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L`avvertimento ex art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p. è conditio sine qua

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L`avvertimento ex art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p. è conditio sine qua
Processo penale e giustizia n. 1 | 2016
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FEDERICA CASASOLE
Dottore di ricerca in Diritto processuale penale – Università degli Studi di Torino
L’avvertimento ex art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p. è conditio sine
qua non per assumere l’ufficio di testimone nell’esame
dibattimentale ex art. 210, comma 6, c.p.p.: sono inutilizzabili
le dichiarazioni acquisite in sua assenza
The warning extablished in the art. 64, paragraph 3, lett. c) of the
criminal procedure code is conditio sine qua non to became witness
in the criminal trial: is unusable the deposition obtained ex art. 210,
paragraph 6, of the criminal procedure code without this warning
La sentenza delle Sezioni Unite, oltre che per i principi di diritto affermati, concernenti l’uno l’obbligatorietà
dell’avviso previsto dall’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p., nell’esame dibattimentale ai sensi dell’art. 210, comma 6,
c.p.p., l’altro l’inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite in assenza di tale avvertimento, merita condivisione anche
per le indicazioni fornite in merito all’interpretazione e applicazione dell’art. 63 c.p.p.
The sentence of the “Sezioni Unite”, as well as for the priciples estabilished, abaut the obligation of the warning
ex art. 64, paragraph 3, lett. c) of the criminal procedure code in the examination ex art. 210, paragraph 6, of the
criminal procedure code; and about the unusability of the deposition obtained without these warning, is important
also for the explains of the art. 63 of the criminal procedure code.
IL CASO DI SPECIE
Con ordinanza del due dicembre 2014, la Seconda sezione penale di Cassazione rimetteva alle Sezioni
Unite il seguente quesito: «se la mancata applicazione – in sede di esame dibattimentale di un imputato
di reato connesso o collegato a quello per cui si procede – delle disposizioni di cui all’art. 210 c.p.p. relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito,
perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato, determina[sse] inutilizzabilità,
nullità a regime intermedio o altra patologia della deposizione testimoniale 1».
Nel caso di specie la persona offesa del reato di estorsione aveva spontaneamente denunciato alla
polizia giudiziaria di aver subito, fin dall’inizio della propria attività lavorativa, imposizioni mafiose
volte ad ottenere da lui il c.d. “pizzo”, fornendo altresì i nominativi delle persone che avevano posto in
essere gli atti criminosi.
Nel racconto agli inquirenti, tuttavia, la vittima aveva taciuto e – su precisa domanda – espressa1
Cass., sez. II, 2 dicembre 2014, n. 2756, in www.dirittopenalecontemporaneo, 23 gennaio 2015, con nota di J. Della Torre, Quali
conseguenze nei casi di violazione della disciplina di cui agli articoli 210, comma 6 e 197 bis c.p.p.? La parola alle Sezioni Unite. Cfr. anche
A. Gasparre, Violazione dello statuto del testimone assistito: sanzione dell’inutilizzabilità o della nullità?, in Dir. e giustizia, 16 dicembre
2014, p. 71 s.; V. Pazienza, Le dichiarazioni rese in violazione dello statuto del dichiarante, in Cass. pen., 2015, p. 185 ss. Un quesito analogo (seppur più impreciso perché limitato all’utilizzabilità o inutilizzabilità della deposizione) era già stato formulato da
un’altra ordinanza di rimessione: Cass, sez. V, 24 novembre 2014, n. 53739, in Dir. e giustizia, 7 gennaio 2015, p. 14 ss., con nota
di C. Minnella, Alle Sezioni Unite la quaestio sulla sorte delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa imputata di reato collegato
non sentita come teste assistito.
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mente negato, il ruolo attivo nelle vicende estorsive di un determinato soggetto; dichiarazione che la
persona offesa aveva ribadito anche nell’esame dibattimentale all’interno del procedimento penale a carico di uno dei coimputati (i restanti imputati avevano optato per il giudizio abbreviato). Solamente alla
terza audizione, sentito in qualità di parte civile dal proprio difensore, costui aveva affermato la falsità
delle precedenti dichiarazioni, ammettendo la partecipazione nel reato anche dell’ulteriore persona.
Conseguentemente, il Giudice aveva provveduto ad assolvere l’imputato dal reato ascrittogli, ritenendo
che le dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa fossero inutilizzabili ai sensi dell’art. 63, comma 2,
c.p.p., in quanto dall’istruttoria dibattimentale era emerso come fossero nella disponibilità sia della polizia giudiziaria, che del pubblico ministero concreti elementi per riscontrarne la falsità e, quindi, per
procedere con l’esame nelle forme dell’art. 210 c.p.p.
Diversamente, nel giudizio abbreviato a carico degli altri coimputati, il G.u.p. aveva emesso sentenza di condanna nei confronti di costoro, ritenendo utilizzabili le dichiarazioni rilasciate in fase di indagini preliminari dalla persona offesa, riscontrate da ulteriori elementi di prova.
