PSICOLOGIA E PRIVATO SOCIALE Giovanna Montinari Lo diceva
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PSICOLOGIA E PRIVATO SOCIALE Giovanna Montinari Lo diceva
PSICOLOGIA E PRIVATO SOCIALE Giovanna Montinari1 Lo diceva anche Groucho Marx in una famosa, quanto paradossale battuta: “perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Che cosa hanno mai fatto i posteri per me?”2. Sta tuttavia, cominciando ad affiorare – anche sulla scia di rovine che guru e avventurieri del “libero mercato” stanno lasciando dietro di sé – il nuovo paradigma della sostenibilità e della leadership sostenibile (Hargreaves e Fink, 2003). Il concetto di leadership sostenibile nasce in area ambientalista dalle recenti riflessioni in tema di ecologia e governo dell’ambiente3. Nei sistemi organizzativi la sostenibilità ha a che fare non solo con le compatibilità del progresso e della crescita, le esigenze della democrazia e della pace, la responsabilità sociale, ma anche con la capacità effettiva di un sistema non-lineare, di affrontare i problemi complessi del proprio sviluppo. Parte di questa capacità dipende dalla capacità della leadership di evitare o prevenire i fenomeni di insostenibilità, come il sovraccarico di iniziative, l’“accanimento innovativo”4, il caos e l’instabilità per i continui cambiamenti, le ricadute ecologiche dannose, lo stress personale e il burn out. Geoff Mulgan, noto economista in “La locusta e l’ape,le due facce del capitalismo” si chiede “Ma allora che bisogna fare? La soluzione non sta negli interminabili summit che aspirano a resuscitare l’economia pre-2007, e nemmeno in ulteriori iniezioni di incentivi o austerity. Dovremmo piuttosto delineare una mappa concettuale di come effettivamente si configurerà il futuro dell’economia, della società e di come potrebbe e dovrebbe essere. Si elencano parecchi degli elementi necessari a frenare gli atteggiamenti predatori e massimizzare quelli creativi. Tra i mezzi per raggiungere il primo obiettivo ci sono i nuovi requisiti di reporting, nuove norme fiscali e opzioni radicali di riorganizzazione bancaria, strumenti volti a trasformare la finanza da padrona a serva dell’economia reale. I modi per raggiungere il secondo obiettivo, quello sociale, spaziano invece dai modelli innovativi di istruzione agli acceleratori aziendali, agli incentivi alle università di prossima generazione. Sono mezzi che implicano da una parte l’ampliamento e la ridefinizione degli investimenti economici, dall’altra l’incoraggiamento di una cultura in cui ognuno abbia il potenziale per creare e innovare, in cui si favorisca lo spirito di settori dinamici 1 Giovanna Montinari, Consigliera Ordine Psicologi Lazio (CP), Presidente Coop.Soc. Rifornimento in volo, Presidente A.R.P.Ad. Le aziende più sensibili e lungimiranti, sia nel settore commerciale che in quello dei servizi alla persona, stanno cominciando a temere l’onda lunga distruttiva di questa cultura dell’irresponsabilità e sono corse ai ripari sviluppando, anche sotto la pressione di gruppi animati dalla preoccupazione per l’ambiente, un sistema di valori e di orientamenti pratici che va sotto il nome di responsabilità sociale. Il Libro Verde della Comunità Europea (2001) così la definisce:“Il concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che esse decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito l’ambiente. Nel momento in cui l’Unione europea si sforza di identificare valori comuni adottando una Carta dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di imprese riconosce in modo sempre più chiaro la propria responsabilità e la considera come una delle componenti della propria identità. Tale responsabilità si esprime nei confronti dei dipendenti e, più in generale, di tutte le parti interessate all’attività dell’impresa ma che possono a loro volta influire sulla sua riuscita”. 2 3 “Sostenibilità” (di una politica, di un progetto, di una prassi) non vuol dire solo capacità di durare nel tempo, ma anche possibilità di sviluppare iniziative che non ne compromettano altre nell’ambiente circostante, né nel presente né nel futuro, cioè che non sottraggano risorse destinate alla sopravvivenza fisica, psicologica e sociale dei contemporanei e delle generazioni future. 