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Il Ritratto - Aracne editrice

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Il Ritratto - Aracne editrice
“Il Ritratto”
Atti del Seminario di Studi sul tema
del progetto di ricerca 2006
(Bari, 11 giugno 2007)
a cura di
Ruggiero Stefanelli, Pasquale Guaragnella,
Maria Stomeo
ARACNE
Copyright © MMVIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2169–9
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2008
SOMMARIO*
MARIA B. PAGLIARA (Direttore del Dipartimento)
Saluto.................................................................................................p.
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RUGGIERO STEFANELLI (Direttore de «La Nuova Ricerca» e responsabile
scientifico del progetto di ricerca 2006 su “Il ritratto”)
Introduzione ai lavori........................................................................p. 7
PARTE PRIMA (ore 9,00 – 13,00)
Coordina il prof. FRANCESCO ABATE (Università del Salento)
GIUSEPPE A. CAMERINO (Università del Salento)
Il ‘ritratto’ nel n.14-16 de «La Nuova Ricerca» ...............................p. 11
FLORIANA CONTE (Università del Salento)
Salvator Rosa tra Roma e Firenze:
vecchie questioni e nuovi materiali ...................................................p. 19
GIANPAOLO ALTAMURA (Università di Bari)
La costruzione caotica.
La scrittura “figurativa” di Pasolini ................................................p. 47
ROSSELLA ABBATICCHIO (Università di Bari)
Arti figurative e giornalismo culturale.
Il caso del «Conciliatore» .................................................................p. 63
MARCO LEONE (Università del Salento)
Tra poesia e pittura: due esempi secenteschi
(G.F. Maia Materdona, S. Mazzoni) .................................................p. 73
PARTE SECONDA (ore 15,00 – 18,00)
PASQUALE SABBATINO (Università di Napoli “Federico II”)
Il ritratto del Caravaggio.
L’“orrido cominciamento” del Decameron e l’“ingegno
torbido e contenzioso” dell’artista nelle “Vite” del Bellori .............p. 87
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Sommario
MARINO CAPOTORTI (Università di Bari)
Ritratto e celebrazioni.
Don Giovanni d’Austria eroe di Lepanto..........................................p. 117
ANTONELLA CIOCE (Università di Bari)
“Uno stile di cose”:
Pirandello tra penna e pennelli del suo tempo..................................p. 145
RUGGIERO STEFANELLI (Università di Bari)
A proposito di onomastica lettearia: nomi come ritratti...................p. 161
*
Informiamo i lettori che in questi “Atti” non sono presenti i contributi, presentati nel
giorno del Seminario, dei seguenti relatori:
Prof. MASSIMILIANO ROSSI (Università del Salento), Retorica scienza e pittura:
Michelangelo il Giovane, Galilei e Redi, (trattenuto per necessità di aggiornamento
bibliografico);
Dott. ALESSANDRO CALDAROLA (Università di Bari), Ritratto di editore con critico in
bega letteraria. Giovanni Laterza, Luigi Russo, Carlo Muscetta (con inediti);
Dott. ROSARIA AMENDOLARA (Università di Bari), Eusebio Sguario fra letteratura e
scienza; (questi ultimi due pubblicati nel frattempo nei nn. 14-16 de “La Nuova Ricerca”, a.
XIV-XVI, 2005-2007, rispettivamente alle pp. 65-68 e alle pp. 263-269);
È presente invece la relazione del prof. RUGGIERO STEFANELLI che in quel giorno non potè
essere tenuta per il prolungarsi dei lavori.
Maria B. Pagliara
Saluto
Mi è gradito porgere i miei saluti e quelli di tutto il Dipartimento di
linguistica letteratura e filologia moderna, promotore di questa iniziativa, agli ospiti e in special modo ai colleghi delle altre Università che
con entusiasmo hanno accettato il nostro invito permettendo in tal
modo di realizzare l’incontro di oggi.
L’intento che ci ha spinti è anche quello di offrire un’occasione ai
giovani studiosi, assegnisti e dottorandi afferenti al Dipartimento, per
presentare i risultati delle loro ricerche strettamente connesse, in questo caso, a un tema – quello del ‘ritratto’ – che è inserito nel nostro
piano annuale delle ricerche. Proficuo, inoltre, rimane il fatto che
qualsiasi occasione di incontri in cui scambiarsi idee giova comunque
all’ambiente accademico.
