Prodotti culturali e territori: l`immateriale che “vive” nella materialità
by user
Comments
Transcript
Prodotti culturali e territori: l`immateriale che “vive” nella materialità
Prodotti culturali e territori: l’immateriale che “vive” nella materialità MICHELE TAMMA* Abstract Il tema del rapporto tra cultura e territorio negli ultimi anni è stato oggetto di un interesse via via più forte, in relazione al fatto che la “cultura”, nella sua accezione più ampia, viene oramai generalmente riconosciuta come un risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e la competitività. Soprattutto considerata nel suo rapporto con il territorio, la cultura, immateriale, “vive” nella materialità, nel senso che si crea, si rigenera, si sedimenta nelle persone, nelle relazioni, negli artefatti, nelle istituzioni, e anche nelle organizzazioni di produzione e nei prodotti. Come un territorio “offre” cultura, ovvero la crea, la conserva, la rende fruibile? Una prospettiva che prenda le mosse dalle possibili forme dei “prodotti culturali”, e delle risorse e dei processi loro sottostanti, può fornire un contributo alla comprensione delle vie percorribili per mettere in valore identità e potenzialità che certamente non possono emergere e svilupparsi solo spontaneamente. Parole chiave: cultura, territorio, prodotto In recent years the relationship between culture and territory has been the subject of increasing interest, in relation to the fact that “culture”, in its broadest sense, is now widely recognized as a key resource for economic development and competitiveness. Especially considered in its relationship with territory, culture – immaterial - “lives” in materiality, in that it creates, regenerates, settles in people, in relationships, in artifacts, in institutions, and also in organizations and in products. How does an area “offer” culture, i.e. create it, preserve it, make it usable? A vision that builds on the possible forms of “cultural products”, and on the resources and processes that make them possible, can contribute to the understanding of viable ways to exploit potential that certainly cannot emerge and develop spontaneously. Key words: culture, territory, product * Associato di Economia e Gestione delle Imprese - Università Ca’ Foscari Venezia e-mail: [email protected] sinergie n. 82/10 28 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI 1. Cultura & territorio Il rapporto tra cultura e territorio è un tema da tempo oggetto di attenzione. Negli ultimi anni questo interesse è divenuto via via più forte, come testimoniato dall’ampia serie di approfondimenti e contributi di diverso ambito disciplinare. La “cultura”, nella sua accezione più ampia, è oramai generalmente riconosciuta come un risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e la competitività: l’evoluzione della produzione e del consumo, in direzione di un ruolo sempre più rilevante delle componenti “immateriali” nei prodotti e nei processi, ha fortemente contribuito a porre al centro i temi dello sviluppo e del sostegno della creatività così come dell’innovazione delle forme con cui la cultura può esprimersi ed essere fruita. Le radici, molto sinteticamente, si possono rintracciare in alcune “traiettorie”, tra le altre, ben note. Innanzitutto l’evoluzione dell’economia della produzione e il fenomeno della “dematerializzazione”: si crea valore certamente attraverso processi in cui “risorse materiali (macchine, risorse naturali, energia manipolatrice del lavoro) si convertono in beni materiali (prodotti finiti)” [Rullani 1992, p. 9]”, ma anche, in misura crescente, attraverso attività in cui la componente “immateriale” (conoscenza, informazione, significati, relazioni), sia dei prodotti che dei processi, risulta critica e prevalente [Di Bernardo 1992a, 1992b]. Si insiste da anni sul peso che questa componente ha nel tempo assunto in tutte le produzioni; tale fenomeno, spesso definito “dematerializzazione della produzione”, implica che la capacità di ottenere valore sia dipendente in misura sempre più significativa dalla creazione, trasferimento, condivisione di informazioni e conoscenze. “The single most important trend to understand is the changing ratio between mass and information in good and services” [Hawken 1983, p. 11], o in altre parole, “dematerialization of production, i.e., the progressive reduction of energy content per unit of value created and the progressive increase in its information content” [Devidse 1983, pp. 125-135]. Nel pensiero economico tradizionale l’informazione era vista come un costo, un’attività necessaria a sostenere altre attività (di approvvigionamento, di produzione, di vendita e distribuzione); oggi l’informazione è vista come una risorsa per creare valore [Sampler 1998, p. 345]. In secondo luogo, il riconoscimento (o la ri-scoperta) del ruolo della conoscenza nella produzione, connesso, com’è noto, allo sviluppo di tecnologie che ne hanno cambiato enormemente il “potenziale” di generazione e circolazione, ha posto in luce nuove criticità e nuovi problemi: il valore economico prodotto e la capacità di competere dipendono tanto dalla continua creazione di nuove conoscenze quanto dall’ampiezza e dalla rapidità della loro diffusione e replicazione (controllata) [Rullani 2004, pp. 224-229]. La conoscenza infatti è una risorsa sociale, non soggetta ad usi alternativi, che “libera” tutto il suo valore se viene condivisa. Essa, cioè, rende se viene trasferita per essere replicata e continuamente rigenerata in diversi usi e applicazioni. Nella “nuova” economia emergono e divengono cruciali le economie legate alla riproducibilità e alla specifica struttura dei costi (alti costi fissi- di generazione della conoscenza, bassi o addirittura nulli costi -variabili- di MICHELE TAMMA 29 riproduzione), nonché le forme di controllo dell’appropriazione dei risultati da parte dei singoli attori che vi investono denaro e lavoro (le problematiche della proprietà intellettuale, legate alla non-escludibilità, all’imitazione, alla copia). Centrale è la costruzione di contesti di interazione tra gli attori (compresi gli utilizzatori), in cui vi siano le condizioni, da un lato, per rendere possibile la connessione e la condivisione delle conoscenze (costruzione di linguaggi, significati, strutture), dall’altro, per gestirne e controllarne efficacemente il processo di socializzazione (regole e accordi) [Rullani 2000, pp. 152-154]. Infine, in anni più recenti, è via via emersa una forte attenzione al contenuto simbolico, estetico, emozionale, dei prodotti (beni e/o servizi). Emblematico è il frequente riferimento al concetto di economia delle esperienze [Pine e Gilmore 2000], in cui i consumatori, oltre agli aspetti puramente funzionali, cercano prodotti “[...] che li stupiscano, che li coinvolgano emotivamente e mentalmente, che colpiscano i loro sensi, che forniscano esperienze olistiche, uniche, memorabili [...]” [Ferrari 2006, p. XIII]. Nella stessa direzione si sottolinea come il consumo sia diventato “an activity that involves a production of meaning, as well as a field of symbolic exchanges. [Carù e Cova 2007, p. 4]”. Spostandosi solo un po’ oltre si arriva a riconoscere un “ruolo” sempre più intenso e pervasivo della