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scarica saggio - Diario del sottosuolo
Frammenti di Psicologia sociale Indice' Costruire)la)realtà)attraverso)i)significati)............................................................................................)2! La)percezione)degli)altri).............................................................................................................................)3! Esperimento:)studio)di)Tversky)e)Kahneman)(1974)).................................................................................)3) Esperimento:)studio)di)E.Jones)e)V.Harris)(1967))........................................................................................)3) Il)potere)delle)aspettative).....................................................................................................................)3! Esperimento:)Studio)di)D.Rosenhan)(1973))...................................................................................................)3) Esperimento:)studio)di)Rosenthal)e)Jacobson)(1968)).................................................................................)4) Il)sè)....................................................................................................................................................................)4! Esperimento:)studio)di)Wegner)e)colleghi)(1987)).......................................................................................)4) Esperimento:)studio)di)Hull)e)Young)(1983))..................................................................................................)5) Esperimento:)studio)di)Hiroto)(1974))..............................................................................................................)5) La)percezione)dei)gruppi)(pregiudizi,)discriminazioni,)stereotipi))e)identità)sociale)..........)5! Esperimento)di)Hamilton)e)Gifford)(1976))....................................................................................................)6) Esperimento:)studio)di)C.Steele)e)J.Aronson)(1995))....................................................................................)6) La)persuasione)da)euristiche)e)appelli)alle)norme)sociali)..............................................................)7! Atteggiamenti)e)comportamenti).............................................................................................................)9! Esperimento:)Strack,)Martin)e)Stepper)(1988)).............................................................................................)9) La)dissonanza)cognitiva).........................................................................................................................)9! Esperimento:)studio)di)Festinger)e)M.)Carlsmith)(1959))...........................................................................)9) Influenza)sociale,)conformismo,)autorità)..........................................................................................)10! Influenza)sociale)....................................................................................................................................)10! Esperimento:)studio)di)Latanè)e)Darley)(1968))..........................................................................................)10) Gruppi)e)conformismo).........................................................................................................................)11! Esperimento:)studio)di)Asch)(1955))...............................................................................................................)11) L'influenza)dell'autorità).....................................................................................................................)12! Esperimento)di)S.)Milgram)(1963))..................................................................................................................)12) L'influenza)dei)ruoli)sociali)................................................................................................................)14! Esperimento:)studio)di)Zimbardo)e)colleghi)(1973)).................................................................................)14) Esperimento)di)Johnson)e)Downing)1979).....................................................................................................)14) Bibliografia' Smith, E.R., Mackie, D.M. “Psicologia Sociale (seconda edizione)”, Zanichelli, Bologna, 2004 De Beni R., Carretti B., Moè A., Pazzaglia F. “Psicologia della personalità e delle differenze individuali”, Il Mulino, 2008 Bonini, N., Del Missier, F., Rumaiti, R. (a cura di). “Psicologia del giudizio e della decisione.” Il Mulino, Bologna, 2008 Theodore Lidz, "La persona umana", Astrolabio Roma, 1971 1 © Diario del sottosuolo Costruire la realtà attraverso i significati Ogni persona, come un attento scienziato, necessita di fornire dei significati al mondo in cui vive al