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IL PICCOLO – da sabato 29 a lunedì 31 marzo 2014
IL PICCOLO – da sabato 29 a lunedì 31 marzo 2014 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli REGIONE (pag. 2) «Non potevo dire no. Riuscirò a gestire il doppio incarico» (2 articoli) Belci confermato segretario della Cgil Friuli Venezia Giulia TRIESTE (pag. 4) Diaco, c'è la firma: la proprietà è ucraina (3 articoli) Negozi Dayli riaperti. È terminato l’incubo per venti dipendenti GORIZIA-MONFALCONE (pag. 7) Cassa integrazione quadruplicata in un mese I sindacati: «In Comune personale ridotto all’osso» REGIONE «Non potevo dire no. Riuscirò a gestire il doppio incarico» di Marco Ballico TRIESTE Il confronto sui passaggi importanti Debora Serracchiani lo cerca innanzitutto con il marito. A volte, però, «decido anche da sola». Per dire sì alla proposta di fare il vicesegretario del Pd non ci sono stati troppi ripensamenti: «Godo di una fortunata autonomia che mi permette di poter scegliere. Da tempo ho voluto dare una mano a Matteo Renzi, non potevo sottrarmi alla fiducia che mi ha dimostrato». E pazienza se in regione, più d’uno, si chiede se ce la farà. È la prima garanzia da dare al Friuli Venezia Giulia. Come riuscirà a gestire il doppio incarico? Non è da poco che svolgo il ruolo nazionale nel partito e quello di presidente della Regione. E prima ero parlamentare europeo. È un mestiere che faccio con grande passione. Può bastare la passione davanti a certi impegni? Ho affinato l’organizzazione dell’agenda e del mio tempo, anche grazie al supporto di un’ottima segreteria. Rassicuro tutti: voglio fare bene il governatore e sono convinta che l’incarico di vicesegretario del Pd sarà un valore aggiunto per il territorio. Anticiperà la sveglia? I miei primi incontri si fanno già ora alle 7.30-8 del mattino. Prima diventa complicato. In ogni caso, quando vado a Roma lavoro per la Regione e per il partito, due cose totalmente compatibili perché conta la qualità delle cose che si fanno. Negli ultimi due giorni nella capitale ho incontrato sei ministri. A livello nazionale le prime critiche sono arrivate da Cuperlo e Fassina. Capisco che qualcuno avesse aspettative diverse, ma la strada imboccata è nuova. Non si è scelto in base alle correnti, ma all’impegno, alle capacità e alla rappresentanza del partito di Guerini e mia. Restiamo un pungolo viste le cose da fare, ma accompagniamo con forza la linea del governo. Polemiche scontate? Direi prevedibili. Ma infondate. A chi sostiene che un governatore regionale rappresenta tutti, quasi non potesse fare politica, andrebbe ricordato che mi sono candidata alla presidenza Fvg da segretario regionale e da europarlamentare Pd. Mi pare che i cittadini non si siano posti problemi di schieramento. Che compagno di viaggio è Guerini? Siamo caratterialmente molto diversi. Lorenzo è persona posata, capace di lunga e faticosa mediazione, di dialogo e inclusione. Ed è molto leale con il segretario. Teme che Renzi finirà con il “telecomandarvi” come faceva Boncompagni con Ambra a “Non è la Rai”? Matteo sa collaborare ma anche, nel reciproco rispetto, ci ha lasciato grande autonomia fin dal primo giorno della sua nomina a premier. Ci ha anzi sollecitato a formare la segreteria e a presentargli la proposta. Il governo fa una cosa, il partito ne fa un’altra. La stupisce che il Jobs Act piaccia a Brunetta e a Sacconi e non a una parte del Pd? Per certi versi no. Per certi altri è il segnale di una rivoluzione culturale quanto mai necessaria per affrontare nel modo giusto le riforme. Tenuto conto delle problematicità della legge Fornero, credo che questi primi interventi abbiano condotto a norme di buon senso. Il vero piano del lavoro, con grande responsabilità, viene affidato a una legge delega che affronterà i temi chiave. La fase della rottamazione del Pd è conclusa con successo? Cambiamento e rinnovamento veri sono sotto gli occhi di tutti. Più che di rottamazione, parlerei di una sfida vinta almeno in parte. Ci