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diritto penale ii
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO PENALE II
LEZIONE IX
“LA TRUFFA”
PROF. MICHELE DI IESU
Diritto Penale II
Lezione IX
Indice
1 TRUFFA (ART. 640) ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. 1.7. 1.8. 1.9. 1.10. 1.11. 1.12. 1.13. 1.14. 1.15. 1.16. 1.17. 1.18. 2 GENERALITÀ --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 NOZIONE E SCOPO DELLA NORMA --------------------------------------------------------------------------------------- 3 ELEMENTO MATERIALE: A) CONCETTI GENERALI ---------------------------------------------------------------------- 3 CONCETTI DI «ARTIFICI» E «RAGGIRI» E CASI PRATICI ---------------------------------------------------------------- 4 L’INDUZIONE IN ERRORE E IL COMPIMENTO DELL’ATTO DI DISPOSIZIONE PATRIMONIALE ------------------------ 6 IL DANNO PATRIMONIALE. IN PARTICOLARE: IL PROBLEMA DELLA C.D. TRUFFA CONTRATTUALE --------------- 8 L’INGIUSTO PROFITTO ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 9 ELEMENTO SOGGETTIVO ------------------------------------------------------------------------------------------------ 11 IPOTESI PARTICOLARI DI TRUFFA --------------------------------------------------------------------------------------- 11 TRUFFA PROCESSUALE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 12 TRUFFA NEI RAPPORTI ILLECITI O IMMORALI -------------------------------------------------------------------------- 12 TRUFFA IN DANNO DEGLI ENTI PREVIDENZIALI ----------------------------------------------------------------------- 13 TRUFFA IN DANNO DELLE IMPRESE EROGATRICI DI ENERGIA ELETTRICA ------------------------------------------ 13 TRUFFA CONTRATTUALE ------------------------------------------------------------------------------------------------ 13 CIRCOSTANZE AGGRAVANTI SPECIALI --------------------------------------------------------------------------------- 13 PENE ED ISTITUTI PROCESSUALI ---------------------------------------------------------------------------------------- 15 DIFFERENZA TRA TRUFFA E REATI AFFINI ----------------------------------------------------------------------------- 15 GIURISPRUDENZA -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17 RICICLAGGIO (ART. 648BIS MODIFICATO DALLA L.9-8-1993, N. 328) ------------------------------------ 22 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 GENERALITÀ E NOZIONE DEL REATO -------------------------------------------------------------------------------------- 22 PRESUPPOSTO PER L’ESISTENZA DEL REATO ------------------------------------------------------------------------------ 22 ELEMENTO MATERIALE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 23 CONSUMAZIONE E TENTATIVO --------------------------------------------------------------------------------------------- 24 ELEMENTO SOGGETTIVO ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 24 CIRCOSTANZE SPECIALI ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 24 PENA ED ISTITUTI PROCESSUALI -------------------------------------------------------------------------------------------- 25 GIURISPRUDENZA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 25 3 IMPIEGO DI DENARO, BENI O UTILITÀ DI PROVENIENZA ILLECITA (ART, 648TER,
MODIFICATO DALLA L. 1993, N.328) ---------------------------------------------------------------------------------------- 27 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 NOZIONE E GENERALITÀ ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 27 ELEMENTO OGGETTIVO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 27 ELEMENTO SOGGETTIVO ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 28 CONSUMAZIONE E TENTATIVO --------------------------------------------------------------------------------------------- 28 AGGRAVANTE ED ATTENUANTE SPECIALI --------------------------------------------------------------------------------- 28 PENA ED ISTITUTI PROCESSUALI -------------------------------------------------------------------------------------------- 28 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Truffa (Art. 640)
1.1.
Generalità
Col reato di truffa (art. 640) inizia il 2° capo del titolo XIII del 2° libro del codice penale,
relativo ai Delitti contro il patrimonio mediante frode (artt. 640-648).
1.2.
Nozione e scopo della norma
Commette il delitto in esame chiunque, con artifici o raggiri, inducendo taluno in errore,
procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Il nucleo essenziale del delitto è,
dunque, l’inganno, sulla cui base la vittima viene indotta dall’agente a compiere un atto, positivo o
negativo, che comporta una diminuzione del suo patrimonio, e che non avrebbe compiuto senza la
frode dell’agente. Scopo della norma è, quindi, la tutela della libertà del consenso nei negozi
patrimoniali (così espressamente ANTOLISEI, la dottrina e la giurisprudenza dominanti).
1.3.
Elemento materiale: a) concetti generali
Il delitto di truffa costituisce un tipo di reato difficile da provare in concreto, sia perché
abbraccia una serie di figure tra loro dissimili, sia perché l’arguzia del truffatore è così sottile e
smaliziata che l’inquirente è costretto, il più delle volte, ad indagare sulle intenzioni dell’agente più
che sulla materialità del fatto.
In materia di truffa, infatti, spesso l’indagine si basa sulle recondite intenzioni dell’agente
più che sulla sua condotta, spesso apparentemente conforme alle regole di buona fede, e ciò spiega
le enormi difficoltà che si presentano nell’accertamento ditale reato.
Il delitto di truffa consta di quattro elementi:
1. una particolare condotta fraudolenta posta in essere dall’agente e concretantesi nei c.d.
artifici o raggiri;
2. l’induzione in errore della vittima come conseguenza degli artifici o raggiri;
3. il compimento da parte della vittima di un atto di disposizione patrimoniale a seguito della
detta induzione in errore;
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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4. un danno patrimoniale derivato alla vittima con conseguente ingiusto profitto per 1’agente
o per altra persona.
Ciascuno di questi quattro elementi verrà esaminato accuratamente nei paragrafi che
seguono.
1.4.
Concetti di «artifici» e «raggiri» e casi pratici
La truffa presuppone una condotta fraudolenta consistente nell’ ottenere la cosa altrui o,
comunque, nel conseguire un ingiusto profitto con altrui danno mediante artifici o raggiri; in
particolare: l’artificio si sostanzia nel far apparire come vera una situazione non riscontrabile nella
realtà; il raggiro consiste in un discorso o ragionamento teso a produrre un falso convincimento
nella vittima.
In definitiva: l’artificio opera sulla realtà esterna; il raggiro direttamente sulla psiche
dell’ingannato (ANTOLISEI, MANZINI, MARINI).
Si discute se la menzogna, il silenzio e la reticenza costituiscano o meno condotta
fraudolenta. Con riferimento alla menzogna, dottrina e giurisprudenza rispondono in senso positivo,
affermando che l’artificio e il raggiro di cui parla l’art. 640 non consistono soltanto in una
particolare, sottile e astuta messa in scena, essendo sufficiente a concretarli qualsiasi simulazione o
dissimulazione o qualsiasi subdolo espediente posto in essere per indurre taluno in errore, per cui
anche la semplice menzogna, quando sia architettata e presentata in modo tale da assumere l’aspetto
della verità e da indurre in errore il soggetto passivo, può integrare l’elemento materiale del reato di
truffa (Cass. 14414985 e, in dottrina, ANTOLISEI, MARINI, SAMMARCO).
Così ragionando, si ritiene possano considerarsi penalmente rilevanti anche il silenzio e la
reticenza quando si concretino nella violazione di uno specifico obbligo giuridico di comunicazione
(così Cass. 16-34990; 12-9- 1991) ovvero del generale principio di buona fede. In dottrina, invece,
MANZINI ritiene che il semplice silenzio non costituisca artificio o raggiro, neppure nel caso in cui
l’agente che serbò il silenzio aveva l’obbligo giuridico di parlare.
