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Un`originale storia della scultura: il Delle Statue di Giovanni

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Un`originale storia della scultura: il Delle Statue di Giovanni
Un’originale storia della scultura: il Delle Statue di Giovanni Andrea Borboni .
Nel 1661 viene pubblicato a Roma un testo sulla scultura intitolato Delle Statue, dedicato al
cardinale Pasquale d’Aragona e composto da Giovanni Andrea Borboni, figura fino ad oggi
sconosciuta, che nel frontespizio dell’opera si autodefinisce “Prete Sanese e Dottor Teologo”.
L’autore, che, in seguito alle ricerche svolte, è risultato essere nato effettivamente a Siena nel
1624, ordinato sacerdote nel 1648, nominato dottore in sacra teologia nell’agosto del 1647 e
lettore di logica dal 1648 al 1649 presso l’università della medesima città, dichiara fin dal
primo capitolo di voler scrivere una storia della scultura e del suo progresso dalle origini fino
ai tempi moderni.
Alla figura del teologo, che, spinto da un fine dichiaratamente morale, vuole indurre i lettori
ad imitare le virtù celebrate nelle statue e nelle pitture descritte e difese dall’azione distruttrice
del tempo grazie alla penna dell’autore, si sostituisce sempre più spesso un attento osservatore
dell’arte antica e moderna, capace di comprendere ed apprezzare soprattutto la contemporanea
statuaria barocca.
L’autore ricorda infatti in questo testo molte opere d’arte antica, alcune perdute, altre ancora
esistenti a Roma, ma ne analizza poche, cogliendo, con la sensibilità di chi è abituato ad
osservare la scultura moderna, gli effetti di naturalismo epidermico e gli aspetti di maggior
coinvolgimento emotivo, e dimostrandosi totalmente disinteressato alla descrizione ecfrastica
dell’”historia”, agli affetti ed al decoro delle figure rappresentate nell’opera, come ha
evidenziato la lettura parallela di alcuni passi dedicati alle medesime sculture tratti dal Delle
Statue, dalle contemporanee Osservazioni della scoltura antica di Boselli e dalle successive
Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni di Bellori.
Lo scopo dichiarato di Borboni è presentarsi come un sostenitore degli ingegni moderni e
dimostrare, attraverso l’analisi delle opere di alcuni scultori vissuti negli ultimi due secoli, che
l’arte contemporanea non è inferiore a quella antica. Tale rivalutazione dei moderni, la cui
prima origine può essere riconosciuta nella produzione letteraria della prima metà del XVII
secolo, nella quale è possibile riscontrare anche un inatteso interesse per le arti figurative,
determina probabilmente la scelta quale modello e fonte primaria del Delle Statue delle
biografie vasariane, la cui autorità era stata messa più di una volta in discussione dalla
letteratura artistica seicentesca. Borboni infatti, seguendo fedelmente la narrazione dello
storiografo fiorentino, analizza brevemente le opere di Alfonso Lombardi, il primo artista
moderno che, vincendo Tiziano al cospetto dell’imperatore Carlo V, ha dimostrato che anche
la scultura può raggiungere la naturalezza della pittura, e di pochi altri scultori, tutti toscani e
di formazione fiorentina, come Raffaele da Montelupo, Tribolo, Baccio Bandinelli, Donatello
e Michelangelo.
La massima attenzione è rivolta alle opere del Buonarroti, artista eccezionale, che riunisce in
sé le virtù dei maggiori artefici del passato, poeta, oltre che pittore, scultore ed architetto, ed
autore della statua di Mosè di San Pietro in Vincoli, opera che viene definita “il più nobil
Compendio che si possa vedere della Scultura (…) di maniera che se mai si perdesse l’arte
dello Scolpire, basterebbe che restasse ben conservata questa statua, che non potendosi
migliorare la perfezione; è l’unico, e inarrivabile ritratto dell’Arte”.