fine di comprenderlo, vederlo come un luogo coerente e instaurarvisi nella maniera più propria. Sebbene l'obiettivo sia per tutti lo stesso, ciò che differisce, a prescindere dalle differenze individuali di personalità, sono i processi cognitivi fortemente soggettivi con cui gli individui interpretano la realtà e il modo in cui i processi sociali influenzano atteggiamenti e comportamenti. E durante questo processo di costruzione della realtà, l'uomo è “diretto” da alcuni principi generali di elaborazione cognitiva, quali: • L'utilizzo di schemi cognitivi: le persone, in base alle loro esperienze e ragionamenti, costruiscono gradualmente complesse strutture cognitive (schemi) che utilizzano per assimilare nuove informazioni e interpretare gli eventi. Gli schemi sono comodi mezzi che permettono di economizzare e velocizzare l'organizzazione delle informazioni per spiegare la realtà, sebbene, proprio per queste loro caratteristiche, gli schemi possono indurre in errore (bias) dimostrandosi restrittivi, semplicistici e inappropriati. • Conservatorismo: la visione fortemente soggettiva del mondo, una volta formatasi, non solo è molto lenta a variare nel tempo ma è addirittura incline a perpetuare se stessa, ovvero si tende a ricercare prove e conferme attorno a sé in grado di suffragare le opinioni iniziali. • Accessibilità: la mente, durante la formazioni di pensieri, ricordi, comportamenti e giudizi, non utilizza tutte le informazioni in ingresso, ma solamente una piccola parte di esse altamente disponibile (e quindi influente). In particolar modo, più l'informazione appare particolare o rara, maggiore diventa la sua salienza, ovvero la capacità di un indizio di attirare l'attenzione. • Superficialità o profondità: nell'elaborare le informazioni in ingresso si può agire nel modo più veloce utilizzando quelle più accessibili, anche se, dato lo scarso impegno richiesto, forniscono un'immagine fortemente parziale della realtà (elaborazione superficiale), oppure, spesso indotti da motivazioni come il desiderio d’accuratezza, si possono valutare le informazioni in modo più approfondito e riflessivo (elaborazione sistematica). Il fatto è che durante l'assimilazione delle informazioni necessarie per l'impostazione dei propri significati, possono insorgere incongruenze con la realtà portando quindi a giudizi infondati (pregiudizi e stereotipi) e distorsioni. L'elaborazione sistematica può ridurre fortemente l'insorgere di errori di giudizio, anche se per effettuarla sono necessari fattori come la motivazione (possedere motivi per voler andare oltre l'elaborazione superficiale) e sufficienti risorse cognitive (disporre del tempo necessario, la stanchezza, il livello di concentrazione, il numero di compiti eseguiti contemporaneamente). In tutte le sfere della propria esistenza, la misura in cui la persona riuscirà a pensare in maniera sistematica può rivelarsi cruciale in un'interpretazione più “approfondita” alla realtà. E per stimolare questo atteggiamento sistematico, è fondamentale la presenza del dubbio, del conflitto con le proprie opinioni, del disaccordo; perciò rivedere le posizioni iniziali ed eventualmente a correggerle (processo del discounting), anche se, per l'impegno e lo sforzo che l'elaborazione sistematica necessita, spesso si preferisce intraprendere la strada più rapida (l’euristica), utilizzando difese atte a mantenere salde e intaccabili le prime impressioni. Oppure, dato che spesso le informazioni incongruenti con le proprie posizioni e impressioni in genere non sono ben accette, si preferisce ignorarle o addirittura negarle, preferendo, per comodità, le conclusioni più gradite e meno fastidiose. Ma attenzione, si può tentare di correggere una falsa impressione solo quando si è consapevoli della distorsione: ecco allora che diviene di vitale importanza un continuo processo di autocoscienza in cui poniamo una particolare attenzione alle proprie attività interiori. 2 © Diario del sottosuolo La percezione degli altri Le prime impressioni che si hanno sugli altri sono influenzate dall'aspetto fisico (si presume che ciò che è bello sia anche buono) e dalla familiarità, ovvero chi si incontra e frequenta più spesso riceve più valutazioni positive. In questa interpretazione un ruolo essenziale lo possiedono le associazioni (correlare tra loro 2 concetti che si assomigliano fortemente o che vengono ripetuti assieme), le informazioni accessibili (tanto più un'informazione è accessibile tanto più concorrerà nella guida dell'interpretazione) e l'umore. Spesso, al fine di vedere unitaria e coerente la realtà, applichiamo certe teorie ingenue come quelle implicite di personalità: ovvero associamo certi tratti fisici a determinate qualità e caratteristiche di personalità. Ad esempio, le persone con caratteristiche del volto tipicamente infantili vengono classificate come