sono ancora tanti impegni. Giusto non mettere il nome di Renzi sul simbolo delle europee? Direi di sì nel contesto in cui ci muoviamo. In Europa si deve rappresentare il proprio Paese con una concretezza che in Italia spesso manca. Mentre noi conserviamo le preferenze, altrove ci sono liste bloccate di persone che sanno sin d’ora in quale commissione andranno. C’è mai stata l’ipotesi di candidare Riccardo Illy a Bruxelles? No. Non solo perché non mi pare abbia mai mostrato interesse, ma anche perché si è impegnato nella presidenza della commissione Paritetica. E lo sta facendo in modo efficace. Al nono assessore regionale, per supplire ai suoi nuovi compiti, ha mai pensato? Mai. E nemmeno al rimpasto. Dopo di che, quotidianamente, abbiamo agito per il riordino del sistema. Un lavoro nascosto che sta dando i suoi frutti. La riorganizzazione in atto è conseguenza di un continuo controllo delle funzioni, delle competenze e dei servizi che ci ha portato, in modo collegiale, a rendere la macchina più snella. Il settore delle attività produttive, in particolare, è stato ridisegnato con l’introduzione dell’Area per il manifatturiero. Conferma che ci sarà un incarico esterno a sgravare Bolzonello dai tavoli di crisi? Ci sarà qualcuno con competenze specifiche che possa accompagnare le scelte politiche della giunta. In che tempi arriverà la nomina? Non c’è una scadenza. L’Area si sta assestando dopo alcune modifiche interne di persone e competenze. Nei prossimi due mesi capiremo come individuare il nuovo collaboratore. Ci sarà un costo pubblico in più. Abbiamo risparmiato sulle indennità, eliminato il vitalizio, tagliato i miei fondi di riserva, contenuto le spese per le auto blu e la rappresentanza. L’intera macchina costerà sempre meno, ma non possiamo rinunciare all’efficienza e alle competenze necessarie a dare risposte ai cittadini. Il segretario Cgil Belci ha sollecitato le riforme. Troppa fretta? Per restare ai settore sensibili, in sanità abbiamo già concretizzato le linea guida, accorpato il 118, sistemato la rete dei trapianti. E sulla riconversione della rete ospedaliera stiamo andando avanti spediti. Quanto al lavoro, abbiamo avviato il ridisegno dell’Agenzia regionale e messo mano in buona parte alle politiche attive. Ben vengano le sollecitazioni, ma mi sento di poter dire che rispondiamo con i fatti. L’ultimo messaggio via Whatsapp con Renzi? Venerdì, in direzione. Mette le faccine il premier? No, lui no. Forza Italia ironizza, la Cgil storce il naso TRIESTE Alle critiche del M5S e alle perplessità del centrodestra, con il veleno di Sandra Savino («A Serracchiani manca sola di aprire una salumeria»), sulle capacità della governatrice di gestire il doppio incarico Regione-Pd, si aggiungono le preoccupazioni di Franco Belci sull’attuazione del programma regionale. Mentre Sergio Bolzonello, sul quale ricadranno nuovi onori e oneri, non ha dubbi: «La nomina di Debora andrebbe considerata una grande opportunità da tutti, anche dagli avversari politici». Bolzonello, convinto che «le polemiche strumentali si esauriranno da sé», assicura che la giunta regionale, «che già ha dimostrato di saper lavorare duro e tenere il ritmo in un momento assai difficile», con lo stimolo in più del ruolo nazionale della presidente saprà essere ancora più forte ed efficiente». La vicenda continua però a dividere. Una forse inattesa frecciata arriva pure dalla Cgil. Belci, appena rieletto segretario regionale, si concentra soprattutto sui contenuti del programma. E invita Serracchiani «a lasciar stare» le cose considerate «negative» dell’agenda di Matteo Renzi. Fatti gli auguri alla governatrice e ammesso che «il peso politico aumenta», il leader sindacale sottolinea subito i problemi: «Sarà dura, anche se Serracchiani ha dimostrato una grande capacità lavorativa». E ancora: «Vanno distinti i due ruoli: uno di partito, l’altro istituzionale. Vicesegretario del Pd a Roma e presidente di tutti a Trieste. Leader di una maggioranza diversa da quella nazionale, direi centrosinistra “puro”, uscita dalle urne con un programma che va attuato». Secondo il segretario della Cgil Fvg servirà soprattutto un approccio locale: «Serracchiani costruisca anche qui una manovra sull’Irpef, attraverso una riduzione dell’addizionale regionale a scalare fino ad azzerarla partendo dai redditi di 25mila euro. Ed eviti di seguire il premier sulla strada di una precarizzazione del lavoro. Debora ricordi infine che ha promesso il reddito di cittadinanza: noi ci accontentiamo di quello di inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro. Confido arrivi quanto prima una rassicurazione. Ma, spero, non con un tweet #staiserenofranco». Da Savino infine, dopo il sarcasmo e le «felicitazioni», la denuncia del rischio «che il governo del Fvg diventi per la presidente un lavoro part time» e che quindi, «per supplire a questa assenza, si debba mettere mano ai cordoni della borsa con un consulente esterno per la gestione delle crisi industriali: scelta e spesa che sinceramente generano qualche sospetto vista la coincidenza dell'ennesimo incarico politico di Serracchiani». Critiche infine dai grillini, tra i primi a denunciare la «troppe casacche» indossate da Serracchiani. «Già vedevamo poco la governatrice, ora la vedremo sempre meno - attacca il consigliere Andrea Ussai -. Quanto al Pd, dev’essere messo davvero male visto che è costretto ad affidare tutti i ruoli alle stesse tre-quattro persone». (m.b.) Belci confermato segretario della Cgil Friuli Venezia Giulia UDINE È ancora Franco Belci il segretario della Cgil Fvg. La conferma è arrivata questo pomeriggio, al termine della due giorni congressuale tenutasi al centro Ernesto Balducci di Zugliano. Il nuovo direttivo regionale (44 uomini e 32 donne) ha rieletto il segretario uscente con 44 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astenuti. «Si tratta di una conferma che credo esprima un giudizio positivo non soltanto sulla mia persona – dichiara il segretario – ma sull’intera segreteria, per il gioco di squadra che ha saputo esprimere anche interagendo con i territori e le categorie». Sempre riguardo ai rapporti con l’esecutivo regionale Belci ribadisce un giudizio complessivamente favorevole: «Diversamente dal governo Renzi, l’esecutivo regionale non è il prodotto di larghe intese, ma di una coalizione forte di centrosinistra: questo determina una differenza di fondo nelle scelte di merito, che restano per noi l’unica base di giudizio». La delegazione regionale per il congresso nazionale è composta da Franco Belci, Alessandro Forabosco, Paolo Liva, Giuliana Pigozzo, Nazario Mazzotti, Chiara Lucchetto, Adriano Sincovich, Daniela Vivarelli, Francesca Giannelli e Paolo Terranova. TRIESTE Diaco, c'è la firma: la proprietà è ucraina di Piero Rauber Un investimento da due milioni e mezzo da qui al 2016, per una prospettiva da 90 posti di lavoro una volta portata la fabbrica a pieno regime. I cui tempi, per arrivarci, dipenderanno pure dalla burocrazia italiana, sotto forma ad esempio di permessi con il timbro dell’Aifa, l’Agenzia nazionale del farmaco. La nuova vita della Diaco riparte dunque da un paio di obiettivi dichiarati, di natura finanziaria e occupazionale, tanto schietti quanto ambiziosi, impegnativi. E riparte soprattutto (come era venuto a galla una prima volta una decina di giorni fa, non appena i sindacati avevano portato a casa la garanzia del rinnovo della cassa integrazione straordinaria e del futuro richiamo in servizio dei 34 dipendenti superstiti ma rimasti da mesi senza lavoro) da un “padrone” straniero. Ucraino, per precisione geografica. Da poche ore, in effetti, l’atteso passaggio dei Laboratori Biomedicali Diaco di via Flavia dalle mani della Sm Farmaceutici (la Srl di scopo a metà fra Parma e Potenza che a fine 2012 si era presa il gruppo dal fallimento conseguente al crac Cerani dell’anno prima) a quelle della neonata Diaco Biofarmaceutici (un’Srl pure questa, di proprietà per l’appunto di due cittadini ucraini) è divenuto ufficiale. E con l’ufficialità sono