E la Corte d’Appello – previa rinnovazione dibattimentale volta ad acquisire i verbali delle deposizioni testimoniali assunte nel procedimento parallelo, a carico dell’imputato che aveva scelto il rito ordinario – aveva confermato il giudizio di responsabilità nei confronti degli appellanti. Secondo i Giudici
di secondo grado erano pienamente utilizzabili sia le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di
denuncia – non inquadrabili come indizianti, ex art. 63, comma 1, c.p.p., in quanto nel rilasciarle il dichiarante non aveva fatto riferimento a una responsabilità penale per fatti pregressi, bensì realizzato
una fattispecie di reato –; sia quelle dibattimentali, acquisite nel processo a carico di uno dei coimputati,
in assenza delle garanzie previste dall’art. 210 c.p.p. In relazione a queste ultime, la Corte d’appello,
aveva ritenuto da un lato, che l’avvertimento previsto dall’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p. non fosse necessario, dal momento che il loquens, in precedenza, aveva già rilasciato dichiarazioni concernenti la responsabilità degli imputati; dall’altro, che l’assenza del difensore fosse una carenza della quale potesse
dolersi solo il dichiarante, non, invece, i coimputati, essendo posta a tutela del primo e non dei secondi.
Proprio in merito all’utilizzabilità della deposizione acquisita in violazione dell’art. 210 c.p.p., la Seconda sezione di Cassazione, investita dei ricorsi dei vari coimputati, dato atto di un persistente contrasto giurisprudenziale, rimetteva il quesito sopra indicato alle Sezioni Unite, che si esprimevano con la
sentenza in commento.
LE DICHIARAZIONI INDIZIANTI
La prima problematica che le Sezioni Unite affrontano, al fine di rispondere al quesito formulato dalla
Seconda sezione, è quello concernente le dichiarazioni contra se rilasciate dalla persona offesa e, più in
generale, da un qualsiasi soggetto ascoltato come “persona informata sui fatti” 2.
Come noto, infatti, l’art. 63 c.p.p. sancisce che qualora la persona non imputata, né indagata, renda
dichiarazioni – di fronte all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria – dalle quali emergano indizi
di reità a suo carico, debba essere interrotta da chi conduce l’esame ed edotta degli avvertimenti previsti dalla norma 3.
2
Sulla disciplina di cui agli artt. 197, 197-bis, 210, 63 e 64 c.p.p., in generale: E. Amodio, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul fatto altrui, in Cass. pen., 2001, p. 3589 ss.; M. Bargis, Commento all’art. 8 l. 1.3.2001, n. 63. Modifiche al
codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma dell’art. 111 della Costituzione, in Legislazione pen., 2002, p. 26 ss.; Ead, voce Testimonianza (dir. proc. pen), in Enc. dir., II
Annali, Milano, 2008, p. 1097 ss.; F. Caprioli, Commento all’art. 5 l. 1.3.2001, n. 63. Modifiche al codice penale e al codice di procedura
penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 della Costituzione,
cit., p. 177 ss.; C. Conti, L’imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003; M.L. Di Bitonto,
Diritto al silenzio: evoluzione o involuzione?, in Dir. pen. proc., 2001, p. 1027 ss.; P. Ferruà, L’attuazione del giusto processo con la legge
sulla formazione e valutazione della prova. Introduzione, ivi, 2001, p. 585 ss.; G. Illuminati, L’imputato che diventa testimone, in Indice
pen., 2002, p. 387 ss.; O. Mazza, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nel suo procedimento, Milano, 2004; P. Moscarini, voce Silenzio
dell’imputato, in Enc. Dir., III Annali, Milano, 2010, p. 1101 ss.; M.V. Patané, Il diritto al silenzio dell’imputato, Torino, 2006; A.
Sanna, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti connessi. Alla luce del giusto processo, Milano. 2007; P. Tonini, Il diritto
al silenzio tra giusto processo e disciplina di attuazione, in Cass. pen., 2002, p. 835 ss.; D. Vigoni, Ius tacendi e diritto al confronto dopo la
l. n. 63 del 2001: ipotesi ricostruttive e spunti critici, in Dir. pen. proc., 2002, p. 87 ss.
3
Come affermato in dottrina, la norma offre una tutela anticipata del diritto al silenzio e di difesa. V.O. Dominioni, sub art.
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Nel caso di specie, la persona offesa era stata sentita dalla polizia giudiziaria quando aveva denunciato i fatti di reato e, in tale occasione, aveva omesso volontariamente la partecipazione agli atti estorsivi di uno dei coimputati – come emergerà in seguito, per l’affetto che nutriva nei confronti del fratello
di costui, per molti anni istruttore di equitazione del proprio figlio – ponendo in essere la fattispecie di
favoreggiamento personale 4.
