX Provenza, abbia accettato, in piccola misura, alcuni tratti di questo o di quel dialetto provenzale», pur attenendosi generalmente, come si e detto, all’uso trobadorico comune. CLXXXI III LA «FORTUNA» DI SORDELLO FINO AL SECOLO XIX 1. SORDELLO NEI SEC. XIII E XIV. IL SORDELLO DANTESCO Sordello godette di larga fama tra i suoi contemporanei, e venne considerato uno dei più insigni trovatori dell’età sua. Abbiamo visto come fosse in relazione con molti trovatori del tempo655, e come il suo compianto in morte di Blacatz venisse imitato da due dei più noti trovatori d’oltralpe, Peire Bremon Ricas Novas e Bertran d’Alamanon656, e il prologo dell’Ensenhamen d’onor suggerisse — se si accetta questa ipotesi, che ha molte probabilità di coglier nel segno — a Gui Folqueys qualche particolare del prologo del suo poemetto Los VII gautz de Nostra Dona 657. Si può aggiungere che Blacasset parodiò scherzosamente e argutamente 658 la seconda cobla della canzone sordelliana Bel m’es (n. IV di questa ed.), diffusasi insieme con la tornada in forma di cobla esparsa; che Paulet de Marseilla 659 si compiacque anch’egli di riprendere un’immagine di questa cobla, la quale dovette evidentemente avere una grande diffusione; che un certo Bernart e Guigo de Cabanas imitarono nella struttura stronca e nelle rime 660 la lirica XXXIV, come ritiene il De Lollis 661, oppure — come si potrebbe anche pensare — la Cfr. p. LXXI e segg., LXXXIV e seg., XCIV e seg. Cfr. p. LXXI. 657 Cfr. p. CLXVII e seg. 658 Nella cobla con tornada Per cinc en podetz demandar (P.C. 96, 9; ed. KLEIN, p. 15): cfr. SCHULTZ-GORA, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, p. 207; TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 24. Cfr. anche la nota introduttiva alla canz. IV, p. 21. 659 Nella canzone Si tot no·m fatz (P. C. 319, 8; ed. LEVY, p. 272). 660 Nel partimen Ar parra si sabetz triar (P. C. 52, 1, e 197, 1 a). 661 Vita e poesie, p. 86. 655 656 CLXXXII canzone IV, che ha anch’essa tale schema metrico e tali rime. Né Sordello cessò di essere assunto come modello dai trovatori provenzali dopo la sua morte: infatti Folquet de Lunel e Bernart d’Auriac in due loro sirventesi 662 ripresero ancora una volta lo schema metrico delle liriche sordelliane IV e XXXIV; mentre vari altri trovatori, tra cui Guiraut Riquier, ricalcarono nello schema metrico e nelle rime la canzone Aitant ses plus (n. II di questa ediz.)663. Attesta la fama del trovatore mantovano anche il fatto che le sue liriche furono accolte nella maggior parte dei canzonieri, e che i suoi più famosi componimenti si ritrovano in un numero assai notevole di manoscritti. Ed è pure testimonianza della popolarità di cui godettero alcune liriche di Sordello la diffusione di varie strofe di esse come coblas esparsas664. Il De Lollis ritiene665 che anche l’attribuzione al trovatore mantovano del motet francese Non sai que je die comprovi che Sordello era assai noto come poeta morale. Non mancarono a Sordello gli imitatori nemmeno in Italia: infatti Chiaro Davanzati fece una lunga parafrasi della lirica Del cavaler (n. XXXVI di questa ed.) in una sua canzone666. E in Italia certo la memoria di lui rimase particolarmente viva, specialmente nella Marca Trevigiana, che era stata teatro delle sue più Sono i sirventesi Al bo rei quier (P. C. 154, 1) e En Guillem Fabre (P.C. 57, 2). I trovatori sono: Guiraut Riquier, nel partimen Ara s’esfors (P. C. 248, 14); Austor de Segret, nel sirv. No sai qui·m so (P. C. 41, 1); Bertran Carbonel, nelle coblas Deus fetz Adam e Hostes, ab gaug (P. C. 82, 37 e 56); Guillem Anelier, nei sirv. El nom de Deu (P. C. 204, 3); Olivier del Tempie, nel canto di crociata Estat aurai (P. C. 312, 1); Raimon Gaucelm de Beziers, nel canto di crociata Ab grans trebalhs (P. C. 401, 1); Raimon Menudet, nel compianto Ab grans dolors (P. C. 405, 1); anonimo, nella cobla Amors es us amoros pensamens (P. C. 461, 18). Il DE LOLLIS (Vita e poesie, p. 86) afferma che «otto trovatori della fine del sec. XIII, tra i quali il fecondo Guiraut Riquier, si accordarono nell’ammirare una delle più solenni canzoni d’amore» di Sordello; ma in realtà qualcuna di queste liriche potrebbe essere stata costruita non direttamente sul modello sordelliano, ma su una delle altre liriche della serie. Per me è evidente ad es. che le liriche di Raimon Gaucelm de Beziers e di Raimon Menudet son modellate l’una sull’altra: almeno una di esse quindi risale alla poesia di Sordello solo indirettamente. Il primo a notare che queste liriche hanno per modello la canzone sordelliana fu l’A PPEL, Provenzalische Inedita, p. 14, n. 664 Cfr. p. CXI e seg.; cfr. anche DE LOLLIS, ibid., p. 86. 665 Ibid., p. 87. 666 Si vedano le note alla lirica. Cfr. anche quanto si dice più oltre di una probabile imitazione dantesca nella Vita nuova. Per i rapporti tra la lirica di Sordello e il «dolce stil novo» cfr. p. CXIX e segg. 662 663 CLXXXIII clamorose e romanzesche vicende giovanili, e dove la sua memoria doveva vivere più tenacemente che altrove perché andava unita al ricordo dei San Bonifacio e dei Da Romano, e particolarmente di questi ultimi, intorno ai quali correvano tra il popolo, come è noto, numerosi racconti, raccolti anche da narratori e da cronisti. È assai significativo a questo proposito il fatto che Rolandino inserisca il suo ricordo di Sordello nel passo della sua cronaca in cui ricorda le vicende di Cunizza da Romano. In Italia, e principalmente sui ricordi della vita giovanile del trovatore, furono composte verisimilmente anche le due vidas provenzali, che narrano molti particolari intorno alla vita del trovatore in Italia e sono assai povere di notizie e assai vaghe sulle vicende di lui oltre le Alpi667. La fama di Sordello tuttavia non sarebbe stata superiore a quella di altri trovatori di gran nome e non sarebbe stata così luminosa e diffusa, se Dante non avesse trasfigurato e sublimato la figura del trovatore mantovano nella Divina Commedia. Su questo episodio dantesco molto si è disputato, sia per stabilire la posizione di Sordello nell’antipurgatorio, sia per indagare l’intima genesi dell’episodio e il segreto processo attraverso il quale Dante giunse alla sua trasfigurazione poetica della figura del trovatore di Goito, sia per cogliere e definire i motivi lirici e il valore poetico di queste pagine dantesche: ma non mi è concesso soffermarmi a lungo, in questa sede, su tali problemi 668. Mi limiterò ad osservare che, a mio giudizio, sia la fierezza del Sordello dantesco, sia la rassegna dei principi della valletta sono state suggerite a Dante, come molti han pensato, dal celeberrimo planh in morte di Blacatz, ove il trovatore di Goito appare in veste di fiero e magnanimo censore dei principi contemporanei: lirica ben nota a Dante, come sembra, fin dalla sua giovinezza, se è vero che — come si è voluto sostenere669 — nel primo A meno che non si voglia credere, col PANVINI, composta in Italia solo la prima vida: cfr. p. LII. Mi ero proposto inizialmente di dare assai maggiore ampiezza a questa rassegna della «fortuna» del trovatore mantovano; ma ho dovuto restringermi a pochi e rapidi cenni, per non accrescere eccessivamente la mole di questo volume. 