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Le sanzioni disciplinari

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Le sanzioni disciplinari
SED LEX
Dossier anno 3 n. 6-2012
Le sanzioni disciplinari
Premessa...........................................................................................................................................................................2
L’avvertimento e la censura......................................................................................................................................3
La sospensione...............................................................................................................................................................4
La cancellazione
............................................................................................................................................................7
Gli effetti della cancellazione dall’albo professionale.....................................................................................9
La radiazione dall’albo...............................................................................................................................................10
L’esecuzione delle sanzioni.....................................................................................................................................11
La reiscrizione del professionista radiato
.........................................................................................................12
Riferimenti giurisprudenziali..................................................................................................................................13
Sul procedimento disciplinare: il potere di irrogazione delle sanzioni disciplinari........................................................................13
Sull’avvertimento e la censura............................................................................................................................................14
Sulla sospensione..............................................................................................................................................................15
Sulla legittimità della sospensione cautelare.........................................................................................................................16
Sulla cancellazione ............................................................................................................................................................17
Sugli effetti della cancellazione dall’albo professionale...........................................................................................................18
Sulla radiazione dall’albo....................................................................................................................................................19
Sull'esecuzione delle sanzioni..............................................................................................................................................19
Sulla reiscrizione del professionista radiato ..........................................................................................................................20
Quesiti Clinico-Assistenziali – anno 3, n.6, ottobre 2012
©Editore Zadig via Ampére 59, 20133 Milano
www.zadig.it - e-mail: [email protected]
tel.: 02 7526131 fax: 02 76113040
Direttore: Roberto satolli
Redazione:: Nicoletta Scarpa
Autore dossier: Katia Scarpa
a
Le sanzioni disciplinari
1.
Premessa
A conclusione del procedimento disciplinare il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati infligge una sanzione (c.d.
“disciplinare”).
Dopo la fase disciplinare amministrativa innanzi al Consiglio dell’Ordine, anche la fase giurisdizionale in senso stretto è gestita da un organo di giurisdizione domestica: il Consiglio Nazionale forense.
Alla Suprema Corte di Cassazione resta il controllo finale di legittimità. A essa, perciò, è precluso ogni potere
di verifica sulla congruità della sanzione.
La ragione dell’istituzione, e del mantenimento, della c.d. giurisdizione domestica risiede nella necessità di
indipendenza della classe forense. La Suprema Corte di Cassazione, a sezioni Unite, con la decisione 10 feb braio 1998, n. 1342 ha infatti statuito che “l’adeguatezza della sanzione inflitta all’incolpato dal Consiglio
Nazionale forense non è censurabile dalla Corte di Cassazione atteso che è riservato agli organi disciplinari
il potere di determinare la sanzione più rispondente alla gravità e alla natura dell’offesa arrecata al presti gio dell’ordine professionale”. E ancora: “L’apprezzamento della rilevanza dei fatti accertati rispetto alle incolpazioni formulate e la scelta della sanzione appartengono all’esclusiva competenza degli organi disciplinari, le cui determinazioni sfuggono al controllo di legittimità, a meno che non si traducano in un palese
sviamento di potere, inteso come esercizio del potere disciplinare in modo avulso dai fini per cui è conferito
dalla legge” (in senso conforme il Supremo Collegio si è pronunciato con la decisione 06.04.2001 n.150).
Le sanzioni disciplinari, che possono essere inflitte dal Consiglio dell’Ordine, sono fissate dall’articolo 40 del
R.D.L. 27.11.1933 n.1578 e succ. modif. (cosiddetta Legge Professionale forense) il quale prescrive: “ Le pene
disciplinari, da applicarsi secondo i casi, sono:
1° l'avvertimento, che consiste nel richiamare il colpevole sulla mancanza commessa e nell'esortarlo a
non ricadervi, ed è dato con lettera del Presidente del Consiglio dell'ordine;
2° la censura, che è una dichiarazione formale della mancanza commessa e del bilancio incorso;
3° la sospensione dall'esercizio della professione per un tempo non inferiore a due mesi e non maggiore di un anno, salvo quanto è stabilito nell'art. 43;
4° la cancellazione dall'albo
5° la radiazione dell'albo”.
L’incipit della disposizione in parola, nell’enunciare che le sanzioni devono “applicarsi secondo i casi”, riconduce l’individuazione della misura afflittiva a un ampio potere discrezionale del Consiglio dell’Ordine e lascia
intendere che in ogni caso, la pena irrogata deve essere UNICA e proporzionata al fatto commesso.
D’altra parte, il codice di deontologia all’art.2 prevede che <<Spetta agli organi disciplinari la potestà di infliggere le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione delle norme deontologiche. Le sanzioni devono
essere adeguate alla gravità dei fatti e devono tener conto della reiterazione dei comportamenti nonché
delle specifiche circostanze, soggettive e oggettive, che hanno concorso a determinare l'infrazione.>>
Il successivo art.3 al 2° comma, poi, pone al centro del giudizio disciplinare <<il comportamento complessivo dell'incolpato>>.
Il giudizio disciplinare, dunque, è volto all’individuazione della sanzione che più si adegui alla gravità del fat to e al comportamento dell’avvocato.
Sotto questo aspetto merita segnalare il pensiero della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza a sezioni Unite 9.04.1999 n.229, per cui agli organi disciplinari è riservato il potere di determinare la sanzione “ più
rispondente alla gravità e alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale”1
Tra gli interpreti non è mancato chi ha precisato che, in ragione del principio di proporzionalità della pena al
fatto commesso, nella fase decisionale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati deve valutare tutte le “ATTENUANTI” che, pur non richiamate espressamente da alcune norme di legge come applicabili al giudizio disciplinare, finiscono non solo per essere mutuate dal diritto penale, ma addirittura introdotte in forme nuove e
inusuali. Vengono così applicate le più varie ipotesi di attenuanti, quali la giovane età dell’incolpato (ovvero
l’età avanzata), i buoni precedenti disciplinari, la salute malferma, lo stato di indigenza, l’onestà degli utenti,
il ravvedimento (e perfino il “presumibile ravvedimento). E così, il Consiglio dell’Ordine di Lecco, con la decisione 26.05.2001 è giunto a ritenere – quale valida attenuante - anche “la apprezzata arringa del difensore
officiato”.
D’altra parte, le <<AGGRAVANTI>> (quasi inesistenti) vengono ricondotte all’esistenza di precedenti disciplinari dell’incolpato, a intenti truffaldini, alla gravità dei fatti commessi.
1
In senso conforme si veda altresì Cass. Civ. sez. Unite, 12.12.2001 n.15713 nonché Cass. Civ. sez. Unite, 23.01.2004 n.1229 e Cass.
Civ. sez. Unite 13.01.2003 n.326
-2-
Le sanzioni disciplinari
2.
L’avvertimento e la censura
L’avvertimento e la censura sono due sanzioni c.d. “formali”, perché non incidono sull’attività professionale
dell’incolpato, ma ne deplorano la condotta.
Secondo quanto dispone l’art.50:
 L’avvertimento consiste nel richiamo in ordine alla violazione compiuta e nell’esortazione a non
ripetere il comportamento tenuto.
E’ dato con lettera del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la decisione 12.09.2002 n.134, ha precisato al riguardo che
“L'avvertimento costituisce una pena disciplinare e non una semplice misura correttiva sfornita di
carattere sanzionatorio. Pertanto la decisione che la irroga, come qualsiasi altra decisione disciplinare,
deve essere notificata, ex articolo 50 l.p. n. 1578/33, a mezzo dell'ufficiale giudiziario sia ai fini della
comunicazione formale del provvedimento che per la decorrenza del termine di impugnazione. La
lettera del Presidente, ex art. 40 l.p., è, invece, una modalità dell' avvertimento e andrà inoltrata
allorché il provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo”.
Vale segnalare, peraltro, che il Consiglio nazionale forense, con la decisione 19.02.2002, n. 2 ha ritenuto
comunque “legittima la decisione del Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di dare
esecuzione alla sanzione dell'avvertimento con la semplice lettura del dispositivo della decisione
disciplinare, essendo la comunicazione formale, prevista dall'art. 40 R.D.L. 1578/33, mero atto
accessorio lasciato alla discrezionalità del Presidente medesimo.”
 La censura consiste nella formale dichiarazione della mancanza commessa e del conseguente biasimo.
-3-
Le sanzioni disciplinari
3.
La sospensione
La sospensione rientra nell’ambito delle sanzioni c.d. “sostanziali”, che impediscono, in via temporanea o
definitiva (come nel caso della cancellazione dall’albo) l’esercizio della professione.
La sospensione è l’inibizione all’esercizio della professione per un tempo non inferiore a due mesi e non superiore a un anno.
Secondo quanto prescrive l’art.43 del RDL n.1578/1933, <<Oltre i casi di sospensione dall'esercizio della
professione preveduti nel codice penale, importano di diritto la sospensione dall'esercizio della
professione:
 a) il ricovero in un manicomio giudiziario fuori dei casi preveduti nell'articolo precedente, il ricovero in
una casa di cura o di custodia, l'applicazione di una tra le misure di sicurezza non detentive prevedute
nell'articolo 215 del codice penale, comma terzo, numero 1) , 2) e 3) ;
 b) l'applicazione provvisoria di una pena accessoria o di una misura di sicurezza, ordinata dal giudice a
norma degli articoli 140 e 206 del codice penale.
La sospensione è dichiarata dal Consiglio dell'ordine, sentito il professionista.
Il Consiglio può pronunciare, sentito il professionista, la sospensione dell'avvocato o del procuratore sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale o contro il quale sia stato emesso mandato od
ordine di comparizione o di accompagnamento, senza pregiudizio delle più gravi sanzioni.