cultura (intesa in senso ampio come conoscenza, esperienza, significati simbolici ed estetici) nel determinare il valore dei prodotti (anche manifatturieri) sia dal punto di vista della domanda che dell’offerta [Tamma 2006, p. 102]. In termini più radicali si sostiene stia avvenendo uno “[...] spostamento di lungo periodo dalla produzione industriale a quella culturale. Nel futuro, una quota sempre crescente di scambi economici nella forma più innovativa sarà riferibile alla commercializzazione di una vasta gamma di esperienze culturali [...]” [Rifkin 2000, p. 10]. In questo scenario, la creatività, la conoscenza, l’accesso all’informazione, si pongono come motori di un nuovo paradigma di sviluppo sociale ed economico. Al centro viene posta “una complessa interazione tra cultura, economia e tecnologia, in un mondo globalizzato e dominato da simboli, testi, suoni e immagini [UNCTADUNDP 2008]. Così i concetti e le (svariate) definizioni di “economia della creatività”, di “economia della cultura”, di “industria della creatività”, di “industria culturale”, si intrecciano, indicando insiemi di attività dai confini labili e permeabili, in cui le risorse, i processi, i prodotti, sono sempre più interessati da interrelazioni, co-evoluzione, complementarietà. Passando a considerare il “territorio”, o meglio il binomio cultura-territorio, si può partire da un’osservazione semplice: la cultura stessa non è concepibile senza il riferimento ad un luogo (e ad un tempo), ovvero “c’è sempre una relazione tra un posto qualsiasi nel mondo e la cultura che vi produce” [Grossi 2008, p. 15]. Al di là di assunzioni quasi implicite, il dibattito, in letteratura ma anche nelle politiche, si è sviluppato attorno a due tematiche fondamentali che poi, di fatto, hanno finito per incrociarsi. Esse, in termini molto sintetici1, attengono: a) alla tutela, conservazione 1 Per cogliere il tema nella sua articolazione e profondità si può fare riferimento ad una letteratura internazionale veramente vasta. Tra i contributi italiani si vedano Sacco e 30 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI e - soprattutto - valorizzazione del patrimonio artistico e culturale (tangibile e intangibile), che sempre si ripete essere in Italia senza eguali; b) all’adozione/promozione di un modello di sviluppo economico-sociale fondato sulla cultura e sulla creatività. In entrambe le direzioni i riferimenti concettuali principali sono senz’altro cluster e distretti, ovvero forme organizzative socioeconomico-territoriali [Cinti 2007, p. 11] in cui cooperazione, reti, sistemi-costellazioni del valore trovano declinazione in uno specifico territorio (contesto). “Protagonisti (dello sviluppo) e della competizione artistica e culturale non sono più i soggetti singoli, individuali, ma le macro-organizzazioni complesse definite dalla compresenza di attori economici e non economici, pubblici e privati, contestualizzati in luoghi ad alta concentrazione di risorse artistiche, culturali, umane e ambientali” [Lazzeretti 2007, p. 9]. I sistemi territoriali, con le loro risorse specifiche e peculiari (naturali, culturali, sociali, economico-produttive), sono posti come unità di analisi ma anche come unità competitive: “I territori, siano essi quartieri, città o regioni, diventano così essi stessi soggetti attivi dell’arena competitiva, promuovendo la messa a punto di idonee strategie e modelli di sviluppo e di governance che coinvolgono imprese, istituzioni, organizzazioni non-profit e comunità locali” [Lazzeretti ibidem]. Non è certamente negli scopi di questo lavoro ricostruire e approfondire il corposo insieme di sviluppi teorici che si sono nel tempo accumulati in merito alle categorie di cluster e distretto, sia in generale che con riferimento specifico alla produzione culturale (si è già fatto cenno alla vasta letteratura specialistica disponibile). È utile però ricordare che nell’esperienza statunitense, europea, italiana, la riflessione ha assunto connotati in parte diversi. In particolare, per ciò che concerne i contenuti e le tipologie delle attività (sia di produzione che di consumo) svolte nei sistemi locali, vengono variamente considerate attività artistico-culturali in senso stretto (performing arts, biblioteche, ecc.), le industrie culturali (media, cinema, musica), le produzioni tipiche del territorio [Cinti 2007, p. 48]. Ciò evidentemente conduce a focalizzare in modo diverso l’attenzione su istituzioni, organizzazioni e imprese che incorporano in modo differente la “cultura e i beni artistici” nei loro processi di produzione e/o di erogazione. Per alcune, infatti, la produzione/fruizione dell’esperienza culturale è l’obbiettivo primario della propria attività; per altre la cultura è la fonte per generare prodotti con una forte identità e/o innovativi, grazie alla disponibilità di risorse idiosincratiche (difficilmente imitabili) e al liberarsi di processi creativi [si veda Franch in questo stesso numero della rivista]. La questione più rilevante tuttavia non è comprendere quali attività sia corretto includere/escludere, quanto piuttosto trovare forme efficaci di integrazione. Come sostengono Sacco e Pedrini [2003, p. 184] “Il distretto culturale acquista valore e significato nella misura in cui diventa un modulo produttivo che deve la sua specificità non tanto al fatto di creare valore di per sé, quanto alla capacità di Pedrini 2003; Moretti e Grandinetti 2004; Cinti 2007; Santagata 2007; Sacco 2008; Sedita e Paiola 2009. MICHELE TAMMA 31 integrarsi di volta in volta con altri settori del sistema locale dando luogo a sinergie innovative altrimenti irrealizzabili”. La cultura, in questa visione, “svolge il ruolo di agente sinergico, che fornisce agli [altri] attori del sistema [produttivo] contenuti, strumenti, pratiche creative, valore aggiunto in termini di valore simbolico e identitario” [Sacco 2008, p. 78]. In conclusione, nell’insieme dei contributi attorno al binomio cultura-territorio si riscontra la tendenza ad adottare una nozione a “banda larga” di cultura e di produzione culturale (si fa riferimento anche ai concetti di produzioni culture-based e di sviluppo culture-driven), così come ad indagare e approfondire questo rapporto con diversi strumenti concettuali e da diversi punti di vista, più complementari che alternativi. In termini che ci avvicinano alla prospettiva economico-manageriale, le questioni cruciali possono essere espresse attraverso due quesiti: “come” un territorio produce e offre cultura, ovvero come la crea, la conserva, la diffonde, la rende fruibile? Chi produce e chi consuma cultura, quale rapporto ha con un determinato e specifico territorio? 