Il G.U.P. prima, e la Corte d’Appello in seguito, avevano ritenuto pienamente utilizzabili le dichiarazioni rese in tale sede dal denunciante, applicando un consolidato principio stabilito dalla Suprema
corte, ossia che la disciplina concernente le dichiarazioni indizianti ex art. 63, comma 1, c.p.p. non trovi
applicazione quando quelle stesse dichiarazioni concretizzino una fattispecie criminosa 5.
L’assunto dei giudici di merito viene condiviso nella sentenza in commento dalle Sezioni Unite, secondo le quali correttamente il dichiarante era stato ascoltato come persona informata sui fatti, dal
momento che, in base agli elementi in possesso dagli inquirenti, era inquadrabile solamente come un
imprenditore estorto da “cosa nostra”. La Suprema corte precisa come non sia importante, ai fini dell’applicabilità dell’art. 63, comma 1, c.p.p., la circostanza che la polizia giudiziaria possa ritenere mendaci le dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa, perché in contrasto con altri elementi d’indagine già
raccolti e, quindi, delineare a suo carico il reato di favoreggiamento personale. Ciò che rileva, è che il
dichiarante non riferisca fatti relativi a una fattispecie criminosa pregressa, ma che, proprio con quel
racconto, commetta un reato.
Le Sezioni unite, inoltre, ritengono utile procedere a «una delimitazione certa e stabile delle posizioni rivestite dai principali soggetti» che partecipano al processo, per garantirne un corretto funzionamento.
Delimitazione che, secondo la Corte di Cassazione, è diventata ancor più necessaria con l’attribuzione al giudice – da parte di un’altra recente sentenza delle Sezioni Unite 6 – del potere di verificare in
termini sostanziali lo status di indagato del dichiarante nel momento in cui viene escusso, per evitare
un’opinabilità di apprezzamenti diversi, che vanno ad incidere sull’utilizzabilità stessa della deposizione.
Al riguardo viene sottolineato come la pronuncia in questione abbia «ancorato a precisi e stringenti
requisiti la possibilità di sindacato successivo», precisando che il giudice, per poter ascoltare il dichiarante nelle forme dell’art. 210 c.p.p., deve essere a conoscenza della sussistenza di indizi non equivoci
di reità a carico di costui già prima di acquisirne la testimonianza, in quanto inseriti nel fascicolo del dibattimento, dedotti dalla parte esaminata o da chi ne chiede l’audizione 7.
Chiarito questo primo aspetto e, quindi, esclusa nel caso di specie l’inutilizzabilità ai sensi dell’art.
63, comma 2, c.p.p., le Sezioni Unite affrontano la problematica sollevata nell’ordinanza di rimessione.
63 c.p.p., in E. Amodio-O. Dominioni (a cura di), Commentario del nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, p. 398; R.E. Kostoris, sub art. 63, in M. Chiavario (a cura di), Commento al nuovo codice di procedura penale, Torino, 1989, p. 321; M. Montagna,
L’imputato, in Spangher (diretto da), I, Soggetti e atti, a cura di G. Dean, Torino, 2009, p. 487. Sull’articolo in esame, tra i molti, si
v. altresì: R. Aprati, Riflessioni intorno all’art. 63 comma 2 c.p.p.: accertamento dello status di persona già indiziata e ripercussioni in tema
di elusione all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, in Cass. pen., 2004, p. 3665 ss.; C. Cesari, Le dichiarazioni rese in giudizio dal
“coindagato virtuale”: nell’intrico della disciplina codicistica, una messa a punto mancata, in Giur. cost., 2009, p. 3904 ss.; F.M. Grifantini, Sulla inutilizzabilità contra alios delle dichiarazioni indizianti di cui all’art. 63, comma 2, c.p.p., in Cass. pen., 1996, p. 2647 ss.; M.
Nigro, L’indagato sentito come testimone: quali poteri al giudice del dibattimento?, in Dir. pen. proc., 2005, p. 883 ss.; C. Rizzo, Dichiarazioni indizianti e compatibilità a testimoniare, in Giust. pen., 1999, c. 75 ss.
4
Secondo la costante giurisprudenza, tale fattispecie di reato comprende anche le dichiarazioni rilasciate alla polizia giudiziaria. Cfr. Cass., Sez. VI, 28 novembre 2013, n. 13086, in CED Cass., n. 259497; Cass., Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 28526, ivi, n.
256064. Al riguardo è opportuno ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza del 20 marzo 2009, n. 75, in Dir. pen proc.,
2009, p. 547 ss., con nota di G. Di Chiara, Casi di non punibilità, ha altresì dichiarato illegittimo l’art. 384, secondo comma, c.p.,
nella parte in cui non esclude la punibilità del dichiarante anche per false o reticenti dichiarazioni rilasciate alla polizia giudiziaria dai soggetti ivi indicati.
