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Arte del ritratto e borghesia fiorentina

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Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Arte del ritratto e
borghesia fiorentina
di Aby Warburg
Storia dell’arte Einaudi
1
Edizione di riferimento:
Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico.
Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud
Bing, trad it. di Emma Cantimori
© 1966, 1996 e 2000 La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze)
Titolo originale:
Gesammelte Schriften
© 1932 B.G. Teubner, Leipzig-Berlin
Storia dell’arte Einaudi
2
Indice
Osservazione preliminare
5
Arte del ritratto e borghesia fiorentina:
Domenico Ghirlandajo in Santa Trinita:
I ritratti di Lorenzo de’ Medici e dei suoi familiari
7
Appendice:
I.
Statue votive in cera
35
Ritratto di Lorenzo de’ Medici in Bartolomeo
Cerretani, Storia fino all’anno 1513
39
Ritratto di Lorenzo de’ Medici in Niccolò
Valori, La vita del magnifico Lorenzo
40
IV.
Lettera di Angelo Poliziano a Piero de’ Medici
41
V.
Luigi Pulci e il «compare della viola»
42
II.
III.
Storia dell’arte Einaudi
3
Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Domenico Ghirlandajo in Santa Trinita.
I ritratti di Lorenzo de’ Medici e dei suoi familiari
(1902)
A mia moglie
«È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente, e, per dire cosí, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per
la varietà delle circumstanze, in le quali non si possono
fermare con una medesima misura; e queste distinzioni
e eccezioni non si trovano scritte in su’ libri, ma bisogna lo insegni la discrezione».
Francesco Guicciardini, Ricordi politici e civili, VI.
Storia dell’arte Einaudi
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Osservazione preliminare
Da pioniere esemplare Jakob Burckhardt ha dischiuso alla scienza e dominato genialmente il campo della
civiltà italiana del Rinascimento; ma era estraneo a lui
l’intento di sfruttare da sovrano assoluto la terra di
recente scoperta; al contrario, l’abnegazione scientifica
lo dominava a tal punto da fargli scomporre il problema
storico di quella civiltà, anziché afferrarlo in tutta la sua
unità artisticamente allettante, in piú parti esteriormente sconnesse, per indagarne e illustrarne ognuna a
sé con sovrana placidità. Cosí ci diede, nella sua Civiltà
del Rinascimento1, da un lato la psicologia dell’individuo
sociale senza riferimento all’arte figurativa, allo stesso
modo che nel suo Cicerone2 d’altro lato volle offrirci soltanto «una guida al godimento delle opere d’arte». Egli
adempí semplicemente il dovere piú immediato di considerare in un primo tempo tranquillamente l’uomo del
Rinascimento nel suo tipo piú altamente sviluppato, e
l’arte nei suoi singoli prodotti piú belli, non preoccupandosi affatto di sapere se a lui stesso sarebbe ancora
stata concessa la presentazione unitaria dell’intera
civiltà; purché nessuno lo disturbasse nella seminagione,
il raccolto sarebbe toccato a chi si volesse. E perfino
dopo la sua morte questo conoscitore geniale ed erudito ci si presenta ancora come ricercatore instancabile;
nei suoi postumi Contributi alla storia dell’arte in Italia,
per avvicinarsi alla grande meta della sua sintesi storica
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
di quella civiltà, egli ha aperto ancor una terza via empirica: non disdegnò la fatica di indagare la singola opera
d’arte nel suo nesso diretto con lo sfondo dell’epoca per
interpretare le esigenze ideali o pratiche della vita reale
come «causalità».
La nostra consapevolezza della superiore personalità
di Jakob Burckhardt non deve impedirci di continuare
per la via da lui indicata. Un soggiorno di anni a Firenze, studi in quell’Archivio, i progressi della fotografia,
e la delimitazione locale e cronologica del tema mi incoraggiano a pubblicare nel presente scritto una postilla al
saggio burckhardtiano su «il ritratto» nei su citati Contributi alla storia dell’arte in Italia3. Altri studi del genere sul nesso stilistico fra civiltà borghese e artistica nella
cerchia di Lorenzo de’ Medici – su Francesco Sassetti
l’uomo e l’amico delle arti, su Giovanni Tornabuoni e
sul coro di Santa Maria Novella, sulle feste medicee e
l’arte figurativa, ecc. – seguiranno, spero, in un tempo
non troppo lontano.
Gli amici che mi hanno consigliato, i fedeli colleghi
degli anni di lavoro fiorentini accolgano queste pubblicazioni come espressione di quella dedizione che per
Heinrich Brockhaus e Robert Davidsohn si attua in una
vita di studio incessante e approfondito delle fonti della
civiltà fiorentina.
Amburgo, novembre 1901.
Storia dell’arte Einaudi
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Le forze motrici di un’arte viva del ritratto non sono
da ricercarsi esclusivamente nell’artista; bisogna tener
presente che fra ritrattista e persona ritratta ha luogo un
intimo contatto che in ogni epoca di un gusto piuttosto
affinato fa nascere fra i due una sfera di rapporti reciproci, di freno o d’impulso. Il committente può infatti,
secondo che desideri assomigliare al tipo dominante normativo o per contro gli sembri degno di raffigurazione
proprio il particolare della sua personalità, stabilire
anch’egli la tendenza dell’arte del ritratto o nel senso del
tipico o in quello dell’individuale.
È un fatto fondamentale della civiltà del primo Rinascimento fiorentino che le opere d’arte devono la loro
origine alla comprensiva cooperazione comune fra committenti ed artisti, e sono dunque da bel principio da
considerarsi in certo modo prodotti di una azione reciproca fra committente e artista esecutore. Nulla appare
quindi piú naturale e piú ovvio del tentativo di illustrare una volta esattamente il problema posto sopra del
«rapporto fra ritrattista e persona ritratta» scegliendo
alcuni casi della storia d’arte fiorentina, allo scopo di
comprendere l’universale della mentalità e del modo
d’agire di eminenti figure del passato in base a fatti singoli della loro reale esistenza. Un tentativo del genere è
certo piú facilmente auspicato e osato che non attuato,
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
poiché alla storia dell’arte si presenta per una considerazione comparata del rapporto fra committente ed artista soltanto in modo unilaterale il risultato definitivo del
processo creativo, cioè l’opera stessa. Dello scambio di
sentimenti o pareri fra committente ed artista esecutore solo di rado qualcosa giunge al mondo esterno, e il
vero indefinibile e sorprendente si comunica anche allo
stesso ritratto come dono di un felice attimo imprevisto
sottraendosi in tal modo per lo piú alla consapevolezza
personale e storica. Bisognerà quindi, giacché le deposizioni di testimoni oculari sono cosí difficilmente reperibili, incolpare il pubblico di questa collaborazione per
cosí dire mediante prove indiziarie.
Firenze, culla di una moderna e consapevole civiltà
cittadina mercantile, non ci ha soltanto serbato con ricchezza unica e toccante vivacità i ritratti di persone da
gran tempo defunte. In centinaia di documenti letti e in
migliaia di documenti non letti sopravvivono ancora in
Archivio anche le voci dei defunti, e la pietà dello storico ha il potere di riconferire timbro alle voci inudibili, se non sdegna la fatica di ricostruire la naturale unità
fra parola e immagine. Firenze risponde a tutte le
domande che pone la storia della civiltà purché non ci
si stanchi di domandare e si limitino le domande a un
ambiente ristretto. In questo modo il problema astratto posto sopra, circa l’azione esercitata sull’artista dal
mondo circostante, ottiene una risposta concreta se
paragoniamo due affreschi. È vero, l’uno di essi rappresenta il medesimo tema secondo il modello dell’affresco anteriore, ma proprio come aggiunte differenziantisi presenta evidenti pezzi di bravura dell’arte
ritrattista, che rivelano la loro appartenenza a un
ambiente del tutto individuale. Se dirigiamo tutta la
nostra attenzione, munita anche degli ausili dell’indagine archivistica e letteraria, su di un affresco di Domenico Ghirlandajo nella Cappella di Santa Trinità in
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Firenze, vedremo dinanzi a noi direttamente, in uno
scorcio del tutto personale, lo sfondo contemporaneo
come potenza che esercita una sua particolare azione.
Il semplice gustatore di opere d’arte, che per principio considera le comparazioni e le classificazioni razionalistiche come un tentativo fatto con mezzi inadatti, è
libero di rifarsi, nella lettura dello studio che segue, con
la gioia immediata che è largita da una contemplazione
dei capolavori dell’arte del ritratto italiano che esamineremo in questa occasione; e fra essi probabilmente i
primi ritratti di fanciulli del primo Rinascimento fiorentino, finora del tutto inosservati.
Nella Chiesa di Santa Croce di Firenze Giotto4 ha
decorato la cappella dei Bardi poco dopo il 1317 con raffigurazioni della leggenda di San Francesco. Uno di questi affreschi, una lunetta, descrive il momento cosí
memorabile per l’opera del santo, in cui, inginocchiato
fra i suoi dodici fratelli dell’ordine, riceve dalla mano del
papa troneggiante fra i cardinali la conferma della regola dell’ordine. Un sommario accenno a una basilica a tre
navate che nel frontone reca l’immagine dell’apostolo
Pietro, consente di percepire come sfondo la Chiesa
romana; pel resto non vi sono accessori che distolgano
l’attenzione. L’azione principale riempie in uno scorcio
netto la superficie del quadro ed esige tutta l’attenzione dello spettatore; soltanto alcuni barbuti uomini anziani, figure pesantemente ammantate, assistono, due per
parte, alla sacra cerimonia indicando il mondo esterno
dei fedeli.
Circa 160 anni piú tardi (fra il 1480 e il 1486) un
mercante fiorentino, Francesco Sassetti, commise a sua
volta al pittore Domenico Ghirlandajo e alla sua scuola
l’illustrazione in sei affreschi della leggenda di San Francesco nella cappella sepolcrale della sua famiglia in Santa
Trinita; senza dubbio egli intendeva con questo attestare in prima linea la venerazione religiosa dovuta al suo
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
santo e patrono, allo stesso modo che aveva lasciato in
proprietà alla chiesa la sua vecchia casa di famiglia
espressamente allo scopo che in tutte le maggiori festività sacre venisse celebrata una messa solenne in onore
di San Francesco5.
Ma mentre Giotto riproduce la corporeità umana
perché attraverso il basso involucro corporeo riesce a
parlare l’anima, per il Ghirlandajo tutt’al contrario, il
tema religioso è un gradito pretesto per rispecchiare la
bella parvenza di una temporalità che si aggira con imponenza, come se egli, ancora garzone di orefice nella bottega paterna, dovesse esporre il giorno di San Giovanni vasellame di lusso e pezzi sfarzosi davanti agli occhi
di compratori vogliosi di cose belle. Il modesto privilegio del fondatore, di trattenersi devotamente in un
angolo del quadro, è ampliato liberamente dal Ghirlandajo e dal suo committente a diritto di libero ingresso
della loro completa raffigurazione nella sacra narrazione stessa, come spettatori o addirittura come persone
agenti della leggenda.
Un raffronto dei due affreschi mostra come si fossero radicalmente mondanizzate le buone maniere valide
in chiesa ai tempi di Giotto.