Nei casi preveduti nel presente articolo la durata della sospensione non è assoggettata al limite stabilito
nell'articolo 40, n. 3.>>
In sede interpretativa, pertanto, si distinguono diverse ipotesi di sospensione dall’esercizio della professione
forense e precisamente:
 il caso di sospensione comminato ai sensi delle disposizioni del codice penale;
 il caso particolare di sospensione di diritto conseguente al ricovero dell’avvocato presso un ospedale
psichiatrico giudiziario (art.215 c.p.) o in caso di custodia o cura;
 il caso particolare di sospensione di diritto conseguente all’applicazione di una misura di sicurezza non
detentiva di cui all’art.215 c.p. ovvero all’applicazione provvisoria – ex art.104 e 206 c.p. – di una pena
accessoria o di una misura di sicurezza;
 il caso della sospensione cautelare conseguente all’applicazione di una misura di prevenzione della
sorveglianza speciale ovvero di un mandato o ordine di comparizione o di accompagnamento.
Al riguardo, vale evidenziare che le ipotesi di sospensione imposta di “diritto”, cioè senza alcuna possibilità di
indagine da parte del Consiglio dell’Ordine, sollevano dubbi di costituzionalità nel caso in cui siano adottate
senza ascoltare le ragioni del professionista e senza il necessario rispetto del principio di proporzione, che
consente di adeguare la sanzione al caso concreto, secondo gli insegnamenti della Corte Costituzionale, che si
è pronunciata (seppure con riferimento ad altre professioni) con la sentenza 02.02.1990 n.40.
Occorre precisare, inoltre, che la sospensione cautelare (per il caso in cui l’avvocato sia sottoposto a sorveglianza speciale ovvero sia stato destinatario di un mandato o ordine di accompagnamento o di comparizione) è una misura sanzionatoria facoltativa. Tale provvedimento, di natura cautelare, non è una
vera e propria sanzione ed è svincolata dalle forme e garanzie del procedimento disciplinare.
Competente ad adottare il provvedimento di sospensione cautelare è il Consiglio dell’Ordine che ha la custo dia dell’Albo, il quale esercita un potere assolutamente discrezionale, sottratto a qualsiasi sindacato, salvo il
controllo del Consiglio Nazionale Forense sotto il profilo della violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere.
Secondo l’interpretazione della giurisprudenza più accorta, si tratta di un provvedimento con il fine specifico
di tutelare la professione dell’avvocato e preservarne la funzione sociale dalle menomazioni del prestigio che
possono conseguire alla notizia dell’assoggettamento dell’avvocato a procedimenti penali per fatti gravi e
condotte di reato.
Il Consiglio Nazionale Forense con la decisione 17.4.2008, n.88 (che richiama la precedente del C. N. F.
28.12.2007, n. 207, ma in senso conforme il Consiglio si è espresso più recentemente con le decisioni
25.6.2009, n. 86 e 24.9.2009, n. 122) ha affermato il convincimento per cui “La misura cautelare prevista
dall'ordinamento professionale forense ha la funzione di salvaguardare la professione dell'avvocato e di
preservarne la funzione sociale dalle menomazioni del prestigio che possono conseguire alla notizia dell'assoggettamento dell'avvocato a procedimento penale per fatti gravi e condotte costituenti reato: la decisio ne fa riferimento, opportunamente, alla funzione sociale della professione legale.”
In passato il Consiglio Nazionale Forense ha ripetutamente evidenziato la necessità di tutelare l’immagine e il
prestigio della classe forense, anche con la decisione 17.11.1994 n.115 con la quale è stato ritenuto che “La ra-4-
Le sanzioni disciplinari
tio che assiste l'istituto della sospensione cautelare sta nell'esigenza di tutela dell'immagine della classe fo rense che viene offuscata allorché l'iscritto all'albo è accusato di essersi macchinato di gravi colpe. Le condizioni previste dalla legge professionale, quali il mandato di comparizione o di accompagnamento, rap presentano la soglia minima, al di sotto della quale il provvedimento di sospensione non può essere adottato. I fatti o gli atti che, per gravità o per efficacia, oltrepassino la predetta soglia minima, non soltanto non
possono essere di ostacolo alla misura cautelare, ma conferiscono all'adozione di essa una più accentuata
legittimazione”.
Pur essendo svincolato dalle forme e garanzie tipiche del procedimento disciplinare, si ritiene si tratti di un
provvedimento costituzionalmente legittimo, tenuto conto che presuppone comunque la colpevolezza dell’incolpato e dispone le garanzie più idonee per l’ipotesi che tale colpevolezza venga penalmente accertata e di chiarata.
Ai fini dell'emissione del provvedimento di sospensione cautelare, da parte del Consiglio dell'ordine degli av vocati e procuratori, è sufficiente l'emissione di un provvedimento di custodia cautelare unitamente a una valutazione della gravità dei fatti addebitati al professionista incolpato. (Così C.N.F. 27.12.1994 n.174)
Sotto questo aspetto merita segnalare la decisione del Consiglio Nazionale Forense del 6.12.2006 n.137 per
cui “in presenza di un’oggettiva sussistenza del fumus, del clamore suscitato nella pubblica opinione e della
tipologia del reato particolarmente incidente sull’affidabilità dell’avvocato, deve ritenersi legittima la so spensione cautelare deliberata dal Consiglio degli Avvocati locale, qualora il professionista venga riconosciuto colpevole del reato di truffa aggravata ai danni di un proprio cliente e la stampa locale e nazionale
dia alla notizia ampia diffusione.
La sospensione cautelare dall’esercizio della professione, avendo il suo normale presupposto nella semplice
emanazione di un mandato o ordine di comparizione e, a fortiori, in ogni provvedimento più grave, richie de unicamente una valutazione della gravità delle imputazioni mosse al professionista, prescindendo dalla
valutazione della fondatezza delle stesse che, invece, deve formare oggetto del giudizio penale ed eventual mente del successivo giudizio disciplinare.”
Seppure di carattere discrezionale, il provvedimento di sospensione cautelare può essere adottato unicamen te in presenza dei presupposti ex lege che lo legittimano. E così il Consiglio Nazionale Forense, con la decisione 11.11.2006 n.105 ha ritenuto che “Il provvedimento di sospensione cautelare, legittimamente adottato
dal Consiglio degli Avvocati locale in base alla oggettiva esistenza e gravità delle accuse contestate al pro fessionista e al clamore suscitato dalle stesse, deve essere revocato qualora i presupposti che ne hanno mo tivato l’emissione vengano successivamente meno.”
Nel medesimo senso si era espresso in precedenza, con la decisione 21.02.1996 n.9 per la quale “La misura
della sospensione cautelare inflitta al professionista in presenza di fatti gravi emersi da procedimenti pe nali a suo carico, non ha ragione di essere mantenuta e deve essere pertanto revocata, quando i giudizi penali si siano conclusi, atteso che in questo caso il Consiglio dell'ordine è chiamato a emettere un provvedi mento disciplinare definitivo (di proscioglimento o sanzionatorio).”
Vale la pena evidenziare, inoltre, che il summenzionato R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 43, dopo avere indicato
le ipotesi che contemplano la sospensione dell'esercizio della professione forense, stabilisce che, in tutti i
casi consentiti, essa (commi 2 e 3) è pronunciata dal Co nsiglio dell'Ordine "sentito il professionista". Pertanto, analogamente a quanto si verifica in sede penale, anche nel procedimento disciplinare viene sempre garantito all'incolpato il diritto di essere convocato e di esporre le proprie difese avanti al suo "giudice
naturale", che è soltanto il "petitum" del Consiglio dell'Ordine. La disposizione contenuta nel menzionato
art.43 è chiara nel prescrivere che il Consiglio dell'Ordine non possa adottare alcun provvedimento senza
aver prima consentito al professionista di esporre le proprie difese. La sua ratio va ravvisata nell'esigenza di
garantire i diritti costituzionalmente protetti del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa. Nessuna eccezione è ipotizzabile neppure nel procedimento sommario volto all'adozione di provvedimenti cautelari. Infatti, è vero che si tratta di provvedimenti sempre revocabili, ma è decisiva la considerazione che, anche in
ragione della loro esecutività immediata, essi possono incidere sull'onorabilità e sugli interessi del professionista in misura rilevante e persino superiore rispetto alle stesse sanzioni disciplinari. L'audizione dell'incolpato costituisce in tutte le ipotesi un adempimento essenziale e privo di equipollenti. (Cfr. Cassazione civile sez.
unite 01.03.2012 n.3182).
Merita evidenziare, infine, che il provvedimento di sospensione cautelare è immediatamente esecutivo e non
è assoggettato al limite massimo di un anno stabilito dall’art.40 n.3 della legge professionale.
L’art. 43 della legge professionale forense, all’ultimo comma dispone infatti: “… Nei casi preveduti nel presente articolo la durata della sospensione non è assoggettata al limite stabilito nell'articolo 40, n. 3”.
