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Prodotti culturali e territori: l`immateriale che “vive” nella materialità

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Prodotti culturali e territori: l`immateriale che “vive” nella materialità
Prodotti culturali e territori:
l’immateriale che “vive” nella materialità
MICHELE TAMMA*
Abstract
Il tema del rapporto tra cultura e territorio negli ultimi anni è stato oggetto di un
interesse via via più forte, in relazione al fatto che la “cultura”, nella sua accezione più
ampia, viene oramai generalmente riconosciuta come un risorsa fondamentale per lo
sviluppo economico e la competitività.
Soprattutto considerata nel suo rapporto con il territorio, la cultura, immateriale, “vive”
nella materialità, nel senso che si crea, si rigenera, si sedimenta nelle persone, nelle
relazioni, negli artefatti, nelle istituzioni, e anche nelle organizzazioni di produzione e nei
prodotti.
Come un territorio “offre” cultura, ovvero la crea, la conserva, la rende fruibile? Una
prospettiva che prenda le mosse dalle possibili forme dei “prodotti culturali”, e delle risorse
e dei processi loro sottostanti, può fornire un contributo alla comprensione delle vie
percorribili per mettere in valore identità e potenzialità che certamente non possono
emergere e svilupparsi solo spontaneamente.
Parole chiave: cultura, territorio, prodotto
In recent years the relationship between culture and territory has been the subject of
increasing interest, in relation to the fact that “culture”, in its broadest sense, is now widely
recognized as a key resource for economic development and competitiveness.
Especially considered in its relationship with territory, culture – immaterial - “lives” in
materiality, in that it creates, regenerates, settles in people, in relationships, in artifacts, in
institutions, and also in organizations and in products.
How does an area “offer” culture, i.e. create it, preserve it, make it usable? A vision that
builds on the possible forms of “cultural products”, and on the resources and processes that
make them possible, can contribute to the understanding of viable ways to exploit potential
that certainly cannot emerge and develop spontaneously.
Key words: culture, territory, product
*
Associato di Economia e Gestione delle Imprese - Università Ca’ Foscari Venezia
e-mail: [email protected]
sinergie n. 82/10
28
PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
1. Cultura & territorio
Il rapporto tra cultura e territorio è un tema da tempo oggetto di attenzione.
Negli ultimi anni questo interesse è divenuto via via più forte, come testimoniato
dall’ampia serie di approfondimenti e contributi di diverso ambito disciplinare.
La “cultura”, nella sua accezione più ampia, è oramai generalmente riconosciuta
come un risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e la competitività:
l’evoluzione della produzione e del consumo, in direzione di un ruolo sempre più
rilevante delle componenti “immateriali” nei prodotti e nei processi, ha fortemente
contribuito a porre al centro i temi dello sviluppo e del sostegno della creatività così
come dell’innovazione delle forme con cui la cultura può esprimersi ed essere
fruita. Le radici, molto sinteticamente, si possono rintracciare in alcune
“traiettorie”, tra le altre, ben note.
Innanzitutto l’evoluzione dell’economia della produzione e il fenomeno della
“dematerializzazione”: si crea valore certamente attraverso processi in cui “risorse
materiali (macchine, risorse naturali, energia manipolatrice del lavoro) si
convertono in beni materiali (prodotti finiti)” [Rullani 1992, p. 9]”, ma anche, in
misura crescente, attraverso attività in cui la componente “immateriale”
(conoscenza, informazione, significati, relazioni), sia dei prodotti che dei processi,
risulta critica e prevalente [Di Bernardo 1992a, 1992b]. Si insiste da anni sul peso
che questa componente ha nel tempo assunto in tutte le produzioni; tale fenomeno,
spesso definito “dematerializzazione della produzione”, implica che la capacità di
ottenere valore sia dipendente in misura sempre più significativa dalla creazione,
trasferimento, condivisione di informazioni e conoscenze. “The single most
important trend to understand is the changing ratio between mass and information
in good and services” [Hawken 1983, p. 11], o in altre parole, “dematerialization of
production, i.e., the progressive reduction of energy content per unit of value
created and the progressive increase in its information content” [Devidse 1983, pp.
125-135]. Nel pensiero economico tradizionale l’informazione era vista come un
costo, un’attività necessaria a sostenere altre attività (di approvvigionamento, di
produzione, di vendita e distribuzione); oggi l’informazione è vista come una
risorsa per creare valore [Sampler 1998, p. 345].
In secondo luogo, il riconoscimento (o la ri-scoperta) del ruolo della conoscenza
nella produzione, connesso, com’è noto, allo sviluppo di tecnologie che ne hanno
cambiato enormemente il “potenziale” di generazione e circolazione, ha posto in
luce nuove criticità e nuovi problemi: il valore economico prodotto e la capacità di
competere dipendono tanto dalla continua creazione di nuove conoscenze quanto
dall’ampiezza e dalla rapidità della loro diffusione e replicazione (controllata)
[Rullani 2004, pp. 224-229]. La conoscenza infatti è una risorsa sociale, non
soggetta ad usi alternativi, che “libera” tutto il suo valore se viene condivisa. Essa,
cioè, rende se viene trasferita per essere replicata e continuamente rigenerata in
diversi usi e applicazioni. Nella “nuova” economia emergono e divengono cruciali
le economie legate alla riproducibilità e alla specifica struttura dei costi (alti costi fissi- di generazione della conoscenza, bassi o addirittura nulli costi -variabili- di
MICHELE TAMMA
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riproduzione), nonché le forme di controllo dell’appropriazione dei risultati da parte
dei singoli attori che vi investono denaro e lavoro (le problematiche della proprietà
intellettuale, legate alla non-escludibilità, all’imitazione, alla copia). Centrale è la
costruzione di contesti di interazione tra gli attori (compresi gli utilizzatori), in cui
vi siano le condizioni, da un lato, per rendere possibile la connessione e la
condivisione delle conoscenze (costruzione di linguaggi, significati, strutture),
dall’altro, per gestirne e controllarne efficacemente il processo di socializzazione
(regole e accordi) [Rullani 2000, pp. 152-154].