Tanto forte è il cambiamento dell’ufficiale linguaggio
formale ecclesiastico che anche uno spettatore di vasta
preparazione storico-artistica che non fosse avvisato, in
un primo momento cercherebbe nell’affresco di Domenico tutt’altro che una scena della sacra leggenda; penserebbe forse di veder dipinta una festività ecclesiastica celebrata in piazza della Signoria cui la presenza del
papa stesso avesse conferito una solennità particolarmente memorabile. Che sia raffigurata la Piazza di
Firenze è da supporre anzitutto perché nello sfondo
sono chiaramente raffigurati il Palazzo Vecchio6 e la
Loggia de’ Lanzi di fronte. Con l’ausilio della fotografia si riconosce poi, certo, che la solennità ecclesiastica
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ha luogo in una loggia rinascimentale accennata mediante pilastri ed archi, con la qual cosa doveva evidentemente essere evitata, per un resto di tatto storico-religioso, una fusione incondizionata con il reale sfondo fiorentino. Ma né la loggia, né gli stalli del coro, né infine
la ringhiera innalzata dietro i seggi del collegio cardinalizio, proteggono efficacemente il papa e San Francesco
dall’intrusione della famiglia del fondatore e dei suoi
amici. Che il fondatore abbia fatto ritrarre se stesso, ai
suoi lati il giovane figlio Federigo7, suo fratello maggiore Bartolomeo8, e di fronte i suoi tre figli adulti Teodoro I, Cosimo e Galeazzo, si potrà ancora lasciar passare
poiché, comunque, si fermano modesti alle estremità
della raffigurazione; ma che fra Francesco e Bartolomeo
si trovi piantato là Lorenzo de’ Medici personalmente,
fa in un primo momento l’effetto di una intrusione
immotivata dell’elemento profano; tuttavia, con questo
ritratto, Francesco Sassetti non intendeva soltanto rendere omaggio all’uomo piú potente di Firenze, poiché
Lorenzo faceva realmente parte della comunità ristretta dei Sassetti in quanto Francesco era socio della ditta
medicea in Lione e in seguito ebbe anche affidato il difficile compito di rimettere a posto la scossa situazione
della banca medicea di Lione.
Il diritto formale d’ingresso della «consorteria» Sassetti non cambia nulla però al fatto barocco che là dove
Giotto presenta come motivo principale dell’esistenza
del dipinto, con commozione quasi estatica, in maniera
lapidarmente semplice, l’involontaria elevazione di
monaci remoti dalle cose del mondo a fedeli vassalli
della chiesa militante, Ghirlandajo invece, con tutta la
formazione autospecchiantesi dell’uomo colto del Rinascimento, trasforma la raffigurazione della leggenda
degli «eterni poveri» in una rappresentazione sfarzosa
della ricca aristocrazia mercantile fiorentina.
Le figure di Giotto osavano emergere come creatu-
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
re terrene soltanto sotto la protezione del santo, le figure del Ghirlandajo, sicure di sé, si atteggiano a patroni
dei personaggi della leggenda. Ma non per stupida
boria; sono, sí, frequentatori della chiesa, ma amanti
della vita, e gli ecclesiastici sono costretti a lasciarli fare
perché non possono piú tenerli in umile stato di contrizione. Infatti, l’artista e il suo committente osservano comunque le buone norme: non varcano il confine
come una pattuglia bellicosa, bensí inseriscono il proprio ritratto nella cappella «alla buona», allo stesso
modo che il bizzarro mondo delle drôleries occupa il
margine del medievale libro delle devozioni a buon
torto: o, ancor meglio, lo fanno nell’edificante stato d’animo dell’implorante che grato o speranzoso appende il
proprio ritratto in cera come dono votivo a un quadro
miracoloso.
Nel dono votivo a quadri sacri la Chiesa cattolica,
con penetrante conoscenza del mondo, aveva lasciato ai
pagani convertiti uno sfogo legittimo dell’inestirpabile
primo istinto religioso che spingeva l’uomo ad avvicinarsi al divino nella forma sensibile dell’immagine
umana o in persona propria o in ritratto. I fiorentini,
discendenti degli etruschi paganamente superstiziosi,
hanno coltivato questa magia dell’immagine nella forma
piú crassa e fino al secolo XVII. Ne daremo qui l’esempio piú significativo (non ancora studiato nella connessione storico-artistica) con una certa ricchezza di
particolari.
La chiesa della Santissima Annunziata conferiva ai
potenti della città e a stranieri d’alto rango il privilegio
fortemente ricercato di poter collocare ancora in vita la
propria figura in fedele riproduzione naturale in cera,
rivestita dei propri abiti, nella chiesa stessa9. All’epoca
di Lorenzo de’ Medici la fabbricazione di queste figure
di cera (voti) era un ramo di attività artistica perfezionato e fiorente, e si trovava affidato alle mani dei Benin-
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
tendi, scolari di Andrea Verrocchio, che per generazioni intere diressero una vasta fabbrica di voti a profitto
della chiesa e per questo portavano il nome di «Fallimagini». Lorenzo stesso, sfuggito felicemente ai pugnali dei Pazzi nel 1478, fece appendere tre volte in chiese
fiorentine, e in costume diverso, la propria statua di cera
in grandezza naturale, modellata da Orsino Benintendi.
Con gli stessi abiti nei quali egli, il giorno dell’assassinio del fratello Giuliano, salvo, ma ferito, si mostrò al
popolo alla finestra, la sua figura pendeva in una chiesa
della via San Gallo; vestito dell’abito di cerimonia del
cittadino fiorentino, del lucco, lo si vedeva poi ancora
sopra una porta dell’Annunziata, e una terza figuraritratto in cera del genere fu inviata da Lorenzo alla
chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi come voto
di ringraziamento10. Il numero di questi voti fin dalla
metà del Cinquecento fu in tale aumento che nella chiesa stessa venne ad esservi scarsità di posto e le figure dei
donatori furono appese mediante corde in alto alle travi
e perciò i muri dovettero essere rafforzati con catene.
Soltanto allorché frequenti cadute di voti turbarono
sensibilmente i devoti, questo gabinetto delle figure di
cera fu esiliato in un cortile laterale dove qualche resto
di queste curiosità era visibile ancora alla fine del Settecento.
Soltanto un paragone con questo solenne costume
barbarico legalmente ammesso e cosí a lungo conservato, della figura di cera esposta in mostra nella stessa chiesa in tutto il suo vistoso sfarzo sartoriale in decomposizione, fa apparire il carattere di ritratto che hanno i personaggi leggendari popolanti l’affresco sacro, in una luce
esatta, piú smorzata: come un tentativo di avvicinamento alla divinità in sembianze null’altro che dipinte,
tentativo relativamente piú discreto a paragone della
magía feticistica dell’immagine di cera. Sono ancora
quegli stessi pagani neolatini che erano giunti perfino a
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
interpretare il sogno poetico dell’Inferno di Dante come
esperienza sensibile e, come ad es. il duca Visconti di
Milano, cercavano di sfruttare come pratico potere
magico quelle arti infernali di cui quell’uomo demonico
doveva essere capace. Infatti, quando il duca volle colpire papa Giovanni XXII mediante la misteriosa suffumicazione di una sua statuetta d’argento, il primo a cui
si rivolse con il suo desiderio, d’altronde rimasto inesaudito, di eseguire questo scongiuro, fu Dante Alighieri11.
I contrasti nella concezione della vita, allorché incitano a una lotta per la vita o per la morte riempendo i
singoli membri della società di passioni di parte, sono la
causa della irrefrenabile decadenza sociale; eppure sono
allo stesso tempo le forze propulsive della piú alta fioritura di civiltà allorché quei medesimi contrasti entro
l’individuo si affievoliscono, si compensano e, invece di
distruggersi a vicenda, si fecondano reciprocamente, e
in tal modo imparano ad ampliare tutta l’entità della persona. Su questo fondamento nasce il fiore della civiltà
del primo Rinascimento fiorentino.
Le qualità del tutto eterogenee dell’idealista medievalmente cristiano, cavallerescamente romantico o classicamente platonizzante, e del mercante pratico alla
maniera etrusco-pagana, rivolto al mondo, si compenetrano e si uniscono nel fiorentino mediceo costituendo
un organismo enigmatico di un’energia vitale elementare eppur armonica; essa si manifesta nel fatto che egli
scopre in sé con gioia qualsiasi vibrazione dell’anima
come ampliamento della propria statura intellettuale, la
perfeziona e la usa serenamente. Egli nega l’inceppante
pedanteria dell’«aut-aut» in tutti i campi, non già perché egli non avverta i contrasti nella loro tagliente nettezza, bensí perché li ritiene conciliabili; per questo
sgorga proprio dalle opere d’arte, prodotto di un accordo fra chiesa e mondo, fra passato antico e presente cri-
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
stiano, la forza, entusiastica eppure raccolta, dei tentativi arditi.
Francesco Sassetti è questo tipo del borghese intelligente, diritto, delle epoche di transizione, che senza
alcuna posa eroica rende giustizia al nuovo eppure non
abbandona il vecchio. I ritratti alla parete della sua cappella sono l’espressione della sua imperturbata volontà
di esistenza cui obbedisce la mano del pittore rivelando
all’occhio umano il miracolo dell’effimero viso umano
fissato per se stesso.
Queste meravigliose teste di Domenico Ghirlandajo
non sono ancora apprezzate a dovere e nei particolari né
come documenti unici della storia della civiltà, né come
incunaboli insuperati della ritrattistica italiana. Nemmeno il ritratto dello stesso Lorenzo il Magnifico, in
grandezza naturale, benché sia l’unico ritratto contemporaneo autentico databile che ci sia conservato, dipinto in stile monumentale di affresco e di mano d’un maestro di prim’ordine. E dire che il ritratto è da molto
tempo ufficialmente noto alla storia dell’arte12; ma il
semplice e ovvio dovere di far fare una fotografia grande anche dei particolari oppure di sottoporre per lo meno
il ritratto a una minuta considerazione, ciò malgrado, non
è ancora adempiuto. Questo fatto si rende spiegabile in
qualche modo soltanto perché l’affresco si trova molto in
alto, è raramente bene illuminato e anche in tal caso è
difficilmente riconoscibile nei particolari. Eppure proprio
alla figura di Lorenzo si allaccia un profondo interesse
umano del tutto generale; non è soltanto curiosità storicamente fondata di voler sapere, ad esempio, quale aspetto avesse Lorenzo, che dovrebbe spingerci alla conquista di un’idea fedele dell’uomo esteriore, bensí l’enigmaticità del fenomeno da lui incarnato: cioè che uno
degli uomini piú brutti sia stato il centro spirituale della
piú alta civiltà artistica e l’autocrate piú affascinante,
arbitro assoluto del volere e del cuore degli uomini.
Storia dell’arte Einaudi
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Scrittori a lui contemporanei13 descrivono unanimi i
difetti grotteschi della sua personalità esteriore: occhi
miopi, il naso appiattito, goffamente sporgente in punta,
che malgrado la sua vistosità non era nemmeno dotato
di olfatto; la bocca straordinariamente grande, le guance smunte e livida la pelle. Gli altri ritratti di Lorenzo
a noi noti in scultura e in pittura mostrano per lo piú una
repellente e furbesca fisonomia da delinquente, oppure
gli smunti lineamenti della persona sofferente. Nulla si
avverte della superiore attrattiva di una dignitosa umanità che emanava da Lorenzo; il Ghirlandajo soltanto ci
fa avvertire in quest’affresco la spiritualizzazione che
poteva rendere irresistibilmente attraente un viso di
cosí demoniaca distorsione. Sopracciglia e occhi non
sono (come ad es. sulle medaglie dei Pollajuolo e di Spinelli) serrati a protervo promontorio, ma in attesa ferma
e tranquilla sotto un dolce sopracciglio l’occhio guarda
lontano, non senza benevola degnazione di principe. Il
labbro superiore non è compresso su quello inferiore in
un riserbo foriero di disgrazia, bensí posa su di esso con
sovrana imperturbabilità. Soltanto agli angoli delle labbra palpita un’ironia pronta e battagliera, addolcita
quasi a diventare umorismo dalla pacifica ruga della
guancia. Tutta la persona è pervasa dal senso di una
naturale superiorità che da sé determina con intuitiva
sicurezza l’allontanamento o l’avvicinamento degli uomini entro la propria cerchia. La mano destra trattiene sul
petto la veste scarlatta, l’avambraccio sinistro è proteso e la mano alzata con gesto a metà stupore a metà
ripulsa.