5
Tra le molte v. Cass., sez. III, 18 settembre 2014, n. 8634, in CED Cass.,n. 262511; Cass., sez. VI, 16 ottobre 2013, n. 47556, in
Dir. e giustizia, 2 dicembre 2013; Cass., Sez. II, 9 luglio 2009, n. 36284, in CED Cass., n. 245597; Cass., sez. VI, 13 maggio 2008, n.
33836, ivi, n. 240790.
6
Cass., sez. un., 25 febbraio 2010, n. 15208, in CED Cass., 246584.
7
Si vedano altresì: Cass., sez. un., 23 aprile 2009, n. 23868, in CED Cass., n. 243417; Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, n. 21832,
ivi, n. 236370.
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GLI ORIENTAMENTI CONTRASTANTI DELLA GIURISPRUDENZA
Le Sezioni Unite, anzitutto, danno atto dell’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte,
ripercorrendone i tre diversi orientamenti 8.
Secondo un primo indirizzo 9, l’esame dell’indagato (o indagabile) in un procedimento connesso ex
art. 12, comma 1, lett. c) c.p.p. o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p., condotto senza osservare
l’art. 210 c.p.p., comporta la inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite, salva la possibilità di riassumere la medesima prova con le dovute garanzie 10. Per le pronunce in questione il richiamo all’art. 64
c.p.p., effettuato dagli artt. 197-bis, comma 2, c.p.p. e 210, comma 6, c.p.p., deve essere inteso come
comprensivo anche della sanzione dell’inutilizzabilità sancita dall’ultimo comma della disposizione.
Un secondo orientamento 11 ritiene, invece, che l’inosservanza dell’art. 210 c.p.p. non comporti
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite, bensì una nullità di regime intermedio ex artt. 178, comma
1, lett. c) e 180 c.p.p., in quanto tale eccepibile dal diretto interessato e non da terzi. Questo indirizzo
evidenzia come in primis, il codice di rito non vieti in assoluto l’esame dell’imputato in un procedimento connesso o collegato, ma si limiti a dettarne le modalità di assunzione; in secundis come le formalità
indicate dall’art. 210 c.p.p. siano poste a garanzia del solo dichiarante, affinché non «arrivi inconsapevolmente ad auto-incriminarsi». Inoltre, le sentenze che rientrano in questa esegesi, contrariamente a
quella in precedenza esposta, evidenziano come gli artt. 197-bis, comma 2, c.p.p. e 210, comma 6, c.p.p
richiamino espressamente solo il comma 3, lett. c), dell’art. 64 c.p.p. e non anche il successivo comma 3bis, contenente la sanzione dell’inutilizzabilità.
Infine, un terzo orientamento ritiene pienamente utilizzabili le dichiarazioni acquisite senza applicare l’art. 210 c.p.p., interpretando il richiamo operato dagli artt. 210-197-bis c.p.p. all’art. 64 c.p.p. meramente «funzionale a limitare esclusivamente la possibilità di assumere come teste l’imputato solo sui
fatti altrui». Tale indirizzo, inoltre, sostiene che l’avvertimento dell’art. 64, comma 3, lett. c) abbia senso
solo nell’interrogatorio, in quanto effettuato al di fuori del contraddittorio, non, invece, nel dibattimento, ove tale garanzia è realizzata appieno. A sostegno di questa affermazione si richiama il comma 6
dell’art. 210 c.p.p., che limita la necessità di dare l’avviso anzidetto solo qualora l’escusso non abbia già
reso dichiarazioni erga alios in precedenza 12.
8
Al riguardo si v. Cass., sez. un., 17 dicembre 2009, n. 12067, in Cass. pen., 2010, p. 2583 ss., con nota di C. Conti, Le sezioni
Unite ed il silenzio della sfinge: dopo l’archiviazione l’ex indagato è testimone comune; e ivi, 2011, p. 2276 ss., con nota di G.L. Fanuli-A.
Laurino, Incompatibilità a testimoniare e archiviazione davanti alle Sezioni Unite: un nodo finalmente risolto, in cui la Corte aveva affermato che la persona offesa che rivesta la qualità di imputato in un procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c) c.p.p. o
collegato probatoriamente, debba essere sentita non come teste, ma nelle forme previste dall’art. 210 c.p.p. Tuttavia nella sentenza in questione le Sezioni Unite non avevano affrontato la problematica relativa agli effetti della mancata applicazione delle
modalità indicate dall’art. 210 c.p.p.
9
Si v. Cass., sez. V, 27 maggio 2014, n. 29227, in CED Cass., n. 260320; Cass., sez. I, 24 marzo 2009, n. 29770, ivi, n. 244462;
Cass., sez. V, 17 dicembre 2008, n. 599, in Arch. n. proc. pen., 2009, 2, p. 173; Cass., sez. VI, 4 luglio 2008, n. 34171, in CED Cass., n.