Infine, in anni più recenti, è via via emersa una forte attenzione al contenuto
simbolico, estetico, emozionale, dei prodotti (beni e/o servizi). Emblematico è il
frequente riferimento al concetto di economia delle esperienze [Pine e Gilmore
2000], in cui i consumatori, oltre agli aspetti puramente funzionali, cercano prodotti
“[...] che li stupiscano, che li coinvolgano emotivamente e mentalmente, che
colpiscano i loro sensi, che forniscano esperienze olistiche, uniche, memorabili
[...]” [Ferrari 2006, p. XIII]. Nella stessa direzione si sottolinea come il consumo sia
diventato “an activity that involves a production of meaning, as well as a field of
symbolic exchanges. [Carù e Cova 2007, p. 4]”. Spostandosi solo un po’ oltre si
arriva a riconoscere un “ruolo” sempre più intenso e pervasivo della cultura (intesa
in senso ampio come conoscenza, esperienza, significati simbolici ed estetici) nel
determinare il valore dei prodotti (anche manifatturieri) sia dal punto di vista della
domanda che dell’offerta [Tamma 2006, p. 102]. In termini più radicali si sostiene
stia avvenendo uno “[...] spostamento di lungo periodo dalla produzione industriale
a quella culturale. Nel futuro, una quota sempre crescente di scambi economici
nella forma più innovativa sarà riferibile alla commercializzazione di una vasta
gamma di esperienze culturali [...]” [Rifkin 2000, p. 10].
In questo scenario, la creatività, la conoscenza, l’accesso all’informazione, si
pongono come motori di un nuovo paradigma di sviluppo sociale ed economico. Al
centro viene posta “una complessa interazione tra cultura, economia e tecnologia, in
un mondo globalizzato e dominato da simboli, testi, suoni e immagini [UNCTADUNDP 2008]. Così i concetti e le (svariate) definizioni di “economia della
creatività”, di “economia della cultura”, di “industria della creatività”, di “industria
culturale”, si intrecciano, indicando insiemi di attività dai confini labili e
permeabili, in cui le risorse, i processi, i prodotti, sono sempre più interessati da
interrelazioni, co-evoluzione, complementarietà.
Passando a considerare il “territorio”, o meglio il binomio cultura-territorio, si
può partire da un’osservazione semplice: la cultura stessa non è concepibile senza il
riferimento ad un luogo (e ad un tempo), ovvero “c’è sempre una relazione tra un
posto qualsiasi nel mondo e la cultura che vi produce” [Grossi 2008, p. 15]. Al di là
di assunzioni quasi implicite, il dibattito, in letteratura ma anche nelle politiche, si è
sviluppato attorno a due tematiche fondamentali che poi, di fatto, hanno finito per
incrociarsi. Esse, in termini molto sintetici1, attengono: a) alla tutela, conservazione
1
Per cogliere il tema nella sua articolazione e profondità si può fare riferimento ad una
letteratura internazionale veramente vasta. Tra i contributi italiani si vedano Sacco e
30
PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
e - soprattutto - valorizzazione del patrimonio artistico e culturale (tangibile e
intangibile), che sempre si ripete essere in Italia senza eguali; b)
all’adozione/promozione di un modello di sviluppo economico-sociale fondato sulla
cultura e sulla creatività.
In entrambe le direzioni i riferimenti concettuali principali sono senz’altro
cluster e distretti, ovvero forme organizzative socioeconomico-territoriali [Cinti
2007, p. 11] in cui cooperazione, reti, sistemi-costellazioni del valore trovano
declinazione in uno specifico territorio (contesto). “Protagonisti (dello sviluppo) e
della competizione artistica e culturale non sono più i soggetti singoli, individuali,
ma le macro-organizzazioni complesse definite dalla compresenza di attori
economici e non economici, pubblici e privati, contestualizzati in luoghi ad alta
concentrazione di risorse artistiche, culturali, umane e ambientali” [Lazzeretti 2007,
p. 9]. I sistemi territoriali, con le loro risorse specifiche e peculiari (naturali,
culturali, sociali, economico-produttive), sono posti come unità di analisi ma anche
come unità competitive: “I territori, siano essi quartieri, città o regioni, diventano
così essi stessi soggetti attivi dell’arena competitiva, promuovendo la messa a punto
di idonee strategie e modelli di sviluppo e di governance che coinvolgono imprese,
istituzioni, organizzazioni non-profit e comunità locali” [Lazzeretti ibidem].
Non è certamente negli scopi di questo lavoro ricostruire e approfondire il
corposo insieme di sviluppi teorici che si sono nel tempo accumulati in merito alle
categorie di cluster e distretto, sia in generale che con riferimento specifico alla
produzione culturale (si è già fatto cenno alla vasta letteratura specialistica
disponibile). È utile però ricordare che nell’esperienza statunitense, europea,
italiana, la riflessione ha assunto connotati in parte diversi. In particolare, per ciò
che concerne i contenuti e le tipologie delle attività (sia di produzione che di
consumo) svolte nei sistemi locali, vengono variamente considerate attività
artistico-culturali in senso stretto (performing arts, biblioteche, ecc.), le industrie
culturali (media, cinema, musica), le produzioni tipiche del territorio [Cinti 2007, p.
48]. Ciò evidentemente conduce a focalizzare in modo diverso l’attenzione su
istituzioni, organizzazioni e imprese che incorporano in modo differente la “cultura
e i beni artistici” nei loro processi di produzione e/o di erogazione. Per alcune,
infatti, la produzione/fruizione dell’esperienza culturale è l’obbiettivo primario
della propria attività; per altre la cultura è la fonte per generare prodotti con una
forte identità e/o innovativi, grazie alla disponibilità di risorse idiosincratiche
(difficilmente imitabili) e al liberarsi di processi creativi [si veda Franch in questo
stesso numero della rivista].
La questione più rilevante tuttavia non è comprendere quali attività sia corretto
includere/escludere, quanto piuttosto trovare forme efficaci di integrazione. Come
sostengono Sacco e Pedrini [2003, p. 184] “Il distretto culturale acquista valore e
significato nella misura in cui diventa un modulo produttivo che deve la sua
specificità non tanto al fatto di creare valore di per sé, quanto alla capacità di
Pedrini 2003; Moretti e Grandinetti 2004; Cinti 2007; Santagata 2007; Sacco 2008; Sedita
e Paiola 2009.