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Le sanzioni disciplinari
Sulla legittimità della sospensione cautelare si è pronunciata anche la Suprema Corte di Cassazione a sezioni
Unite, tra l’altro, con le seguenti decisioni che si segnalano:
 la sentenza 29.10.1979 n.5573 a tenore della quale: “Il potere dei consigli dell'ordine degli avvocati e
procuratori di infliggere, in esito a procedimento disciplinare e a norma degli articoli 40 e 43 del regio
decreto legge 27/11/1933 n. 1578, la grave sanzione della sospensione dall'esercizio professionale non
implica, in relazione alla natura amministrativa dell'attività di detti consigli, alcuna violazione del
diritto di difesa dell'incolpato, il quale può ricorrere al consiglio nazionale forense, che svolge attività
giurisdizionale, e manifestamente non si pone in contrasto con l'articolo 4 della Costituzione, sul diritto
al lavoro, vertendosi in tema di limitazioni, cui il diritto stesso soggiace in casi specifici e per espressa
disposizione di legge, giustificate da esigenze di tutela di interessi generali..”;
 la decisione 20.05.1992 n.6084 per cui “E' manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 43, terzo comma del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 - come sostituito dalla
legge 17 febbraio 1971 n. 91, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nelle parti in cui, conferendo al
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori il potere di assoggettare alla sospensione
dall'esercizio della professione a tempo indeterminato l'avvocato colpito da mandato o ordine di
comparizione o accompagnamento, razionalmente riserva ai suddetti professionisti, in coerenza alle
esigenze di reputazione personale e di dignità della classe forense un trattamento diverso da quello
praticabile, in ipotesi analoga, ai pubblici dipendenti, attesa la non omogeneità delle posizioni poste a
confronto;
 la pronuncia 15.12.2008 n.29294 per la quale “In tema di procedimento disciplinare a carico di un
avvocato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 50 del r.d.l. 27
novembre 1933, n. 1578, onde consentire, nella prospettiva del giusto processo (art. 111, primo e secondo
comma, Cost.), un più rapido intervento di un giudice terzo e imparziale sulla legittimità dell'avvio
dell'anzidetto procedimento, deve ritenersi ammissibile il ricorso al Consiglio nazionale forense avverso
la decisione con la quale il locale Consiglio dell'ordine stabilisce d'iniziare il procedimento medesimo .”
-6-
Le sanzioni disciplinari
4.
La cancellazione
Altra sanzione c.d. “sostanziale” è la cancellazione dall’albo, che si sostanzia nella privazione della possibilità
di esercitare la professione forense per un tempo illimitato.
La cancellazione dall’albo degli avvocati è prevista dal legislatore con tre diverse disposizioni:
 l’art.16/2° comma del RDL n.1578/1933 a tenore del quale <…Il Consiglio dell'ordine degli avvocati
[e dei procuratori] procede al principio di ogni anno alla revisione degli albi e alle occorrenti variazioni,
osservate per le cancellazioni le relative norme. La cancellazione è sempre ordinata qualora la revisione
accerti il difetto dei titoli e requisiti in base ai quali fu disposta l'iscrizione, salvo che questa non sia stata
eseguita o conservata per effetto di una decisione giurisdizionale concernente i titoli o i requisiti
predetti.>>;
 l’art.37 del medesimo RDL n.1578/1933, per il quale <<La cancellazione dagli albi degli avvocati [e
dei procuratori] è pronunciata dal Consiglio dell'ordine, di ufficio e su richiesta del Pubblico Ministero:
1) nei casi di incompatibilità;
2) quando sia venuto a mancare uno dei requisiti indicati nei numeri 1) e 2) dell'art. 17 2, salvi i casi di
radiazione;
3) quando [il procuratore] non osservi l'obbligo della residenza;
4) quando l'avvocato trasferisca la sua residenza fuori della circoscrizione del Tribunale presso cui è
iscritto;
5) quando l'iscritto non abbia prestato giuramento senza giustificato motivo entro trenta giorni dalla
notificazione del provvedimento di iscrizione, fermo per altro il disposto dell'art. 12, comma secondo;
6) quando l'iscritto rinunci all'iscrizione.
La cancellazione, tranne nel caso indicato nel numero 6) , non può essere pronunciata se non dopo aver sentito l'interessato nelle sue giustificazioni.
Le deliberazioni del Consiglio dell'ordine in materia di cancellazione sono notificate, entro quindici giorni, all'interessato ed al Pubblico Ministero presso la Corte d'appello ed il Tribunale.
L'interessato ed il Pubblico Ministero possono presentare ricorso al Consiglio nazionale forense nel termine
di quindici giorni dalla notificazione.
Il ricorso proposto dall'interessato ha effetto sospensivo.
L'avvocato [e il procuratore] cancellati dall'albo a termini del presente articolo hanno il diritto di esservi nuo vamente iscritti qualora dimostrino, se ne è il caso, la cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione e l'effettiva sussistenza dei titoli in base ai quali furono originariamente iscritti, e siano in possesso dei
requisiti di cui ai numeri 1) , 2) e 3) dell'art. 17. Per le reiscrizioni sono applicabili le disposizioni dell'art. 31.
[Le reiscrizioni nell'albo dei procuratori a norma del comma precedente hanno luogo indipendentemente dal
numero dei posti da conferirsi nell'anno, per concorso, né di esse si tiene conto ai fini della determinazione
del numero dei posti da mettersi a concorso per l'anno seguente].
Non si può pronunciare la cancellazione quando sia in corso un procedimento penale o disciplinare.
L'avvocato riammesso nell'albo a termini del sesto comma del presente articolo è anche reiscritto nell'albo
speciale di cui all'art. 33 se ne sia stato cancellato in seguito alla cancellazione dall'albo del Tribunale al quale
era assegnato
 l’art.42/2° comma del RDL n.1578/1933, il quale dispone: <Importano di diritto la cancellazione
dagli albi:
a) l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dall'esercizio della professione di avvocato [o di
procuratore];
b) il ricovero in manicomio giudiziario nei casi indicati nell'articolo 222, comma secondo, del codice
penale;
c) l'assegnazione ad una colonia agricola od a una casa di lavoro.
I provvedimenti preveduti nel presente articolo sono adottati dal Consiglio dell'ordine, sentito il professioni sta.
Merita soffermarsi sulla disposizione contenuta nell’art.42 appena citato, per cui, quando l’iscritto sia
stato interdetto temporaneamente dai pubblici uffici o dall’esercizio della professione (artt. 8-
L’art.17 del R.D.L. 27.11.1933 n.1578 dispone che <<per l'iscrizione nell'albo dei procuratori è necessario:
1° essere cittadino italiano o italiano appartenente a regioni non unite politicamente all'Italia;
2° godere il pieno esercizio dei diritti civili;
3° “Omissis”; .>>
2
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Le sanzioni disciplinari
31 c.p.) ovvero sia stato ricoverato in un ospedale psichiatrico giudiziario nei casi di cui
all’art.222/2° comma c.p., la cancellazione dall’albo opera DI DIRITTO.
Come si è già avuto modo di osservare con riferimento alla sospensione dall’esercizio della professione dispo sta “di diritto” dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per il caso previsto dall’art.43 del RDL n.1578/1933,
anche con riguardo alla cancellazione dall’albo la cui applicazione è prevista in via automatica dal legislatore
(“di diritto”), tra gli interpreti prevale il pensiero che si tratti di sanzione incostituzionale qualora non venga
garantito il contraddittorio con il professionista e non venga garantita l’adeguatezza della sanzione al caso
concreto, secondo i precetti più volte ripetuti dalla Corte Costituzionale (seppure con riferimento ad altre
professioni) per cui il principio di proporzione deve sempre garantire l’“adeguatezza della sanzione al caso concreto” (così C. Cost. 02.02.1990 n.40).
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Le sanzioni disciplinari
5.
Gli effetti della cancellazione dall’albo
professionale
Merita soffermarsi brevemente sugli effetti derivanti dalla cancellazione dall’albo professionale.
Il più vistoso si verifica nell’ambito del processo: e infatti il professionista cancellato dall’albo decade dall’uf ficio di avvocato ed è privato dello jus postulandi.
Sotto questo profilo è interessante la decisione della Suprema Corte di Cassazione sez. 2^ civ. 06.03.2003
n.3299 per cui “la cancellazione dall’albo professionale – ancorché disposta a domanda dell’interessato –
comporta la decadenza dall’ufficio di avvocato e la cessazione dello stesso “jus postulandi”, con conseguente
mancanza di ogni legittimazione del difensore a compiere e ricevere atti processuali. E’ pertanto giuridica mente inesistente la notificazione del ricorso per cassazione presso il suddetto difensore, siccome effettuata
presso un soggetto privo di qualunque collegamento con la parte al momento della notificazione stessa”. (In
senso conforme si vedano le sentenze a sezioni Unite 03.05.1993 n.5092 e 07.11.2011 n.23022).
Nel medesimo senso si è pronunciato il Consiglio Nazionale forense (v. decisione 01.09.2004), il quale ha ritenuto che la perdita dello jus postulandi determini altresì l’inammissibilità del ricorso al Consiglio Nazionale Forense proposto personalmente dal professionista avverso il provvedimento adottato dal Consiglio dell’Ordine.
Per la Suprema Corte di Cassazione, però, (v. sentenza 23.05.2000 n.6684) la cancellazione dall’albo non
comporta né l’interruzione del processo se ignota al giudice procedente e alle altre parti, né, conseguentemente, la nullità della sentenza per mancata declaratoria di interruzione del processo causata da un evento
ignoto al giudice procedente.
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Le sanzioni disciplinari
6.
La radiazione dall’albo
Tra le sanzioni c.d. “sostanziali”, che impediscono l’esercizio della professione, vi è altresì la radiazione dall’albo.
Si tratta della privazione della possibilità di esercitare la professione forense, nel caso in cui, la condotta del l’avvocato abbia compromesso la reputazione e la dignità della classe forense.
L’art.41 della legge professionale forense, dispone al riguardo: “La radiazione è pronunciata contro l'avvocato [o il procuratore] che abbia comunque, con la sua condotta, compromesso la propria reputazione e la
dignità della classe forense”.
Come per il caso della cancellazione dall’albo “di diritto”, il legislatore, con l’art.42 L. 36/1934 ha previsto la
radiazione di diritto dagli albi quando l’avvocato sia stato interdetto illimitatamente dai pubblici uffici o dall’esercizio della professione (artt. 28- 31 c.p.) ovvero sia stato condannato per i reati previsti dagli artt.372
c.p. (falsa testimonianza) 373 c.p. falsa perizia o interpretazione) 374 c.p. (frode processuale) 377 c.p. (subor nazione) 380 c.p. (patrocinio o consulenza infedele) e 381 c.p. (altre infedeltà del patrocinatore o del consu lente tecnico).
