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Il vino, impariamo a conoscerlo
i n a v e gio vino art de vivre! IL VINO impariamo a conoscerlo Indice Introduzione .............................................................................. Pag. 2 Cos’è il vino ............................................................................... Pag. 3 La storia della vite e del vino .................................................... Pag. 5 Come si fa il vino ...................................................................... Pag. 7 Piccolo atlante dei vini del mondo ........................................... Pag. 12 Il servizio .................................................................................. Pag. 14 La conservazione ...................................................................... Pag. 17 La degustazione ....................................................................... Pag. 19 L’abbinamento cibo-vino ......................................................... Pag. 22 I luoghi del vino ....................................................................... Pag. 23 Il vinabolario ............................................................................ Pag. 25 2 Introduzione Spiegare un mondo complesso e, per molti aspetti, ancora misterioso come è quello del vino non è un impresa facile neanche per l’Enoteca Italiana che da ormai 50 anni assolve questo ruolo di “comunicare il vino”. Un ruolo determinante per l’immagine di qualità che ha oggi il vino italiano, testimoniato da una ricca collana di pubblicazioni, tradotte in più lingue, e da migliaia di iniziative in Italia e nel mondo. Con il progetto “Vino e Giovani”, predisposto dall’Enoteca Italiana per il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, spiegare cos’è il vino diventa ancora più importante soprattutto per farne capire il gusto nella qualità e non nella quantità; nella lettura di un prodotto culturale, testimone principe dei territori più famosi e nell’approccio con una bevanda, simbolo indiscusso del “made in Italy” e parte integrante di uno stile di vita proprio del nostro Paese. Ci siamo così affidati ad una penna e ad una matita di due fra i più noti comunicatori del settore, il giornalista Antonio Paolini e il disegnatore Ro Marcenaro, che ringraziamo per il prezioso contributo. Claudio Galletti Presidente Fabio Carlesi Segretario Generale Ente Mostra Vini-Enoteca Italiana 3 Cos’è il vino E’ una bevanda alcolica, ottenuta grazie alla trasformazione enzimatica (fermentazione) dello zucchero in alcol. Lo zucchero è quello contenuto nell’uva (frutto della vitis vinifera, l’unica vite da vino). Il risultato è un prodotto estremamente complesso, costituito da oltre 600 sostanze, in evoluzione e in ricombinazione tra loro, con una percentuale volumetrica in alcol che varia da pochissimi gradi (anche meno di 6) ai 18-20 dei cosiddetti vini liquorosi. Il vino è il risultato di molti fattori. Ma tre sono i prevalenti: il vitigno, il territorio (traduzione approssimativa della parola francese terroir, che include in sé tutte le specifiche geologiche e microclimatiche che fanno di un sito un “unicum” per una certa uva) e il complesso delle operazioni di cantina, dalla selezione di grappoli e acini alla fermentazione, dalle varie modalità di maturazione del vino al suo affinamento in bottiglia. Le variabili, come si vede, sono infinite. E in questa enorme ricchezza potenziale, e nella sua capacità evolutiva nel tempo, risiede il fascino straordinario del vino. Una certezza è che comunque ogni vino “neonato” contiene acqua (80-85% in media, solvente di tutti i componenti) e poi polifenoli, acidi organici, minerali e sostanze azotate. Altre si formano durante fermentazione, maturazione e invecchiamento: alcol mono e polivalenti; acido lattico, acetico, succinico; esteri, aldeidi, anidride carbonica. Il vino, l’abbiamo detto, è un prodotto vivo, che si trasforma nel tempo. E mentre un gruppo di sostanze, presenti nel mosto di partenza, tendono a diminuire o sparire più avanti, come gli zuccheri fermentati dai lieviti e divenuti alcol, gli aminoacidi, i sali di ammonio (usati dai lieviti per riprodursi), l’acido malico (che può trasformarsi in acido lattico) e gli stessi lieviti e batteri, che vengono inibiti o muoiono, altre se ne formano, soprattutto grazie alla combinazione e lentissima ossidazione delle sostanze aromatiche, dei polifenoli, degli antociani. Ma vediamo ora le caratteristiche essenziali del vino. Il colore è dato dai polifenoli e sostanze tanniche coloranti: nei vini bianchi sono i leucoantociani, catechine, flavoni e clorofilla; nei rossi, antociani e tannini (presenti nelle bucce degli acini o chicchi d’uva), che danno una sensazione di astringenza ed evolvono aggraziandosi nel tempo e che costituiscono lo “scheletro” del vino, 4 e il suo gerovital, visto che ne garantiscono la longevità grazie alla loro resistenza all’ossidazione, se presenti in equilibrio adeguato con gli altri componenti. Il sapore è conferito da: zuccheri, glicerina e alcol, che danno la sensazione di dolcezza e morbidezza; acidi che danno freschezza (il vino è un “ambiente” prevalentemente acido), mentre la sapidità è data dalle sostanza saline e da varie sostanze organiche. Poi vi sono le sensazioni tattili, date dai polifenoli, in particolare i tannini (astringenza) e dall’anidride carbonica (se è assente un vino si dice “fermo”, altrimenti frizzante o spumante). Il profumo dipende dalle sostanze aromatiche proprie delle uve aromatiche (tipo moscato) o semiaromatiche, daglii aromi primari tipicii del vitigno, dai secondari derivati dalla fermentazione e ddai ai terziari, frutto della maturazione aturazzione in botte e/o in bottiglia. Nel tempo sono molti comunque i parametri che tendonoo a cambiare, fino a conclusione sione del ciclo vitale del vino provocata, proprio come me in tutti gli organismi viventi, da ossidazione o da “accidenti” che ne provocano la “morte” prematura. E, come per gli organismi viventi, vini dalla complessione più armoniosa e robusta avranno vita più lunga e felice di vini troppo gracili, squilibrati o carenti in qualche componente essenziale.. 5 La storia della vite e del vino Q uella della vite e del vino è, anzitutto, la storia di una migrazione: dal Caucaso, dall’Asia Minore e dalla Mesopotamia, culle dei vigneti, prevalentemente lungo tre direttrici principali (una più settentrionale, attraverso l’Europa centro-occidentale, una più bassa, pedemontana, pressoché parallela alla linea delle nostre Alpi, e la terza via mare, a zigzag tra le coste e le isole del Mediterraneo). È poi la storia di un’articolazione nella biodiversità (almeno fino agli ultimissimi anni, quando l’incognita degli organismi geneticamente modificati si è pesantemente affacciata anche in questo settore) attraverso lo sviluppo, dalle viti progenitrici, delle tante tipologie oggi a noi note. È, infine, negli ultimi decenni, anche la storia della dialettica tra alta produttività e alta qualità, con l’ago della bilancia spostatosi dalla prima alla seconda man mano che il vino cessava di essere alimento, complemento nutrizionale, per i produttori e le loro famiglie anzitutto, per divenire elemento guida nel recupero del gusto, della cultura e del piacere di vivere legati alla tavola. I primi esemplari della vite risalgono comunque, probabilmente, a 50 milioni di anni. L’attuale vitis vinifera si può ritrovare intorno al 5000-6000 a.C. A confermare che il viaggio del vino sembra partito dagli altopiani dell’Asia Minore, dalla Mesopotamia e dalla Persia, anche la radice del nome. La parola greca oinos deriva dalla radice indoeuropea voin. Attraverso la Grecia e Roma il vino si diffonde nel Mediterraneo, vincendo la sfida con altre bevande pure derivate dalla fermentazione degli zuccheri (la birra era la bevanda nazionale degli Egizi fin dal 3000 a.C.). Ma il vino presenta estrema varietà di sapore e profumi, il dono di poter invecchiare ed è trasportabile in luoghi lontani. In Grecia è una bevanda - tagliata con acqua, miele e spezie - sacra e “maledetta” insieme; e anche a Roma (dove si beve anche il merum, vino puro) il suo culto è duplice: Bacco e Libero, la vera eredità di Dioniso. Tra il IV ed il II secolo a.C. il vino greco di Lesbo, Chio, Thasos e Coos è un prodotto costoso e ricercato in tutto il Mediterraneo, che si diffonderà con successo anche nella Penisola Italica (subito detta Enotria) dando origine al Falerno, il Marsico, il Cecubo, il Mamertino di Sicilia, il Rethico veneto ed il vino d’Alba, e poi nelle province della Gallia dove im importante per la crescita vinicola sarà la progr gressiva sostituzione delle anfore di terrac cotta con botti di legno, più facili da tr trasportare e, come si capirà p contenitore adattissipoi, mo m al contenuto. Con il crollo dell’Impero 6 Romano, l’Inghilterra abbandona la coltura della vite, sfavorita dal clima, e “scopre” l’import dalla Francia. Ma i rapporti politici sono instabili. Ed ecco la ricerca di nuovi sbocchi: il Portogallo (Porto) dove trova radicamento l’aggiunta di alcool al vino per renderlo più dolce, stabile e trasportabile; l’operazione si ripete a Jerez, patria dello Sherry, e in Sicilia con il Marsala. È però la Francia a dominare la viticoltura medioevale, anche per le innovazioni tecniche: le bottiglie in vetro soffiato, i tappi, i sistemi di coltivazione intensivi. Nel 1668 una storia che sa di leggenda attribuisce al monaco cantiniere di Hautvillers, Dom Pérignon, l’invenzione del vino spumante che diverrà Champagne (solo nella regione omonima) e la creazione di bottiglie più pesanti in grado di resistere alla pressione dell’anidride carbonica legata ad una fermentazione per le differenze di temperatura stagionali locali. In realtà, già i Romani conoscevano i vini rifermentati. E in certi casi li apprezzavano. In Italia, invece, con la perdita della leadership sociale e politica, anche la viticoltura decade: nel Medioevo sono rare le notizie sui vini. Ma la Repubblica di Venezia, viceversa, per secoli spadroneggia nel Mediterraneo monopolizzando il commercio dei vini dolci dal Sud al Nord dell’Europa. Nell’era moderna poi, pesano sul percorso del vino alcune catastrofi “ambientali”: come la gelata del 1709, che indebolì pesantemente la viticoltura del vecchio continente. Ma c’è chi non si arrende. E nel 1716 Cosimo III detta il primo disciplinare di produzione nel Granducato di Toscana per la delimitazione del Chianti. Un altro colpo alla viticoltura europea, arriva però ne della fillossera, piccolo tra fine ‘800 e inizio ‘900: l’invasione zione fu l’impianto delinsetto che attacca la radice: la soluzione la vite europea sul piede di quella selvatica americana, tt’oggi pressoché immune dal parassita (pratica tutt’ obbligatoria). È comunque ancora la Francia per buona parte del ‘900 a dominare laa scena. Ce el mondo ora, però, si allarga a gran parte del “temperato”. Con l’Italia in prima fila, tesa ra del a riconquistare la sua palma di “Terra emVino” e a parare la concorrenza semde pre più decisa e affollata, sul grande mercato internazionale, che arrivaa dal Nuovo e Nuovissimo Mondo (Nord e Sud America, Australia, Nuova Zelanda) oltreché dal Sudafrica. 