ANTOLISEI, a sua volta, ritiene che la menzogna non deve consistere in uno di quegli
inganni che sono soliti in certi ambienti e che la coscienza sociale giudica sì riprovevoli, ma come
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semplici scorrettezze (esempio: rnagnificare eccessivamente le qualità di un prodotto posto in
vendita).
Sulla base dei concetti sopra esposti di artifici, raggiri, menzogne, silenzio e reticenza, la
giurisprudenza ha ritenuto sussistere la truffa nei seguenti casi: nel caso di chi contratta sotto il
falso nome di un facoltoso commerciante e rilascia, poi, a pagamento della merce, cambiali
falsamente domiciliate; nel caso di chi, qualificandosi semplice propagandista di una merce, fa
firmare alla vittima un contratto di acquisto della merce stessa rassicurandolo che così facendo non
assume nessun impegno; nel caso di chi rilascia un assegno a vuoto dopo aver ripetutamente
assicurato la vittima sulla sua solidità economica (Cass. 6-10-1984): è giurisprudenza pacifica,
invero, che in materia di assegno bancario il semplice rilascio di un assegno a vuoto o postdatato
non costituisce di per sé artificio o raggiro idoneo ai fini della sussistenza del delitto di truffa
occorrendo anche che la consegna del titolo sia preceduta o accompagnata da una maliziosa
condotta dell’agente ovvero da una macchinazione comunque idonea a trarre in inganno il
prenditore del titolo (così Cass. 23-10-1984; 26-6-1985); nel caso di chi si presenti come dipendente
di un istituto di assicurazioni ed usando moduli e stampati di questo, tragga in inganno altri
facendosi consegnare somme in pagamento. di premi di assicurazioni stipulate con lo stesso istituto
assicuratore; nel caso di chi, profittando dell’erronea intestazione dei buoni di consegna e serbando
‘maliziosamente il silenzio su alcune circostanze che aveva l’obbligo di far conoscere, si fa
consegnare beni cui non ha diritto; nel caso di chi usi abusivamente il telefono altrui per
comunicazioni personali, inducendo in errore con false giustificazioni delle telefonate stesse il
titolare dell’ apparecchio tenuto al pagamento del costo delle telefonate; nel caso del debitore
esecutato che, inducendo in errore l’ufficiale giudiziario che procede al pignoramento col fargli
credere che il bene da pignorare appartiene ad un terzo, ottiene che il bene stesso non venga
pignorato; nel caso di chi si fa consegnare somme per spese di lite e compensi professionali,
adducendo di essere un legale mentre era stato cancellato dall’albo; nel caso di chi, simulando
amore per una donna e promettendole di sposarla, riesca a carpirle del denaro; nel caso di chi, in
compravendite successive di merci, dapprima fa acquisti per modesti importi pagandoli
regolarmente, così da ingenerare nel venditore l’erroneo convincimento di trovarsi di fronte ad un
contraente solvibile e degno di credito, e quindi faccia uno o più acquisti di importo notevole che
poi non provveda a pagare (Cass. 7-5-1983, n. 4275); nel caso di chi dichiari falsamente di avere
un determinato reddito al fine di essere ammesso a godere di un dato beneficio (Cass. 30-1-1982, n,
970); nel caso di un medico che presenti all’istituto previdenziale col quale è convenzionato notule
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per prestazioni effettuate da altri per ottenerne il pagamento; nel caso di un legale il quale ottenga
da un cliente un mandato ad litem mediante raggiri, e cioè facendogli credere, contrariamente al
vero, essere imminente l’asportazione dei beni ad opera dell’ufficiale giudiziario (Cass. 30-1-1982,
n. 970); nel caso di chi si presenti alle vittime in abiti talari ovvero accompagnato da bambini
malvestiti o finga pianto e disperazione ovvero insceni svenimenti al solo scopo di simulare uno
stato di bisogno e, quindi, di suscitare nell’animo delle vittime sentimenti di pietà al fine di
raccogliere somme di denaro come obolo (Cass. 16-12-1981, n. 11121).
Gli artifici o i raggiri devono mirare ad indurre taluno in errore, tuttavia, 1’ art. 640 non
richiede 1’ idoneità ingannatoria dei mezzi adoperati dall’ agente. Al proposito, la giurisprudenza
ritiene che tale’ idoneità non vada valutata in astratto bensì in concreto, avendo cioè riguardo alla
particolare situazione di fatto, alle modalità di esecuzione del reato allo stato psichico ed
intellettuale della vittima (così Cass. 27-7-1990).
A ben guardare, il problema assume rilevanza solo in caso di tentativo in quanto, nell’ipotesi
di truffa consumata, l’idoneità ingannatoria della condotta si rinviene nel fatto stesso del reato (così
Cass. 7-12-1990).
La dottrina è generalmente orientata nel senso della giurisprudenza (ANTOLISEI,
ANGELOTTI). MARINI, tuttavia, pur accettando la tesi della concreta induzione in errore della
vittima, precisa che un mezzo ingannatorio eccessivamente grossolano, cioè tale da indurre in errore
solo una persona particolarmente ingenua, non può mai essere considerato artificio o raggiro.
Nello stesso senso si è pronunciata anche la Cassazione (Cass. 20-2-1987, n. 2315).
In senso difforme, invece, è MANZINI per il quale l’idoneità va accertata anche quando il
reato è stato consumato, e non va valutata in concreto bensì in astratto, nel senso che l’effetto deve
risultare raggiunto con un mezzo che appaia ingannatorio non solo rispetto alla persona di cui in
concreto si tratta, ma rispetto alla generalità, sia pure considerata per categorie anziché nel suo
complesso. Nello stesso senso di MANZINI si è pronunciato DE MARSICO.
1.5.
l’induzione in errore e il compimento dell’atto di disposizione
patrimoniale
Gli artifici od i raggiri usati dall’ agente devono avere come conseguenza l’induzione in
errore della persona, consistente nella positiva certezza da parte di quest’ultima dell’esistenza di una
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situazione che in realtà non esiste L’ inganno posto in essere dal soggetto attivo non viene eliminato
per il solo fatto che l’induzione in errore sia stata facilitata dalla leggerezza di colui al quale i
‘inganno era rivolto (così MANZINI e ANTOLISEI)
È, altresì, giurisprudenza costante che il delitto di truffa è ravvisabile anche nel caso in cui la
persona indotta in errore non si identifichi col danneggiato.
Nello stesso senso in dottrina sono MARINL MANZINI e ANTOLISEI. ANTOLISEI, in
particolare, precisa che «soggetto passivo dell’inganno non puo essere una persona qualsiasi, ma chi
si trovi in una situazione giuridica tale da poter compiere l’atto di disposizione patrimoniale e;
quindi, oltre al titolare del diritto, colui che lo rappresenta, colui che ha il possesso della cosa, e così
via. È evidente che se fosse ingannato un estraneo non di truffa potrebbe parlarsi, ma di furto o di
appropriazione indebita, e l’ingannato assumerebbe la figura di autore mediato ai sensi dell.’ art.
48».
È altresì pacifico che il delitto di truffa non viene meno per il fatto che sia stata la stessa
vittima a rivolgersi al colpevole, poiché l’iniziativa di quest’ultimo non è indispensabile
all’esistenza del reato, bastando che il soggetto abbia determinato o rafforzato l’errore in cui la
vittima si trova.