2. L’immateriale che vive nella materialità Il titolo del paragrafo è provocatorio. Se in letteratura si è molto insistito sulla dimensione “immateriale”, critica e prevalente nei prodotti e nei processi della cultura, non si può dimenticare che l’immaterialità ha bisogno della materialità. “Il sapere, la sensibilità e le esperienze che ispirano la cultura non sono realtà astratte e disincarnate, esistono delle condizioni concrete e materiali nelle quali nascono e si sviluppano [...] la produzione di cultura va contestualizzata, Non può essere considerata una operazione astratta che nasce nel vuoto [Grossi 2008, pp. 15-16].” Soprattutto considerata nel suo rapporto con il territorio, la cultura, immateriale, “vive” nella materialità, nel senso che si crea, si sedimenta, si rigenera, nelle persone, nelle relazioni, negli artefatti, nelle istituzioni, e anche nelle organizzazioni di produzione e nei prodotti. Ciò implica anche che in ogni contesto territoriale specifico sono i comportamenti, le decisioni, le azioni dei diversi soggetti che ne fanno parte a creare le condizioni perché si possano sviluppare, mobilitare, indirizzare, organizzare, le risorse necessarie ad offrire a differenti “pubblici”, paganti o meno, “espressioni culturali” concrete, ovvero prodotti (beni e/o servizi che siano). Si vuole, in definitiva, sostenere un cosa ovvia ma che è comunque bene ricordare: non è più molto utile discutere degli aspetti materiali piuttosto che di quelli immateriali o viceversa, quanto invece concentrarsi sul loro inscindibile rapporto, in cui una componente non esiste senza l’altra. La produzione culturale (densa di contenuti simbolici ed estetici, di emozioni, di esperienze) vive di supporti e strutture fisiche, di risorse umane, di organizzazione, di investimenti; in “luoghi” caratterizzati da una storia, da una posizione geografica, da una vita sociale particolari [Currid 2007, pp. 1-16]. 32 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI In questo senso è particolarmente utile, a parere di chi scrive, la prospettiva offerta da un corpo di studi della sociologia della cultura che si è affermato con la denominazione di “production of culture perspective” [Peterson 1994, Crane 1992, Griswold 1997]. Questa prospettiva si concentra sui “processi attraverso cui elementi specifici di cultura sono prodotti in quei contesti sociali in cui la produzione di simboli è consapevolmente al centro dell’azione [...] Lungi dal rappresentare semplicemente il prodotto “naturale” di un qualche contesto sociale, la cultura - e in particolare gli oggetti culturali che la costituiscono - diventa così l’esito di complessi processi di produzione, distribuzione, commercializzazione, ricezione ed interpretazione che coinvolgono in modo differenziato una vasta gamma di soggetti e di organizzazioni” [Santoro 1995, pp. 20-21]. Per “elementi specifici di cultura” vengono dunque intesi gli “oggetti culturali”, espressioni simboliche concrete che incorporano e trasmettono, nelle più diverse forme materiali e immateriali, significati. Con le parole di Griswold [1997, p. 26], un oggetto culturale “può definirsi un significato condiviso incorporato in una forma [...] un’espressione significativa (simbolica) che è udibile, o visibile, o tangibile, o che può essere articolata. Un oggetto culturale, inoltre, racconta una storia, e quella storia può essere cantata, recitata, scolpita, pubblicata o dipinta sul corpo”. Ai nostri fini, di particolare rilievo sono: a) l’idea che il significato (connesso alla genesi creativa, alla concezione) trova realizzazione in un oggetto culturale che ne diviene, al tempo stesso, la forma espressiva concreta e il supporto/veicolo di trasmissione e socializzazione; b) l’idea che un oggetto culturale è un’espressione culturale concreta diretta ad un “pubblico”, recettore di significati - complessi - che vengono per tale via diffusi e socializzati. Senza l’attività di “ricezione” operata dal pubblico l’oggetto culturale non esiste. Con riferimento ai “contesti sociali” in cui la cultura si produce, la prospettiva citata indaga sui processi di creazione, commercializzazione, distribuzione, promozione, valutazione e consumo di oggetti culturali e sui loro protagonisti [Peterson 1976, p. 672]. Certamente, tra quest’ultimi, in primo piano vi sono le diverse organizzazioni partecipi delle filiere-costellazioni di produzione di cultura. È oramai ampiamente diffusa l’idea che i prodotti culturali sono frutto dell’operare in sistema di molteplici attori. Già Hirsch [1972] definiva le industrie culturali come sistemi di organizzazioni che mediano (intermediano) il flusso di prodotti culturali fra i produttori (i creativi) e i consumatori (i pubblici). Pur nella varietà di fattispecie, il sistema di produzione culturale può essere rappresentato in modo generale attraverso l’individuazione di un processo composto di una serie di fasi, che “[...] si avvicendano, dilatandosi o contraendosi, a seconda dei casi [Santagata 2001, p. 11]”, e di un insieme di attori, diversamente specializzati, che le presidiano2. Ogni organizzazione opera “immersa” in un tessuto di connessioni e di relazioni [Tamma 2000, pp. 55-56] che ha come protagonisti gli attori che, a scala 2 Nelle schematizzazioni proposte [tra gli altri Griswold 1997, p. 109; Santagata 2001, pp. 11-20] spesso si trovano, variamente “fuse”, la mappatura delle attività del processo e la mappatura dei soggetti che vi prendono parte. MICHELE TAMMA 33 globale e locale, insieme formano e costituiscono la costellazione che da vita ai processi di creazione del valore. Riassumendo, la “production of culture perspective” adotta una visione decisamente relazionale della produzione della cultura. Oggetto di indagine sono le risorse, i processi, gli attori, le condizioni - e le loro reciproche relazioni - attraverso cui i simboli culturali vengono prodotti, distribuiti, recepiti e valutati. Questa visione appare coerente con gli approcci di ricerca delle discipline economiche e, in particolare, manageriali. Nelle prossime pagine si approfondirà il rapporto tra i prodotti culturali e il territorio - quest’ultimo inteso come contesto specifico in cui i processi di produzione, diffusione, fruizione avvengono e ne sono caratterizzati dapprima proponendo un modello descrittivo di prodotto culturale, in seguito approfondendo due “tipi” di prodotto contrassegnati da un diverso grado di mobilità e replicabilità degli elementi su cui si fondano. 3. Prodotti culturali: contenuto, supporto, contesto Il concetto di “oggetto culturale” adottato dalla production of culture perspective - forma espressiva concreta e, insieme, supporto/veicolo di trasmissione e socializzazione verso un “pubblico” recettore e co-produttore di significati - ben si presta a fornire una base per una definizione, quantomeno funzionale, di prodotto culturale. Risulta inoltre piuttosto “vicino” e rapportabile al concetto di prodotto quale medium di relazione fra attori (della produzione e del consumo) proposto da Rispoli e Tamma nel 1992 nelle pagine di questa stessa rivista. Inteso quale medium, il prodotto (bene e/o servizio) è ciò che consente di connettere i fini, gli obiettivi, le risorse e le attività dei diversi attori che interagiscono nella sua produzione/ricezione. In questa impostazione, elemento costitutivo del concetto di prodotto non è dunque la sua “forma” (che nelle diverse fattispecie può variare nelle componenti tangibili e intangibili, tecnologiche, organizzative) ma il “ruolo” che svolge entro uno specifico contesto di relazione tra attori. Spostandosi quindi dalla prospettiva sociologica a quella manageriale, un “oggetto culturale”, creato o valorizzato (valorizzato se già esistente), può essere definito uno specifico prodotto culturale, con un altrettanto specifico valore economico, solo se “collocato” in un contesto di relazione in cui sono determinati gli attori, i significati, le risorse, i bisogni da soddisfare (com’è ovvio intesi in una accezione ampia), cui corrispondono l’uso e/o l’esperienza offerti agli utilizzatori3. È quindi in un contesto determinato e specifico che diventa compiuto il processo di 3 Condizione necessaria è la presenza di almeno due attori (uno di domanda) che impiegano risorse e “dividono il lavoro” richiesto dal processo di creazione del valore in base ai propri obbiettivi, capacità e convenienze. Non sono invece necessari il requisito della materialità e l’esistenza di uno scambio “oneroso” di mercato, mentre deve essere presente il fine della soddisfazione di un bisogno (è evidente, quindi, come rilevino sia situazioni in cui vi è una clientela che paga un prezzo, sia situazioni in cui vi è un pubblico che non corrisponde direttamente la controprestazione) [Tamma 2006]. 