oneste, buon ma anche ingenue, incerte (baby-faceness). Nell'etichettare le persone attorno a noi, inevitabilmente si compiono fin troppo spesso errori di giudizio. Esperimento:,studio'di'Tversky'e'Kahneman'(1974)'' Fornita una descrizione di personalità, a dei partecipanti veniva chiesto di indovinare la professione della persona descritta tra una serie di opzioni. Descrizione fornita: “S. è una persona molto timida che tende a stare in disparte. E' sempre pronto ad aiutare gli altri, ma mostra uno scarso interesse per il mondo e per le persone che lo circondano. E' tranquillo e remissivo, e ha bisogno che tutto sia sempre chiaro e preciso mostrando una passione per i dettagli”. Professioni disponibili: artista / il pilota / il bibliotecario / l'operaio / il trapezista / il chirurgo. Quasi tutti i partecipanti ritennero che S. poteva essere un bibliotecario. Nell'emettere i propri giudizi, i partecipanti confrontarono il profilo di personalità di S. con l'immagine prototipica/stereotipica di ciascuna professione riportata nell'elenco (euristica della rappresentatività). L'errore sottostante a tale ragionamento è che solitamente le persone, nei propri giudizi, non tengono conto delle probabilità di base, ossia che alcuni eventi sono più probabili di altri (nel caso specifico, nella popolazione nel suo insieme vi sono molti più operai che bibliotecari). Esperimento:,studio'di'E.Jones'e'V.Harris'(1967)' ' Ai partecipanti dello studio venne chiesto di leggere un saggio a favore/contro il regime comunista di Fidel Castro a Cuba: ad alcuni venne detto che lo scrittore del saggio aveva scelto liberamente la posizione politica positiva/negativa assunta, ad altri invece venne riferito che tale posizione gli era stata imposta. Nonostante queste dichiarazioni, quando ai partecipanti venne chiesto di inferire la reale opinione dello scrittore, tutti valutarono la posizione assunta comunque come corrispondente alla sua reale opinione. Eccoci di fronte all’errore di corrispondenza: la tendenza ad inferire caratteristiche di personalità dell'attore sulla base del comportamento osservato ritenendo che esso derivi da qualità interiori (attribuzioni disposizionali) piuttosto che dal contesto o dalla situazione in cui si trova (attribuzioni situazionali). Il potere delle aspettative Quando si verifica un evento o osserviamo un comportamento, le prime informazioni che captiamo sono in grado di influenzare aspettative che a loro volta plasmano l'interpretazione delle informazioni successive (effetto di priorità: l'informazione che giunge per prima ha un impatto maggiore), e gli effetti che tali impressioni producono, possono rimanere costanti nel tempo nonostante la consapevolezza d'errore (effetto di persistenza: è difficile cancellare completamente l'effetto di un'impressione iniziale). Esperimento:,Studio'di'D.Rosenhan'(1973)'J'VIDEO, Lo sperimentatore introdusse individui senza alcuna patologia o disfunzione clinica in diversi ospedali psichiatrici di modo che venissero ricoverati (lamentandosi di sentire voci inesistenti), ovviamente senza che i medici sapessero nulla dell'esperimento. Gli individui stettero all'interno degli ospedali in media più di 2 settimane, sempre comportandosi nella modo più normale possibile. Il risultato sconcertante fu che nemmeno in un caso, il personale dei vari ospedali si accorse dell'impostura dei falsi pazienti. Non solo le aspettative plasmano le proprie convinzioni, ma esse sono in grado addirittura di creare comportamenti conformi per quanto concerne gli altri. Infatti, le aspettative che una persona nutre su un'altra, sono in grado di innescare dei comportamenti che andranno a confermare le aspettative di partenza (la profezia che si autoavvera). 3 © Diario del sottosuolo Esperimento:,studio'di'Rosenthal'e'Jacobson'(1968)' , I ricercatori comunicavano a degli insegnanti di scuola nominativi di alunni a parer loro migliori intellettualmente di altri (in realtà scelti casualmente all'insaputa dei professori). Successivamente, nel corso dell'anno scolastico, tutti gli alunni vennero sottoposti ad un test e con sorpresa si notò che ad ottenere i risultati migliori furono propri quegli alunni selezionati in principio (in realtà in modo del tutto casuale). Le aspettative nutrite dagli insegnanti li avevano portati inconsapevolmente a dedicarsi con maggior attenzione e cura agli studenti dai quali si aspettavano prestazioni migliori, portando così ad effettivi comportamenti conformi. Non sorprende allora come ogni rappresentazione cognitiva che ci andiamo a formare (pregiudizi e stereotipi compresi) tendano nel tempo ad autoperpetuarsi e di conseguenza a cambiare molto lentamente. Il sè Nel mondo attorno cui ruota l’individuo, il sé gode di un ruolo privilegiato per la propria attenzione e nell'interpretazione e memorizzazione delle informazioni, allo stesso