241464; Cass., sez. V, 25 settembre 2007, n. 39050, in Cass. pen., 2008, p. 2812 ss., con nota di G. Andreazza, Imputati di “reati reciproci” e incompatibilità a testimoniare: mutamento di rotta nella giurisprudenza della Corte?
10
Cfr. Cass., sez. II, 14 giugno 2006, n. 3625, in Cass. pen., 2008, p. 2544.
11
Si v. Cass., sez. II, 22 gennaio 2015, n. 5364, in www.leggiditalia.it, Cass., sez. IV, 8 luglio 2014, n. 36259, ivi; Cass., sez. VI, 22
gennaio 2014, n. 10282, in CED Cass., n. 259267; Cass., sez. I, 16 ottobre 2012, n. 43187, ivi, n. 253748; Cass., Sez. I, 11 febbraio
2010, n. 8082, in Cass. pen., 2011, p. 1528; Cass., sez. III, 11 giugno 2004, n. 38748, in CED Cass., n. 229614.
12
Si v. Cass., sez. V, 30 settembre 2014, n. 51241, in CED Cass., n. 261733; Cass., sez. V, 18 marzo 2014, n. 46457, in
www.leggiditalia.it; Cass., sez. V, 31 gennaio 2014, n. 48675, in Cass. pen., 2015, p. 1549; Cass., sez. V, 24 settembre 2013, n. 41886,
ivi, 2014, p. 3025; Cass., sez. V, 20 settembre 2013, n. 7595, in CED Cass., n. 259032; Cass., sez. VI, 11 aprile 2013, n. 17133, in Cass.
pen., 2014, 623; Cass., sez. V, 23 febbraio 2012, n. 12976, ivi, 2013, p. 3191; Cass., sez. V, 11 febbraio 2009, n. 9737, in Arch. n. proc.
pen., 2009, p. 585; Cass., sez. II, 10 aprile 2008, n. 26819, in www.leggiditalia.it; Cass., sez. II, 25 ottobre 2005, n. 41052, in CED.
Cass., 232595. Secondo Cass., sez. V, 11 dicembre 2008, n. 2096, in Cass. Pen., 2010, n. 639 con nota critica di P. Silvestri, Sulla Posizione processuale del dichiarante che sia persona offesa e (forse) imputato di reato probatoriamente collegato a quello per cui si procede,
qualora in capo al medesimo soggetto concorrano tanto la condizione di imputato, quanto quella di persona offesa del reato,
deve prevalere quest’ultima per la sua “maggior pregnanza”. Consegue a ciò che il soggetto debba essere escusso in qualità di
testimone, con obbligo di rispondere secondo verità alle domande formulategli.
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LA PRUNUNCIA DELLE SEZIONI UNITE
Le Sezioni Unite, nel rispondere al quesito formulato con l’ordinanza di rimessione, stabiliscono due
principi di diritto.
Anzitutto, il Supremo Collegio dichiara di voler aderire al primo orientamento indicato nel paragrafo precedente, che ritiene inutilizzabili le dichiarazioni acquisite senza l’osservanza dell’art. 210 c.p.p.
Al riguardo il Collegio sottolinea come con la legge attuativa della riforma costituzionale sul “giusto
processo” – la n. 63 del 2001 – il legislatore abbia, da un lato, circoscritto «le ipotesi di incompatibilità a
testimoniare, allargando notevolmente la platea dei dichiaranti, variamente assistiti sul piano defensionale e dei diritti»; dall’altro, garantito «al massimo il diritto al silenzio, in tutte quelle ipotesi in cui il dichiarante si sarebbe potuto trovare esposto al rischio di vedere compromessa la garanzia del nemo tenetur se detegere».
Con la modifica legislativa del 2001, insomma, ribadisce il Collegio, un soggetto può essere nel contempo indagato o imputato e testimone (in caso di connessione ex art. 12, comma 1, lett. c) e 371, comma
2, lett. b) c.p.p.), ma a condizioni ben precise: che renda dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui e che le rilasci in modo consapevole, in quanto avvertito ai sensi dell’art. 64, comma 3, lett. c),
c.p.p. 13.
Se ciò non avviene, la conseguenza non può che essere l’inutilizzabilità sancita nell’art. 64, comma 3
bis, c.p.p. E ciò, ad avviso della Corte di cassazione, non solo se il testimone non abbia in precedenza già
reso dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, come prevede espressamente l’art. 210, comma 6,
c.p.p., ma anche in tutti i casi in cui costui «abbia deposto erga alios in modo non “garantito”, ossia non
preceduto dal richiamato avvertimento 14».
Solo con l’avviso dell’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p., quindi, l’indagato o imputato nel procedimento
connesso ex art. 12, comma 1, lett. c) o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b),c.p.p., può essere escusso in
qualità di testimone 15.