4 Dove, non essendo infinite le opzioni di cambiamento, il trend prevalente delle pratiche ‘cocainiche’ date dal clima di emergenza, mostrano la collusione spesso distruttiva fra la fretta e la paura di fermarsi a riflettere e a confrontarsi con problemi e difficoltà e la coazione a innovare diventa paradossalmente una coazione a ripetere. come il movimento dei maker e l’imprenditoria sociale. Altri argomenti forti sono quelli relativi a ciò che dovrebbe accadere nel welfare e nei consumi e alcune opzioni radicali per ridurre la sperequazione sociale. Dunque Sostenibilità e creatività nell’uso delle teorie e delle prassi che io chiamo terapeutiche nella misura in cui terapia significa “servire l’altro”, e degli strumenti preziosi per mantenere la vitalità dello statuto adulto e della responsabilità verso le nuove generazioni nel loro intersecarsi. In un recente incontro nazionale del CGM ( il XII°) il Ministro Poletti, ospite della convention, ha parlato di un “fondo per non toccare il fondo” da devolvere all’area delle attività del privato sociale a conferma del ruolo, ormai costitutivo delle attività di questa area. L’economista Luigino Bruni, attraverso una felice metafora riguardo alle radici delle piante, sottolinea come le radici profonde della cooperazione siano italiane e spesso invidiate dall’estero, più rigoroso ma meno innovativo. E’ evidente che la professione di Psicologo è costitutivamente “sociale” e “civile”, forse la più impegnata fra quelle cosiddette “liberali” sul fronte dei diritti, del benessere e della salute. Una professione che ha contribuito in maniera unica alla costruzione di un Privato Sociale competente, coniugando le istanze ideali del mondo del volontariato con il rigore del metodo, senza piegare l’uno al servizio dell’altro. Anche la scelta del termine Privato Sociale per questa relazione, vuole marcare la dimensione civile e sociale di queste organizzazioni piuttosto che utilizzare il termine Terzo Settore, che rimanda ad una idea obsoleta di terzietà subalterna. Sembra particolarmente calzante parlare di "privato sociale", termine usato per definire le associazioni cooperativistiche, perché esso esprime la libertà del privato di proporre e modificare la forma organizzativa della struttura centrata sul lavoro e sulla produzione, ma allo stesso tempo evidenzia il vincolo verso il "sociale", che finalizza i suoi obiettivi alla soddisfazione dei bisogni della committenza e delle persone. Preferisco, insieme alla Morganti, il termine “terzo sistema” 5, che è stato usato nell'ambito della cooperazione sociale. E’ una definizione economica che sottolinea il carattere imprenditoriale e la valenza socio economica propri delle organizzazioni non-profit. Si tratta di veri e propri soggetti economici orientati al conseguimento di un benessere collettivo, anziché al profitto d’impresa. Nella storica antinomia fra lavoro dipendente (basato sull'appartenenza) e lavoro autonomo (basato sulle competenze), il “terzo sistema” si pone come valida alternativa tra queste due tendenze. Infatti all’idea del rischio legato all' impresa, (connessa alla capacità di mantenersi autonomamente e di incrementare la competenza), esso collega il “sociale”, cioè l’idea della responsabilità verso gli altri, che spesso sono rappresentati dalle fasce più deboli. Per questo in molti hanno assunto una forma legale e sociale la più vicina possibile alla dimensione del “SERVIZIO”, ma anche sufficientemente libera e flessibile al fine di non perdere la dimensione ideale di ricerca e di studio necessaria ad esplorare nuove frontiere di intervento. 