34 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI generazione di significati e di valore (“sense-making”); contesto che è costruito insieme dagli attori dell’offerta e della domanda: “il produttore deve costruire insieme ai possibili utilizzatori delle sue conoscenze “un mondo in cui queste acquistino valore” [Rullani 2006, p. 54]. Adottato questo concetto di prodotto culturale, si propone un modello analiticodescrittivo che può contribuire a cogliere le componenti, le caratteristiche, gli attributi, che incidono sulle sue problematiche di produzione, distribuzione/diffusione, ricezione [Tamma e Curtolo 2009]. A fini analitici, il prodotto culturale può essere pensato come composto di due elementi: il content e il supporto. Con il primo si coglie l’insieme di significati che animano la proposta culturale (core del prodotto); con il secondo la forma (materiale e/o immateriale) che permette di esprimerli e comunicarli4 (figura 1). “L’arte [...] per essere goduta richiede che l’idea sia tradotta, o fissata, in un medium. Questo può essere un bene materiale - libro, disco, tela, pietra, pellicola oppure un bene immateriale - come un concerto sinfonico, una rappresentazione teatrale, frutto della combinazione di attività organizzative e di fattori produttivi [Santagata 2007, p. 28]”. Fig. 1: Prodotto culturale: contenuto, supporto, contesto Fonte: Ns. adattamento da Tamma, Curtolo 2009 4 È bene ribadire che si tratta di un modello, in quanto content e supporto costituiscono un intreccio, un tutt’uno, separabili solo a fine descrittivo. Si è utilizzato nelle figura il simbolo “taiji” proprio per evocare (senza troppe pretese) l’idea che in un prodotto culturale content e supporto (come yin e yang) sono interdipendenti, coesistono in costante dialettica e non in modo meramente additivo. Sono quindi due elementi entrambi costitutivi, che si generano e rigenerano reciprocamente: l’uno non esiste senza l’altro. MICHELE TAMMA 35 In determinati casi content e supporto possono essere in qualche misura distinti e separati, come nell’esempio di un brano musicale che viene ascoltato in un concerto dal vivo, ma anche trasmesso in streaming via Web, oppure, ancora, la cui registrazione viene resa ulteriormente accessibile per mezzo di un CD. In altri ciò è difficile quando non impossibile (come, ad esempio, nel caso di un dipinto, di una scultura). Ancora si pensi ai prodotti del settore delle performing arts: un’opera teatrale può nel tempo dare luogo a molteplici produzioni, diverse per la regia e per l’interpretazione; una stessa produzione inoltre può essere replicata molte volte in “contenitori” e contesti differenti. È piuttosto evidente che il supporto (in questo caso, il complesso costituito dalla regia, dagli interpreti, dalle strutture, dal pubblico) permette di esprimere e comunicare il contenuto molte volte e in luoghi e tempi diversi; ma è altrettanto evidente come il supporto incida significativamente sui prodotti realizzati e fruiti (le singole rappresentazioni, mai esattamente replicabili, oppure, per scelta, volutamente diverse). Al di là delle varie fattispecie, ragionare in termini di content e supporto, del loro intreccio e combinazione, aiuta a proiettare lo spazio di possibilità di generazione di prodotti differenziati che combinano le risorse e i significati culturali con i diversi mezzi di espressione e diffusione a disposizione. La produzione culturale infatti si alimenta continuamente di citazioni, rinvii, reinterpretazioni di contenuti (si realizzano nuovi prodotti impiegando altri prodotti culturali o parte di questi), così come di una gamma di offerta che mette a frutto diversi mezzi (supporti) di dialogo e interazione con i ricettori (i pubblici). I diversi supporti possono infatti creare condizioni molto differenti per l’accessibilità e l’interazione, cosa che incide non soltanto sulla fruibilità e sulla diffusione dei contenuti, ma anche sulla loro creazione e rigenerazione5. La visione proposta è utile anche in quanto consente di conciliare e combinare gli apporti delle due principali prospettive di analisi economico-produttiva dei prodotti culturali: quella che fa riferimento ai prodotti della informazioneconoscenza6 e quella che si rifà a teorie e studi sul management dei servizi (campo di studi oramai vasto e ben noto). La prima, associabile più direttamente ai prodotti mediali (editoria, musica registrata, cinema, televisione, radio, ecc.), distinguendo tra content e supporto approfondisce le questioni tecnico-economiche legate alla riproducibilità e alla specifica struttura dei costi (alti costi fissi di generazione dell’opera, bassi o addirittura nulli costi di riproduzione), nonché le problematiche della proprietà intellettuale connesse alla riproduzione e imitazione. La seconda, più vicina alle produzioni “a contatto diretto con il pubblico” quali le perfoming arts e gli eventi, analizza i temi dell’organizzazione del “delivery”, ovvero della gestione del servicescape, dell’interazione con il consumatore, del ruolo del personale di contatto, ecc. Gli studi di service management, da anni 5 6 Per una interessante analisi dell’innovazione nelle produzioni culturali focalizzata sul rapporto con il fruitore si veda Calcagno 2009. Fondamentale il contributo di Shapiro e Varian 1999. 