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Il vino, impariamo a conoscerlo

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Il vino, impariamo a conoscerlo
i
n
a
v
e gio
vino
art de vivre!
IL VINO
impariamo a conoscerlo
Indice
Introduzione .............................................................................. Pag.
2
Cos’è il vino ............................................................................... Pag.
3
La storia della vite e del vino .................................................... Pag.
5
Come si fa il vino ...................................................................... Pag.
7
Piccolo atlante dei vini del mondo ........................................... Pag. 12
Il servizio .................................................................................. Pag. 14
La conservazione ...................................................................... Pag. 17
La degustazione ....................................................................... Pag. 19
L’abbinamento cibo-vino ......................................................... Pag. 22
I luoghi del vino ....................................................................... Pag. 23
Il vinabolario ............................................................................ Pag. 25
2
Introduzione
Spiegare un mondo complesso e, per molti aspetti, ancora misterioso come è
quello del vino non è un impresa facile neanche per l’Enoteca Italiana che da
ormai 50 anni assolve questo ruolo di “comunicare il vino”.
Un ruolo determinante per l’immagine di qualità che ha oggi il vino italiano,
testimoniato da una ricca collana di pubblicazioni, tradotte in più lingue, e da
migliaia di iniziative in Italia e nel mondo.
Con il progetto “Vino e Giovani”, predisposto dall’Enoteca Italiana per il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, spiegare cos’è il vino diventa ancora più importante soprattutto per farne capire il gusto nella qualità e
non nella quantità; nella lettura di un prodotto culturale, testimone principe
dei territori più famosi e nell’approccio con una bevanda, simbolo indiscusso
del “made in Italy” e parte integrante di uno stile di vita proprio del nostro
Paese.
Ci siamo così affidati ad una penna e ad una matita di due fra i più noti comunicatori del settore, il giornalista Antonio Paolini e il disegnatore Ro Marcenaro, che ringraziamo per il prezioso contributo.
Claudio Galletti
Presidente
Fabio Carlesi
Segretario Generale
Ente Mostra Vini-Enoteca Italiana
3
Cos’è il vino
E’
una bevanda alcolica, ottenuta grazie alla trasformazione enzimatica
(fermentazione) dello zucchero in alcol. Lo zucchero è quello contenuto
nell’uva (frutto della vitis vinifera, l’unica vite da vino). Il risultato è un prodotto estremamente complesso, costituito da oltre 600 sostanze, in evoluzione e in ricombinazione tra loro, con una percentuale volumetrica in alcol
che varia da pochissimi gradi (anche meno di 6) ai 18-20 dei cosiddetti vini
liquorosi. Il vino è il risultato di molti fattori. Ma tre sono i prevalenti: il
vitigno, il territorio (traduzione approssimativa della parola francese terroir,
che include in sé tutte le specifiche geologiche e microclimatiche che fanno
di un sito un “unicum” per una certa uva) e il complesso delle operazioni
di cantina, dalla selezione di grappoli e acini alla fermentazione, dalle varie
modalità di maturazione del vino al suo affinamento in bottiglia. Le variabili,
come si vede, sono infinite. E in questa enorme ricchezza potenziale, e nella sua capacità evolutiva nel tempo, risiede il fascino straordinario del vino.
Una certezza è che comunque ogni vino “neonato” contiene acqua (80-85% in
media, solvente di tutti i componenti) e poi polifenoli, acidi organici, minerali e sostanze azotate. Altre si formano durante fermentazione, maturazione
e invecchiamento: alcol mono e polivalenti; acido lattico, acetico, succinico;
esteri, aldeidi, anidride carbonica. Il vino, l’abbiamo detto, è un prodotto vivo,
che si trasforma nel tempo. E mentre un gruppo di sostanze, presenti nel
mosto di partenza, tendono a diminuire o sparire più avanti, come gli
zuccheri fermentati dai lieviti e divenuti alcol, gli aminoacidi,
i sali di ammonio (usati dai lieviti per riprodursi), l’acido malico (che può trasformarsi in acido lattico) e gli
stessi lieviti e batteri, che vengono inibiti o muoiono, altre se ne formano, soprattutto grazie alla
combinazione e lentissima ossidazione delle
sostanze aromatiche, dei polifenoli, degli
antociani.
Ma vediamo ora le caratteristiche essenziali del vino.
Il colore è dato dai polifenoli e sostanze
tanniche coloranti: nei vini bianchi sono i
leucoantociani, catechine, flavoni e clorofilla; nei rossi, antociani e tannini (presenti nelle bucce degli acini o chicchi d’uva),
che danno una sensazione di astringenza
ed evolvono aggraziandosi nel tempo e
che costituiscono lo “scheletro” del vino,
4
e il suo gerovital, visto che ne garantiscono la longevità grazie alla loro resistenza all’ossidazione, se presenti in equilibrio adeguato con gli altri componenti.
Il sapore è conferito da: zuccheri, glicerina e alcol, che danno la sensazione di
dolcezza e morbidezza; acidi che danno freschezza (il vino è un “ambiente”
prevalentemente acido), mentre la sapidità è data dalle sostanza saline e da
varie sostanze organiche. Poi vi sono le sensazioni tattili, date dai polifenoli,
in particolare i tannini (astringenza) e dall’anidride carbonica (se è assente
un vino si dice “fermo”, altrimenti frizzante o spumante). Il profumo dipende
dalle sostanze aromatiche proprie delle uve aromatiche (tipo moscato)
o semiaromatiche, daglii aromi primari tipicii del vitigno,
dai secondari derivati dalla fermentazione e ddai
ai
terziari, frutto della maturazione
aturazzione in botte e/o
in bottiglia.
Nel tempo sono molti comunque
i parametri che tendonoo a
cambiare, fino a conclusione
sione
del ciclo vitale del vino
provocata, proprio come
me
in tutti gli organismi
viventi, da ossidazione
o da “accidenti” che ne
provocano la “morte”
prematura. E, come
per gli organismi
viventi, vini dalla
complessione più
armoniosa e robusta
avranno vita più lunga
e felice di vini troppo
gracili, squilibrati o
carenti in qualche
componente essenziale..
5
La storia
della vite e del vino
Q
uella della vite e del vino è, anzitutto, la storia di una migrazione: dal
Caucaso, dall’Asia Minore e dalla Mesopotamia, culle dei vigneti, prevalentemente lungo tre direttrici principali (una più settentrionale, attraverso l’Europa centro-occidentale, una più bassa, pedemontana, pressoché parallela
alla linea delle nostre Alpi, e la terza via mare, a zigzag tra le coste e le isole del
Mediterraneo). È poi la storia di un’articolazione nella biodiversità (almeno
fino agli ultimissimi anni, quando l’incognita degli organismi geneticamente
modificati si è pesantemente affacciata anche in questo settore) attraverso lo
sviluppo, dalle viti progenitrici, delle tante tipologie oggi a noi note. È, infine,
negli ultimi decenni, anche la storia della dialettica tra alta produttività e alta
qualità, con l’ago della bilancia spostatosi dalla prima alla seconda man mano
che il vino cessava di essere alimento, complemento nutrizionale, per i produttori e le loro famiglie anzitutto, per divenire elemento guida nel recupero
del gusto, della cultura e del piacere di vivere legati alla tavola.
I primi esemplari della vite risalgono comunque, probabilmente, a 50 milioni
di anni. L’attuale vitis vinifera si può ritrovare intorno al 5000-6000 a.C. A
confermare che il viaggio del vino sembra partito dagli altopiani dell’Asia Minore, dalla Mesopotamia e dalla Persia, anche la radice del nome. La parola
greca oinos deriva dalla radice indoeuropea voin. Attraverso la Grecia e Roma
il vino si diffonde nel Mediterraneo, vincendo la sfida con altre bevande pure
derivate dalla fermentazione degli zuccheri (la birra era la bevanda nazionale
degli Egizi fin dal 3000 a.C.). Ma il vino presenta estrema varietà di sapore e
profumi, il dono di poter invecchiare ed è trasportabile in luoghi lontani. In
Grecia è una bevanda - tagliata con acqua, miele e spezie - sacra e “maledetta”
insieme; e anche a Roma (dove si beve anche il merum, vino puro) il suo culto
è duplice: Bacco e Libero, la vera eredità di Dioniso.
Tra il IV ed il II secolo a.C. il vino greco di Lesbo, Chio, Thasos e Coos è un
prodotto costoso e ricercato in tutto il Mediterraneo, che si diffonderà con
successo anche nella Penisola Italica (subito detta Enotria) dando origine al
Falerno, il Marsico, il Cecubo, il Mamertino di Sicilia, il Rethico veneto ed
il vino d’Alba, e poi nelle province della Gallia dove
im
importante
per la crescita vinicola sarà la progr
gressiva
sostituzione delle anfore di terrac
cotta
con botti di legno, più facili da
tr
trasportare
e, come si capirà
p contenitore adattissipoi,
mo
m al contenuto.
Con il crollo dell’Impero
6
Romano, l’Inghilterra
abbandona la coltura della vite, sfavorita
dal clima, e “scopre” l’import dalla Francia. Ma i rapporti politici sono instabili. Ed ecco la ricerca di nuovi sbocchi: il Portogallo (Porto) dove trova
radicamento l’aggiunta di alcool al vino per renderlo più dolce, stabile e trasportabile; l’operazione si ripete a Jerez, patria dello Sherry, e in Sicilia con
il Marsala.
È però la Francia a dominare la viticoltura medioevale, anche per le innovazioni tecniche: le bottiglie in vetro soffiato, i tappi, i sistemi di coltivazione
intensivi. Nel 1668 una storia che sa di leggenda attribuisce al monaco cantiniere di Hautvillers, Dom Pérignon, l’invenzione del vino spumante che diverrà Champagne (solo nella regione omonima) e la creazione di bottiglie più
pesanti in grado di resistere alla pressione dell’anidride carbonica legata ad
una fermentazione per le differenze di temperatura stagionali locali. In realtà,
già i Romani conoscevano i vini rifermentati. E in certi casi li apprezzavano.
In Italia, invece, con la perdita della leadership sociale e politica, anche la viticoltura decade: nel Medioevo sono rare le notizie sui vini. Ma la Repubblica
di Venezia, viceversa, per secoli spadroneggia nel Mediterraneo monopolizzando il commercio dei vini dolci dal Sud al Nord dell’Europa. Nell’era moderna poi, pesano sul percorso del vino alcune catastrofi “ambientali”: come
la gelata del 1709, che indebolì pesantemente la viticoltura del vecchio continente.