Diverso è, invece, il caso in cui il soggetto si sia limitato semplicemente a sfruttare l’errore
in cui si trovava l’altro soggetto, errore non da lui determinato né da lui rafforzato: in tal caso,
siamo fuori dal reato di truffa e chi ha sfruttato l’errore non potrà essere chiamato a risponderne
Discusso è il problema se all’errore possa essere equiparata la completa ignoranza ai fini del
delitto in esame. In genere prevale, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, la tesi negativa sulla
considerazione che essa psicologicamente è una «non realtà» (cosi PEDRAZZI).
In tale ottica, ed in pratica applicando il principio, già ricordato, per cui la truffa è da
escludere nel caso di semplice sfruttamento dell’errore altrui, ricorda DE MARSICO che una cosa è
acquistare come agricolo un terreno sfruttando l’ignoranza del suo proprietario in merito
all’approvazione di un nuovo piano regolatore che lo classifica edificatorio ed altra cosa è, invece,
far credere al proprietario, con menzogna o con falsi documenti, che il nuovo piano regolatore non è
stato ancora né sarà mai approvato.
A seguito dell’errore cagionato dall’ artificio o raggiro, la vittima deve compiere un atto di
disposizione patrimoniale è questo che ANTOLISEI chiama il requisito tacito della truffa,
l’elemento cioè non espressamente previsto dalla norma incriminatrice ma implicitamente supposto.
Perché si abbia truffa occorre che vi sia un effettivo nesso di causalità fra gli artifici o raggiri,
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l’errore e la determinazione del consenso del truffato all’atto dispositivo. Tale flesso causale deve
essere concretamente accertato. L’atto dispositivo può avere ad oggetto qualsiasi elemento dei
patrimonio, e quindi non solo beni mobili, ma anche beni immobili e diritti, sia reali che di credito.
È fuori dubbio, poi, che la disposizione patrimoniale può avere anche carattere omissivo, come ad
esempio la mancata riscossione di un credito o il mancato esercizio di un diritto a seguito del
raggiro.
1.6.
Il danno patrimoniale. In particolare: il problema della c.d.
truffa contrattuale
L’atto dispositivo compiuto dalla vittima come conseguenza dell’induzione in errore, dovuta
agli artifici o raggiri, deve procurare alla stessa un danno patrimoniale. Tale danno deve avere, per
concorde dottrina (cfr. MANZINI e ANTOLISEI) e secondo la prevalente giurisprudenza, sempre
natura patrimoniale:
la sua essenza è costituita non solo dalla perdita di un bene patrimoniale, ma anche dal
mancato acquisto di una utilità economica che il soggetto passivo si riprometteva dalla prestazione
carpitagli. Il danno, inoltre, può ravvisarsi in qualsiasi atto dispositivo del patrimonio che il
soggetto passivo non avrebbe compiuto se non indottovi con la frode.
È con riferimento all’ipotesi di danno patrimoniale che si pone il dibattuto problema della
c,d, truffa contrattuale, che ricorre quando l’agente, mediante artifici o raggiri posti in essere nel
momento della formazione di un negozio giuridico, induca la vittima a conclude- re il negozio
stesso. Se non v’è dubbio che il reato sussiste in tutte quelle ipotesi in cui la vittima, a seguito dell’
artiticio o raggiro, abbia concluso il contratto a condizioni per lui sfavorevoli e che non avrebbe
accettato senza la frode dell’altro contraente, si discute se sia ravvisabile ugualmente la truffa nel
caso in cui la vittima abbia corrisposto il giusto prezzo della cosa acquistata. Al riguardo la
Cassazione è orientata in senso molto rigoroso, e sostiene che «nel caso di truffa contrattuale, la
sussistenza dell’ingiusto profitto e del danno non è esclusa dal fatto che il raggirato abbia
corrisposto il giusto prezzo della cosa fornitagli dal soggetto passivo, quando risulti che la cosa
stessa non sarebbe stata da questo acquistata senza gli artifici ed i raggiri messi in essere
dall’imputato» (così Cass. 8-5-1987, n. 5705).
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In dottrina, ANTOLISEI ritiene che «vi è danno, malgrado la obiettiva equivalenza della
controprestazione, se questa non è utilizzabile dall’interessato». Dopo aver aderito, nelle precedenti
edizioni di questo Manuale, ad una tesi «oggettiva» del danno e, quindi, escluso la configurabilità
del delitto nel caso in cui vi sia equivalenza tra prestazione e controprestazione, anche se al
contratto il soggetto era stato indotto dagli artifici o raggiri altrui, riteniamo, melius re perpensa,
preferibile la tesi giurisprudenziale e di ANTOLISEI, in quanto scopo della norma è, come detto, la
tutela della libertà del consenso nei negozi patrimoniali, bene questo che è offeso per il solo fatto
che il soggetto sia stato indotto, con l’inganno, a prestare il proprio consenso, fatto questo che già
costituisce per lui danno economicamente valutabile.
Sempre connesso alla truffa contrattuale è un altro problema, e cioè quello della
configurabilità del reato nel caso di rapporti di durata in cui, anziché nella fase della stipula,
l’inganno si realizzi nella fase di esecuzione del contratto ed abbia per risultato il permanere o la
rinnovazione del contratto, contratto che altrimenti, senza inganno, sarebbe stato risolto.
Sulla configurabilità della truffa anche nel caso in cui l’induzione in errore avvenga, anziché al
momento della stipula, nel corso della esecuzione del contratto, la giurisprudenza appare
uniformemente orientata in senso affermativo (così, ad esempio, Cass. 10-7-1974 n. 4846 e Cass.
21-9-1988, n. 9323).
Più di recente il Pretore di Venezia, con la sentenza 25 ottobre 1995, ha ritenuto la
sussistenza del reato nel caso del titolare di una impresa di pulizie che, esibendo false attestazioni di
regolarità nei versamenti dei contributi dovuti per i propri dipendenti, aveva ottenuto di proseguire
nel contratto stipulato con un ente pubblico, contratto che invece, per legge, sareb6e stato risolto
senza l’artifizio, Tale tesi, sostenuta peraltro proprio da chi scrive nella veste di pubblico ministero
all’udienza, appare senz’altro condivisibile.
1.7.
L’ingiusto profitto
Al danno della vittima deve corrispondere un ingiusto profitto per l’ingannatore o per altri.
In ordine al profitto, è pacifico in dottrina e in giurisprudenza che esso, a differenza del danno, si
realizza ogni qual volta il soggetto attivo consegua, per effetto dell’attività fraudolenta espletata e
della induzione in errore della vittima, l’acquisizione di una qualsiasi utilità, patrimoniale o non
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(così Cass. 3-6-1983; 20-12-1992 e, in dottrina, MANZINI e ANTOLISEI; contra, però, il MARINI
per il quale anche il profitto, come il danno, deve avere carattere economico).
È necessario, però, che il profitto sia ingiusto. Secondo ANTOLISEI è ingiusto il profitto
«che non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, tutelato dall’ ordinamento giuridico».