Ed è con questo spirito che auspico un felice avvio e una produttiva
conclusione dell’incontro di oggi.
Ruggiero Stefanelli
Introduzione ai lavori
Rivolgo a tutti i presenti, colleghi di questo e di altri Atenei, allievi
del Corso di studi in Scienze della comunicazione, dottorandi, collaboratori ed amici, il mio personale saluto, nonché quello delle autorità
accademiche, Magnifico Rettore e Preside della Facoltà di Scienze
della Formazione che, per altri impegni istituzionali, non sono qui oggi con noi, ma che non hanno fatto mancare il loro sostegno con messaggi di augurio.
L’occasione di questa giornata è data dalla preparazione del primo
Quaderno di Studi che affianca la ripresa de «La Nuova Ricerca», la
cui edizione (nn. 14-16) ospita già una sezione dedicata al tema di
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questo incontro, sul quale hanno lavorato, e ancora stanno lavorando, i
colleghi professori che hanno aderito al progetto di ricerca da me proposto e di cui sono responsabile scientifico per l’anno 2006, che mi
piace ora ricordare: Pasquale Guaragnella, Ettore Catalano, Maria Beatrice Pagliara, Μaria Pasqua Basile, Giovanna Zaccaro, i dottori di
ricerca Rossella Abbaticchio e Rosaria Amendolara, i dottorandi Stefania De Toma, Antonella Cioce; a costoro va il mio primo ringraziamento particolare per aver sostenuto il progetto con la loro diretta partecipazione.
Rivolgo anche un ringraziamento particolare al prof. Francesco
Abate che coordinerà oggi i lavori e al prof. Giuseppe A. Camerino
che presenterà i contenuti del n. 14-16 de «La Nuova Ricerca» che ho
annunciato; ai proff. Pasquale Sabbatino, Massimiliano Rossi e Marco
Leone che hanno accettato di essere presenti con una relazione. A tutti
i nostri giovani collaboratori, che offrono il contributo dei loro studi,
va poi il mio e nostro plauso, di buon auspicio per i loro impegni futuri.
Le competenze degli studiosi qui presenti testimoniano il vivo interesse che ha suscitato la proposta del tema così formulata: «Il ‘ritratto’
fra letteratura ed arte nella cultura italiana». Era nelle intenzioni di esplorare e definire gli elementi culturali sociali e psicologici, sottesi
alla concezione e all’ideazione del ‘ritratto’ individuale, che hanno
contribuito, e tuttora contribuiscono, a caratterizzare in senso antropologico, stilistico ed estetico le varie fasi storiche della letteratura italiana, in versi e in prosa, nonché gli sviluppi del medesimo soggetto
nella produzione artistica dal Trecento al Novecento. In realtà l’arco
cronologico poteva apparire troppo ampio, ma si intendeva proprio
consentire un approccio pregiudizialmente indeterminato per favorire
uno sguardo critico sorretto da parametri meno circoscritti. L’obbiettivo era produrre saggi idealmente, cioè tematicamente, coordinati fra
loro, volti a tracciare il profilo storico della ritrattistica letteraria, teatrale e artistica nei suoi risvolti rappresentativi, comunicativi e ricettivi
all’interno della tradizione italiana.
Il progetto, come base di partenza, poggiava sul presupposto scientifico che il ‘ritratto’ ha costituito un insostituibile strumento di espressione letteraria ed artistica lungo i secoli della formazione e trasformazione della cultura italiana, dal Medioevo (come già dimostra-
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no gli studi di estetica di Umberto Eco) al Barocco (indagato da Anceschi e Barilli) in chiave prevalentemente imitativa e poi di pura visibilità; dall’illuminismo (esplorato da Scaramella) al romanticismo (studiato da Luigi Pareyson) in chiave introspettiva, civile, ideologica.