5 Monica Morganti ha scritto un libro estremamente interessante a proposito produttività e benessere” Franco Angeli Milano 1998 delle organizzazioni come la nostra “no profit, Si pone allora un tentativo di connessione fra due culture diverse, e la creazione di un modello di lavoro e di gruppo originale che ai “servizi” aggiunge "il servizio” , inteso come crescita individuale e gruppale e formazione degli operatori nel campo, entrambe investite di valore economico, etico, professionale, per contribuire a un cambiamento sincronico della cultura del Servizio e dei nuovi bisogni emergenti dalla committenza sia essa rappresentata dalle istituzioni che chiedono interventi che direttamente dai cittadini che si rivolgono al servizio. L’impresa di relativizzare e connettere i poli del sociale e delle competenze mi sembra assicurare un circuito fertile nello specifico dell’attività dei servizi alla persona. Questa dinamica feconda, il contaminarsi delle istanze ideali proprie degli anni ’60 e ’70 con il metodo professionale (generalizzando con questo termine i metodi che caratterizzano i diversi di approcci) è stato il contributo prezioso della Psicologia al costituirsi di ciò che oggi chiamiamo Privato Sociale; Potremmo dire, come dice la Morganti, che “si coniuga una cultura “maschile”, “paterna” (che in ambito sociale privilegia il prodotto, i risultati e il confronto) con una cultura , “femminile” “materna” che privilegia l’aver cura, i processi di sviluppo , il benessere delle persone”6. Simona Menna e Mario D’Aguanno nel libro da loro curato“Il terzo settore: un nuovo mercato di lavoro, in Competenze psicologiche nel terzo settore, e portato avanti dall’Ordine degli psicologi del Lazio e di Fivol, ci ha informato e documentato di una ricerca conclusa nel 2003 dal CGM7 “pone in evidenza che la cooperazione sociale si è sviluppata – creando opportunità di impiego e affacciandosi come nuovo attore dell’economia italiana- coniugando i principi dell’impresa a quelli della solidarietà. Secondo uno degli ultimi rapporti sulla cooperazione sociale che lavora in tale comparto, rinunciando a volte a incarichi più prestigiosi o meglio remunerati, lo fa sulla base di 8 scelte orientate a svolgere attività che incidono positivamente sull’intero ambiente sociale” : ciò porta un contributo prezioso al cambiamento delle logiche organizzative e culturali delle organizzazioni sociali. Negli ultimi anni, sono nate in Italia, anche grazie ai finanziamenti della legge 285 (legge Turco), una serie di esperienze cliniche e sociali promosse dai soggetti del privato sociale, che svolgono un lavoro prezioso di servizio “cerniera” fra i servizi pubblici e quelli privati, fra la domanda “grezza”, “di strada” e quella dell’intervento sociale, educativo e sanitario, fra gli interventi di prevenzione del disagio psicologico, quelli di orientamento, che possiamo chiamare di primo livello e gli interventi di secondo livello (interventi specializzati). E' evidente che questa impostazione definisce quei gruppi, aderenti alle organizzazioni non profit, che stanno costruendo una cultura di relazioni e funzioni affettive e sociali centrata sulla solidarietà, intendendo con ciò un approccio ispirato, sia con se stessi che con gli altri, all’accettazione dei propri limiti e di quelli altrui, cioè al riconoscimento della diversità. Insomma una cultura della tolleranza e dell’interdipendenza, che miri al riconoscimento della pluralità psichica e sociale. I rapporti che si privilegiano in questo tipo di gruppo di lavoro, sono quelli fondati sull’autorevolezza e sulla fiducia. La gerarchia non è rigida ma può variare da progetto a progetto: 6 M. Moranti ibid pag 10 CGM, Comunità Cooperative.Terzo rapporto di cooperazione sociale in Italia 2002, fondazione Gianno Agnelli, Torino, 2003 8 Simona Menna, “il terzo settore:un nuovo mercato di lavoro, in Competenze psicologiche nel terzo settore, a cura dell’Ordine degli psicologi del Lazio e di Fivol, Franco Angeli Milano, 2005 7 in alcuni si è leader, in altri collaboratori, a seconda dei contesti, delle competenze, delle disponibilità. Il potere si esprime in una pluralità di forme associative e le persone si sentono individualmente più forti e responsabili. Ne risulta una struttura organizzativa elastica, in grado di accogliere e