I Giudici di cassazione, a sostegno della tesi avallata, sottolineano come gli altri orientamenti giurisprudenziali trascurino la portata generale dell’art. 64 comma 3 bis, c.p.p., il quale stabilisce che, in di-
13
Al riguardo cfr. A. Sanna, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti connessi, cit., p. 40 s. Si interrogano sull’effettiva consapevolezza del dichiarante nella propria scelta, a causa della formulazione generica dell’avvertimento: G. Illuminati,
L’imputato che diventa testimone, cit., p. 398 s.; R. Orlandi, Dichiarazioni dell’imputato su responsabilità altrui: nuovo statuto del diritto
al silenzio e restrizioni in tema di incompatibilità a testimoniare, in R.E. Kostoris (a cura di), Il giusto processo tra contraddittorio e diritto
al silenzio. Commento alla legge 11 marzo 2001 n. 63, aggiornato alle decisioni costituzionali n. 32 e n. 36 del 2002, p. 164 s.
14
Al riguardo cfr. Corte Costituzionale, 12 novembre 2002, n. 451, ordinanza, in Dir. pen. proc., 2003, p. 18 ss., nella quale, nel
dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità sollevata – relativa alla necessità di dare l’avvertimento ex art.
210, comma 6, c.p.p. anche all’imputato di reato connesso o collegato che abbia reso, in precedenza, nella veste di persona informata sui fatti, dichiarazioni erga alios, precisa come si tratti di due situazioni ben distinte, in quanto il testimone ha l’obbligo
di rispondere secondo verità alle domande formulategli, mentre solo l’imputato di un reato connesso o collegato necessita
dell’avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p., per «determinarsi liberamente a rilasciare o meno dichiarazioni accusatorie».
Corte Costituzionale, 4 giugno 2003, n. 191, in Dir. pen. proc., 2004, p. 177 ss., con nota di C. Conti, Esame dell’imputato e avvisi ex
art. 64 c.p.p.: la Consulta suggerisce l’interpretazione «analogica». Nell’ordinanza gli ermellini hanno affermato che gli avvertimenti
previsti dall’art. 64 c.p.p. siano da dare anche in dibattimento e, conseguentemente, rigettato la questione di incostituzionalità
sollevata dal Tribunale di Monza. Si veda altresì: Corte Costituzionale, 26 giugno 2002, n. 291, in Dir. pen. proc., 2002, p. 1213,
con nota di C. Conti, La consulta valuta la testimonianza assistita: un istituto coerente con l’intento del legislatore, con la quale i Giudici
del Palazzo della Consulta hanno dichiarato costituzionalmente legittimo il divieto di utilizzare contra se le dichiarazioni rilasciate dall’imputato di reato connesso o collegato che abbia volontariamente reso dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, in seguito all’avvertimento dell’art. 64 c.p.p. Per una disamina della giurisprudenza sull’argomento in questione v. F. De
Caroli, Orientamenti giurisprudenziali in tema di testimonianza assistita, in Leg. pen., 2006, p. 2 ss.. Anche Autorevole Dottrina aveva
già affermato che l’avvertimento ex art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p. dovesse trovare applicazione ai sensi dell’art. 210, comma 6,
c.p.p. anche qualora il dichiarante avesse reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, ma senza aver
ricevuto l’avviso: V. Grevi, Le prove, in G. Conso-V. Grevi-M. Bargis (a cura di), Compendio di procedura penale, VII ed., Padova,
2014, p. 359 ss. Nello stesso senso: M. Bargis, Commento all’art. 8 l. 1 marzo 2001, n. 63, cit., nota 13 p. 231; M. Caianiello, Giusto
processo e procedimento in corso: le conseguenze derivanti dall’omissione dell’avvertimento prescritto dall’art. 64 c.p.p., in Ind. pen., 2001,
p. 1395; P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, II ed., Milano, 2014, nota n. 178, p. 275.
15
Al riguardo cfr. M. Nobili, Giusto processo e indagini difensive: verso una nuova procedura penale?, cit., p. 10 s., il quale sottolinea la centralità dell’art. 64 c.p.p.; nonché A. Sanna, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti connessi, cit., p. 41, la
quale afferma che «il divieto probatorio è coerente con la ratio della disciplina, trasformando l’adempimento di cui all’art. 64,
comma 3, lett. c) c.p.p. in una conditio sine qua non per il passaggio allo status di testimone […]».
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fetto dell’avvertimento in questione, le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata sui
fatti concernenti la responsabilità altrui non siano utilizzabili nei confronti di questi. A nulla rileva, pertanto, la mancanza di un esplicito richiamo da parte degli artt. 210, comma 6, c.p.p e 197-bis, comma 2,
c.p.p.