Quindi il nostro oggetto specifico era di apprestare una serie di proposte interpretative, volte a recuperare i meccanismi di interazione fra
tendenze letterarie, concezioni estetiche e correnti artistiche, in tema
di individuazione delle caratteristiche di rappresentazione ed espressione del ‘ritratto’, in quanto componente essenziale dell’attività concreta del poeta, del narratore, del drammaturgo e dell’artista. Lo scopo
è quindi di produrre un quadro storicamente articolato ed omogeneo
nel quale trovino posto le analisi tanto dei maggiori protagonisti della
letteratura e dell’arte, quanto dei minori che a quelli si collegano con
impatto non meno importante su ambienti, movimenti e iniziative intellettuali. Perciò la ricerca ha mirato all’analisi e all’interpretazione di
opere, o di gruppi di opere, nelle quali il ‘ritratto’ assume l’importanza
di struttura significativa attraverso cui scrittori e artisti intendono esprimere significati formali e sostanziali atti a contribuire alla rappresentazione di spaccati civili, religiosi, filosofici e culturali, tramite i
quali poter interpretare i diversi momenti dello sviluppo letterario ed
artistico italiano, anche con l’ausilio di altri mezzi, cioè traduzioni,
imitazioni ed altri linguaggi espressivi.
Spero che questa giornata di studi possa essere apprezzata da tutti e
perciò esprimo auguri di buon lavoro.
Giuseppe A. Camerino
Il ‘ritratto’ nel n. 14-16 de «La Nuova Ricerca»
Nell’antichità classica e in età umanistica i ritratti dei grandi personaggi storici, illustri o meno illustri, non riguardano solo le arti figurative, ma anche la letteratura. In età umanistica, anzi, il ritratto è un vero e proprio genere letterario, che risale al Petrarca (si veda la sua prefazione al suo De viris illustribus), ma che trova le sue remote vestigia
nel Vecchio Testamento e poi nella letteratura dell’antica Grecia: da
Senofonte a Isocrate, dal Diogene Laerzio delle Vite dei filosofi al celeberrimo Plutarco delle Vite Parallele, certamente il modello di ritrattistica più alto raggiunto dall’antichità classica; anche se non bisogna
dimenticare nel mondo latino gli esempi di Varrone, di Svetonio, di
Tacito, degli scrittori della Historia Augusta.
Come erede di questa illustre tradizione, nel mondo medievale, si
deve evidenziare soprattutto il De Viris illustribus di San Girolamo;
senza dimenticare, tuttavia, altre importanti biografie, quasi tutte dedicate – come era nel prevalente spirito del tempo – a personaggi esemplari per devozione e fede religiosa (si pensi alle trecentesche Vite dei
santi Padri di Domenico Cavalca).
A partire dal Trecento, s’è detto, il grande maestro di biografia resta Petrarca, imitato da Boccaccio, biografo di donne e uomini illustri
e soprattutto biografo innovatore col cosiddetto Trattatello in laude di
Dante (sono tutti boccacciani, infatti, i particolari somatici tramandati
sul sommo poeta). Biografo innovativo Boccaccio (autore anche in latino di brevi Vite di Petrarca, Pier Damiani e Livio) perché il suo insistere su particolari fisici e psicologici fece scuola su importanti autori
dell’umanesimo in volgare, come nei ritratti femminili, eseguiti non
senza allusioni erotiche, da Lorenzo dei Medici (si pensi alla Nencia
da Barberino) e Luigi Pulci (nel Morgante).
Ma nell’umanesimo, la tendenza a un genere di tradizione classicistica come il ritratto è particolare prerogativa della letteratura latina: si
pensi al ritratto femminile di Enea Silvio Piccolomini, autore di novelle in latino; si pensi soprattutto a uno dei più fertili biografi della Fi-
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Giuseppe A. Camerino
renze umanistica, Filippo Villani, che riprende, nel Quattrocento, il
gusto dello storico latino Svetonio nel disegnare modelli fisici e morali di assoluta perfezione, quasi idealizzati. E sempre nella Firenze dello stesso periodo è pure da ricordare la biografia di Aristotele di Leonardo Bruni, un nome fondamentale per la ritrattistica umanistica, sia
per quanto concerne quella più propriamente letteraria sia quella consegnata ai codici miniati.
Nelle arti figurative la ritrattistica si impone a partire dal Rinascimento: basti pensare a Lorenzo Lotto, ritrattista di volti che raffigurano i moti dell’animo, o basti pensare, andando un po’ indietro nel
tempo, a Leonardo, artista e scienziato dal quale si potrebbe far partire
anche l’arte della fisiognomica, cioè l’arte del ritratto psicologico e
morale: un’arte che viene a superare la ritrattistica classica. È una
forma di ritrattistica per cui, per alcuni specifici particolari (per esempio il brillio degli occhi, o le pieghe della bocca e così via) si rivelano
pieghe segrete di un animo, di un carattere. Il rinascimento pittorico,
naturalmente, ha fior di ritrattisti: basti pensare a Tiziano, al già ricordato Lotto, a Pontormo, a Dürer – su cui tornerò più avanti – o ad Annibale Carracci (penso allo stupendo ritratto del Giovane che ride, ora
presso la Galleria Borghese), ad altri ancora.