Al riguardo, il Supremo Collegio, con la sentenza a sezioni Unite 18.10.1984 n.5243 ha statuito che non si
tratta di una "pena accessoria", ancorché sia prevista come conseguenza automatica di una condanna penale.
Conseguentemente, a essa non si applicano i principi di diritto contenuti nell'art.2 del codice penale.
Come per la cancellazione di diritto, anche per la radiazione di diritto, tra gli interpreti è condiviso il pensiero
per cui l’art. 42 della legge professionale forense sarebbe incostituzionale nella parte in cui ammette l’opera tività di “diritto” della cancellazione e della radiazione dall’albo, con procedure sommarie e abbreviate, qualora non venisse garantito il contraddittorio con l’incolpato nell’ambito di un procedimento disciplinare “ giusto”, volto ad adeguare la sanzione al singolo caso concreto.
Sotto questo profilo merita ricordare ancor una volta il pensiero della Corte Costituzionale (con riferimento
ad altre professioni) per cui il principio di proporzione deve sempre regolare “l’adeguatezza della sanzione al
caso concreto” (Corte Costituzionale 02.02.1990 n.40).
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Le sanzioni disciplinari
7.
L’esecuzione delle sanzioni
Una delle questioni che ancora suscita contrasti tra gli interpreti riguarda la decorrenza degli effetti dei prov vedimenti sanzionatori e la conseguente sorte degli obblighi previdenziali.
Le disposizioni normative, infatti, appaiono contraddittorie.
Si osservi:
 L’art.40 del R.D.L. 27.11.1933 n.1578 precisa soltanto che l’avvertimento “… è dato con lettera del
Presidente del Consiglio dell'ordine”.
 Secondo quanto prescrive la disposizione contenuta nell’art.46 della legge professionale forense, i
provvedimenti di radiazione e sospensione sono comunicati a tutti i Consigli dell’Ordine degli Avvocati
della Repubblica e alle autorità giudiziarie del distretto al quale il professionista appartiene.
 L’art.7 del d.lg.c.p.s. 28.05.1947 n.597 dispone, altresì che “Le deliberazioni concernenti le iscrizioni e le
cancellazioni nell'albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori
sono comunicate all'interessato e al Pubblico Ministero presso la Corte suprema di cassazione con
lettera raccomandata con avviso di ricevimento. L'interessato e il Pubblico Ministero possono
proporre ricorso avverso le deliberazioni predette entro trenta giorni dalla comunicazione al Consiglio
nazionale forense, il quale decide senza l'intervento dei componenti del comitato previsto dall'articolo
precedente. Il Consiglio dell'ordine competente è informato della deliberazione di cui al comma primo”
Parte degli interpreti ritiene, perciò, che anche con riguardo ai provvedimenti sanzionatori di cancellazione
dall’albo debba ritenersi sufficiente la mera comunicazione.
L’art.50 del medesimo R.D.L. n.1578/1933, d’altra parte, riferendosi a tutte le decisioni del Consiglio
Nazionale Forense e dei Consigli dell’Ordine locali, prescrive che le stesse “… sono notificate in copia
integrale entro quindici giorni all'interessato e al Pubblico Ministero presso il Tribunale, al quale sono
comunicati contemporaneamente anche gli atti del procedimento disciplinare”.
Altra parte degli interpreti ritiene, dunque, che anche i provvedimenti sanzionatori del Consiglio Nazionale
Forense e dei Consigli dell'Ordine locali debbano essere formalmente notificati all'interessato.
Sotto questo aspetto, merita ricordare il pensiero espresso dal Consiglio Nazionale Forense, con la decisione
12.09.2002 n.134, per il quale “L'avvertimento costituisce una pena disciplinare e non una semplice misura
correttiva sfornita di carattere sanzionatorio. Pertanto la decisione che la irroga, come qualsiasi altra
decisione disciplinare, deve essere notificata, ex articolo 50 l.p. n. 1578/33, a mezzo dell'ufficiale giudiziario
sia ai fini della comunicazione formale del provvedimento che per la decorrenza del termine di
impugnazione. La lettera del Presidente, ex art. 40 l.p., è, invece, una modalità dell'avvertimento e andrà
inoltrata allorché il provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo”.
Sul tema, il Supremo Collegio ha precisato però che "...la notificazione della decisione del Consiglio dell'ordine è necessaria soltanto nei confronti dell'incolpato e non anche nei confronti del suo difensore e che solo
alla effettuazione della prima deve aversi riguardo, al fine di verificare se vi sia stata osservanza del termine di venti giorni per il ricorso davanti al Consiglio nazionale forense; ed ha ritenuto altresì che una siffat ta disciplina manifestamente non si pone in contrasto con gli art. 24 e 3 Cost., considerato che le qualità
dell'incolpato stesso, e quindi il suo bagaglio di conoscenze tecnico - giuridiche, rendono detta notificazione
idonea ad assicurare l'esercizio del diritto di difesa in fase d'impugnazione e non consentono di ravvisare
un'ingiustificata, disparità di trattamento, in relazione alle diverse regole inerenti alla comunicazione dei
deposito della sentenza resa in esito al procedimento penale, anche alla stregua della non equiparabilità di
quest'ultimo al procedimento disciplinare." (così Cass. sez. Unite 15.02.2005 n.2981)
L'incertezza interpretativa si registra anche con riguardo al momento di esecuzione dei provvedimenti sanzionatori.
I più ritengono che le sanzioni debbano essere eseguite solo se la condanna è definitiva o esecutiva e tenuto
conto che la decisione del Consiglio dell’Ordine impugnata davanti al Consiglio Nazionale Forense non è
provvedimento esecutivo, concludono che la sanzione debba essere eseguita solo dopo l’intervenuta decisione
del Consiglio Nazionale Forense.
Al riguardo la Corte di Cassazione a sezioni unite, con la sentenza 06.6.2003 n.9075 ha espresso il convincimento per cui “la sentenza del Consiglio Nazionale Forense che applica una sanzione disciplinare è esecuti va dal giorno successivo a quello della sua notifica all’incolpato e non dalla notifica di un posteriore provvedimento del Consiglio dell’Ordine”.
In precedenza, era prassi tra i Consigli dell’Ordine di fissare con proprio provvedimento la data di decorrenza
della sospensione (o cancellazione o radiazione) dopo aver ricevuto notizia della decisione del Consiglio Nazionale Forense e aver lasciato trascorrere il termine per l’eventuale ricorso in Cassazione (ovvero trascorsi i
termini dell’eventuale appello al Consiglio Nazionale Forense).
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Le sanzioni disciplinari
8.
La reiscrizione del professionista radiato
L’art. 47 della legge professionale forense prescrive: “Il professionista radiato dall'albo può esservi reiscritto
purché siano trascorsi almeno cinque anni dal provvedimento di radiazione, e, se questa derivò da condan na, sia intervenuta la riabilitazione. Il termine è di sei anni se la condanna fu pronunciata per delitto com messo con abuso di prestazione dell'opera di avvocato [o di procuratore], ovvero per delitto contro la Pub blica Amministrazione, contro l'Amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica o contro il patri monio.
Il termine rispettivo di cinque e di sei anni decorrerà, nel caso in cui il professionista sia stato sottoposto a
sospensione cautelare, dalla data di sospensione.
Sull'istanza di riammissione provvede il Consiglio dell'ordine che tiene l'albo per il quale è domandata la re iscrizione. Si applicano le disposizioni dell'art. 31.”
Il professionista radiato può, dunque, chiedere al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di essere nuovamente
iscritto, purché siano decorsi ALMENO CINQUE ANNI ovvero sia intervenuta la riabilitazione, nel caso in cui la
radiazione sia derivata da condanna penale.
Il termine è DI 6 ANNI se la condanna sia stata pronunciata per delitto connesso con abuso della prestazione
d’opera professionale ovvero per delitto contro la pubblica amministrazione o l’amministrazione della giusti zia, contro la fede pubblica ovvero contro il patrimonio.
Nel caso in cui, prima della condanna, il professionista sia stato sottoposto a sospensione cautelare, i termini
di 5 o 6 anni decorrono dalla data di sospensione.
La competenza a decidere in ordine alla domanda di reiscrizione dell’avvocato radiato è del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati a cui la domanda è rivolta.
L’art.4 del DLgs c.p.s. 28.05.1947 n.597 dispone infatti che “Fermi rimanendo i termini stabiliti dall’art.1
n.17 della L. 23 marzo 1940 n.254 sulla domanda di reiscrizione del professionista radiato dall’albo è com petente in ogni caso a deliberare il Consiglio dell’Ordine che tiene l’albo per il quale è domandata la reiscri zione”.
Il Consiglio dell’Ordine dovrà, dunque, valutare “ex novo” se ricorrono tutti i requisiti di legge per l’iscrizione.
Gli interpreti ritengono per lo più che, pur in assenza di un’espressa previsione normativa, anche nel caso di
cancellazione dall’albo sia possibile la reiscrizione all’albo, salvo la necessaria valutazione in ordine all’esistenza dei requisiti ex lege.
Dubbi interpretativi riguardano, però, la necessità o meno del decorso del termine minimo di 5 anni dall’applicazione della sanzione, com’è stabilito per l’ipotesi di radiazione.
Di interesse, sotto questo aspetto, sono la decisione del Consiglio Nazionale Forense 21.09.2007 n.131 e la
successiva sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU. 12.05.2008 n.11653.