Secondo MANZINI il profitto è ingiusto «quando l’utilità, nella quale si concreta, non è e non può
ritenersi dall’agente a lui dovuta». In tema di ingiusto profitto la giurisprudenza ha ritenuto
sussistere la truffa nei seguenti casi:
• nel caso di chi si procura, con artifici o raggiri, un atto di quietanza che non gli spetti;
• nel caso di chi promette, senza effettuano, un finanziamento facendosi rilasciare dei
titoli di credito che possa poi scontare;
• nel caso di chi si fa rilasciare un qualunque titolo di credito, stante la possibilità del
prenditore di utilizzarlo;
• nel caso dei c.d. pataccari, i quali fanno credere alla vittima che l’oggetto, venduto a
prezzo vile, sia di metallo prezioso ovvero che la moneta falsa «casualmente
rinvenuta tra resti archeologici» sia autentica;
• nel gioco delle c.d. tre carte o tre tavolette, quando il gioco stesso è truccato (se
manca la frode, infatti, ricorre solo la contravvenzione prevista dall’ art. 718);
• nel fatto di chi, inducendo in errore la pubblica amministrazione con la presentazione
di certificati falsi, si fa assumere in un impiego: in tal caso, infatti, l’indebito profitto
costitutivo del delitto di truffa è dato dall’avere l’agente ottenuto, fraudolentemente,
l’assunzione in servizio, percependo i relativi emolumenti pur non avendone diritto,
a nulla rilevando se a tale indebita percezione non si siano aggiunti altri specifici
danni a carico dell’ente per l’attività esplicata dal soggetto;
• nel fatto di chi, esibendo false attestazioni doganali dalle quali risulti l’esportazione
di merqe all’estero mai avvenuta, si sottragga al pagamento delle relative imposte.
Il delitto di truffa si consuma nel momento in cui l’agente consegua l’ingiusto profitto con
altrui danno, anche se tale profitto non corrisponda in toto alla previsione o alla finalità dell’agente.
Se, dunque, la consumazione del reato richiede un’effettiva, concreta e definitiva lesione del
patrimonio, ove a seguito di artifici o raggiri la vittima contragga un’obbligazione a donare un bene
economico, il reato si consuma solo con l’adempimento dell’obbligazione, non realizzandosi alcun
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pregiudizio patrimoniale prima ditale momento (così Cass. 29-11998, n. 1136).
Inoltre, la giurisprudenza ha sostenuto che il reato in esame non è escluso dalla mancanza di
diligenza, controllo o verifica da parte della vittima, soprattutto considerando che il truffatore
ingenera in essa un sentimento di fiducia (nei propri confronti) che ben può giustificare
un’attenzione attenuata (così Cass. 26-4-1993). Il tentativo è configurabile (sull’idoneità degli atti si
veda quanto detto alla lettera D).
1.8.
Elemento soggettivo
Il dolo nella truffa sta nella volontarietà del fatto, nella cosciente direzione della condotta a
trarre in inganno la vittima ed a determinare, con tale mezzo, la disposizione patrimoniale da un lato
ed il profitto dall’altro. L’agente, quindi, deve volere non solo la propria azione, ma anche
l’inganno della vittima, come conseguenza della sua azione, la disposizione patrimoniale, come
conseguenza dell’inganno, e, infine, la realizzazione del profitto proprio o altrui e del danno della
vittima (così espressamente ANTOLISEI).
Il dolo, naturalmente, deve accompagnare tutto l’iter criminoso, dall’inizio alla fine, per cui
un dolo solo successivo (come nel caso di chi approfitta dell’errore in cui è caduto per propria
esclusiva colpa la stessa vittima) non basta (ANTOLISEI , DE MARSICO).
Il dolo è escluso, oltre che dall’errore di fatto, dalla mancata consapevolezza del carattere
frodatorio del mezzo usato, dell’ ingiustizia del profitto o del danno che ne deriva (ANTOLISEI).
Così, ad esempio, secondo ANTOLISEI dovrà essere escluso il dolo nel caso del taumaturgo che
creda di possedere realmente poteri soprannaturali; della persona che ritenga di avere diritto alla
somma carpita con l’inganno; del contraente che giudichi l’affare proposto alla controparte, per
quanto aleatorio, di possibile riuscita e, quindi, non pregiudizievole per lui.
1.9.
Ipotesi particolari di truffa
Questioni particolari sorgono con riguardo all’ammissibilità di alcuni tipi peculiari di truffa:
in particolare, si discute sulla c.d. truffa processuale, sulla truffa nei rapporti illeciti o immorali,
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sulla truffa in danno degli enti previdenziali e sulla truffa in danno dell’ENEL; esaminiamole.
1.10.
Truffa processuale
Con l’espressione truffa processuale ci si riferisce a tutti quei casi in cui una delle parti di un
giudizio civile, inducendo in inganno il giudice con artifici o raggiri, ottenga o tenti di ottenere una
sentenza o un provvedimento a lui favorevole e, quindi, dannoso per la controparte. Discussa è
l’ammissibilità ditale tipo di truffa. Ritiene ANTOLISEI che l’art. 374 riguardi ipotesi particolari e
non abbracci tutti i casi di possibile truffa processuale; conclude, pertanto, l’Autore per 1’
ammissibilità della truffa processuale (così anche MARINI). In senso contrario è, invece, la restante
dottrina e la giurisprudenza la quale ritiene inammissibile la truffa processuale dal momento che il
legislatore ha predisposto un’ apposita fattispecie incriminatrice che, punendo date condotte tese ad
ingannare il giudice (art. 374:frode processuale), esclude sia la rilevanza penale che la
configurabilità della truffa in presenza di comportamenti fraudolenti ai danni di un organo
giurisdizionale realizzati con modalità difformi da quelle di cui all’art, 374;
1.11.
Truffa nei rapporti illeciti o immorali
Dottrina (MANZINI, ANTOLISEI) e giurisprudenza sono concordi nel ritenere ammissibile
la truffa nei rapporti illeciti o immorali.
Si osserva, infatti, che nel caso in cui il truffato, caduto in errore a causa degli artifici o
raggiri dell’agente, sia stato spinto da fini illeciti, non viene meno né l’ingiustizia del profitto che
altri traggono mediante inganno, né il danno altrui, che costituiscono l’elemento materiale del reato
di truffa. Né viene meno quella esigenza della protezione del patrimonio e della libertà del consenso
nei negozi patrimoniali che costituisce l’oggettività giuridica del reato di truffa. La riprova
dell’ammissibilità ditale tipo di truffa la si trova nel fatto che è lo stesso art. 640 che ipotizza come
truffa aggravata il fatto commesso col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare. Così,
commette truffa la persona che facendosi credere pubblico ufficiale si fa dare dalla vittima una
somma per farsi corrompere; come commette truffa chi, spacciandosi per tenutario di un bordello, si
fa dare soldi con la promessa, non mantenuta, di far avere al truffato rapporti con prostitute.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Penale II
1.12.
Lezione IX
Truffa in danno degli enti previdenziali
In materia di contributi assicurativi, è dottrina e giurisprudenza pacifica che l’alterazione dei
registri e dei documenti speciali che l’imprenditore periodicamente trasmette agli istituti assicurativi
può dar luogo, concorrendo gli altri requisiti di legge, oltre alle sanzioni previste dalle leggi
speciali, anche al reato di truffa in danno degli enti stessi. Riteniamo al riguardo che sia ravvisabile
il reato di truffa, in danno sia degli enti previdenziali che dei marinai imbarcati, nel fatto di quegli
armatori che, nascondendo le proprie navi sotto le c.d. bandiere ombra, omettono di assicurare i
marinai imbarcati sulle navi stesse.
1.13.
Truffa in danno delle imprese erogatrici di energia elettrica
Ricorre senz’altro il reato di truffa nel caso in cui l’agente, con mezzi fraudolenti come
calamite o altri sistemi, altera il contatore dell’energia elettrica facendo in modo che lo stesso
registri un quantitativo di energia elettrica inferiore a quello consumato ovvero demarchi il
contatore, in modo da farlo retrocedere provocando l’alterazione dei numeri già segnati (in tale
ultimo senso MANZINI, il quale però esclude la truffa e configura il furto nel caso in cui il
contatore venga messo in grado di registrare una quantità minore di energia rispetto a quella
consumata) (Cass. 12-10-1989).
