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Arturo Graziano Grappone ROY HARRIS Language, Saussure and

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Arturo Graziano Grappone ROY HARRIS Language, Saussure and
Metalogicon (1992) V, 1
per l'assiomatica, quasi che questa sia una camicia di Nesso che tarpi le ali al
progresso scientifico: “le progrès scientifique n'est pas d'ordre axiomatique,
mais conceptuel, ce qui veut dire qu'il s'agit avant tout de dégager de nouvelles
unités signifiantes, de nouvelles lectures, etc.”(p. 168). La seconda è una errata
lettura di una legge elementare della logica classica. “Dans un monde causal scrive il Girard - les principes logiques ne touchent plus à la vérité, mais à
l'action: avec 10 F j'achète un paquet de Camels, avec 10 F j'achète un paquet
de Marlboro, mais pas les deux. Autrement dit, le principle A A & A de la
logique classique est dynamiquement faux (faire A n'est pas la même chose que
faire A ET faire A)”(pp. 170-171).
Quanto alla prima affermazione di Girard si deve osservare che - se si
eccettuano gli Analytica Priora che costituiscono un unicum nella storia della
scienza - nasce prima la scienza e poi l'assiomatica. Ma che cosa sarebbe della
geometria euclidea, delle varie geometrie non euclidee, della topologia, della
geometria proiettiva, di quella affine, di quella metrica senza
assiomatizzazione? una congerie di teoremi ma senza intimo nesso, esattamente
come le varie membra e organi del corpo umano sul tavolo di una sala
anatomica. Se la scienza cresce perché rompe continuamente gli schemi in cui
viene costretta, è anche vero che senza sistematicità non vi è scienza.
Quanto alla seconda affermazione è veramente strano che un
matematico del valore di Girard commetta errori così grossolani di suppositio,
cosa che non fa uno studente di un corso elementare di logica e che, a maggior
ragione, non dovrebbe fare un matematico serio e meritamente famoso quale in
effetti è Girard.
Arturo Graziano Grappone
ROY HARRIS
Language, Saussure and Wittgenstein. How to play games with words
Routledge, London and New York 1988, ristampa 1991, pp. XV-136.
Nel caso della linguistica e della filosofia del linguaggio contemporanee
l'apparizione del Cours de linguistique generale e del Tractatus logicophilosophicus genera, aldilà degli innumerevoli legami con la cultura del XlX
secolo, una svolta per molti versi radicale ed irreversibile. Ferdinand-Mongin
de Saussure e Ludwid Joseph Johann Wittgenstein, il primo nel solco della
fertile stagione della linguistica indoeuropea, il secondo attraverso un sofferto e
radicale ripensamento dell'ideografia fregeana e del programma logicista dei
Principia Mathematica, tracciano i parametri entro i quali si svilupperà il
dibattito della linguistica e della filosofia del linguaggio contemporanee.
Diverranno in tal modo interlocutori e maestri di intere generazioni di linguisti,
logici, filosofi e cultori di scienze umane.
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Nessuna meraviglia dunque se Roy Harris, professore di Linguistica
generale presso l'università di Oxford ed autore, oltre che di svariati saggi in
materia, anche di una traduzione inglese del Cours e relativo commentario,
proponga al pubblico un breve ma denso studio sul tema: Language, Saussure
and Wittgenstein. How to play games with words.
L'attenzione dell'A. si concentra sul confronto serrato fra le tesi di
Saussure e del secondo Wittgenstein su alcuni concetti-cardine della linguistica
contemporanea. Ispirato dal serio intento di dare una analisi adeguata delle
analogie non meno che delle diversità delle indagini saussuriane e
wittgensteiniane, l'A. non si esime dall'indicare la diversità delle traiettorie
argomentative, suffragata da saltuarie ma opportune menzioni di passi delle
Philosophische Untersuchungen e della Philosophische Grammatik, oltre che
brani notevoli del Cours.
Lo spazio teorico del testo ha il proprio centro nel concetto di gioco (
Sprachespiel ), ma si espande in molte direzioni attraverso il confronto fra le
concezioni wittgensteiniana e saussuriana di nome ed unità linguistica, sistema,
arbitrarietà, grammatica, variazione, mutamento, comunicazione. Un
confronto di ampio respiro che non impedisce all'A. di inserire rapidi e limpidi
cenni a carattere storico-critico ( dal Cratilo platonico ai neogrammatici, dalla
linguistica comparativa del XlX secolo alle tesi adamitiche, dall'Aristotele del
De Interpretatione alla concezione lockiana del linguaggio ), e di farlo in un
inglese piano ed in capitoli ben strutturati.