progettare interventi “su misura” rispetto alle esigenze della domanda sociale e soggettiva delle persone, che cura il setting della consultazione, che rappresenta quello spazio intermedio fra mondo reale e fantasmatico, condiviso-condivisibile, realtà con la quale tutti i soggetti vengono sempre confrontati. Una cultura della professione che si qualifica ed è attenta alle esigenze dei lavoratori che la portano avanti. Come sappiamo oggi, sono colleghi lavoratori anche in forme di grande precariato. Purtroppo non sempre è scontata in alcuni contesti l’attenzione al rispetto e alla sostenibilità della propria professione che necessita di essere sempre investita e nutrita attraverso la libertà di esprimersi e attraverso la consultabilità dinamica delle teorie di riferimento. Lo spirito e la tensione interna poggia su quelle che potremo sinteticamente chiamare ‘linee guida’ come : ● mantenere viva la tenerezza e la comprensione empatica sul doppio versante dei soggetti sociali, delle persone e dei colleghi, cosa che permette un’oscillazione dinamica fra sognare e pensare che facilita un’agire coerente con il principio di realtà del servizio inteso come spazio dispiegato nella relazione e nel sociale; ● mantenere un rapporto con la realtà della situazione clinica e delle risorse istituzionali, senza sedurre e/o colludere con le fantasie reciproche; ● mantenere gli assetti organizzativi e di setting con continuità nel tempo e nelle persone; ● rendere VISIBILE la presenza economica e culturale del proprio operare attraverso azioni a diversi livelli (dirò meglio dopo). Un modo di lavorare sostenibile, nella relazione con i soggetti/oggetti dell’intervento sia nella creazione di condizioni di base del servizio dignitose e continuative. In questo senso ricordo le parole del Ministro Poletti (forse preoccupato delle ultime gravi faccende delle cooperative corrotte), intendo l’attenzione e proteggere e difendere le risorse economiche che permettano il mantenimento di servizi strutturali alla società. Un modo di lavorare e pensare che rispetti il principio della accessibilità che garantisca e tuteli per tutti il bisogno di essere ascoltati, capiti nei bisogni essenziali della propria persona e gruppo affettivo di riferimemto. Un modo di lavorare che garantisca la competenza, intesa sia come garanzia di preparazione professionale specifica, ma anche come garanzia di monitoraggio del proprio grado di “tenuta” e buona collocazione nell’espletamento della professione, quali che siano gli orientamenti tecnici del professionista. Integrare questi tre poli: Sostenibilità, Competenza, Accessibilità sembra essere il compito complesso e creativo del privato sociale la cui dimensione psicologica è ineludibile e garanzia di pensabilità e valore generativo (in questo siamo in buona compagnia non solo perché in tempi non sospetti sono nate cooperative con questa filosofia, come ad esempio Rifornimento in Volo, anche recentemente , si veda l’esperienza dell’Ambulatorio sociale Don Calabria, ma affettivamente mi fa piacere ricordare anche Il Laboratorio Psicoanalitico di Perrotti, uno dei primi psicoanalisti a pensare la psicoanalisi come un servizio accessibile e sociale. Ma sarebbe troppo lunga la schiera dei nomi e non voglio fare torti a nessuno.) Come e cosa ha cambiato la pratica del privato-sociale La presenza massiccia dei professionisti psicologi nei servizi del Welfare e della Salute è un dato consolidato da più di vent’anni: nessuno, oggi, potrebbe pensare un Privato Sociale sostenibile senza il contributo della comunità professionale degli Psicologi; La grande articolazione delle sue forme di espressione (dalle Comunità Terapeutiche ai Centri diurni, dai servizi per minori a quelli per anziani) attraversa praticamente ogni settore del Welfare, costruendo una trama robusta senza la quale le nostre società sarebbero certamente più fragili e più anomiche; Il passaggio di testimone tra innovazione tecnologica ed innovazione sociale come fattore centrale del cambiamento. Innovazione sociale vuol dire