36 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI sviluppati ponendo al centro le questioni dell’immaterialità, delle relazioni, delle condizioni di contesto, forniscono molto “materiale” consistente per approfondire, anche in chiave progettuale, caratteristiche e attributi dei prodotti culturali. Lo schema comprende, oltre al prodotto culturale, una sintetica rappresentazione del processo di produzione-riproduzione-diffusione, da un lato, e di fruizionericezione, dall’altro. Viene evidenziato come il processo di produzione-riproduzione-diffusione impieghi sia input creativi (risorse culturali e creatività) che input non-culturali di tipo tecnico e manageriale (“humdrum input” [Caves 2000, p. 4]). Viene anche posto l’accento sul fatto che gli input vengono utilizzati e valorizzati (in diversi modi e con diversa resa) attraverso la mediazione della dotazione di saperi, tecnologie, strutture, capacità organizzative di cui l’offerta (un attore, una retecostellazione di attori) può disporre o che è comunque in grado di acquisire/mobilitare7. Il processo di ricezione, altrettanto costituivo del prodotto culturale, ha ovviamente come protagonista il fruitore (il pubblico). Incidono sulla “ricezione”8, tra gli altri fattori, le conoscenze, le esperienze estetiche precedenti, la familiarità con il mondo dell’arte e della cultura9, che i diversi pubblici possono portare in dote (first time visitors vs frequentatori abituali). Inoltre, come già da tempo segnalato dalla letteratura sul management dei servizi, l’esperienza complessiva vissuta dall’utilizzatore è molto condizionata dalla qualità dell’interazione con le strutture e i supporti (fisici e non) che consentono l’accessibilità e la fruizione. Infine il modello colloca prodotti e processi in un determinato “contesto” (locale e globale). In questa sede preme segnalare, tra le altre, due ragioni. La prima è connessa all’ampiamente riconosciuto e indagato legame tra cultura e società. “Sia gli oggetti culturali sia la gente che li crea e li riceve non operano nel vuoto, ma sono ancorati ad un determinato contesto. Possiamo chiamare quest’ultimo il mondo sociale, espressione con cui intendiamo i modelli e i bisogni economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un particolare punto nel tempo [Griswold 1997, p. 30]”. La cultura è produzione di significati: “gli oggetti culturali sono significativi per gli esseri umani che vivono in un [determinato] mondo sociale; a sua volta il mondo sociale, altrimenti caotico e casuale, ha significato grazie alle lenti culturali con cui la gente lo guarda [Griswold, ibidem, p. 67]”. La relazione locale-globale (in entrambe le direzioni) implica un rapporto tra mondi sociali, culture, significati, differenti. Le risorse e i prodotti culturali non hanno il medesimo “valore” in tutti i contesti, così come il contatto e l’interazione 7 8 9 “[...] non ci si avvede che fra l’oggetto d’arte antica - e altresì contemporanea -, fra il documento storico, fra i beni culturali e il pubblico, necessita, perchè il valore adeguatamente si manifesti e ad utilità di molti, la mediazione di un’organizzazione che trasformi lo stock in servizio culturale”. [Montella 2008, p. 15]. Sul concetto di ricezione si veda tra gli altri Gadamer [1989], Dupuis [1981]. Si veda il concetto di capitale umano come sviluppato da Becker [1975] e Becker e Stigler [1977]. MICHELE TAMMA 37 tra “modi” di produrre e di consumare diversi è tutt’altro che privo di conseguenze rispetto ai problemi economici e manageriali da affrontare. La seconda ragione, legata al tema del presente lavoro, è collocare i diversi attori coinvolti nei processi di produzione/ricezione dei prodotti culturali nel sistema territoriale specifico in cui operano e di cui divengono parte traendo risorse e producendo valore. È in tal modo possibile tenere conto delle diverse condizioni, assetti e dinamiche che in un determinato territorio rendono possibile e governano la produzione culturale. Grandinetti e Moretti, nel loro lavoro del 2004, riconoscono un contributo fondativo per l’interpretazione del valore delle produzioni artistiche e culturali nei contesti territoriali a tre chiavi di lettura: il vantaggio competitivo delle nazioni e dei contesti locali; la produzione di valore attraverso la cooperazione tra attori e nelle reti; i processi di creazione e di trasferimento delle conoscenze nell’ambito dei contesti territoriali10. Rinviando alla copiosa letteratura nazionale e internazionale, è qui di maggiore interesse focalizzare in modo più diretto il rapporto tra i prodotti culturali e il patrimonio di risorse che ogni territorio ha nel tempo accumulato e ne costituisce l’identità. Come rappresentato nello schema della figura 1, tanto i processi di produzioneriproduzione-diffusione che i processi di ricezione avvengono in contesti specifici. La linea tratteggiata segnala come tali contesti possano essere il medesimo o differire (in sostanza vi sono casi in cui produzione e ricezione hanno luogo nello stesso sistema territoriale e casi in cui hanno luogo in sistemi territoriali differenti). Ogni particolare contesto può presentare una diversa dotazione di risorse, sia in quantità che in qualità, e ciò soprattutto rispetto a quelle che vengono definite risorse “peculiari e idiosincratiche”. Quanto gli input, i saperi, le tecnologie, le strutture, l’organizzazione, ma anche i processi di ricezione, sono “legati” al territorio specifico, ovvero perdono significato e valore se imitati/replicati in altri territori? Ma anche, in che misura i diversi elementi che intervengono nella realizzazione di un prodotto culturale possono essere “sganciati” (astratti/estratti) dal proprio contesto per essere trasferiti, ricombinati in altri contesti? Al di là dei problemi logistici, ci si deve in definitiva chiedere se e quanto sia possibile replicare e/o trasferire (sia nel senso di esportare che di importare) il “contesto d’esperienza” che assegna senso e valore ai prodotti ed, evidentemente, trarne le conseguenze in termini di forme, strategie, strumenti di gestione. I temi di ricerca che si possono ricondurre ai problemi sollevati sono, a parere di chi scrive, interessanti ma anche piuttosto vasti. Nelle pagine seguenti si propongono solo alcune considerazioni rispetto a quelli che possiamo qui definire “prodotti che portano il territorio nel mondo” - ovvero prodotti che, concepiti e realizzati grazie alle caratteristiche e alla dotazione di risorse peculiari di un sistema territoriale, sono poi “esportati” e fruiti in altri contesti - e “prodotti che portano il mondo nel territorio” - prodotti che invece, per essere vissuti ed esperiti, 10 Questi sviluppi teorici costituiscono anche, in larga parte, la base della ricerca su cluster e distretti cui si è fatto cenno nel primo paragrafo. 38 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI comportano lo spostamento e “l’immersione” del consumatore (del pubblico) nel contesto specifico in cui originano e si concretizzano (ovvero “importano” fruitori). A tal fine si prendono in considerazione insieme, con un po’ di libertà, diverse forme di prodotto che si fondano sulla cultura e la incorporano: da prodotti culturali (in un’accezione stretta), a “prodotti della cultura” o culture-based [Cinti 2007, pp. 42-45; Sedita 2009, pp. 24-27]. 