Il Supremo Collegio ha ritenuto, infatti, che “il disposto dell’art.47 RDL 27 novembre 1933 n.1578, relativo al
termine che deve decorrere dalla sanzione prima della reiscrizione, non trova applicazione per l’ipotesi di
cancellazione dall’albo di cui all’art.40 dello stesso provvedimento normativo, nel testo attualmente vigente. Indipendentemente dalla previsione di un termine minimo, la durata del tempo decorso dalla cancella zione può essere peraltro valutata ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta
“specchiatissima e illibata” di cui all’art.17 del medesimo decreto”.
Nella motivazione della decisione, la Corte di Cassazione ha chiarito che “la norma relativa al decorso di un
termine minimo per la reiscrizione all’albo dopo il provvedimento di radiazione non può trovare applica zione, in via di estensione analogica, al caso della cancellazione la diversità della sanzione considerata dal la legge come meno grave non consente di far riferimento alla stessa disciplina fissata per quella più gra ve, non esistendo alcuna ragione logica per ritenere che entrambe le fattispecie debbano essere regolate
allo stesso modo;né è certamente possibile ritenere in contrasto con la ratio della norma la mancata esten sione della disciplina espressamente prevista al caso diverso non contemplato.
Ciò posto, si deve peraltro rilevare che la decisione impugnata ha considerato anche il dato dell’intervallo fra
l’applicazione della sanzione e la richiesta di riammissione all’albo anche ai fini dell’accertamento del requisito della “condotta specchiatissima ed illibata” richiesto dall’art. 17 della legge professionale, affermando che
solo dopo il decorso di un ampio periodo di tempo dall’applicazione della sanzione, in presenza di altre circostanze rilevanti, possano ritenersi riacquistate la dignità e probità richiesti per l’iscrizione all’albo professionale”.
Sembra potersi concludere, perciò, che l’avvocato cancellato dall’albo non debba rispettare alcun tempo minimo per reiscriversi.
Rileva, infatti, che nel frattempo egli abbia tenuto una condotta specchiatissima ed illibata.
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Le sanzioni disciplinari
9.
Riferimenti giurisprudenziali
Sul procedimento disciplinare: il potere di irrogazione delle
sanzioni disciplinari
Corte di Cassazione sez. Unite 13.09.2011 n.1865 in banca dati DeJureGiuffre.it
Nei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti il lecito disciplinare, definite dalla legge mediante una clausola generale (mancanze nell'esercizio della professione o, comunque, fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale), è rimessa alla valutazione del l'Ordine professionale ed il controllo di legittimità sull'applicazione di tali valutazioni non consente alla Corte
di cassazione di sostituirsi al C.N.F. nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione
di ragionevolezza.
Corte di Cassazione sez. Unite 26.05.2011 n.11564 in banca dati DeJureGiuffre.it
In tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di applicare la sanzione, adeguata alla
gravità ed alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari; pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio nazionale forense non è
censurabile in sede di giudizio di legittimità.
Corte di Cassazione sez. Unite 06.04.2001 n.150 in banca dati DeJureGiuffre.it
Nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati e procuratori, l'accertamento del fatto, l'apprezzamento
della sua rilevanza rispetto alle incolpazioni formulate e la scelta della sanzione opportuna appartengono al l'esclusiva competenza degli organi disciplinari forensi, le cui determinazioni al riguardo sfuggono al riesame
di legittimità, salvo che si traducano in palese sviamento di potere, ossia nell'esercizio del potere disciplinare
in modo manifestamente insuscettibile di ricollegarsi ai fini per cui esso è stato conferito
Corte di Cassazione sez. Unite 10.02.1998 n.1342 in banca dati DeJureGiuffre.it
In tema di procedimento disciplinare a carico di esercente la professione forense, il principio di immediatezza e di concentrazione proprio del procedimento penale non può esser validamente dedotto con riferimento
al procedimento disciplinare che si svolge davanti al Consiglio nazionale forense, atteso che tale procedimen to, di natura giurisdizionale, è regolato in via generale dalle norme del codice di rito civile, mentre a quelle
del codice di procedura penale è soggetto solo in base ad espresso rinvio (e quindi non in via analogica) ovve ro se sorga la necessità di applicare istituti che trovano esclusivamente in detto codice la loro disciplina
L’adeguatezza della sanzione inflitta all’incolpato dal Consiglio Nazionale forense non è censurabile dalla
Corte di Cassazione atteso che è riservato agli organi disciplinari il potere di determinare la sanzione più
rispondente alla gravità e alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale.
La mancanza di un meccanismo di sospensione automatica dell'esecutività della decisione del Consiglio nazionale
forense applicativa di una sanzione disciplinare, non da luogo a dubbi di incostituzionalità in riferimento agli art.
3, 24 e 27 cost., posto che la detta esecutività non è assoluta e inderogabile, essendo prevista dall'art. 56, comma 4,
r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, conv. con modif. in l. 22 gennaio 1934 n. 36, la possibilità di sospensione della
stessa da parte delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, su istanza del ricorrente.
L'eccesso di potere cui fa riferimento l'art. 56 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 ( conv. con modifiche nella l. 22
gennaio 1934 n. 36) sull'ordinamento della professione forense, nel prevedere il ricorso degli interessati e del
p.m. avverso le decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense, è solo quello giurisdizionale che si concreta nell'esplicazione di una potestà riservata dalla legge ad un altra autorità, sia essa legislativa o amministrativa, o nell'arrogazione di un potere non attribuito ad alcuna autorità, e non può quindi essere fatto valere
per omissione di valutazioni di fatto
I vizi denunziabili con ricorso per cassazione contro le decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense, a
norma dell'art. 56 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, conv. con modif. in l. 22 gennaio 1934 n. 36, non comprendono il travisamento dei fatti, che, pur potendo costituire vizio anche di una pronuncia giurisdizionale è
estraneo al sindacato di legittimità
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Le sanzioni disciplinari
Corte di Cassazione sez. Unite 09.04.1999 n.229 in banca dati DeJureGiuffre.it
L'adeguatezza della sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori (nella
specie, radiazione) non è censurabile in sede di giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, essendo riservato
agli organi disciplinari il potere di determinare la sanzione più rispondente alla gravità e alla natura dell'offe sa arrecata al prestigio dell'ordine professionale.
Consiglio Nazionale Forense. decisione 25.03.2002 n.38 in banca dati
DeJureGiuffre.it
È manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 38 r.d.l. 1578/33, per preteso
contrasto con l'art. 25 cost. poiché il Consiglio dell'ordine, nell'esplicazione del suo potere disciplinare, svolge
il relativo compito all'interno dell'ordine forense per la tutela degli interessi che sono essenzialmente della
classe professionale; pertanto la funzione disciplinare, attribuita ai consigli, ha natura amministrativa e non
giurisdizionale. Il procedimento disciplinare comporta un giudizio complessivo sulla condotta dell'incolpato
cui va irrogata una pena unica, la maggiore assorbendo la minore, ancorché siano vari gli addebiti; tale san zione non è la somma di altrettante pene singole sugli addebiti contestati, ma la valutazione della condotta
complessiva dell'incolpato. In conformità con la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione, gli atti in terruttivi della prescrizione verificatisi, durante la fase amministrativa, davanti al C.d.O., producono soltanto
effetti istantanei e dal verificarsi degli stessi comincia a decorrere un nuovo termine quinquennale di prescrizione, mentre per gli atti interruttivi, verificatisi durante la fase giurisdizionale davanti al C.N.F. opera il
principio dell'effetto interruttivo permanente ex art. 2945. (Sono atti interruttivi ad effetti istantanei: la notifica della delibera di apertura del procedimento disciplinare; la notifica del capo di incolpazione completo; la
notifica del decreto di citazione per il dibattimento e la notifica della decisione). Il procedimento disciplinare
è autonomo rispetto al procedimento penale, sicché la sussistenza di un procedimento penale non obbliga
alla sospensione del procedimento disciplinare instauratosi per lo stesso fatto (non incidendo su tale autonomia la novella dell'art. 653 c.p.p. che, pur statuendo: "la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia
di giudicato nel giudizio per la responsabilità disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto,
della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso" non prevede l'obbligatorietà della
sospensione del procedimento disciplinare).
Sull’avvertimento e la censura
Consiglio Nazionale Forense, decisione 12.09.2002 n.134 in banca dati
DeJureGiuffre.it
L'avvertimento costituisce una pena disciplinare e non una semplice misura correttiva sfornita di carattere
sanzionatorio. Pertanto la decisione che la irroga, come qualsiasi altra decisione disciplinare, deve essere notificata, ex art. 50 Lp. n. 1578/33, a mezzo dell'ufficiale giudiziario sia ai fini della comunicazione formale del
provvedimento che per la decorrenza del termine di impugnazione. La lettera del Presidente, ex art. 40 Lp., è,
invece, una modalità dell' avvertimento e andrà inoltrata allorché il provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 19.02.2002 n.2 in banca dati DeJureGiuffre.it
Non vi è difformità tra fatto contestato e fatto posto a base della sentenza, se la decisione disciplinare, pur accertando il fatto materiale così come era stato contestato, ne abbia dato una diversa valutazione disciplinare.
È legittima la decisione del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati di dare esecuzione alla sanzione
dell'avvertimento con la semplice lettura del dispositivo della decisione disciplinare, essendo la comunicazio ne formale, prevista dall'art. 40 r.d.l. 1578/33, mero atto accessorio lasciato alla discrezionalità del presidente medesimo.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 28.04.1998 n.32 in banca dati
DeJureGiuffre.it
L'art. 40 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, precisa che "l' avvertimento consiste nel richiamare il colpevole sulla mancanza commessa", sicché deve ritenersi valida la decisione che nel dispositivo parli di "richiamo" al
professionista, anziché di avvertimento .