Anche Francesco Sassetti ha un simile movimento
istantaneo della mano; con l’indice proteso e dritto indica evidentemente i suoi tre figli al lato opposto per
caratterizzarli come membri della propria famiglia.
Lorenzo ha un motivo analogo, certo molto piú sorprendente esternamente, per il gesto di stupore e di
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ripulsa della mano, poiché dinanzi ai suoi piedi si spalanca improvvisamente il duro lastricato di Piazza della
Signoria, e per una scala salgono a lui tre uomini e tre
fanciulli. Evidentemente una deputazione salutatoria i
cui membri (benché siano indicate solo teste e spalle)
vediamo caratterizzati con tutto il brio di un improvvisatore fiorentino, ognuno con una sua sfumatura mimica del tutto personale nel devoto approssimarsi al signore e padrone Lorenzo. Il muto colloquio fra Lorenzo e
questo gruppo è cosí eloquente che considerando piú da
vicino tutta la composizione, ben presto si avverte che
la «deputazione salutatoria sulla scala» ne è il punto centrale e di gravitazione sia artistico che spirituale, e affiora il desiderio di conferire l’uso della parola a tanta
muta vivacità. Si tratta dunque di far parlare quelle persone la cui comparizione tanto sta a cuore a Francesco
Sassetti ch’egli cede ad esse in modo cosí strano il primo
piano del dipinto. Ed esse sono liete di essere interrogate, non vogliono affatto esser dimenticate, e purché
si cerchi di ricorrere ad ausili d’ogni specie, a documenti, medaglie, quadri e sculture, esse cominciano il
loro racconto riferendoci cose intime, amabili e bizzarre d’ogni specie dell’ambiente familiare di Lorenzo il
Magnifico, respingendo in un primo momento del tutto
sullo sfondo lo stesso Francesco Sassetti e i suoi. Il capo
della deputazione dal profilo netto perde immediatamente l’anonimo se gli si pone accanto il suo ritratto
sulla medaglia14: è messer Angelo Poliziano, il dotto
amico e collega in poesia di Lorenzo; sarebbe impossibile non riconoscerlo guardando il suo imponente naso
aquilino, tanto beffeggiato, dalla punta epicurea che
tende in basso, con il corto labbro superiore e la bocca
carnosa dalle labbra tumide del buongustaio15. A lui
Lorenzo aveva affidato l’educazione dei propri figli,
non senza le obiezioni, a volte efficaci, di sua moglie
Madonna Clarice, che nell’idealismo pagano puramen-
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
te estetico del dotto rinascimentale sentiva con sicuro
istinto femminile la mancanza di un solido sostegno
morale; dopo il 1481 il Poliziano era però tornato in alto
favore. In capo a tutti, il berretto alla mano, nell’atteggiamento del servitore assolutamente e sinceramente
devoto, egli sale verso Lorenzo e osa, confidando nei
benevoli sentimenti del suo signore, causare l’inaspettata
interruzione, poiché ciò che gli conduce è l’orgoglio
della famiglia Medici e della sua arte pedagogica, sono
i figli di Lorenzo: Piero, Giovanni e Giuliano.
Dei fanciulli non si scorgono che teste e spalle, ma
mezzi espressivi del tutto generali, come l’inclinazione
della testa rispetto al tronco, la direzione dello sguardo
e l’espressione del viso, diventano nelle mani del Ghirlandajo strumento della massima precisione per fissare
in sfumature diverse, i gradi di sviluppo dell’educazione dei principi, dall’ingenuo fanciullo al sovrano in atto
di rappresentanza. Il piccolo Giuliano16 che il maestro
non può ancora staccare dal suo fianco perché è il minore, con i suoi occhi castani di bambino sbircia per un
momento, rapido e curioso, il pubblico, mentre il suo
severo maestro Angelo fissa devotamente Lorenzo. Il
fanciullo sa di dover subito rivolgere la testolina in avanti. Piero17, il maggiore, che segue dietro ai due, volge
anch’egli lo sguardo verso lo spettatore, ma lo fa in
modo sicuro di sé con la boriosa indifferenza del futuro autocrate. L’orgoglioso sangue materno della nobiltà
romana, il sangue degli Orsini, comincia già a ribollire,
in fatale contrasto col temperamento del mercante fiorentino, saggiamente disposto ai compromessi. In seguito volle essere ritratto soltanto come cavaliere in piena
armatura; desiderio caratteristico della concezione di
vita puramente esteriore e rovinosa di quell’uomo che
là dove per la salvezza del suo dominio sarebbe stato
necessario un buon condottiero, era poco piú di un decorativo torneante. Ai lineamenti bozzosi di Giovanni18,
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
il futuro papa Leone X, il piccolo naso camuso conferisce ancora, certo, un’espressione fanciullesca, ma nella
spugnosa parte inferiore del viso dal labbro inferiore
sporgente, è già presente in germe l’imponente viso
pieno di Leone X sul soglio pontificio. Giovanni qui non
ha ancora la tonsura sacerdotale che riceverà il 1° giugno 1483. Ora, siccome questo contrassegno della sua
dignità ecclesiastica, tanto agognata da Lorenzo, successo piú visibile della sua politica romana, non sarebbe certo stato dimenticato qui, si ottiene per la datazione dell’affresco come limite massimo del suo compimento all’incirca la metà dell’anno 1483. Dovremmo in
tal caso supporre che Piero avesse in quell’epoca circa
12 anni, Giovanni 7 e 1/2, e il piccolo Giuliano 4 e 1/2,
cosa che corrisponde benissimo all’aspetto dei fanciulli.
Maggiori difficoltà presenta la definizione delle due
teste di uomo che chiudono il corteo, ritratti insuperabili in cui sembrano essersi fuse le piú alte qualità
peculiari della tavola fiamminga e dell’affresco italiano per rispecchiare in stile monumentale la vita intima spirituale.
Pur non essendo possibile identificare la prima delle
due teste mediante una somiglianza diretta con altro
ritratto del tempo, ritengo tuttavia, per ragioni interne,
di riconoscere con sicurezza in questa espressiva testa
virile dagli occhi intelligenti, acuti, ma bonari, dalle
narici ironicamente tendenti in alto, dalla bocca sarcastica, pronta alla rapida polemica, sotto cui sporge piuttosto altezzoso il mento, Matteo Franco, confidente di
Lorenzo, maestro elementare dei suoi figli, l’amico
migliore del Poliziano.
Nella lettera che il Poliziano scrive a Piero nel 1492
per congratularsi con lui della nomina a canonico del
duomo di Matteo Franco, egli parla di sé e di Matteo
come di una ben nota coppia di amici19. Il Poliziano in
questa lettera non sa elogiare abbastanza i meriti di
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Matteo nei confronti della famiglia di Lorenzo, meriti
che realmente è difficile sopravalutare nella loro molteplicità. Collega del Poliziano nella professione, nella sua
posizione di maestro elementare dei fanciulli e come
ecclesiastico, il fedele Matteo, pronto ad ogni sacrificio,
era per suo carattere l’opposto del letterato distaccato,
profondamente dotto e dotato di fine gusto. Le sue uniche produzioni letterarie sono i famigerati sonetti di
vituperio contro Luigi Pulci, ancor oggi vivi sulla bocca
del popolo italiano, nei quali palpita la spontanea genialità dell’uomo toscano del popolo, che nell’ingiuria sente
il vigore della sua terra. E questo buffone di corte che
impugna la frusta senza riguardo per alcuno è chiamato
da Lorenzo «uno dei primi e piú cari membri della sua
casa», e da lui Lorenzo farà accompagnare la figliuola
preferita, Maddalena, perché la giovane, maritata per
ragioni politiche al figlio di papa Cybo, abbia vicino a
sé un amico paterno. Non avrebbe potuto trovarne uno
migliore, poiché Matteo al servizio di Maddalena è
«uomo tutto fare»: egli cura l’andamento della casa,
vigila nei particolari sulla salute della donna sofferente
per cui cucina perfino delle minestre da premuroso infermiere, o le scaccia la noia raccontandole facezie fiorentine quando essa è in impaziente attesa del marito che
torna tardi. Se necessario, egli farà per lei perfino da
amministratore di un albergo di bagni a Stigliano, le cui
entrate costituiscono una delle magre rendite di Franceschetto Cybo. Proprio per compenso di questi suoi servigi come «servo e martire dei Cybo20È, egli otterrà
quel posto di canonico del duomo fiorentino. Infine la
sua insaziabile caccia alle prebende gli fruttò anche il
posto di sovrintendente dell’ospedale di Pisa che per lo
meno non considerò una sinecura, poiché morí nel 1494
in adempimento del suo dovere, curando durante un’epidemia i suoi malati.
Che questo genuino spirito di casa, familiare ed eccle-
Storia dell’arte Einaudi
20
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
siastico, della famiglia medicea sia da cercare in questa
composizione, siamo intimamente autorizzati a credere
anche in base a una lettera dello stesso Matteo. Nei suoi
ritratti monumentali eppure intimi il Ghirlandajo è proprio unico come scopritore e illustratore del mondo
infantile. Matteo, con la medesima fine sensibilità
dinanzi all’ingenuo, all’umoristico e all’amabile dell’animo infantile che si desta, si accosta al Ghirlandajo
sullo stesso alto livello in una descrizione epistolare di
un incontro fra i figli di Lorenzo e la loro madre Clarice, allorché essa tornò a Firenze da un viaggio ai bagni.
Matteo che si trovava al seguito di Clarice come maestro di casa, scrive in data 12 maggio 1485 al suo amico
Bibbiena, segretario di Lorenzo: «Dipoi intorno a Certosa riscontrammo il paradiso pieno d’agnoli di festa e
di letizia, cioè messer Giovanni, Piero, Giuliano e Giulio21 in groppa, con loro circumferenze. E subito come
viddero la mamma, si gittorono a terra dal cavallo, chi
da sè e chi per le man d’altri; e tutti corsono e furono
messi in collo a madonna Clarice, con tanta allegrezza e
baci e gloria che non ve lo poterei dire con cento lettere. Ancora io non mi potetti tenere, che io non scavalcassi; e prima che ricavalcassino loro, tutti gli abbracciai
e due volte per uno gli baciai; una per me, e una per
Lorenzo. Disse el gentile Giulianino, con uno O lungo:
“O, o, o, o, dove è Lorenzo?”. Dicemo: “Egli è ito al
Poggio a trovarti”. Disse: “Eh mai non”. E quasi piagnendo. Non vedesti mai la piú tenera cosa. Egli e Piero
che è fatto el piú bello garzone, la piú graziosa cosa che,
per Dio, voi vedessi mai; alquanto cresciuto; con certo
profilo di viso, che pare un agnolo; con certi capegli un
poco lunghi e alquanto piú distesi che prima, che pare
una grazia. E Giuliano vivolino e freschellino com’una
rosa; gentile pulito e nettolino come uno specchio; lieto
e tutto contemplativo con quegli occhi. Messer Giovanni ancora ha un buon viso, non di molto colore ma
Storia dell’arte Einaudi
21
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
sanozzo e naturale; e Julio una cera brunaza e sana.