soprattutto innovazione nei comportamenti e nel significato che si assegna alle cose e agli eventi: una forma di “riprogrammazione” che, a parità di condizioni tecnologiche e materiali, può produrre comportamenti e significati nuovi fra le persone e fra le persone e i loro oggetti affettivi, relazionali e sociali. Di queste pratiche gli operatori del Privato Sociale hanno sempre fatto ragione del loro operato. E’ cambiato il rapporto committenza/esecuzione a favore della concertazione e costruzione del gruppo di lavoro congiunto. Una pratica del cambiamento e della pluralità di competenze che l’uomo “postmoderno” ben rappresentato da Lyotard (1981) come colui che vive ai crocevia di molti elementi linguistici. Una molteplicità di linguaggi che sembrano intrecciarsi secondo combinazioni funzionali e non di senso, per cui la necessità di una ricerca della legittimazione passa attraverso la consapevolezza che dal dissenso possa nascere il cambiamento e che il consenso è uno stato interlocutorio delle discussioni e non il loro fine (Montinari, 2010). Tale orientamento corrisponde alle evoluzioni delle interazioni sociali, nelle quali il contratto limitato nel tempo si sostituisce di fatto all’istituzione permanente nel campo professionale, affettivo, sessuale, culturale, familiare, internazionale come negli affari politici. Il gruppo di lavoro fra àncora e porto Grazie all’innovativo concetto espresso da Bauman (2002) di modernità liquida, possiamo diffidare della tendenza a rendere troppo duttili e fluide le differenze, che ci impedisce di individuare la posta in gioco nello scacco evolutivo delle persone e delle istituzioni; possiamo superare il paradigma antico del aut-aut (moralistico e rigido) mentre l’attuale società, con i suoi problemi di liquidità, si gioverebbe di più per avanzare del paradigma del et-et, ovvero del paradigma dell’accostamento distintivo piuttosto che di quello della dialettica degli opposti. Il paradigma et-et richiede però alti livelli di funzionamento psichico, altrimenti può diventare la via per eludere il conflitto necessario, la responsabilità di scegliere e crescere; per questo motivo, mai come in questo momento, il ruolo dell’ambiente (in senso winnicottiano) diviene necessario alla possibilità di gestire l’immaturità per differenziarsi e crescere. Lo stesso Bauman in “L’etica in un mondo di consumatori” ha sostituito la definizione di “liquidità”con i concetti di: ● porto e àncora ● responsabilità ● sostenibilità ● vulnerabilità Bauman (2010), ci fa notare come la metafora delle “rete” ha preso il posto dei termini con cui si usava più comunemente descrivere le interazioni sociali del passato (termini quali sistemi, strutture, società o comunità). Tale termine riflette la crescente presa di coscienza che le “totalità” sociali hanno margini incerti, rimangono in uno stato di flusso costante, sono sempre in divenire più che in essere e raramente sono fatte per durare. Per Bauman l’aspetto significativo di una rete è la formidabile flessibilità dei suoi contenuti, la straordinaria facilità con cui la sua composizione può essere, e di solito viene, effettivamente modificata. Se le strutture sono qualcosa che include, limita e contiene, una rete, al contrario, fa riferimento al perpetuo interscambio tra connessione e disconnessione. Il processo di formazione dell’identità diventa innanzitutto una rinegoziazione in progress delle reti possibili. Bauman ipotizza che le identità oggi esistono unicamente nel processo di rinegoziazione continua. Un continuo rimodellamento soggettivante tanto da diventare il compito di una vita intera, per cui non c’è un momento dell’esistenza in cui l’identità può dirsi “finale”o compiuta? Allo stesso tempo si propone di abbandonare le metafore delle radici e dello sradicamento a favore dei traslati del gettare e levare l’àncora,9 interrogandosi piuttosto sulla qualità dei porti che chiedono credenziali per l’attracco. La metafora dell’àncora ci sembra cogliere quello che la metafora dello sradicamento non coglie, o che passa sotto