Ma c’è chi non si arrende. E nel 1716 Cosimo III detta il primo disciplinare di produzione nel Granducato di Toscana per la delimitazione
del Chianti. Un altro colpo alla viticoltura europea, arriva però
ne della fillossera, piccolo
tra fine ‘800 e inizio ‘900: l’invasione
zione fu l’impianto delinsetto che attacca la radice: la soluzione
la vite europea sul piede di quella selvatica americana,
tt’oggi pressoché
immune dal parassita (pratica tutt’
obbligatoria). È comunque ancora la Francia per
buona parte del ‘900 a dominare laa scena. Ce
el mondo
ora, però, si allarga a gran parte del
“temperato”. Con l’Italia in prima fila, tesa
ra del
a riconquistare la sua palma di “Terra
emVino” e a parare la concorrenza semde
pre più decisa e affollata, sul grande
mercato internazionale, che arrivaa
dal Nuovo e Nuovissimo Mondo
(Nord e Sud America, Australia,
Nuova Zelanda) oltreché dal Sudafrica.
7
Come si fa il vino
V
iviamo, spesso senza rendercene conto, in un paese davvero speciale; la
sua posizione come latitudine e in particolar modo nel Mediterraneo ne fa
(o dovremmo forse dire: ne ha fatto, visto la tropicalizzazione in atto, i cui
esiti sono ancora lungi dall’essere chiari e prevedibili) un territorio a clima
particolarmente temperato ed idoneo ad una proficua coltivazione della vite.
Tuttavia per quanto il clima italiano sia fra i più adatti alla viticoltura, bisogna ricordare che la differente morfologia del terreno fa sì che da area ad area
vi siano diversissime caratteristiche di produzione. Ecco perché è così importante per i viticoltori scegliere il vitigno più idoneo al terreno in cui esso
va impiantato e coltivato. Ed ecco perché
rché a tutt’oggi
possiamo notare che i vini italiani hanno una
prerogativa regionale e di area spiccatissima,
atissima,
da cui nasce una tipicità estrema e, spesso,
pesso,
un perfetto abbinamento con la cucina
ina
regionale di corrispondenza.
Gli elementi climatici fondamentali
per la crescita e la produttività della
vite sono la luce, il calore, l’esposizione e la giusta quantità di umidità
nell’ambiente (derivante da pioggia,,
neve, nebbia e rugiada). Occorre ri-cordare che i vitigni ed il loro prodottoo
naturalmente vengono anche influennzati dalle caratteristiche chimiche del
terreno in cui sono stati impiantati.
È italiana, e si deve ad Adamo Fabroni,
nel 1787, l’enunciazione compiuta della teoria fisica della fermentazione vinosa,
nosa
s , che ha aperto la strada alle scoperte del XIX secolo nel
campo delle fermentazioni.
ferm
Ma torniamo a noi.
Il
I primo
m atto necessario per la produzione di un vino,
dando per sscontata una felice vendemmia di bei grappoli maturi,
matur sta nella pigiatura degli stessi, per far
fuoriuscire dagli acini la polpa ed il liquido in essa
contenuti.
contenuti Anticamente, si sa, la pigiatura veniva
eseguita con i piedi; oggi viene effettuata mediante
macchine
macchin
n appositamente progettate, in grado addirittura
dirittuu di separare prima il raspo dagli acini e
di gr
graduare la pressione in modo da ottenere
spremiture
adeguatamente “dolci”.
spp
L’acino, la cui polpa è sempre incolore (è la
buccia ad essere rossa o bianca), si compone
di vari elementi: i semi e la buccia, i residui
del graspo e la polpa. Tannini e polifenoli in genere, essenziali (ma anche in al-
8
cuni casi
improvvidi) per la
vita del vino sono contenuti nelle parti solide, essenzialmente nella buccia.
Aromi e zuccheri sono disciolti nel succo della polpa.
È “giocando” con l’utilizzo totale o parziale di tutti questi elementi che si elaborano i vari tipi di vino.
Dopo la vendemmia, dunque, il chicco d’uva viene pigiato (pigiatura o follatura) e privato dal graspo. L’uva viene messa in tini (di acciaio o legno, o un
mix dei due) e la fermentazione comincia. Si rende poi necessario procedere
ad un’aerazione frequente del luogo e mettere, nel caso dei futuri vini rossi,
il succo d’uva (mosto) a contatto con l’insieme delle parti solide, che si concentrano alla superficie del tino fino a formare una patina (cappello) che si
immerge nel mosto. Questa mescolanza dell’insieme degli elementi dell’uva
(macerazione) conferirà al futuro vino le sue caratteristiche specifiche: colore
e struttura. Quando lo zucchero dell’uva è completamente trasformato dai
lieviti, la fermentazione si ferma. Si può, a seconda del vino desiderato, continuare la macerazione o fermarla, separando per scarico o pompaggio i due
elementi; il vino che scola sarà chiamato “vino di goccia”, quello che si otterrà
per pigiatura della patina sarà il “vino di pigiatura” che, benché fratello del
precedente, sarà diverso, poiché la vicinanza delle sue materie solide lo renderà più scuro nel colore, più corposo nella materia e di gusto più pronunciato.
A seconda del tipo di vino voluto e delle caratteristiche dell’annata, questi due
vini saranno più o meno mescolati. Dopo le operazioni di cura essenziali, e
dopo un eventuale “invecchiamento”,
invecchiamento , il vino viene imbottigli
imbottigliato e commercializzato. Oltre a questo metodo tradizionale si uusa però in alcuni
casi anche la macera
razione
carbonica,
che avviene con
uva intera, non
p
pigiata,
in tini
chiu saturati di anichiusi
ca
dride carbonica.
Questo
meetodo pro
metodo
produce vini leggeri
e gustosi, dal gu
gusto molto simile
d’uvva. Questo
Que procedimento
al chiccoo d’uva.
glilo solo con i vini novelli.
rende al meg
meglio
La vinificazione in bianco prevede invece la
separazione immediata, o comunque precoce del mosto ddalle
ll vinacce
vina
i
coce,
(raspi, bucce,
ferm
semi) per ottenere una fermentazione
senza
in solido”
solido dell
le parti “in
dell’uva.
È molto impo
importante in questa
9
fase di transizione del mosto in vino
controllare costantemente la temperatura di fermentazione
affinché non superi, per i bianchi, i 16-18°.
Per i rosati, ricordiamo che la legislazione italiana vieta di ricavarli dal taglio
di vini bianchi con vini rossi. La tecnica per ottenere dei rosati consiste quindi
in una fermentazione quasi “in bianco” di mosti ricavati con uve nere, cioè nel
mantenere brevissimamente il mosto a contatto con le vinacce. Le più adatte
sono quelle di poco colore, non acerbe né molto zuccherine, a buccia non tannica. La loro vinificazione è identica a quella dei vini rossi, ma la macerazione
è più breve per permettere uno scambio limitato di tannini e di pigmenti. Le
loro caratteristiche gustative sono simili a quelle dei vini bianchi ma la loro
composizione chimica li rende più simili ai vini rossi. A eccezione dello Champagne, è vietato elaborare vini rosè per mescolanza di vini rossi e bianchi.
Durante le delicate procedure di vinificazione, specie per i rossi, sono molte
le tecniche di cantina utilizzate. Una frequente è il rimontaggio, riportando
il liquido in alto nel tino di fermentazione, oltre il cappello delle bucce, per
farlo poi defluire. Attraverso la conseguente ossigenazione del mosto, il rimontaggio rinvigorisce i lieviti e li ridistribuisce nella vasca di fermentazione.
E insieme si ridistribuiscono anche le sostanze coloranti contenute in antociani e tannini. Le moderne vasche di fermentazione permettono di ripetere
automaticamente il rimontaggio, la cui durata e numero dipendono essenzialmente dalle condizioni climatiche. In climi freddi è necessario procedere
a rimontaggi frequenti, ma
m nei climi caldi dell’Europa
del sud il rimontaggio,
rimontaggi se praticato senza attenzione, pu
può
uò aumentare eccessivamente l’attività dei
lieviti e accorciare il periodo di fermentazione,
riducendo in que
questo modo il livello alcolico del
vino. Tecnica an
analoga è quella di “affondare”
cappel facendolo poi risalire leninvece il cappello,
tamente attrav
attraverso il liquido.
Alla prima fe
fermentazione, per i vini destinati ad affinamento e invecchiamento,
ross che siano (ma sempre ambibianchi o rossi
stru
ziosi e di struttura)
segue la fermentazione
malolattica, uun processo naturale, dovuto
all azione di specifici batteri, che
all’
trasforma l’acido malico (dal
sapore molto pronunciato)
i acido lattico, decisamente
in
m
meno
aggressivo. La malolattica
t si innesta in alcuni casi
su
subito
dopo l’alcolica, a volte
in primavera o all’inizio del-
10
l’estate
successiva alla
vendemmia.
Viene generalmente svolta in legno per quei vini destinati ad essere affinati in
barrique. Per alcuni bianchi di struttura, anche la fermentazione alcolica viene
svolta in legno, sulle fecce dei lieviti, mosse e rimescolate ciclicamente all’interno della botte (solitamente una barrique) con una tecnica detta batonage.
Con la fermentazione malolattica il vino comincia a cambiare le sue caratteristiche organolettiche: il colore evolve verso tonalità meno vive, i profumi
acquisiscono nuove sfumature, il sapore acquista in rotondità e pienezza.
Procedure speciali si applicano, infine, per ottenere vini special: dai liquorosi,
in cui si aggiunge alcol o misture alcoliche in fermentazione per bloccare i lieviti e “salvare” parte degli zuccheri, agli spumanti a metodo classico, con rifermentazione in bottiglia dei vini base, grazie ad aggiunta di lieviti e zucchero
per “nutrirli”, o quelli a metodo Charmat o Martinotti, dove l’operazione è
assai più breve, e avviene in autoclave.