MICHELE TAMMA
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integrarsi di volta in volta con altri settori del sistema locale dando luogo a sinergie
innovative altrimenti irrealizzabili”. La cultura, in questa visione, “svolge il ruolo di
agente sinergico, che fornisce agli [altri] attori del sistema [produttivo] contenuti,
strumenti, pratiche creative, valore aggiunto in termini di valore simbolico e
identitario” [Sacco 2008, p. 78].
In conclusione, nell’insieme dei contributi attorno al binomio cultura-territorio
si riscontra la tendenza ad adottare una nozione a “banda larga” di cultura e di
produzione culturale (si fa riferimento anche ai concetti di produzioni culture-based
e di sviluppo culture-driven), così come ad indagare e approfondire questo rapporto
con diversi strumenti concettuali e da diversi punti di vista, più complementari che
alternativi.
In termini che ci avvicinano alla prospettiva economico-manageriale, le
questioni cruciali possono essere espresse attraverso due quesiti: “come” un
territorio produce e offre cultura, ovvero come la crea, la conserva, la diffonde, la
rende fruibile? Chi produce e chi consuma cultura, quale rapporto ha con un
determinato e specifico territorio?
2. L’immateriale che vive nella materialità
Il titolo del paragrafo è provocatorio. Se in letteratura si è molto insistito sulla
dimensione “immateriale”, critica e prevalente nei prodotti e nei processi della
cultura, non si può dimenticare che l’immaterialità ha bisogno della materialità. “Il
sapere, la sensibilità e le esperienze che ispirano la cultura non sono realtà astratte e
disincarnate, esistono delle condizioni concrete e materiali nelle quali nascono e si
sviluppano [...] la produzione di cultura va contestualizzata, Non può essere
considerata una operazione astratta che nasce nel vuoto [Grossi 2008, pp. 15-16].”
Soprattutto considerata nel suo rapporto con il territorio, la cultura, immateriale,
“vive” nella materialità, nel senso che si crea, si sedimenta, si rigenera, nelle
persone, nelle relazioni, negli artefatti, nelle istituzioni, e anche nelle organizzazioni
di produzione e nei prodotti. Ciò implica anche che in ogni contesto territoriale
specifico sono i comportamenti, le decisioni, le azioni dei diversi soggetti che ne
fanno parte a creare le condizioni perché si possano sviluppare, mobilitare,
indirizzare, organizzare, le risorse necessarie ad offrire a differenti “pubblici”,
paganti o meno, “espressioni culturali” concrete, ovvero prodotti (beni e/o servizi
che siano).
Si vuole, in definitiva, sostenere un cosa ovvia ma che è comunque bene
ricordare: non è più molto utile discutere degli aspetti materiali piuttosto che di
quelli immateriali o viceversa, quanto invece concentrarsi sul loro inscindibile
rapporto, in cui una componente non esiste senza l’altra. La produzione culturale
(densa di contenuti simbolici ed estetici, di emozioni, di esperienze) vive di supporti
e strutture fisiche, di risorse umane, di organizzazione, di investimenti; in “luoghi”
caratterizzati da una storia, da una posizione geografica, da una vita sociale
particolari [Currid 2007, pp. 1-16].
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PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
In questo senso è particolarmente utile, a parere di chi scrive, la prospettiva
offerta da un corpo di studi della sociologia della cultura che si è affermato con la
denominazione di “production of culture perspective” [Peterson 1994, Crane 1992,
Griswold 1997]. Questa prospettiva si concentra sui “processi attraverso cui
elementi specifici di cultura sono prodotti in quei contesti sociali in cui la
produzione di simboli è consapevolmente al centro dell’azione [...] Lungi dal
rappresentare semplicemente il prodotto “naturale” di un qualche contesto sociale,
la cultura - e in particolare gli oggetti culturali che la costituiscono - diventa così
l’esito di complessi processi di produzione, distribuzione, commercializzazione,
ricezione ed interpretazione che coinvolgono in modo differenziato una vasta
gamma di soggetti e di organizzazioni” [Santoro 1995, pp. 20-21].
Per “elementi specifici di cultura” vengono dunque intesi gli “oggetti culturali”,
espressioni simboliche concrete che incorporano e trasmettono, nelle più diverse
forme materiali e immateriali, significati. Con le parole di Griswold [1997, p. 26],
un oggetto culturale “può definirsi un significato condiviso incorporato in una
forma [...] un’espressione significativa (simbolica) che è udibile, o visibile, o
tangibile, o che può essere articolata. Un oggetto culturale, inoltre, racconta una
storia, e quella storia può essere cantata, recitata, scolpita, pubblicata o dipinta sul
corpo”. Ai nostri fini, di particolare rilievo sono: a) l’idea che il significato
(connesso alla genesi creativa, alla concezione) trova realizzazione in un oggetto
culturale che ne diviene, al tempo stesso, la forma espressiva concreta e il
supporto/veicolo di trasmissione e socializzazione; b) l’idea che un oggetto
culturale è un’espressione culturale concreta diretta ad un “pubblico”, recettore di
significati - complessi - che vengono per tale via diffusi e socializzati. Senza
l’attività di “ricezione” operata dal pubblico l’oggetto culturale non esiste.
Con riferimento ai “contesti sociali” in cui la cultura si produce, la prospettiva
citata indaga sui processi di creazione, commercializzazione, distribuzione,
promozione, valutazione e consumo di oggetti culturali e sui loro protagonisti
[Peterson 1976, p. 672]. Certamente, tra quest’ultimi, in primo piano vi sono le
diverse organizzazioni partecipi delle filiere-costellazioni di produzione di cultura.