Tutti, per concludere, sono la letizia al naturale. E cosí
con gran contento e festa, tutti di bella brigata, ce n’andammo per Via Maggio, Ponte a santa Trinita, san
Michele Berteldi, santa Maria Maggiore, Canto alla
Paglia, Via de’ Martegli; e ce n’entrammo in casa, per
infinita asecula aseculorum eselibera nos a malo amen»22.
Benché scritta due anni dopo l’anno da presumersi
come data dell’affresco23, la caratterizzazione dei singoli fanciulli corrisponde mirabilmente alle teste del Ghirlandajo.
Anche l’ultima testa virile (come diremo qui in forma
ipotetica) è di una nota figura dell’ambiente mediceo, di
cui si sentirebbe addirittura la mancanza nella composizione qualora non ci fosse: è Luigi Pulci24. Un viso
magro, pallido, privo di gioia, lo sguardo levato verso
Lorenzo con espressione fiduciosa e malinconica, il naso
affilato dalle pesanti alette, il sottile labbro superiore che
poggia inasprito sul tumido labbro inferiore. A confronto ci è offerto il ritratto del Pulci sull’affresco di
Filippino nella chiesa di S. Maria del Carmine in Firenze25; a prima vista il confronto non riesce convincente,
ma bisognerà considerare che il ritratto dell’affresco di
Filippino è dipinto in data posteriore, probabilmente
dopo la morte del Pulci (morto nel 1484) e per giunta
dipinto in base a una maschera di morte; a favore di quest’ultima tesi fa propendere l’espressione priva di vita,
quasi maschera, che in mezzo alle teste ad effetto cosí
vivo colpisce particolarmente, la caverna dell’occhio che
malgrado l’occhio semiaperto inseritovi fa l’effetto di
vuoto, la mancanza di capelli e il collo attaccato in modo
inorganico. Tutta la metà inferiore del viso, invece,
nella disposizione del naso, labbro e mento e in quell’espressione tutta personale di rassegnata stanchezza concorda in pieno in entrambe le teste. Se non avessimo il
ritratto di Filippino, l’ipotesi del Pulci convincerebbe
Storia dell’arte Einaudi
22
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
senz’altro per ragioni interne. Il Pulci era fra gli intimi
di Lorenzo, era suo confidente politico ed era il celebre
poeta di quel popolare poema cavalleresco burlesco, del
Morgante, i cui canti venivano recitati alla tavola di casa
Medici (con particolare gioia della madre, Lucrezia).
Ma nulla lo ha conservato tanto vivo fino ad oggi nel
ricordo del popolo italiano quanto il certame poetico,
sopra ricordato, con Matteo Franco. I sonetti di entrambi sono perle di quella poesia cortigiana di vituperio, che
divertiva Lorenzo al punto che perfino Piero, da ragazzetto, all’età in cui lo mostra all’incirca l’affresco, doveva declamarla con gran divertimento degli adulti.
Fino a che testimonianze piú importanti o ipotesi
migliori non dimostreranno il contrario, si potrà dunque
tener fermo all’idea che i due nemici intimi si trovassero
qui, uniti nell’unica cosa che li legasse nell’animo: nel
desiderio di testimoniare la loro venerazione per Lorenzo.
Che allo stesso Lorenzo però la processione d’omaggio dei suoi figli con le loro «circumferenze» giungesse
opportuna in quel momento, si potrebbe mettere in
dubbio; ma l’abile Poliziano saprà bene quanto può
osare, specialmente perché in anni anteriori Lorenzo gli
aveva spiegato chiaramente all’occasione che egli era
padre di famiglia solo in seconda linea, che anzitutto era
sovrano e capo dello stato pel quale le malattie dei figli
non devono occupare il primo piano degli interessi. Nell’aprile del 1477 i due si scambiarono le seguenti lettere26 allorché il Poliziano aveva voluto far pervenire a
Lorenzo comunicazione della malattia dei figli in via
indiretta e riguardosa:
Laurentius Medices Angelo Politiano S. D.
«Ex literis, quas ad Michelotium dedisti, factus sum
certior filiolos nostros adversa valetudine vexari. Id ut
humanum parentem decet, graviter molesteque tuli.
Storia dell’arte Einaudi
23
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Quam profecto molestiam tu praevidens, ita multis verbis ac rationibus animum nostrum confirmare conatus
es, ut in maximam de nostra constantia dubitationem
incidisse videare. Quod tametsi ab amore in nos tuo
proficisci certus sum, multo tamen malori molestia nos
affecit, quam significatio ulla adversae valetudinis liberorum. Quamvis enim parentis substantia liberi esse
dicantur, multo tamen magis propria est animi aegritudo, quam filiorum. Quibus enim integer ac sospes est
animus, caeterarum facile rerum incolumitatem consequuntur; quibus vero infirmus, nullus unquam portus
est a fortunae fluctibus tutus, nullum est tam placatum
acquor, tam quieta malacia, quin perturbatione vexentur. Existimasne me adeo natura imbecillum, ut tam
parva re movear? Si vero eiusmodi nostra natura est,
ut facile huc atque illuc perturbationibus agatur: multarum rerum experientia confirmatus animus sibi constare iam didicit. Ego filiorum non valetudinem tantum, sed fatum quandoque expertus sum. Pater immatura morte praereptus, cum annum agerem primum et
vigesimum, ita me fortunae ictibus exposuit, ut quandoque vitae poeniteret meae. Quapropter existimare
debes, quam nobis virtutem natura negavit, experientiam attulisse. Verum cum tu in epistola ad Michelotium imbecillitati animi nostri diffidere non parum
videaris, atque in tuis ad nos literis summopere virtutem atque ingenii nostri dotes extollas, haecque simul
pugnare videantur, aut alterum falsum est, aut non ea
es animi magnitudine, quam in me desiderare videris,
cum ea in tuis ad nos literis silentio praetereas, quae
scripta ad Michelotium sunt, tanquam non tua a me
accipienda sint: utpote qui existimas multo magis nuncium, quarn liberorum valetudinem, mihi molestiam
allaturum. Sed nolo esse in parvis longior, ut non idem
incurram vitium, quod in te vitupero, neque in iisdem
literis et parva spernere, et prolixioribus verbis prose-
Storia dell’arte Einaudi
24
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
qui videar. Si quid est in epistola quod te mordeat, id
totum condones amori nostro, atque exercitationi, cui,
ut puto, abundantius materiam suppeditat, si in quenquam invehimur, quam si laudamus, multoque latior
campus est in unoquoque vituperationis, quam laudis.
Gaudeo mirum in modum, Iulianum nostrum se totum
literis tradidisse, illi gratulor, tibique gratias ago, quod
eum ad haec prosequenda studia excitaveris. Tu vero
fac, ut hominem ad literas inflammasti, ita sedulo cures,
stimulosque adiicias, ut perseveret. Ego propediem vos
revisam, comitemque vobis in hoc felici Musarum itinere me adiungam. Bene vale, Pisis pridie Calend. Aprilis, MCCCCLXXVII.»
Il Poliziano risponde:
Angelus Politianus Laurentio Suo S. D.
«Non quod tuae constantiae sapientiaeque diffiderem, propterea literas dedi ad Michelotium potius, quam
ad te de liberorum tuorum valetudine: sed quoniam sum
veritus, ne forte inconsultior viderer, si gravior tibi a me
nuncius alieno tempore obiiceretur. Tabellarius enim
saepe literas non apte, non loco reddit: scriba vero temporum captat omnes articulos. Reveritus igitur iure sum
Laurentium Medicem; Cui male si palpere, recalcitrat
undique tutus: Nec vero ista repugnant, quod hic te
revereor, ibi laudo. Non enim ob aliud revereor, quam
quod omni laude puto dignissimum. Molles vero illae
tuae morsiunculae, tantum abest ut me laedant, ut ipsas
quoque nescio quo pacto pene mihi magis blanditias
commendent. Iulianus tuus vere frater, hoc est, ut docti
putant, fere alter, ipse sibi in studiis est non modo iam
mirificus hortator, sed et praeceptor. Nihilque nobis ad
summam voluptatem deest, nisi quod abes. Vale.»
Storia dell’arte Einaudi
25
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Ma il soverchio zelo con cui Lorenzo, allora in età di
28 anni, desidera veder rispettata la sua concezione stoica della vita, mostra indirettamente che i riguardi usati
a Lorenzo dal Poliziano nascevano da un senso di tatto
umanamente giustificato, seppure inammissibile da un
punto di vista cortigiano. In anni posteriori Lorenzo,
con sicura conoscenza di se stesso, difficilmente si sarebbe preoccupato tanto di non trasgredire i confini di una
compostezza dignitosa perché, come nessun altro del
suo tempo, possedeva il dono della prudenza come qualità intima indistruttibile. Essa era lo strumento piú
solido della sua potenza, in virtú di essa lo stato fiorentino era la potenza ricercata da tutti, e Lorenzo il primo
insuperato virtuoso della politica di equilibrio.
In Lorenzo il «Magnifico»27 per la prima volta ha inizio la evoluzione del mercante cittadino a tipo di sovrano politico, pari del regale signore feudale. Che dei condottieri altezzosi gettassero pure, con gesto antico, la
spada sul piatto della bilancia, un saggio mercante aveva
la bilancia nelle mani, la manteneva in equilibrio: «e pari
la bilancia ben tenere»28. Certo, a Lorenzo non fu concesso se non di mantener a lungo in pace l’Italia in virtú
di una politica di grande mercante, altamente potenziata, e di proteggere l’Italia dall’irruzione di vicini avidi
ed esperti di guerre.
Machiavelli enumera fra i pochi difetti di carattere di
Lorenzo la mancanza di dignità personale che si manifestava nelle sue relazioni amorose troppo estese, nella
sua predilezione di gente spiritosa e mordace entro la sua
cerchia piú ristretta e nel fatto che egli potesse star a giocare con i suoi figli come un bambino. Il virtuoso conoscitore di uomini, cui per il resto nulla di umano era
estraneo, si vede qui dinanzi a qualcosa di enigmatico e
inconciliabile (pare di vederlo contemplare crollando la
testa la deputazione salutatoria sulla scala): «Tanto che
a considerare in quello e la vita leggera e la grave, si
Storia dell’arte Einaudi
26
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
vedeva in lui essere due persone diverse quasi con
impossibile congiunzione congiunte»29.
Un’incomprensione come questa dell’elemento
inconvenzionalmente vivace del carattere di Lorenzo
contrassegna il punto di frattura fra il Quattrocento e
il Cinquecento. Qui il senso della dignità stilistica,
acquisito da Livio, ma soprattutto il suo tipo politico
ideale, cosí totalmente diverso, come il Machiavelli lo
auspicava per un supremo aiuto, hanno forse turbato lo
sguardo altrimenti cosí terribilmente obiettivo del grande storiografo.
Certo, l’elemento fanciullesco-popolare e romanticoartistico doveva apparire al Machiavelli che in tempi
della piú profonda impotenza d’Italia auspicava fanaticamente il superuomo nazionale dal pugno guerriero e
pronto, come debolezza inspiegabile e turbante; mentre,
tuttavia, proprio il geniale prepotere di Lorenzo il
Magnifico è radicato naturalmente nel fatto che l’ampiezza del suo mondo spirituale supera, per estensione
e anzitutto per intensità delle vibrazioni e dello slancio,
in modo fenomenale la capacità media. Egli può riandare
con pietà al passato, godere l’attimo fuggente del presente e guardare al futuro con astuto calcolo, sempre con
la medesima energia vitale: per educazione dotto rievocatore del passato antico, per temperamento poeta popolarmente vivace30, per volontà e necessità uomo di stato
saggiamente previdente. Ma la possibilità di apportare
alla propria umanità intellettuale assolutamente superiore quella corrente costante di una energia vorticosa,
rinnovantesi, Lorenzo la deve, e non in misura minima,
al dispiegarsi del suo temperamento artistico. La sua
libera gioiosa partecipazione alla vita del tempo, festosamente movimentata, come attore, come poeta e come
spettatore, gli concede, è vero, il riposo immediato attraverso la distensione fisica, allo stesso modo che d’altro
lato le sue creazioni poetiche (egli ha riconquistato nei
Storia dell’arte Einaudi
27
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
suoi canti popolareggianti alla lingua italiana parità di
diritti con quella latina) gli procurano anche un grado
superiore di liberazione puramente spirituale mediante
la raffigurazione artistica.