669 L’idea che Dante si ricordasse qui del planh di Sordello era già nel P ERTICARI, Della difesa di Dante, cap. XXI, nella Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca di V. Monti, Milano, 1829, vol. II, parte II, p. 171; e venne ripresa dal D’ANCONA, nella sua 2ª ed. della Vita nuova, p. 27 e p. 32 e seg.; cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 92. Lo SCHERILLO, Alcuni capitoli della biografia di Dante, Torino, 1896, p. 227 e segg. 667 668 CLXXXIV sonetto della Vita nuova (A ciascun’alma presa e gentil core) vi è una lontana reminiscenza, nel motivo del cuore dato in pasto alla donna, del compianto sordelliano. La riprova decisiva è data, a mio giudizio, anche se si deve riconoscere che l’ispirazione della rassegna dantesca è in fondo diversa 670, dall’evidente parallelismo che vi è tra la rassegna dei principi della valletta dell’antipurgatorio e la serie dei sovrani e signori a cui Sordello rivolge i suoi rimproveri671. Ma non si può del tutto escludere che a formare nella mente di Dante un’alta immagine di Sordello potesse contribuire, in via subordinata, anche qualche passo dei sirventesi contro Peire Bremon Ricas Novas e dei sirventesi morali672, che Dante probabilmente conobbe, e forse anche qualche passo dell’Ensenhamen d’onor, di cui pare di scorgere in un passo dell’Inferno un’eco sicura 673. E pur richiamando soprattutto il planh per la morte di Blacatz e un passo della canz. IV (v. 9 e segg.) di Sordello, si limita a notare, prudentemente, che «l’immaginazione dantesca ha senza dubbio rapporto da questo lato con la poesia occitanica». E in verità Dante potrebbe aver attinto il motivo diffusissimo del «cuore mangiato» non al planh di Sordello, ma ad altre fonti. 670 ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, p. 1054. 671 In ambedue le rassegne è osservato rigorosamente l’ordine gerarchico, in quanto vi compare per primo un imperatore, e ad esso tengono dietro i re, riserbandosi l’ultimo posto per i signori o il signore di minor conto; e nell’una e nell’altra i personaggi elencati (non tenendo conto di quelli che Sordello ricorda nell’episodio dantesco censurando i principi della valletta) sono otto. Può esser ricordato, benché abbia certo minor valore, anche il fatto che il re Enrico III d’Inghilterra ricompare in ambedue le rassegne, e che altri principi sono figli o parenti o eredi dei principi ricordati nel planh: cfr. MERKEL, Sordello e la sua dimora presso Carlo d’Angiò, p. 21; CRESCINI, rec. al vol. del MERKEL, in Giorn. stor. d. lett. it., XVII, p. 127; DE LOLLIS, ibid., p. 92; D’ANCONA, Il canto VII del Purgatorio, p. 25. Per alcuni riscontri più minuti, riguardanti frasi ed espressioni, cfr. D’OVIDIO, Studii sulla Divina Commedia, p. 13 e seg. Sostennero che la ispirazione del Sordello dantesco risale al planh, oltre al TOMMASEO, al MONACI, al MERKEL, al CASINI e al POLETTO, citati dal DE LOLLIS, ibid., p. 92, n. 3, a cui rimando, il DE LOLLIS, ibid., e il D’ANCONA, ibid.; e l’opinione è largamente accolta anche da recenti commentatori danteschi: cfr. ad es. CASINI-BARBI, n. a VII, 46; PORENA, Purgat., p. 71; MOMIGLIANO, n. a VI, 74; PROVENZAL, n. a VI, 61. Il D’OVIDIO, in un articolo pubblicato sul Corriere di Napoli, 18-19 aprile 1892, indica come punti di partenza dell’episodio dantesco soltanto il planh; ma nella postilla aggiunta all’articolo ristampandolo in volume (cfr. ibid., I, p. 12 e segg.), ammette che Dante si ispirò anche ad altre liriche. 672 Cfr. PARODI, Il Sordello di Dante, IV, p. 193 e segg.; CRESCINI, Sordello, p. 31 e seg. 673 Si cfr. i v. 901 e segg. con Inf., III, v. 34 e segg.: riscontro indicato dal TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 42, e dal GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIs, p. 397, e giudicato «abbastanza concludente» anche dal PARODI, ibid., p. 193. Il GUARNERIO addita anche in Par., VI, 131-132 una reminiscenza dei v. 855 e seg. dell’Ensenhamen; ma a parer mio è un riscontro meno convincente. CLXXXV nemmeno è da ritenersi cosa improbabile che Dante abbia avuto notizie su Sordello anche dalla tradizione orale, che forse poté raccogliere a Firenze, dove, come si è visto674, visse Cunizza negli ultimi suoi anni 675, e nelle corti dell’Italia settentrionale, da lui visitate durante l’esilio, e che erano state teatro delle avventure giovanili del trovatore mantovano: e che egli sentisse parlare di Sordello e della sua eloquenza sembra sicuramente attestato dal noto passo del De vulgari eloquentia676. L’altissima celebrazione dantesca dette alla figura di Sordello un rilievo eccezionale e assicurò alla fama del trovatore di Goito, associandola a quella della Divina Commedia, una risonanza vastissima, e fu certo il punto di partenza della posteriore leggenda sordelliana. La leggenda non nasce però tra i commentatori di Dante, che danno su Sordello notizie assai vaghe. Il più antico dei commentatori, Jacopo della Lana, si limita a notare che Sordello fu «di Mantova», e fu «uomo di corte e dicitore in lingua provenzale» 677; il commento anonimo comunemente designato col nome di Ottimo dice soltanto che Sordello fu mantovano e uomo di corte678; mentre Cfr. p. XCII. E non è escluso che, come pensano alcuni, fra cui lo ZINGARELLI, La vita, i tempi, e le opere di Dante, I, p. 133, Dante giovinetto conoscesse personalmente Cunizza in casa Cavalcanti. 676 Cfr. UGOLINI, La poesia provenzale e l'Italia, p. XXXVIII; cfr. anche ZINGARELLI, ibid., II, p. 1052. Ritengono che il Sordello dantesco sia stato ispirato principalmente al planh per la morte di Blacatz, pur non escludendo la possibilità di altre fonti di ispirazione, il GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 398; il PARODI, Il Sordello di Dante, p. 193 e seg.; il TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis, p. 42 e seg., e A proposito di «Sordello», p. 307; il CRESCINI, Sordello, p. 32 e segg., e A proposito di Sordello, p. 61 e seg.; il NOVATI, Il canto VI del Purgatorio, p. 28 e seg., 34 e seg.; e, fra i commentatori, ROSSI, commento al Purgatorio, p. 75 e seg., 91 e segg.; SCARTAZZINI-VANDELLI, nota a Purg., VII, 40-42; PIETROBONO, nota a Purg., VI, 58-59. Cfr. anche ZINGARELLI, ibid., I, p. 155 e II, p. 1054, che però sembra dare al planh minore importanza. Sull’importanza della tradizione orale cfr. soprattutto (oltre, beninteso, allo ZINGARELLI e all’UGOLINI) TORRACA, Sul «Sordello» di C. De Lollis; NOVATI, ibid.; PARODI, ibid. Il CRESCINI, A proposito di Sordello, p. 59 e seg. afferma che la leggenda di Sordello, esposta dall’Aliprandi, era già sorta prima di Dante, benché soprattutto Dante abbia contribuito a darle alimento e sviluppo. Cfr. ciò che si dice più oltre della cronaca aliprandina. 677 Commedia di Dante degli Allagherii col comento di JACOPO DELLA LANA, per cura di LUCIANO SCARABELLI, II, Bologna, 1866, p. 68. 678 L’ottimo commento alla Divina Commedia, testo inedito d’un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca [a cura di A. TORRI], II, Pisa, 1828, p. 72 e 79. 674 675 CLXXXVI Pietro Alighieri dice ancor meno, poiché ricorda soltanto che Sordello, a cui dà l’epiteto di dominus, fu mantovano. Benvenuto da Imola, come abbiam visto 679, dice qualcosa di più: dà a Sordello, ricordato come «civis mantuanus», il titolo di «miles», dice che secondo alcuni fu un uomo di corte (curialis), che visse al tempo di Ezzelino da Romano, e aggiunge il curioso aneddoto sugli amori tra Sordello e Cunizza, accennando anche di aver udito dire che Sordello scrisse un’opera (che confessa però di non aver mai visto) intitolata Thesaurus thesaurorum680, da identificarsi con ogni probabilità con l’Ensenhamen d’onor681. Francesco da Buti ricorda anch’egli, dopo aver detto che Sordello fu mantovano e fu «omo savio», il Tesoro dei tesori come opera composta dallo scrittore, affermando (forse per una confusione col planh, di cui non doveva aver notizia, o doveva avere una conoscenza molto vaga) che in questo libro Dante trovava nominati i signori da lui ricordati nella valletta: osservazione erronea, ma interessante, perché mostra che Francesco da Buti intuisce, sia pure in modo assai impreciso, il rapporto esistente tra l’episodio dantesco e le poesie di Sordello 682. L’anonimo fiorentino ricorda che Sordello — detto, come al solito, «da Mantova» — «fu buono dicitore in rima et huomo d’assai», e che «usò gran tempo» nella corte di Ezzelino da Romano683; aggiungendo, come già abbiamo ricordato, l’aneddoto circa gli amori tra Sordello e Cunizza, in una forma assai simile a quella in cui lo riporta Benvenuto da Imola684. Cfr. p. XXXV, n. 115. «audio, quod fecit librum, qui intitulatur Thesaurus thesaurorum, quem nunquam vidi» (ed. LACAITA, III, p. 178). 