È oramai ampiamente diffusa l’idea che i prodotti culturali sono frutto
dell’operare in sistema di molteplici attori. Già Hirsch [1972] definiva le industrie
culturali come sistemi di organizzazioni che mediano (intermediano) il flusso di
prodotti culturali fra i produttori (i creativi) e i consumatori (i pubblici). Pur nella
varietà di fattispecie, il sistema di produzione culturale può essere rappresentato in
modo generale attraverso l’individuazione di un processo composto di una serie di
fasi, che “[...] si avvicendano, dilatandosi o contraendosi, a seconda dei casi
[Santagata 2001, p. 11]”, e di un insieme di attori, diversamente specializzati, che le
presidiano2. Ogni organizzazione opera “immersa” in un tessuto di connessioni e di
relazioni [Tamma 2000, pp. 55-56] che ha come protagonisti gli attori che, a scala
2
Nelle schematizzazioni proposte [tra gli altri Griswold 1997, p. 109; Santagata 2001, pp.
11-20] spesso si trovano, variamente “fuse”, la mappatura delle attività del processo e la
mappatura dei soggetti che vi prendono parte.
MICHELE TAMMA
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globale e locale, insieme formano e costituiscono la costellazione che da vita ai
processi di creazione del valore.
Riassumendo, la “production of culture perspective” adotta una visione
decisamente relazionale della produzione della cultura. Oggetto di indagine sono le
risorse, i processi, gli attori, le condizioni - e le loro reciproche relazioni - attraverso
cui i simboli culturali vengono prodotti, distribuiti, recepiti e valutati. Questa
visione appare coerente con gli approcci di ricerca delle discipline economiche e, in
particolare, manageriali. Nelle prossime pagine si approfondirà il rapporto tra i
prodotti culturali e il territorio - quest’ultimo inteso come contesto specifico in cui i
processi di produzione, diffusione, fruizione avvengono e ne sono caratterizzati dapprima proponendo un modello descrittivo di prodotto culturale, in seguito
approfondendo due “tipi” di prodotto contrassegnati da un diverso grado di mobilità
e replicabilità degli elementi su cui si fondano.
3. Prodotti culturali: contenuto, supporto, contesto
Il concetto di “oggetto culturale” adottato dalla production of culture
perspective - forma espressiva concreta e, insieme, supporto/veicolo di trasmissione
e socializzazione verso un “pubblico” recettore e co-produttore di significati - ben
si presta a fornire una base per una definizione, quantomeno funzionale, di prodotto
culturale. Risulta inoltre piuttosto “vicino” e rapportabile al concetto di prodotto
quale medium di relazione fra attori (della produzione e del consumo) proposto da
Rispoli e Tamma nel 1992 nelle pagine di questa stessa rivista. Inteso quale
medium, il prodotto (bene e/o servizio) è ciò che consente di connettere i fini, gli
obiettivi, le risorse e le attività dei diversi attori che interagiscono nella sua
produzione/ricezione. In questa impostazione, elemento costitutivo del concetto di
prodotto non è dunque la sua “forma” (che nelle diverse fattispecie può variare
nelle componenti tangibili e intangibili, tecnologiche, organizzative) ma il “ruolo”
che svolge entro uno specifico contesto di relazione tra attori.
Spostandosi quindi dalla prospettiva sociologica a quella manageriale, un
“oggetto culturale”, creato o valorizzato (valorizzato se già esistente), può essere
definito uno specifico prodotto culturale, con un altrettanto specifico valore
economico, solo se “collocato” in un contesto di relazione in cui sono determinati
gli attori, i significati, le risorse, i bisogni da soddisfare (com’è ovvio intesi in una
accezione ampia), cui corrispondono l’uso e/o l’esperienza offerti agli utilizzatori3.
È quindi in un contesto determinato e specifico che diventa compiuto il processo di
3
Condizione necessaria è la presenza di almeno due attori (uno di domanda) che impiegano
risorse e “dividono il lavoro” richiesto dal processo di creazione del valore in base ai
propri obbiettivi, capacità e convenienze. Non sono invece necessari il requisito della
materialità e l’esistenza di uno scambio “oneroso” di mercato, mentre deve essere
presente il fine della soddisfazione di un bisogno (è evidente, quindi, come rilevino sia
situazioni in cui vi è una clientela che paga un prezzo, sia situazioni in cui vi è un
pubblico che non corrisponde direttamente la controprestazione) [Tamma 2006].
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PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
generazione di significati e di valore (“sense-making”); contesto che è costruito
insieme dagli attori dell’offerta e della domanda: “il produttore deve costruire
insieme ai possibili utilizzatori delle sue conoscenze “un mondo in cui queste
acquistino valore” [Rullani 2006, p. 54].
Adottato questo concetto di prodotto culturale, si propone un modello analiticodescrittivo che può contribuire a cogliere le componenti, le caratteristiche, gli
attributi,
che
incidono
sulle
sue
problematiche
di
produzione,
distribuzione/diffusione, ricezione [Tamma e Curtolo 2009].
A fini analitici, il prodotto culturale può essere pensato come composto di due
elementi: il content e il supporto. Con il primo si coglie l’insieme di significati che
animano la proposta culturale (core del prodotto); con il secondo la forma
(materiale e/o immateriale) che permette di esprimerli e comunicarli4 (figura 1).
“L’arte [...] per essere goduta richiede che l’idea sia tradotta, o fissata, in un
medium. Questo può essere un bene materiale - libro, disco, tela, pietra, pellicola oppure un bene immateriale - come un concerto sinfonico, una rappresentazione
teatrale, frutto della combinazione di attività organizzative e di fattori produttivi
[Santagata 2007, p. 28]”.
Fig. 1: Prodotto culturale: contenuto, supporto, contesto
Fonte: Ns. adattamento da Tamma, Curtolo 2009
4
È bene ribadire che si tratta di un modello, in quanto content e supporto costituiscono un
intreccio, un tutt’uno, separabili solo a fine descrittivo. Si è utilizzato nelle figura il
simbolo “taiji” proprio per evocare (senza troppe pretese) l’idea che in un prodotto
culturale content e supporto (come yin e yang) sono interdipendenti, coesistono in
costante dialettica e non in modo meramente additivo. Sono quindi due elementi entrambi
costitutivi, che si generano e rigenerano reciprocamente: l’uno non esiste senza l’altro.