7 Come si fa il vino V iviamo, spesso senza rendercene conto, in un paese davvero speciale; la sua posizione come latitudine e in particolar modo nel Mediterraneo ne fa (o dovremmo forse dire: ne ha fatto, visto la tropicalizzazione in atto, i cui esiti sono ancora lungi dall’essere chiari e prevedibili) un territorio a clima particolarmente temperato ed idoneo ad una proficua coltivazione della vite. Tuttavia per quanto il clima italiano sia fra i più adatti alla viticoltura, bisogna ricordare che la differente morfologia del terreno fa sì che da area ad area vi siano diversissime caratteristiche di produzione. Ecco perché è così importante per i viticoltori scegliere il vitigno più idoneo al terreno in cui esso va impiantato e coltivato. Ed ecco perché rché a tutt’oggi possiamo notare che i vini italiani hanno una prerogativa regionale e di area spiccatissima, atissima, da cui nasce una tipicità estrema e, spesso, pesso, un perfetto abbinamento con la cucina ina regionale di corrispondenza. Gli elementi climatici fondamentali per la crescita e la produttività della vite sono la luce, il calore, l’esposizione e la giusta quantità di umidità nell’ambiente (derivante da pioggia,, neve, nebbia e rugiada). Occorre ri-cordare che i vitigni ed il loro prodottoo naturalmente vengono anche influennzati dalle caratteristiche chimiche del terreno in cui sono stati impiantati. È italiana, e si deve ad Adamo Fabroni, nel 1787, l’enunciazione compiuta della teoria fisica della fermentazione vinosa, nosa s , che ha aperto la strada alle scoperte del XIX secolo nel campo delle fermentazioni. ferm Ma torniamo a noi. Il I primo m atto necessario per la produzione di un vino, dando per sscontata una felice vendemmia di bei grappoli maturi, matur sta nella pigiatura degli stessi, per far fuoriuscire dagli acini la polpa ed il liquido in essa contenuti. contenuti Anticamente, si sa, la pigiatura veniva eseguita con i piedi; oggi viene effettuata mediante macchine macchin n appositamente progettate, in grado addirittura dirittuu di separare prima il raspo dagli acini e di gr graduare la pressione in modo da ottenere spremiture adeguatamente “dolci”. spp L’acino, la cui polpa è sempre incolore (è la buccia ad essere rossa o bianca), si compone di vari elementi: i semi e la buccia, i residui del graspo e la polpa. Tannini e polifenoli in genere, essenziali (ma anche in al- 8 cuni casi improvvidi) per la vita del vino sono contenuti nelle parti solide, essenzialmente nella buccia. Aromi e zuccheri sono disciolti nel succo della polpa. È “giocando” con l’utilizzo totale o parziale di tutti questi elementi che si elaborano i vari tipi di vino. Dopo la vendemmia, dunque, il chicco d’uva viene pigiato (pigiatura o follatura) e privato dal graspo. L’uva viene messa in tini (di acciaio o legno, o un mix dei due) e la fermentazione comincia. Si rende poi necessario procedere ad un’aerazione frequente del luogo e mettere, nel caso dei futuri vini rossi, il succo d’uva (mosto) a contatto con l’insieme delle parti solide, che si concentrano alla superficie del tino fino a formare una patina (cappello) che si immerge nel mosto. Questa mescolanza dell’insieme degli elementi dell’uva (macerazione) conferirà al futuro vino le sue caratteristiche specifiche: colore e struttura. Quando lo zucchero dell’uva è completamente trasformato dai lieviti, la fermentazione si ferma. Si può, a seconda del vino desiderato, continuare la macerazione o fermarla, separando per scarico o pompaggio i due elementi; il vino che scola sarà chiamato “vino di goccia”, quello che si otterrà per pigiatura della patina sarà il “vino di pigiatura” che, benché fratello del precedente, sarà diverso, poiché la vicinanza delle sue materie solide lo renderà più scuro nel colore, più corposo nella materia e di gusto più pronunciato. A seconda del tipo di vino voluto e delle caratteristiche dell’annata, questi due vini saranno più o meno mescolati. Dopo le operazioni di cura essenziali, e dopo un eventuale “invecchiamento”, invecchiamento , il vino viene imbottigli imbottigliato e commercializzato. Oltre a questo metodo tradizionale si uusa però in alcuni casi anche la macera razione carbonica, che avviene con uva intera, non p pigiata, in tini chiu saturati di anichiusi ca dride carbonica. Questo meetodo pro metodo produce vini leggeri e gustosi, dal gu gusto molto simile d’uvva. Questo Que procedimento al chiccoo d’uva. glilo solo con i vini novelli. rende al meg meglio La vinificazione in bianco prevede invece la separazione immediata, o comunque precoce del mosto ddalle ll vinacce vina i coce, (raspi, bucce, ferm semi) per ottenere una fermentazione senza in solido” solido dell le parti “in dell’uva. È molto impo importante in questa 9 fase di transizione del mosto in vino controllare costantemente la temperatura di fermentazione affinché non superi, per i bianchi, i 16-18°. Per i rosati, ricordiamo che la legislazione italiana vieta di ricavarli dal taglio di vini bianchi con vini rossi. La tecnica per ottenere dei rosati consiste quindi in una fermentazione quasi “in bianco” di mosti ricavati con uve nere, cioè nel mantenere brevissimamente il mosto a contatto con le vinacce. Le più adatte sono quelle di poco colore, non acerbe né molto zuccherine, a buccia non tannica. La loro vinificazione è identica a quella dei vini rossi, ma la macerazione è più breve per permettere uno scambio limitato di tannini e di pigmenti. Le loro caratteristiche gustative sono simili a quelle dei vini bianchi ma la loro composizione chimica li rende più simili ai vini rossi. A eccezione dello Champagne, è vietato elaborare vini rosè per mescolanza di vini rossi e bianchi. Durante le delicate procedure di vinificazione, specie per i rossi, sono molte le tecniche di cantina utilizzate. Una frequente è il rimontaggio, riportando il liquido in alto nel tino di fermentazione, oltre il cappello delle bucce, per farlo poi defluire. Attraverso la conseguente ossigenazione del mosto, il rimontaggio rinvigorisce i lieviti e li ridistribuisce nella vasca di fermentazione. E insieme si ridistribuiscono anche le sostanze coloranti contenute in antociani e tannini. Le moderne vasche di fermentazione permettono di ripetere automaticamente il rimontaggio, la cui durata e numero dipendono essenzialmente dalle condizioni climatiche. In climi freddi è necessario procedere a rimontaggi frequenti, ma m nei climi caldi dell’Europa del sud il rimontaggio, rimontaggi se praticato senza attenzione, pu può uò aumentare eccessivamente l’attività dei lieviti e accorciare il periodo di fermentazione, riducendo in que questo modo il livello alcolico del vino. Tecnica an analoga è quella di “affondare” cappel facendolo poi risalire leninvece il cappello, tamente attrav attraverso il liquido. Alla prima fe fermentazione, per i vini destinati ad affinamento e invecchiamento, ross che siano (ma sempre ambibianchi o rossi stru ziosi e di struttura) segue la fermentazione malolattica, uun processo naturale, dovuto all azione di specifici batteri, che all’ trasforma l’acido malico (dal sapore molto pronunciato) i acido lattico, decisamente in m meno aggressivo. La malolattica t si innesta in alcuni casi su subito dopo l’alcolica, a volte in primavera o all’inizio del- 10 l’estate successiva alla vendemmia. Viene generalmente svolta in legno per quei vini destinati ad essere affinati in barrique. Per alcuni bianchi di struttura, anche la fermentazione alcolica viene svolta in legno, sulle fecce dei lieviti, mosse e rimescolate ciclicamente all’interno della botte (solitamente una barrique) con una tecnica detta batonage. Con la fermentazione malolattica il vino comincia a cambiare le sue caratteristiche organolettiche: il colore evolve verso tonalità meno vive, i profumi acquisiscono nuove sfumature, il sapore acquista in rotondità e pienezza. Procedure speciali si applicano, infine, per ottenere vini special: dai liquorosi, in cui si aggiunge alcol o misture alcoliche in fermentazione per bloccare i lieviti e “salvare” parte degli zuccheri, agli spumanti a metodo classico, con rifermentazione in bottiglia dei vini base, grazie ad aggiunta di lieviti e zucchero per “nutrirli”, o quelli a metodo Charmat o Martinotti, dove l’operazione è assai più breve, e avviene in autoclave. A questa fase, segue quella, di lunghezza variabilissima, dell’affinamento. In acciaio e poi in bottiglia, brevemente, per i vini di pronta beva e tendenzialmente “freschi”. In legno di varia grandezza, e oggi soprattutto in barrique, e poi più o meno lungamente in vetro, per i vini più ambiziosi. Da ricordare, prima di analizzare il fenomeno barrique un’esigenza meditaique come figlio di unesigenza ta degli enologi, ma anche di una moda, a voltee improvvida per il tipo di uva e di vino “condannati” condannati” al trattamento, che il binomio vino-legno no esiste da millenni. Anzi, in un passato lontano, o, oltre agli orci di terracotta, il legno era l’unico contenitore per il vino. Solo da pochi decenni ni i contenitori in acciaio hanno temporaneamente eamente sostituito le botti. Mentre in una fasee intermedia hanno svolto un ruolo di “elevatori” evatori” anche vasche di cemento vetrificato, aii giorni nostri prima aborrite e oggi da alcuni rivalutate, sulla scorta di alcuni dubbi subentrati entrati sugli effetti ionizzanti dell’acciaio su alcune componenti del vino. A trionfare però al momento è certamente mente ancora la barrique, il contenitore in rovere overe pregiato e tostato al suo interno da 225 litri circa, considerato ottimale sia per er la microossigenazione che attraverso i pori provoca al vino, sia per il suo rapportoo ddi scambio con il liquido contenuto. 