681 Circa l’identificazione del Thesaurus thesaurorum coll’Ensenhamen d’onor cfr. PALAZZI, Le poesie inedite di Sordello, p. 1457; DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 87. Il nome Tesoro dei tesori fu forse suggerito dai primi versi del poemetto, in cui ricorre il paragone tra il tesoro nascosto e il senno non comunicato ad altri, non senza l’influsso della consuetudine assai diffusa nel medioevo di designare col titolo di Tesoro le opere didattiche di qualche mole e che radunassero nelle loro pagine insegnamenti di varia natura. 682 Commento di Francesco da Buti sopra la Divina Commedia di Dante Alighieri, pubbl. per cura di C. GIANNINI, Pisa, 1860, II, p. 130 e seg., e 161. Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 92 e seg., e 100. 683 Commento alla Divina Commedia d’anonimo fiorentino del sec. XIV, a cura di P. FANFANI, II, Bologna, p. 105. 684 Cfr. p. XXXVI, n. 119. 679 680 CLXXXVII 2. LA LEGGENDA SORDELLIANA NELL’ALIPRANDI E NEL PLATINA. SORDELLO NEI SEC. XV E XVI In Benvenuto e nell’anonimo fiorentino non abbiamo che un aneddoto. La vera e propria leggenda sordelliana compare per la prima volta nell’Aliprandina, ossia nella cronaca rimata di Mantova di Bonamente Aliprandi, gentiluomo mantovano legato alla corte dei Gonzaga, terminata intorno al 1415 685. L’Aliprandi racconta prolissamente le vicende di Sordello in ben undici capitoli del secondo libro della sua opera686. Della prima giovinezza di Sordello Bonamente poco sa dirci: si limita a notare che Sordello apparteneva alla nobile e cospicua famiglia dei Visconti da Godio, che dimorava a Mantova, e che nella giovinezza si dedicò con passione agli studi, tanto da comporre un libro chiamato Thesaurus thesaurorum, che gli diede molta fama687. Ma in seguito il racconto diventa più particolareggiato. Dopo il venticinquesimo anno di età Sordello lascia gli studi e si dedica alle armi e agli esercizi cavallereschi, e dimostra in giostre e tornei tale bravura, che diviene grandemente famoso non solo in Italia, ma anche in Francia e in Germania; sì che i più rinomati cavalieri del tempo vogliono misurarsi con lui. Il re di Francia manda a Mantova un suo cavaliere, Galvano, ad invitarlo alla sua corte; e il prode mantovano accetta l’invito, promettendo di recarsi presto a Parigi, e intanto gli manda come suoi prigionieri due prodi cavalieri (Lionello, pugliese, e Corrado, tedesco), che erano andati a sfidarlo e, vinti, avevano dovuto arrenderglisi. Intanto anche Ezzelino da Romano lo invita alla sua corte a Verona; donde poi Sordello passa a Padova insieme con Ezzelino, per invito di Alberico da Romano. A Padova Beatrice, sorella di Ezzelino e di Alberico, si innamora di Sordello, così follemente che manda a chiamare, di notte, il cavaliere mantovano, confessandogli la sua passione e chiedendogli di prenderla come sua sposa. Sordello però rifiuta, dichiarando che non vuole fare oltraggio a Ezzelino e Alberico, che certo non acconsentirebbero a quelle nozze; quindi, dichiarando di volersi recare in Francia, torna a Infatti l’ultimo capitolo dell’opera (l. II, cap. 85) narra gli avvenimenti dell’anno 1414: cfr. B. ALIPRANDI, Aliprandina, sive Chronicon mantuarum, ed. dal MURATORI, Antiquitates italicae medii aevi, Milano, 1741, V, col. 1239 e segg.; cfr. col. 1063. 686 ALIPRANDI, Aliprandina, col. 1113-1155. 687 Quest’opera è citata di nuovo alla fine della narrazione delle vicende di Sordello (col. 1155), ove l’Aliprandi dice che secondo alcuni il libro venne composto quando Sordello lasciò, dopo i quarant’anni, l’esercizio delle armi. 685 CLXXXVIII Mantova. Se non che Beatrice, spinta dal suo amore, si reca anch’essa a Mantova, travestita da uomo, in compagnia della balia e del marito di lei, in casa di Pietro Avogadro, amico di Ezzelino, e lo supplica di interporsi nella questione e di pregare i suoi fratelli di accordarle per marito Sordello. Sordello però, dopo un colloquio coll’Avogadro, torna a Padova per spiegare ad Ezzelino e ad Alberico il proprio atteggiamento, e a chiarire che egli non ha alcuna colpa della fuga di Beatrice. Alla fine, per i consigli e le preghiere dell’Avogadro, dato anche che Beatrice minaccia di togliersi la vita, Ezzelino ed Alberico acconsentono alle nozze, che sono celebrate con grandi feste. Dopo alquanto tempo Sordello, secondo la promessa, si reca in Francia; a Troyes vince in un torneo un altro cavaliere che ha voluto misurarsi con lui, e, fattolo prigioniero, si reca a Parigi, ove ha grandi accoglienze. Viene indetto in suo onore un torneo, a cui accorrono cavalieri da ogni parte, anche dalla Borgogna e dall’Inghilterra. Sordello trionfa su tutti gli avversari e ottiene l’onore del torneo; e successivamente vince altri tre cavalieri (due inglesi e un borgognone) che avevano osato sfidarlo. Per il suo grande valore è fatto cavaliere dallo stesso re, il quale vorrebbe trattenerlo alla sua corte, con grandi promesse; ma Sordello, desideroso di ritornare in patria, rivalica le Alpi, ed è accolto con molti onori da Ezzelino e da Alberico; e si stabilisce a Mantova, ove è considerato il cittadino più illustre. Delle vicende successive di Sordello l’Aliprandi fa menzione molto alla lesta. In poche terzine Bonamente ci informa del desiderio di Ezzelino di occupare Mantova, e del suo tentativo di indurre Sordello a dargli la città, riuscito vano, perché il prode mantovano si oppone e difende la libertà della patria, e della morte di Ezzelino; indi accenna sommariamente alla vita di Sordello negli ultimi anni688 e alla sua morte, avvenuta a ottant’anni. Tale è nel prolisso e scolorito racconto dell’Aliprandi la leggenda sordelliana, nella quale, come si vede, l’attività letteraria di Sordello è quasi completamente dimenticata689. Ma donde trasse Bonamente tale racconto? La narrazione aliprandina si rivela indubbiamente legata alla celebrazione che Dante fa di Sordello, sia perché sembra Interessante è ricordare che l’Aliprandi qui nota che Sordello fino a quarant’anni continuò a dedicarsi agli esercizi cavallereschi, non rifiutando il combattimento a chiunque glielo chiedesse, e che sostenne in tal modo, sempre con successo, ben ventitré duelli: particolare, quest’ultimo, che sarà largamente ripetuto da coloro che in seguito racconteranno le vicende leggendarie del trovatore. 689 L’unico ricordo dell’attività letteraria di Sordello è l’accenno già ricordato agli studi giovanili e al Tesoro de’ tesori. 