MICHELE TAMMA
35
In determinati casi content e supporto possono essere in qualche misura distinti
e separati, come nell’esempio di un brano musicale che viene ascoltato in un
concerto dal vivo, ma anche trasmesso in streaming via Web, oppure, ancora, la cui
registrazione viene resa ulteriormente accessibile per mezzo di un CD. In altri ciò è
difficile quando non impossibile (come, ad esempio, nel caso di un dipinto, di una
scultura). Ancora si pensi ai prodotti del settore delle performing arts: un’opera
teatrale può nel tempo dare luogo a molteplici produzioni, diverse per la regia e per
l’interpretazione; una stessa produzione inoltre può essere replicata molte volte in
“contenitori” e contesti differenti. È piuttosto evidente che il supporto (in questo
caso, il complesso costituito dalla regia, dagli interpreti, dalle strutture, dal
pubblico) permette di esprimere e comunicare il contenuto molte volte e in luoghi e
tempi diversi; ma è altrettanto evidente come il supporto incida significativamente
sui prodotti realizzati e fruiti (le singole rappresentazioni, mai esattamente
replicabili, oppure, per scelta, volutamente diverse).
Al di là delle varie fattispecie, ragionare in termini di content e supporto, del
loro intreccio e combinazione, aiuta a proiettare lo spazio di possibilità di
generazione di prodotti differenziati che combinano le risorse e i significati culturali
con i diversi mezzi di espressione e diffusione a disposizione. La produzione
culturale infatti si alimenta continuamente di citazioni, rinvii, reinterpretazioni di
contenuti (si realizzano nuovi prodotti impiegando altri prodotti culturali o parte di
questi), così come di una gamma di offerta che mette a frutto diversi mezzi
(supporti) di dialogo e interazione con i ricettori (i pubblici). I diversi supporti
possono infatti creare condizioni molto differenti per l’accessibilità e l’interazione,
cosa che incide non soltanto sulla fruibilità e sulla diffusione dei contenuti, ma
anche sulla loro creazione e rigenerazione5.
La visione proposta è utile anche in quanto consente di conciliare e combinare
gli apporti delle due principali prospettive di analisi economico-produttiva dei
prodotti culturali: quella che fa riferimento ai prodotti della informazioneconoscenza6 e quella che si rifà a teorie e studi sul management dei servizi (campo
di studi oramai vasto e ben noto).
La prima, associabile più direttamente ai prodotti mediali (editoria, musica
registrata, cinema, televisione, radio, ecc.), distinguendo tra content e supporto
approfondisce le questioni tecnico-economiche legate alla riproducibilità e alla
specifica struttura dei costi (alti costi fissi di generazione dell’opera, bassi o
addirittura nulli costi di riproduzione), nonché le problematiche della proprietà
intellettuale connesse alla riproduzione e imitazione.
La seconda, più vicina alle produzioni “a contatto diretto con il pubblico” quali
le perfoming arts e gli eventi, analizza i temi dell’organizzazione del “delivery”,
ovvero della gestione del servicescape, dell’interazione con il consumatore, del
ruolo del personale di contatto, ecc. Gli studi di service management, da anni
5
6
Per una interessante analisi dell’innovazione nelle produzioni culturali focalizzata sul
rapporto con il fruitore si veda Calcagno 2009.
Fondamentale il contributo di Shapiro e Varian 1999.
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PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
sviluppati ponendo al centro le questioni dell’immaterialità, delle relazioni, delle
condizioni di contesto, forniscono molto “materiale” consistente per approfondire,
anche in chiave progettuale, caratteristiche e attributi dei prodotti culturali.
Lo schema comprende, oltre al prodotto culturale, una sintetica rappresentazione
del processo di produzione-riproduzione-diffusione, da un lato, e di fruizionericezione, dall’altro.
Viene evidenziato come il processo di produzione-riproduzione-diffusione
impieghi sia input creativi (risorse culturali e creatività) che input non-culturali di
tipo tecnico e manageriale (“humdrum input” [Caves 2000, p. 4]). Viene anche
posto l’accento sul fatto che gli input vengono utilizzati e valorizzati (in diversi
modi e con diversa resa) attraverso la mediazione della dotazione di saperi,
tecnologie, strutture, capacità organizzative di cui l’offerta (un attore, una retecostellazione di attori) può disporre o che è comunque in grado di
acquisire/mobilitare7.
Il processo di ricezione, altrettanto costituivo del prodotto culturale, ha
ovviamente come protagonista il fruitore (il pubblico). Incidono sulla “ricezione”8,
tra gli altri fattori, le conoscenze, le esperienze estetiche precedenti, la familiarità
con il mondo dell’arte e della cultura9, che i diversi pubblici possono portare in dote
(first time visitors vs frequentatori abituali). Inoltre, come già da tempo segnalato
dalla letteratura sul management dei servizi, l’esperienza complessiva vissuta
dall’utilizzatore è molto condizionata dalla qualità dell’interazione con le strutture e
i supporti (fisici e non) che consentono l’accessibilità e la fruizione.
Infine il modello colloca prodotti e processi in un determinato “contesto” (locale
e globale). In questa sede preme segnalare, tra le altre, due ragioni.
La prima è connessa all’ampiamente riconosciuto e indagato legame tra cultura
e società. “Sia gli oggetti culturali sia la gente che li crea e li riceve non operano nel
vuoto, ma sono ancorati ad un determinato contesto. Possiamo chiamare
quest’ultimo il mondo sociale, espressione con cui intendiamo i modelli e i bisogni
economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un particolare punto nel
tempo [Griswold 1997, p. 30]”. La cultura è produzione di significati: “gli oggetti
culturali sono significativi per gli esseri umani che vivono in un [determinato]
mondo sociale; a sua volta il mondo sociale, altrimenti caotico e casuale, ha
significato grazie alle lenti culturali con cui la gente lo guarda [Griswold, ibidem, p.
67]”.
La relazione locale-globale (in entrambe le direzioni) implica un rapporto tra
mondi sociali, culture, significati, differenti. Le risorse e i prodotti culturali non
hanno il medesimo “valore” in tutti i contesti, così come il contatto e l’interazione
7
8
9
“[...] non ci si avvede che fra l’oggetto d’arte antica - e altresì contemporanea -, fra il
documento storico, fra i beni culturali e il pubblico, necessita, perchè il valore
adeguatamente si manifesti e ad utilità di molti, la mediazione di un’organizzazione che
trasformi lo stock in servizio culturale”. [Montella 2008, p. 15].