Che Lorenzo non fosse anche capace inoltre di una
politica di espansione violenta, eroicamente stilizzata,
non era soltanto una deficienza del suo talento naturale, ma stava anche nel fatto che Lorenzo, secondo lo sviluppo dello stato fiorentino, non doveva essere un conquistatore, bensí il saggio amministratore del ricco retaggio del passato.
L’epoca di Lorenzo non ha piú la maestosa gravità di
Dante e la sua forza grandiosa e raccolta, ma tuttavia
l’interesse artistico significava per la Firenze del Magnifico tutt’altra cosa che lo sforzo compiuto da stanchi
uomini di alta cultura visitando un bazar artistico, la cui
strabocchevole abbondanza dovrebbe invogliare alle
compere gli spettatori passivi o addirittura indurli alla
spesa. La creazione artistica e il godimento artistico non
erano che stadi differenti di uno stesso ciclo organico,
che con una elasticità sempre rinnovantesi spingeva i fiorentini del primo Rinascimento al tentativo di considerare tutte le qualità umane strumento unitario di un’arte della vita lieta di espandersi e di usarle come tali.
Matteo Franco e Luigi Pulci non sono nani di corte
che con grottesche facezie dilettino una stupida serenità, sono amici personali del principe, uomini del
popolo ai quali è lecito riecheggiare in modo piú grossolano quanto non sempre si addice al signore stesso di
profferire ad alta voce. Lorenzo aveva evidentemente
ereditato da sua madre Lucrezia Tornabuoni31 il gusto
del favoleggiare; era lei stessa poetessa «alla casalinga»,
componeva dei piatti casalinghi poetici per i suoi figli
rifacendo in rime, in modo un po’ rozzo, ma straordinariamente vivo, «la vita di San Giovanni», la storia di
«Tobia e l’angelo», di «Ester», della «casta Susanna»,
Storia dell’arte Einaudi
28
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
come se quegli esseri biblici fossero battezzati nel battistero di San Giovanni. Ella indusse anche Luigi Pulci
a recitare nella cerchia familiare dei Medici le gesta
degli eroi carolingi, in tono piú raffinato, ma alla maniera dei giullari pubblici, e a questo incitamento per l’appunto deve la sua origine il Morgante, noto come primo
poema cavalleresco italiano. Luigi Pulci e suo fratello
Luca dovettero anche mettere le loro doti poetiche a
servizio diretto delle gesta cavalleresche dei Medici; il
poema sulla «Giostra» del 1469, quel torneo cui Lorenzo partecipò come primo torneante vittorioso, è steso
in rime molto probabilmente da Luigi Pulci32; ci dà un
ampio quadro delle maniere cavalleresche di quella
società di grandi mercanti descrivendo nei particolari le
singole persone e il loro costume. Luigi Pulci chiude la
sua descrizione della «Giostra» con le parole: «Ma ora
sia finita, poiché ti aspetta il compare della viola».
Questo «compare della viola» lo vediamo su una silografia, vignetta conclusiva di una edizione del Morgante del 150033, raffigurato nella sua attività professionale che consisteva nella recitazione in rima di gesta eroiche cavalleresche, accompagnandosi con la viola, davanti a folle devotamente in ascolto su di una piazza pubblica. Questo «compare della viola» si chiamava probabilmente Bartolomeo dell’Avveduto il quale oltre ad
essere «cantastorie» era anche libraio volante della
stamperia di Ripoli34. Anche il Poliziano, malgrado la
sua qualità di professore di greco e di filologo classico,
è radicato nel terreno popolaresco come poeta di canti
d’amore e di danze italiane spumeggianti di vita;
anch’egli dovette, proprio come Pulci, cantare da poeta
occasionale di corte, un successivo momento di partecipazione personale dei Medici alla festosa vita cavalleresca nella sua Giostra, il poema altamente elogiato
scritto per il torneo di Giuliano in onore di Simonetta
Vespucci nel 1475. Con grazia e freschezza immediate
Storia dell’arte Einaudi
29
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
il Poliziano vi esprime i motivi di fugace mobilità secondo il modello dei classici latini, e a quell’alternarsi mirabilmente delicato di senso popolare e di grazia anticheggiante risale la figura ideale della «ninfa»35, diventata piú tardi il tipo ornamentale generalmente accettato della figura femminile in movimento; nella stessa
maniera la raffigura allo stesso tempo pittoricamente il
Botticelli nella sua «Primavera»: ritrosa danzatrice di
ronde o fanciulla in fuga dinanzi all’uomo. Ma il poeta
Poliziano è legato alla vita quotidiana fiorentina con fili
di gran lunga piú robusti; nel maggio 1490 egli descrive gli stragrandi incarichi di cui lo sopraffà la buona
società fiorentina, in modo molto drastico36:
Angelus Politianus Hieronymo Donato Suo S.D.37
«... Nam si quis breve dictum, quod in gladii capulo, vel in anuli legatur emblemate: si quis versum lecto,
aut cubiculo, si quis insigne aliquod non argento dixerim, sed fictilibus omnino suis desiderat, ilico ad Politianum cursitat, omnesque iam parietes a me quasi a
limace videas oblitos argumentis variis, et titulis. Ecce
alius Bacchanalibus Fescenninorum argutias, alius conciliabulis sanctas sermocinationes, alius citharae miserabiles naenias, alius peruigilio licentiosas cantilenas
efflagitat. Ille mihi proprios amores stultus stultiori narrat. Ille symbolum poscit, quod suae tantum pateat, caeterorum frustra coniecturas exerceat. Mitto scholasticorum garritus intempestivos, versificatorum nugas,
seque, et sua de more admirantium, quae quotidie cuncta demissis auriculis perpetior. Quid plebeculam dicam,
vel urbanam, vel agrestem, quae me tota urbe ad suum
negotium, quasi naso bubalum trahit? Ergo dum proterve instantibus negare nihil audeo, cogor et amicos
vexare caeteros, et (quod molestissimum est) ipsius in
primis Laurentii mei Medicis abuti facilitate...»
Storia dell’arte Einaudi
30
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Anche il primo dramma italiano, l’Orfeo, opera del
Poliziano, è per le sue origini un poema quasi d’occasione per la corte di Ferrara. Che il primo Rinascimento fiorentino sia nella poesia e nell’arte figurativa per
origine arte d’occasione, questo fatto gli conferisce
appunto il vigore sempre rinnovantesi nutrito dall’inesauribile afflusso di umori che scaturiscono dalle radici
del suolo della vita quotidiana. D’altra parte, è caratteristico di Firenze, sempre per quest’aspetto, che i grandi pittori fiorentini si sviluppano nella bottega dell’orefice. Il pubblico borghese considerava intorno al 1470
l’artista come un produttore tecnico di pezzi di bravura che, nato sotto il segno del pianeta Mercurio38, può
tutto ed ha tutto; che dietro, nella sua bottega, dipinge
e scolpisce, ma sulla strada, nel negozio, ha in vendita
tutto quello che può servire: fibbie per cinture, cassoni
nuziali dipinti, utensili ecclesiastici, voti in cera e incisioni. Non si andava dall’artista astratto, per sentire
con lui, in simpatizzante posa estetica sotto la luce nord
dello studio, i sentimenti discordanti dell’uomo di cultura stanco; dappertutto ci si volgeva invece al pittore
orefice spostandolo dalla sua bottega nella realtà del
giorno, là dove si trattava di riplasmare la vita stessa in
un qualsiasi punto del suo ciclo, per una costruzione,
una decorazione, per utensili o per un corteo festosamente articolato.
Le figure nei quadri di artisti piú deboli fanno perciò sentire anche troppo chiaramente che esse sono
membri staccati dalla loro reale connessione; conservano una sfumatura di sapore quasi provinciale, hanno un
che di materiale rigido e filisteo, o ostentano addirittura una mobilità stilizzata e forzata che sente il negozio
di stoffe o il laboratorio sartoriale del teatro. È scopo e
opera dei grandi artisti far risuonare questa casualità
borghese meramente come fievole eco locale.
Il Ghirlandajo proveniva da questa atmosfera di ore-
Storia dell’arte Einaudi
31
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
ficeria; era figlio di un sensale di oggetti d’oro; suo
padre Tommaso Bigordi avrebbe avuto, secondo il Vasari, il soprannome di Ghirlandajo pel fatto che come nessun altro sapeva fabbricare egli stesso o far fabbricare
ghirlande di fiori metallici come acconciatura per le
signore del mondo fiorentino; pare che egli stesso avesse lavorato come orefice fabbricando lampade d’argento da altare e voti d’argento39 per la Santissima Annunziata, sempre secondo il Vasari. Domenico, dopo aver
acquisito alla scuola del pittore Alessio Baldovinetti il
mestiere di una ritrattistica rapida, di gran somiglianza,
intorno al 1480 era diventato il fornitore preferito di
ritratti della buona società fiorentina. Prima dell’esecuzione dei suoi affreschi nella chiesa di S. Trinita (finiti
alla fine del 1485), perfino negli affreschi della Sistina
a Roma, per provenienza, scuola e natura egli conserva
ancora un che della indifferenziata industriosità40 di un
artigiano molto ricercato, ben sicuro che nessun concorrente possa soddisfare le esigenze della buona società
fiorentina in modo piú rapido, piú serio e con piú buon
gusto di quel che faccia la sua bottega, sempre molto
ricercata malgrado vi lavorino anche i suoi fratelli Davide e Benedetto, molto meno dotati di lui, e il suo cognato Mainardi, e benché Domenico stesso si trovi spessissimo in viaggio. Domenico era probabilmente munito
degli organi piú sensibili per veder con occhio acuto e
per fissare con rapida mano tutto ciò che attraeva la sua
attenzione ingenuamente penetrante; ma vi era bisogno
di una forte pressione esterna per scuoterlo dalla solita
routine, ossia piuttosto di un’attrattiva personale per
sottrarlo all’attenzione pedantemente uniforme ch’egli
prestava a corpo, vesti e sfondo, e indurlo ad accentuare nell’aspetto esteriore piú fortemente l’elemento spirituale.