11 La barrique è doppiamente attiva, perché oltre ad ossigenare lentamente, cede al vino elementi (tannini ed aromi) che vanno a integrarne, ma in certi casi anche a stravolgerne, il quadro complessivo e l’identikit. Di certo, a vini già importanti la barrique può conferire ancora maggior struttura e durata nel tempo. Ma un vino affinato in legno acquisisce anche nuances aromatiche piacevoli se ben dosate, fastidiose se “coprenti” rispetto a quelle del vino stesso e del vitigno d’origine, e ancor più se “omologanti”, rendendo uguali o quasi vini in partenza destinati ad essere ben diversi. La “mitica” barrique, di tradizione francese, solitamente viene costruita utilizzando legno di rovere di Allier, Limousin, Tronçais, Nevers, Vosges, del Massiccio Centrale Francese e, più di recente, rovere delle Rocky Mountains e anche legno proveniente dalla Russia e dall’Est in generale. Rispetto a una botte grande, nella barrique la superficie del vino a contatto con il legno è maggiore e risulterà di conseguenza maggiore anche lo scambio di sostanze con il legno. Il rapporto fisico-chimico tra una grande botte e una piccola botte è di circa 3 a 1; ciò significa che sono necessari 3 anni di botte grande per avere il bouquet di 1 anno di barrique. Questo non vuol dire, però, automaticamente che la botte piccola sia da preferire alla botte grande. Sta alla sapienza del cantiniere, in base alle uve a disposizione e alla loro destinazione enologica, “dosare” il legno, scegliendone la pezzatura, la tipologia e il tempo di affinamento. Tocca al produttore o al suo enologo scegliere la botte e la barrique giuste anche in base alla loro permeabilità all’ossigeno e alla tostatura interna. Quest’ultima nasce per poter effettuare la piegatura delle doghe, che si fa a caldo. Ma segue poi una esposizione al fuoco delle botti, che è la fase che conferisce loro le maggiori differenze aromatiche. Una tostatura leggera prevede circa 5 minuti di esposizione al fuoco, quella media circa 10 minuti, quella forte intorno ai 15 15-20 20 minuti. È qquesta operazione che amplificherà nel vino cer certi aromi (fumé, caffè, tabacco, eccetera) che c contraddistinguono alcuni vini importanti. impor Ma attenzione: produttori con diversa a impostazione ottengono (più avanti i p im nel ne tempo, certo) profumi analoghi, pur p se non identici, che vanno a mescolarsi al fruttato del vino e m dell’uva di origine, anche usando botti di grande dimensione e non necessariamente nuove. 12 Piccolo atlante dei vini del mondo N ato probabilmente in Armenia, divenuto prospero e celebre in Mesopotamia, arrivato in Europa con la migrazione delle uve, il vino è oggi “cittadino del mondo” come mai nella sua storia. E non solo perché in tutto il mondo si consuma vino di qualità, ma perché in quasi tutto il mondo (laddove il clima lo rende possibile, ma anche in condizioni e località estreme, e impensate tempo fa) se ne produce. Capofila quantitativi, e oggi anche qualitativi, restano Francia e Italia. In Europa continua la lunga tradizione di Spagna (anch’essa in fase di forte progresso) e Portogallo, mentre sono in rimonta dopo un lungo interludio Grecia, Ungheria, Romania, e anche alcune aree dell’ex Jugoslavia e della Russia (Ucraina, Moldavia), con un ritorno alle origini che sa di miracolo. Ma sulla scena enoica mondiale si sono affacciate intanto con prepotenza anche Usa, Argentina, Cile, Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, persino lo stesso Canada e, ultima arrivata, la Cina. Mentre il Nordafrica più “francesizzato” continua a produrre, come da un pezzo ha fatto, ma per ora senza speciali sussulti qualitativi. Se ogni area tradizionalmente produttrice, e dunque ogni nazione che le contiene, ha le sue uve tipiche (in gergo “autoctone”), due fenomeni stanno segnando la fase più recente della parabola del vino: 1) il dilagare dei cosiddetti vitigni internazionali (ma che sarebbe forse meglio chiamare “ubiqui”), cioè Cabernet Sauvignon e Merlot (e più modestamente Syrah) tra i rossi, e Chardonnay e Sauvignon tra i bianchi; 2) l’affacciarsi di paesi totalmente nuovi, privi cioè di tradizione vinicola pregressa, che hanno dunque “adottato” come propri anzitutto i vitigni “ubiqui” su citati, e poi una serie di altri, pescati nei paesi tradizionalmente produttori e ritenuti potenzialmente adatti alla propria realtà territoriale. no banCosì, se l’Italia non ha un unico vitigno tinadiera (gli autoctoni italiani sono centinata, ia, e al repertorio degli esistenti in vita, cioè vinificati e distribuiti, e non soloo elencati dai manuali specialistici, ogni giorno se aggiungono alcuni, provvidamente recuperati), ma ai suoi gloriosi Nebbiolo, Sangiovese, Aglianico, e ai riscoperti o rivalutati Barbera, Montepulciano d’Abruzzo, Nero d’Avola, Primitivo, Negroamaro, Verdicchio (tanto per citare solo pochissimi noti) vede de pesaffiancarsi e miscelarsi sempre più spesso i cosiddetti internazionali, 13 la Francia punta sulla classicità immutabile delle sue grandi aree (rigorosamente riservate da sempre solo ad alcuni vitigni in esclusiva, senza possibilità di commistioni) e continua a consacrare la Borgogna a Pinot Nero e Chardonnay, il Bordeaux a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, e nella versione bianca a Semillon e Sauvignon, e l’Alsazia soprattutto ai vitigni bianchi aromatici (Riesling e Gewürztraminer su tutti). Ma prova poi a rilanciare (come è avvenuto nel nostro Sud) le sue zone più “calde” e meno blasonate. Operazione già in buona parte riuscita con l’area del Rodano (Syrah su tutti) e in corso per Linguadoca e Provenza. Non va dimenticato del resto che nella “top ten” dei vitigni più coltivati al mondo, la Grenache (Guarnacha in Spagna), l’Ugny (Trebbiano in Italia, in mille versioni locali), la Mourvèdre (Monastrell in Spagna) e il Carignan (Carignano nelle aree nostrane in cui si coltiva) precedono o tallonano da presso gli stessi Cabernet e Merlot, e battono di gran lunga lo Chardonnay. La “crema” dei francesi da export (di nuovo Cabernet, Chardonnay, Merlot, e poi Syrah e Pinot Nero) è il nerbo delle scelte americane. Cui si sono aggiunti a ondata vari vitigni di moda (tra essi Pinot Grigio e Barbera, ma anche Chenin e Sauvignon) e la rivendicazione dello Zinfandel, in realtà copia genetica e figlio “emigrato” del Primitivo. Oltre a limitati esperimenti con “isole” autoctone come la Concord, originaria dello Stato di New York. Scelgono più o meno lo stesso mazzo francesizzante Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, aggiungendoci “prove” interessanti con gli aromatici (ma attenzione: la amplissima deregulation lasciata ai vinificatori in quelle nazioni permette pratiche e “profumazioni” esogene da noi per fortuna imposg sibili). Variano il menù i “vecchi” paesi riemergenti (l’Ungheria con le sue uve ati dei nostri, la da Tokaj, la Grecia con vecchi vitigni in parte antenati nde inte t resse) Slovenia con un mazzo di buon assortimento e grande interesse) altà, i vitigni e l’Argentina, che punta molto sul Malbec. In realtà, rdinari, e si del mondo a diffusione puntiforme (alcuni straordinari, nella, Mopensi solo all’Arbois del Jura o alle Corvina, Rondinella, linara del nostro Amarone) sono tantissimi. Alcuni,i, troppi, ancora a rischio di estinzione e di sopraffazione daa parte delle new entries. E su tutto il panorama incombee poi he, a lo spettro degli Ogm. Un colpo alla biodiversità che, no il fronte di vantaggi che qui non avrebbero nemmeno ior discutibile alibi del contributo potenziale alla maggior nutrizione del mondo affamato, ci sembra per ora da nricacciare nel suo naturale ambito: i laboratori, senza invasioni di campo (alla lettera) che potrebberoo rivelarsi esiziali. 