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non di solo Pamuk vive la Turchia
pagina 99we | 46 | ARTI sabato 12 marzo 2016 non di solo Pamuk vive la Turchia VINS GALLICO Narrativa | Nuovi autori si affiancano al premio Nobel, n «La Turchia non dovrebbe preoccuparsi di avere due coscienze, due anime. La schizofrenia rende intelligenti», diceva Orhan Pamuk alla Paris Review nel 2005. Ancora il governo turco non lo aveva condannato per le dichiarazioni sul massacro dei curdi e sul genocidio armeno (sarebbe avvenuto alla fine di quell’anno) e ancora non era stato insignito del Nobel (sarebbe avvenuto l’anno dopo). In quell’intervista Pamuk accennava a un’ambiguità che avrebbe pervaso nel decennio successivo la sua narrativa e quella di altri autori turchi: la schizofrenia non im- di cui è da poco uscito La stranezza che ho in testa. Tessere di un racconto su un Paese complesso e sofferente Contrabbandieri al confine siriano, militari criminali e una prostituta palazzinara sono tra i personaggi di Impronte di Hasan Ali Toptas plica sempre una doppia personalità, tipica delle sindromi dissociative, ma prevede una suddivisione delle funzioni mentali. Così Pamuk negli ultimi suoi romanzi è stato il sostenitore di una prospettiva binaria, offrendo una descrizione frammentata di un oggetto frammentato: la Turchia europea e asiatica, laica e musulmana, la terra delle grandi partenze migratorie e il rifugio dei flussi dei profughi. La congiunzione E anziché la congiunzione O. Nel suo recente La stranezza che ho nella testa (traduzione di Barbara La Rosa Salim, Einaudi, pp. 584, euro 22) il protagonista, Mevlut, è scisso dall’amore per due sorelle, Rayaha e Samiha. Durante i festeggiamenti per un matrimonio – siamo alla fine degli anni ’70 – l’ingenuo venditore di boza, l’antica bevanda fermentata dal grano, si innamora follemente di una donna. Si informa sull'identità della spasimata (non è difficile, essendo la sorella della sposa) e per tre anni le scrive lettere appassionate, fin quando decide di rapire Rayaha con l’aiuto di un cugino. Ma la donna che si presenta all’appuntamento non è la Rayaha che lui si aspettava. È il primo bivio che si pone a Mevlut, il quale non solo accetta la donna che gli è toccata Al bambino di 9 anni protagonista di Ancòra di Hakan Günday, il padre insegna una sola possibilità di sopravvivenza: «O io o tu» Q. SAKAMAKI / REDUX / CONTRASTO DISTANZE Un traghetto attraversa il Bosforo, lo stretto che unisce e separa Europa e Asia. Istanbul, 2007 in sorte ma se ne innamora e ha da lei due bambine. Vivranno felici e contenti, finché ricomparirà sulla scena Samiha, la terza sorella. Ma le variazioni sentimentali dell’intreccio non rappresentano il nucleo de La stranezza che ho nella testa, perché quella stranezza è la schizofrenia intelligente della Turchia, e Pamuk colloca nella narrazione tessere di un racconto collettivo con impressionante maestria, senza mai rinunciare alla poesia, alla magia di Istanbul, anche nelle sue sfaccettature povere e violente. Meno noto di Pamuk, un altro auto- SCRITTORI IN CUCINA dentro il frigorifero di Aldo Nove n Aldo Nove vive a Milano, in periferia ma vicino alla metro, dal Duomo a casa sua sono 10 minuti. Aldo, apriamo il frigo. «Mi becchi in un momento sbagliato. Un paio di anni fa ho fatto la Dukan e da 92 kg sono passato a 70. Ora sto pericolosamente risalendo, quindi in questo momento – orrore – nel mio frigo trovi: petto di tacchino, pet- anche le narrazioni di movimento, scritture che valicano i confini e parlano di migrazioni. Ne Il mandarino meraviglioso (traduzione di Giulia Ansaldo, Keller, pp. 168, euro 14) Asli Erdogan propone il racconto di una giovane donna turca, priva di un occhio, abbandonata a Ginevra da Pedro, il suo amante spagnolo, fra connazionali ubriachi che la scambiano per un fantasma e svizzeri che la ignorano, come se non riuscissero neanche a percepirla. La voce di Erdogan si distingue per la sua densità e ricorda Ingeborg Bachmann e Marguerite Duras. L’effetto è di un urlo a denti stretti. La migrante monoculare, quasi ciclopica, pretende di vedere distintamente, ma è metafora e incarnazione dell'invisibilità. Migranti e profughi non accolti, ma pronti a essere nuovi clandestini per l'Europa e ancora una volta la doppia anima turca sono i temi focali del potentissimo romanzo di Hakan Gün- to di pollo, carne trita di prima scelta, tofu, latte scremato, due bottiglie di Coca Zero» Cucini? «Mai da solo. Mi piace cucinare per gli altri, con gli altri, come situazione conviviale. Da solo non riesco a rivolgerci attenzione particolare. Diventa alimentazione». Il tuo piatto forte. «Le orecchiette con i broccoli. re mostra di saper gestire la visione caleidoscopica della Turchia: si chiama Hasan Ali Toptas e il suo ultimo romanzo è Impronte, molto ben tradotto da Giulia Ansaldo per Del Vecchio (pp. 408, euro 18). Ziya, il protagonista, effettua un percorso inverso a quello del personaggio di Pamuk. Dal centro si sposta verso la periferia e dall’amore, poi