A questa fase, segue quella, di lunghezza variabilissima, dell’affinamento. In
acciaio e poi in bottiglia, brevemente, per i vini di pronta beva e tendenzialmente “freschi”. In legno di varia grandezza, e oggi soprattutto in barrique, e
poi più o meno lungamente in vetro, per i vini più ambiziosi. Da ricordare,
prima di analizzare il fenomeno barrique
un’esigenza meditaique come figlio di unesigenza
ta degli enologi, ma anche di una moda, a voltee improvvida per il tipo di uva e di vino “condannati”
condannati” al
trattamento, che il binomio vino-legno
no esiste da
millenni. Anzi, in un passato lontano,
o, oltre agli
orci di terracotta, il legno era l’unico contenitore per il vino. Solo da pochi decenni
ni i contenitori in acciaio hanno temporaneamente
eamente
sostituito le botti. Mentre in una fasee intermedia hanno svolto un ruolo di “elevatori”
evatori”
anche vasche di cemento vetrificato, aii giorni
nostri prima aborrite e oggi da alcuni rivalutate, sulla scorta di alcuni dubbi subentrati
entrati
sugli effetti ionizzanti dell’acciaio su alcune
componenti del vino.
A trionfare però al momento è certamente
mente
ancora la barrique, il contenitore in rovere
overe
pregiato e tostato al suo interno da 225
litri circa, considerato ottimale sia per
er la
microossigenazione che attraverso i pori
provoca al vino, sia per il suo rapportoo ddi
scambio con il liquido contenuto.
11
La barrique è
doppiamente attiva, perché oltre
ad ossigenare lentamente, cede al vino elementi
(tannini ed aromi) che vanno a integrarne, ma in certi casi anche a stravolgerne, il quadro complessivo e l’identikit.
Di certo, a vini già importanti la barrique può conferire ancora maggior struttura e durata nel tempo. Ma un vino affinato in legno acquisisce anche nuances aromatiche piacevoli se ben dosate, fastidiose se “coprenti” rispetto a quelle
del vino stesso e del vitigno d’origine, e ancor più se “omologanti”, rendendo
uguali o quasi vini in partenza destinati ad essere ben diversi.
La “mitica” barrique, di tradizione francese, solitamente viene costruita utilizzando legno di rovere di Allier, Limousin, Tronçais, Nevers, Vosges, del
Massiccio Centrale Francese e, più di recente, rovere delle Rocky Mountains
e anche legno proveniente dalla Russia e dall’Est in generale. Rispetto a una
botte grande, nella barrique la superficie del vino a contatto con il legno è
maggiore e risulterà di conseguenza maggiore anche lo scambio di sostanze
con il legno. Il rapporto fisico-chimico tra una grande botte e una piccola
botte è di circa 3 a 1; ciò significa che sono necessari 3 anni di botte grande
per avere il bouquet di 1 anno di barrique. Questo non vuol dire, però, automaticamente che la botte piccola sia da preferire alla botte grande. Sta alla
sapienza del cantiniere, in base alle uve a disposizione e alla loro destinazione
enologica, “dosare” il legno, scegliendone la pezzatura, la tipologia e il tempo
di affinamento. Tocca al produttore o al suo enologo scegliere la botte e la
barrique giuste anche in base alla loro permeabilità all’ossigeno e alla tostatura
interna. Quest’ultima nasce per poter effettuare la piegatura delle doghe, che
si fa a caldo. Ma segue poi una esposizione al fuoco delle botti, che è la fase
che conferisce loro le maggiori differenze aromatiche. Una tostatura leggera
prevede circa 5 minuti di esposizione al fuoco, quella media circa 10 minuti,
quella forte intorno ai 15
15-20
20 minuti. È qquesta operazione che amplificherà
nel vino cer
certi aromi (fumé, caffè, tabacco, eccetera) che
c contraddistinguono alcuni vini
importanti.
impor
Ma attenzione:
produttori con diversa
a
impostazione
ottengono (più avanti
i p
im
nel
ne tempo, certo) profumi analoghi,
pur
p se non identici, che vanno a
mescolarsi
al fruttato del vino e
m
dell’uva di origine, anche usando
botti di grande dimensione e non
necessariamente nuove.
12
Piccolo atlante
dei vini del mondo
N
ato probabilmente in Armenia, divenuto prospero e celebre in Mesopotamia, arrivato in Europa con la migrazione delle uve, il vino è oggi “cittadino
del mondo” come mai nella sua storia. E non solo perché in tutto il mondo si
consuma vino di qualità, ma perché in quasi tutto il mondo (laddove il clima
lo rende possibile, ma anche in condizioni e località estreme, e impensate
tempo fa) se ne produce.
Capofila quantitativi, e oggi anche qualitativi, restano Francia e Italia. In
Europa continua la lunga tradizione di Spagna (anch’essa in fase di forte
progresso) e Portogallo, mentre sono in rimonta dopo un lungo interludio
Grecia, Ungheria, Romania, e anche alcune aree dell’ex Jugoslavia e della
Russia (Ucraina, Moldavia), con un ritorno alle origini che sa di miracolo.
Ma sulla scena enoica mondiale si sono affacciate intanto con prepotenza
anche Usa, Argentina, Cile, Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, persino lo
stesso Canada e, ultima arrivata, la Cina. Mentre il Nordafrica più “francesizzato” continua a produrre, come da un pezzo ha fatto, ma per ora senza
speciali sussulti qualitativi.
Se ogni area tradizionalmente produttrice, e dunque ogni nazione che le
contiene, ha le sue uve tipiche (in gergo “autoctone”), due fenomeni stanno
segnando la fase più recente della parabola del vino: 1) il dilagare dei cosiddetti vitigni internazionali (ma che sarebbe forse meglio chiamare “ubiqui”),
cioè Cabernet Sauvignon e Merlot (e più modestamente Syrah) tra i rossi,
e Chardonnay e Sauvignon tra i bianchi; 2) l’affacciarsi di paesi totalmente
nuovi, privi cioè di tradizione vinicola pregressa, che hanno dunque “adottato” come propri anzitutto i vitigni “ubiqui” su citati, e poi una serie di altri,
pescati nei paesi tradizionalmente produttori e ritenuti potenzialmente adatti alla propria realtà territoriale.
no banCosì, se l’Italia non ha un unico vitigno
tinadiera (gli autoctoni italiani sono centinata,
ia, e al repertorio degli esistenti in vita,
cioè vinificati e distribuiti, e non soloo
elencati dai manuali specialistici,
ogni giorno se aggiungono alcuni,
provvidamente recuperati), ma ai
suoi gloriosi Nebbiolo, Sangiovese,
Aglianico, e ai riscoperti o rivalutati
Barbera, Montepulciano
d’Abruzzo, Nero d’Avola, Primitivo, Negroamaro, Verdicchio (tanto
per citare solo pochissimi noti) vede
de
pesaffiancarsi e miscelarsi sempre più spesso i cosiddetti internazionali,
13
la Francia punta sulla classicità
immutabile delle sue grandi aree (rigorosamente riservate da
sempre solo ad alcuni vitigni in esclusiva, senza possibilità di commistioni) e
continua a consacrare la Borgogna a Pinot Nero e Chardonnay, il Bordeaux
a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, e nella versione bianca a Semillon e Sauvignon, e l’Alsazia soprattutto ai vitigni bianchi
aromatici (Riesling e Gewürztraminer su tutti). Ma prova poi a rilanciare
(come è avvenuto nel nostro Sud) le sue zone più “calde” e meno blasonate.
Operazione già in buona parte riuscita con l’area del Rodano (Syrah su tutti)
e in corso per Linguadoca e Provenza. Non va dimenticato del resto che
nella “top ten” dei vitigni più coltivati al mondo, la Grenache (Guarnacha in
Spagna), l’Ugny (Trebbiano in Italia, in mille versioni locali), la Mourvèdre
(Monastrell in Spagna) e il Carignan (Carignano nelle aree nostrane in cui
si coltiva) precedono o tallonano da presso gli stessi Cabernet e Merlot, e
battono di gran lunga lo Chardonnay.
La “crema” dei francesi da export (di nuovo Cabernet, Chardonnay, Merlot, e
poi Syrah e Pinot Nero) è il nerbo delle scelte americane. Cui si sono aggiunti
a ondata vari vitigni di moda (tra essi Pinot Grigio e Barbera, ma anche Chenin e Sauvignon) e la rivendicazione dello Zinfandel, in realtà copia genetica
e figlio “emigrato” del Primitivo. Oltre a limitati esperimenti con “isole” autoctone come la Concord, originaria dello Stato di New York.
Scelgono più o meno lo stesso mazzo francesizzante Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, aggiungendoci “prove” interessanti con gli aromatici (ma
attenzione: la amplissima deregulation lasciata ai vinificatori in quelle nazioni permette pratiche e “profumazioni” esogene da noi per fortuna imposg
sibili). Variano il menù i “vecchi” paesi riemergenti (l’Ungheria
con le sue uve
ati dei nostri, la
da Tokaj, la Grecia con vecchi vitigni in parte antenati
nde inte
t resse)
Slovenia con un mazzo di buon assortimento e grande
interesse)
altà, i vitigni
e l’Argentina, che punta molto sul Malbec. In realtà,
rdinari, e si
del mondo a diffusione puntiforme (alcuni straordinari,
nella, Mopensi solo all’Arbois del Jura o alle Corvina, Rondinella,
linara del nostro Amarone) sono tantissimi. Alcuni,i, troppi,
ancora a rischio di estinzione e di sopraffazione daa parte
delle new entries. E su tutto il panorama incombee poi
he, a
lo spettro degli Ogm. Un colpo alla biodiversità che,
no il
fronte di vantaggi che qui non avrebbero nemmeno
ior
discutibile alibi del contributo potenziale alla maggior
nutrizione del mondo affamato, ci sembra per ora da
nricacciare nel suo naturale ambito: i laboratori, senza invasioni di campo (alla lettera) che potrebberoo
rivelarsi esiziali.
14
Il servizio
N
ei locali pubblici è sempre più spesso svolto dal sommelier - che serve
tutte le bevande - o da uno dei titolari, debitamente acculturato attraverso la
frequentazione di corsi appositi. A casa servire il vino è compito di chi ospita.
Nei locali pubblici, la regola è che il primo ad essere servito e ad assaggiare
il vino è chi ordina (e spesso lo paga); a casa, invece, se non vi è un ospite di
esperienza riconosciuta, è bene che chi ospita assaggi il vino per evitare spiacevoli sorprese agli invitati.
Il rituale del servizio professionale vuole che la bottiglia si mostri da sinistra,
con l’etichetta ben in vista, ma si serva da destra, in senso orario, con un tovagliolo sotto il collo della bottiglia, quando non vengono impiegati moderni
salvagoccia, mentre l’altra mano tiene il fondo della bottiglia stessa. Si procede, avuto l’ok da chi ha assaggiato, dalla signora più anziana alla più giovane e
quindi si ripete, seguendo l’età decrescente per i signori. Ma le eccezioni raccomandate dal galateo sono una miriade; tra le varie curiosità, quella secondo
cui, se avete ospite un prelato, dovrà essere servito lui per primo, rubando la
scena anche alle signore.