Coincidenza vuole che proprio ieri s’è chiusa a Roma la importantissima mostra su Albert Dürer e l’Italia, in cui il ritratto (o
l’autoritratto) costituisce parte centrale di una vicenda artistica e intellettuale di eccezionale grandezza, in un’epoca, il primo Rinascimento,
in cui le arti figurative, non solo nella Germania di Dürer o nelle Fiandre, ma anche in Italia, perseguivano la categoria del verosimile. Per
Dürer il ritratto di figura umana costituiva una ricerca di verità che
andava al di là del volto fisico, come nel famoso dipinto Albrecht Dürer il vecchio (cioè di suo padre, 1490, che si trova agli Uffizi di Firenze). Questo ritratto giovanile presenta ancora tratti di durezza che
l’artista tedesco addolcirà molto dopo il suo soggiorno veneziano (fine
1505 – primi del 1507), soprattutto per via della lezione di Giovanni
Bellini, autore di un Ritratto di uomo giovane (conservato negli Uffizi), un dipinto che ha influenzato il ritratto düreriano di Burkhard von
Speyer (London, Royal Collection) e soprattutto quello, sempre di Dürer, intitolato pure Ritratto di un uomo giovane (a Genova, Palazzo
rosso), in cui Dürer raffigura probabilmente un membro della famiglia
Il “ritratto” nel n.14-16 de «La Nuova Ricerca»
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Fugger, grandi finanzieri dell’epoca. Sempre a Venezia Dürer esegue
il Ritratto di giovane donna veneziana (1505, Wien, Kunsthistorisches
Museum): un ritratto che, pur presentando tratti stilistici assai vicini a
quello di Caterina Sforza di Lorenzo di Credi (stessa pettinatura, stessi
fiocchi), non ritrae quel modello di bellezza idealizzata, ma affina inconfondibilmente i tratti psicologici originali: qualità che Dürer continuerà a perfezionare con la lezione dei maestri fiamminghi, come dimostrano nel periodo della sua splendida maturità i ritratti di Bernhart
von Reesen (1521, Dresden, Alte Meister Galerie) e quello di Un gentiluomo (1524, Madrid, Prado).
Di Dürer, che soggiornò a Venezia nei primi anni del Cinquecento,
va pure ricordata un’incisione sul tema della malinconia, tema che
verrà ripreso, come si vedrà, da Pasquale Guaragnella per il ritratto di
Paolo Sarpi. In questa sede sarà privilegiato il piano della ritrattistica
letteraria, che nei secoli più recenti, almeno fino all’età romantica, farà
prevalere il genere dell’autoritratto e dell’autobiografia; genere che
persisterà anche nell’Ottocento inoltrato e nel Novecento, ma con modalità e forme molto diversificate rispetto a quelle tradizionali, suscitando interrogativi nuovi, specie per il secolo ventesimo. Non a caso
tra i saggi sulla ritrattistica letteraria che la rivista «Nuova Ricerca»
propone ora alla nostra attenzione, ben quattro contributi sono dedicati
proprio al secolo contrassegnato dalla crisi dell’identità dell’individuo
e della profonda frattura tra io e mondo, tra ragione e sentimento: una
frattura che – per tornare un momento all’arte figurativa – potrebbe riconoscersi negli inquieti e tragici ritratti di Francis Bacon.