arrivati così i primissimi dettagli dell’operazione. Il contratto di compravendita (il risultato finale di mesi di trattative mosse nell’ombra e seguite nel ruolo di advisor dai commercialisti Giuseppe Alessio Vernì e Stefano Fermo dello studio Vernì-Visentin e associati) è stato siglato venerdì a ora di pranzo in pieno centro, nello studio GellettiRuan, davanti al notaio Pietro Ruan: l’hanno firmato da una parte Franco Serventi e Vito Rocco Miraglia, ovvero i soci-amministratori della Sm uscente, e dall’altra Cristina Apollonio, cioè l’amministratore unico della Diaco Bioarmaceutici entrante. Non erano le uniche presenze all’atto degli autografi. C’erano anche i proprietari della nuova Diaco rappresentata con potere di firma da Apollonio, i due investitori ucraini di cui, finora, s’era saputo ben poco, se non che erano già attivi in campo biomedicale al di fuori dei nostri confini. Ebbene, la loro identità appartiene proprio a quella serie di dettagli usciti ora allo scoperto. Si tratta di Nataliya e Dmytro Derkach, moglie e marito trentenni. Una simile sommaria descrizione porterebbe a immaginare siano due giovani industriali dalle spalle coperte a caccia di business all’estero. Il loro profilo, si legge nel comunicato ufficiale predisposto da Apollonio dopo la firma, è però altro. Sono ricercatori o, meglio, manager scientifici, assai quotati evidentemente, i quali vedono nel marchio Diaco - che all’estero continua a dire e a incarnare qualcosa, nonostante il crac Cerani - la possibilità di un salto imprenditoriale: i coniugi Derkach sono infatti due «manager laureati in Medicina e già impegnati» in fatto di «innovazione medicale, ricerca e sviluppo di prodotti per la terapia infusionale». «Lavorano» insomma, precisa a voce Apollonio, «per aziende farmaceutiche estere, ma sono in questo caso loro due a esporsi, come soci-proprietari, per il rilancio della Diaco». E i soldi? La copertura, in larghissima parte, è bancaria: «L’investimento finanziario è stato approvato da un istituto di credito sulla base del piano industriale». A proposito di soldi: l’entità della transazione è top-secret. È presumibile, ad ogni modo, che la nuova proprietà abbia acquisito la fabbrica di via Flavia dalla Sm per una cifra vicina ai cinque milioni, il doppio del futuro piano di investimenti. Lo si può ipotizzare tenendo in conto che a fine 2012 la stessa Sm, per avere il pacchetto delle tre aziende Diaco dal fallimento Cerani, aveva sborsato dieci milioni e passa. Da quest’operazione invece sono rimaste fuori la capogruppo Diaco Spa e la Novaselect di Potenza. La compravendita ha riguardato, quindi, i soli Laboratori Biomedicali Diaco di Trieste, che costituiscono il pezzo pregiato di quel pacchetto. «Interessanti sia il nome che la posizione. Saremo una realtà industriale d’eccellenza» «La nuova proprietà ha valutato interessanti sia l’importanza e la valenza commerciale del marchio Diaco che le potenzialità dello stabilimento in termini di sviluppo di nuovi prodotti, anche sfruttando la posizione logistica dello stabilimento, baricentrica rispetto ai mercati di futura espansione del business», recita il comunicato post-rogito. «Il target - chiarisce a voce Apollonio - sarà l’Italia in prima battuta ma anche, in generale, l’Europa». Per questo una buona fetta dei 90 dipendenti cui mira il piano industriale a pieno regime dovrebbe essere destinato a «una nuova rete di vendita. Dobbiamo ancora definire se ci occuperemo, oltre che della distribuzione commerciale dei prodotti che faremo, anche della partecipazione a gare pubbliche per forniture ospedaliere». Per quei 90 posti di lavoro - al netto dei 34 già sicuri - si pescherà dal mercato del lavoro di casa? «Anzitutto - ammette Apollonio andremo a selezionare, se possibile, personale locale. Va però chiarito fin d’ora che certe figure professionali, anche commerciali, in questo campo sono molto specifiche, ed è difficile trovarle in regione». «I nuovi soci - chiude il comunicato - nel ribadire la soddisfazione per la