L’ordine di servizio dei vini va generalmente dal più leggero al più strutturato,
da quello con il grado alcolico minore a quello con gradazione più elevata; e
si procede, in genere, dal vino bianco, al rosé, al rosso, con aromaticità e persistenza crescenti. Unico permesso di retromarcia con i vini da meditazione
o dessert, abbinabili anche a portate particolari (foie gras, alcuni piatti a base
di interiora o di formaggi erborinati, e, secondo una moda francese,, anche ad
alcuni tipi di ostriche).
Le temperature di servizio sono importantissime: in generale spumanti
e champagne si servono tra 6° e 8°,
ma fanno eccezione (con temperature
meno basse) i grandi millesimati, i particolarmente strutturati, quelli da basi
°,
elevate in legno; i bianchi tra 8° e 12°,
secondo struttura e complessità; i rosé e i
ratura
rossi partono da 12°, fino ad una temperatura
essi.
di 18° per i vini più strutturati e complessi.
peratura
Da ricordare che abbassando la temperatura
olcezza e
diminuisce in ogni la sensazione di dolcezza
di alcolicità.
I bicchieri a tavola si mettono prima del vino
dendo
e si lasciano fino a fine pasto, procedendo
nell’uso dall’esterno all’interno, da destraa a
15
sinistra. È preferibile scegliere
un bicchiere - che il galateo vuole impugnato per lo
stelo o per la base, mai per il calice perché il vino si scalda e perché
le mani hanno un loro odore - in cristallo sottile trasparente senza decorazioni per apprezzare tutte le caratteristiche del vino. Per spumanti e champagne
usate la flûte, perché l’altezza esalta il perlage e l’imboccatura stretta concentra
i profumi; ma per prodotti più maturi e complessi è preferibile un calice più
ampio e panciuto; mentre la coppa è adatta solo a spumanti dolci e aromatici.
Per vini bianchi e rossi giovani, ma anche i vini da dessert un calice di medie
dimensioni leggermente svasato; mentre per i rossi più importanti un calice
ampio. Ogni vino però si può dire che abbia il suo bicchiere. Mentre il classico
‘tulipano’, detto anche ‘normalizzato I.S.O.’, è riconosciuto ideale per la degustazione a livello internazionale. Una curiosità sono i bicchieri con lo stelo
verdolino, di origine renana e alsaziana, un’anomalia in linea di principio, e da
usare rigorosamente solo con i vini di quelle regioni per esaltarne le nuances
verdastre, proprie di vini bianchi con grande acidità. Un’ultima notazione per
chi non può, o vuole, dotarsi di un parco bicchieri articolatissimo: un buon
calice di media ampiezza e a stelo medio va abbastanza bene per la maggior
parte dei vini. Non è ideale per tutti, ma non ne “ucciderà” quasi nessuno.
Gli ‘attrezzi’ del vino per una degustazione tecnica sono il taster o ‘uovo’, detto
anche ‘empitoyable’ perché non perdona i difetti, dal bordo molto rientrante;
e, per i sommelier di scuola tradizionale, i due tastevin, le “tazze” speciali dette
‘Bordolese’ (ideale per i rossi, con un’unica bolla di livello centrale per rompere
la molecola olfattiva) e ‘Borgognona’ (con bolla al centro, 8 perline per i rossi e
7 scanalature per i bianchi). Entrambi sono in argento o in cristallo.
Fanno parte del corredo il cavatappi, il secchiello da ghiaccio e il decanter,
oltre alle pinze o i decapsulatori di nuova generazione per tagliare le capsule e pinze da champagne. Il cavatappi migliore è quello da sommelier
con il coltellino da un lato, il ‘verme’ o scanalatura lunga,
a 5 spire al centro, e la levetta dall’altro lato. Aprire
una bottiglia richiede solo un po’ di pratica ma
important soprattutto per non
è un’operazione importante
su
rischiare di rompere il sughero.
Pulire la bottitovag
glia all’esterno col tovagliolo,
quindi incidere
sotto l’anello inferiore la capsula del tappo
pr
con il coltellino e praticare
un taglio verso
l’alto; togliere la ca
capsula; puntare il ‘verme’ direttamente al centro del tappo,
a
avvitare senza andare
troppo a fondo
per non buc
bucare il sughero; puntare quindi la leva sul bordo del
16
collo e
tirare il braccio
verso l’alto tenendolo
per l’estremità; estrarre quindi il sughero senza piegarlo, annusarlo per sentire
eventuali difetti e riporlo su un piattino di servizio senza toccarne la superficie già a contatto con il vino con le mani. La caraffatura nel decanter è scenografica, ma spesso inutile: è utile l’ossigenazione di vini rossi molto strutturati
e invecchiati, ma per un massimo di due ore prima della degustazione. Il
decanter si utilizza solo per vini rossi con grande struttura per evidenziare
ed evitare eventuali depositi, o al contrario per vini giovani e strutturati, che
hanno urgentissimo bisogno di “respirare”. Nel primo caso va usato con una
fonte dii luce sotto il collo del recipiente
recippiente (coq) per vedere l’laarrivo di
d depositi.
depo
17
La conservazione
P
er vivere a lungo, e bene, cioè evolvendo e migliorando secondo le potenzialità intrinseche che ciascuna tipologia, ciascuna singola vendemmia (e
ciascuna bottiglia) possiede, il vino deve conservare il più possibile invariate
alcune condizioni essenziali: non vuole né luce, né rumori forti (che si traducono in vibrazioni), né vicinanza alle fonti di calore, che possono accelerare
drammaticamente i processi di maturazione o riavviare processi biochimici
indesiderati. Richiede invece un’umidità almeno del 60-70% nell’ambiente di
conservazione (se è più alta, provvedete, se ci tenete, a proteggere le etichette
con una “pellicola” trasparente da cucina) ed una relativa omeostasi (cioè costanza di condizioni) soprattutto in fatto di temperatura, che in cantina non
dovrebbe salire mai troppo oltre i 15°, né scendere sotto i 10°.
L’ambiente dove il vino sosta dovrebbe essere quindi, idealmente, riparato
dall’esterno, possibilmente interrato, con pavimento di ghiaia per contrastare
l’insorgere di muffe (se ciò non è possibile, del cotto non trattato, del cemento
o un mattonato sono buone alternative), con gli scaffali leggermente staccati
dalle pareti per salvare il vino da possibili vibrazioni. Ricordate: il vino assorbe gli odori, quindi è opportuno riservargli uno spazio lontano da salumi,
formaggi o, peggio, lucidi da scarpe e detersivi, nel caso di ripostigli. Se non si
dispone di una stanza adatta o di una cantina, è bene ricordare che il legno è
di per sé un ottimo isolante, dalle scatole alle scaffalature (non male, di nuovo,
neppure il cemento). Esistono inoltre portabottiglie in polistirolo espanso
che “accolgono” quasi per intero la bottiglia (ne esce solo il collo). In questo
caso, è indispensabile proteggere l’etichetta se l’ambiente è molto umido. Se
scegliete una stanza, o stanzino, in casa, che sia quella priva di radiatore o che
il radiatore sia sempre spento. In
n estate, la stanz
stanza andrebbe refrigerata e, se
necessario, bisogn
bisognerebbe favorire il mantenimento di un certo tasso di umidità.
impor
È importante
mantenere tutte le
bottiglie sdraiate (di qualsiasi colore
vin non è vero che il vino
sia il vino):
può acc
accusare in tal modo sentori
sugh
di sughero,
purché, certo, il tappo
non aabbia difetti; nel caso contrari sarà comunque inutile la
trario,
po
posizione
eretta. Da ricordare
ch l’aria calda tende a salire,
che
quindi in una cantinetta
domestica meglio po-
18
sizionare
in basso gli spumanti
(possibilmente con il collo della bottiglia slivellato leggermente verso il basso, in modo che la piccola bolla d’aria che si forma nella bottiglia sia il più
possibile ricacciata verso il fondo), più su i bianchi e infine i rossi. In frigo la
bottiglia non dovrebbe sostare più di pochi giorni, e mai in freezer: per un
raffreddamento rapido meglio utilizzare il secchiello del ghiaccio, con acqua e
un pizzico di sale grosso, insieme al ghiaccio. O i nuovi “vestiti” refrigeranti in
cui infilare la bottiglia per qualche minuto, in vendita da qualche tempo nei
negozi specializzati. Se resta aperta una bottiglia di spumante, e il liquido la
riempie ancora per almeno metà, la si può conservare in frigo fino ad un paio
di giorni tappando ermeticamente la bottiglia con gli appositi tappi-stopper.
I cucchiaini infilati nel collo che qualcuno si ostina a usare sono solo il retaggio di inattendibili leggende metropolitane.
Altra soluzione per conservare il vino sono gli armadi refrigerati - ancora
abbastanza costosi - che hanno comparti separati, gestibili a temperature diverse (anche se a volte si rivelano più basse del necessario).
Questa soluzione è ideale per vini che si consumano entro pochi mesi dall’ingresso nel contenitore. Ma è comunque un ammortizzatore utile per chi non
abbia una cantina, abbia in casa temperature elevate in ogni ambiente, e voglia proteggere almeno alcune bottiglie importanti. In questo caso, sacrificate
l’estetica e scegliete armadi con porte refrattarie alla luce.
Quanto alla selezione su cui cominciare a innestare un progetto di cantina,
dipende senza dubbio da due fattori determinanti: disponibilità economica e
spazio. Ci limiteremo qui a un’indicazione “basic”, supponendo un avvio con
50 bottiglie circa e un investimento massimo sui 5-600 euro.
4 spumanti;
10 bianchi delicati, non elevati in barrique;
10 vini bianchi corposi o anche affinati in legno;
2 rosati;
10 rossi giovani o da medio invecchiamento;
10 rossi da grande invecchiamento;
4 vini da dessert di varia tipologia, spumanti e non.
Un ultimo consiglio: comprare possibilmente più bottiglie dello stesso tipo.
Questo consentirà di poter seguire l’evoluzione del vino nella bottiglia, comparando le degustazioni fatte (impariamo a prendere degli appunti quando
assaggiamo un vino) nel trascorrere del tempo.