14 Il servizio N ei locali pubblici è sempre più spesso svolto dal sommelier - che serve tutte le bevande - o da uno dei titolari, debitamente acculturato attraverso la frequentazione di corsi appositi. A casa servire il vino è compito di chi ospita. Nei locali pubblici, la regola è che il primo ad essere servito e ad assaggiare il vino è chi ordina (e spesso lo paga); a casa, invece, se non vi è un ospite di esperienza riconosciuta, è bene che chi ospita assaggi il vino per evitare spiacevoli sorprese agli invitati. Il rituale del servizio professionale vuole che la bottiglia si mostri da sinistra, con l’etichetta ben in vista, ma si serva da destra, in senso orario, con un tovagliolo sotto il collo della bottiglia, quando non vengono impiegati moderni salvagoccia, mentre l’altra mano tiene il fondo della bottiglia stessa. Si procede, avuto l’ok da chi ha assaggiato, dalla signora più anziana alla più giovane e quindi si ripete, seguendo l’età decrescente per i signori. Ma le eccezioni raccomandate dal galateo sono una miriade; tra le varie curiosità, quella secondo cui, se avete ospite un prelato, dovrà essere servito lui per primo, rubando la scena anche alle signore. L’ordine di servizio dei vini va generalmente dal più leggero al più strutturato, da quello con il grado alcolico minore a quello con gradazione più elevata; e si procede, in genere, dal vino bianco, al rosé, al rosso, con aromaticità e persistenza crescenti. Unico permesso di retromarcia con i vini da meditazione o dessert, abbinabili anche a portate particolari (foie gras, alcuni piatti a base di interiora o di formaggi erborinati, e, secondo una moda francese,, anche ad alcuni tipi di ostriche). Le temperature di servizio sono importantissime: in generale spumanti e champagne si servono tra 6° e 8°, ma fanno eccezione (con temperature meno basse) i grandi millesimati, i particolarmente strutturati, quelli da basi °, elevate in legno; i bianchi tra 8° e 12°, secondo struttura e complessità; i rosé e i ratura rossi partono da 12°, fino ad una temperatura essi. di 18° per i vini più strutturati e complessi. peratura Da ricordare che abbassando la temperatura olcezza e diminuisce in ogni la sensazione di dolcezza di alcolicità. I bicchieri a tavola si mettono prima del vino dendo e si lasciano fino a fine pasto, procedendo nell’uso dall’esterno all’interno, da destraa a 15 sinistra. È preferibile scegliere un bicchiere - che il galateo vuole impugnato per lo stelo o per la base, mai per il calice perché il vino si scalda e perché le mani hanno un loro odore - in cristallo sottile trasparente senza decorazioni per apprezzare tutte le caratteristiche del vino. Per spumanti e champagne usate la flûte, perché l’altezza esalta il perlage e l’imboccatura stretta concentra i profumi; ma per prodotti più maturi e complessi è preferibile un calice più ampio e panciuto; mentre la coppa è adatta solo a spumanti dolci e aromatici. Per vini bianchi e rossi giovani, ma anche i vini da dessert un calice di medie dimensioni leggermente svasato; mentre per i rossi più importanti un calice ampio. Ogni vino però si può dire che abbia il suo bicchiere. Mentre il classico ‘tulipano’, detto anche ‘normalizzato I.S.O.’, è riconosciuto ideale per la degustazione a livello internazionale. Una curiosità sono i bicchieri con lo stelo verdolino, di origine renana e alsaziana, un’anomalia in linea di principio, e da usare rigorosamente solo con i vini di quelle regioni per esaltarne le nuances verdastre, proprie di vini bianchi con grande acidità. Un’ultima notazione per chi non può, o vuole, dotarsi di un parco bicchieri articolatissimo: un buon calice di media ampiezza e a stelo medio va abbastanza bene per la maggior parte dei vini. Non è ideale per tutti, ma non ne “ucciderà” quasi nessuno. Gli ‘attrezzi’ del vino per una degustazione tecnica sono il taster o ‘uovo’, detto anche ‘empitoyable’ perché non perdona i difetti, dal bordo molto rientrante; e, per i sommelier di scuola tradizionale, i due tastevin, le “tazze” speciali dette ‘Bordolese’ (ideale per i rossi, con un’unica bolla di livello centrale per rompere la molecola olfattiva) e ‘Borgognona’ (con bolla al centro, 8 perline per i rossi e 7 scanalature per i bianchi). Entrambi sono in argento o in cristallo. Fanno parte del corredo il cavatappi, il secchiello da ghiaccio e il decanter, oltre alle pinze o i decapsulatori di nuova generazione per tagliare le capsule e pinze da champagne. Il cavatappi migliore è quello da sommelier con il coltellino da un lato, il ‘verme’ o scanalatura lunga, a 5 spire al centro, e la levetta dall’altro lato. Aprire una bottiglia richiede solo un po’ di pratica ma important soprattutto per non è un’operazione importante su rischiare di rompere il sughero. Pulire la bottitovag glia all’esterno col tovagliolo, quindi incidere sotto l’anello inferiore la capsula del tappo pr con il coltellino e praticare un taglio verso l’alto; togliere la ca capsula; puntare il ‘verme’ direttamente al centro del tappo, a avvitare senza andare troppo a fondo per non buc bucare il sughero; puntare quindi la leva sul bordo del 16 collo e tirare il braccio verso l’alto tenendolo per l’estremità; estrarre quindi il sughero senza piegarlo, annusarlo per sentire eventuali difetti e riporlo su un piattino di servizio senza toccarne la superficie già a contatto con il vino con le mani. La caraffatura nel decanter è scenografica, ma spesso inutile: è utile l’ossigenazione di vini rossi molto strutturati e invecchiati, ma per un massimo di due ore prima della degustazione. Il decanter si utilizza solo per vini rossi con grande struttura per evidenziare ed evitare eventuali depositi, o al contrario per vini giovani e strutturati, che hanno urgentissimo bisogno di “respirare”. Nel primo caso va usato con una fonte dii luce sotto il collo del recipiente recippiente (coq) per vedere l’laarrivo di d depositi. depo 17 La conservazione P er vivere a lungo, e bene, cioè evolvendo e migliorando secondo le potenzialità intrinseche che ciascuna tipologia, ciascuna singola vendemmia (e ciascuna bottiglia) possiede, il vino deve conservare il più possibile invariate alcune condizioni essenziali: non vuole né luce, né rumori forti (che si traducono in vibrazioni), né vicinanza alle fonti di calore, che possono accelerare drammaticamente i processi di maturazione o riavviare processi biochimici indesiderati. Richiede invece un’umidità almeno del 60-70% nell’ambiente di conservazione (se è più alta, provvedete, se ci tenete, a proteggere le etichette con una “pellicola” trasparente da cucina) ed una relativa omeostasi (cioè costanza di condizioni) soprattutto in fatto di temperatura, che in cantina non dovrebbe salire mai troppo oltre i 15°, né scendere sotto i 10°. L’ambiente dove il vino sosta dovrebbe essere quindi, idealmente, riparato dall’esterno, possibilmente interrato, con pavimento di ghiaia per contrastare l’insorgere di muffe (se ciò non è possibile, del cotto non trattato, del cemento o un mattonato sono buone alternative), con gli scaffali leggermente staccati dalle pareti per salvare il vino da possibili vibrazioni. Ricordate: il vino assorbe gli odori, quindi è opportuno riservargli uno spazio lontano da salumi, formaggi o, peggio, lucidi da scarpe e detersivi, nel caso di ripostigli. Se non si dispone di una stanza adatta o di una cantina, è bene ricordare che il legno è di per sé un ottimo isolante, dalle scatole alle scaffalature (non male, di nuovo, neppure il cemento). Esistono inoltre portabottiglie in polistirolo espanso che “accolgono” quasi per intero la bottiglia (ne esce solo il collo). In questo caso, è indispensabile proteggere l’etichetta se l’ambiente è molto umido. Se scegliete una stanza, o stanzino, in casa, che sia quella priva di radiatore o che il radiatore sia sempre spento. In n estate, la stanz stanza andrebbe refrigerata e, se necessario, bisogn bisognerebbe favorire il mantenimento di un certo tasso di umidità. impor È importante mantenere tutte le bottiglie sdraiate (di qualsiasi colore vin non è vero che il vino sia il vino): può acc accusare in tal modo sentori sugh di sughero, purché, certo, il tappo non aabbia difetti; nel caso contrari sarà comunque inutile la trario, po posizione eretta. Da ricordare ch l’aria calda tende a salire, che quindi in una cantinetta domestica meglio po- 18 sizionare in basso gli spumanti (possibilmente con il collo della bottiglia slivellato leggermente verso il basso, in modo che la piccola bolla d’aria che si forma nella bottiglia sia il più possibile ricacciata verso il fondo), più su i bianchi e infine i rossi. In frigo la bottiglia non dovrebbe sostare più di pochi giorni, e mai in freezer: per un raffreddamento rapido meglio utilizzare il secchiello del ghiaccio, con acqua e un pizzico di sale grosso, insieme al ghiaccio. O i nuovi “vestiti” refrigeranti in cui infilare la bottiglia per qualche minuto, in vendita da qualche tempo nei negozi specializzati. Se resta aperta una bottiglia di spumante, e il liquido la riempie ancora per almeno metà, la si può conservare in frigo fino ad un paio di giorni tappando ermeticamente la bottiglia con gli appositi tappi-stopper. I cucchiaini infilati nel collo che qualcuno si ostina a usare sono solo il retaggio di inattendibili leggende metropolitane. Altra soluzione per conservare il vino sono gli armadi refrigerati - ancora abbastanza costosi - che hanno comparti separati, gestibili a temperature diverse (anche se a volte si rivelano più basse del necessario). Questa soluzione è ideale per vini che si consumano entro pochi mesi dall’ingresso nel contenitore. Ma è comunque un ammortizzatore utile per chi non abbia una cantina, abbia in casa temperature elevate in ogni ambiente, e voglia proteggere almeno alcune bottiglie importanti. In questo caso, sacrificate l’estetica e scegliete armadi con porte refrattarie alla luce. Quanto alla selezione su cui cominciare a innestare un progetto di cantina, dipende senza dubbio da due fattori determinanti: disponibilità economica e spazio. Ci limiteremo qui a un’indicazione “basic”, supponendo un avvio con 50 bottiglie circa e un investimento massimo sui 5-600 euro. 4 spumanti; 10 bianchi delicati, non elevati in barrique; 10 vini bianchi corposi o anche affinati in legno; 2 rosati; 10 rossi giovani o da medio invecchiamento; 10 rossi da grande invecchiamento; 4 vini da dessert di varia tipologia, spumanti e non. Un ultimo consiglio: comprare possibilmente più bottiglie dello stesso tipo. Questo consentirà di poter seguire l’evoluzione del vino nella bottiglia, comparando le degustazioni fatte (impariamo a prendere degli appunti quando assaggiamo un vino) nel trascorrere del tempo. 