La sentenza in commento non ritiene corretto nemmeno il richiamo alla nullità di regime intermedio
quale sanzione per l’omesso avvertimento. Da un lato, si evidenzia come l’art. 178, comma 3, lett. c),
c.p.p. tuteli il diritto di difesa dell’imputato e delle altre parti e non quello del teste assistito – il quale,
tra l’altro, è già ampiamente garantito dal divieto di utilizzo contra se del narrato –; dall’altro lato, come
venga, invece, negato l’evidente interesse a dedurre la nullità all’imputato, il quale si vedrebbe accusato
da una persona mai avvertita della responsabilità che sarebbe scaturita dalle proprie dichiarazioni, qualora avesse deciso di renderle.
Per tali ragioni, le Sezioni unite arrivano ad enunciare due principi di diritto: il primo relativo all’ambito di applicazione dell’avvertimento previsto dall’art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p., che deve essere
dato al dichiarante, in sede di esame dibattimentale ex art. 210, comma 6, c.p.p., non solo se in precedenza costui non abbia reso dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui; ma anche se abbia già
deposto senza essere stato opportunamente avvisato.
Il secondo concernente la sanzione dell’inutilizzabilità per il mancato avvertimento, per violazione
di una regola di assunzione probatoria che incide sul terreno della stessa capacità a testimoniare.
TESTIMONE ASSISTITO: QUANDO SI DIVENTA?
Le Sezioni Unite nella sentenza in commento ritengono di dover affrontare un’ulteriore problematica,
fondamentale nel caso di specie: «cosa debba intendersi per imputato di reato connesso o collegato a
quello per cui si procede, in riferimento alla posizione del testimone che, proprio in virtù delle dichiarazioni rese, abbia determinato l’insorgenza, nei suoi confronti di elementi indizianti del reato di false
informazioni al pubblico ministero, o di favoreggiamento, o di calunnia».
Come già precisato in precedenza, la Corte evidenzia come le dichiarazioni indizianti di cui all’art.
63, comma 1, c.p.p. siano solamente quelle rese da un soggetto che riveli fatti dai quali emerga una
propria responsabilità penale precedente, non anche quelle attraverso le quali un reato venga commesso 16.
Ciò premesso, esclusa l’inutilizzabilità assoluta di queste ex art. 63, comma 2, c.p.p., procede a verificare se «il reato che consiste in dichiarazioni versate nel processo possa determinare, in capo al dichiarante, l’insorgenza di una posizione di incompatibilità rispetto al munus di testimone».
Anzitutto, il Collegio rileva come l’incompatibilità a svolgere una determinata funzione, debba essere a questa pregressa: «non si può “divenire” incompatibili proprio a causa della funzione che si è legittimati a svolgere in quanto con essa compatibili». Certamente, precisano le Sezioni Unite, non è detto
che tale compatibilità perduri: possono insorgere cause che la fanno venire meno, ma devono essere
esterne. Il testimone ben può diventare indagato in un reato collegato o connesso a quello cui si riferisce
la sua deposizione, mutando il proprio status; ma ciò non si verifica se viene inquisito proprio per il
contenuto delle dichiarazioni rese. In questa ipotesi, afferma la Corte di cassazione, «scompare il profilo
di una ipotetica incompatibilità, per venire ad emersione soltanto il ben diverso aspetto dell’attendibilità», rimessa alla valutazione del Giudice «senza alcuna limitazione legale dei relativi criteri di apprezzamento 17».
In altri termini, occorre tenere ben distinta la valutazione della testimonianza rilasciata (che contiene
elementi mendaci) nel processo, dalla persecuzione penale del testimone che l’ha resa: la prima rimane
parte integrante del materiale probatorio acquisito.
In relazione al procedimento de quo, dunque, ad avviso del Supremo collegio le dichiarazioni acquisite dalla persona offesa non erano censurabili con l’inutilizzabilità, ma dovevano essere sottoposte ad
16
V. sopra, nota n. 4.
17
Le Sezioni Unite precisano, infatti, che la necessità dei riscontri ai sensi dell’art. 192, comma 3, c.p.p. non «ha ragione di
essere nei confronti del testimone “terzo” rispetto al fatto su cui è chiamato a rispondere secondo verità, a prescindere da qualsiasi fattore che ne possa affievolire l’attendibilità».
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un attento vaglio di attendibilità da parte del Giudice di merito. La Corte d’appello avrebbe dovuto verificare se la reticenza del dichiarante avesse esaurito i suoi effetti all’interno del rapporto soggettivo tra
il loquens e la persona favorita, o se, al contrario, avesse inficiato anche quanto riferito in merito alla responsabilità penale degli altri imputati.
Per tali ragioni la Suprema corte annulla la sentenza impugnata, rinviando il processo alla Corte di
secondo grado palermitana, affinché proceda a valutare l’attendibilità del dichiarante, alla luce dei
principi indicati.
CONCLUSIONI
L’iter motivazionale e la conclusione a cui sono giunte le Sezioni Unite sembrano condivisibili.