19
La degustazione
E’
una tecnica (e un’arte) che permette di valutare il vino in tutti i suoi
aspetti; è un’analisi sensoriale (od organolettica) sulla base di parametri qualitativi, teoricamente tradotta e comunicata secondo una terminologia codificata a livello internazionale. Ben diversa dunque dall’analisi chimica del vino,
basata su elementi quantitativi, e che può essere utile invece, ad esempio, dal
punto di vista legale e, quindi commerciale. Ma anche come supporto di relativa conferma per le “sensazioni” del degustatore avveduto.
La degustazione è anche un’abitudine che migliora con l’esercizio e la varietà
dei casi che si analizzano. Le condizioni migliori: per una degustazione tecnica, meglio “lavorare” di mattina ed essere a digiuno; altra cosa è il bere per
il piacere di farlo e soprattutto per mangiare meglio (si sa, un abbinamento
riuscito valorizza il vino e il cibo). Scegliete una tovaglia bianca come sfondo
per apprezzare il colore, evitando di fumare, di indossare profumi, e di gustare prima cibi dal sapore troppo forte o particolare (finocchi e carciofi crudi,
cibi conditi con limone e aceto, o gelato, che inibisce le papille gustative, e va
bene, eventualmente, solo con i distillati).
Per valutare al meglio il colore del vino inclinare il bicchiere, mai riempito
oltre un terzo, a 45 gradi, e concentratevi sul bordo dl liquido, la cosiddetta
“unghia”, il cui colore e permeabilità alla luce vi forniranno buoni indizi. Il
bicchiere si ruota, invece, per far ossigenare il vino più rapidamente e promuovere l’espansione del bouquet. I famosi “archetti” che si notano sulle pareti,
soprattutto con i vini rossi, indicano l’alcolicità (quanto più sono elevati) e la
morbidezza (se sono fitti e scendono lentamente).
L’esame visivo valuta la limpidezza ed il colore. È importante anche per riscontrare la rispondenza al tipo di vitigno e allo stato evolutivo (cioè all’età “dimostrata” rispetto all’età anagrafifica) del vino: bianchi, rosé e rossi tendono nel tempoo
a trasformare il colore, per caricarlo, nei bianchi,
dal giallo verdolino, al paglierino, fino al dorato e
all’ambrato; o per scaricarlo con l’invecchiamento,
nei rossi, tendendo all’aranciato e addirittura al
rosa mattone. In questi casi si deve prestare attenzione a possibili ossidazioni (anche da cattiva conservazione). Il colore indica anche il tipo di vino,
ad esempio passiti e liquorosi hanno sempre colori
giallo carico tra il dorato e l’ambrato. Particolare luminescenza è propria dei vini spumanti per effetto
della rifrazione dell’anidride carbonica. A proposito::
come si valuta il perlage?
erose
L’alta qualità è data da bollicine con grana fine, numerose
20
e persistenti.
Ora si può inspirare
profondamente con il naso nel
bicchiere, possibilmente una narice per volta, rapidamente (l’olfatto si assuefà
facilmente). I difetti principali sono il sentore di ‘tappo’, lo ‘spunto acetico’ o
un po’ di anidride solforosa. Il profumo è dato dagli aromi primari (tipici
dell’uva, e dunque importanti per riconoscere i vitigni aromatici, e poi in genere i monovitigni, con identificazioni peculiari come la foglia del pomodoro
per il Sauvignon, la rosa e le spezie per il Gewürztraminer, la ciliegia resca del
Sangiovese), ma anche dagli aromi secondari e terziari, importanti soprattutto nei grandi vini, con un bouquet ampio, reso ancor più complesso dall’invecchiamento. Del profumo si valuta l’intensità, la persistenza (fondamentali
per l’abbinamento con il cibo: non ci deve essere la prevalenza né dell’uno né
dell’altro). Poi si passa alla descrizione: se la qualità è alta, i sentori riconoscibili saranno distinguibili e numerosi; all’inizio per facilitarsi il compito si
può partire, al contrario, dagli aromi, e provare a cercarli nel vino, tenendo
presenti alcune regole di affinità e tipicità, per poi poter procedere anche ad
una degustazione cieca, cioè con bottiglie che qualcuno avrà “bendato” per
voi. I vini bianchi, ad esempio, avranno in genere sentori floreali, o di frutta
bianca o gialla, più o meno maturi, oltre alla rispondenza tipologica al vitigno. Ma l’elenco delle sensazioni possibili è quanto mai vasto: frutta fresca,
cotta, in confettura e secca; fiori, sentori vegetali; lieviti, crosta, pane (tipici
degli spumanti); spezie; eteri (sentore di vernice e solvente, tipico ad esempio
di molti passiti, dove è regolarmente presente un po’ di acidità volatile), fino a
sentori diversi che toccano il sottobosco, l’animale (il sottosella teorizzato dai
francesi), la pelliccia, il cuoio, la liquerizia, il cioccolato, e molto altro ancora.
Il terzo incontro è l’esame gustativo, che richiede un sorso da far “girare” lambendo tutta la bocca, quindi deglutire e masticare a bocca vuota: se il vino è
persistente, l’esame non è ancora finito e il “ricordo” del vino può dirci ancora
qualcosa. La prima cosa che si percepisce è la dolcezza, quindi la
morbidezza,
che permette di valutare un vino secco, abbocmorb
cato o dolce e intuirne la gradazione alcolica (l’alcol in genere
ne dà una sensazione di dolcezza): con l’aumento della
gradazione
cresce poi il calore. L’acidità che individua un
gr
vino
v più o meno fresco si misura dalla salivazione, come
la sapidità, ma questa dopo la deglutizione. Per i rossi è
importante
la valutazione dei tannini, che danno astrinim
genza:
quando un vino è troppo giovane o non elegante
g
l’astringenza può essere inizialmente ruvida ma, talvolta,
ta se la massa dei tannini è palatabile, “spalmabile” alla
fine
n sul palato come burro di arachidi, è una promessa
di lunga vita. Nell’esame gustativo si considera, oltre a
intensità
e persistenza, la struttura: per cui un vino può
int
21
essere magro o di corpo,
fino ad essere pesante. Attenzione poi a
cosa resta in bocca: il vino infatti non ha ancora finito il suo viaggio
e le sensazioni possono virare, per esempio con un fondo finale piacevole,
ammandorlato o amaro. Ma prima di fare tutto questo, allenatevi. Iniziando
da test semplici e utili.
Ecco alcuni esempi. Il test triangolare consente di accertare anche piccole
differenze tra due campioni dello stesso vino, ed è anche molto adatto per
la formazione e l’allenamento; consiste in assaggi comparati e “ciechi” di tre
campioni di cui due uguali tra loro, e il degustatore deve appunto riconoscere i due campioni uguali. Nel duo-trio test, con scopi analoghi, un campione funge da testimone e viene assaggiato da solo, e a parte. Quindi, dopo
mezz’ora, si passa ad altri due vini: uno è lo stesso del testimone, l’altro è un
vino differente; il degustatore deve indicare quale campione tra il secondo e il
terzo è uguale al testimone. Il test di comparazione consiste nel confronto tra
due campioni per accertare se esistono differenze puntate specificatamente su
un certo carattere (per esempio la dolcezza); è adatto anche per determinare
una graduatoria fra più campioni. Interessante anche provare a mettere in
fila correttamente diverse annate dello stesso vino in una cosiddetta degustazione “verticale” cieca. Il test di annotazione, quello classico, presuppone già
una buona conoscenza tecnica, perché si devono indagare vari aspetti che poi
vanno annotati e descritti. Dovendo degustare un vino sconosciuto, il tecnico
può esprimere giudizi e valutazioni su colore, limpidezza, corpo, profumo,
aroma, acidità, alcolicità, ecc.; alla cieca, ammenoché non si sia con certezza
riconosciuto il vino, è velleitario ovviamente ogni giudizio sulla tipicità. Per
procedere nel modo più ortodosso alla degustazione, è comunque necessario
che il degustatore si trovi in buone condizioni (evitate i giorni di raffreddore
e i periodi di allergie); il locale in cui avviene la degustazione deve avere una
temperatura di circa 18-20 °C con il 60-70% di umidità, essere esente da
odori di disturbo e presentare la possibilità di ricambio dell’aria. La luce più
adatta è quella solare, in mancanza della quale è necessario un tipo di luce che
non alteri i colori; non è quindi adatta quella al neon. Ricordate che i colori
vivaci stimolano intensamente gli organi di senso, ma li stancano presto e
talvolta li ingannano, per esempio la luce rossa rende più intenso il colore
rosso e più cupo il colore
coolore gial
giallo del vino, e inoltre fa sempre più intenso il
p
profumo
del vino bianco. Concentratevi, prima
d degustare. Scrivete quel che sentite, prima
di
di discuterne. Degustatori più “dialettici”, e
non necessariamente più sensibili, potrebbero
influenzarvi. Prendente sempre nota, quando degustate. E conservate i vostri taccuini.
È una vera emozione confrontare la scheda
d un vino riassaggiato a distanza di anni con
di
qu relativa alla prima esperienza.
quella
Ed è un doppio test. Sull’evoluzione del vino, e
sulla vostra, come degustatori.
22
L’abbinamento
cibo-vino
L’
abbinamento con il cibo? Per semplificare estremamente possiamo ricordare che ci sono abbinamenti stravaganti sperimentali, tradizionali (quelli
della cucina regionale di solito sono una buona soluzione per chi non è un
esperto, ma attenzione che cibi, ricette e vini talvolta nel tempo si sono trasformati in modo significativo e non sempre nella stessa direzione) e per contrapposizione - metodo scelto dall’Associazione Italiana Sommelier - mentre
per il dessert si sceglie l’analogia (vedi schema).
Metodo della contrapposizione e analogia
Colore chiama colore;
Complessità si sposa a complessità.
Olfatto
Cibi aromatici e speziati con vini altrettanto aromatici e profumati.
Gusto
La tendenza al morbido e al grasso si contrasta-armonizza con l’acidità e
l’effervescenza;
Succulenza e untuosità hanno come contraltari alcolicità e tannicità;
I gusti amarognolo, sapido e acido hanno come antidoto e complemento la
morbidezza;
Un cibo aromatico-speziato chiede, per assonanza, aromaticità e speziatura.
Vi sono cibi che per una caratterizzazione spiccata sono difficili da abbinare al
vino o richiedono grande accortezza, in particolare le cosiddette ‘negazioni’:
verdure crude, soprattutto finocchi e carciofi;
verdure condite con limone e aceto;
marinature forti;
frutta acida (agrumi in particolare);
gelato (perché il freddo inibisce le papille
gustative);
cibi dichiaratamente salati: acciughe, aringhe,
bottarga;
cioccolato fondente amaro, per la forte componente tannica;
uovo, funghi e tartufi, salumi speziati, in generale, vogliono vini con poca tannicità perché
altrimenti conferiscono un sapore metallico e,
tranne nel primo caso, grande aromaticità e
persistenza.