Sul concetto di ricezione si veda tra gli altri Gadamer [1989], Dupuis [1981].
Si veda il concetto di capitale umano come sviluppato da Becker [1975] e Becker e
Stigler [1977].
MICHELE TAMMA
37
tra “modi” di produrre e di consumare diversi è tutt’altro che privo di conseguenze
rispetto ai problemi economici e manageriali da affrontare.
La seconda ragione, legata al tema del presente lavoro, è collocare i diversi
attori coinvolti nei processi di produzione/ricezione dei prodotti culturali nel
sistema territoriale specifico in cui operano e di cui divengono parte traendo risorse
e producendo valore. È in tal modo possibile tenere conto delle diverse condizioni,
assetti e dinamiche che in un determinato territorio rendono possibile e governano
la produzione culturale. Grandinetti e Moretti, nel loro lavoro del 2004, riconoscono
un contributo fondativo per l’interpretazione del valore delle produzioni artistiche e
culturali nei contesti territoriali a tre chiavi di lettura: il vantaggio competitivo delle
nazioni e dei contesti locali; la produzione di valore attraverso la cooperazione tra
attori e nelle reti; i processi di creazione e di trasferimento delle conoscenze
nell’ambito dei contesti territoriali10. Rinviando alla copiosa letteratura nazionale e
internazionale, è qui di maggiore interesse focalizzare in modo più diretto il
rapporto tra i prodotti culturali e il patrimonio di risorse che ogni territorio ha nel
tempo accumulato e ne costituisce l’identità.
Come rappresentato nello schema della figura 1, tanto i processi di produzioneriproduzione-diffusione che i processi di ricezione avvengono in contesti specifici.
La linea tratteggiata segnala come tali contesti possano essere il medesimo o
differire (in sostanza vi sono casi in cui produzione e ricezione hanno luogo nello
stesso sistema territoriale e casi in cui hanno luogo in sistemi territoriali differenti).
Ogni particolare contesto può presentare una diversa dotazione di risorse, sia in
quantità che in qualità, e ciò soprattutto rispetto a quelle che vengono definite
risorse “peculiari e idiosincratiche”.
Quanto gli input, i saperi, le tecnologie, le strutture, l’organizzazione, ma anche
i processi di ricezione, sono “legati” al territorio specifico, ovvero perdono
significato e valore se imitati/replicati in altri territori? Ma anche, in che misura i
diversi elementi che intervengono nella realizzazione di un prodotto culturale
possono essere “sganciati” (astratti/estratti) dal proprio contesto per essere trasferiti,
ricombinati in altri contesti? Al di là dei problemi logistici, ci si deve in definitiva
chiedere se e quanto sia possibile replicare e/o trasferire (sia nel senso di esportare
che di importare) il “contesto d’esperienza” che assegna senso e valore ai prodotti
ed, evidentemente, trarne le conseguenze in termini di forme, strategie, strumenti di
gestione.
I temi di ricerca che si possono ricondurre ai problemi sollevati sono, a parere di
chi scrive, interessanti ma anche piuttosto vasti. Nelle pagine seguenti si
propongono solo alcune considerazioni rispetto a quelli che possiamo qui definire
“prodotti che portano il territorio nel mondo” - ovvero prodotti che, concepiti e
realizzati grazie alle caratteristiche e alla dotazione di risorse peculiari di un sistema
territoriale, sono poi “esportati” e fruiti in altri contesti - e “prodotti che portano il
mondo nel territorio” - prodotti che invece, per essere vissuti ed esperiti,
10
Questi sviluppi teorici costituiscono anche, in larga parte, la base della ricerca su cluster e
distretti cui si è fatto cenno nel primo paragrafo.
38
PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
comportano lo spostamento e “l’immersione” del consumatore (del pubblico) nel
contesto specifico in cui originano e si concretizzano (ovvero “importano” fruitori).
A tal fine si prendono in considerazione insieme, con un po’ di libertà, diverse
forme di prodotto che si fondano sulla cultura e la incorporano: da prodotti culturali
(in un’accezione stretta), a “prodotti della cultura” o culture-based [Cinti 2007, pp.
42-45; Sedita 2009, pp. 24-27].
4. Prodotti che portano il territorio nel mondo ....
Come un territorio esporta la propria cultura (e importa quella di altri luoghi)?
In una varietà di modi così ampia da essere probabilmente impossibile da definire
(se non in termini generici). Il “movimento” di cose, persone, informazioni, è
sempre stato incessante e odiernamente, si ripete sempre, lo è in misura sempre più
forte e globale. Più limitatamente, quindi, ci si chiede qui attraverso quali forme di
prodotto un territorio diffonda e metta a valore le proprie risorse e capacità
specifiche (tema comunque ancora vasto).
Nel mondo delle produzioni culturali si cedono e si trasferiscono beni e diritti
d’uso/riproduzione di testi, suoni e immagini. Tipicamente sono i prodotti mediali
ad essere replicati e diffusi: come si è visto la natura della relazione tra content e
supporto lo consente. Ma anche i prodotti caratterizzati dalla “simultaneità tra
produzione ed erogazione” e dalla “presenza fisica del pubblico”, tipici delle
performing arts, godono di “mobilità” (con condizioni e strutture di costo diverse
dai precedenti). Le produzioni (spettacoli teatrali, concerti) vengono infatti replicate
in città, regioni, paesi diversi (tournée), dovendo tuttavia contare sulla ricostruzione
“dell’ambiente di erogazione” che costituisce, ad un tempo, il supporto di
espressione dei contenuti e il supporto di interazione con il pubblico.
Passando ai prodotti che possiamo definire culture-based (produzioni tipiche,
made in Italy [Fortis 1998, pp. 12-17]), certamente la fisicità del prodotto che
incorpora la cultura, i saperi, la tradizione, specifici del territorio di origine,
costituisce il “veicolo” per il trasferimento in altri contesti di fruizione.
Al di là delle ovvie differenze, vi è un problema che accomuna queste diverse
forme: quanto si mantengono “intatte” le componenti distintive, e in specie quelle
simboliche, allorchè i prodotti lasciano il territorio di origine per essere esperiti in
altri luoghi? La comprensione di quanto viene offerto, e il valore che gli viene
attribuito, dipende dalla costruzione/ricostruzione del contesto che contribuisce a
conferire significato, fornendo riferimenti e codici interpretativi. Ci si confronta
infatti con mondi sociali e culture differenti.