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Le sanzioni disciplinari
Sulla sospensione
Corte Costituzionale, 02.02.1990 n.40 in banca dati DeJureGiuffre.it
È costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 3 cost. - l'art. 142 comma ultimo l. 16 febbraio 1913
n. 89, nella parte in cui prevede che "è destituito di diritto" il notaio che abbia riportato condanna per alcuno
dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della stessa legge, anziché riservare ogni provvedimento al procedimento di sciplinare camerale del tribunale civile, come per le altre cause enunciate nello stesso art. 142.
È costituzionalmente illegittimo in via consequenziale - per contrasto con l'art. 3 cost. ed in riferimento all'art. 27 l. 11 marzo 1953 n. 87 - l'art. 146 l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui non prevede che l'azione
disciplinare rimanga sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza quando, per il fatto illecito, sia promosso processo penale.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 12.12.2001 n.276 in banca dati
DeJureGiuffre.it
Deve essere dichiarata nulla la deliberazione del C.d.O. di sospensione cautelare ai sensi dell'art.43 r.d.l. n.
1578/33 ove manchino le condizioni dalla stessa norma previste quale soglia minima e condizione oggettiva
al di sotto della quale il provvedimento di sospensione cautelare non può essere adottato. La "ratio" che assiste l'istituto della sospensione cautelare è infatti, l'esigenza della tutela del decoro e della dignità della classe
forense offuscate dalle accuse al professionista imputato, mentre le condizioni minime previste dalla legge
per la sua applicazione sono il ricovero o l'applicazione delle misure di sicurezza, l'applicazione provvisoria di
una pena o di una misura cautelare o di un mandato o ordine di accompagnamento.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 11.11.2006 n.105 in banca dati
DeJureGiuffre.it
Il provvedimento di sospensione cautelare, legittimamente adottato dal C.d.O. locale in base alle oggettiva
esistenza e gravità delle accuse contestate al professionista ed al clamore suscitato dalle stesse, deve essere
revocato qualora i presupposti che ne hanno motivato l'emissione vengano successivamente meno.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 06.12.2006 n.137 in banca dati
DeJureGiuffre.it
In presenza di un'oggettiva sussistenza del "fumus", del clamore suscitato nella pubblica opinione e della tipologia del reato particolarmente incidente sull'affidabilità dell' avvocato, deve ritenersi legittima la sospen sione cautelare deliberata dal C.d.O. locale, qualora il professionista venga riconosciuto colpevole del reato di
truffa aggravata ai danni di un proprio cliente e la stampa locale e nazionale dia alla notizia ampia diffusione.
La sospensione cautelare dall'esercizio della professione, avendo il suo normale presupposto nella semplice
emanazione di un mandato o ordine di comparizione e, a fortiori, in ogni provvedimento più grave, richiede
unicamente una valutazione della gravità delle imputazioni mosse al professionista, prescindendo dalla valutazione della fondatezza delle stesse che, invece, deve formare oggetto del giudizio penale ed eventualmente
del successivo giudizio disciplinare.
La sospensione dall'esercizio della professione, disciplinata dall'art. 43 r.d.l. n. 1578 del 1933, nel testo novellato dall'art. 4 l. n. 91 del 1971, rappresenta, per costante insegnamento giurisprudenziale, la necessità ed opportunità di salvaguardare l'Ordine forense dalla menomazione di prestigio che dal solo fatto dell'assoggettamento dell'incolpato al procedimento penale per determinati reati o comportamenti può derivare all'intera
categoria. Essa, pertanto, non è una forma di sanzione disciplinare, come tale suscettibile di applicazione soltanto dopo il procedimento disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare incidentale
di natura amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio, svincolato dalle forme e dalle garanzie
del procedimento disciplinare, nel senso che non richiede la preventiva formale apertura di un procedimento
disciplinare, e che viene adottata dal C.d.O. nella sua piena discrezionalità, al fine di tutelare sé stesso ed i
terzi in genere dal pericolo derivante dall'esercizio della professione forense da parte di chi, allo stato, non si
trovi in possesso di quei requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento di quella funzione di pubblico inte resse. In altri termini, con la sospensione cautelare non si presume mai la colpevolezza del giudicabile ma si
realizzano soltanto le garanzie per l'ipotesi che, nella competente sede, la colpevolezza venga accertata e defi nitivamente dichiarata.
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Le sanzioni disciplinari
Consiglio Nazionale Forense, decisione 17.04.2008 n.88 in banca dati
DeJureGiuffre.it
La sospensione cautelare ex art. 43, comma 3, r.d.l. n. 1578 del 1933 integra un provvedimento di carattere
amministrativo non giurisdizionale a carattere provvisorio, che richiede quale suo presupposto la mera ema nazione di un mandato od ordine di comparizione e, per essere disposta, la sola valutazione della gravità del le imputazioni mosse al professionista, prescindendo dalla valutazione della fondatezza delle stesse.
Ciò che rileva, nell'esercizio del potere di sospensione cautelare, non è la titolazione del provvedimento as sunto in sede penale, quanto l'idoneità dei fatti penalmente rilevanti contestati ad incidere sulla dignità e sul
decoro della professione.
Corte di Cassazione, sez. Unite, 01.03.2012 n.3182 in banca dati DeJureGiuffre.it
Nel procedimento disciplinare, il professionista ha diritto ad essere convocato ed ascoltato prima che il C.o.a.
disponga il provvedimento; ciò vale anche per i provvedimenti cautelari che, benché non definitivi, incidono
immediatamente sulla onorabilità e sugli interessi del professionista.
Sulla legittimità della sospensione cautelare
Corte di Cassazione sez. Unite 29.10.1979 n.5573 in banca dati DeJureGiuffre.it
Il sindacato delle sezioni unite della Corte di cassazione, sulla motivazione delle pronunce del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare, se comprende i vizi di motivazione di cui all'art.360 n. 5 c.p.c., non
può esser esteso alla valutazione delle prove, nè agli apprezzamenti sulla gravità dell'offesa arrecata dai fatti
accertati al prestigio dell'Ordine nè alla adeguatezza della sanzione inflitta.
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocato e procuratore, il provvedimento con il quale il con siglio dell'Ordine deliberi l'apertura del procedimento medesimo non implica, neppure implicitamente, alcuna pronuncia sulla colpevolezza del professionista, ma costituisce mero atto preliminare della decisione, da
adottarsi dopo l'espletamento dell'istruttoria ed in esito al dibattimento. Tale provvedimento, pertanto, non
può integrare una indebita duplicazione dell'esercizio dei poteri decisori spettanti a detto Consiglio.
Il potere dei Consigli dell'Ordine degli avvocati e procuratori di infliggere, in esito a procedimento disciplina re ed a norma degli art. 40 e 43 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, la grave sanzione della sospensione dall'esercizio professionale non implica, in relazione alla natura amministrativa dell'attività di detti consigli, alcuna
violazione del diritto di difesa dell'incolpato, il quale può ricorrere al consiglio nazionale forense, che svolge
attività giurisdizionale, e manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 4 cost., sul diritto al lavoro, vertendosi in tema di limitazioni, cui il diritto stesso soggiace in casi specifici e per espressa disposizione di legge, giustificate da esigenze di tutela di interessi generali.
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocato e procuratore, la mancata lettura in udienza della
decisione del consiglio dell'ordine, come prescritto dall'art. 472 c.p.p., non determina, in difetto di espressa
comminatoria di legge, nullità del procedimento medesimo.
Il potere dei consigli dell'ordine degli avvocati e procuratori di infliggere, in esito a procedimento disciplinare
e a norma degli art. 40 e 43 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, la grave sanzione della sospensione dall'esercizio
professionale non implica, in relazione alla natura amministrativa dell'attività di detti consigli, alcuna violazione del diritto di difesa dell'incolpato, il quale può ricorrere al Consiglio nazionale forense, che svolge atti vità giurisdizionale, e manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 4 cost., sul diritto al lavoro, vertendosi in tema di limitazioni, cui il diritto stesso soggiace in casi specifici e per espressa disposizione di legge,
giustificate da esigenze di tutela di interessi generali.
Corte di Cassazione sez. Unite 20.05.1992 n.6084 in banca dati DeJureGiuffre.it
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 3, del r.d.l. 27 no vembre 1933 n. 1578 - come sostituito dalla l. 17 febbraio 1971 n. 91 -, in riferimento all'art. 3 cost., nelle parti
in cui, conferendo al consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori il potere di assoggettare alla sospensio ne dell'esercizio della professione a tempo indeterminato l'avvocato colpito da mandato o ordine di comparizione o accompagnamento, razionalmente riserva ai suddetti professionisti, in coerenza alle esigenze di reputazione personale e di dignità della classe forense un trattamento diverso da quello praticabile, in ipotesi analoga, ai pubblici dipendenti, attesa la non omogeneità delle posizioni poste a confronto.
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Le sanzioni disciplinari
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 3, r.d.l. 27 novem bre 1933 n. 1578, nella parte in cui conferisce al consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori il potere di
pronunciare la sospensione dell'avvocato dall'esercizio della professione a tempo indeterminato quando contro di lui sia stato emesso mandato o ordine di comparizione o di accompagnamento, a differenza della normativa in materia di pubblico impiego che prevede la revoca di diritto della sospensione dal servizio dopo
cinque anni, in riferimento all'art. 3 cost. (in motivazione, la corte - che ha anche ritenuto irrilevanti le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 43, comma 3, in riferimento agli art. 4 e 35 cost. - ha ri tenuto opportuna la disparità di trattamento rilevando che l'attribuzione di gravissimi reati, anche in mancanza di una sentenza definitiva, compromette la reputazione professionale dell'avvocato, lede la dignità della classe forense ed è comunque incompatibile con lo svolgimento di attività professionali in ambienti giudiziari).