Francesco Sassetti e i suoi figli stanno in primo piano,
in grandezza naturale, ma, presentandosi solo al margi-
Storia dell’arte Einaudi
32
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
ne del dipinto, discosti dal papa e dal collegio cardinalizio, mostrano di essere evidentemente consapevoli
della loro posizione modesta di pubblico profano. Però
sotto le gravi pieghe del manto e sotto i venerandi lineamenti solcati di Francesco si cela un senso coraggioso del
nuovo. Quello stesso Sassetti che ottenne il diritto di
raffigurare la leggenda del suo santo con energica lotta41,
eresse allora in vita, per l’appunto in questa cappella,
sotto gli affreschi della leggenda due tombe per sé e per
sua moglie, in stile assolutamente pagano-romano con
accurata imitazione di sculture e iscrizioni antiche, guidata da dotti consigli. Identificando chiaramente e sicuramente il compito piú immediato, egli facilitò probabilmente il distacco di Domenico dalle convenzioni. Ma
il fascino personale, artisticamente vivificante, non
emana tuttavia da lui, bensí da Lorenzo de’ Medici,
verso questo si dirige la deputazione salutatoria che
sorge dal suolo, come spiriti della terra che fiutino il loro
signore e padrone. Li arresta Lorenzo, oppure non fa
piuttosto cenno che anch’essi possono salire? Egli sta
come un poeta-regista che sia in procinto di improvvisare, sulla scena di una sacra rappresentazione, un
moderno dramma di grande sfarzo, per esempio «Firenze all’ombra dell’alloro» («Lauri sub umbra»)42. È giunto il momento della trasformazione scenica: è già calato
lo sfondo moderno, su cui sono dipinti Palazzo Vecchio
e la Loggia de’ Lanzi, la compagnia degli attori del Sassetti attende fra le quinte la battuta di chiamata; e ora
emergono dal sottosuolo tre piccoli principi e il loro
professore paganamente dotto, il segreto maestro di
danze di ninfe toscane, l’allegro cappellano di famiglia
e il cantastorie di corte; vogliono recitare il preludio per
occupare definitivamente, non appena giunti sopra,
anche lo stretto spazio rimasto libero su cui si affollano
San Francesco, papa e concistoro, come arena di cose
mondane.
Storia dell’arte Einaudi
33
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Il Ghirlandajo e il suo committente difficilmente
avranno avuto l’intenzione di creare un cosí tragico
urto; la deputazione salutatoria sulla scala pare perfino
aggiunta dal pittore solo in un secondo tempo. Cosí soltanto si spiega da un lato l’accorciamento della ringhiera a destra compiuto mediante un successivo pentimento, per far posto al Poliziano che sale, come d’altra parte
cosí si spiega tutta la disposizione della scala in genere,
la quale soltanto rende possibile al gruppo l’ingresso nel
dipinto senza ch’esso copra la scena raffigurata. Ora,
Domenico Ghirlandajo, davanti al difficile compito di
rispecchiare su di una superficie limitata una pienezza
di vita genuina, rinuncia a tutte le arti ornamentali di
abbellimento della figura umana e parla, in modo mirabilmente espressivo, solo attraverso la mimica delle sue
teste. E ancora: dalla raccolta consapevolezza che hanno
di sé queste figure, le quali, piene della vita piú propria,
cominciano a distaccarsi dallo sfondo ecclesiastico come
indipendenti ritratti individuali, ci investe un soffio di
arte nordica degli interni. Una esemplificazione dei particolari di queste relazioni fra tavole fiamminghe e
civiltà artistica della cerchia di Lorenzo de’ Medici sarà
tentata in altra sede.
«... viva parola di uomini che da quattro e piú secoli dormono nei sepolcri, ma che può destare e utilmente interrogare l’affetto».
Cesare Guasti, Ser Lapo Mazzei, p. III.
Storia dell’arte Einaudi
34
Appendice
I. Statue votive in cera
Nelle pagine seguenti darò alcune notizie circa i voti
di cera fiorentini in ordine cronologico e aggiungerò del
materiale documentario sconosciuto capitatomi sotto
mano mentre seguivo le indicazioni dell’Andreucci43 e
facevo uso della raccolta postuma di notizie del benemerito studioso locale Palagi44. Già Francesco Sacchetti nella sua novella 10945 scherniva le figure votive come
malcostume pagano: «Di questi boti di simili ogni dí si
fanno, li quali son piútosto una idolatria che fede cristiana. E io scrittore vidi già uno ch’avea perduto una
gatta, botarsi, se la ritrovasse, mandarla di cera a nostra
Donna d’Orto San Michele, e cosí fece».
All’inizio del Quattrocento le figure votive sembrano essere aumentate a tal punto che la Signoria si vide
costretta di emanare una deliberazione in data 20 gennaio 1401, in base alla quale solo un cittadino abile alle
arti maggiori avrebbe avuto diritto di collocare una figura votiva46. Nel 1447 poi le figure furono disposte ordinatamente nella navata centrale a destra e a sinistra
della tribuna. Naturalmente le figure di grandezza naturale, poste su podii e in parte perfino a cavallo, toglievano la vista ai proprietari delle cappelle laterali, cosa
che indusse la potente famiglia dei Falconieri a proteste
coronate da successo: i fondatori a cavallo dovettero
Storia dell’arte Einaudi
35
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
essere collocati al lato opposto della navata centrale.
Dal manoscritto47 citato nell’Andreucci comunico il
passo relativo nel testo originale: «1447. In questo
tempo si comincia(va) a fare in chiesa e’ palchi per mettervi l’immagini. M° Tano di Bart° e M° Franc° furno
e maestri che gli feciono e M° Chimenti48 dipintore fu
quello gli dipinse insieme con quegli di S° Bastiano, e
questo fu fatto per la multitudine de’ voti e imagini che
erono offerte e per acrescer la devotione a quegli che
venivano a questa S.ma Nuntiata, perche ’l veder tanti
miracoli per sua intercessione da N. Signor’Idio fatti,
faceva che ne’ loro bisogni a lei ricorrevano: Onde in
questi tempi medesimi furno fatti palchi per tenervi
sopra homini ill.mi a cavallo tutti devoti di questa gran’
madre. Erono dua palchi uno alla destra, l’altro alla
sinistra avanti alla tribuna. Ma nuovamente havendo
uno fatto un poco di frontispitio d’orpello avanti la
capella de’ Falconieri, non gli parendo fussi veduto a suo
modo, persuase alcuni padri che gl’era buono levar quel
palco, e metter que’ cavalli tutti dall’altra parte; cosi
rimase quella parte spogliata, e senza proportione dell’altra. Idio gli perdoni».
Dell’anno 1481 ho trovato un contratto49 fra il vicario Antonio da Bologna e il maestro Archangelo che fa
rivivere molto chiaramente l’esercizio artigianesco e la
divisione del lavoro di questa industria ecclesiastica:
«Richordo chome in questo dí 13 de zugno 1481 M°
Archangelo ciraiolo di Zoane d’Antonio da Fiorenze
promette a me M° Antonio da Bologna vicario del convento del Anuntiata de Fiorenze tute le volte che io voro
fare ymagine de cera grande al naturale nel modo e
forma che in questo ricordo se contiene. In prima chel
deto M° Archangelo debia fare l’imagine in quello modo
e forma e habito secondo che piacerà al deto vicario o
qualunch altri che fusse in luogo del priore overo priore. Item che le debia fare forte d’armadure e ben lega-
Storia dell’arte Einaudi
36
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
te. Item che le dette ymagine le debia depignere e cholorire a sue spexe e de suo cholori e sue chapigliare e
barbe e tute l’altre chosse che apartengono al depintore salvo che lavorare di brocato. E debia el deto M°
Archangelo fare qualoncha immagine in termine de X dí
lavorie50 overo in termine di XII, e facendo queste tute
chosse promette el dito M° Ant° Vicario in nome del
convento al deto M° Arcan.lo ff. dui larghi per qualoncha ymagine provedendo el convento di cera e di tute
l’altre chosse che achaderanno salvo che di chollori e
chapigliare. E chossi se obligo el dito M° Archangelo
observare a la pena di 25 ducati presente Mariano di
Francesco di Bardino e Zanobio de Domenico del Iocundo ect. Io Archangiolo di Giuliano d’Ant° ceraiuolo
sono contento a quanto in detto ricordo si contiene e
perciò mi sono soscrito di mia mano questo di sopra.»
Nell’anno 1488, il 9 aprile, Pagolo di Zanobi Benintendi riceve fra l’altro un pagamento per voti appesi alla
cupola. Già allora dunque i voti si affollavano minacciosi
sopra le teste dei fedeli51.
Dell’anno 1496 si trova poi nell’archivio di stato di
Firenze un lungo elenco52 dei doni votivi d’argento (di
persone o di membra umane), specificati esattamente
secondo il peso e il tipo; questo perché la chiesa in quell’epoca fu costretta a farli fondere per pagare una nuova
imposta; l’inventario è un museo anatomico molto interessante dal punto di vista della storia della civiltà e dell’arte che qui sarebbe troppo lungo descrivere nei particolari. Lampade, del resto, come quelle che avrebbe
potuto fabbricare il padre di Domenico Ghirlandajo,
non sono menzionate in quell’epoca.
L’interno della chiesa deve quindi aver avuto l’aspetto di un gabinetto di statue di cera. Da un lato stavano i fiorentini (fra questi la statua di Lorenzo il
Magnifico accennata sopra ed eminenti condottieri in
piena armatura e a cavallo) ed accanto ad essi i papi
Storia dell’arte Einaudi
37
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
(Leone X, Alessandro VI, Clemente VII53), ma con particolare orgoglio erano indicati gli stranieri che per la
loro venerazione della Santissima Annunziata avevano
lasciato il biglietto da visita in grandezza naturale, p. es.
re Cristiano di Danimarca quando passò per Firenze
nel 1474; e come curiosità del tutto speciale veniva
mostrata perfino la statua di un pascià turco maomettano che, malgrado fosse miscredente, consacrò alla
Madonna la propria statua votiva per assicurarsi un felice ritorno54. Anche statue votive di celebri donne vi si
potevano vedere: p. es. la marchesa (Isabella) di Mantova; essa è ricordata nel 1529 insieme con papa Alessandro come bisognosa di riparazioni55.
La Hofkirche di Innsbruck, con la tomba di Massimiliano imperatore e la doppia fila delle statue in bronzo dei suoi antenati collocati nella navata centrale, dà
forse, mutatis mutandis, un’impressione analoga di
sopravvivenza della ritrattistica pagana in chiese cristiane. Per l’imperatore Massimiliano, tuttavia, e per il
suo consigliere Peutinger, era consapevole riproduzione
del culto romano degli avi56 ciò che a Firenze veniva praticato come uso tranquillamente ripetuto di un paganesimo popolare legittimato dalla Chiesa. Lo studio del
Verrocchio, dal quale sembrano essere uscite statue votive piú artistiche, coltivava anche come ramo particolare dell’industria artistica la fabbricazione di maschere di
morti in gesso e in stucco; nelle case fiorentine, come
narra il Vasari57, queste erano dappertutto collocate
decorativamente come immagini fedeli degli antenati, e
ad esse la pittura fiorentina tanto spesso doveva la possibilità di ridare fedelmente le sembianze di persone
defunte. La bottega del Verrocchio si presenta come un
organo sopravvissuto di un’antichissima arte sacrale
pagano-romana: i «fallimagini» e i «ceraiuoli» che producono «imagines» e «cerae»58.
Ancora nel 1530 nella chiesa si potevano vedere 600
Storia dell’arte Einaudi
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
figure di grandezza naturale, 22.000 voti di cartone e
3.600 immagini votive recanti i miracoli della Santissima Annunziata59.
Nel 1665 le figure di cera, «cagione di continua trepidanza per i devoti» furono trasportate nel piccolo
chiostro, cosa lamentata da Del Migliore60 con le seguenti caratteristiche parole: «non sapemmo il concetto né
qual fosse l’animo di que’ Padri, in spogliar la Chiesa
d’un arredo tanto ricco di Voti, a risico di diminuirvi,
e rendervi fiacca la devozione, che s’aumenta e mirabilmente s’ingagliardisce per sí fatto modo, ci giova credere che il Popol sagace similmente non intendendo i lor
fini modesti, alla gagliarda ne mormorasse e massime i
maligni ch’anno come s’usa dir’ a Firenze, tutto il cervello nella lingua: e in vero apprò loro sussiste un’ articolo di ragione vivissimo, perché, non potendo lo ’ntelletto nostro arrivare cosí facilmente a conoscere le cause
alla produzione degli effetti, d’un efficacissimo mezzo
son le cose apparenti di Voti, di Pitture ed altre materie simili esteriori sufficienti ad ogn’idiota per concepirne maggior aumento di spirito, di speranza e di fede
piú viva alla intercessione de’ Santi; onde non è gran
fatto, che ’l Popolo se ne dolesse e stimasse privata la
Chiesa d’una bellissima memoria...»