Il cuore del confronto Wittgenstein-Saussure è nei capitoli quinto, sesto
e settimo (pp.37-85). Nel primo l'A. parte da un'analisi interna alla distinzione
saussuriana fra Langue e Parole e dalla rispettiva concezione di Sistema ( per
definizione sincronico o a maggior rigore idiosincronico ), il quale a parere
dell'A. : “(...) in this respect,...is analogous to a game (...)”(p.39). Harris
esamina anche la sinonimia wittgensteiniana fra i termini Spiel e Kalkül,
laddove il filosofo austriaco intende quest'ultimo alla stregua di sistema : “ (...)
this means for Wittgenstein not that the signals should produce certain external
effects, but that their uses should be interrelated one to another in certain
characteristic ways (...)” (p. 41). L'A. discute l'olismo presente nelle tesi
saussuriane, analogo all'opinione wittgensteiniana che “(..) the communication
systems he describes as ‘language games’ are to be thought of as ‘complete’
(...)”(p. 42). Harris fa inoltre riferimento ai contrasti intrasistemici individuati
dal Wittgenstein, alla diversità dei piani di indagine saussuriana basata sull'
eterogeneità di faits de parole e faits de langue, ed affronta nel capitolo che
segue la delicata questione dell'arbitrarietà nell'uso del linguaggio. Al Saussure
che postula una nozione di arbitrarietà del segno linguistico del tutto distinta
dal carattere intenzionale e volitivo degli atti linguistici l'A. affianca il
Wittgenstein convenzionalista. La trattazione dei diversi tipi di arbitrarietà
(assoluta e relativa ) ammessi da Saussure, e delle implicazioni di entrambe a
livello sintagmatico, si alterna al tentativo di far luce su alcuni risvolti del gioco
linguistico wittgensteiniano. Harris giunge ad intendere le regole del gioco
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linguistico come restrizioni dell'arbitrarietà nell'uso dei segni di quel gioco,
mentre nel capitolo successivo sviluppa il confronto Saussure-Wittgenstein sul
concetto di grammatica.
Se entrambi prendono le distanze dalla concezione normativa, Saussure
intende la grammatica come essenzialmente sincronica (totalità dei fatti
strutturali sincronici). A giudizio di Harris non è azzardato concludere che :
“(...) Grammar has a status analogous to the constitution of a game (...)”(p. 65).
Nel caso di Wittgenstein l'A. menziona la distinzione di Tiefengrammatik ed
Oberflächengrammatik formulata nelle Philosophische Untersuchungen, e si
inoltra in un'analisi variegata, ma il cui unico risultato certo sembra essere che :
“(...) therefore for Wittgenstein, as for Saussure, it makes no sense to exclude
vocabulary and semantics from the domain of grammar (...)”(p.68). Il settimo
capitolo si dipana in una analisi di ampio respiro fra questa concezione della
grammatica e la questione della natura delle regole di un linguaggio, del loro
funzionamento nell'uso di quel linguaggio, della loro relazione reciproca e con i
protagonisti del gioco linguistico. Analisi che si dibatte fra la Scilla della
querelle sull'origine del linguaggio (l'A. menziona Condillac, Rousseau,
Herder, Monboddo) e la Cariddi del primato ad oltranza della dimensione
sincronica, vero punto di fuga del percorso teorico saussuriano e
wittgensteiniano.
Nel capitolo dedicato a Variation and Change Harris illustra, pur
sempre entro i limiti del confronto Wittgenstein-Saussure, le difficoltà nate da
ogni percorso teorico che privilegi la sincronia, e demandi la diecronia ad un
piano descrittivo e/o fenomenologico, psicolinguistico e sociolinguistico. La
draconian solution (p.87) di Saussure si incentra sulla distinzione di fatti
sincronici (statici) e fatti diacronici (evolutivi), purché si ammetta che alcune
fasi della storia di una lingua presentino cambiamenti minimi : “(...) it is not a
misrepresentation to treat these periods as linguistic ‘states’ (etats de langue)
(...)”(pag. 89). Dall'analisi dell'A. traspare un Wittgenstein che non sembra
deciso a prender una posizione chiara a riguardo, immerso com'è in un
esercizio di chiarificazione dei giochi linguistici catalizzato da criteri di analisi
a dir poco fluidi. Riaffiora da diversa angolatura la vexata quaestio dell'origine
e del tipo di esistenza da attribuire alle regole linguistiche. L'A. dedica inoltre
ampio spazio al tema della comunicazione, in un capitolo nel quale emergono
attraenti analogie fra le tesi lockiane e l'impostazione saussuriana.
Rimandando al saggio di Harris il lettore che voglia approfondire questo
ed altri argomenti ivi trattati, v'è da dire che l'idea di porre a confronto
Wittgenstein e Saussure non può che essere accolta con estrema attenzione
dagli esperti, dagli studiosi e dai cultori delle discipline coinvolte . A dir vero il
saggo di Harris giova a far breccia nella muta ostilità di linguisti vel filosofi
che tendano a serrarsi nello specifico delle proprie competenze, a danno del
respiro interdisciplinare e transdisciplinare della cultura. Una breccia che si
augura venga ampliata da altri saggi del medesimo Autore, ad un tempo
disinvolti e rigorosi come il presente. Ad esempio, perché non proporre al
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pubblico uno studio dal titolo: “Language, Hjelmslev and Wittgenstein” ?
Francesco Ferrante
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