Qualche riflessione in merito può essere condotta prendendo in considerazione
l’offerta di prodotti tipici (prodotti della cultura materiale [Santagata 2007] e, in
specie, dell’industria del gusto [Cicerchia, Federico, Altili e Barrère 2009]).
Questi prodotti sono senz’altro considerati espressione di un territorio, legati ad
aspetti fisici (naturali) e culturali peculiari. In alcuni casi il legame è molto forte: la
produzione non può essere replicata in altri luoghi senza che il prodotto perda le sue
MICHELE TAMMA
39
caratteristiche qualitative e simboliche. I caratteri distintivi sono connessi a
particolari caratteristiche geografiche che conferiscono qualità al prodotto (clima,
materie prime...), alla “storia” (insieme delle conoscenze, dei saperi, maturati nel
tempo dalla comunità e che si traducono in specifiche tecniche e pratiche di
produzione), al modo di vivere, alle tradizioni del luogo che questi prodotti
incarnano ed esprimono.
In quest’ambito un esempio è rappresentato dai Prodotti D.O. (a denominazione
d’origine), ovvero prodotti agroalimentari e vini che godono di particolari legami
con il territorio e sono tutelati a livello comunitario da precise disposizioni che ne
istituzionalizzano l’origine territoriale prevedendo controlli e certificazioni11. In
certa misura questi prodotti possono essere considerati cultural goods, in quanto il
loro “valore” deriva in misura significativa dalla dimensione immateriale, simbolica
ed esperienziale, o in altre parole, sono espressione/veicolo della cultura che li ha
generati. Se si accetta, in ipotesi, che i “legami” con il territorio conferiscono a
questi prodotti un’identità, delle qualità distintive e quindi dei plus competitivi sul
mercato, rimane comunque una questione di non poco conto: gli elementi culturali
che essi incorporano, in che misura, nella scelta e nell’esperienza di consumo, sono
riconosciuti, percepiti, apprezzati, dalla domanda, in specie quella internazionale?
Con tutti i limiti si è cominciato ad indagare il tema in occasione di una tesi di
laurea specialistica [D’Ambros 2007] che ha avuto per oggetto i rapporti tra
produttori e distributori nel mercato internazionale dei vini D.O. In particolare si è
cercato di capire se, lungo la filiera dalla produzione al consumo, le componenti
simboliche e culturali del prodotto (indicate con le frecce grigie in figura 2)
influiscono significativamente sulle scelte degli operatori (nei vari stadi) e dei
consumatori finali.
Una serie di interviste a produttori veneti e buyers internazionali ha permesso di
ottenere qualche prima - grezza - indicazione. Sinteticamente è emerso che non è
affatto scontato che le caratteristiche “peculiari di provenienza territoriale” dei
prodotti siano evidenti e comprese, ovvero riconosciute e apprezzate in forte
misura. Incidono il nome del vino e del vitigno e il marchio comunitario, ma meno
quello della cantina. Per i produttori, enfatizzare il legame con il territorio, la storia,
la cultura è considerato molto importante (la grande maggioranza degli operatori
intervistati organizza eventi - educational - per i clienti stranieri - autonomamente o
con i consorzi). Per i buyer di cui si è raccolto il giudizio, gli elementi che legano il
vino al territorio sono considerati solo mediamente importanti nel facilitare le
vendite verso i clienti finali, anche se tutti i buyer dichiarano di aver visitato i
luoghi di origine e di essere stati “formati” rispetto alle particolarità produttive,
storiche, culturali. Consci di questa difficoltà, i produttori sono attivi con azioni
promozionali rivolte al consumatore finale estero, realizzate anche in cooperazione
con la distribuzione internazionale.
11
Si distinguono: per gli agroalimentari, prodotti a denominazione d’origine (DOP) e
prodotti a indicazione geografica protetta (IGP); per i vini: vini a denominazione
d’origine controllata (DOC) e vini a denominazione d’origine controllata e garantita
(DOCG)
40
PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
Fig. 2: Filiera e componenti simboliche/culturali
Fonte: Ns. adattamento da D’Ambros I., “Il ruolo dei prodotti a denominazione d’origine
nell’export agroalimentare italiano: sinergie con il turismo enogastronomico”, Tesi di
laurea Università Ca’ Foscari Venezia, relatore M. Tamma, 12.07.2007
Pur se certamente quelle raccolte con questa limitata indagine non
rappresentano indicazioni generalizzabili e conclusive, sembra quantomeno
emergere l’evidenza di una certa difficolta nel ri-costruire presso il consumatore
estero il “contesto simbolico” che gli dovrebbe permettere di apprezzare (anche in
senso competitivo) “la differenza”.
Altre indicazioni di interesse sono emerse rispetto ad una sinergia tra
l’esportazione di vini D.O. e il turismo eno-gastronomico. Secondo gli intervistati,
circa un terzo dei consumatori esteri scelgono un particolare vino perchè ha avuto
modo di conoscerlo e apprezzarlo a seguito di un viaggio nei luoghi di origine. La
maggioranza dei produttori locali dichiara che i turisti stranieri che visitano le
cantine solo qualche volta sono già consumatori della tipicità. È opinione
largamente condivisa fra gli operatori che il turismo rafforzi l’immagine dei
prodotti e, viceversa, che i prodotti D.O. siano uno strumento per promuovere il
turismo enogastronomico (figura 3). Per il fruitore, conoscere e immergersi
direttamente nella cultura di un luogo appare una modalità solo in parte sostituibile
da altre forme di contatto e interazione e questo ci porta verso l’altra “famiglia” di
prodotti legati al territorio.