4. Prodotti che portano il territorio nel mondo .... Come un territorio esporta la propria cultura (e importa quella di altri luoghi)? In una varietà di modi così ampia da essere probabilmente impossibile da definire (se non in termini generici). Il “movimento” di cose, persone, informazioni, è sempre stato incessante e odiernamente, si ripete sempre, lo è in misura sempre più forte e globale. Più limitatamente, quindi, ci si chiede qui attraverso quali forme di prodotto un territorio diffonda e metta a valore le proprie risorse e capacità specifiche (tema comunque ancora vasto). Nel mondo delle produzioni culturali si cedono e si trasferiscono beni e diritti d’uso/riproduzione di testi, suoni e immagini. Tipicamente sono i prodotti mediali ad essere replicati e diffusi: come si è visto la natura della relazione tra content e supporto lo consente. Ma anche i prodotti caratterizzati dalla “simultaneità tra produzione ed erogazione” e dalla “presenza fisica del pubblico”, tipici delle performing arts, godono di “mobilità” (con condizioni e strutture di costo diverse dai precedenti). Le produzioni (spettacoli teatrali, concerti) vengono infatti replicate in città, regioni, paesi diversi (tournée), dovendo tuttavia contare sulla ricostruzione “dell’ambiente di erogazione” che costituisce, ad un tempo, il supporto di espressione dei contenuti e il supporto di interazione con il pubblico. Passando ai prodotti che possiamo definire culture-based (produzioni tipiche, made in Italy [Fortis 1998, pp. 12-17]), certamente la fisicità del prodotto che incorpora la cultura, i saperi, la tradizione, specifici del territorio di origine, costituisce il “veicolo” per il trasferimento in altri contesti di fruizione. Al di là delle ovvie differenze, vi è un problema che accomuna queste diverse forme: quanto si mantengono “intatte” le componenti distintive, e in specie quelle simboliche, allorchè i prodotti lasciano il territorio di origine per essere esperiti in altri luoghi? La comprensione di quanto viene offerto, e il valore che gli viene attribuito, dipende dalla costruzione/ricostruzione del contesto che contribuisce a conferire significato, fornendo riferimenti e codici interpretativi. Ci si confronta infatti con mondi sociali e culture differenti. Qualche riflessione in merito può essere condotta prendendo in considerazione l’offerta di prodotti tipici (prodotti della cultura materiale [Santagata 2007] e, in specie, dell’industria del gusto [Cicerchia, Federico, Altili e Barrère 2009]). Questi prodotti sono senz’altro considerati espressione di un territorio, legati ad aspetti fisici (naturali) e culturali peculiari. In alcuni casi il legame è molto forte: la produzione non può essere replicata in altri luoghi senza che il prodotto perda le sue MICHELE TAMMA 39 caratteristiche qualitative e simboliche. I caratteri distintivi sono connessi a particolari caratteristiche geografiche che conferiscono qualità al prodotto (clima, materie prime...), alla “storia” (insieme delle conoscenze, dei saperi, maturati nel tempo dalla comunità e che si traducono in specifiche tecniche e pratiche di produzione), al modo di vivere, alle tradizioni del luogo che questi prodotti incarnano ed esprimono. In quest’ambito un esempio è rappresentato dai Prodotti D.O. (a denominazione d’origine), ovvero prodotti agroalimentari e vini che godono di particolari legami con il territorio e sono tutelati a livello comunitario da precise disposizioni che ne istituzionalizzano l’origine territoriale prevedendo controlli e certificazioni11. In certa misura questi prodotti possono essere considerati cultural goods, in quanto il loro “valore” deriva in misura significativa dalla dimensione immateriale, simbolica ed esperienziale, o in altre parole, sono espressione/veicolo della cultura che li ha generati. Se si accetta, in ipotesi, che i “legami” con il territorio conferiscono a questi prodotti un’identità, delle qualità distintive e quindi dei plus competitivi sul mercato, rimane comunque una questione di non poco conto: gli elementi culturali che essi incorporano, in che misura, nella scelta e nell’esperienza di consumo, sono riconosciuti, percepiti, apprezzati, dalla domanda, in specie quella internazionale? Con tutti i limiti si è cominciato ad indagare il tema in occasione di una tesi di laurea specialistica [D’Ambros 2007] che ha avuto per oggetto i rapporti tra produttori e distributori nel mercato internazionale dei vini D.O. In particolare si è cercato di capire se, lungo la filiera dalla produzione al consumo, le componenti simboliche e culturali del prodotto (indicate con le frecce grigie in figura 2) influiscono significativamente sulle scelte degli operatori (nei vari stadi) e dei consumatori finali. Una serie di interviste a produttori veneti e buyers internazionali ha permesso di ottenere qualche prima - grezza - indicazione. Sinteticamente è emerso che non è affatto scontato che le caratteristiche “peculiari di provenienza territoriale” dei prodotti siano evidenti e comprese, ovvero riconosciute e apprezzate in forte misura. Incidono il nome del vino e del vitigno e il marchio comunitario, ma meno quello della cantina. Per i produttori, enfatizzare il legame con il territorio, la storia, la cultura è considerato molto importante (la grande maggioranza degli operatori intervistati organizza eventi - educational - per i clienti stranieri - autonomamente o con i consorzi). Per i buyer di cui si è raccolto il giudizio, gli elementi che legano il vino al territorio sono considerati solo mediamente importanti nel facilitare le vendite verso i clienti finali, anche se tutti i buyer dichiarano di aver visitato i luoghi di origine e di essere stati “formati” rispetto alle particolarità produttive, storiche, culturali. Consci di questa difficoltà, i produttori sono attivi con azioni promozionali rivolte al consumatore finale estero, realizzate anche in cooperazione con la distribuzione internazionale. 11 Si distinguono: per gli agroalimentari, prodotti a denominazione d’origine (DOP) e prodotti a indicazione geografica protetta (IGP); per i vini: vini a denominazione d’origine controllata (DOC) e vini a denominazione d’origine controllata e garantita (DOCG) 40 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI Fig. 2: Filiera e componenti simboliche/culturali Fonte: Ns. adattamento da D’Ambros I., “Il ruolo dei prodotti a denominazione d’origine nell’export agroalimentare italiano: sinergie con il turismo enogastronomico”, Tesi di laurea Università Ca’ Foscari Venezia, relatore M. Tamma, 12.07.2007 Pur se certamente quelle raccolte con questa limitata indagine non rappresentano indicazioni generalizzabili e conclusive, sembra quantomeno emergere l’evidenza di una certa difficolta nel ri-costruire presso il consumatore estero il “contesto simbolico” che gli dovrebbe permettere di apprezzare (anche in senso competitivo) “la differenza”. Altre indicazioni di interesse sono emerse rispetto ad una sinergia tra l’esportazione di vini D.O. e il turismo eno-gastronomico. Secondo gli intervistati, circa un terzo dei consumatori esteri scelgono un particolare vino perchè ha avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo a seguito di un viaggio nei luoghi di origine. La maggioranza dei produttori locali dichiara che i turisti stranieri che visitano le cantine solo qualche volta sono già consumatori della tipicità. È opinione largamente condivisa fra gli operatori che il turismo rafforzi l’immagine dei prodotti e, viceversa, che i prodotti D.O. siano uno strumento per promuovere il turismo enogastronomico (figura 3). Per il fruitore, conoscere e immergersi direttamente nella cultura di un luogo appare una modalità solo in parte sostituibile da altre forme di contatto e interazione e questo ci porta verso l’altra “famiglia” di prodotti legati al territorio. MICHELE TAMMA 41 5. .... e prodotti che portano il mondo nel territorio L’altra modalità con cui un territorio fa conoscere ed “esporta” i propri prodotti culturali è rappresentata dall’accoglienza di pubblici, nazionali e soprattutto internazionali, che si