688 CLXXXIX evidentemente ispirata al sesto canto del Purgatorio l’esaltazione dell’amor patrio di Sordello e delle sue virtù civili, che lo fanno primeggiare tra i cittadini della sua Mantova, sia perché sembra risalire ai versi di Dante qualche particolare della narrazione690: e che l’Aliprandi nello scrivere le sue stentate e talora goffe terzine avesse in mente la Divina Commedia è del resto evidente dal fatto che egli stesso si compiace di ricordare che di Sordello Dante fa menzione nei «capitoli» sesto, settimo e ottavo del Purgatorio691. Qualche particolare è attinto anche ai commenti danteschi: infatti il vago e impreciso ricordo del Thesaurus thesaurorum, inserito, come si è visto, due volte nella narrazione, e la seconda volta proprio subito dopo la citazione dei canti danteschi, sembra derivato da Benvenuto da Imola o da Francesco da Buti. Da Benvenuto o anche da una delle biografie provenzali, direttamente o indirettamente, può essere stato attinto, come pensa il De Lollis692, anche il dato fondamentale del racconto, cioè l’amore di una sorella di Ezzelino per Sordello; e dalla vida più ampia, direttamente o indirettamente, può esser derivata la menzione di Goito come patria di Sordello 693, e la lode di «buon cantatore e sonatore» che compare nelle terzine conclusive della narrazione694. Il De Lollis ritiene che, su queste basi, il racconto sia stato messo insieme dall’Aliprandi, che si sarebbe studiato di «impastare un fantoccio dalle sembianze storiche, le cui linee armonizzassero con quelle del personaggio dantesco» 695. Si può peraltro fare anche l’ipotesi che l’Aliprandi abbia attinto, almeno per gran parte del suo racconto, a una tradizione orale locale, o a qualche fonte scritta: e di quest’ultima opinione è appunto il Novati, il quale ritiene che probabilmente l’Aliprandi, che nelle altre parti della sua cronaca — com’egli afferma — «non ha fatto altro che trascrivere, parafrasandoli, i libri che aveva alle mani», attingesse a una fonte letteraria, in cui il racconto della vita di Sordello doveva svolgersi press’a poco Ad es. l’epiteto di «buono» che viene dato a Sordello (col. 1155 «E gran lamento ciascun si facia | Del buon Sordello...»; cfr. Purg., VII, v. 52), e il paragone tra il prode cavaliere mantovano e il leone, più volte ripetuto (col. 1143 «Sordel tra gli altri uno leone pare», «E Sordello perseguendo li andava | Come lione quando è furioso»; cfr. anche col. 1144 e 1145; e cfr. Purg., VI, v. 66). 691 Col. 1155. 692 DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 102. 693 Nei commentatori di Dante, come si è visto, come patria di Sordello è sempre ricordata Mantova, né si fa alcun ricordo di Goito. 694 ALIPRANDI, Aliprandina, col. 1155. 695 DE LOLLIS, ibid., p. 102. 690 CXC nello stesso modo696. È difficile giungere su questo punto a una conclusione sicura, per mancanza di dati. Certo è però che la cronaca rimata dell’Aliprandi è il punto di partenza della diffusione della leggenda di Sordello, che dalle sue scialbe terzine passò negli altri storici mantovani e ottenne larghissima diffusione. All’Aliprandi attinge largamente il Platina nella sua Historia urbis Mantuae 697, in cui per molte pagine racconta minutamente le vicende di Sordello seguendo passo passo l’Aliprandina, solo limitandosi a rielaborare e a rifare il racconto in forma elegante, rivestendolo della sua solenne prosa latina, in cui si sente l’eco della prosa di Tito Livio. Qua e là però il dotto umanista introduce varie innovazioni, delle quali alcune sono di scarso rilievo, come il fissare al 1181 l’anno di nascita di Sordello 698, o il designare col nome di Rogerius il re di Puglia che l’Aliprandi aveva lasciato anonimo, o il collocare all’anno 1251 l’inizio dell’assedio di Mantova tentato da Ezzelino699, ma altre hanno una notevole ampiezza e una singolare importanza. Mentre infatti l’Aliprandi discorre dell’assedio di Mantova tentato da Ezzelino e delle altre guerre combattute nella Marca e in Lombardia contro i Da Romano prima di narrare la vita di Sordello e senza fare per nulla ricordo del trovatore, e accenna poi nel racconto della vita di Sordello al tentativo di Ezzelino su Mantova sbrigandosela con poche parole, il Platina (evidentemente rielaborando e ampliando i dati che gli forniva l’Aliprandina, come si potrebbe provare con minuti riscontri) racconta una sola volta, assai ampiamente, dopo aver narrato il ritorno di Sordello dalla Francia e il suo stabilirsi a Mantova con Beatrice, le vicende dell’assedio di Mantova da parte di Ezzelino e della guerra successiva tra Ezzelino e la lega costituitasi contro di lui, conclusasi NOVATI, II canto VI del Purgatorio, p. 53 e seg.; e cfr. p. 34 e seg. Il Novati formula anche l’ipotesi che della vita di Sordello parlasse quel quidam liber in lingua franzizina che l’ALIPRANDI aveva nella sua piccola biblioteca. 697 Cfr. PLATINA, Historia Urbis Mantuae..., ed. dal MURATORI, Rerum Italicorum Scriptores, XX, col. 679 e segg., che ho tenuto presente. Precedentemente era stata edita da PIETRO LAMBECIO, con annotazioni riportate anche dal Muratori (Vienna, 1675). 698 Forse desumendolo, come pensa il DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 103, dall’ALIPRANDI, che cominciò a parlare di Sordello dopo un avvenimento collocato nell’anno 1206, e pone al venticinquesimo anno di vita del trovatore l’inizio delle sue eroiche prove di bravura cavalleresca. 699 L’ALIPRANDI cita questo assedio riferendolo all’anno 1256 nel capitolo relativo alle vicende dei Da Romano (Aliprandina, col. 1111), e lo ricorda una seconda volta senza indicazione dell’anno verso la fine del racconto della vita di Sordello (col. 1155). 696 CXCI con la battaglia di Cassano d’Adda e la morte del «tiranno», e fa intervenire in tutti questi avvenimenti, in primo piano, Sordello, attribuendogli il merito del saggio rafforzamento delle mura di Mantova al diffondersi della notizia dei preparativi di guerra e di conquista fatti da Ezzelino 700, narrando come rifiutasse solennemente — leggendo la lettera inviatagli pubblicamente, davanti ai magistrati e al popolo — l’invito rivoltogli da Ezzelino a tradire i Mantovani in cambio della signoria sulla città, e come divenisse uno dei capi dell’esercito mantovano e lo guidasse con animosa energia contro le truppe di Ezzelino701, facendogli pronunciare più oltre, davanti al popolo ormai stanco dei disagi del lungo assedio e incline in parte alla resa, una solenne e vigorosa orazione, con la quale infiamma i cittadini alla resistenza, divenendo in tal modo il salvatore della città, poiché poco dopo Ezzelino è costretto a togliere l’assedio per la defezione di Padova702, e facendolo infine combattere con grande valore nelle prime file insieme a Buoso da Dovara nella battaglia di Cassano d’Adda, cosa che lo fa considerare uno dei principali artefici della vittoria, tanto che Martino della Torre dopo la battaglia lo loda grandemente703. Come si vede, la figura di Sordello risalta nelle pagine del Platina ancora di più che nel racconto dell’Aliprandi, poiché appare ancor più eroica e magnanima: infatti Sordello non è più soltanto un cavaliere di eccezionale prodezza e di grande saggezza, quale appare nell’Aliprandi (ove la lotta in difesa della patria è ricordata solo di sfuggita), ma un eroico difensore e salvatore della patria. Anche qui, naturalmente, l’attività letteraria del trovatore è relegata nell’ombra 704. Il racconto del Platina dette maggiore autorità e diffusione alla leggenda sordelliana, e le vicende esposte dal dotto umanista trovarono accoglienza fra gli storici posteriori705 come fatti accertati PLATINA, Historia Urbis Mantuae, ed. MURATORI, col. 692. Tralascio, per brevità, di citare il passo. Ibid., col. 699. 702 Ibid., col. 701. 703 Ibid., col. 705 e seg. 704 Anche il PLATINA, come l’ALIPRANDI, si accontenta di ricordare, in principio della sua narrazione (ibid., col. 680), che Sordello attese nella giovinezza agli studi, acquistando grande dottrina, e che compose il Thesaurus thesaurorum. Più avanti però (col. 692) il Platina torna ad accennare a studi letterari tralasciati da Sordello per dedicarsi alla difesa di Mantova dalle minacce di Ezzelino. Anche il PLATINA, evidentemente attingendo all’ALIPRANDI, afferma che Sordello «canere fidibus optime norat» (cfr. n. 689). 705 Non però tra i commentatori di Dante: infatti il LANDINO ignora il racconto dell’ALIPRANDI e del PLATINA, e dice soltanto che Sordello fu mantovano «et huomo molto studioso et inuestigatore di qualunque per alchuno tempo fussi stato di doctrina o d’ingegno o di consiglio excellente»; e aggiunge che scrisse un volume «el quale intitulò Thesor de’ thesori di simil cose» (La Comedia di Dante col comento di Christophoro Landino, Firenze, 1481, n. a Purg., VI, v. 74). 