23
I luoghi del vino
U
no scenario drasticamente mutato nel giro di vent’anni. In parallelo alla
“rivoluzione” di qualità avviatasi nel mondo della produzione vinicola nazionale, è partita quella dei luoghi di consumo dedicati. Non dimentichiamo che,
solo pochissimi decenni fa, il luogo del vino era l’osteria. Straordinario “topos”
letterario, nostalgico teatro di storie e di racconti, approdo rilassato di anziani.
Ma certo, quanto di meno trendy e giovanile si potesse immaginare. Il vino è
uscito dal pur storico ghetto delle osterie quando (e qui l’apripista è stato forse
il Prosecco) è riuscito ad approdare per la prima volta nei luoghi dell’aperitivo:
nei bar frequentati “anche” dai giovani. Ma poi ha saputo guadagnarsi insegne
e spazi propri, e addirittura invadere da protagonista quelli in cui il defilé è
abitualmente riservato al cibo: il ristorante. Ma andiamo per ordine.
L’enoteca
L’enoteca è oggi molto più di una semplice bottega specializzata: è, quando
funziona bene, un luogo sociale di incontro e di discussione, soprattutto dove,
oltre alla vendita da asporto, è prevista la mescita. Il rapporto con il gestore
è fiduciario. Si accettano consigli, “dritte” su novità e produttori emergenti.
E non è un caso certamente che numerose enoteche dedichino uno spazio a
pubblicazioni di settore (guide, riviste, ecc.) consultabili dalla clientela o addirittura in vendita. Al banco parte spontaneo il confronto (spesso tra persone sconosciute, fino a quel momento) sul bicchiere che si sta bevendo. Il clima
è insomma quasi sempre da degustazione, oltre che da consumo. I “valori” del
vino vengono comunicati e scambiati.
Il wine bar
La riconiugazione tra vino e cibo, ma lasciando dichiaratamente al primo il
ruolo da protagonista, è alla base dell’atto di nascita e del sucesso del wine bar,
la tipologia di esercizio pubblico con il maggior numero di nuove aperture
nell’ultimo decennio (se si eccettuano forse gli shop specializzati di telefonini). Il wine bar mette le specialità gastronomiche (attenzione: selezionate
con lo stesso spirito con cui sono scelte le etichette per la cantina, frutto cioè
di ricerca) e alcuni piatti “giusti” al servizio dell’eno-appassionato. Il gioco è
permettergli, bevendo “al calice”, attingendo cioè alla mescita, di assaggiare
più vini, e nel modo più gratificante. I wine bar sono divenuti centri di promozione dell’intero artigianato enogastronomico. E hanno creato, a modo loro,
anche un nuovo trend occupazionale.
24
Il wine restaurant
La carta dei vini in un certo senso perfino più importante del menu. E comunque, fiore all’occhiello del ristorante. In quanti locali italiani, oggi, è questa la situazione? Un numero sempre maggiore. Merito (o “colpa”, se volete)
anche delle Guide, che hanno cominciato ad attribuire alla qualità dell’offerta
di cantina un valore che riverbera sul “voto” dato al ristorante. Ma è la spinta
dal basso che ha fatto sì che in alcuni dei più celebri locali nazionali si vada
“anche” con lo scopo dichiarato di attingere a cantine straordinarie, e - nei
casi migliori - proposte con ricarichi non esosi, facilitati dalla velocità con
cui le bottiglie “girano”. Il wine restaurant deve (è chiaro) avere cucina valida e
originale, o non farà strada. Ma la tipologia, per ora, è in pieno trend ascensionale.
Conclusioni
Una riflessione finale: enoteche, wine bar, wine restaurant, hanno creato e
stanno creando spazi occupazionali per giovani che hanno frequentato corsi,
professionali e non, di conoscenza del vino e del suo servizio; e perfino per
semplici appassionati che abbiano dimostrato nei fatti la competenza acquisita sul campo. La loro fortuna ha alimentato la crescita della didattica di
settore (e molti di questi luoghi organizzano a loro volta dei corsi per clienti), innescando un circolo
virtuoso che ha tutti numeri
per far da pilastro allo sviluppo ulteriore del comparto
vitivinicolo italiano.
25
Il vinabolario
ABBINAMENTO: la tecnica di sposare il vino giusto ad ogni cibo e ad ogni piatto.
L’abbinamento più riuscito è quello in cui un sorso di vino “chiama” un boccone del piatto
e viceversa. Il gusto, data la variabilità immensa dei matrimoni possibili, recita comunque
un ruolo sostanziale.
ABBOCCATO: si dice di vino con leggero residuo zuccherino.
ACERBO: vino non ancora pronto, con acidità evidente.
ACIDITÀ: uno dei gusti fondamentali. In bocca si sente sui bordi laterali della lingua. Quella che si avverte in un vino è il risultato di un complesso di sostanze acide, alcune provenienti
dall’uva e altre di origine fermentativa, fondamentali per l’equilibrio di un vino sotto l’aspetto
degustativo e in prospettiva di evoluzione. L’acidità totale di un vino include le sostanze acide
volatili e fisse. Ma è utile, in enologia, riferirsi al pH di un vino, ovvero alla scala che ne misura l’acidità reale. Il pH sarà più basso nei vini più acidi e freschi. Nei vini più importanti
ed evoluti il pH sarà invece più elevato (quindi, acidità più bassa). I vini da elevazione (rossi,
ma anche bianchi) svolgono dopo la fermentazione alcolica quella malolattica che trasforma
l’acido malico in lattico, più debole, conferendo maggior morbidezza al vino.
AFFINAMENTO: processo che asseconda l’evoluzione nel tempo di un vino. Avviene in
acciaio e poi nel vetro della bottiglia, brevemente, per vini da vendere e consumare giovani. In
legno (botti di varie misure, a seconda di tipologia e impostazione del vino) e poi in bottiglia,
anche per molti anni se in condizioni ideali di conservazione, per i vini da invecchiamento.
AMABILE: vino dolce con avvertibile residuo zuccherino.
AMPELOGRAFIA: scienza che si occupa della classificazione e la descrizione delle diverse specie e varietà di vite. La scheda ampelografica più diffusa è quella approvata dalla
commissione internazionale dell’Office International de la Vigne et du Vin (O.I.V.) e per
ogni varietà evidenzia: il nome e i sinonimi, le caratteristiche vegetative (portamento, vigoria, descrizione del grappolo, dell’acino, della foglia, epoca di germogliamento,
epoca di maturazione) le attitudini colturali (comportamento rispetto a fattori climatici, insetti e malattie),
) i terreni più idonei.
ANIDRIDE CARBONICA: gas composto da una parte di carbonio e due di ossigeno che compare nel vino durante la fercome conseguenza di lavorazioni spementazione alcolica e com
cifiche. Essa è presente in tutti i vini, ma la sua evidenza
(le famose “bollicine”) si manifesta sensibilmente nei vini
frizzanti
spumanti.
frizzantti e negli spu
SOLFOROSA: gas composto da una
ANIDRIDE SO
parte
part
r e di zolfo e due
d di ossigeno utilizzato come anstabilizzante in enologia. La normativa
tisettico e stab
ssa precisi limiti inerenti il limite di
europea fiss
solforosa cche un vino può residuare, dato che
un suo eeccesso, oltre a conferire al vino un
odore
odor
o e non gradevole, può causare intolleranze e disturbi. Il contenuto varia
leran
comunque da vino a vino e da paese
co
a paese. Ce n’è di più in vini da uve
muffate o appassite naturalmente,
e genericamente in vini meno
ricchi di alcol.
26
APPASSIMENTO:
o sovramaturazione. Processo in cui gli acini perdono acqua concentrando zuccheri e altre sostanze presenti. Può avvenire sulla pianta (dove il rischio però è quello di esporre i
grappoli a intemperie) o dopo la raccolta in locali aerati, con i grappoli appesi al soffitto o
disposti su stuoie o graticci. Talvolta i grappoli vengono posti su tavoli cosparsi di paglia,
che consente una buona aerazione degli acini; da qui il termine usato dai francesi per alcuni vini passiti: vins de paille. Le uve possono restarvi anche per diversi mesi, riducendosi
notevolmente di volume (da 100 chili di uva si arriva a 60 o meno): si avrà così un mosto
ad alto tenore zuccherino destinato alla produzione dei vini detti passiti. La fermentazione,
data l’alta presenza di zuccheri, si protrae a lungo. Spesso per l’affinamento vengono usate
piccole botti di legno.
AROMATICO: vino ricco di sostanze aromatiche, che spesso riconducono ai componenti naturali e tipici del vitigno di provenienza.
ASTRINGENTE: vino che lega la bocca all’assaggio per alta presenza di tannino. La
sensazione è acuita da compresente forte acidità.
AUSTERO: vino imponente, con bouquet ben definito e finale asciutto o leggermente
amarognolo.
AUTOCTONO: si dice di ogni specie che si è originata ed evoluta nel luogo in cui si
trova, trovando in esso la miglior sede per esprimersi. La definizione vale ovviamente anche
per i vitigni. L’Italia è, tra i paesi produttori, quella con il più vasto e variegato patrimonio
di vitigni autoctoni in produzione. Il loro recupero e ritorno in auge è attualmente uno dei
fenomeni più importanti dell’enologia nazionale. In alternativa si parla invece di vitigni internazionali (Chardonnay, Cabernet, Merlot, Sauvignon, etc.), impiantati e adattati anche
in paesi emergenti ma con scarse tradizioni vitivinicole (California, Australia, Nuova Zelanda). Provengono essenzialmente dalla Francia,
e hanno trovato habitat perfetti anche in Italia.
AVVINARE: versare un po’ di vino in un recipiente perché
questo ne prenda l’odore. Si avvinano le botti nuove, per
diluire l’odore del legno, ma soprattutto si avvinano
i bicchieri (pratica ormai abbastanza frequente del
servizio) travasando da uno all’altro una piccola
dose di liquido per “vestirne” la superficie con il
vino che sono destinati a contenere.
BARRIQUE: botte in rovere con doghe piegate
a fuoco diretto, e quindi con superficie interna
a diversi livelli di tostatura. Ha capacità di circa 225 litri. Dona microossigenazione, aromi
caratteristici e tannini (da legno) ai vini che vi
maturano, contribuendo alla fissazione del colore e a vari altri fenomeni in rapporto con le
dinamiche evolutive del vino.