spostano dai loro luoghi residenza per fruirne [Rispoli e Tamma 1995, pp. 335-6; Rispoli 1998; Greffe 2001, p. 36; Netzer 2001, p. 51]. Il riferimento principale, com’è noto, è l’offerta di eventi e di turismo culturale che un determinato territorio riesce a proporre mettendo “a valore”, organizzando e gestendo le proprie specificità. Nei casi di cui trattiamo, il prodotto è dunque proposto/offerto nel suo luogo di origine, potendo in tal modo godere di un rapporto “in presa diretta” con le risorse, le capacità, il contesto sociale su cui si fonda. Questo fatto dovrebbe rendere più semplice rappresentare/veicolare gli elementi delle cultura, esplicitare e far comprendere i significati, favorire l”immersione” dei visitatori nell’ambiente specifico. Fig. 3: Sinergie con il turismo eno-gastronomico Fonte: Ns. adattamento da D’Ambros I., “Il ruolo dei prodotti a denominazione d’origine nell’export agroalimentare italiano: sinergie con il turismo enogastronomico”, Tesi di laurea Università Ca’ Foscari Venezia, relatore M. Tamma, 12.07.2007 Nondimeno, ed è questo che si propone si esaminare, non tutto è poi così scontato. Come da tempo si sottolinea, la disponibilità di risorse e attrattive culturali “forti” e inimitabili, così come la possibilità di porre a contatto diretto il pubblico con la cultura del luogo, sono elementi che, da soli, possono risultare insufficienti. 42 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI Parchi, chiese e palazzi, mostre e manifestazioni, in generale la cultura locale, non si rivelano, non si spiegano, non comunicano “da sè” e “di per sè”. È invece necessario sia predisposto e gestito quanto permette e facilita, a chi visita il territorio e partecipa agli eventi, l’immersione nella cultura, la scoperta e la comprensione di significati, l’esperienza di stimoli ed emozioni nuove. La definizione di prodotto turistico da anni affermatasi, “un’esperienza di viaggio e soggiorno che porta a sintesi una varietà di beni, servizi, informazioni, elementi antropici [culturali] e naturali dello [specifico] contesto ambientale12, poneva già, pur senza articolarlo a fondo, il problema. In questa direzione, contributi più recenti che si rifanno all’economia delle esperienze (fra gli altri: Pencarelli e Forlani 2003; Ferrari 2007; Addis 2007) esplorano i principi e gli elementi attorno a cui proporre un’esperienza “ricca” (polisensoriale) e coinvolgente per il visitatore. Centrale è l’idea di una sua partecipazione attiva: si deve essere capaci di promuovere un turismo del fare e dello sperimentare non soltanto del vedere e del contemplare. Con riferimento in particolare al turismo culturale, perchè ciò avvenga, è forse necessario cambiare un po’ il punto di vista con cui si guarda alla complementarietà tra produzione culturale e produzione turistica. Da una concezione che considera questo segmento come semplice beneficiario delle attrattive culturali realizzate e/o conservate nel territorio (patrimonio storico, artistico - materiale e immateriale; le tradizioni; gli eventi ...) ad una concezione che approfondisce molto di più l’integrazione delle risorse, competenze, capacità, detenute e sviluppate dagli attori di entrambi i comparti. In una sintesi “grezza”, non vi è qui lo spazio, si può indicare come (quantomeno potenzialmente): - le produzioni culturali abbiano da offrire immaginazione, esplorazione, creatività, educazione; capacità di “raccontare”, sorprendere, emozionare. - le produzioni turistiche abbiano da offrire capacità di “accogliere” (nel senso ampio del termine), “accompagnare” (mobilità), comunicare; canali e reti da e per l’estero già sviluppati. Queste capacità, per esprimersi e poter “lavorare” insieme, devono trovare un terreno di progettazione comune per i diversi attori [Moretti 2009]. Questo terreno può forse essere trovato nel “content” culturale del prodotto, inteso come lo specifico insieme di significati (storia, valori, tradizioni, nuove proposte artistiche...) che per mezzo del prodotto turistico (“il supporto”, costituito di strutture e servizi in grado sì di ospitare, ma anche di “narrare”, educare, divertire) si vogliono offrire alla ricezione. È il content, infatti, che sembra configurarsi sempre più come l’elemento core in grado di dare forza e credibilità ai prodotti turistico-culturali, rendendoli prodotti in grado di conquistare una domanda alla ricerca di un contatto profondo con la cultura, l’identità e le specificità del territorio. 12 Si rinuncia a citare una delle molte fonti, in quanto questa concettualizzazione, al di là di qualche differenza terminologica, è oramai largamente condivisa dai ricercatori degli studi di management del turismo. MICHELE TAMMA 43 Su questo piano possono convergere e comporsi gli interessi degli attori della produzione culturale e della produzione turistica [Golinelli 2008, p. 205]: obiettivo condiviso diviene la costruzione e diffusione di un messaggio forte e univoco relativo alla cultura e alle specificità della destinazione. 6. Niente di più che una nota conclusiva Il contenuto simbolico ed esperienziale dei prodotti appare un elemento cruciale per il valore e la competitività dei prodotti. Come si è cercato di illustrare, senza la costruzione e la gestione di un “contesto” adeguato, in cui domanda e offerta possano efficacemente interagire, questa componente non può crearsi ed emergere. Per queste ragioni i prodotti, e ciò che gli sta attorno, devono consentire diverse forme di accesso e di “immersione”, così come essere anche “narrati”, affinchè la cultura e i significati che incorporano e che si vogliono trasmettere divengano maggiormente percepibili e intelleggibili. Le risorse e le specificità di un territorio possono infatti rimanere risorse “inanimate” [Kebir e Crevoisier 2008], non mobilitate nè valorizzate, se queste capacità non vengono sviluppate. Infine non è da sottavalutare la sinergia e il mutuo sostegno che si crea fra “i prodotti che portano il territorio nel mondo” e “i prodotti che portano il mondo nel territorio”: vi è una grande mobilità di informazioni, cose, persone, che va considerata e messa anch’essa a valore. Bibliografia ADDIS M., Ad uso e consumo. Il marketing esperienziale per il manager, Pearson Paravia Bruno Mondadori S.p.A., Milano, 2007. BECKER G.S., Human Capital, National Bureau of Economic Research, New York, 1975. BECKER G.S., STIGLER J.G., “De Gustibus Non Est Disputandum”, American Economic Review, vol. 67, n. 2, 1977 (trad. it. in Becker G.S., De Gustibus, Università Bocconi Editore, Milano, 2000). CALCAGNO M., “L’innovazione nelle produzioni culturali: il rapporto con il fruitore”, in Rispoli M., Brunetti G. (a cura di) Economia e management delle aziende di produzione culturale, Il Mulino, Bologna, 2009. CARÙ A., COVA B., “Consuming Experiences. An Introduction”, in Carù A., Cova B. (a cura di) Consuming Experience, Routledge, New York, 2007. CAVES R.E., Creative Industries: contracts between art and commerce, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2000. CINTI T., Musei e territorio. Le dinamiche relazionali nel cluster museale di Firenze, Carocci, Roma, 2007. CICERCHIA A., FEDERICO C., ALTILI P., BARRÈRE C., “L’industria del gusto”, in W. Santagata (a cura di) Libro bianco sulla creatività. Per un modello italiano di sviluppo, Università Bocconi Editore, Egea, Milano, 2009. CRANE D., The Production of Culture, Beverly Hills, Sage, 1992. 