Subito dopo il divino artefice compaiono François Duquesnoy ed Alessandro Algardi, due
scultori contemporanei prematuramente scomparsi non inferiori, secondo Borboni, al grande
fiorentino, dei quali vengono ricordati la statua di Sant’Andrea e l’Incontro tra San Leone
Magno e Attila, ed un artista vivente ed in piena attività nel 1661, anno di pubblicazione
dell’opera, Gian Lorenzo Bernini, presentato come l’erede di Michelangelo dall’autore,
secondo cui tutti i “Vecchioni Aristarchi” lodatori dei tempi antichi potranno “vedere chiari i
riverberi delli splendori del Buonaruota nelle sue Opre più stupende”. Borboni ancora una
volta non esita a descrivere ed analizzare alcune delle molte opere dell’artista, come i gruppi
di Plutone e Proserpina, di Apollo e Dafne, il David, la Fontana dei Quattro Fiumi, il deposito
di Urbano VIII ed il busto del Duca di Modena, riconoscendo in Bernini l’artista che può
provare definitivamente la superiorità della statuaria contemporanea su quella antica, e
lasciando supporre, anche grazie alla lettura comparata, una possibile influenza sul Delle
Statue dei contemporanei scritti topografici composti e pubblicati durante il pontificato di
Alessandro VII, in cui Gian Lorenzo è celebrato come l’architetto che ha costruito una nuova
Roma, capace di competere con quella antica.
Il confronto tra Bernini e Michelangelo, artista decisamente poco apprezzato dal nascente
classicismo, che poneva come modelli di perfezione formale e morale l’antico e Raffaello,
come è possibile osservare anche nei testi di Boselli e Bellori analizzati in parallelo con il
Delle Statue, ha consentito di avvicinare l’opera di Borboni non solo alle biografie berniniane,
in cui tale raffronto è sottolineato fin dalle prime pagine, ma anche con gli scritti del cardinale
Sforza Pallavicino, che per primo ha divulgato attraverso le proprie opere letterarie un
paragone ideato agli inizi della carriera di Gian Lorenzo da Maffeo Barberini.
La presenza molto forte della figura di Urbano VIII in questa opera storiografica composta a
contatto con l’ambiente culturale chigiano, come dimostra anche la dedica a Pasquale
d’Aragona, creato cardinale nel 1660 proprio da Alessandro VII, è probabilmente dovuta al
tentativo dell’autore di collegarsi al programma politico culturale del papa regnante, che in
quegli anni intendeva sottolineare la continuità tra il proprio pontificato e quello del
predecessore.
Il legame del Delle Statue con la corte pontificia romana è infatti sottolineato dall’incisione
dell’Allegoria della Scultura posta in apertura al testo realizzata, come tutte le altre
raffigurazioni incluse nel volume di Borboni, da François Spierre e Lazzaro Baldi, artisti
impegnati negli stessi anni in altre importanti commissioni papali come la nuova edizione del
Missale Romanum pubblicata nel 1662, e rappresentante una figura femminile che scolpisce
una statua di Alessandro VII assai simile a quella conclusa entro il 1663 per il Duomo di Siena
da Antonio Raggi su disegno di Bernini.
Oltre a questa immagine ed a quella della regina Cristina di Svezia, sovrana giunta a Roma nel
1655 in seguito alla conversione e simbolo della vittoria del cattolicesimo sull’“eresia”
protestante, rappresentazioni più esplicitamente legate alla figura di papa Chigi, sono però
presenti nel volume anche le incisioni del già citato Urbano VIII e del suo maestro di camera
Virginio Cesarini, figura assai cara ad Alessandro VII che pochi anni dopo la composizione
del Delle Statue rinnovò la memoria di questo autore prematuramente scomparso facendo
pubblicare alcuni suoi carmi latini, accompagnati da una biografia scritta dal Favoriti, nel
1662 all’interno dei Septem illustrium virorum poemata e le poesie volgari nel 1664.
Non potendo dimostrare con certezza se vi siano stati dei reali contatti tra l’autore ed il papa,
abbiamo almeno motivo di ritenere che il pontefice abbia posseduto questo testo, dal momento
che nel fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato un bel volume del
Delle Statue, con rilegatura in pelle e gli stemmi in oro di papa Alessandro VII sulla coperta, e
della famiglia Chigi sulla costola, supposizione che sembrerebbe essere confermata dal fatto
che Borboni, come viene rivelato da una lettera scritta dallo stesso autore e spedita da Roma il
17 dicembre 1661 al Granduca di Toscana, donò una copia della propria opera alla famiglia
Medici.
Questo testo, benché poco noto, e pur presentandosi come una storia della scultura composta
con finalità morali, è quindi un’importante testimonianza letteraria della fortuna e del
consenso ricevuto dalla statuaria moderna e contemporanea, soprattutto barocca, e da Bernini
nella seconda metà del Seicento, che si inserisce perfettamente all’interno della politica
culturale del pontefice Alessandro VII, attento in quegli anni a porsi come un continuatore
della politica barberiniana, a valorizzare la Roma antica ed anche a costruire una città
moderna in grado di competere con quella del passato.
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