diventato dolore, cerca un approdo nella solitudine. Due eventi mettono in moto questo meccanismo. Il primo è la morte della moglie incinta di Ziya. Una perdita lancinante, causata da un attentato terroristico (simile a quello che ha colpito Istanbul lo scorso 12 gennaio), da cui l’uomo si salva per caso. Da quel momento tutto assume una connotazione diversa. Il secondo evento, diluito in venti mesi, è precedente al lutto: si tratta del servizio militare sul confine turco-siriano. È allo- Ho un modo mio di farlo. Prendo le orecchiette fresche, le metto a crudo con olio e il peperoncino, aggiungo i broccoli e l’acqua mano a mano. Cuocio la pasta a secco facendo attenzione che non bruci» Ti piace fare la spesa? Vai di notte, nei supermercati aperti 24 ore? «Purtroppo invecchiando divento banale, per cui di notte dormo, leggo, studio, mi faccio le seghe o magari c’è qualcuno, ma non vado in giro. Sì, mi piace farla, anche averne cura. Da qualche anno confronto i prodotti, guardo se ci sono assurdità tipo l’80% di grassi. Vado in una vecchia macelleria, un piccolo negozio di frutta, un supermercato medio; non vado nei discount. Quando passo per il centro e mi sento ricco –perché è anche un fatto di percezione momentanea –mi piace cu- ra che Ziya conosce Kenan, il commilitone che lo inviterà nel minuscolo villaggio di Yaziköy. La narrazione di Toptas non è lineare, nell’arco dei sette capitoli ci sono continui flashback e flashforward, ma il linguaggio morbido del romanzo, dove si fondono la tradizione del racconto orientale e l’originalità innovativa dell’autore, è quanto di più distante da una trasposizione televisiva. Anche qui protagonista è l’aspetto frattale della Turchia, micromondi che ne richiamano altri più vasti: i contrabbandieri al confine siriano, le azioni folli e criminali dei militari turchi, i colori dei villaggi curdi, l’affascinante vicenda della prostituta palazzinara nell’espansione del cemento di Istanbul. Nell’ottica di una Turchia non bifronte, ma intelligentemente schizofrenica, andrebbero però considerate riosaredaPeck, sec’è qualche salsa strana o altro. Quando viaggio mi piace avere il tempo di curiosare i prodotti locali» Le cose più insolite. «A Tokyo, al più grande mercato del pesce del mondo, con le bottegucce dove fanno colazione alle tre e mezza di notte, ho provato dei pesciolini caramellati. Mi è arrivato un tale corto circuito di gusti che ho dovuto sputare. A Reykjavík ho mangiato la balena marcia. Houn ricordostrano, dopo un primo senso di ripugnanza mi è poi piaciuta. A Los Angeles mi hanno servito, entusiasti – e seccati che non fossi contento – la pizza con il ketchup. Negli Stati Uniti ci mettono sopra qualunque cosa, il cemento, l'incenso, le donne nude, le prime epizone della luna, i falò di Pavese...» Come spieghi l’interesse per la cucina? «Per me è una delle massime rappresentazioni della crisi. Si è arrivati a occuparsi dell’unica cosa che interessa a tutti – oltre al sesso. E rivela credo una paura inconscia: lo spettro della fame» Esorcizzata con una iperattenzione. «Con la creazione di una nuova mitologia. A me piace molto tradurre i classici, però resta il fatto che senza una traduzione di Abelardo vivi, magari facendo una vita mediocre ma vivi, senza proteine e vitamine no. Pensiamo al valore simbolico del cibo. Non è un caso che il punto chiave, il momento più importante della storia di Cristo, al di là della crocifissione, sia l'ultima cena, e non è un caso che tutto il valore simbolico day, Ancòra, edito da Marcos y Marcos (traduzione di Fulvio Bertuccelli, pp. 416, euro 18). «La differenza fra Oriente e Occidente è la Turchia. Non so se sia il risultato di una sottrazione tra Est e Ovest, ma la distanza fra essi è grande quanto la Turchia. E noi vivevamo là», racconta Gaza, un bambino di nove anni, a cui il padre, un trafficante di clandestini, insegna una sola possibilità di sopravvivenza: «O io o tu». Günday gioca per tutte le quasi 500 pagine del romanzo su questa alterità, su questo bivio, impersonando il dubbio con la figura di un piccolo profugo afgano, Cuma, e della sua rana origami. Al confine fra innocenza o colpevolezza, oriente o occidente, mors tua o mors mea, Günday sembra suggerire la soluzione onnicomprensiva di Pamuk, o quella che lui definisce sfumata per «fondere impercettibilmente le tinte e i colori rendendo indistinguibili i contorni» e dipingere una Turchia che sia Oriente e Occidente. Vita tua e vita mia. del rito della messa si fondi sul pane e il vino» Sei felice? «La felicità è una specie di ubriacatura, uno che è sempre felice o è talmente strafatto di coca e dopo un po’ muore, o ha dei problemi. C'è il momento in cui sei felice, e c'è il momento in cui sei infelice. È una domanda impossibile». Aldo Nove ha scritto Tutta la luce del mondo (Bompiani 2015) e Anteprima mondiale (La Nave di Teseo, 5 maggio 2016). Sabato 19marzoalle 13.15alfestivalBellissima (Milano, Palazzo del Ghiaccio, 18-20 marzo) parteciperà all’incontro Romanzo e mercato. MARCO GIACOSA