Costituisce, invece, senz’altro ipotesi di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, e
non truffa, il c.d. ponte al contatore, cioè l’allacciamento diretto della rete privata alla rete pubblica.
ed escludendo del tutto il contatore dalla registrazione (PECORELLA, Cass. 23-3-l92).
1.14.
Truffa contrattuale
Si veda quanto detto alla precedente lettera F).
1.15.
Circostanze aggravanti speciali
Ai sensi del capoverso dell’art, 640, la truffa è aggravata:
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Penale II
Lezione IX
se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico. La ragione ditale
aggravante sta nel fatto che all’ordinaria lesione giuridica propria del delitto di truffa si aggiunge
quella di interessi della pubblica amministrazione (Cass. 3-7-1990).
Per l’individuazione della categoria degli enti pubblici si veda il nostro Manuale di Diritto
Amministrativo. Va qui sottolineato che la Suprema Corte ritiene sussistere l’aggravante in esame
in caso di truffa compiuta ai danni della Comunità economica europea (CEE) che deve essere
considerata come un ente pubblico del nostro ordinamento, oltre che di quello comunitario (Cass.,
Sez. un., 15-3-1996, n. 2780).
È stata ritenuta altresì sussistente 1’aggravante in esame:
• nel caso di chi si sia fatto assumere da un ente pubblico presentando documenti falsi;
• nel caso di chi abbia esibito al personale ferroviario un biglietto di viaggio
alterato;
• nel caso di chi, per percepire contributi dell’Ente Comunale di Assistenza, abbia
dichiarato falsamente di trovarsi nelle condizioni previste dalla legge;
• se il fatto è commesso col pretesto di far esonerare qualcuno dal servizio militare.
Secondo la giurisprudenza e la dottrina (MANZINI) sussiste tale aggravante anche nel caso
in cui chi ha pagato aveva diritto, per legge, all’esonero dal servizio militare; se il fatto è commesso
in generando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di
dover eseguire un ordine dell’Autorità.
Si ha il delitto di truffa aggravata dal fatto di ingenerare nella persona offesa il timore di un
pericolo immaginario allorché il colpevole, prospettando il pericolo come una eventualità obiettiva,
faccia uso solo di artifici o raggiri senza però costringere la volontà della vittima, altrimenti ricorre
il reato di estorsione (Cass. 16-3-1990).
Il pericolo, in ogni caso, deve essere immaginario, perché la rappresentazione di un pericolo
reale, prossimo o remoto che sia, non integra l’aggravante (così MANZINI). Sussiste, invece, la
seconda aggravante prevista dal numero in esame quando l’agente abbia ingenerato nella persona
offesa il convincimento di dover obbedire all’ordine dell’autorità mediante un raggiro attraverso il
quale la persona offesa è stata tratta in errore.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Penale II
1.16.
Lezione IX
Pene ed istituti processuali
Le pene edittali per la truffa semplice sono previste all’art. 640 c.p. si consulti il codice
penale. Si procede d’ufficio in caso di truffa aggravata; a querela in caso di truffa semplice. La
competenza è in ogni caso del Pretore. Le misure cautelari personali non sono consentite per la
truffa semplice mentre lo sono per quella aggravata; l’arresto in flagranza è sempre facoltativo; il
fermo non è mai consentito. Alla truffa semplice sono applicabili le sanzioni sostitutive ex artt. 53 e
segg. L. 689/91.
1.17.
Differenza tra truffa e reati affini
La truffa presenta notevoli affinità con molteplici altri reati; esaminiamone le differenze.
Truffa e peculato
Il peculato è una forma particolare di appropriazione indebita caratterizzata dal fatto di
essere commessa da un pubblico ufficiale.
La distinzione tra truffa e peculato sta nel fatto che mentre nel .peculato il possesso è anteriore alla
condotta delittuosa, nella truffa è successivo a tale condotta, è un effetto della condotta stessa (così
PANNAIN).
Truffa e frode nell’esercizio del commercio
L’elemento differenziale fra le ipotesi delittuose di frode in commercio e di truffa è
costituito dal quid pluris dell’artificio o raggiro che nel reato di truffa si aggiunge alla materialità
del reato previsto dall’art. 515.
Ricorre, quindi, truffa e non frode nell’esercizio del commercio quando il venditore si sia avvalso di
mezzi artificiosi per trarre in inganno l’acquirente inducendolo ad accettare prestazioni diverse da
quelle pattuite.
Truffa e furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento
il criterio distintivo tra i due reati sta nel modo in cui il colpevole ottiene il possesso della
cosa: in caso di truffa, la cosa gli è data volontariamente dalla vittima, indotta dall’errore che ne
vizia la volontà, mentre nel furto è ottenuta contro la volontà del soggetto passivo.
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Lezione IX
Truffa ed estorsione
Si veda quanto detto a riguardo dell’estorsione.
Truffa e insolvenza fraudolenta
Il reato di truffa ha in comune con quello di insolvenza fraudolenta il fine del conseguimento
di un ingiusto profitto, ma se ne differenzia per le modalità dell’azione criminosa, infatti:
nella truffa la frode viene perpetrata mediante simulazione di circostanze espressamente poste in
essere per indurre altri in errore; nell’insolvenza fraudolenta, invece, l’ingiusto profitto viene
conseguito mediante dissimulazione del proprio stato di insolvenza, dissimulazione che consiste in
una azione di occultamento che non raggiunge l’intensità di un vero e proprio raggiro.
Truffa e malversazione
Come ha precisato la Suprema Corte (cfr. Cass. 10-1-1985, n. 192), allorché la
malversazione era figura autonoma, non ancora assorbita dall’art. 314, nuovo testo, il criterio
differenziale tra la truffa e la malversazione risiede non già nella precedenza cronologica
dell’appropriazione rispetto al falso, bensì nel modo in cui l’agente viene in possesso del denaro di
cui si appropria, possesso che, nella malversazione, deriva dalla ragione di ufficio e, quindi,
preesiste alla illecita conversione del danaro in profitto proprio, mentre nella truffa, consegue
all’azione (artifici e raggiri) dell’agente.
Truffa e appropriazione indebita
Nell’appropriazione indebita l’agente devolve a proprio profitto, o a profitto di altri, denaro
o cose mobili di cui egli legittimamente in possesso intervertendo,z6ioè, il titolo del possesso. Nella
truffa, invece, l’agente si procura l’ingiusto profitto inducendo altri in errore, mediante artifici o
raggiri, e si fa consegnare dalla vittima la cosa su cui prima non aveva alcun potere.
Truffa e millantato credito
Si discute se tra. il millantato credito e la truffa vi sia o meno differenza, Secondo
ANTOLISEI, il millantato credito è una figura speciale di truffa, con la conseguenza che i due reati
non possono concorrere in quanto il primo assorbe il secondo; nello stesso senso di ANTOLISEI si
sono pronunciati anche MARINI ed il PETRONE. Secondo MANZINI e la giurisprudenza (Cass.