conclusione positiva dell’accordo, e nell’auspicare la collaborazione con le realtà scientifiche del territorio e con le istituzioni, sono certi che la Diaco Biofarmaceutici potrà rappresentare nel prossimo futuro una realtà d’eccellenza nel panorama industriale cittadino». (pi.ra.) «Produzione da ampliare e a regime 90 dipendenti» La nuova Diaco, parola di chi rappresenta la proprietà ucraina, non snaturerà quella vecchia. Il core business resteranno le flebo e le medicine per via endovenosa o più correttamente, in gergo tecnico, le «soluzioni iniettabili per uso umano». Ciò che appare fin d’ora scontato è che alle produzioni di un tempo se ne accavalleranno altre, inedite. Lo suggerisce esplicitamente un passaggio del comunicato diffuso da Cristina Apollonio, già responsabile commerciale dei Laboratori Biomedicali Diaco, che ha avuto un ruolo-chiave nell’approccio dei coniugi Derkach con Trieste e alla quale gli stessi due investitori stranieri hanno affidato adesso la carica di amministratore unico. È un passaggio in cui si evocano due diversi tipi di procedura per l’acquisizione dei necessari accrediti dell’Aifa: il primo è il recupero delle autorizzazioni perdute, riguardanti dunque la produzione che si faceva, il secondo, presumibilmente un po’ più lungo, è l’ottenimento di permessi mai avuti, riconducibili quindi a nuove attività. «Attualmente - si legge nel comunicato - alla struttura di via Flavia è stata sospesa, da parte dell’Aifa, l’autorizzazione a produrre in quanto sono emersi alcuni elementi non conformi agli standard ministeriali. Inoltre, la nuova proprietà è intenzionata a sviluppare, oltre ai prodotti classici da sempre preparati presso lo stabilimento triestino (soluzioni infusionali semplici, quali sodio cloruro, glucosio, soluzioni reidratanti, eccetera), anche nuovi prodotti farmaceutici sia nel campo tradizionale delle soluzioni infusionali che in quello dei dispositivi medici. Tali prodotti hanno bisogno di ottenere dal Ministero della Sanità le necessarie autorizzazioni che in media vengono rilasciate, per l’appunto, in circa due anni». Questo spiega perché l’accordo sindacale sottoscritto a metà marzo parla del reintegro dei 34 cassintegrati entro la fine del 2015 (dieci già nel 2014). Tra il 2016 e il 2017 dovrebbe - stando al piano industriale e alle previsioni legate proprio ai tempi tecnici per la chiusura di tutte le pratiche nuove con l’Aifa - concretizzarsi l’impennata occupazionale fino a «90 dipendenti circa a regime». (pi.ra.) Negozi Dayli riaperti. È terminato l’incubo per venti dipendenti di Laura Tonero Per alcuni dipendenti della ex Schlecker l'incubo è terminato. Dopo che il tribunale di Linz la scorsa estate ha dichiarato fallita la Dayli, la catena di negozi di proprietà di un fondo austriaco che fino al 2012 si chiamava Schlecker, parte dei negozi è stata rilevata da Aromatika srl, la società creata ad hoc dal gruppo Gottado Spa di Padova, leader In Italia per la vendita di prodotti per la cura della casa e della persona. E uno per volta i punti vendita triestini che mantengono il marchio Dayli stanno riaprendo. L’azienda padovana, nata nel 1992 e che oggi è titolare dei marchi Acqua & Sapone, Prodet e Tigotà, con l'acquisizione di Dayli copre l'85 per cento del mercato dedicato a questo settore in città. Solo la catena Cad riesce a reggerne la concorrenza. L’accordo ha previsto che una parte dei dipendenti in forza nei negozi triestini venga assunta in Aromatika al momento dell’effettiva apertura dei punti vendita, che sono stati oggetto di risistemazione e riassortimento da parte della nuova società. Basta fare un giro nei riaperti negozi per notare il cambiamento. Gli scaffali, a differenza di quanto accadeva negli ultimi periodi prima della lunga chiusura, allorché le insegne riportavano ancora il nome Schlecker e poi Dayli, sono stracolmi di prodotti. Non esiste più il reparto dedicato agli alimentari che proponeva biscotti, cioccolate, bibite e caffè. Sono stati invece introdotti tutti i marchi