Il Supremo collegio ha, ad avviso di chi scrive, colto il cuore del quesito formulato dalla Seconda sezione e indicato chiaramente la direzione da seguire, al fine di evitare la continua emanazione di pronunce contrastanti 18.
Le Sezioni unite, infatti, hanno fissato importanti paletti sul terreno alquanto scivoloso dell’esame
dell’imputato in un procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. o collegato ex art. 371,
comma 2, lett. b), c.p.p.
Anzitutto, la Suprema corte ha ribadito che sono indizianti ai sensi dell’art. 63 c.p.p. solo le dichiarazioni con le quali il loquens riferisce di una responsabilità penale pregressa; non anche quelle che integrano una fattispecie criminosa (quale: false informazioni al pubblico ministero, favoreggiamento, calunnia, falsa testimonianza).
Inoltre, ha precisato che il potere del giudice di stabilire in termini sostanziali se al dichiarante sia attribuibile, o meno, la qualifica di indagato è ancorato all’esistenza di «indizi non equivoci di reità», conoscibili in quanto presenti nel fascicolo dibattimentale o perché indicati dalla parte esaminata o da chi
ne richiede l’audizione.
Le Sezioni Unite, poi, hanno affermato che l’aver reso dichiarazioni mendaci non comporta l’incompatibilità a testimoniare, la quale scaturisce solo laddove il soggetto divenga indagato o imputato concorrente nel reato cui si riferisce il suo racconto; ma coinvolge il profilo, ben diverso, dell’attendibilità.
È, quindi, compito del Giudice valutare se le dichiarazioni mendaci siano scindibili dalla restante parte
del narrato e se «il giudizio di inattendibilità, riferito soltanto ad alcune circostanze, non comprometta
per intero la stessa credibilità del dichiarante».
Infine, il Collegio afferma i due importanti principi di diritto ricordati nel paragrafo precedente.
Nella sentenza le Sezioni Unite non affrontano, invece, lo specifico caso in cui l’art. 210 c.p.p. sia violato solo per l’assenza del difensore.
Tuttavia, alla luce di quanto affermato nella pronuncia, sembrerebbe potersi ritenere che tale carenza, non incidendo sulla capacità a testimoniare del dichiarante – già acquisita con l’avvertimento ex art.
64, comma 3, lett. c) – non ne comporti l’inutilizzabilità, ma integri una nullità ex art. 178, comma 3, lett.
c), c.p.p. 19 . La presenza del difensore, pur se obbligatoria, sembra infatti una garanzia posta a tutela del
dichiarante, per arginare il rischio che costui rilasci dichiarazioni a lui dannose, evenienza, oltretutto,
già ampiamente tutelata con la previsione dell’inutilizzabilità contra se. 20.
18
Ritiene, invece, che, con la sentenza in commento, le Sezioni Unite abbiano risposto solo parzialmente al quesito formulato
dalla seconda sezione: J. Della Torre, Le Sezioni Unite sulla violazione della disciplina di cui agli articoli 210, comma 6 e 197 bis c.p.p.:
un’occasione (parzialmente) perduta per ristabilire la legalità processuale?, in www.penalecontemporaneo.it, 8 ottobre 2015, p. 13, in
quanto avrebbero affrontato solo l’ipotesi della violazione dell’art. 210, comma 6, c.p.p. per il mancato avvertimento ex art. 64,
comma 3, lett. c), c.p.p.
19
Il coimputato di un reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p., infatti, in
questa ipotesi avrebbe liberamente e consapevolmente rilasciato eventuali dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui,
avendo ricevuto l’avvertimento dell’art. 64 c.p.p. Qualora avesse narrato fatti o circostanze contra se sarebbe sempre garantito
dall’inutilizzabilità nei propri confronti, ai sensi del quinto comma dell’art. 197 bis c.p.p., Contra J. Della Torre, Le Sezioni Unite
sulla violazione della disciplina di cui agli articoli 210, comma 6 e 197 bis c.p.p.: un’occasione (parzialmente) perduta per ristabilire la legalità processuale?, cit., p. 16.
20
Per un’opinione differente cfr. J. Della Torre, Le Sezioni Unite sulla violazione della disciplina di cui agli articoli 210, comma 6 e
197 bis c.p.p., cit., p. 16. Si veda anche la nota n. 45.
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In conclusione, le argomentazioni e la conclusione a cui giunge la sentenza in commento sembrano
condivisibili e apprezzabili in quanto, da un lato, ritengono sempre indispensabile l’avvertimento
dell’art. 64, comma 2, lett. c), c.p.p. ai fini dell’acquisizione del munus di testimone – nel caso di un indagato o imputato in un procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. o collegato ex art.
371, comma 2, lett. b), c.p.p. –; dall’altro, chiariscono quali siano le dichiarazioni indizianti ex art. 63
c.p.p., che comportano l’incompatibilità a testimoniare ai sensi dell’art. 197, comma 1, lett. b), c.p.p.
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