24-4-1985, n. 3905), invece, i due reati differirebbero sia per l’oggetto giuridico (onore e prestigio
della RA. nel millantato credito, patrimonio nella truffa), sia per il soggetto passivo (la RA. nel
primo, il truffato nel secondo) sia per l’elemento materiale (per la truffa sono richiesti gli artifici ed
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Lezione IX
i raggiri, che possono mancare nel millantato credito), sia, infine, per il conseguimento di un
ingiusto profitto (che è elemento essenziale nella truffa e meramente eventuale nel millantato
credito); dalle differenze dei due reati deriva che se in uno stesso fatto sono ravvisabili gli estremi
della truffa e del millantato credito, l’agente risponderà di due reati in concorso (Cass. 19-1-1987, n.
470).
Truffa e frode comunitaria ex art. 2 L. 23-12-1.986, n. 898
Come ha precisato la Suprema Corte (Cass. 15-3-1996, n. 2780), il reato di frode
Comunitaria ha natura sussidiaria rispetto a quello di truffa (aggravata) in quanto presuppone che il
soggetto si sia limitato semplicemente all’esposizione di dati e notizie false, senza che ricorrano
artifici e/o raggiri, in presenza dei quali risulta integrato il reato di truffa aggravata.
1.18.
Giurisprudenza
Le dichiarazioni menzognere ben possono costituire raggiro ed integrare l’elemento
materiale del delitto di truffa quando sono presentate in modo tale da indurre in errore il soggetto
passivo di cui viene carpita la buona fede (Cass. 14-11-1985, n. 10628).
Ricorre il delitto di truffa anche quando la condotta dell’agente si esplica in un contegno
capace di in generare errore per omessa rivelazione di circostanze che si ha l’obbligo di riferire
perché in tal caso l’errore in cui viene a cadere il soggetto passivo è conseguenza diretta del
preordinato inganno dell’agente (fattispecie relativa ad omessa comunicazione, da parte di
assegnatario di alloggio IACP, della cessazione delle condizioni legittimanti la permanenza nella
titolarità del rapporto di assegnazione) (Cass. 16-3-1990, n. 3685).
In tema di truffa, qualora sia accertato il nesso di causalità tra i ‘artificio o il raggiro e
l’altrui induzione in errore, non è necessario stabilire se i mezzi usati siano, in astratto,
genericamente idonei a trarre in errore, se in concreto essi si siano dimostrati idonei; l’eventuale
difetto di diligenza della persona offesa (nella specie, relativa ad esposizione di disco-contrassegno
falsificato in un autoveicolo, dei competenti organi di controllo) non vale ad elidere la sussistenza
del reato (Cass, 15-1-1990, n. 297).
È configurabile il reato di truffa, nella specie contrattuale, quando il «dolus in contrahendo»
si manifesta attraverso artifici o raggiri che, intervenendo nella formazione del negozio, inducono la
controparte a prestare il proprio consenso e cioè quando sussiste un rapporto immediato di causa ad
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Diritto Penale II
Lezione IX
effetto tra il mezzo o l’espediente fraudolentemente usato dall’agente e il consenso ottenuto dal
soggetto passivo, sì che questo risulta viziato nella sua libera determinazione (nella specie, la parte
offesa, fornitrice all’ingrosso di carne, non si era vista saldare il proprio credito dall’imputato,
all’esito della relativa prestazione, la quale faceva parte di un regolare rapporto commerciale
sempre onorato dall’imputato stesso. La Corte ha escluso la sussistenza della truffa, confermando la
sentenza di secondo grado che aveva assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato, in
quanto la parte offesa si era determinata alle conclusioni del contratto di fornitura non per le iniziali
ostentazioni di ricchezza dell’imputato, ma solo a seguito delle positive informazioni bancarie
ricevute, rivelatesi esatte in un primo tempo e che tale comportamento prudenziale aveva continuato
a tenere nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale, escludendo, così, che l’artificio posto
in essere dall’agente all’inizio delle trattative fosse idoneo a suggestionare o in qualche modo
influenzare la libertà del consenso della parte offesa) (Cass. 17-2-1987, n. 2041).
Ricorrono gli estremi della truffa contrattuale tutte le volte che uno dei contraenti pone in
essere artifizi o raggiri diretti a tacere o a dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti,
avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto (nella specie, relativa a
ritenuta responsabilità di titolari di centro diagnostico medico e laboratorio di analisi, erano stati
posti in essere artifizi o raggiri diretti a dissimulare cause dì incompatibilità poste dalla legge a
precisa salvaguardia dei diritti degli assistiti e degli enti preposti e a comprovare, mediante false
attestazioni, come proprie, prestazioni compiute da altri.
Tali circostanze, ove conosciute, avrebbero costretto 1’U.S.L. ad astenersi dal concludere
convenzioni e comunque, in ogni caso, ad astenersi dal corrispondere i compensi relativi, ottenuti
mediante frode) (Cass, 8-5-1987, n. 5585).
In tema di truffa cosiddetta contrattuale (cioè commessa mediante o in occasione
dell’apparente conclusione di un contratto sinallagmatico) la sussistenza del danno patrimoniale non
è limitata all’ipotesi di palese squilibrio fra i valori delle controprestazioni ma si estende a quella
dell’equivalenza fra il valore della cosa ricevuta e il prezzo pagato a seguito della conclusione del
negozio per effetto dell’errore indotto mediante artifizi o raggiri; in tal caso, il danno derivante dallo
scambio di un bene con un altro e rappresentato dal pregiudizio di ordine economico, per il soggetto
passivo, rappresentato dall’acquisto di cose non indispensabili, anteponendo, nella gerarchia dei
valori e nella priorità delle esigenze cui destinare il danaro disponibile, l’acquisto di cose prive di
concreta utilità nei confronti di più urgenti necessità da soddisfare (Cass. 2-4-1974, n. 2704).
danno nella cosiddetta truffa contrattuale (o commessa mediante la conclusione di un contratto),
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Diritto Penale II
Lezione IX
sussiste non solo quando vi sia una sproporzione di valori tra prestazione e controprestazione, ma
anche quando, nonostante l’equilibrio tra le stesse, la cosa acquistata dal raggirato sia da lui
inutilizzabile in tutto o in parte ovvero sia priva di effettivo valore, e la vittima si sia determinata a
atto pregiudizievole di disposizione patrimoniale in base ad un erroneo convincimento in ordine alla
reale situazione di fatto, formatosi per effetto dell’errore ingenerato dall’agente con gli artifici o i
raggiri (Cass. 27-4-1974, n. 3270).
In tema di truffa contrattuale, l’induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non
solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l’attività fraudolenta, ma anche quando il
di lui comportamento, diretto ad ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè
dell’esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell’ingiusto
profitto (Cass. 21-9-1988, n. 9323).
Configura il delitto di truffa aggravata ai sensi dell’art, 640 nn. 1 e 61 nn, 9 e li ilfatto del
pubblico funzionario che abbandona il posto clandestinamente, celandolo a chi avrebbe dovuto
esserne al corrente, per compiere un’attività incompatibile, nell’orario impegnato, con le
incombenze sue proprie, inducendo in tal modo la pubblica amministrazione a ritenere
erroneamente che le mansioni proprie del suo dipendente fossero da questi regolarmente espletate e
che, quindi, avesse titolo alla retribuzione (fatti specie di prestazione d’opera da parte di medico
dipendente da amministrazione comunale a favore di un laboratorio diagnostico privato in orari nei
quali risultava in servizio presso il suo ufficio al comune) (Cass. 30-1-1990,n. 1121).
L’elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto,
avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se
preveduti dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia
accettato nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio; per cui è priva di
rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l’agente a realizzare
l’inganno (Cass. 20-11992, n. 470).