700 701 CXCII e ormai di dominio comune. Dal Platina attinse 706 Raffaele da Volterra, che nei suoi Commentarii urbani707 ricorda la grande prodezza di Sordello nelle armi, il suo matrimonio con la sorella di Ezzelino (di cui si tace il nome), grandemente innamorata di lui708, e il magnanimo rifiuto che egli fece delle proposte di Ezzelino, il quale lo aveva invitato a tradire la patria. Nel riassumere il racconto del Platina il Volaterrano introduce però una data che mancava nel suo modello, poiché scrive che Sordello primeggiava in Mantova nel 1220; e nell’accennare a tale autorità e prestigio di Sordello usa una espressione equivoca 709, che poteva far pensare che il prode mantovano fosse veramente il signore della città710: il che fece appunto sì che da molti scrittori successivi Sordello venisse presentato come il vero e proprio signore di Mantova. Infatti Mario Equicola, nella sua Cronica di Mantua, afferma che il Volaterrano scrive «ne li MCCXX Sordello esser il primo et prencipe in Mantova»711. Accanto al Volaterrano l’Equicola cita anche l’Aliprandi, e riassume le gesta da lui attribuite a Sordello, aggiungendovi, senza indicar la fonte della notizia, che Sordello ampliò i confini di Mantova acquistando Casalmaggiore. Però nel Sordello dell’Equicola torna ad aver rilievo l’attività letteraria e poetica: infatti, dopo aver ricordato i versi con cui Dante descrive l’incontro tra Virgilio e Sordello nel Purgatorio, l’Equicola afferma, sulla scorta dei commentatori di Dante, e in particolare di Benvenuto da Imola, che Sordello scrisse anche «un libro intitulato Thesoro de’ thesori» e fu «bel dicitore in lengua provenzale»; e cita per esteso, dandone a fronte la traduzione italiana, la tenzone tra Sordello e Peire Guilhem de Tolosa 712. Incominciava Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 103, che dimostra la dipendenza del Volaterrano dal PLATINA con alcuni persuasivi riscontri. 707 Comentariorum urbanorum... octo et triginta libri, Parigi, 1511, c. XXXI v. 708 Il Volaterrano ricorda a questo proposito anche il viaggio a Mantova della donna innamorata («cum clam incognita Mantuam usque veniret...»). 709 «Sordellus Mantuae princeps habebatur». 710 L’espressione, come nota il DE LOLLIS, ibid., p. 103, è un infelice rifacimento di una frase del PLATINA («tantum opibus et patentia valuit, ut longe princeps inter optimates haberetur»: Historia Urbis Mantuae, col. 681). 711 Chronica di Mantua, Mantova, 1521, c. 38 v. 712 Anche nel Libro de natura de Amore (Venezia, 1561, p. 336) l’EQUICOLA ricorda Sordello come uno dei poeti italiani che rimarono in provenzale. Sugli studi provenzali dell’Equicola cfr. S. D EBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino, 1911, principalm. alle p. 26 e seg., 107, 192 e seg., 219 e segg. (per altri rimandi cfr. l’indice dei nomi) e Tre secoli di studi provenzali, p. 148 e segg. 706 CXCIII a riapparire, dietro le deformazioni leggendarie, il vero volto di Sordello; che del resto si andava svelando in quel tempo anche ad altri appassionati cultori di studi provenzali, come il Bembo713, Giammaria Barbieri714, Angelo Colocci, Lodovico Beccadelli, Piero del Nero, Lodovico Castelvetro 715, che studiarono direttamente i canzonieri trobadorici. Ma i più, mantovani e non mantovani, si accontentavano — esclusi sempre, al solito, i commentatori di Dante716 —, di ripetere, talora con variazioni più o meno notevoli, la leggenda ormai tradizionale. La ripeteva Giovanni Battista Fulgosio, che in un capitolo Sugli studi provenzali del BEMBO basti rimandare a DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, principalm. alle p. 24 e seg., 89 e seg., 161 e segg., 211 e segg. (per altri rimandi cfr. l’indice dei nomi) e Tre secoli di studi provenzali, p. 148 e segg. Nelle Prose della volgar lingua il BEMBO cita Sordello tra i poeti italiani che poetarono in lingua provenzale (ed. di C. DIONISOTTI-CASALONE, Torino, 1931, p. 13). 714 Nella sua opera incompiuta pubblicata nel 1790 a Modena dal TIRABOSCHI col titolo Dell’origine della poesia rimata il BARBIERI ricorda varie volte Sordello, riportando anche vari passi delle sue liriche (p. 118 e seg., 120, 147, 148). Il Barbieri però accoglie anche notizie attinte alla cronaca dell’ALIPRANDI, che cita espressamente, come l’affermazione che il poeta fu «de’ Vesconti di Goito», e l’accenno alla vittoria riportata alla corte di Francia contro due inglesi e un borgognone. Sugli studi provenzali del Barbieri cfr. A. MUSSAFIA, Ueber die provenzalischen Liederhandschriften des Giovanni Maria Barbieri, in Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wiss. di Vienna, LXXVI, 1874, p. 201 e segg.; DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, principalm. alle p. 30 e seg., 91 e seg., 229 e segg. (per altri rimandi cfr. l’indice dei nomi) e Tre secoli di studi provenzali, p. 151 e segg.; V. DE BARTHOLOMAEIS, Le carte di Giovanni Maria Barbieri nell’Archiginnasio di Bologna, Bologna, 1927. 715 Su questi e altri provenzalisti cinquecenteschi basti rimandare alle pagine ad essi consacrate dal DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento (cfr. l’indice dei nomi), e Tre secoli di studi provenzali, p. 146 e segg. 716 In essi infatti non vi è traccia della leggenda narrata dall’ALIPRANDI e dal PLATINA. Alessandro VELLUTELLO si limita ad accennare al Tesoro de’ tesori, e ricordare che Dante fa menzione di Sordello nel De vulgari eloquentia, dicendo che fu «buon compositore di rime volgari e di tanta eloquentia che non solamente ne’ poemi ma in ogni modo che parlasse abbandonò il lombardo volgar de la sua patria» (La Comedia di Dante Alighieri con la nova expositione di ALESSANDRO VELLUTELLO, Venezia, 1544, n. a Purg., VI, 59). E il DANIELLO ricorda soltanto che Sordello fu «letterato e buon compositore in rima», come Dante afferma nel De vulgari eloquentia (Dante con l’espositione di M. BERNARDINO DANIELLO da Lucca, Venezia, 1568, p. 272). 713 CXCIV della sua raccolta di detti e fatti memorabili esalta, ispirandosi all’Aliprandi, il valore guerriero di Sordello, vincitore in ventitré duelli, e in un altro ricorda Sordello come illustre esempio di continenza, per aver resistito all’amore, alle preghiere e anche alle minacce di Beatrice sorella di Ezzelino 717, E ad essa si ispirava certo Teofilo Folengo nel presentarci nel Baldus Sordello come un ricco e potente barone, «princeps Goiti», famoso per la sua bravura cavalleresca e per le sue vittorie nei tornei 718 e nell’assegnargli, con estrosa invenzione, la parte di protettore e di educatore di Baldo719. Leandro Alberti720, richiamandosi a Raffaele Volaterrano e all’Equicola, fa di Sordello «de i Visconti da Goito» un principe di Mantova, facendo durare la sua signoria dal 1220 al 1274721, e ricorda l’eroica difesa di Mantova contro gli assalti di Ezzelino; e alla narrazione dell’Aliprandi attinge il Gionta le notizie riguardanti Sordello da lui inserite nel Fioretto delle croniche di Mantova722. Né si libera dai dati della leggenda Ludovico Domenichi, che, ispirandosi all’Aliprandi o al Platina, ricorda i ventitré duelli vinti da Sordello, e accenna in modo particolare al combattimento da lui sostenuto in Parigi contro due cavalieri inglesi e un cavaliere borgognone, giudicando il prode mantovano superiore ai più celebri eroi romani 723. La leggenda tradizionale non si trova invece nelle Vies des plus celebres et anciens poëtes provensaux di Jean de Nostredame724, il quale non manca di qualche buona informazione intorno al trova- Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 104, n. 1. L. II, v. 65 e segg. (cfr. T. FOLENGO, Maccheronee, ed. curata da A. LUZIO, Bari, 1911, I, p. 67). 