19 La degustazione E’ una tecnica (e un’arte) che permette di valutare il vino in tutti i suoi aspetti; è un’analisi sensoriale (od organolettica) sulla base di parametri qualitativi, teoricamente tradotta e comunicata secondo una terminologia codificata a livello internazionale. Ben diversa dunque dall’analisi chimica del vino, basata su elementi quantitativi, e che può essere utile invece, ad esempio, dal punto di vista legale e, quindi commerciale. Ma anche come supporto di relativa conferma per le “sensazioni” del degustatore avveduto. La degustazione è anche un’abitudine che migliora con l’esercizio e la varietà dei casi che si analizzano. Le condizioni migliori: per una degustazione tecnica, meglio “lavorare” di mattina ed essere a digiuno; altra cosa è il bere per il piacere di farlo e soprattutto per mangiare meglio (si sa, un abbinamento riuscito valorizza il vino e il cibo). Scegliete una tovaglia bianca come sfondo per apprezzare il colore, evitando di fumare, di indossare profumi, e di gustare prima cibi dal sapore troppo forte o particolare (finocchi e carciofi crudi, cibi conditi con limone e aceto, o gelato, che inibisce le papille gustative, e va bene, eventualmente, solo con i distillati). Per valutare al meglio il colore del vino inclinare il bicchiere, mai riempito oltre un terzo, a 45 gradi, e concentratevi sul bordo dl liquido, la cosiddetta “unghia”, il cui colore e permeabilità alla luce vi forniranno buoni indizi. Il bicchiere si ruota, invece, per far ossigenare il vino più rapidamente e promuovere l’espansione del bouquet. I famosi “archetti” che si notano sulle pareti, soprattutto con i vini rossi, indicano l’alcolicità (quanto più sono elevati) e la morbidezza (se sono fitti e scendono lentamente). L’esame visivo valuta la limpidezza ed il colore. È importante anche per riscontrare la rispondenza al tipo di vitigno e allo stato evolutivo (cioè all’età “dimostrata” rispetto all’età anagrafifica) del vino: bianchi, rosé e rossi tendono nel tempoo a trasformare il colore, per caricarlo, nei bianchi, dal giallo verdolino, al paglierino, fino al dorato e all’ambrato; o per scaricarlo con l’invecchiamento, nei rossi, tendendo all’aranciato e addirittura al rosa mattone. In questi casi si deve prestare attenzione a possibili ossidazioni (anche da cattiva conservazione). Il colore indica anche il tipo di vino, ad esempio passiti e liquorosi hanno sempre colori giallo carico tra il dorato e l’ambrato. Particolare luminescenza è propria dei vini spumanti per effetto della rifrazione dell’anidride carbonica. A proposito:: come si valuta il perlage? erose L’alta qualità è data da bollicine con grana fine, numerose 20 e persistenti. Ora si può inspirare profondamente con il naso nel bicchiere, possibilmente una narice per volta, rapidamente (l’olfatto si assuefà facilmente). I difetti principali sono il sentore di ‘tappo’, lo ‘spunto acetico’ o un po’ di anidride solforosa. Il profumo è dato dagli aromi primari (tipici dell’uva, e dunque importanti per riconoscere i vitigni aromatici, e poi in genere i monovitigni, con identificazioni peculiari come la foglia del pomodoro per il Sauvignon, la rosa e le spezie per il Gewürztraminer, la ciliegia resca del Sangiovese), ma anche dagli aromi secondari e terziari, importanti soprattutto nei grandi vini, con un bouquet ampio, reso ancor più complesso dall’invecchiamento. Del profumo si valuta l’intensità, la persistenza (fondamentali per l’abbinamento con il cibo: non ci deve essere la prevalenza né dell’uno né dell’altro). Poi si passa alla descrizione: se la qualità è alta, i sentori riconoscibili saranno distinguibili e numerosi; all’inizio per facilitarsi il compito si può partire, al contrario, dagli aromi, e provare a cercarli nel vino, tenendo presenti alcune regole di affinità e tipicità, per poi poter procedere anche ad una degustazione cieca, cioè con bottiglie che qualcuno avrà “bendato” per voi. I vini bianchi, ad esempio, avranno in genere sentori floreali, o di frutta bianca o gialla, più o meno maturi, oltre alla rispondenza tipologica al vitigno. Ma l’elenco delle sensazioni possibili è quanto mai vasto: frutta fresca, cotta, in confettura e secca; fiori, sentori vegetali; lieviti, crosta, pane (tipici degli spumanti); spezie; eteri (sentore di vernice e solvente, tipico ad esempio di molti passiti, dove è regolarmente presente un po’ di acidità volatile), fino a sentori diversi che toccano il sottobosco, l’animale (il sottosella teorizzato dai francesi), la pelliccia, il cuoio, la liquerizia, il cioccolato, e molto altro ancora. Il terzo incontro è l’esame gustativo, che richiede un sorso da far “girare” lambendo tutta la bocca, quindi deglutire e masticare a bocca vuota: se il vino è persistente, l’esame non è ancora finito e il “ricordo” del vino può dirci ancora qualcosa. La prima cosa che si percepisce è la dolcezza, quindi la morbidezza, che permette di valutare un vino secco, abbocmorb cato o dolce e intuirne la gradazione alcolica (l’alcol in genere ne dà una sensazione di dolcezza): con l’aumento della gradazione cresce poi il calore. L’acidità che individua un gr vino v più o meno fresco si misura dalla salivazione, come la sapidità, ma questa dopo la deglutizione. Per i rossi è importante la valutazione dei tannini, che danno astrinim genza: quando un vino è troppo giovane o non elegante g l’astringenza può essere inizialmente ruvida ma, talvolta, ta se la massa dei tannini è palatabile, “spalmabile” alla fine n sul palato come burro di arachidi, è una promessa di lunga vita. Nell’esame gustativo si considera, oltre a intensità e persistenza, la struttura: per cui un vino può int 21 essere magro o di corpo, fino ad essere pesante. Attenzione poi a cosa resta in bocca: il vino infatti non ha ancora finito il suo viaggio e le sensazioni possono virare, per esempio con un fondo finale piacevole, ammandorlato o amaro. Ma prima di fare tutto questo, allenatevi. Iniziando da test semplici e utili. Ecco alcuni esempi. Il test triangolare consente di accertare anche piccole differenze tra due campioni dello stesso vino, ed è anche molto adatto per la formazione e l’allenamento; consiste in assaggi comparati e “ciechi” di tre campioni di cui due uguali tra loro, e il degustatore deve appunto riconoscere i due campioni uguali. Nel duo-trio test, con scopi analoghi, un campione funge da testimone e viene assaggiato da solo, e a parte. Quindi, dopo mezz’ora, si passa ad altri due vini: uno è lo stesso del testimone, l’altro è un vino differente; il degustatore deve indicare quale campione tra il secondo e il terzo è uguale al testimone. Il test di comparazione consiste nel confronto tra due campioni per accertare se esistono differenze puntate specificatamente su un certo carattere (per esempio la dolcezza); è adatto anche per determinare una graduatoria fra più campioni. Interessante anche provare a mettere in fila correttamente diverse annate dello stesso vino in una cosiddetta degustazione “verticale” cieca. Il test di annotazione, quello classico, presuppone già una buona conoscenza tecnica, perché si devono indagare vari aspetti che poi vanno annotati e descritti. Dovendo degustare un vino sconosciuto, il tecnico può esprimere giudizi e valutazioni su colore, limpidezza, corpo, profumo, aroma, acidità, alcolicità, ecc.; alla cieca, ammenoché non si sia con certezza riconosciuto il vino, è velleitario ovviamente ogni giudizio sulla tipicità. Per procedere nel modo più ortodosso alla degustazione, è comunque necessario che il degustatore si trovi in buone condizioni (evitate i giorni di raffreddore e i periodi di allergie); il locale in cui avviene la degustazione deve avere una temperatura di circa 18-20 °C con il 60-70% di umidità, essere esente da odori di disturbo e presentare la possibilità di ricambio dell’aria. La luce più adatta è quella solare, in mancanza della quale è necessario un tipo di luce che non alteri i colori; non è quindi adatta quella al neon. Ricordate che i colori vivaci stimolano intensamente gli organi di senso, ma li stancano presto e talvolta li ingannano, per esempio la luce rossa rende più intenso il colore rosso e più cupo il colore coolore gial giallo del vino, e inoltre fa sempre più intenso il p profumo del vino bianco. Concentratevi, prima d degustare. Scrivete quel che sentite, prima di di discuterne. Degustatori più “dialettici”, e non necessariamente più sensibili, potrebbero influenzarvi. Prendente sempre nota, quando degustate. E conservate i vostri taccuini. È una vera emozione confrontare la scheda d un vino riassaggiato a distanza di anni con di qu relativa alla prima esperienza. quella Ed è un doppio test. Sull’evoluzione del vino, e sulla vostra, come degustatori. 22 L’abbinamento cibo-vino L’ abbinamento con il cibo? Per semplificare estremamente possiamo ricordare che ci sono abbinamenti stravaganti sperimentali, tradizionali (quelli della cucina regionale di solito sono una buona soluzione per chi non è un esperto, ma attenzione che cibi, ricette e vini talvolta nel tempo si sono trasformati in modo significativo e non sempre nella stessa direzione) e per contrapposizione - metodo scelto dall’Associazione Italiana Sommelier - mentre per il dessert si sceglie l’analogia (vedi schema). Metodo della contrapposizione e analogia Colore chiama colore; Complessità si sposa a complessità. Olfatto Cibi aromatici e speziati con vini altrettanto aromatici e profumati. Gusto La tendenza al morbido e al grasso si contrasta-armonizza con l’acidità e l’effervescenza; Succulenza e untuosità hanno come contraltari alcolicità e tannicità; I gusti amarognolo, sapido e acido hanno come antidoto e complemento la morbidezza; Un cibo aromatico-speziato chiede, per assonanza, aromaticità e speziatura. Vi sono cibi che per una caratterizzazione spiccata sono difficili da abbinare al vino o richiedono grande accortezza, in particolare le cosiddette ‘negazioni’: verdure crude, soprattutto finocchi e carciofi; verdure condite con limone e aceto; marinature forti; frutta acida (agrumi in particolare); gelato (perché il freddo inibisce le papille gustative); cibi dichiaratamente salati: acciughe, aringhe, bottarga; cioccolato fondente amaro, per la forte componente tannica; uovo, funghi e tartufi, salumi speziati, in generale, vogliono vini con poca tannicità perché altrimenti conferiscono un sapore metallico e, tranne nel primo caso, grande aromaticità e persistenza. 