II. Ritratto di Lorenzo de’ Medici in Bartolomeo
Cerretani, «Storia fino all’anno 1513»61
«... il quale fu di grande ingegnio maximo in juditio,
eloquentissimo, haveva professione universale optima
nel ministrare le cose publiche, achutissimo, et sollecito, et savio: fortunato quanto huomo de suo tempi, animoso, modesto, affabile con tutti; piacevole, co’ motti
destrissimi et acuti62; per uno amicho no’ dubitava mettere63 tempo danari et insino a lo stato, onesto, cupido
Storia dell’arte Einaudi
39
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
del’onore et fama, liberale, onorevole; parlava pocho,
grave nell’andar; amava e’ valenti et gl’unichi in ogni
arte; fu solo notato che era alquanto vendichativo et
inviidioso: fu religioso e nel governare molto era volto
agl’huomini popolani piutosto che agl’huomini di famiglie. Era grande bella persona, brutto viso, la vista corta,
le charne nere, cosi e chapelli, le ghote stiacciate, la
bocha grande fuori dell’ordine e nel parlare faceva molti
gesti chola persona; bella andatura grave; vestiva richamente, dilectavasi fare versi volgari et facevagli benissimo; fu suo preceptore messere Gentile64 (fol. 166) charidenssi (Caridensis) huomo doctissimo il quale dapoi fe’
veschovo d’Arezo perche fu d’optimi costumi e quali
tutti da detto suo preceptore comprese et messe in atto;
ebbe per donna la figliola del Conte Orso dell’antica
casa de gl’Orssini romani delaquale n’ebbe tre figloli
maschi l’uno fu Piero, l’altro messere Giovanni cardinale di S.Ma. in Domnicha, l’ultimo fu Giuliano: Usava
dire che haueva un figlolo armigero (questo era Piero)
uno buono (questo era il chardinale), un savio (questo
era Giuliano) et come presagiente dixe piú volte che
dubitava che Piero un di non fussi la rovina di casa loro
il che come savio chonobbe et predixe.»
III. Ritratto di Lorenzo de’ Medici in Niccolò Valori,
«La vita del magnifico Lorenzo»65
«Fu Lorenzo di grandezza piú che mediocre, nelle
spalle largho, di corpo solido et robusto, et di tanta agilità che in questo ad alcuno non era secondo, et benche
nell’altre esteriori doti del corpo la natura gli fusse
matrigna, nondimeno quanto all’interiori qualità madre
benigna gli si dimostrò ueramente, fu oltre a questo di
colore uliuigno, et la faccia ancor’ che in quella non fusse
uenustà, era nondimeno piena di tal degnità che a’
Storia dell’arte Einaudi
40
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
riguardanti induceva riuerenza: fu di uista debole,
haueua il naso depresso, et al tutto dell’odorato priuato, ilche non solamente non gli fu molesto, ma usava dire
in questo proposito, esser molto obligato alla natura,
conciosia che molto piú siano le cose che all’odorato s’offeriscano, le quali offendono il senso, che quelle che lo
dilettano; ma tutti questi difetti et mancamenti, se cosi
chiamar si possono, con le doti dell’animo ricoperse, le
quali con continoue esercitationi, et assidua cura ornò
sopra modo, di che fecero testimonio molti giudizij di
quello.»
IV. Lettera di Angelo Poliziano a Piero de’ Medici66
Angelus Politianus Petro Medici Suo S. D.
«Facere non possum, quin tibi agam gratias, mi
Petre, quod autoritate operaque tua curaueris, ut in collegium nostrum Matthaeus Francus, homo (ut scis) mihi
amicissimus, cooptaretur. Est autem non modo isto
(licet inuidi quidam rumpantur) sed quouis, honore
dignissimus. Prima illi commendatio contigit apud
patrem tuum, sapientissimum uirum, iocorum & urbanitatis, cum faceta illa scriberet carmina patrio sermone, quae nunc Italia tota celebrantur. Quin idem parens
tuus, penè infantem adhuc te, quaedam ex his facetiora ridiculi gratia docebat, quae tu deinde inter adductos amicos balbutiebas, & eleganti quodam gestu, qui
quidem illam deceret aetatulam, commendabas. Nec
tamen insuauior Francus in sermonibus, usuque domestico, siue tu dicteria, siue fabulamenta, siue id genus
oblectamenta alia requiras, in queis non eius ingenium
magis eminet, quam prudentia. Nihil enim unquam scurriliter, nihil immodestè, nihil non suo loco, nihil extra
rem, nihil incautè, nihil sine delectu. Quare siue rusti-
Storia dell’arte Einaudi
41
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
caretur animi causa, siue balneis operam daret Laurentius parens tuus (quod te meminisse non dubito) Francum sibi adducebat comitem, cuius lepôre quasi recrearetur. Adhibuit eum deinde consiliarium Magdalenae
sorori tuae Romam proficiscenti ad uirum, uidelicet ut
rudis adhuc puella, quae nunquam de materno sinu se
prompserat, paternum aliquem circa se haberet amicum,
ad quem de re dubia referret. Hic se Francus (ut homo
est eximia patientia, sed et dexteritate) sic nescio quo
pacto diuersis ignotisque moribus áccomodauit ut et
uniuersorum beneuolentiam collegerit, et sorori ipsi tuae
facile unus omnia paternae domus solatia repraesentet.
Gratus esse Innocentio quoque pontifici mire dicitur,
gratus aliquot et purpuratis patribus: tui certe illum
ciues, qui Romae negotiantur, in oculis gestant. Quid
quod breui causarum forique Romani sic peritus euasit,
ut iam non inter postremos habeatur? Est autem omnino ingenio uersatili Francus noster, et quod rebus ac personis omnibus congruat. Caeterum dispensatione domestica nemini cesserit, quippe gnarus omnium quae postulat usus, non tam praescribere familiae potest ac solet,
quid quisque agat, quam quomodo, et quatenus agat.
Addam unum adhuc illius insigne, nemo diligentius amicos parat, nemo fidelius retinet. Meus certe in ipsum,
contraque ipsius in me sic amor innotuit, ut quod gratissimum est, et nos inter rara admodum paria numeremur. Itaque bis me esse canonicum puto abs te factum,
quando illum quoque nunc, id est alterum me, nostro
coetui aggregasti. Non enim minus in eo mihi, quam in
meipso uideor honestatus. Vale».
V. Luigi Pulci e il «compare della viola»
Luigi Pulci67 chiude la Giostra di Lorenzo de’
Medici:
Storia dell’arte Einaudi
42
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Hor sia qui fine che pur convien posarsi
Perche il compar, mentre ch’io scrivo, aspetta,
Et ha gia impunto la sua violetta,
Hor fa compar che tu la scarabelli...68
Che questo compare della viola non fosse un personaggio mitico, bensí uno di quei veri cantastorie fiorentini che all’aria aperta, davanti a una folla in devoto
ascolto, solevano recitare storie popolari accompagnandosi con il violino, si vede già chiaramente da una silografia che è la vignetta finale dell’edizione del Morgante di Luigi Pulci69. Essa pare fatta apposta per illustrare
le parole conclusive della Giostra: su di un podio siede
il «compare» che suona, e ai suoi piedi vediamo la folla
in avido ascolto su di una libera piazza (San Martino?).
Che il «compare della viola» fosse persona ufficialmente nota sotto questo nomignolo, lo vediamo dal fatto che
egli è elencato sotto questo nome nel seguito immediato di Lorenzo70, come piú tardi in quello di suo figlio
Piero71. Credo anche di aver trovato il vero nome del
«compare della viola». Un certo «compare Bartolomeo»
è ricordato nel 1447 come cantastorie nel giornale della
stamperia di Ripoli72, le cui leggende e storie egli recitava in pubblico e poi vendeva in singoli fogli come allora usava73. Lo stesso Luigi Pulci dedica un sonetto a un
Bartolomeo dell’Avveduto, che comincia con le parole:
Poich’io partij da voi Bartolommeo,
Di vostri buon precetti ammaestrato...74
Queste parole consentono in generale di pensare che
fra i due esistesse un rapporto di colleghi in cui chi dava
era Bartolomeo; ma che cosa egli abbia dato è espresso
in modo sufficientemente chiaro dal suo soprannome
«dell’Avveduto»: egli diede a Luca o a Luigi Pulci quel
nocciolo popolare per il loro poema Ciriffo Calvaneo al
Storia dell’arte Einaudi
43
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
quale, come è dimostrato, serví da modello75 un poema
finora considerato anonimo, il Libro del Povero Avveduto. In questo modo la catena dei nomi si ravviva
creando un personaggio interessante, finora inosservato, e possiamo osare l’equazione seguente: il «compare»
che ha già imbracciato la «violetta» è una sola persona:
1. con il «compare Bartolomeo» che lavorava come
cantastorie e libraio volante per la stamperia di Ripoli,
2. con il «compare della viola» al seguito dei Medici e
3. con il Bartolomeo76 dell’Avveduto celebrato da
Luigi come collega in poesia, cosa che ci presenta in persona colui che per i Pulci era mediatore e diffusore della
poesia cavalleresca popolare, e liquida allo stesso tempo
nel modo piú naturale tutte le difficoltà presentate finora alla critica storico-letteraria dal «compare» nella Giostra77.
Ultima edizione (7a) a cura di Geiger (1899).
2
Ultima edizione a cura di Bode (1901). Inoltre la sua Geschichte
der (Architektur der) Renaissance, 3a ed., a cura di Holtzinger (1891).
3
Beiträge zur Kunstgeschichte von Italien, a cura di H. Trog (1898):
tra i saggi contenuti in quel volume, vedi specialmente «Das Altarbild»,
«Das Porträt in der Malerei», «Die Sammler».
4
Cfr. H. Thode, Giotto, p. 128.
5
Archivio di Stato di Firenze, Protocolli di Andrea Angiolo di Terranova, A. 381, p. 269 segg., 1487, donazione addizionale alla Cappella con prescrizione espressa e particolareggiata della messa in onore
di San Francesco.
6
Ancora con l’alta «ringhiera».
7
Nato nel 1472, destinato alla carriera ecclesiastica e fin da allora
priore di San Michele Berteldi. Teodoro I, nato nel 1461, morto prima
del 1479, Galeazzo nato nel 1462, Cosimo nato nel 1463, Bartolomeo
nato nel 1413, Francesco stesso nato nel 1421. Notizie piú ampie su
Francesco Sassetti e la sua famiglia seguiranno in un secondo articolo.
8
Non è probabile che vi sia raffigurato il padre Tommaso morto
fin dal 1421.
9
Sui voti cfr. Appendice I, p. 35 segg.; sui voti di Lorenzo cfr. G.
Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, III, p. 373 seg.
1
Storia dell’arte Einaudi
44
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Il busto in stucco dipinto di Lorenzo che si trova nel Museo di
Berlino è forse l’imitazione di un voto del genere; la pittura artigianesca e la rozza somiglianza priva di una elaborazione piú sottile lo farebbero pensare. Riprod. in Bode, Italienische Porträtskulpturen des 15.
Jahrh. (1883), p. 31.
11
Cfr. Eubel, Über Zauberwesen und Aberglauben, «Hist. Jhb.
(Görres)», XVIII (1897), pp. 608-31, e anche Grauert, ibid. p. 72.