719 L. III, v. 440 e segg.; l. IV, v. 153 e segg. e 513 e segg. (ibid., p. 93 e seg., 103 e 113 e seg.). Sordello è ricordato nel Baldus anche nel l. V, v. 60 e segg., 118 (ibid., p. 116 e 118). 720 Descrittione di tutta Italia, Bologna, 1550, c. 361 v. 721 A questo anno è fissata la morte di Sordello; ed è probabile, come osserva il D E LOLLIS, ibid., p. 104, che tale notizia sia desunta per induzione dal racconto dell’EQUICOLA. 722 Verona, 1577. 723 L. DOMENICHI, Historia varia, Venezia, 1563, p. 242; cfr. DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, p. 206. 724 Uscite a Lione nel 1575; nello stesso anno ne uscì, sempre a Lione, una traduzione italiana dovuta a Giovanni GIUDICI. La vita di Sordello è a p. 153 e segg. (dell’ed. francese). Cfr. la nuova ed. curata da C. CHABANEAU e J. ANGLADE, Paris, 1913, p. 93 e segg. Sul NOSTREDAME, oltre all’introduzione dell’ANGLADE all’ed. citata, cfr. anche: DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, p. 197 e segg., e Tre secoli di studi provenzali, p. 157 e segg. Sulla traduzione del GIUDICI cfr. inoltre: A. ARUCH, Le biografie provenzali di Jehan de Nostredame e la loro prima traduzione italiana, in Studi medievali, IV, 1912-13, p. 193 e segg. 717 718 CXCV tore (da lui lodato come superiore a tutti gli altri «poeti genovesi e toscani» che scrissero in provenzale), perché ricorda il soggiorno di lui alla corte di Provenza presso Raimondo Berengario 725, afferma che compose canzoni e sirventesi, e tra questi ultimi ricorda particolarmente il planh in morte di Blacatz, di cui riferisce ampiamente il contenuto; ma registra anche non poche notizie erronee, in quanto fa accogliere Sordello a corte dal conte di Provenza (detto, si noti, agli ultimi giorni della sua vita) quando aveva appena quindici anni, assegna il planh in morte di Blacatz al tempo dei Vespri siciliani 726, e attribuisce al trovatore un trattato in prosa provenzale intitolato Lou progres e avansament dels Reys d’Arragon en la comtat de Provensa e una versione provenzale di una Summa juris727. 3. SORDELLO DAL SEC. XVII AL SEC. XIX Nel sec. XVII la leggenda sordelliana trova ancora larga diffusione. Il Donesmondi infatti, ispirandosi probabilmente all’Alberti, fa Sordello — appartenente, secondo lui, alla famiglia Visconti — signore di Mantova dal 1220 al 1274728; e Alessandro Zilioli lo dice «rettore e capitano generale» di Mantova, ripetendo fedelmente le favole tradizionali 729. Qualche riserva avanza, è vero, a proposito della leggenda Antonio Possevino junior, il quale, dopo aver riassunto il racconto dell’Aliprandi relativo all’amore di Beatrice da Romano per Sordello fino alla conclusione delle nozze (sostituendo Può darsi (ma è cosa tutt’altro che sicura) che tale notizia sia stata attinta alla vida più ampia, che probabilmente era compresa in uno dei canzonieri utilizzati dal NOSTREDAME, e cioè nel «chansonnier de Sault», strettamente apparentato, come è noto (cfr. ANGLADE, nell’introduzione all’ed. cit. delle Vies, p. 63 e segg., 122 e e segg.; JEANROY, La poésie lyrique des troubadours, I, p. 8), col canzoniere di Bernart Amoros, antigrafo di a. Sulla questione cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 108; ANGLADE, ibid., p. 330. 726 E non si può pensare che si tratti di un errore cronologico riguardante i Vespri, perché i Vespri sono esplicitamente assegnati al 1281. L’errore è nato da una falsa interpretazione dei v. 37-40 del planh. 727 Sulla vita di Sordello del NOSTREDAME rimando al DE LOLLIS, ibid., p. 108, n. 1, che dà altri rimandi bibliografici. 728 Dell’istoria ecclesiastica di Mantova, Mantova, 1613, parte I, p. 272 e seg., 395; cfr. anche la Cronologia d’alcune cose più notabili di Mantova, 1616, p. 6, unità alla 2ª parte Dell’istoria ecclesiastica. 729 Nell’Opera de’ poeti, inedita, citata dal CRESCIMBENI, Istoria della volgar poesia, Venezia, 1730, II, p. 106, n. III. 725 CXCVI però a Pietro Avogadro un Luigi Castelbarco), nota che «del fatto non vi è alcun certo documento»730; ma tale modesto merito del Possevino è molto diminuito dal fatto che egli accetta senza dubbio alcuno altre favole aliprandine 731, e vi aggiunge, stranamente, nuove notizie non meno infondate di quelle fornite dalla leggenda da tempo divulgata 732. E Scipione Maffei nei suoi Annali di Mantova733 riprende le notizie dell’Aliprandi, del Platina e del Possevino, cercando di conciliarle tra loro, e facendo di conseguenza nascere Sordello nel 1194, ponendo l’inizio delle sue gesta gloriose nel 1223 e facendolo morire nel 1274, in modo da far durare la sua vita esattamente ottant’anni, come aveva affermato l’Aliprandi. Accanto ai ripetitori o ai poco felici rimanipolatori della leggenda, il Seicento ha però anche letterati che, come il Tassoni 734, l’Ubaldini735, il Redi736, continuando la tradizione dei provenzalisti del Cinquecento, studiano direttamente i testi provenzali e conoscono più da vicino il trovatore, di cui citano le liriche, tenendosi lontano dalle favole. E intanto avanza seri dubbi sulla leggenda, fuori d’Italia, Pietro Lambecio, nelle note alla sua edizione della Historia urbis Mantuae del Platina737, il quale riferisce bensì, accanto alle notizie Gonzaga, Mantova, 1628, p. 161 e segg. Cfr. ad es. ibid., p. 145. 732 Infatti il POSSEVINO sostiene che Sordello già prima del 1200 godeva di grande autorità in Mantova, tanto da essere scelto dai suoi concittadini per importanti missioni: infatti già nel 1199 egli si sarebbe recato a Padova insieme con Corrado Gonzaga per sopire alcuni contrasti sorti tra Mantova e i padovani (ibid., p. 144). Durante la minorità di Federico II poi Sordello sarebbe stato in contrasto con i Gonzaga, poiché avrebbe parteggiato per Ottone di Brunswick, mentre questi ultimi sarebbero stati fautori di Filippo di Svevia! (ibid., p. 148). Per altri particolari cfr. S. F ERRARI, Sordello, in Atti e Memorie della r. Accademia Virgiliana di Mantova, Mantova, 1887, p. 313 e segg.; DE LOLLIS, ibid., p. 105 e seg. 733 Tortona, 1675, p. 569 e segg. 734 Considerazioni sopra le rime del Petrarca, Milano, 1609, p. 36, 93, 132 e altrove. Sul TASSONI provenzalista basti rimandare a DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 162 e segg. 735 Nella Tavola che accompagna la sua edizione dei Documenti d’Amore di FRANCESCO DA BARBERINO, Roma, 1640, s. aude, forfatto, i, ritrare. Sugli studi provenzali delI’UBALDINI cfr. DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 164 e segg. 736 Bacco in Toscana con le annotazioni, Napoli, 1687, p. 121, nota al v. «Sonetti e Cantici». Sugli studi provenzali del REDI cfr. DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 167 e segg. 737 Pubblicata a Vienna nel 1675. Le note del LAMBECIO alla Historia del PLATINA sono state riprodotte anche dal MURATORI nella sua edizione dell’Historia, già ricordata, compresa nel R. I. S. 730 731 CXCVII date dai commentatori di Dante (Benvenuto, il Landino e il Vellutello), quelle riferite dal Volaterrano, dall’Equicola, dall’Alberti e dal Possevino, ma fa notare che i commentatori di Dante non conoscono Sordello che come letterato, e che la cronaca del monaco di Santa Giustina di Padova narrando le vicende di Mantova non solo ignora del tutto la signoria di Sordello sulla città, ma di Sordello non cita mai neppure il nome. Nel sec. XVIII gli studi sordelliani incominciano a fare qualche notevole progresso. Il Crescimbeni, se cita, nella sua Istoria della volgar poesia, le notizie date dalla leggenda, ricavandole dallo Zilioli, non nasconde di aver qualche dubbio su di esse (benché avverta che esse sono confermate anche dall’Agnelli e dal Platina), e riferisce anche ciò che narra, intorno a Sordello, la vida provenzale più breve (conosciuta nel ms. K); inoltre mostra di conoscere per consultazione diretta un certo numero di liriche del trovatore738. Anche il Fontanini739 