23 I luoghi del vino U no scenario drasticamente mutato nel giro di vent’anni. In parallelo alla “rivoluzione” di qualità avviatasi nel mondo della produzione vinicola nazionale, è partita quella dei luoghi di consumo dedicati. Non dimentichiamo che, solo pochissimi decenni fa, il luogo del vino era l’osteria. Straordinario “topos” letterario, nostalgico teatro di storie e di racconti, approdo rilassato di anziani. Ma certo, quanto di meno trendy e giovanile si potesse immaginare. Il vino è uscito dal pur storico ghetto delle osterie quando (e qui l’apripista è stato forse il Prosecco) è riuscito ad approdare per la prima volta nei luoghi dell’aperitivo: nei bar frequentati “anche” dai giovani. Ma poi ha saputo guadagnarsi insegne e spazi propri, e addirittura invadere da protagonista quelli in cui il defilé è abitualmente riservato al cibo: il ristorante. Ma andiamo per ordine. L’enoteca L’enoteca è oggi molto più di una semplice bottega specializzata: è, quando funziona bene, un luogo sociale di incontro e di discussione, soprattutto dove, oltre alla vendita da asporto, è prevista la mescita. Il rapporto con il gestore è fiduciario. Si accettano consigli, “dritte” su novità e produttori emergenti. E non è un caso certamente che numerose enoteche dedichino uno spazio a pubblicazioni di settore (guide, riviste, ecc.) consultabili dalla clientela o addirittura in vendita. Al banco parte spontaneo il confronto (spesso tra persone sconosciute, fino a quel momento) sul bicchiere che si sta bevendo. Il clima è insomma quasi sempre da degustazione, oltre che da consumo. I “valori” del vino vengono comunicati e scambiati. Il wine bar La riconiugazione tra vino e cibo, ma lasciando dichiaratamente al primo il ruolo da protagonista, è alla base dell’atto di nascita e del sucesso del wine bar, la tipologia di esercizio pubblico con il maggior numero di nuove aperture nell’ultimo decennio (se si eccettuano forse gli shop specializzati di telefonini). Il wine bar mette le specialità gastronomiche (attenzione: selezionate con lo stesso spirito con cui sono scelte le etichette per la cantina, frutto cioè di ricerca) e alcuni piatti “giusti” al servizio dell’eno-appassionato. Il gioco è permettergli, bevendo “al calice”, attingendo cioè alla mescita, di assaggiare più vini, e nel modo più gratificante. I wine bar sono divenuti centri di promozione dell’intero artigianato enogastronomico. E hanno creato, a modo loro, anche un nuovo trend occupazionale. 24 Il wine restaurant La carta dei vini in un certo senso perfino più importante del menu. E comunque, fiore all’occhiello del ristorante. In quanti locali italiani, oggi, è questa la situazione? Un numero sempre maggiore. Merito (o “colpa”, se volete) anche delle Guide, che hanno cominciato ad attribuire alla qualità dell’offerta di cantina un valore che riverbera sul “voto” dato al ristorante. Ma è la spinta dal basso che ha fatto sì che in alcuni dei più celebri locali nazionali si vada “anche” con lo scopo dichiarato di attingere a cantine straordinarie, e - nei casi migliori - proposte con ricarichi non esosi, facilitati dalla velocità con cui le bottiglie “girano”. Il wine restaurant deve (è chiaro) avere cucina valida e originale, o non farà strada. Ma la tipologia, per ora, è in pieno trend ascensionale. Conclusioni Una riflessione finale: enoteche, wine bar, wine restaurant, hanno creato e stanno creando spazi occupazionali per giovani che hanno frequentato corsi, professionali e non, di conoscenza del vino e del suo servizio; e perfino per semplici appassionati che abbiano dimostrato nei fatti la competenza acquisita sul campo. La loro fortuna ha alimentato la crescita della didattica di settore (e molti di questi luoghi organizzano a loro volta dei corsi per clienti), innescando un circolo virtuoso che ha tutti numeri per far da pilastro allo sviluppo ulteriore del comparto vitivinicolo italiano. 25 Il vinabolario ABBINAMENTO: la tecnica di sposare il vino giusto ad ogni cibo e ad ogni piatto. L’abbinamento più riuscito è quello in cui un sorso di vino “chiama” un boccone del piatto e viceversa. Il gusto, data la variabilità immensa dei matrimoni possibili, recita comunque un ruolo sostanziale. ABBOCCATO: si dice di vino con leggero residuo zuccherino. ACERBO: vino non ancora pronto, con acidità evidente. ACIDITÀ: uno dei gusti fondamentali. In bocca si sente sui bordi laterali della lingua. Quella che si avverte in un vino è il risultato di un complesso di sostanze acide, alcune provenienti dall’uva e altre di origine fermentativa, fondamentali per l’equilibrio di un vino sotto l’aspetto degustativo e in prospettiva di evoluzione. L’acidità totale di un vino include le sostanze acide volatili e fisse. Ma è utile, in enologia, riferirsi al pH di un vino, ovvero alla scala che ne misura l’acidità reale. Il pH sarà più basso nei vini più acidi e freschi. Nei vini più importanti ed evoluti il pH sarà invece più elevato (quindi, acidità più bassa). I vini da elevazione (rossi, ma anche bianchi) svolgono dopo la fermentazione alcolica quella malolattica che trasforma l’acido malico in lattico, più debole, conferendo maggior morbidezza al vino. AFFINAMENTO: processo che asseconda l’evoluzione nel tempo di un vino. Avviene in acciaio e poi nel vetro della bottiglia, brevemente, per vini da vendere e consumare giovani. In legno (botti di varie misure, a seconda di tipologia e impostazione del vino) e poi in bottiglia, anche per molti anni se in condizioni ideali di conservazione, per i vini da invecchiamento. AMABILE: vino dolce con avvertibile residuo zuccherino. AMPELOGRAFIA: scienza che si occupa della classificazione e la descrizione delle diverse specie e varietà di vite. La scheda ampelografica più diffusa è quella approvata dalla commissione internazionale dell’Office International de la Vigne et du Vin (O.I.V.) e per ogni varietà evidenzia: il nome e i sinonimi, le caratteristiche vegetative (portamento, vigoria, descrizione del grappolo, dell’acino, della foglia, epoca di germogliamento, epoca di maturazione) le attitudini colturali (comportamento rispetto a fattori climatici, insetti e malattie), ) i terreni più idonei. ANIDRIDE CARBONICA: gas composto da una parte di carbonio e due di ossigeno che compare nel vino durante la fercome conseguenza di lavorazioni spementazione alcolica e com cifiche. Essa è presente in tutti i vini, ma la sua evidenza (le famose “bollicine”) si manifesta sensibilmente nei vini frizzanti spumanti. frizzantti e negli spu SOLFOROSA: gas composto da una ANIDRIDE SO parte part r e di zolfo e due d di ossigeno utilizzato come anstabilizzante in enologia. La normativa tisettico e stab ssa precisi limiti inerenti il limite di europea fiss solforosa cche un vino può residuare, dato che un suo eeccesso, oltre a conferire al vino un odore odor o e non gradevole, può causare intolleranze e disturbi. Il contenuto varia leran comunque da vino a vino e da paese co a paese. Ce n’è di più in vini da uve muffate o appassite naturalmente, e genericamente in vini meno ricchi di alcol. 26 APPASSIMENTO: o sovramaturazione. Processo in cui gli acini perdono acqua concentrando zuccheri e altre sostanze presenti. Può avvenire sulla pianta (dove il rischio però è quello di esporre i grappoli a intemperie) o dopo la raccolta in locali aerati, con i grappoli appesi al soffitto o disposti su stuoie o graticci. Talvolta i grappoli vengono posti su tavoli cosparsi di paglia, che consente una buona aerazione degli acini; da qui il termine usato dai francesi per alcuni vini passiti: vins de paille. Le uve possono restarvi anche per diversi mesi, riducendosi notevolmente di volume (da 100 chili di uva si arriva a 60 o meno): si avrà così un mosto ad alto tenore zuccherino destinato alla produzione dei vini detti passiti. La fermentazione, data l’alta presenza di zuccheri, si protrae a lungo. Spesso per l’affinamento vengono usate piccole botti di legno. AROMATICO: vino ricco di sostanze aromatiche, che spesso riconducono ai componenti naturali e tipici del vitigno di provenienza. ASTRINGENTE: vino che lega la bocca all’assaggio per alta presenza di tannino. La sensazione è acuita da compresente forte acidità. AUSTERO: vino imponente, con bouquet ben definito e finale asciutto o leggermente amarognolo. AUTOCTONO: si dice di ogni specie che si è originata ed evoluta nel luogo in cui si trova, trovando in esso la miglior sede per esprimersi. La definizione vale ovviamente anche per i vitigni. L’Italia è, tra i paesi produttori, quella con il più vasto e variegato patrimonio di vitigni autoctoni in produzione. Il loro recupero e ritorno in auge è attualmente uno dei fenomeni più importanti dell’enologia nazionale. In alternativa si parla invece di vitigni internazionali (Chardonnay, Cabernet, Merlot, Sauvignon, etc.), impiantati e adattati anche in paesi emergenti ma con scarse tradizioni vitivinicole (California, Australia, Nuova Zelanda). Provengono essenzialmente dalla Francia, e hanno trovato habitat perfetti anche in Italia. AVVINARE: versare un po’ di vino in un recipiente perché questo ne prenda l’odore. Si avvinano le botti nuove, per diluire l’odore del legno, ma soprattutto si avvinano i bicchieri (pratica ormai abbastanza frequente del servizio) travasando da uno all’altro una piccola dose di liquido per “vestirne” la superficie con il vino che sono destinati a contenere. BARRIQUE: botte in rovere con doghe piegate a fuoco diretto, e quindi con superficie interna a diversi livelli di tostatura. Ha capacità di circa 225 litri. Dona microossigenazione, aromi caratteristici e tannini (da legno) ai vini che vi maturano, contribuendo alla fissazione del colore e a vari altri fenomeni in rapporto con le dinamiche evolutive del vino. BLANC DE BLANCS: letteralmente, dal francese, vini bianchi ottenuti da uve bianche. Termine specifico della produzione spumantistica, anzitutto in Champagne, dove la “ricetta” base prevede uso di Chardonnay (uva bianca) e Pinot Noir (uva nera), da soli o miscelati. Di qui la distinzione tra i vini frutto di blend, quelli da solo Chardonnay e quelli da solo Pinot Noir (detti “blanc de noirs”, bianchi da uve nere) vinificato senza contatto con le bucce. 