che fanno direttamente riferimento alla Gottardo spa come Aquam, Quandoè e Pro. Tra il personale che ora è in forza nei punti vendita triestini, ci sono anche alcuni dipendenti che in precedenza hanno lavorato per Acqua & Sapone o altri marchi del gruppo Gottardo. Della quarantina di ex dipendenti Schlecker, circa la metà è stata riassunta dal nuovo gruppo. Degli otto negozi ex Schlecker, il gruppo patavino ha però deciso di riaprirne soltanto sei. Alcuni sono già operativi da oltre una settimana, altri, come ad esempio quello di piazza della Libertà, sono in via di allestimento. I due punti che invece non riapriranno sono quelli di via del Coroneo, sotto la galleria che porta a via San Francesco, e quello di via Vidali a due passi dall'Ospedale Maggiore. Per i dipendenti è finita così un'agonia che dura da quasi un anno. La scorsa primavera i quaranta lavoratori triestini dell’ex Schlecker avevano tirato un sospiro di sollievo quando i negozi e gli stabilimenti erano stati acquistati da un’azienda austriaca, la Tap 09 proprietaria del marchio Dayli, che aveva già dichiarato un piano industriale di rilancio. Un attimo di tregua, un breve periodo di respiro. Poi l’iniziativa attivata dalla Dayli di chiudere parte dei magazzini nel Triveneto per tre settimane, e ancora lo svuotamento dei negozi, gli scaffali sguarniti e infine la decisione di Dayli Italia lo scorso luglio di ricorrere al concordato preventivo, chiesto al tribunale di Udine. Da allora tutti gli 8 negozi triestini - 25 a livello regionale - erano rimasti chiusi, con la merce all'interno. E per i dipendenti con contratto a tempo indeterminato era scattata la cassa integrazione. GORIZIA-MONFALCONE Cassa integrazione quadruplicata in un mese di Francesco Fain Una crescita talmente abnorme e anomala da indurre la Provincia a fare un supplemento d’indagine, visto che non credeva ai suoi occhi. E, alla fine, il responso è stato confermato: la cassa integrazione nell’Isontino è quadruplicata e non da un anno all’altro ma... da un mese all’altro. E non ci sono errori statistici, è proprio così. Le statistiche nel dettaglio A febbraio le ore di cassa integrazione concesse in provincia di Gorizia sono state 702.247 in un quadro regionale di 2.900.089 ore erogate. Un mese prima, a gennaio, il dato si era assestato a 180.688 ore mentre, nel febbraio 2013, non si era superata quota 202.082. «In un primo momento, ho pensato ad uno sbaglio ammette nitidamente l’assessore provinciale alle Politiche attive del lavoro, Ilaria Cecot -. Mi sembrava impossibile che da un mese all’altro si fosse verificato un incremento così consistente di questa tipologia di ammortizzatori sociali. Ho chiesto allora alla Regione di effettuare un supplemento di indagine e il responso è stato lo stesso. Il mio commento? La situazione è pesantissima: altro che ripresa, altro che ottimismo per il futuro. Qui è seriamente a repentaglio la tenuta del mercato occupazionale isontino». Delle oltre 700mila ore concesse, 598.865 riguardano la cassa integrazione straordinaria, 58.109 quella ordinaria e 45.273 i provvedimenti in deroga. A Udine, che ha un impianto industriale di ben altro tipo, le ore di cassa integrazione sono state 1.142.058 mentre a Trieste hanno raggiunto, sempre nel febbraio scorso, quota 157.226, peraltro in consistente calo rispetto a gennaio quando questo provvedimento raggiunse quota 396.810 ore. Illuminante è la lettura del grafico in alto che illustra tutte le dinamiche degli ammortizzatori sociali in regione e nei quattro capoluoghi della Provincia. I motivi dell’incremento Ma qual è il settore che maggiormente ha sofferto e che ha beneficiato della cassa integrazione? Nei giorni scorsi, l’assessore provinciale Cecot ha incontrato i sindacati: nella fattispecie Gianpiero Turus (Fim Cisl), Thomas Casotto (Fiom Cgil) e Luca Furlan (Uilm Gorizia). E sono emerse con forza le difficoltà in cui si dibatte il comparto metalmeccanico: dalla Astrel di Mossa alla Mipot di Cormòns, passando per la Ondulati & Imballaggi