Mai come nel Novecento il ritratto alimenta la straordinaria novità
di una letteratura della scissione e della frammentazione dell’io, del
dileguarsi delle forme vive della coscienza negli universi intercambiabili e sempre più precari dell’inconscio e del pensiero sempre cangiante e inafferrabile. Il Novecento è il secolo della Coscienza di Zeno, di
Uno, nessuno e centomila, nonché dell’Uomo senza qualità (attenzione: qualità al plurale), dell’Ulysses, della Ricerca del tempo perduto,
che è anche in qualche modo recherche del ritratto perduto. Alla luce
di queste considerazioni certamente il saggio montaliano di Ruggiero
Stefanelli, Il ritratto negato, esamina egregiamente l’impossibilità del
ritratto compiuto in uno dei protagonisti massimi della poesia del secolo. Per Montale, infatti, la poesia è impotente a fissare i contorni in-
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Giuseppe A. Camerino
dividuali propri di una figura o di un viso («[…] in me i tanti sono uno
anche se appaiono / moltiplicati dagli specchi», dice in Satura); e
quello del ritratto mancato è un motivo guida sin da Ossi di seppia
(«Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe»; oppure: «[…] possiamo dirti / ciò che non siamo / ciò che non
vogliamo»; o ancora: «[…] svanire / è […] la ventura delle venture»).
Già in Ossi (si pensi pure al dittico per Camillo Sbarbaro o alla snaturante metamorfosi di Esterina) è negato al poeta ogni tentativo di autoritratto: «[…] s’io levo / appena il braccio, mi si fa diverso / l’atto, si
spezza su un cristallo, ignota / e impallidita sua memoria […]». In Occasioni il motivo si riflette in una tendenza al particolare di un gesto
nelle liriche Verso Vienna, Verso Capua e in Dora Markus, in celebri
versi che cominciano: «Con un segno / della mano additavi all’altra
sponda / invisibile la tua patria vera». E il saluto con la mano – nota
ancora Stefanelli – si consolida topos nell’esordio della Bufera: «[…]
e con la mano […] / […] /mi salutasti – per entrar nel buio». Gesti,
cenni frammentarî che in Montale confermano l’illusorietà di pervenire a un ritratto pieno, come il poeta scrive in Diario del ’71 e del ’72:
«Modellatevi […] anche sul nulla / se v’illudete di potere ancora / rasentare la copia di quel pieno / che non è in voi». Un motivo al quale
il poeta resta sempre fedele, come si vede, per esempio, anche in Satura: «So che si può vivere / non esistendo, / emersi da una quinta, da un
fondale, / da un fuori che non c’è se mai nessuno / l’ha veduto. / So
che si può esistere non vivendo […]».
Pur versati su coordinate diverse di ricerca, gli altri contributi novecenteschi della rivista aggiungono elementi e indicazioni ulteriori al
ruolo e alla funzione del ritratto nel cosiddetto secolo breve: si va da
letterati accademici come Luigi Russo e Carlo Muscetta all’editore
Laterza, da Carlo Levi e Anna Banti al poeta spagnolo Juan Ramόn
Jimenez. Nel caso di Russo, Muscetta e Laterza il contributo di Alessandro Caldarola investe una tipologia del ritratto che in genere si definisce intellettuale e ideologico, più che individuale e psicologico.
Una tipologia alla quale – per semplificazione della dialettica polemica – si addice anche l’apologo zoomorfico, che, con velenosa caricatura, enfatizza i difetti e i negativi tratti comportamentali dell’avversario: il mite usignolo contro il vanesio e arrogante cuculo, spalleggiato da pappagalli e cornacchie. A sua volta, colui che era stato identifi-
Il “ritratto” nel n.14-16 de «La Nuova Ricerca»
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cato come cuculo definirà vulpecula chi si era identificato con l’usignolo, cioè Carlo Muscetta, il quale – oltre che il cuculo Luigi Russo
– attaccava anche l’editore Giovanni Laterza, che di Russo si accingeva a pubblicare i volumi della Critica letteraria contemporanea.
Col saggio di Vanna Zaccaro, Carlo Levi e Narciso, si torna a
un’idea di ritrattistica in senso stretto. Carlo Levi, pittore, ma anche
critico d’arte, in un saggio intitolato I ritratti (ora in C. Levi, Lo specchio. Scritti di critica d’arte, Roma, Donzelli, 2001), sviluppando il
tema del mito di Narciso, storicamente già a base del ritratto di tradizione umanistica, scrive tra l’altro: «Il se stesso è dunque, per ogni artista, la forma assoluta, la forma delle forme […]. L’Altro è storia, ragione, tempo, vicenda, religione, vita, racconto, fantasia, dimensione,
prospettiva, rapporto… Questa realtà, questo se stesso altro, questo
Altro se stesso, è il ritratto». Ma il ritratto, poiché specchio di Narciso,
non è che un autoritratto, un “doppio” ambiguo. «Narciso» — scrive
Levi in Paura della libertà — «è sempre esistito, […] il Seicento lo
porta come insegna nelle sue caravaggesche bandiere, e reagisce alla
Controriforma […] chiudendosi in sé e approfondendosi, specchiandosi nei sensi e nelle curve barocche».