BLANC DE BLANCS: letteralmente, dal francese, vini bianchi ottenuti da uve bianche. Termine
specifico della produzione spumantistica, anzitutto
in Champagne, dove la “ricetta” base prevede uso di
Chardonnay (uva bianca) e Pinot Noir (uva nera),
da soli o miscelati. Di qui la distinzione tra i vini
frutto di blend, quelli da solo Chardonnay e quelli
da solo Pinot Noir (detti “blanc de noirs”, bianchi da
uve nere) vinificato senza contatto con le bucce.
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BOTRYTIS CINEREA: è un fungo che
attacca e metabolizza la buccia dell’uva, provocando la
disidratazione del grappolo e formando una muffa che conferisce al vino
sentori particolari. Non tutte le uve si prestano a produrre vini botritizzati:
sono necessarie varietà adatte, dalla buccia spessa e consistente. E neanche
tutti i luoghi sono ideali: il fungo per svilupparsi ha bisogno di un’alternanza di umidità e di sole, che favorisce la concentrazione dell’acino
attaccato. Celebri, tra i botritizzati, i Sauternes francesi e alcuni vini
mitteleuropei.
BOTTIGLIA: ogni vino ha quella ideale, dalle slanciate, sottili
renane alle panciute borgognotte, alle sobrie bordolesi, alle nuove
“futura” frutto di design. Sono in genere più scure e pesanti quelle
destinate a vini da invecchiamento. Ancor più pesanti (e spesse)
quelle da spumante, destinate a sopportare pressioni di varie atmosfere. Ma lo spumante vanta addirittura 8 formati. La base
è la cosiddetta “sciampagnotta”. E ci sono poi i formati più
grandi, per occasioni particolari, i primi due diffusi anche per
vini tranquilli. Sono: Magnum (1,5 litri, due bottiglie da 75
cl), Jéroboam, o doppia magnum (4 bottiglie), Réhoboam
(6 bottiglie), Mathusalem (8 bottiglie), Salmanazar (12
bottiglie), Balthazar (16 bottiglie), Nabuchodonosor (20
bottiglie).
BOUQUET: insieme dei profumi che un vino acquista con la maturazione (in botte, ed in seguito in
bottiglia).
BRUT: Champagne o spumante il cui zucchero
residuo è inferiore a 15 g/l. 2. Nell’extra brut: lo
zucchero residuo è compreso fra 0 e 6. Il brut de brut o brut zero non ha zucchero residuo.
Si chiama infine ‘pas dosé’ se è senza aggiunta di liquidi zuccherini e/o alcolici (liqueur) al
momento della ricolmatura e ritappatura definitiva, dopo la seconda fermentazione e l’eliminazione dei lieviti.
CALDO: vino ricco di alcol e glicerina, che dona alla beva la sensazione di calore.
CHIARIFICAZIONE: processo di “pulizia” del vino teso a renderlo trasparente e limpido.
I francesi lo chiamano “collage”: al vino viene in genere
infatti aggiunto un composto colloidale (dalla chiara
d’uovo alle gelatine o la gomma arabica) opposto ionicamente a quello della sostanza che nel vino causa
intorbidamento. Le due sostanze (quella del vino e
quella aggiunta) si attraggono elettricamente, “flocculando” (cioè unendosi) e precipitando. Un travaso e
una filtrazione separeranno poi il deposito dal vino.
Non tutti i produttori sono favorevoli all’uso di queste tecniche, che ritengono stressanti per il vino.
CORPO: insieme degli elementi che compongono
un vino, sottratti alcol ed acqua.
CORTO: vino poco persistente al gusto.
CRIOMACERAZIONE: processo che permette di estrarre dall’uva il massimo degli aromi senza
acquisire sostanze ritenute indesiderabili per alcuni
vini bianchi, o anche per rossi leggeri da pronta beva
(esempio: i Novelli). Il mosto viene raffreddato a 5-8°
gradi per un periodo che va da 10 a 24 ore.
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Il freddo inibisce gli
enzimi, e consente al vino, con
l’avvio della fermentazione alcolica, di acquisire
molte sostanze odorose aromatiche e pochi polifenoli contenuti nella buccia. Si ottiene un
vino ricco di aromi primari, provenienti dal vitigno, povero di tannini e di colore, morbido
e relativamente stabile alle ossidazioni.
CRU: letteralmente “allevato”. Termine che indica comunemente la provenienza di un vino
da un determinato vigneto o territorio ristretto, che gli conferisce caratteristiche organolettiche particolari nell’ambito di quelle pur tipiche dei vini dallo stesso nome. Secondo le
zone di produzione, però, il cru può riferirsi a estensioni di terreno anche piuttosto grandi,
purché omogenee.
CUVEE: assemblaggio di vini diversi. Pratica classica nella preparazione delle basi di
Champagne o spumanti, in cui vengono mescolate alle ultime annate vendemmiate “riserve” di millesimi diversi.
DECANTAZIONE: operazione di travaso del vino dalla bottiglia ad appositi recipienti,
in genere a forma di cipolla dal largo bulbo. Serve a separare vini maturi da eventuali depositi, o a ossigenare prima del servizio vini che ne abbiano bisogno per esprimere al meglio
il proprio patrimonio aromatico.
DISCIPLINARE: l’insieme complesso di regole da rispettare perché un vino possa fregiarsi della Denominazione di Origine Protetta. Le regole riguardano area territoriale, coltivazione e vinificazione. Il vino così prodotto viene poi generalmente sottoposto all’esame
di idoneità di una commissione che solitamente fa capo a una Camera di Commercio.
DISTILLAZIONE: processo di vaporizzazione e successiva condensazione in alambicco
che permette la produzione di alcolici a partire da fermentati di frutta, cereali, vinacce (la
grappa) o lo stesso vino (brandy, cognac, armagnac).
DOC e DOCG: acronimi per Denominazione di Origine Controllata e Denominazione
di Origine Controllata e Garantita.
DOLCE: è la prima sensazione gustativa che l’uomo conosce, la prima che avverte e la più
intensa: si coglie anzitutto sulla punta della lingua. Un vino è più o meno dolce in rapporto alla quantità di zucchero (detto residuo) contenuta dopo la fermentazione. Essa viene
espressa in genere in grammi/litro. In alcuni speciali vini dolci se ne può trovare fino a 400
g/l (la media è però di circa 60) mentre nei vini secchi il residuo è solitamente contenuto
in 1-2 (è ammesso fino a 4 g/l). A seconda della quantità di zucchero residuo il vino
viene definito anche abboccato (fino a 15 g/l), amabile (da 16 a 45 g/l), e
appunto dolce o liquoroso (oltre 45 g/l).
appunt
DOP: acronimo di Denominazione di Origine Protetta,
D
menzione obbligatoria che sostituisce le note DOC e
DOCG.
EQUILIBRIO: fondamentale per la qualità di un
vino. Uno dei massimi luminari di enologia, il francese
Peynaud, ha così sintetizzato l’e. di un vino: “Alcolicità,
morbidezza, acidità, tannicità: dati i principali componenti del vino il risultato finale è la loro somma algebrica”. L’equilibrio di un vino è quindi essenzialmente dato
da come questi elementi si combinano, si rafforzano, si
nascondono o si annullano.
ETICHETTA: è il mezzo attraverso il quale il
consumatore dovrebbe poter dedurre tutte le informazioni riguardanti il vino che sta bevendo, insomma una sorta di carta d’identità della bottiglia.
Ma oggi è sempre più un elemento di seduzione
29
e design, fatto in materiali
che vano dalla normale carta al sughero, a stoffe
preziose, e persino alla lamina d’oro. Mentre le informazioni
vengono in gran parte (salvo disposizioni di legge) rinviate alla controetichetta,
quando presente. Celebri le etichette di alcuni grandi vini italiani e francesi disegnate da
illustri artisti, e oggetto di collezione.
FERMENTAZIONE ALCOLICA: prima fase del processo di vinificazione, che comporta la trasformazione degli zuccheri (glucosio e fruttosio) in alcol etilico (o etanolo),
anidride carbonica e prodotti detti secondari. Gli agenti del processo sono i lieviti presenti nell’uva (o aggiunti dal vinificatore) che si “cibano” degli zuccheri trasformandoli.
Durante la f. a. si sviluppa anche calore. Ma il processo può cessare se la temperatura sale
a 35-38 °C; in questo caso il mosto diventa preda di batteri che trasformano lo zucchero
in mannite e fanno sì che si produca un liquido imbevibile. È per questo (e per altri
motivi, come la salvaguardia del patrimonio aromatico e la regolazione della estrazione
di sostanze dalle bucce) che il controllo della temperatura in fermentazione è oggi tra le
pratiche più usate in cantina.
FERMENTAZIONE MALOLATTICA: processo naturale, dovuto all’azione di specifici batteri, che trasforma l’acido malico (dal sapore molto pronunciato) in acido lattico,
decisamente meno aggressivo. Si innesta dopo la fermentazione alcolica, in alcuni casi subito dopo, a volte in primavera o all’inizio dell’estate successiva alla vendemmia. Ad avviarla
è la temperatura del vino, naturale o controllata, ma molto dipende anche dall’acidità di
partenza delle uve. Con la f. m. il vino comincia a cambiare le sue caratteristiche organolettiche: il colore evolve verso tonalità meno vive, i profumi acquisiscono nuove sfumature, il
sapore acquista in rotondità e pienezza.
FILLOSSERA: è stata una delle calamità naturali più gravi dell’agricoltura. Parassita micidiale, si nutre delle radici delle viti e, attaccato un vigneto, lo distrugge completamente.
Originaria del continente americano, è un afide arrivato in Europa intorno al 1850. Dalla
Francia si estese rapidamente in Europa distruggendo letteralmente i vigneti. La soluzione,
che ha evitato l’estinzione della vite europea, è stata quella di impiantare dei portainnesti
(radici di vite americana, immune alla f.) su cui innestare i vitigni desiderati. Per arrivare
a un giusto equilibrio ci sono voluti anni di studi e molte rinunce: la mappa dei vitigni in
Europa post-f. è cambiata radicalmente. E molti vitigni sono andati perduti. Esistono però
anche rare viti pre-f. dette a “piede franco”.