Friuli, non si contano più le aziende con sede nell’Isontino costrette a ricorrere agli ammortizzatori sociali. Sì, il settore indiscutibilmente più in sofferenza è quello della meccanica, che da solo assorbe oltre il 90 per cento del totale delle ore di cassa integrazione erogate in provincia. In favore delle realtà produttive di questo settore sono state concesse a febbraio ben 597mila ore di cassa integrazione straordinaria, 280mila delle quali destinate al personale impiegatizio. Un discorso a parte merita anche il settore artigiano della metalmeccanica: un comparto in fortissima crisi e che fa molta meno “notizia” rispetto i grandi stabilimenti poiché è un mondo formato da piccole aziende. Ha subìto in questi anni delle perdite che, considerate nel loro complesso, danno dei numeri altissimi pari se non di più rispetto ai grandi nomi. I sindacati: «In Comune personale ridotto all’osso» di Francesco Fain «Non si può pretendere di guidare una Ferrari se il motore è quello di una 500». Sergio Cosma, già assessore comunale nella prima giunta Romoli, fa il sindacalista (è responsabile Cisal per gli enti locali) e non è sfuggito al suo occhio attento il nostro corposo servizio di ieri sui risparmi fatti relativamente al personale comunale. Si è passati, infatti, dai 15,6 milioni spesi nel 2007 ai 14,6 impegnati nel 2013 per garantire lo stipendio a tutte le maestranze: un risparmio “figlio” dei tagli al personale che è passato dalle 465 unità del 2007 alle 381 dell’anno passato. «Ma diminuire i dipendenti comunali non è certamente una vittoria per la città - contesta Cosma -. Capisco la crisi così come comprendo la stretta ai finanziamenti da parte di Stato e Regione e la spending review ma non è giusto colpire i lavoratori perché sono loro a garantire il buon funzionamento dell’apparato. Ci sono settori, come il verde pubblico, i servizi cimiteriali, il cantiere stradale che sono in sofferenza da anni e il Comune che fa? Non rinforza questi servizi che sono importanti per il cittadino». A sentire Cosma i risparmi sul personale rischiano di trasformarsi in una vittoria di Pirro. «Il Comune sta cercando di tamponare le falle ricorrendo ai lavori socialmente utili e ai voucher ma si tratta di “cerottini” sottolinea ancora l’ex assessore -. Capisco che è diventata una moda bastonare il pubblico dipendente ma così non si va da nessuna parte. Il Comune farebbe bene a rinforzare gli organici invece di esaltarsi per i tagli». Meno polemica ma più sottile la dichiarazione di Massimo Bevilacqua, segretario regionale della Funzione pubblica/Cisl. «Ho letto con attenzione il vostro servizio così come le dichiarazioni dell’assessore comunale Pettarin e del sindaco Romoli. Che dire? Da un paio di anni stiamo chiedendo, come sindacati, di redistribuire una parte delle risorse risparmiate per alimentare il salario accessorio. Se i servizi, come sostengono i rappresentanti della giunta, non hanno subìto un peggioramento nonostante i tagli al personale, significa che chi è rimasto ha dato di più e si è impegnato allo spasimo per compensare il lavoro dei colleghi andati in pensione e non sostituiti. Mi sembra sia giusto riconoscere questo lavoro supplementare». Reazioni che erano state ampiamente previste. «I sindacati non saranno contenti? Alle forze sociali dico che siamo tutti sulla stessa barca: abbiamo reso più efficiente la macchina comunale, valorizzando le tante professionalità che già avevamo a disposizione», aveva dichiarato ieri l’assessore comunale al Bilancio, Guido Germano Pettarin. Peraltro, le uniche assunzioni previste per il futuro saranno quelle a tempo determinato e “dovute”: ovvero quelle per sostituire assistenti sociali, maestre o altro personale impossibilitato temporaneamente a continuare a lavorare. Altre entrate non ci saranno. Tirando le somme rispetto al 2007, anno di inizio del primo mandato, sono stati risparmiati 2 milioni 70mila euro che non sono sicuramente una cifra trascurabile in tempi di tagli, spending review e patti di stabilità.