Ma nel Novecento? Che cosa avviene di Narciso nella perdita
dell’identità dell’uomo individuo? Per rispondere a questa domanda
bisogna rivedere i ritratti dei grandi artisti e testimoni del secolo da
Van Gogh a Picasso, da De Chirico a Munch, da Boccioni a Lautrec:
più che ritratto sono travestimenti e deformanti maschere che denotano la malattia intima dell’uomo moderno.
Pur deformante, sempre nel Novecento, in un contesto culturale e
linguistico diverso, quello spagnolo, si presentano i ritratti inclusi da
Juan Ramón Jiménez nel volume Españoles de tres mundos (Buenos
Aires, 1958), che reca come sottotitolo Caricaturas liricas: caricature,
sottolinea il poeta, va appunto inteso con intento deformante con
l’esagerazione di alcuni tratti. Straordinario tra gli altri il ritratto di
Giner de los Ríos, professore di Filosofia del diritto all’Università di
Madrid, un intellettuale di spicco della Spagna dell’Ottocento.
Ma forse ancor più significativo è lo stesso autoritratto di Jiménez,
El andaluz universal, che – come scrive Maria Petrella, non risponde
solo al temperamento narcisista dell’autore (ancora un richiamo a
Narciso), ma investe la necessità, tipica della estetica moderna, di
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Giuseppe A. Camerino
fondere in una sola operazione l’opera, la personalità e la vita del poeta. Un autoritratto condotto con una prosa tramata di venature barocche (come del resto si nota anche nei ritratti di altri), con tratti che
sgorgano spontaneamente e genialmente dall’inventiva del poeta, il
quale poi non corregge, non modifica e quei tratti vengono a suggellarsi nel momento in cui vengono eseguiti. Anzi, il ritratto corretto pareva a Jiménez una falsificazione “grotesca o infantil”.
Il fondamento autobiografico del ritratto, a cui faceva riferimento
Jiménez si ripropone nei ritratti femminili e, a maggior ragione nell’Autoritratto di Anna Banti, di cui si occupa Beatrice Pagliara: un autoritratto che la scrittrice costruisce gradualmente attraverso l’esame
di una vecchia foto che risale agli anni giovanili. È l’autoritratto di
una mirabile metamorfosi in cui per l’autrice le condizioni dell’esistenza – da signorina a signora e amante – vengono improvvisamente
a ribaltarsi, sconvolgendo un vecchio ordine, ma senza fare luce completa su un ordine nuovo del vivere, su una vita seconda, dopo aver
chiuso con la prima, come mostra soprattutto il libro bantiano del
1981 (Rizzoli): Un grido lacerante (che riprende e amplia il precedente testo, La signorina, del 1975).
Andando ora indietro nel tempo, si potrà notare come il ritratto, o
l’autoritratto, del Novecento, di cui – come s’è visto – viene offerto un
sintomatico campionario, riveli una specificità – quella dell’identità
lacerata e deformata – che non ha riscontro con la ritrattistica del secolo passato. Il contributo di Mariateresa Colotti è l’esame di un testo
come il Dialogo del semplicista con la morte, che la tradizione fa risalire alla fine del Seicento, componimento di 32 ottave e che altro non è
che un rimaneggiamento di persona incolta, dalla lingua rozza e trista,
intrisa di modi popolari e dialettali, soprattutto di area siciliana. La lettura del poemetto fa emergere i ritratti dei dialoganti, cioè la Morte e il
semplicista: la prima descrive se stessa come un’immagine pronta a
sdoppiarsi nel ritratto apparente, quella di icona popolare, e poi in
quella vera di morte spirituale; il secondo invece mostra nelle varie fasi e nei vari esemplari che l’opera ha conosciuto nel tempo, ora il volto del villano ora quello del borghese in cappa, culottes e cappello a
tesa larga. Evoluzione di un ritratto di personaggio che tende ad attrarre a sé l’attenzione degli altri.
Il saggio di Guaragnella riguarda lo scritto sarpiano Pensieri medi-
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