Integra un’ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 cpv. n. 2 c.p. l’induzione alla
sottoscrizione di abbonamento ad una rivista specializzata in materia tributaria, ottenuta
ingenerando il timore, per quanto immaginario, di un accertamento fiscale in caso di rifiuto (Cass.
16-3-1990, n. 3694).
La differenza tra il reato di truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo
immaginario e quello di estorsione non sta nell’effettiva sussistenza del male minacciato —
immaginario nella truffa, concreto e realizzabile nell’estorsione — ma nella circostanza che nella
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Lezione IX
truffa il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente
od indirettamente da chi lo prospetta, di talché l’offeso non è coartato nella sua volontà, ma si
determina perché tratto in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente, mentre nell’estorsione
il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, sicché, l’offeso è posto
nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male
minacciato (nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso condanna per tentata estorsione
aggravata, l’imputato, che mediante una lettera e successiva telefonata aveva minacciato il
sequestro di uno dei due figli della persona offesa se questa non avesse pagato 40 milioni di lire,
aveva sostenuto che il fatto andava qualificato come tentativo di truffa aggravata, poiché non
sarebbe esistito alcun progetto di rapimento) (Cass, 30-1-1990, n. 1074).
In tema di appropriazione di denaro della PA. mediante falso, la distinzione tra peculato e
truffa non va ravvisata nella precedenza cronologica dell’appropriazione rispetto al falso o
viceversa, ma nel modo in cui il pubblico ufficiale viene in possesso del denaro di cui si appropria.
Pertanto sussiste peculato quando l’agente fa proprio il denaro della PA,, di cui abbia il possesso
per ragioni del suo ufficio o servizio, mentre vi è truffa qualora il pubblico ufficiale, non avendo
tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e raggiri, la disponibilità del bene
oggetto della sua illecita condotta. Più in particolare, ricorre il peculato e non la truffa quando
l’artifizio o il raggiro o la falsa documentazione siano stati posti in essere non per entrare nel
possesso del pubblico denaro ma per occultare la commissione dell’illecito (Cass. 23-2-199 1, n.
2439).
Deve rispondere di truffa e non di furto aggravato dal mezzo fraudolento l’utente che,
immobilizzando o ritardando nel suo movimento, con un congegno, il disco rotante sito all’interno
del contatore e collegato alle cifre numeriche indicanti il consumo, evitandone la registrazione,
abbia sottratto all’ente erogatore un certo quantitativo di energia elettrica (Cass. 12-10-1989).
Il reato di cui all’art. 12 della legge 5 luglio 1991, n. 197 (indebita utilizzazione di carte di
credito o di pagamento) concorre materialmente con quello di truffa (art. 640 cod. pen.). L’elemento
oggettivo del primo, infatti, è costituito dall’uso indebito, in mancanza di titolarità, di carte di
credito o di pagamento, a prescindere dal conseguimento di un profitto e dal verificarsi di un danno
e non comporta il coinvolgimento dal soggetto passivo. Il secondo, invece, richiede gli artifizi o i
raggiri dell’agente e l’induzione in errore del soggetto passivo e si consuma nel momento del
conseguimento del profitto con altrui danno (Cass. 6-7-1995, n. 1221).
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Lezione IX
Il criterio distintivo tra i due reati di truffa commessa ingenerando nella persona offesa il
timore di un pericolo immaginario e di estorsione, va individuato nel diverso atteggiamento
psicologico dei soggetti passivi nel sottomettersi all’ingiusto danno: il reato di truffa sussiste
quando il male minacciato viene ventilato come passibile ed eventuale e comunque non proveniente
direttamente o indirettamente, da chi lo prospetta, sicché la persona offesa si determina perché il
tratto in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente; si ha il delitto di estorsione, invece,
quando il colpevole incute, da solo o con altri, il timore di un pericolo che fa apparire certo e
proveniente da lui stesso o da altra persona a lui legata da un qualunque rapporto, di talché la
persona offesa viene posta di fronte all’alternativa di adempiere all’illecita richiesta o di subire il
male minacciato (Cass. 22-5-1995, n. 5845).
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Lezione IX
2 Riciclaggio (Art. 648bis modificato dalla L.9-81993, n. 328)
2.1
Generalità e nozione del reato
L’art, 4 della L. 9-8-1993, n. 328 ha modificato l’art, 648bis, già introdotto dal D.L. 21-31978, n. 59 e modificato dalla L, 19-3-1990, n. 55, adeguandone il testo alla convenzione sul
riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reati fatta a Strasburgo l’8 novembre
1990.
Per effetto ditale ultima modifica risponde di riciclaggio chiunque, fuori dei casi di concorso
nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo
ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della
loro provenienza delittuosa.
Per espressa disposizione dell’ultimo comma dell’art, 648bis, il delitto in esame sussiste
anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è
punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Scopo della norma è quello di impedire che, una volta verificatosi un delitto, persone diverse
da coloro che lo hanno commesso o hanno concorso a commetterlo possano, con la loro attività,
trarre vantaggio dal delitto medesimo o aiutare gli autori ditale delitto ad assicurarsene il profitto e,
comunque, ostacolare con 1’ attività di riciclaggio del danaro o dei valori, 1’ attività della polizia
giudiziaria tesa a scoprire gli autori del delitto.
L’art. 648bis fonda, quindi, una fattispecie plurioffensiva in quanto è posta sì a tutela del
patrimonio, ma anche dell’amministrazione della giustizia e dell’ordine pubblico.
2.2
Presupposto per l’esistenza del reato
Presupposto dell’esistenza del reato è che anteriormente ad esso sia stato commesso un altro
delitto non colposo al quale, però, il riciclatore non abbia partecipato in nessuna delle forme in cui
può configurarsi il concorso di persone nel reato e, quindi, non solo materialmente ma neppure
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Lezione IX
istigando al reato o promettendo, prima della sua commissione, la successiva propria attività di
riciclaggio.
Al riguardo va rilevato che mentre il vecchio tèsto dell’art. 648bis prevedeva ben precise
ipotesi di reato presupposto (rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di
estorsione e delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope) per
cui il riciclaggio era configurabile solo quando il danaro o i valori provenivano da tali delitti, il
nuovo testo, invece, colpisce qualsiasi attività di riciclaggio, qualunque sia il delitto da cui il danaro
o i valori provengano, purché doloso.
Tale scelta legislativa si spiega per la necessità di potenziare gli strumenti di cui i’
ordinamento dispone per combattere la criminalità organizzata la cui attività presenta, come uno dei
momenti fondamentali, quello della c.d. pulitura del provento del reato.
2.3
Elemento materiale
La condotta può atteggiarsi in due modi, e cioè:
nel sostituire o trasferire danaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo
È il caso di chi, ad esempio, esporta all’estero il danaro o valori e li cambia con moneta o
valori diversi. È irrilevante, naturalmente, che il denaro venga cambiato con altro danaro o con beni
diversi e che i beni vengano cambiati con altri beni o con denaro: il reato sussiste in ogni caso (così,
ad esempio, risponde del reato l’impiegato di banca che ritira il danaro e poi, tramite una filiale
estera della banca, acquista all’estero beni mobili).
Nel compiere operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza
delittuosa del danaro, dei beni o delle altre utilità.
In questa seconda forma il reato punisce tutte quelle attività di c.d, ripulitura di beni, del
danaro sporco o dei valori di provenienza illecita, attività che hanno lo scopo, appunto, di far
perdere le tracce dell’illiceità della provenienza delittuosa di essi.