silenzio: l’intreccio di continuità e discontinuità nella storia di tutte o quantomeno di un numero crescente di identità contemporanee. “Proprio come le navi che gettano l’àncora, successivamente o a intermittenza, in diversi porti intermedi, gli Io, dalle comunità di riferimento a cui cercano di farsi ammettere nel corso della loro ricerca di riconoscimento e conferma, si vedono richiedere e approvare o rifiutare le credenziali ad ogni scalo” (Bauman 2010, pag.20) Come psicologi, insieme ai filosofi, abbiamo capito che non ci sono cure e soluzioni già confezionate. Gli sforzi di formazione dell’identità girano faticosamente intorno a due valori umani parimenti centrali: la libertà e la sicurezza e, poiché siamo insofferenti sia verso l’insicurezza sia verso la “non libertà”, “difficilmente saremo soddisfatti di qualsiasi combinazione realistica tra libertà e sicurezza. Dunque, invece di seguire un processo lineare verso una maggiore libertà e una maggiore sicurezza, possiamo osservare un movimento a pendolo: prima saldamente e marcatamente in direzione di uno dei due valori, poi un’oscillazione verso l’altro” (Ibidem pag.30). Attualmente, ci fa notare Bauman, “saremmo portati a ritenere che l’ostilità verso l’insicurezza prevalga sulla paura di non essere liberi.” (Ibidem, pag 22). Una strategia utile, per affrontare questa paura, sembra essere quella di lavorare con gli altri gestendo le differenze e accettando “di governare” nelle crisi, sapendo che solo scelte chiare e condivise possono essere riviste, valutate, e cambiate per costituire contenitori che permettano il dipanarsi del processo di maturazione e differenziazione di istanze regredite e prive di spazi in cui evolvere. 9 A questo proposito interessanti i film “Airport” (diretto daGeorge Seaton nel 1970) e “Tra le nuvole” (diretto da Jason Reitman nel 2009). E chi se non gli psicologi sono in grado di rendere “organici”, nel senso di Gramsci, al soggetto gli aspetti etico/filosofici che quelli economici e sociali? Approccio politico e approccio psicologico quale convivenza? In definitiva politica è scegliere, schierarsi, battersi da una parte o dall’altra. Certo sappiamo tutti che le cose non sono così semplici né per la vita psichica né per la vita sociale. Tuttavia perdere di vista l’articolazione fra la capacità di scegliere e di distinguere insita nel principio politico/sociale e nel principio della crescita, intesa come processo di definizione di sé, sia rispetto al mondo interno che a quello esterno, rischia di produrre quegli atteggiamenti ben messi in luce da Luigi Manconi “di una ‘vibrante immobilità’ che la nostra generazione vive attraverso l’essere angosciata, indignata, sensibile da cui una irresistibile tendenza all’autocommiserazione”. Sembra dunque importante proporre di non lasciarsi prendere dalla tentazione di rifugiarsi nel privatistico rapporto con l’altro e mantenere una posizione di “cura dell’oggetto d’amore collettivo” ovvero, come sottolinea Manconi, di attuare delle “strategie di sopravvivenza e critica ideologica dell’esistente”, diffidando della tendenza a rendere troppo duttili e fluide le differenze perché favoriscono l’indistinto, il non individuare la posta in gioco nello scacco evolutivo delle persone e delle istituzioni. Si deve contribuire alla organizzazione di un Welfare generativo che punta a sviluppare una società inclusiva, in cui i diversi attori, Stato-Mercato-Società civile, cooperano secondo forme metodologicamente sostenibili ed ispirate a principi di responsabilità (individuali e collettive) condivise. Si tratta di percorrere le conseguenze di “una pratica dell’utopia”, “laicamente empirista”. Su un altro versante, quello delle domande interne al nostro modo di lavorare, per me risulta centrale, il lavoro sul transfert e controtransfert, che diviene lo strumento principale, il “grimaldello” su cui appoggiare la necessità imprescindibile che fare politica significa anche diventare competenti, preparati e disponibili all’utilizzo di sé nella pratica professionale e