MICHELE TAMMA
41
5. .... e prodotti che portano il mondo nel territorio
L’altra modalità con cui un territorio fa conoscere ed “esporta” i propri prodotti
culturali è rappresentata dall’accoglienza di pubblici, nazionali e soprattutto
internazionali, che si spostano dai loro luoghi residenza per fruirne [Rispoli e
Tamma 1995, pp. 335-6; Rispoli 1998; Greffe 2001, p. 36; Netzer 2001, p. 51]. Il
riferimento principale, com’è noto, è l’offerta di eventi e di turismo culturale che un
determinato territorio riesce a proporre mettendo “a valore”, organizzando e
gestendo le proprie specificità. Nei casi di cui trattiamo, il prodotto è dunque
proposto/offerto nel suo luogo di origine, potendo in tal modo godere di un rapporto
“in presa diretta” con le risorse, le capacità, il contesto sociale su cui si fonda.
Questo fatto dovrebbe rendere più semplice rappresentare/veicolare gli elementi
delle cultura, esplicitare e far comprendere i significati, favorire l”immersione” dei
visitatori nell’ambiente specifico.
Fig. 3: Sinergie con il turismo eno-gastronomico
Fonte: Ns. adattamento da D’Ambros I., “Il ruolo dei prodotti a denominazione d’origine
nell’export agroalimentare italiano: sinergie con il turismo enogastronomico”, Tesi di
laurea Università Ca’ Foscari Venezia, relatore M. Tamma, 12.07.2007
Nondimeno, ed è questo che si propone si esaminare, non tutto è poi così
scontato. Come da tempo si sottolinea, la disponibilità di risorse e attrattive culturali
“forti” e inimitabili, così come la possibilità di porre a contatto diretto il pubblico
con la cultura del luogo, sono elementi che, da soli, possono risultare insufficienti.
42
PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI
Parchi, chiese e palazzi, mostre e manifestazioni, in generale la cultura locale, non
si rivelano, non si spiegano, non comunicano “da sè” e “di per sè”. È invece
necessario sia predisposto e gestito quanto permette e facilita, a chi visita il
territorio e partecipa agli eventi, l’immersione nella cultura, la scoperta e la
comprensione di significati, l’esperienza di stimoli ed emozioni nuove. La
definizione di prodotto turistico da anni affermatasi, “un’esperienza di viaggio e
soggiorno che porta a sintesi una varietà di beni, servizi, informazioni, elementi
antropici [culturali] e naturali dello [specifico] contesto ambientale12, poneva già,
pur senza articolarlo a fondo, il problema. In questa direzione, contributi più recenti
che si rifanno all’economia delle esperienze (fra gli altri: Pencarelli e Forlani 2003;
Ferrari 2007; Addis 2007) esplorano i principi e gli elementi attorno a cui proporre
un’esperienza “ricca” (polisensoriale) e coinvolgente per il visitatore. Centrale è
l’idea di una sua partecipazione attiva: si deve essere capaci di promuovere un
turismo del fare e dello sperimentare non soltanto del vedere e del contemplare.
Con riferimento in particolare al turismo culturale, perchè ciò avvenga, è forse
necessario cambiare un po’ il punto di vista con cui si guarda alla complementarietà
tra produzione culturale e produzione turistica. Da una concezione che considera
questo segmento come semplice beneficiario delle attrattive culturali realizzate e/o
conservate nel territorio (patrimonio storico, artistico - materiale e immateriale; le
tradizioni; gli eventi ...) ad una concezione che approfondisce molto di più
l’integrazione delle risorse, competenze, capacità, detenute e sviluppate dagli attori
di entrambi i comparti. In una sintesi “grezza”, non vi è qui lo spazio, si può
indicare come (quantomeno potenzialmente):
- le produzioni culturali abbiano da offrire immaginazione, esplorazione,
creatività, educazione; capacità di “raccontare”, sorprendere, emozionare.
- le produzioni turistiche abbiano da offrire capacità di “accogliere” (nel senso
ampio del termine), “accompagnare” (mobilità), comunicare; canali e reti da e
per l’estero già sviluppati.
Queste capacità, per esprimersi e poter “lavorare” insieme, devono trovare un
terreno di progettazione comune per i diversi attori [Moretti 2009]. Questo terreno
può forse essere trovato nel “content” culturale del prodotto, inteso come lo
specifico insieme di significati (storia, valori, tradizioni, nuove proposte
artistiche...) che per mezzo del prodotto turistico (“il supporto”, costituito di
strutture e servizi in grado sì di ospitare, ma anche di “narrare”, educare, divertire)
si vogliono offrire alla ricezione. È il content, infatti, che sembra configurarsi
sempre più come l’elemento core in grado di dare forza e credibilità ai prodotti
turistico-culturali, rendendoli prodotti in grado di conquistare una domanda alla
ricerca di un contatto profondo con la cultura, l’identità e le specificità del
territorio.
12
Si rinuncia a citare una delle molte fonti, in quanto questa concettualizzazione, al di là di
qualche differenza terminologica, è oramai largamente condivisa dai ricercatori degli studi
di management del turismo.
MICHELE TAMMA
43
Su questo piano possono convergere e comporsi gli interessi degli attori della
produzione culturale e della produzione turistica [Golinelli 2008, p. 205]: obiettivo
condiviso diviene la costruzione e diffusione di un messaggio forte e univoco
relativo alla cultura e alle specificità della destinazione.
6. Niente di più che una nota conclusiva
Il contenuto simbolico ed esperienziale dei prodotti appare un elemento cruciale
per il valore e la competitività dei prodotti. Come si è cercato di illustrare, senza la
costruzione e la gestione di un “contesto” adeguato, in cui domanda e offerta
possano efficacemente interagire, questa componente non può crearsi ed emergere.
Per queste ragioni i prodotti, e ciò che gli sta attorno, devono consentire diverse
forme di accesso e di “immersione”, così come essere anche “narrati”, affinchè la
cultura e i significati che incorporano e che si vogliono trasmettere divengano
maggiormente percepibili e intelleggibili.
Le risorse e le specificità di un territorio possono infatti rimanere risorse
“inanimate” [Kebir e Crevoisier 2008], non mobilitate nè valorizzate, se queste
capacità non vengono sviluppate.
Infine non è da sottavalutare la sinergia e il mutuo sostegno che si crea fra “i
prodotti che portano il territorio nel mondo” e “i prodotti che portano il mondo nel
territorio”: vi è una grande mobilità di informazioni, cose, persone, che va
considerata e messa anch’essa a valore.
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