Occorre rilevare come la dottrina e la più recente giurisprudenza, dopo una prima
applicazione limitata al denaro ed ai valori, stanno ora applicando le norme anche agli altri beni,
configurando così il reato in esame e non quello di ricettazione nei casi di vendita di veicoli cui
siano stati contraffatti i dati identificativi del motore o cui siano state apposte targhe di pertinenza di
altri veicoli (così Cass, 21-6-1997, n. 3373). In sostanza, si può dire che oggi, per effetto delle
riforme introdotte prima dalla L. 19-3- 1990, n. 55 e poi dalla L, 9-8-1993, n. 321, il reato di
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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riciclaggio colpisce qualsiasi forma di reinvestimento, comunque realizzato, dei profitti illeciti,
qualunque sia il delitto doloso da cui essi provengono.
2.4
Consumazione e tentativo
Il delitto si consuma con la sostituzione o il trasferimento del danaro, dei beni o delle utilità
indicate ovvero col compimento di una qualsiasi altra operazione tendente ad ostacolare
l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è configurabile il tentativo.
2.5
Elemento soggettivo
Il dolo richiesto per la punibilità è generico, e consiste nella coscienza e volontà dell’agente
di compiere l’attività di sostituzione o trasferimento o l’operazione di c,d, «ripulitura» con la
consapevolezza della provenienza da delitto doloso del danaro, del bene o dell’ altra utilità. Al dolo
diretto è equiparato il dolo eventuale per cui se l’agente, pur non sapendolo direttamente, si è
prospettata la possibilità che il danaro, i beni o le utilità da riciclare provengano da delitto doloso e,
nonostante ciò, ha ugualmente compiuto il fatto materiale, così accettando il rischio di incorrere
nelle sanzioni previste dall’art, 648bis, risponderà senz’altro ditale delitto a titolo di dolo eventuale.
2.6
Circostanze speciali
Ai sensi del secondo comma dell’ art. 648bis, come modificato dalla ricordata L. 328/93, la
pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. Ai sensi del
terzo comma, la pena è diminuita se il danaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il
quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Ai sensi dell’art, 6 del
DL 13-5-1991, n. 152, convertito in L 12-7-1991, n. 203, le pene stabilite per il delitto in esame
sono aumentate da un terzo alla metà, se il fatto è commesso da persona sottoposta con
provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e
sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione. Alla pena è sempre aggiunta una
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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misura di sicurezza detentiva.
2.7
Pena ed istituti processuali
La pena è della reclusione da 4 a 12 anni e della multa da due a trenta milioni, Si procede
d’ufficio e la competenza è del Tribunale [Tribunale collegiale]. Le misure cautelari personali sono
applicabili; l’arresto in flagranza è facoltativo; il fermo è consentito.
2.8
Giurisprudenza
In tema di riciclaggio stante la fungibilità del danaro, non può dubitarsi che il deposito in
banca di danaro «sporco» realizzi automaticamente la sostituzione di esso, essendo la banca
obbligata a restituire al depositante la stessa quantità di danaro depositato (Cass. 24-11-1986, n.
13155).
In tema di «riciclaggio del denaro», il termine «proveniente» contenuto nel contesto dell’ari
648bis cod. pen., non è da intendersi nel suo significato letterale più stretto, bensì, in un senso più
lato, comprensivo di ogni ipotesi nella quale sia da riconoscersi la imminenza della provenienza del
danaro da quei delitti, per la inidoneità dei precedenti sistemi usati a fargli perdere siffatto carattere
(Cass. 12-6-1987, n. 7382).
In tema di riciclaggio (art. 648bis cod. pen.) la scienza dell’agente in ordine alla provenienza
dei beni da determinati delitti può essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi
in proposito siano così gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione della certezza che i
beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata (Cass. 258-1995, n. 9090).
Alla stregua dell’attuale formulazione dell’ari 648bis cod. pen., secondo cui il reato di
«riciclaggio» ivi contemplato può avere ad oggetto, oltre al denaro, anche «beni o altre utilità» che,
al pari del denaro, provengano da delitto non colposo, deve ritenersi che sussista il detto reato e non
quello di ricettazione semplice di cui all’ ari 648 cod. pen. (rispetto al quale il primo si presenta con
carattere di specialità), nel caso in cui taluno, ricevuta anche una sola autovettura di provenienza
delittuosa, vi apponga, allo scopo di ostacolare l’accertamento ditale provenienza, targhe di
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pertinenza di altro veicolo (Cass. 21-6-1997, n. 3373).
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3 Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza
illecita (Art, 648ter, modificato dalla L. 1993,
n.328)
3.1
Nozione e generalità
L’art. 5 della ricordata L. 3 28/93 ha modificato anche 1’ art. 648 ter, introdotto dalla L. 19
marzo 1990, n. 55 punendo «chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli
artt. 648 e 648bis, impiega in attività economiche ofinanziarie denaro, beni o altre utilità
provenienti da delitto». Si tratta di una fattispecie che si differenzia dall’ipotesi del riciclaggio
poiché, mentre quest’ultimo prevede la sostituzione, il trasferimento o le operazioni di ostacolo alla
identificazione delle provenienze illecite, la figura in esame punisce l’impiego in attività
economiche o finanziarie. In sostanza, il legislatore ha voluto punire anche quelle attività mediate
che non sostituiscono immediatamente i beni provenienti da alcuni gravi delitti, ma che comunque
contribuiscono alla «ripulitura» degli illeciti capitali, e all’arricchimento delle holdings mafiose,
colpendo così una serie di attività di investimento apparentemente legali che in realtà costituiscono
sicuri serbatoi in cui immettere il danaro proveniente da attività criminose, oltre che paraventi dietro
i quali nascondere repentini arricchimenti.
Tali settori di investimento possono essere i più vari: dagli appalti, al commercio, alle
concessioni, alle attività di gioco e scommesse e persino all’assistenza sanitaria (case di cura,
laboratori di analisi).
3.2
Elemento oggettivo
Si tratta di un reato a condotta indefinita potendo l’impiego delle risorse di illecita
provenienza in attività economiche o finanziarie essere realizzato in qualsiasi modo. Avuto riguardo
alla «ratio» ditale disposizione, il termine impiego va inteso in senso restrittivo, quale sinonimo di
investimento, per tale intendendosi «l’utilizzazione a fini di profitto», con carattere di continuità
(parlando, infatti, la norma di «attività» restano escluse le operazioni a carattere occasionale e
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sporadico) (così FIANDACA, COLOMBO).
3.3
Elemento soggettivo
Il dolo richiesto è generico, e cioè sufficiente che colui che impiega il danaro, i beni o le
altre attività sia consapevole che questi provengano da un delitto.
3.4
Consumazione e tentativo
Non è necessario che l’attività economica o finanziaria dia un corrispettivo, cioè che risulti
in attivo, essendo sufficiente il primo impiego del denaro dei beni o delle altre utilità,
indipendentemente dal risultato attivo o passivo ditale impiego. Il tentativo è ammissibile.
3.5
Aggravante ed attenuante speciali
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’ attività professionale.
La pena è, invece, diminuita se il danaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è
stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Trova anche qui applicazione l’aggravante introdotta dal D.L, 13-5-199 1, n. 152 (lett. F) del
precedente paragrafo).
3.6
Pena ed istituti processuali
La pena è della reclusione da 4 a 12 anni e della multa da euro 1032,00 a euro 15493,00. Si
procede d’ufficio e la competenza è ‘del Tribunale [Tribunale collegiale].
Sono applicabili le misure cautelari personali; l’arresto in flagranza è facoltativo, il fermo è
consentito.
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