istituzionale. Possiamo affermare, confortati dalla saggezza winnicottiana e dalla posizione sottolineata già da Freud, che esiste una “politica dell’analisi”, nel senso che il pensiero dinamico deve essere continuamente ricondotto alla sua funzione di sovversione, tanto sul piano della terapia quanto su quello dell’insegnamento e delle sue istituzioni. Se da un lato questa trama robusta rischia di sfilacciarsi a causa dell’erosione continua del Welfare universalistico e dall’avanzare di logiche di tipo mercatistico applicate ai diritti, questa stessa crisi rappresenta una formidabile opportunità per la nostra comunità professionale. Opportunità da non intendersi in una prospettiva esclusivamente economico-imprenditoriale ma anche, e forse soprattutto, in un’ottica politica e culturale. Il progressivo consolidarsi del paradigma generativo nelle politiche di Welfare attinge a piene mani alla cultura ed ai metodi della nostra professione. Allora possiamo domandarci come si possa pensare ad una collettività impegnata nell’inclusione senza fondarsi sulle prospettive e sui metodi della Psicologia di Comunità o sui paradigmi della prosocialità. Come è possibile creare ecosistemi “salubri” e che promuovano condotte salutari senza il contributo fondamentale delle Psicologie della Salute? Come è possibile pensare i nostri destini inestricabilmente legati, consapevolezza necessaria per la costruzione di comunità inclusive, senza ricorrere ad una Psicologia di Sistema ma centrata sulle persone nella loro globalità? Una società inclusiva è competente nelle relazioni e questa competenza è oggetto della nostra disciplina e della nostra pratica professionale; A noi spetta superare una visione del contributo della Psicologia alle pratiche di Welfare e allo sviluppo di socialità limitata all’applicazione di metodi e tecniche, per quanto spessa e nobile tutto ciò possa essere. CONCLUSIONE L’etica è l’ospitalità Tutto ciò rimanda con forza a quello che oggi viene chiamata in modo accorato ma impegnato “l’etica dell’ospitalità” nel senso che Derrida ha sottolineato nel suo comunicato al Consiglio d’Europa nel 1997. Ne “L’etica è l’ospitalità” si tratta di assumere il paradigma “dell’altro” come ineludibile e come guida per il dialogo e l’accoglienza. Tutti coloro che accettano lo statuto adulto come risorsa, e in particolare gli psicologi ne sono i portatori, non devono sottrarsi alla opportunità privilegiata, offerta dalla nostra attività professionale, di occuparci del significato, per molti aspetti ancora sconosciuto ed inquietante, dei mutamenti socio-culturali ai quali stiamo assistendo e dei conseguenti cambiamenti nella psicopatologia. “Una opportunità - che ci è offerta dalla nostra attività clinica, sociale, dal nostro metodo e dalla responsabilità che ce ne deriva”. Si parla molto della crisi delle identità e della rete ma le istituzioni come si attrezzano? Come possono “ sopravvivere” nel senso di Winnicott e rispondere nel senso della respons-ability? Privato Sociale, per noi Psicologi, non può essere una mera definizione giuridica o una categoria sociopolitica: mentre ripariamo le ferite o lavoriamo con il destino dobbiamo guardare avanti e vedere nuovi orizzonti e sviluppi per i quali Noi saremo, come sempre, in prima linea! Riferimenti bibliografici Bauman, Modernità liquida, Laterza Bari 2002 Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, Feltrinelli, Milano 2010 Benasayag M, Schimt G., 2003, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2004 L. Bruni, L’altra metà dell’economia. Gratuità e Mercati. Citta Nuova Roma 2014 D’Aguanno M., Menna S. (2005), Il terzo settore:un nuovo mercato di lavoro , in Competenze psicologiche nel terzo settore, a cura dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e di Fivol, Franco Angeli Milano, p. 7. Derrida J., Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo, Cronopio, Napoli 1997 Fornari F. (1988), Il transfert sull’oggetto culturale, in Il cerchio magico, Franco Angeli, Milano. 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