27 BOTRYTIS CINEREA: è un fungo che attacca e metabolizza la buccia dell’uva, provocando la disidratazione del grappolo e formando una muffa che conferisce al vino sentori particolari. Non tutte le uve si prestano a produrre vini botritizzati: sono necessarie varietà adatte, dalla buccia spessa e consistente. E neanche tutti i luoghi sono ideali: il fungo per svilupparsi ha bisogno di un’alternanza di umidità e di sole, che favorisce la concentrazione dell’acino attaccato. Celebri, tra i botritizzati, i Sauternes francesi e alcuni vini mitteleuropei. BOTTIGLIA: ogni vino ha quella ideale, dalle slanciate, sottili renane alle panciute borgognotte, alle sobrie bordolesi, alle nuove “futura” frutto di design. Sono in genere più scure e pesanti quelle destinate a vini da invecchiamento. Ancor più pesanti (e spesse) quelle da spumante, destinate a sopportare pressioni di varie atmosfere. Ma lo spumante vanta addirittura 8 formati. La base è la cosiddetta “sciampagnotta”. E ci sono poi i formati più grandi, per occasioni particolari, i primi due diffusi anche per vini tranquilli. Sono: Magnum (1,5 litri, due bottiglie da 75 cl), Jéroboam, o doppia magnum (4 bottiglie), Réhoboam (6 bottiglie), Mathusalem (8 bottiglie), Salmanazar (12 bottiglie), Balthazar (16 bottiglie), Nabuchodonosor (20 bottiglie). BOUQUET: insieme dei profumi che un vino acquista con la maturazione (in botte, ed in seguito in bottiglia). BRUT: Champagne o spumante il cui zucchero residuo è inferiore a 15 g/l. 2. Nell’extra brut: lo zucchero residuo è compreso fra 0 e 6. Il brut de brut o brut zero non ha zucchero residuo. Si chiama infine ‘pas dosé’ se è senza aggiunta di liquidi zuccherini e/o alcolici (liqueur) al momento della ricolmatura e ritappatura definitiva, dopo la seconda fermentazione e l’eliminazione dei lieviti. CALDO: vino ricco di alcol e glicerina, che dona alla beva la sensazione di calore. CHIARIFICAZIONE: processo di “pulizia” del vino teso a renderlo trasparente e limpido. I francesi lo chiamano “collage”: al vino viene in genere infatti aggiunto un composto colloidale (dalla chiara d’uovo alle gelatine o la gomma arabica) opposto ionicamente a quello della sostanza che nel vino causa intorbidamento. Le due sostanze (quella del vino e quella aggiunta) si attraggono elettricamente, “flocculando” (cioè unendosi) e precipitando. Un travaso e una filtrazione separeranno poi il deposito dal vino. Non tutti i produttori sono favorevoli all’uso di queste tecniche, che ritengono stressanti per il vino. CORPO: insieme degli elementi che compongono un vino, sottratti alcol ed acqua. CORTO: vino poco persistente al gusto. CRIOMACERAZIONE: processo che permette di estrarre dall’uva il massimo degli aromi senza acquisire sostanze ritenute indesiderabili per alcuni vini bianchi, o anche per rossi leggeri da pronta beva (esempio: i Novelli). Il mosto viene raffreddato a 5-8° gradi per un periodo che va da 10 a 24 ore. 28 Il freddo inibisce gli enzimi, e consente al vino, con l’avvio della fermentazione alcolica, di acquisire molte sostanze odorose aromatiche e pochi polifenoli contenuti nella buccia. Si ottiene un vino ricco di aromi primari, provenienti dal vitigno, povero di tannini e di colore, morbido e relativamente stabile alle ossidazioni. CRU: letteralmente “allevato”. Termine che indica comunemente la provenienza di un vino da un determinato vigneto o territorio ristretto, che gli conferisce caratteristiche organolettiche particolari nell’ambito di quelle pur tipiche dei vini dallo stesso nome. Secondo le zone di produzione, però, il cru può riferirsi a estensioni di terreno anche piuttosto grandi, purché omogenee. CUVEE: assemblaggio di vini diversi. Pratica classica nella preparazione delle basi di Champagne o spumanti, in cui vengono mescolate alle ultime annate vendemmiate “riserve” di millesimi diversi. DECANTAZIONE: operazione di travaso del vino dalla bottiglia ad appositi recipienti, in genere a forma di cipolla dal largo bulbo. Serve a separare vini maturi da eventuali depositi, o a ossigenare prima del servizio vini che ne abbiano bisogno per esprimere al meglio il proprio patrimonio aromatico. DISCIPLINARE: l’insieme complesso di regole da rispettare perché un vino possa fregiarsi della Denominazione di Origine Protetta. Le regole riguardano area territoriale, coltivazione e vinificazione. Il vino così prodotto viene poi generalmente sottoposto all’esame di idoneità di una commissione che solitamente fa capo a una Camera di Commercio. DISTILLAZIONE: processo di vaporizzazione e successiva condensazione in alambicco che permette la produzione di alcolici a partire da fermentati di frutta, cereali, vinacce (la grappa) o lo stesso vino (brandy, cognac, armagnac). DOC e DOCG: acronimi per Denominazione di Origine Controllata e Denominazione di Origine Controllata e Garantita. DOLCE: è la prima sensazione gustativa che l’uomo conosce, la prima che avverte e la più intensa: si coglie anzitutto sulla punta della lingua. Un vino è più o meno dolce in rapporto alla quantità di zucchero (detto residuo) contenuta dopo la fermentazione. Essa viene espressa in genere in grammi/litro. In alcuni speciali vini dolci se ne può trovare fino a 400 g/l (la media è però di circa 60) mentre nei vini secchi il residuo è solitamente contenuto in 1-2 (è ammesso fino a 4 g/l). A seconda della quantità di zucchero residuo il vino viene definito anche abboccato (fino a 15 g/l), amabile (da 16 a 45 g/l), e appunto dolce o liquoroso (oltre 45 g/l). appunt DOP: acronimo di Denominazione di Origine Protetta, D menzione obbligatoria che sostituisce le note DOC e DOCG. EQUILIBRIO: fondamentale per la qualità di un vino. Uno dei massimi luminari di enologia, il francese Peynaud, ha così sintetizzato l’e. di un vino: “Alcolicità, morbidezza, acidità, tannicità: dati i principali componenti del vino il risultato finale è la loro somma algebrica”. L’equilibrio di un vino è quindi essenzialmente dato da come questi elementi si combinano, si rafforzano, si nascondono o si annullano. ETICHETTA: è il mezzo attraverso il quale il consumatore dovrebbe poter dedurre tutte le informazioni riguardanti il vino che sta bevendo, insomma una sorta di carta d’identità della bottiglia. Ma oggi è sempre più un elemento di seduzione 29 e design, fatto in materiali che vano dalla normale carta al sughero, a stoffe preziose, e persino alla lamina d’oro. Mentre le informazioni vengono in gran parte (salvo disposizioni di legge) rinviate alla controetichetta, quando presente. Celebri le etichette di alcuni grandi vini italiani e francesi disegnate da illustri artisti, e oggetto di collezione. FERMENTAZIONE ALCOLICA: prima fase del processo di vinificazione, che comporta la trasformazione degli zuccheri (glucosio e fruttosio) in alcol etilico (o etanolo), anidride carbonica e prodotti detti secondari. Gli agenti del processo sono i lieviti presenti nell’uva (o aggiunti dal vinificatore) che si “cibano” degli zuccheri trasformandoli. Durante la f. a. si sviluppa anche calore. Ma il processo può cessare se la temperatura sale a 35-38 °C; in questo caso il mosto diventa preda di batteri che trasformano lo zucchero in mannite e fanno sì che si produca un liquido imbevibile. È per questo (e per altri motivi, come la salvaguardia del patrimonio aromatico e la regolazione della estrazione di sostanze dalle bucce) che il controllo della temperatura in fermentazione è oggi tra le pratiche più usate in cantina. FERMENTAZIONE MALOLATTICA: processo naturale, dovuto all’azione di specifici batteri, che trasforma l’acido malico (dal sapore molto pronunciato) in acido lattico, decisamente meno aggressivo. Si innesta dopo la fermentazione alcolica, in alcuni casi subito dopo, a volte in primavera o all’inizio dell’estate successiva alla vendemmia. Ad avviarla è la temperatura del vino, naturale o controllata, ma molto dipende anche dall’acidità di partenza delle uve. Con la f. m. il vino comincia a cambiare le sue caratteristiche organolettiche: il colore evolve verso tonalità meno vive, i profumi acquisiscono nuove sfumature, il sapore acquista in rotondità e pienezza. FILLOSSERA: è stata una delle calamità naturali più gravi dell’agricoltura. Parassita micidiale, si nutre delle radici delle viti e, attaccato un vigneto, lo distrugge completamente. Originaria del continente americano, è un afide arrivato in Europa intorno al 1850. Dalla Francia si estese rapidamente in Europa distruggendo letteralmente i vigneti. La soluzione, che ha evitato l’estinzione della vite europea, è stata quella di impiantare dei portainnesti (radici di vite americana, immune alla f.) su cui innestare i vitigni desiderati. Per arrivare a un giusto equilibrio ci sono voluti anni di studi e molte rinunce: la mappa dei vitigni in Europa post-f. è cambiata radicalmente. E molti vitigni sono andati perduti. Esistono però anche rare viti pre-f. dette a “piede franco”. FILTRAZIONE: serve a separare i depositi formatisi in seguito ai trattamenti di chiarifica. I filtri possono agire per setacciamento (trattengono tutte le sostanze di dimensione superiore a quelle dei pori del filtro); per assorbimento (sono trattenute le sostanze del vino la cui carica elettrica è opposta a quella del filtro); per ritenzione in profondità (vengono trattenute particelle anche più piccole dei pori del filtro, in quanto restano intrappolate tra i meandri costituiti dall’intreccio delle fibre costituenti il filtro). Non tutti i vini sono filtrati, alcuni produttori preferiscono infatti preservarne l’integrità a scapito di alcune caratteristiche estetiche. GRADAZIONE: quantità di alcol contenuta in un vino, risultato della trasformazione degli zuccheri per opera dei lieviti presenti nelle uve. Dunque, partendo da uve con un elevato grado zuccherino si avrà una maggiore g. È misurata in gradi, ovvero millilitri percentuali: se un vino riporta in etichetta 12 gradi, contiene il 12% in volume (120 ml per litro) di alcol. L’alcol influisce sulla qualità del vino: è corresponsabile della morbidezza, pastosità e rotondità, contrasta e smorza gli effetti dell’acidità e dell’astringenza, fa da supporto agli aromi 30 primari e gioca un ruolo determinante nei vari processi di evoluzione. IMBOTTIGLIAMENTO: atto finale della vinificazione, e iniziale dell’ultima parte dell’affinamento del vino, che può durare, in condizioni opportune e secondo tipologia, anche lunghi anni. Deve avvenire in condizioni di assoluta igiene e massima assenza di ossigeno, Per i vini spumanti esistono procedure e macchine speciali onde evitare la perdita di anidride carbonica disciolta. LIEVITI: ne esistono migliaia di tipi, tutti naturali, tutti “selezionati” ma ognuno con “compiti” diversi. Sono complessi di microrganismi in grado di provocare, attraverso gli enzimi prodotti, una fermentazione. Quelli presenti nell’uva (detti “indigeni”) sono in grado autonomamente di far partire la fermentazione dei mosti. In molti casi, però, è prassi normale aggiungerne altri dalle caratteristiche diverse a seconda del risultato che si vuole ottenere. I l. sono fondamentali nella spumantizzazione: vengono aggiunti in bottiglia (metodo classico) o in autoclave (metodo Charmat o Martinotti) per ottenere una rifermentazione che svilupperà l’anidride carbonica responsabile delle bollicine. I lieviti influenzano il profilo organolettico del vino e i suoi profumi in particolare. MATURAZIONE: processo decisivo del ciclo vegetativo della vite che inizia con la cosiddetta “invaiatura” dell’acino, e dura in genere 40-50 giorni circa, a seconda del clima, della varietà e della forma di allevamento. La m. aumenta il contenuto zuccherino dell’uva (maturità tecnica) e ne concentra le sostanze, portando a forme importantissime di polimerizzazione e di piena estraibilità composti contenuti principalmente nella buccia (maturità fenolica). L’avvenuta m. determina la data della vendemmia. Determinante per la m. è la luce del giorno, più ancora del calore. MOSTO: liquido zuccherino semidenso, che si ottiene dalle uve dopo la pigiatura. È composto da varie sostanze che erano nell’uva e che verranno trasferite al vino. È un elemento vivo, che contiene il 65-80% di acqua e il 15-30% di zuccheri, per lo più fruttosio e glucosio. Questi ultimi, tramite i lieviti, verranno poi trasformati in alcol durante la fermentazione. Si dice m. “fiore” quello ottenuto dalla prima spremitura (da 100 kg di uva si ottengono circa 65-70 kg di m. fiore). ORGANOLETTICO: si dicono caratteri o. le proprietà di un vino percepibili durante la degustazione, e valutabili olfatto e del gusto. abili attraverso i sensi della vista, dell’ dellolfatto POLIFENOLI: principali ncipali responsabili dell gusto e del colore del vino. Comprendono i flavonoli responsabili ili del colore dei vini bianchi, le catechine hine e i leucoantociani, responsabili onsabili dell’instabilità del colore ore dei vini bianchi, e gli antociani per i rossi. si. Essi possono reagire re con gli acidi dei vini ni assumendo colori ri più o meno brillanti. ti. Inoltre sono soggettti a ossidazione, così sì che il tono del colore re dei vini diviene più o meno carico. Il p. per er eccellenza è il tannino. o. Proviene da bucce, raaspi e vinaccioli. 31 È presente perciò in maggior misura nei rossi (vinificati con le bucce) in percentuale fra l’1 e il 5 per mille. I tannini nobili sono prerogativa delle migliori produzioni, tra gli elementi più importanti per l’affinamento del sapore di un vino. Infatti, se maggiore è la percentuale di tannino, e più accentuata è l’asprezza e la ruvidezza del gusto, succede però che i tannini migliori evolvano col tempo, conferendo al vino equilibrio, meno astringenza e più pienezza al gusto, e mantenendo nei vini rossi da invecchiamento un colore vivo. I tannini fungono anche da antibatterici, proteggendo il vino e assicurandone la longevità. POTATURA: una delle operazioni fondamentali nei vigneti, determinante per equilibrare la produzione. La p. invernale viene eseguita da dicembre a marzo, mesi in cui la vite “dorme”, e consiste nel “modellare” la pianta, riducendo la lunghezza dei tralci lasciando un certo numero di gemme per trovare l’equilibrio produttivo che il viticoltore vuole ottenere. Una seconda p. detta “verde” si effettua poi per ridurre ulteriormente la quantità dei grappoli da portare a maturazione, per concentrare la qualità in quelli (meglio esposti e formati) lasciati in pianta. PROFUMI: quelli del vino si dividono in primari (quelli tipici legati alla varietà dell’uva, e detti perciò varietali, classico quello di salvia del Sauvignon); p. secondari, derivanti dai processi di vinificazione, in particolare dalle fermentazioni (a seconda di qualità delle uve e buon andamento della trasformazione degli zuccheri in alcol è possibile avere un arricchimento notevole degli aromi ma anche un’influenza negativa sulle caratteristiche organolettiche del vino); i p. terziari, i più complessi ed eterogenei (dalla canfora al cioccolato, dal cuoio alla liquerizia) sono invece legati a maturazione e invecchiamento dei vini. Si formano sia durante l’affinamento in legno sia, poi, in bottiglia in assenza di ossigeno. Saranno loro a determinare il bouquet del vino: ovvero, proprio come in un mazzo di fiori diversi, un insieme di profumi complesso, con diversi sentori e sfumature. RETROGUSTO: residuo caratteristico di sapore che si percepisce in un vino dopo la degustazione, in particolare nella zona posteriore della bocca e del palato. Quella cioè dove avviene la deglutizione. RETRONASALE: fase finale della degustazione apparentementazione in cui i sentori, avvertiti apparentemen te come sapori, sono in realtà mix di sensazioni azioni soprattutto olfattive, dovute alla presenza di mucosa con recettori cettori simili a quelli nasali nell’area faringea. SALUTE: sì, usato con moderazione il vino fa bene alla salute. Dal cosiddetto “paradosso francese”, il minor rischio colesterolo in zone a dieta grassa, ma dovee l’uso di vino rosso a pasto è costante e regolare, alle sue proprietà antiossidanti, cioè anti-invecchiamento dei polifenoli, olifenoli, agli effetti benefici nell’ambito dell’Amd, una malattia alattia della retina, fino alle proprietà benefiche del resveratrolo, sveratrolo, presente nelle radici della vite, nei tralci, nelle elle foglie, nelle bucce degli acini e, di conseguenza nel el vino, i risultati ormai sono copiosi. Da rammentare re che la dose standard indicata come positiva è di poco oco più di mezza bottiglia al giorno, consumata ai pasti. asti. SOMMELIER: l’esperto, sempre più spesso so diplomato in appositi corsi, addetto alla cantina, a, alla scelta, alla degustazione e al coordinamentoo del servizio dei vini nei ristoranti, nelle cantinee dei produttori, nei reparti dedicati dei supermercati rcati o in “nuovi” luoghi del vino, come enoteche con mescita, wine bar e bistrot. 32 TAPPO: nodale, nel bene (garantire semi-ermeticità e al tempo stesso un minimo apporto evolutivo al vino) e nel male (il classico sentore di tappo, killer del vino, dovuto alla presenza di un parassita, l’Armillaria mellea, un fungo che si sviluppa nelle radici o alla base della quercia del sughero). Ma frequenti sono anche le “diffamazioni”: presunti sentori di tappo, dovuti a successive alterazioni del sughero o del vino dovute all’uso di legni di cattiva qualità, sapori di muffa da sviluppo di microrganismi in cantina, o nella catena d’imbottigliamento. Attenzione, dunque. Non sempre è il tappo il vero colpevole. Oggi, per la scarsità di sugheri adeguatamente “anziani” è in corso una caccia alle alternative: da resine speciali al ritorno al tappo di metallo a corona. Ma per ora il tappo tradizionale resta ancora re. VITIS VINIFERA: è la sola vite da vino. Appartiene alla famiglia botanica delle Vitaceae di cui fanno parte circa 50 specie. Una di queste è la Vitis, con due sottospecie: muscadiniae ed euvitis. Quest’ultima può contare su 22 specie suddivise in tre gruppi in base all’origine geografica. Quella europea è la Vitis Vinifera (suddivisa a sua volta in due sottospecie, la sativa, quella coltivata e la silvestris, selvatica) da cui discendono diverse migliaia di varietà. ZUCCHERI: fondamentali componenti del vino, divisi pressoché a metà tra glucosio e fruttosio. In genere, nel contengono di più i grappoli più vicini alla pianta, mentre quelli più distanti sono i più acidi. Oltre che nell’acino, gli zuccheri si trovano anche nel legno e nelle foglie della vite. L’aggiunta di zucchero ai mosti, permessa in annate particolari in alcuni Paesi, non lo è in Italia. © Enoteca Italiana, Siena 2010 Prima edizione 2003 Ideazione Pasquale Di Lena Testi Antonio Paolini Illustrazioni Ro Marcenaro Coordinamento editoriale Silvana Lilli Revisione grafica e stampa Protagon Editori, Siena Pubblicazione realizzata con il contributo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali D.M. n° 13801 del 14.09.2009