utilizza una vida provenzale (che è questa volta la più ampia, conosciuta nel ms. A), benché poi non abbia scrupolo di mescolare ai dati da essa fornitigli le notizie che gli davano il Platina e il Nostredame740. Analoghe considerazioni si debbono fare a proposito del Quadrio, che attinge largamente per i suoi cenni biografici 741 alla vida più breve (conosciuta nel ms. K), pur sforzandosi di conciliarne i dati con la leggenda tradizionale742. E alla leggenda dà un grave colpo il Muratori nella prefazione alla sua edi- Istoria della volgar poesia, I, p. 336; II, p. 106 e segg.; III, p. 44. Le liriche sordelliane che il CRESCIMBENI mostra di conoscere sono quelle contenute nei codici H, K, O e g, allora tutti conservati nella Biblioteca Vaticana, e quelle contenute nel ms. P, anche allora conservato a Firenze nella Libreria di S. Lorenzo. Ai manoscritti provenzali vaticani rimanda anche il BASTERO, citando Sordello nell’Elenco dei poeti provenzali dell’età d’oro incluso nella Crusca provenzale (Roma, 1724, p. 94) come autore di «canzoni, tenzoni, cobbole e vari sirventesi» (tra i quali ricorda particolarmente il planh in morte di Blacatz). Sugli studi provenzali del BASTERO cfr. DEBENEDETTI, Tre secoli di studi provenzali, p. 170 e segg. 739 Della eloquenza italiana, Venezia, 1735, p. 40 e 60. 740 Le Vies del NOSTREDAME ebbero una notevole diffusione nel Settecento, nella traduzione fattane dal CRESCIMBENI. Nella seconda edizione uscita a Roma nel 1722, la vita di Sordello è a p. 114 e segg. La prima edizione uscì a Roma nel 1710. 741 Della storia e della ragione d’ogni poesia, Milano, 1741, II, p. 130. 742 Narra infatti che Sordello, ritornato dalla Provenza, assunse, col titolo di rettore e di capitano generale, il governo di Mantova, e ripete che Sordello nacque nel 1184 e morì «vecchissimo e pieno di gloria» circa nel 1280. 738 CXCVIII zione dell’Aliprandina, nella quale chiama lepida figmenta le narrazioni del cronista mantovano (detto Romanensium fabularum aemulator) intorno a Virgilio e a Sordello 743. Un colpo ancora più grave riceveva la leggenda nella seconda metà del secolo, ad opera del Tiraboschi, che nella sua Storia della letteratura italiana744 mette ampiamente in rilievo gli anacronismi e le contraddizioni della narrazione dell’Aliprandi, del Platina, del Volaterrano e dei loro ripetitori, e mostra l’inconsistenza e l’inverisimiglianza della leggenda, respingendola recisamente. Anche il Verci745 giudica favolosi i raccolti dell’Aliprandi, del Platina, e di coloro che si compiacquero di seguire le loro orme; e il Bettinelli 746, benché mantovano, si attiene in tutto alle conclusioni del Tiraboschi, che cita espressamente come colui «che ha messa in luce la verità dopo le tenebre sparse da tanti» 747. Anche negli storici mantovani della seconda metà del secolo si avvertono, in generale, tendenze innovatrici, e una sfiducia sempre più accentuata della leggenda, che porta a ricercare più sicure fonti di informazione: infatti, se i partecipanti al concorso bandito nel 1773 dall’Accademia Virgiliana di Mantova per un «elogio» di Sordello ripresero senz’altro, come era prevedibile, la narrazione leggendaria tradizionale, arricchendola di innovazioni e di aggiunte personali del tutto fantastiche748, il Visi749 dubita di quasi tutte le notizie tramandate intorno a Sordello dalla tradizione mantovana, e G. B. d’Arco750, se ancora si compiace di rappresentare Sordello come il valoroso difensore di Mantova contro Ezzelino, e se, attingendo al Nostredame751, attribuisce al trovatore un trattato politico Antiquitates itaticae medii evi, V, col. 1064. Modena, 1788 (2ª ediz.), IV, p. 373 e segg. 745 Storia degli Ecelini, I, p. 118 e segg.; cfr. F ERRARI, Sordello, p. 304, n. 1. 746 Il risorgimento d’Italia negli studi, nelle arti e ne’ costumi dopo il Mille, parte 2ª, Venezia, 1781, p. 80 e seg.; Delle lettere ed arti mantovane, in Opere, 2ª ed., XI, Venezia, 1800, Discorso I, p. 23 e 90, nota B. 747 Delle lettere ed arti mantovane, p. 90 nota B. 748 Su questo punto rimando per brevità alle osservazioni di FERRARI, ibid., p. 300 e seg., 303, e del DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 107. 749 Nella sua Storia civile ed ecclesiastica di Mantova, inedita nell’archivio Gonzaga, t. III; cfr. FERRARI, ibid., p. 303 e seg.; DE LOLLIS, ibid., p. 107. 750 Sordello, Cremona, 1783. Il VERCI, Storia degli Ecelini, I, p. 119, conobbe e citò questo saggio quando era ancora manoscritto. Cfr. FERRARI, ibid., p. 303 e seg.; DE LOLLIS, ibid., p. 107. 751 Cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 108. 743 744 CXCIX e la traduzione in lingua provenzale di una Summa juris latina, nonché la traduzione provenzale delle opere di Cesare e di Curzio, intravvede l’inverisimiglianza delle avventure romanzesche attribuite a Sordello dalla leggenda; mentre Girolamo Codè752 intraprende nuove ricerche intorno al trovatore, prendendo ad esaminare le biografie e le liriche conservate nei codici vaticani. Intanto in Francia usciva l’Histoire littéraire des troubadours del Millot — condotta, come è noto, sulle note e sulle trascrizioni del Lacurne de Sainte-Palaye — nella quale753 lo studioso francese, lasciando da parte la leggenda, — che egli, non potendo conciliarla con i dati delle vidas, riferiva a un personaggio diverso dal trovatore754 — ricostruiva la vita di Sordello sulla testimonianza delle biografie provenzali, e discorreva assai ampiamente e con buona informazione (nonostante qualche inesattezza) delle liriche del poeta, inserendo nella trattazione numerose traduzioni. Oramai Sordello, lasciato il travestimento leggendario, che pure aveva servito a irradiarlo, attraverso i secoli, di una luce gloriosa, andava a poco a poco rivelando il suo vero volto. Un altro decisivo progresso nella conoscenza dell’opera e della personalità del trovatore si compiva negli anni 1818-1820, col Raynouard, il quale pubblicò nei tomi III-V del Choix des poésies originales des troubadours nove liriche del poeta e la vida più breve755. Circa nello stesso tempo il Perticari, nel suo scritto Della difesa di Dante756 trattò di Sordello trascurando del tutto la leggenda, e riportando per la biografia la vida più ampia, attinta ad A, con la traduzione a fronte, aggiungendovi, come saggio della sua poesia e come testimonianza Cfr. DE LOLLIS, ibid. Nel vol. II, Paris, 1774, p. 79 e segg.; cfr. anche il vol. I, Paris, 1744, p. 452 e segg., ove si discorre del planh in morte di Blacatz, dandone anche la traduzione. 754 Ibid., II, p. 80 e seg.: «Mais ne pouvant les appliquer à notre poëte, nous présumons qu’ils regardent un guerrier de même nom, et peut-être de famille differente». Tale idea sarà ripresa dall’É MÉRIC-DAVID, Histoire littéraire de la France, XIX, p. 451, il quale si rassegna addirittura «all’esistenza sincrona di tre diversi Sordelli» (cfr. DE LOLLIS, ibid., p. 112). 755 Cfr. t. III, Paris, 1818, p. 441 e segg.; t. IV, Paris, 1819, p. 33 e segg., 67 e seg., 329 e seg.; t. V, Paris, 1820, p. 267, 444 e seg. Anche il ROCHEGUDE, Le Parnasse occitanien, Toulouse, 1819, p. 145 e segg., pubblicò la vida più breve e il planh in morte di Blacatz. 756 Compreso nel 2º tomo (parte 2ª) della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca del MONTI, p. 169. (La prima edizione è del 1820). 