12
Cfr. Crowe e Cavalcaselle, Ed. italiana, VII, 178 seg. Per i
ritratti di Lorenzo cfr. von Kenner, «Jahrb. d. kunsthist. Sammlg. d.
allerh. Kaiserh.», XVIII (1897) e Müntz, Le musée de portraits de Paul
Jove, Parigi 1900, p. 78; un busto in terracotta del Pollajuolo (?) è riprodotto in Armstrong, Lorenzo de’ Medici and Florence in the fifteenth
century, 1897. Del materiale di ritratti per la storia dei Medici è riprodotto in Heyck, Der Mediceer, 1897; per Lorenzo è tuttora fondamentale A. von Reumont, Lorenzo de’ Medici il Magnifico, 1883.
13
Cfr. Appendice II e III.
14
Cfr. nota 15
15
La medaglia dello Spinelli lo ritrae in anni piú avanzati; all’epoca dell’affresco di S. Trinita aveva (nato nel 1454) circa 29 anni; il
Ghirlandajo ve lo ritrasse – come vuol sembrarmi – una seconda volta
del tutto di profilo sull’affresco del lamento della morte di San Francesco a sinistra della bara; in seguito un’altra volta ancora nel coro di
Santa Maria Novella nell’annuncio dato a Zaccaria.
16
Nato il 12 agosto 1478. Il suo viso di fanciullo si ritrova senza
difficoltà nell’uomo barbuto ritratto piú tardi dal Bronzino (Heyck, op.
cit., fig. 133). Strana ironia del destino: Giuliano che entra nell’arte
come gioioso fanciullo, guidato dalla mano del Ghirlandajo, lascia il
mondo ritrattistico fiorentino come tipo ideale della vitalità precocemente spenta: come duca di Nemours sulla tomba di Michelangelo in
San Lorenzo.
17
Nato il 15 febbraio 1471. Cfr. la fig. in Müntz, op. cit., p. 80.
18
Nato l’11 dicembre 1475. Cfr. la fig. da Giovio in Müntz, op.
cit., p. 80 e il ritratto del Bronzino negli Uffizi.
19
Opera, ed. Basilea 1553, cfr. Appendice IV. Per Matteo Franco,
nato nel 1447 cfr. soprattutto I. Del Lungo, Florentia, uomini e cose
del Quattrocento, Firenze 1897, p. 422: «Un cappellano mediceo».
Inoltre l’eccellente studio di Guglielmo Volpi nel «Giornale Storico
della Letteratura italiana», vol. XVII (1891): Un cortigiano di Lorenzo
il Magnifico (Matteo Franco) ed alcune sue lettere.
20
Cfr. la lettera in Del Lungo, op. cit., p. 441.
21
Giulio, figlio di Giuliano assassinato nel 1478, è il futuro papa
Clemente VII.
22
Pubblicata da I. Del Lungo, Un viaggio di Clarice Orsini de’ Medici nel 1485, Bologna 1868, e successivamente Florentia, p. 424 seg.
10
Storia dell’arte Einaudi
45
Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Sulla data 1483 non vorrei insistere troppo nemmeno io; l’attuale
iscrizione, evidentemente restaurata in modo errato, dà come anno del
compimento il 1486 invece del 1485; in merito maggiori particolari in
un altro articolo; è documentato che già all’inizio del 1486 la cappella
era libera dall’impalcatura poiché a partire dal 1° gennaio iniziano regolarmente le messe. A.S.F., S. Trinita, 65 p. 53.
24
Nato nel 1432. Cfr. per la letteratura del Quattrocento in generale la recentissima esposizione istruttiva di Ph. Monnier, Le Quattrocento, Essai sur l’histoire littéraire du XVième siècle italien, 1901. Lettere di Luigi Pulci, pubblicate da Bonghi, 1886.
25
[Cfr. fig. 195 in van Marle, XII]. Fra le teste della deputazione salutatoria riconobbi per prima dalla somiglianza il Poliziano, poi
però il Pulci pel ricordo appunto di quell’affresco di Filippino.
26
Angeli Politiani Opera, Basilea 1533, p. 141 segg.
27
«Magnifico» come puro e semplice titolo, cfr. Reumont, «Hist.
Jhb. (Görres)» 1884, p. 146; il suo significato corrisponde piuttosto a
«potentissimo» [grossmächtig] che a «magnifico» [prächtig] nell’accezione attuale.
28
Parole proprie di Lorenzo nella Rappresentazione di S. Giovanni e
Paolo, ed. Carducci, p. 375. Cfr. in proposito Karl Hillebrand, La
politique dans le Mystère in «Études ItaliennesÈ, 1868, p. 204 segg.
29
Istorie Fiorentine, alla fine. Trovai questo passo del Machiavelli
soltanto dopo avere già descritto la deputazione salutatoria sulla scala
e aver già fissato la psicologia del carattere popolareggiante in Lorenzo.
30
Cfr. Cerretani: «Faceva molti gesti chola persona».
31
Cfr. Levantini-Pieroni, Lucrezia Tornabuoni, Firenze 1888.
32
Il problema è stato trattato da Cesare Carocci, La giostra di
Lorenzo de’ Medici, Bologna 1899.
33
Cfr. Kristeller, Early Florentine Woodcuts, 1897, fig. 150.
34
Cfr. Appendice V, p. 144 segg.
35
Cfr. «‘Nascita di Venere’ e ‘Primavera’ di Sandro Botticelli»
(1893).
36
Cfr. Rossi, Il Quattrocento, p. 258.
37
Opera, ed. cit., p. 26. Cal. Maias MCCCCLXXXX.
38
Cfr. la calcografia del cosiddetto Baccio Baldini raffigurante il pianeta Mercurio.
39
Secondo il catasto del 1480 Tommaso sarebbe stato un semplice
«sensale»; comunque, già nel 1486 p. es. Domenico porta ufficialmente il nome «del Grillandaio», il che fa invece pensare che Tommaso
fosse direttamente legato alla fabbricazione di gioielli. Cfr. A.S.F., S.
Trinita 15, p. 27vo, e anche G. Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, III, 280
e 264, 270, 277.
40
Cfr. l’aneddoto in Vasari, op. cit., III, 270.
23
Storia dell’arte Einaudi
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Sulla sua contesa con i monaci di Santa Maria Novella cfr. il saggio a pp. 211 segg.
42
Laurus invece di Laurentius, per ottenere il giuoco di parole.
43
Andreucci, Il fiorentino istruito nella Chiesa della Nunziata, 1857,
che contiene molti preziosi riferimenti a materiale manoscritto.
44
Bibl. Naz., Ms. II. I. 454: «Notizie dei Ceraioli e lavoratori d’immagini di Cera in Firenze».
45
Cfr. Novelle, ed. Gigli, 1888, p. 264.
46
Andreucci, op. cit., p. 86: «non potere alcuno mettere voto in
figura che non fosse uomo di Repubblica ed abile alle arti maggiori».
47
Arch. St. Firenze, SS. Annunziata n. 59, doc. 19. Notizie delle cose
memorabili del convento e chiesa della Nunziata, foglio 11.
48
Chimenti di Piero (?).
49
A.S.F. SS. Annunziata, n. 48, Ricordanze 1439-1484, p. 131 v
segg.
50
10 giornate di lavoro entro il termine di 12 giorni di calendario.
51
Cfr. Ms. Palagi. La caduta era considerata auspicio infausto per
l’offerente.
52
A.S.F. SS. Annunziata, n. 50, Ricordanze 1494-1504, foglio 18
seg. Notizie analoghe in Andreucci, op. cit., p. 250 seg.
53
Andreucci, op. cit., p. 86.
54
Cfr. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, 1684, p.
286 seg. che elenca un’altra serie di personalità storiche.
55
«1529 rifatto l’armagine (sic) di papa Alessandro e la marchesa
di Mantova...» Ms. Palagi.
56
Cfr. Justi, Michelangelo, p. 231, n. 3. Una statua votiva gotica
proveniente dallo stesso ambiente, seppure da epoca anteriore, è indicata molto utilmente da Stiasnny, «Beilage zur Allg. Ztg.», 1898, nn.
289 e 290.
57
Op. cit., III, p. 373 e VIII, p. 87.
58
Cfr. Benndorf, Antike Gesichtshelme und Sepulkralmasken, 1878,
p. 70 seg. e Marquardt, Das Privatleben der Römer, 1886, I, p. 242
seg.
59
Andreucci, op. cit., p. 249.
60
Andreucci, op. cit., p. 287.
61
Tuttora inedito. Bibl. Naz., Ms. II. III. 74. foglio 165v. Reumont, op. cit., II, 420, non sembra essersi servito di un buon manoscritto.
62
Aggiunto dal copista.
63
Scil.: a rischio.
64
Gentile de’ Bechi.
65
La Vita del Magnifico Lorenzo de’ Medici il vecchio scritta da Niccolò Valori Patrizio Fiorentino, nuovamente posta in luce. Giunti,
1568, a. III r.
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Storia dell’arte Einaudi
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Aby Warburg Arte del ritratto e borghesia fiorentina
Angeli Politiani Opera, Basilea 1533. Epist. lib. X, p. 144.
Cfr. Carocci, La giostra di Lorenzo de’ Medici messa in rima da
Luigi Pulci.
68
Giostra di Lorenzo in appendice a Ciriffo Calvaneo nell’edizione
di Giunti, 1572, p. 91.
69
Riprodotta in Kristeller, Early Florentine Woodcuts, 1897, fig.
150.
70
Cfr. la lista del seguito in Del Lungo, Un viaggio di Clarice Orsini de’ Medici nel 1485 descritto da Ser Matteo Franco, Bologna 1868, (n.
XCVIII della Scelta di Curiosità letterarie), p. 7: «... 2 cantori. El compare. Bertoldo scultore».
71
A.S.F., Medic. avanti Princip., n. 104, doc. 85, p. 583vo, 1492
al séguito di Piero in viaggio per Roma ecc.: «Matteo Franco, il chonpare della viola, il chardiere della viola» (cfr. Reumont, op. cit., II,
353).
72
Sul giornale di questa prima stamperia fiorentina (ancora troppo
poco esaminato rispetto alla storia della civiltà) cfr. Fineschi, Notizie
storiche sopra la stamperia di Ripoli, Firenze 1781. Roediger, Diario
della stamperia di Ripoli, «Bibliofilo», VIII (1887), IX e X, purtroppo
non completato. P. Bologna, La stamperia fiorentina del Monasterio di
S. Jacopo di Ripoli e le sue edizioni, in «Giorn Stor. d. Lett. ital.», 1892
(XX), p. 349 seg., 1893 (XXI), p. 49 seg. Nel giornale si legge «1477.
Entrata: a dí 3 di giugnio soldi cinquanta sono per una legenda, ci
vendè el compar Bartolomeo...». Cfr. Roediger, «Bibliofilo», VIII, p.
92.
73
Cfr. Flamini, La Lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi
del Magnifico, 1891 e Ph. Monnier, Le Quattrocento, 1901, p. 28 seg.
74
Son. CXLVI, ed. del 1759: «Luigi Pulci a Bartolommeo dell’Avveduto».
75
In proposito recentemente: Laura Mattioli, Luigi Pulci e il
Ciriffo Calvaneo, 1900, p. 9. Cfr. Bibl. Laurenziana, Plut. 44, cod. 30.
76
Che questo Bartolomeo sia quello stesso «Bartolomeo da Pisa
detto Baldaccio», ricordato altrove come «cermatore» che vende libri?
Cfr. Roediger, op. cit., p. 134. Il 24 novembre 1477 egli riceve in deposito per la vendita mille «orationi». Non avrà il nostro Bartolomeo
anche tramandato la «materia del Morgante»?
77
Cfr. Carocci, op. cit., p. 33 segg.
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Storia dell’arte Einaudi
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