Qualora l'avvocato risulti imputato per gravissimi reati, è corretta la decisione del consiglio nazionale forense
che non attribuisce rilevanza ai fini di valutare la legittimità della sospensione cautelare disposta dal consi glio locale nè alla riduzione di pena operata dal giudice d'appello, nè all'annullamento con rinvio della sen tenza d'appello in sede di cassazione.
Corte di Cassazione sez. Unite 15.12.2008 n.29294 in banca dati DeJureGiuffre.it
A norma dell'art. 50 r.d.l. n. 1578 del 1933, è ammissibile il ricorso al Consiglio nazionale forense contro la
deliberazione con la quale il Consiglio dell'ordine stabilisce d'iniziare il procedimento disciplinare contro un
avvocato.
In tema di procedimento disciplinare a carico di un avvocato, alla luce di una interpretazione costituzional mente orientata dell'art. 50 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, onde consentire, nella prospettiva del giusto processo (art. 111, commi 1 e 2, Cost.), un più rapido intervento di un giudice terzo e imparziale sulla legittimità
dell'avvio dell'anzidetto procedimento, deve ritenersi ammissibile il ricorso al Consiglio nazionale forense avverso la decisione con la quale il locale Consiglio dell'ordine stabilisce d'iniziare il procedimento medesimo.
La parte che abbia ricusato un giudice che per qualunque causa non abbia poi partecipato al processo ed alla
deliberazione della decisione, non ha interesse ad impugnare quest'ultima per omessa o irregolare trattazione
del ricorso per ricusazione perché, anche ove accolto, lo stesso non avrebbe potuto assicurargli alcuna utilità
maggiore di quella già derivatagli dalla mancata partecipazione del ricusato al giudizio. (Nella specie è stato
dichiarato inammissibile il motivo di ricorso, avverso la decisione del C.N.F. sull'impugnazione di una delibera in sede disciplinare del locale Consiglio dell'ordine, con il quale si denunciava il mancato esame dell'istanza di ricusazione di un componente del C.N.F. - per aver costui partecipato come componente di detto Consi glio dell'ordine alla deliberazione impugnata dinanzi allo stesso Consiglio nazionale - asseritamente necessario nonostante il predetto componente non avesse poi fatto parte del collegio giudicante sulla proposta impugnazione).
Avverso la deliberazione di apertura del procedimento disciplinare adottata dal Consiglio dell'Ordine l'incolpato può proporre ricorso al Consiglio nazionale forense ai sensi dell'art. 50 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578.
(Cassa Consiglio nazionale forense 10 dicembre 2007 n. 213).
Sulla cancellazione
Corte di Cassazione sez. Unite 15.09.2010 n.19547 in banca dati DeJureGiuffre.it
L’art. 3, comma 4, lett. b, r.d. n. 1578 del 1933 va interpretato nel senso che l’iscrizione nell’albo speciale degli
avvocati e procuratori legali dipendenti da enti pubblici richiede, quale presupposto imprescindibile, la
“esclusività” dell’espletamento, da parte degli stessi, dell’attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell’ente pubblico, presso il quale prestano la propria opera, nelle cause e negli affari dell’ente stesso. Tale esclusività deve essere accertata con riferimento ad una valutazione sostanziale della natura delle attività svolte
dal dipendente e deve essere esclusa qualora accanto a compiti riconducibili alla attività di assistenza e rap presentanza e difesa dell’ente lo stesso svolga mansioni amministrative o, comunque di natura diversa. Nella
specie è stata ritenuta corretta la cancellazione dall’albo speciale di un avvocato che svolgeva per un ente
pubblico oltre alle attività di rappresentanza e difesa anche attività di natura gestionale.
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Le sanzioni disciplinari
Sugli effetti della cancellazione dall’albo professionale
Corte di Cassazione sez. Unite 07.11.2011 n.23022 in banca dati DeJureGiuffre.it
È inammissibile il ricorso, proposto personalmente dal praticante avvocato al Consiglio nazionale forense,
col quale si censura il provvedimento, emesso dal Consiglio dell'ordine territoriale, di cancellazione dal registro speciale dei praticanti a causa dell'interruzione ultrasemestrale della pratica; analogamente a quanto disposto in tema di procedimento disciplinare, infatti, la possibilità di proporre ricorso al Consiglio nazionale
forense o alle Sezioni Unite della Corte di cassazione da parte di soggetto non iscritto all'albo dei patrocinanti
davanti alle giurisdizioni superiori presuppone pur sempre che si tratti di soggetto iscritto almeno all'albo de gli avvocati, poiché, in mancanza di tale condizione, il ricorrente è privo dello ius postulandi indispensabile
per stare in giudizio di persona.
Corte di Cassazione sez. 2^ civ. 06.03.2003 n.3299 in banca dati DeJureGiuffre.it
La cancellazione dall'albo professionale - ancorché disposta a domanda dell'interessato - comporta la deca denza dall'ufficio di avvocato e la cessazione dello stesso "ius postulandi", con conseguente mancanza di ogni
legittimazione del difensore a compiere e ricevere atti processuali. è, pertanto, giuridicamente inesistente la
notificazione del ricorso per cassazione presso il suddetto difensore, siccome effettuata presso un soggetto
privo di qualunque collegamento con la parte al momento della notificazione stessa.
Corte di Cassazione, sezioni Unite, 06.06.2003 n.9075 in banca dati DeJureGiuffre.it
L'avvocato, cui il Consiglio Nazionale Forense abbia inflitto una sanzione disciplinare che lo priva, definiti vamente o temporaneamente, dall'esercizio della professione forense, non può sottoscrivere personalmente
il ricorso per cassazione avverso la decisione anzidetta, derivandone, in caso contrario, l'inammissibilità
dell'impugnazione, poiché la sanzione è - ai sensi dell'art. 56 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 - imme diatamente esecutiva (Cass. S.U. 29 marzo 1994 n. 3074; nello stesso senso Cass. S.U. 3 maggio 1993 n.
5092, Id. 5 novembre 1996 n. 849, Id. 29 maggio 1998 n. 497). Nella specie, la verifica del possesso dello jus
postulandi al momento dell'istanza di riassunzione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense non riguarda la
persona del ricorrente, ma il suo difensore. La decisione impugnata ha escluso che sussistesse lo jus postulandi del difensore sulla base delle seguenti considerazioni. Risultava in atti la comunicazione dell'Ordine
degli Avvocati di Udine, pervenuta per competenza al Consiglio Nazionale Forense, in data 5 luglio 2001,
con la quale si dava atto che il "Consiglio Nazionale Forense in data 04.06.01 portava a conoscenza di questo ordine l'avvenuto deposito in data 16.05.01 della decisione esecutiva datata 09.03.01 conseguente al ricorso presentato dall'avv. (omissis) avverso la decisione di questo Consiglio datata 13.11.98". Nella stessa
comunicazione si precisava che all'avv. (omissis) era stata inflitta la sanzione della sospensione per mesi
due e che l'annotazione di detta sanzione disposta con delibera del 15.06.01 era stata comunicata all'avv.
Caravaggio con racc. a.r. del 22.06.01 ricevuta il 23.06.01 e che pertanto, la sospensione sarebbe andata a
decorrere dal 24.06.01 al 24.08.01. Il Consiglio Nazionale Forense ne ha tratto la conseguenza che al momento del deposito dell'istanza di riassunzione, il 10.08.01, l'avv. (omissis) era sospeso dall'esercizio professionale, sicché egli era privo del necessario jus postulandi. Osserva il Collegio che tale conclusione non ap pare corretta alla luce dei principi sopra enunciati. Poiché, come si è detto, la decisione del C.N.F. che impone la sanzione disciplinare è - ai sensi dell'art. 56 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. con mod. in l.
22 gennaio 1934 n. 36 - immediatamente esecutiva (salva la possibilità di sospensione dell'esecuzione da
parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in caso di impugnazione), ai fini della decorrenza della
sospensione dall'esercizio della professione avrebbe dovuto farsi riferimento alla data di notifica all'interessato della decisione del C.N.F. (ai sensi del primo comma dell'art. 56 cit.) e non alla data in cui l'avv. Ca ravaggio aveva ricevuto dal Consiglio dell'Ordine di Udine comunicazione dell'annotazione della sanzione
in questione. La questione appare decisiva in quanto, secondo quanto dedotto dal ricorrente, la decisione
del Consiglio Nazionale Forense in data 9 marzo - 16 maggio 2001, che imponeva la sanzione della sospensione dell'esercizio professionale per mesi due, è stata notificata all'avv. (omissis) il 7 giugno 2001, sicché,
in base al principio richiamato, i due mesi di sospensione devono decorrere da tale data di notifica. Al mo mento del deposito dell'istanza di riassunzione (10 agosto 2001), quindi, il periodo di sospensione era ter minato, contrariamente a quanto ritenuto dal Consiglio Nazionale Forense. Poiché la decisione impugnata
ha escluso lo jus postulandi del difensore del sig. (omissis) effettuando il calcolo del periodo di sospensione
dell'esercizio della professione sulla base di un erroneo presupposto, tale decisione deve essere cassata e la
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Le sanzioni disciplinari
causa va rinviata al Consiglio Nazionale Forense che riesaminerà la questione alla luce dei principi sopra
enunciati.
Corte di Cassazione, sezioni Unite, 23.05.2000 n.6684 in banca dati DeJureGiuffre.it
La cancellazione dall'albo professionale del difensore di una delle parti nel corso di un giudizio (nella specie,
di appello) non comporta nè l'interruzione del processo se ignota al giudice procedente ed alle altre parti, nè,
conseguentemente, la nullità della sentenza per mancata declaratoria di una interruzione causata da un even to ignoto al giudice procedente.