FILTRAZIONE: serve a separare i depositi formatisi in seguito ai trattamenti di chiarifica. I filtri possono agire per setacciamento (trattengono tutte le sostanze di dimensione superiore a quelle dei pori del filtro); per assorbimento (sono trattenute le sostanze del vino
la cui carica elettrica è opposta a quella del filtro); per ritenzione in profondità (vengono
trattenute particelle anche più piccole dei pori del filtro, in quanto restano intrappolate tra i
meandri costituiti dall’intreccio delle fibre costituenti il filtro). Non tutti i vini sono filtrati,
alcuni produttori preferiscono infatti preservarne l’integrità a scapito di alcune caratteristiche estetiche.
GRADAZIONE: quantità di alcol contenuta
in un vino, risultato della trasformazione degli
zuccheri per opera dei lieviti presenti nelle uve.
Dunque, partendo da uve con un elevato grado
zuccherino si avrà una maggiore g. È misurata in gradi, ovvero millilitri percentuali: se un
vino riporta in etichetta 12 gradi, contiene il
12% in volume (120 ml per litro) di alcol. L’alcol influisce sulla qualità del vino: è corresponsabile della morbidezza, pastosità e rotondità,
contrasta e smorza gli effetti dell’acidità e
dell’astringenza, fa da supporto agli aromi
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primari e gioca
un ruolo determinante
nei vari processi di evoluzione.
IMBOTTIGLIAMENTO: atto finale della vinificazione, e iniziale dell’ultima parte
dell’affinamento del vino, che può durare, in condizioni opportune e secondo tipologia,
anche lunghi anni. Deve avvenire in condizioni di assoluta igiene e massima assenza di
ossigeno, Per i vini spumanti esistono procedure e macchine speciali onde evitare la perdita
di anidride carbonica disciolta.
LIEVITI: ne esistono migliaia di tipi, tutti naturali, tutti “selezionati” ma ognuno con
“compiti” diversi. Sono complessi di microrganismi in grado di provocare, attraverso gli enzimi prodotti, una fermentazione. Quelli presenti nell’uva (detti “indigeni”) sono in grado
autonomamente di far partire la fermentazione dei mosti. In molti casi, però, è prassi normale aggiungerne altri dalle caratteristiche diverse a seconda del risultato che si vuole ottenere. I l. sono fondamentali nella spumantizzazione: vengono aggiunti in bottiglia (metodo
classico) o in autoclave (metodo Charmat o Martinotti) per ottenere una rifermentazione
che svilupperà l’anidride carbonica responsabile delle bollicine. I lieviti influenzano il profilo organolettico del vino e i suoi profumi in particolare.
MATURAZIONE: processo decisivo del ciclo vegetativo della vite che inizia con la cosiddetta “invaiatura” dell’acino, e dura in genere 40-50 giorni circa, a seconda del clima,
della varietà e della forma di allevamento. La m. aumenta il contenuto zuccherino dell’uva
(maturità tecnica) e ne concentra le sostanze, portando a forme importantissime di polimerizzazione e di piena estraibilità composti contenuti principalmente nella buccia (maturità fenolica). L’avvenuta m. determina la data della vendemmia. Determinante per la m.
è la luce del giorno, più ancora del calore.
MOSTO: liquido zuccherino semidenso, che si ottiene dalle uve dopo la pigiatura. È composto da varie sostanze che erano nell’uva e che verranno trasferite al vino. È un elemento
vivo, che contiene il 65-80% di acqua e il 15-30% di zuccheri, per lo più fruttosio e glucosio.
Questi ultimi, tramite i lieviti, verranno poi trasformati in alcol durante la fermentazione.
Si dice m. “fiore” quello ottenuto dalla prima spremitura (da 100 kg di uva si ottengono
circa 65-70 kg di m. fiore).
ORGANOLETTICO: si dicono caratteri o. le proprietà di un vino percepibili durante la
degustazione, e valutabili
olfatto e del gusto.
abili attraverso i sensi della vista, dell’
dellolfatto
POLIFENOLI: principali
ncipali responsabili dell
gusto e del colore del vino. Comprendono
i flavonoli responsabili
ili del colore dei
vini bianchi, le catechine
hine e i leucoantociani,
responsabili
onsabili
dell’instabilità del colore
ore
dei vini bianchi, e gli
antociani per i rossi.
si.
Essi possono reagire
re
con gli acidi dei vini
ni
assumendo
colori
ri
più o meno brillanti.
ti.
Inoltre sono soggettti a ossidazione, così
sì
che il tono del colore
re
dei vini diviene più o
meno carico. Il p. per
er
eccellenza è il tannino.
o.
Proviene da bucce, raaspi e vinaccioli.
31
È presente perciò in maggior misura nei
rossi (vinificati con le bucce) in percentuale fra l’1 e il 5
per mille. I tannini nobili sono prerogativa delle migliori produzioni,
tra gli elementi più importanti per l’affinamento del sapore di un vino. Infatti, se maggiore è
la percentuale di tannino, e più accentuata è l’asprezza e la ruvidezza del gusto, succede però
che i tannini migliori evolvano col tempo, conferendo al vino equilibrio, meno astringenza e
più pienezza al gusto, e mantenendo nei vini rossi da invecchiamento un colore vivo. I tannini fungono anche da antibatterici, proteggendo il vino e assicurandone la longevità.
POTATURA: una delle operazioni fondamentali nei vigneti, determinante per equilibrare la produzione. La p. invernale viene eseguita da dicembre a marzo, mesi in cui la vite
“dorme”, e consiste nel “modellare” la pianta, riducendo la lunghezza dei tralci lasciando
un certo numero di gemme per trovare l’equilibrio produttivo che il viticoltore vuole ottenere. Una seconda p. detta “verde” si effettua poi per ridurre ulteriormente la quantità dei
grappoli da portare a maturazione, per concentrare la qualità in quelli (meglio esposti e
formati) lasciati in pianta.
PROFUMI: quelli del vino si dividono in primari (quelli tipici legati alla varietà dell’uva,
e detti perciò varietali, classico quello di salvia del Sauvignon); p. secondari, derivanti dai
processi di vinificazione, in particolare dalle fermentazioni (a seconda di qualità delle uve
e buon andamento della trasformazione degli zuccheri in alcol è possibile avere un arricchimento notevole degli aromi ma anche un’influenza negativa sulle caratteristiche organolettiche del vino); i p. terziari, i più complessi ed eterogenei (dalla canfora al cioccolato,
dal cuoio alla liquerizia) sono invece legati a maturazione e invecchiamento dei vini. Si
formano sia durante l’affinamento in legno sia, poi, in bottiglia in assenza di ossigeno.
Saranno loro a determinare il bouquet del vino: ovvero, proprio come in un mazzo di fiori
diversi, un insieme di profumi complesso, con diversi sentori e sfumature.
RETROGUSTO: residuo caratteristico di sapore che si percepisce in un vino dopo la
degustazione, in particolare nella zona posteriore della bocca e del palato. Quella cioè dove
avviene la deglutizione.
RETRONASALE: fase finale della degustazione
apparentementazione in cui i sentori, avvertiti apparentemen
te come sapori, sono in realtà mix di sensazioni
azioni soprattutto olfattive, dovute alla presenza di mucosa con recettori
cettori simili a quelli
nasali nell’area faringea.
SALUTE: sì, usato con moderazione il vino fa bene alla
salute. Dal cosiddetto “paradosso francese”, il minor rischio
colesterolo in zone a dieta grassa, ma dovee l’uso di vino
rosso a pasto è costante e regolare, alle sue proprietà antiossidanti, cioè anti-invecchiamento dei polifenoli,
olifenoli, agli
effetti benefici nell’ambito dell’Amd, una malattia
alattia della
retina, fino alle proprietà benefiche del resveratrolo,
sveratrolo,
presente nelle radici della vite, nei tralci, nelle
elle foglie,
nelle bucce degli acini e, di conseguenza nel
el vino, i
risultati ormai sono copiosi. Da rammentare
re che la
dose standard indicata come positiva è di poco
oco più
di mezza bottiglia al giorno, consumata ai pasti.
asti.
SOMMELIER: l’esperto, sempre più spesso
so diplomato in appositi corsi, addetto alla cantina,
a, alla
scelta, alla degustazione e al coordinamentoo del
servizio dei vini nei ristoranti, nelle cantinee dei
produttori, nei reparti dedicati dei supermercati
rcati
o in “nuovi” luoghi del vino, come enoteche con
mescita, wine bar e bistrot.
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TAPPO: nodale, nel bene (garantire semi-ermeticità e al tempo stesso un minimo apporto evolutivo al vino) e nel male (il classico sentore
di tappo, killer del vino, dovuto alla presenza di un parassita, l’Armillaria mellea, un fungo che si sviluppa nelle radici o alla base della
quercia del sughero). Ma frequenti sono anche le “diffamazioni”: presunti sentori di tappo, dovuti a successive alterazioni del sughero o
del vino dovute all’uso di legni di cattiva qualità, sapori di muffa
da sviluppo di microrganismi in cantina, o nella catena d’imbottigliamento. Attenzione, dunque. Non sempre è il tappo il
vero colpevole. Oggi, per la scarsità di sugheri adeguatamente
“anziani” è in corso una caccia alle alternative: da resine speciali
al ritorno al tappo di metallo a corona. Ma per ora il tappo tradizionale resta ancora re.
VITIS VINIFERA: è la sola vite da
vino. Appartiene alla famiglia botanica delle Vitaceae di cui fanno parte
circa 50 specie. Una di queste è la Vitis, con due sottospecie: muscadiniae
ed euvitis. Quest’ultima può contare
su 22 specie suddivise in tre gruppi in
base all’origine geografica. Quella europea è la Vitis Vinifera (suddivisa a
sua volta in due sottospecie, la sativa,
quella coltivata e la silvestris, selvatica)
da cui discendono diverse migliaia di
varietà.
ZUCCHERI: fondamentali componenti del
vino, divisi pressoché a metà tra glucosio e fruttosio. In genere, nel contengono di più i grappoli più
vicini alla pianta, mentre quelli più distanti sono
i più acidi. Oltre che nell’acino, gli zuccheri si trovano anche nel legno e nelle foglie della vite. L’aggiunta di zucchero ai mosti, permessa in annate
particolari in alcuni Paesi, non lo è in Italia.
© Enoteca Italiana, Siena 2010
Prima edizione 2003
Ideazione
Pasquale Di Lena
Testi
Antonio Paolini
Illustrazioni
Ro Marcenaro
Coordinamento editoriale
Silvana Lilli
Revisione grafica e stampa
Protagon Editori, Siena
Pubblicazione realizzata con il contributo del
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
D.M. n° 13801 del 14.09.2009
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