752 753 CC «del suo grande e ardito cuore», il planh in morte di Blacatz; tratto da A e da H (anch’esso accompagnato dalla traduzione). E poco dopo il Foscolo, nel suo saggio dedicato al trovatore757, illustrò ampiamente la figura di Sordello riportando anch’egli nel testo originale e traducendo il planh in morte di Blacatz — senza dimenticare peraltro di ricordare i versi d’amore, per i quali rimanda al Tiraboschi e al Raynouard —, e rimettendosi per le notizie biografiche alla vida provenzale più ampia, che riportò tradotta (attingendo probabilmente al Perticari); e, se ricordò, fondandosi principalmente sul Platina, la leggenda sordelliana, dichiarò apertamente che essa non è che un tessuto di romanzesche invenzioni. A sette anni dal saggio foscoliano usciva a Zwickau il noto volume di Federico Diez, Leben und Werke der Troubadours, in cui era dedicato a Sordello uno dei trentacinque ampi saggi consacrati ai trovatori di maggior rilievo 758: un saggio condotto con metodo rigoroso, in cui la figura del trovatore era magistralmente illuminata, e che può dirsi anche oggi notevole, anche se, naturalmente, le indagini degli studiosi più recenti hanno permesso di correggere, di ampliare, di approfondire il ritratto vigoroso tracciato dallo studioso tedesco. Col saggio del Diez comincia, si può dire, una nuova fase degli studi sordelliani. Ma da questo punto non mette più conto seguire minutamente la storia degli studi intorno a Sordello, come si è fatto fin qui, indagando punto per punto i progressi che dal Diez in poi si sono fatti nella conoscenza della vita e dell’opera del trovatore, e annotando le sopravvivenze tenaci della leggenda in alcuni studiosi attardati su posizioni sorpassate759: saremmo infatti costretti molte volte a ripeterci, poiché i più notevoli degli studi più recenti sono ricordati in questa introduzione e nelle note che accompagnano i testi. D’altra parte tutti gli studi che sono stati pubblicati intorno a Sordello dal Diez ad oggi (compresi parecchi scritti di scarso valore, ma utili a documentare la straordinaria fioritura di studi che si è avuta intorno a Sordello nel sec. XIX Sordello, apparso in inglese nel New Monthly Magazine del 1822: cfr. la traduzione italiana di C. UGONI nei Saggi di critica storico-letteraria, I, Firenze, 1859, p. 287 e segg. 758 P. 465 e segg. (nella seconda ed., Leipzig, 1882, p. 375 e segg.). 759 Cfr. ad es. la memoria letta all’Accademia Virgiliana di Mantova nel 1877 da C ARLO CAPPELLINI (Atti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova, biennio 1877-78, p. 79 e segg.) il quale, pur rifiutando moltissimi dati della leggenda, torna a presentare Sordello come reggitore di Mantova e difensore della patria contro Ezzelino (cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 110). 757 CCI e nel nostro secolo, soprattutto per l’interesse destato dal Sordello dantesco) sono stati registrati nella bibliografia posta in fondo al volume, ove potranno agevolmente essere rintracciati. Mette conto però di ricordare che nell’Ottocento, diffusosi col movimento romantico il gusto delle rievocazioni storiche medievali, alcuni scrittori fecero di Sordello il protagonista delle loro opere letterarie. Due di esse uscirono in Italia: la più antica è un mediocrissimo romanzo storico di Angelo Collini 760, che riprende largamente la leggenda mantovana, intessendone, con molte invenzioni nuove mescolate a dati tratti dalle biografie provenzali, ormai divulgate, una narrazione tra sentimentale e patriottica, condotta in modo tutt’altro che felice 761; l’altra è una tragedia giovanile di Pietro Cossa762, costruita ancora sugli schemi del teatro romantico, e anch’essa di valore assai modesto 763. Più interessante e più notevole è invece il poema giovanile (risale al 1840) di Robert Browning, il quale, pur attribuendo a Sordello vicende in gran parte del tutto fantastiche, ha saputo dar vivo rilievo alla figura del trovatore, trasfigurandola in modo personalissimo. Nonostante l’oscurità dello stile (quest’opera è, per concorde giudizio di tutti i critici, il più oscuro dei poemi del grande lirico inglese), vi sono nel Sordello del Browning pagine assai belle e suggestive764. Tanto la tragedia del Cossa quanto il poema del Browning sono ispirati a Dante765: il che mostra ancora una volta quanto strettaSordello, Mantova, 1847. Cfr. DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 109. 762 Sordello, tragedia, Milano, 1872; ristampata a Milano, 1876. 763 Su quest’opera, oltre all’accenno di F ERRARI, Sordello, p. 328, cfr. A. ROYER, Histoire universelle du theâtre, VI, Paris, 1878, p. 255 e seg.; C. TREVISANI, Gli autori drammatici contemporanei. I. Pietro Cossa, Roma, 1885, p. 10 e segg.; YORICK (P. COCCOLUTO FERRIGNI), La morte di una musa, Firenze, 1885, p. 171 e segg.; J. DE BLASI, Pietro Cossa e la tragedia italiana, Firenze, 1911, p. 14 e seg. 764 Sul Sordello del BROWNING (oltre, naturalmente, alle opere generali intorno al poeta, per le quali mi limito a rimandare alle copiose bibliografie date da M. PRAZ, Storia della letteratura inglese, Firenze, 1937, p. 341 e da A. ZANCO, Storia della letteratura inglese, II, Torino, 1947, p. 694 e segg.) si cfr.: A. J. Whyte, introduzione all’ed. del Sordello di BROWNING, London, 1913; F. OLIVERO, Sul «Sordello» di Robert Browning, in Giornale dantesco, XXII, 1914, p. 49 e segg.; E. SHANKS, Sordello, in Dizionario letterario Bompiani, VI, 1948, p. 872; a cui si deve aggiungere lo studio di H. BOUCHER, La jeunesse de Browning et le poème de Sordello, Genève, 1930, che mi duole di non aver potuto consultare. 765 Per la derivazione del poema del BROWNING da Dante cfr. WHYTE, ibid., p. 1 e seg.; OLIVERO, ibid., p. 50. Che il COSSA traesse l’ispirazione del suo Sordello dalla lettura della Divina Commedia è affermato dall’autore stesso nella nota lettera a Siegfried Samosch: cfr. A. F RANCHETTI, Pietro Cossa, in Nuova Antologia, n. s., vol. XXX (LX della raccolta), 1 dicembre 1881, p. 374. 760 761 CCII mente la fama di Sordello sia legata ai canti del Purgatorio dedicati al trovatore mantovano, che hanno reso più alta la fama di Sordello unendola alla fama e alla gloria di Dante766. Avverto che in questo capitolo dedicato alla «fortuna» di Sordello e agli studi sul trovatore ho dovuto procedere assai rapidamente, per non occupare un eccessivo numero di pagine. Qualche altro particolare si potrà trovare nel saggio già citato di F ERRARI, Sordello, p. 300 e segg., e nel volume del DE LOLLIS, Vita e poesie, p. 90 e segg. Su qualche punto mi riprometto di ritornare con più agio in altra sede. 766 AVVERTENZE Nel testo delle poesie le parentesi quadre indicano, come è d’uso, le lettere e le parole che mancano nei mss. e che sono state aggiunte per correggere evidenti errori dei copisti o per colmare lacune. Come ho notato nell’Introduzione, sono state escluse dall’apparato le varianti puramente grafiche, come le oscillazioni tra le grafie nh, gn, ign, ngn, tra lh, ll e ill, tra y e i (lieys, lieis), tra qu, q e c (quan; qan, can; que, qe), tra s e z (chans, chanz; bausia, bauzia), tra c e s (aucis, ausis), tra x e s (doncx, doncs), tra j e g (jen, gen), tra z e tz finali (esfortz, esforz). Qualche eccezione è stata fatta in casi particolari. Tutte le varianti non meramente grafiche, anche minime, sono state registrate (cfr. l’Introduzione, p. CLXIV). Per necessità tipografiche ho dovuto nell’apparato, in genere, sciogliere le abbreviazioni. Ho però preferito indicare l’esistenza dell’abbreviazione in alcuni casi in cui la soluzione di essa poteva dare adito a diverse interpretazioni (come, ad es., nel caso del trattino sovrapposto a una vocale per indicare la consonante nasale seguente). Si è fatta un’eccezione anche per la nota tironiana usata ad indicare l’et, che è stata indicata con la cifra 7. Le traduzioni mirano unicamente a chiarire il testo provenzale, che ho cercato di rendere più letteralmente che fosse possibile, rinunciando deliberatamente ad ogni ricerca di eleganza. Ho contrassegnato con parentesi quadre le parole che, qua e là, ho creduto opportuno aggiungere. Nei pochi casi in cui ho creduto indispensabile allontanarmi da una versione letterale, ho posto la versione letterale in nota.