44 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI CURRID E., The Warhol Economy. How Fashion, Art, and Music Drive New York City, Pinceton University Press, Princeton, New Jersey, 2007. D’AMBROS I., Il ruolo dei prodotti a denominazione d’origine nell’export agroalimentare italiano: sinergie con il turismo enogastronomico, Tesi di laurea Università Ca Foscari Venezia, relatore Tamma M., 12.07.2007. DAVIDSE J., “Characteristics of growth and limitations in electronics”, Technological Forecasting and Social Change, n. 24, 1983. DI BERNARDO B., “Dal terziario al neo industriale”, Economia e diritto del terziario, n. 2, 1992a. DI BERNARDO B., “La produzione neo-industriale e i servizi”, Sinergie, n. 29, 1992b. DUPUIS X., Essai sur les pratiques culturelles de l’État: l’exemple de la musique, thèse de doctorat ès sciences économiques, Université de Paris XIII, 1981. FERRARI S., Modelli gestionali per il turismo come esperienza, Cedam, Padova, 2007. FORTIS M., Il made in Italy, Il Mulino, Bologna, 1998. GADAMER H.G., Truth and method, (2nd rev. ed., Weinsheimer J., Marshall D.G., Trans.), Crossroad, New York, 1989. GOLINELLI C. M., “La dimensione di prodotto dell’offerta turistico-culturale”, in Golinelli C.M. (a cura di) La valorizzazione del patrimonio culturale: verso la definizione di un modello di governance, Giuffrè Editore, Milano, 2008. GREFFE X., “Il patrimonio come opportunità economica”, in Mossetto G. e Vecco M. (a cura di) Economia del patrimonio monumentale, Franco Angeli, Milano, 2001. GRISWOLD W., Sociologia della cultura, Il Mulino, Bologna, 1997. (trad. it. di Cultures and Societies in a Changing World, Thousand Oaks, Calif. Pine Forge Press, 1994). GRANDINETTI R., MORETTI A., “Verso una teoria manageriale del valore dell’arte e della cultura nei contesti territoriali”, in Grandinetti R. e Moretti A. (a cura di), Evoluzione manageriale delle organizzazioni artistico-culturali. La creazione del valore tra conoscenze globali e locali, Franco Angeli, Milano, 2004. GROSSI R., Introduzione, in (a cura di) Grossi R. Creatività e produzione culturale. Un paese tra declino e progresso. Quinto rapporto annuale Federculture, Umberto Allemandi &c, 2008. HAWKEN P., The Next Economy, Holt Rinehart & Winston, New York, 1983. HIRSCH, P.M., “Processing Fads and Fashions: an Organization-Set Analysis of Cultural Industry Systems”, in The American Journal of Sociology, vol. 77, n. 4, 1972. KEBIR L., CREVOISIER O., “Cultural Resources and Regional Development: The case of Cultural Legacy of Watchmaking”, in Cooke P. e Lazzeretti L. (a cura di) Creative Cities, Cultural Clusters and Local Economic Development, Edward Elgar Publishing Limited, UK, 2008. LAZZERETTI L., “Prefazione”, in Cinti T. Musei e territorio. Le dinamiche relazionali nel cluster museale di Firenze, Carocci, Roma, 2007. MONTELLA M., “I nuovi paradigmi e le opportunità”, in Golinelli C.M. (a cura di) La valorizzazione del patrimonio culturale: verso la definizione di un modello di governance, Giuffrè Editore, Milano, 2008. MORETTI A., “Produzioni culturali e produzioni turistiche: complementarietà”, in Rispoli M., Brunetti G. (a cura di) Economia e management delle aziende di produzione culturale, il Mulino, Bologna, 2009. NETZER D., “Patrimonio culturale e sviluppo economico regionale e locale”, in Mossetto G. e Vecco M. (a cura di) Economia del patrimonio monumentale, Franco Angeli, Milano, 2001. MICHELE TAMMA 45 PENCARELLI T., FORLANI F., “Il marketing dei distretti turistici-sistemi vitali nell’economia delle esperienze”, in Pencarelli T. (a cura di) Letture di economia e management delle organizzazioni turistiche, Edizioni Goliardiche, Urbino, 2003. PETERSON R.A., “The Production of Culture: “A Prolegomenon”, American Behavioral Scientist, vol. 19, n. 6, July/Aug, 1976. PETERSON R.A., “Culture Studies Through the Production Perspective: Progress and Prospects”, in Crane (eds.) The Sociology of Culture. Emerging Theoretical Perspectives, Backwell, Oxford, 1994. PINE J., GILMORE J., The experience economy: work is a theatre and every business is a stage, Boston, Boston Harvard Business School Press, 1999. RIFKIN J., L’era dell’accesso, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2000. RISPOLI M. TAMMA M., “Beni e servizi, cioè prodotti”, Sinergie, n. 29 settembredicembre, 1992. RULLANI E., “Economia delle risorse immateriali: una introduzione”, Sinergie, n. 29 settembre-dicembre, 1992. RULLANI, E., “Agire competitivo e contesti di interazione”, in Podestà S., Golfetto F. (a cura di) La nuova concorrenza, Egea, Milano, 2000. RULLANI E., Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci Editore, Roma, 2004. RULLANI, E., “La nuova economia dell’immateriale”, Economia dei servizi, Anno 1, n.1, Settembre-Dicembre, Il Mulino, Bologna, 2006. SEDITA S.R., PAIOLA M. (a cura di) Il management della creatività. Reti, comunità e territori, Carocci, Roma, 2009. SEDITA S.R., “La geografia della creatività: cluster e oltre”, in Sedita S.R., Paiola M. (a cura di) Il management della creatività. Reti, comunità e territori, Carocci, Roma, 2009. SACCO P.L., “Politiche locali e sviluppo dei distretti creativi”, in R. Grossi (a cura di) Creatitivtà e produzione culturale. Un paese tra declino e progresso. Quinto rapporto annuale federculture 2008, Allemandi &C, 2008. SANTAGATA, W., Produrre Cultura II, Celid, Torino, 2001. SANTAGATA W., La fabbrica della cultura, Il Mulino, Bologna, 2007. SANTORO M., “Cultura e Mezzogiorno: vecchie questioni e nuove domande”, in Santoro M. (a cura di) Fare cultura. La produzione culturale nel mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 1995. SHAPIRO C., VARIAN H.R., Information Rules. A strategic guide to the network economy, Harvard Business School Press, Boston, Massachusetts, 1999. SACCO P., PEDRINI S., “Il distretto culturale: un nuovo modello di sviluppo locale?”, Ottavo Rapporto sulle Fondazioni Bancarie, supplemento al numero 3 - 2003 de “Il Risparmio”, 2003. SAMPLER J.L., “Redifining industry structure for the information age”, Strategic Management Journal, vol. 19, 1998. RISPOLI M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, Il Mulino, Bologna, 1998. RISPOLI M, TAMMA M., Risposte strategiche alla complessità: le forme di offerta dei prodotti alberghieri, Gippichelli Editore, Torino, 1995. TAMMA M., “Sistemi del valore e competizione nei servizi”, in Podestà S., Golfetto F. (a cura di) La nuova concorrenza, Egea, Milano, 2000. TAMMA M., “La produzione culturale e il concetto di prodotto”, in Goldoni D., Rispoli M., Troncon R., (a cura di ), Estetica e Management nei beni e nelle produzioni culturali, Il Brennero-Der Brenner, Bolzano, 2006. 46 PRODOTTI CULTURALI E TERRITORI TAMMA M., CURTOLO A., “Lo sviluppo strategico delle organizzazioni di produzione culturale: commitment, risorse, prodotti”, in Rispoli M., Brunetti G. (a cura di) Economia e management delle aziende di produzione culturale, Il Mulino, Bologna, 2009. UNCTAD-UNDP Creative Economy Report 2008, UNCTAD/DITC/2008/2-ISBN 978-09816619-0-2.