Corte di Cassazione sez. Unite 03.05.1993 n.5092 in banca dati DeJureGiuffre.it
È inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sanzione disciplinare , immediatamente esecutiva, del
consiglio nazionale forense che abbia disposto la cancellazione dall'albo dell' avvocato ricorrente (o la sua sospensione dall'esercizio della professione forense quanto meno durante il decorso del termine di impugnazione), qualora questi abbia sottoscritto personalmente l'atto di impugnazione.
Tribunale di Roma 28.12.1994 in banca dati DeJureGiuffre.it
La sospensione dall'albo costituisce impedimento all'ufficio di procuratore; conseguentemente, incidendo
sullo "jus postulandi" del difensore, implica la mancanza della legittimazione di costui a svolgere attività processuale, con conseguente nullità degli atti (nella specie, costituzione in giudizio) da lui compiuti.
Sulla radiazione dall’albo
Consiglio Nazionale Forense, decisione 23.12.2009 n.199 in banca dati
DeJureGiuffre.it
La radiazione di diritto dagli albi (art. 42 L.P) costituisce mero effetto della sanzione accessoria della interdizione temporanea dall'esercizio della professione di avvocato, in quanto trattasi di atto dovuto che esclude
qualsiasi margine di discrezionalità in capo all'Organo che lo adotta. Poiché il provvedimento ha natura di
misura amministrativa fondata sul venire meno di una delle condizioni per rimanere iscritto nell'albo degli
avvocati, e non di sanzione disciplinare , non può trovare applicazione il principio della necessaria proporzio nalità tra illecito disciplinare commesso e relativa sanzione.
Corte di Cassazione sez. Unite 18.10.1984 n.5243 in banca dati DeJureGiuffre.it
La radiazione dall'albo professionale dell' avvocato o del procuratore legale, anche se disposta per una delle
ipotesi di cui all'art. 42 r.d. 27 novembre 1933 n.1578 (sostituito dall'art. 3 della l. 17 febbraio 1971 n. 91), sebbene prevista come conseguenza automatica di una condanna penale, è una sanzione disciplinare , e non una
pena accessoria. È inapplicabile, per l'effetto, nei confronti di questa, l'art. 2 c.p.
Sull'esecuzione delle sanzioni
Consiglio Nazionale Forense, decisione 12.09.2002 n.134 in banca dati
DeJureGiuffre.it
L'avvertimento costituisce una pena disciplinare e non una semplice misura correttiva sfornita di carattere
sanzionatorio. Pertanto la decisione che la irroga, come qualsiasi altra decisione disciplinare, deve essere notificata, ex art. 50 Lp. n. 1578/33, a mezzo dell'ufficiale giudiziario sia ai fini della comunicazione formale del
provvedimento che per la decorrenza del termine di impugnazione. La lettera del Presidente, ex art. 40 Lp., è,
invece, una modalità dell' avvertimento e andrà inoltrata allorché il provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 19.02.2002 n.2 in banca dati DeJureGiuffre.it
Non vi è difformità tra fatto contestato e fatto posto a base della sentenza, se la decisione disciplinare, pur accertando il fatto materiale così come era stato contestato, ne abbia dato una diversa valutazione disciplinare.
È legittima la decisione del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati di dare esecuzione alla sanzione
dell'avvertimento con la semplice lettura del dispositivo della decisione disciplinare, essendo la comunicazio -
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Le sanzioni disciplinari
ne formale, prevista dall'art. 40 r.d.l. 1578/33, mero atto accessorio lasciato alla discrezionalità del presidente medesimo.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 15.12.2006 n.156 in banca dati
DeJureGiuffre.it
È inammissibile il ricorso proposto avverso la decisione del C.d.O. locale oltre il termine di venti giorni dalla
notificazione della pronunzia contestata ex art. 50, comma 2, r.d.l. 1578/1933, avendo tale termine natura pe rentoria.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 28.04.2006 n.20 in banca dati
DeJureGiuffre.it
È inammissibile il ricorso avverso la decisione del C.d.O. locale presentato al C.N.F. oltre il termine di venti
giorni previsto dall'art. 50, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933.
Corte di Cassazione, sezioni Unite, 15.02.2005 n.2981 in banca dati DeJureGiuffre.it
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, l'art. 56, comma 1, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578,
va interpretato nel senso che la notificazione delle decisioni del Consiglio nazionale forense è necessaria soltanto nei confronti dell'incolpato, e non anche del suo difensore, e che alla effettuazione della notificazione
all'incolpato medesimo deve aversi riguardo al fine di verificare se vi sia stata osservanza del termine di tren ta giorni per il ricorso, da parte sua, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione; ciò in quanto il soggetto sot toposto a procedimento disciplinare è un professionista il quale è in condizione di valutare autonomamente
gli effetti della notifica della decisione ed ha il potere (tranne i casi di sospensione e di radiazione) di sotto scrivere il ricorso contro le decisioni del Consiglio nazionale forense, ancorché non iscritto all'albo speciale di
cui all'art. 33 del citato r.d.l.
Con riferimento alle decisioni del Consiglio dell'ordine degli Avvocati queste sezioni unite (v. sent. n. 819/99
e sent. n. 7551/91) hanno affermato che l'art. 50, primo comma, del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, va interpretato nel senso che la notificazione della decisione del Consiglio dell'ordine è necessaria soltanto nei
confronti dell'incolpato e non anche nei confronti del suo difensore e che solo alla effettuazione della prima
deve aversi riguardo, al fine di verificare se vi sia stata osservanza del termine di venti giorni per il ricorso
davanti al Consiglio nazionale forense; ed ha ritenuto altresì che una siffatta disciplina manifestamente
non si pone in contrasto con gli art. 24 e 3 Cost., considerato che le qualità dell'incolpato stesso, e quindi il
suo bagaglio di conoscenze tecnico - giuridiche, rendono detta notificazione idonea ad assicurare l'esercizio
del diritto di difesa in fase d'impugnazione e non consentono di ravvisare un'ingiustificata, disparità di
trattamento, in relazione alle diverse regole inerenti alla comunicazione dei deposito della sentenza resa in
esito al procedimento penale, anche alla stregua della non equiparabilità di quest'ultimo al procedimento
disciplinare.
Sulla reiscrizione del professionista radiato
Corte di Cassazione, sezioni Unite, 12.05.2008 n.11653 in banca dati DeJureGiuffre.it
L’avvocato cancellato dall’albo non deve aspettare alcun tempo minimo per reiscriversi. Rileva, infatti, che
nel frattempo il professionista abbia tenuto una condotta specchiatissima e illibata. Non può pertanto essere
applicata in via analogica la norma relativa al decorso di un termine minimo per l’iscrizione all’albo prevista
per il provvedimento di radiazione, attesa la maggiore e diversa gravità di tale sanzione rispetto al provvedimento di cancellazione.
Il disposto dell'art. 47 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, relativo al termine che deve decorrere dalla sanzione
prima della reiscrizione, non trova applicazione per l'ipotesi di cancellazione dall'albo di cui all'art. 40 dello
stesso provvedimento normativo, nel testo attualmente vigente. Indipendentemente dalla previsione di un
termine minimo, la durata del tempo decorso dalla cancellazione può essere peraltro valutata ai fini dell'ap prezzamento della sussistenza del requisito della condotta «specchiatissima ed illibata» di cui all'art. 17 del
medesimo decreto.(Conferma Consiglio nazionale forense 21 settembre 2007 n. 131).
Con riferimento alla reiscrizione all'albo degli avvocati di colui che ha subito la sanzione disciplinare della
cancellazione, non trova applicazione, in via di interpretazione analogica, l'art. 47 r.d.l. 27 novembre 1933 n.
1578, secondo cui l'avvocato radiato dall'albo non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi
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Le sanzioni disciplinari
cinque anni dal provvedimento di radiazione, essendo la cancellazione meno grave della radiazione; tuttavia,
la durata del tempo decorso dalla cancellazione può essere autonomamente valutata ai fini dell'apprezzamen to della sussistenza del requisito della condotta «specchiatissima ed illibata» che l'art. 17 del medesimo prov vedimento legislativo richiede per l'iscrizione all'albo.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 28.12.2005 n.182 in banca dati
DeJureGiuffre.it
Il professionista radiato dall'albo può esservi reiscritto purché siano trascorsi almeno cinque anni dal provvedimento dì radiazione , che si estende ai sei se la condanna fu pronunciata per delitto commesso con abuso di
prestazione dell'opera di avvocato, per delitto contro la pubblica amministrazione, contro l'amministrazione
della giustizia, contro la fede pubblica o contro il patrimonio. (Nella specie pertanto non è stato riconosciuto
il diritto all'iscrizione al professionista che era stato radiato a seguito di condanna per la commissione di delitti contro l'amministrazione della giustizia e con l'abuso dell'opera di avvocato, e per i quali non era ancora
decorso il termine di sei anni).
Consiglio Nazionale Forense, decisione 12.09.2002 n.134 in banca dati
DeJureGiuffre.it
L'avvertimento costituisce una pena disciplinare e non una semplice misura correttiva sfornita di carattere
sanzionatorio. Pertanto la decisione che la irroga, come qualsiasi altra decisione disciplinare, deve essere notificata, ex art. 50 Lp. n. 1578/33, a mezzo dell'ufficiale giudiziario sia ai fini della comunicazione formale del
provvedimento che per la decorrenza del termine di impugnazione. La lettera del Presidente, ex art. 40 Lp., è,
invece, una modalità dell' avvertimento e andrà inoltrata allorché il provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo.
Consiglio Nazionale Forense, decisione 13.10.1977 in banca dati DeJureGiuffre.it
Il professionista radiato può avvalersi della facoltà di chiedere la reiscrizione nell'albo, dopo il decorso del
quinquennio dalla radiazione , dimostrando il possesso dei requisiti richiesti dalla legge.
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