modo del bisogno di concepire la propria identità come coerente ed unitaria. Esempi ci sono forniti dal fenomeno del cocktail party, ovvero se durante una festa o in una sala piena di chiacchiericci avvertiamo anche lontanamente il nostro nome, l'attenzione ne viene subito attirata, oppure dal fenomeno del self-reference effect, ossia quando dobbiamo memorizzare una serie di aggettivi, il nostro ricordo diventa più vivido e preciso qualora gli aggettivi riguardano noi stessi (le informazioni relative al sé sono estremamente accessibili e influenti nell'interpretazione degli eventi). Escludendo l’enorme peso esercitato dalla cultura, il sé è soggetto a innumerevoli influenze sociali, palesato dal fatto che acquisiamo informazioni su noi stessi in gran parte attraverso il confronto con gli altri (teoria del confronto sociale), cosa che ci permette di percepire le qualità che ci distinguono consentendoci di sviluppare la propria unicità. Inoltre, il confronto sociale diventa più probabile quanto più le persone si trovano in uno stato di incertezza e dubbio circa se stesse in una specifica area della propria condizione. In particolar modo, sembra essere l’autostima ad essere al centro delle nostre preoccupazioni, tant’è che non di rado, pur di vederci sotto luce positiva, gonfiamo i nostri successi anche senza motivo o per provare un senso di superiorità (e rinforzare la propria autostima), ci si paragona a quelli che in un qualche modo sono meno fortunati di noi o hanno avuto meno successo in qualche cosa (confronto al ribasso). Senza escludere l’importanza che forniamo all’immagine da fornire per l'esterno (sè imperativo) o a quello che vorremmo essere (sè ideale); rappresentazioni in grado causare forti disagi emotivi quando nascono discrepanze tra queste dimensioni. Qualunque cosa contraddica la propria rappresentazione di se stessi può andare seriamente a minarne le fondamenta, per cui, invece che un processo di analisi costruttiva su di sé, spesso si opta per l’utilizzo di strategie volte a ridurre gli effetti negativi (stress, fatica, ansia) di tali contraddizioni: si può fuggire alla sfida per evitare eventuali fallimenti, distrarsi con mezzi che riducano la propria autoconsapevolezza, minimizzare la minaccia sminuendone il valore, negarne l’esistenza stessa respingendone veridicità o attendibilità, o arrivare a trovare delle scuse per addurre il proprio fallimento a circostanze esterne invece che a motivazioni interne (teoria attore-osservatore). Eppure tanto efficaci queste strategie non sono, dato che il “non pensare a” in seguito a fallimenti o sentimenti negativi, sembra proprio portare all'effetto opposto desiderato. Esperimento:,studio'di'Wegner'e'colleghi'(1987)'J'VIDEO, In una prima fase dell’esperimento, ad ogni partecipante veniva chiesto di esporre verbalmente tutto quello che stesse pensando, mentre nella seconda fase, il partecipante veniva lasciato solo ma chiedendogli di continuare a verbalizzare i propri pensieri evitando di menzionare un orso bianco. Inoltre, ogni qualvolta che al partecipante veniva in mente l'orso bianco, doveva suonare un campanello posto di fronte a lui. Infine nella terza ed ultima fase, al partecipante veniva chiesto di dire tutto quello che gli veniva in mente su un orso bianco. L'esperimento fu ripetuto su un altro partecipante senza però la condizione di soppressione del pensiero dell'orso bianco. I risultati avevano messo in evidenza che nella condizione di soppressione del pensiero, i partecipanti pensavano più di una volta per minuto all'orso bianco e che era più facile per loro rispetto all'altro gruppo, parlare dell'orso durante l'ultima fase. Il tentativo di sopprimere un pensiero lo rende maggior disponibile invece che renderlo inaccessibile: l'intenzione di sopprimere un pensiero, infatti, induce uno sforzo che porta a mantenere attivo il pensiero non voluto anziché eliminarlo dalla mente (effetto di amplificazione). 4 © Diario del sottosuolo Un esempio di autosabotaggio Per quanto possa sembrare assurdo, alcune persone sabotano la loro stessa prestazione per poter avere successivamente una scusa in caso di fallimento. Un classico esempio di tale fenomeno è la storia del famoso scacchista francese Deschapelles: dopo una lunga serie di vittorie, D. iniziò ad aver timore di un’eventuale sconfitta che potesse quindi rivelare giocatori più abili di lui. Così decise di giocare ulteriori partite solamente con avversari disposti ad accettare un grosso vantaggio a loro favore: la prima mossa. Tale scelta rendeva sì più difficile per D. vincere, ma gli avrebbe fornito un'importante via di fuga in caso di sconfitta, cautelandogli perciò l’immagine di miglior giocatore di scacchi. Infatti, anche in caso di sconfitta, l'avversario non poteva essere ritenuto in assoluto più abile di lui, in quanto aveva goduto di un grosso vantaggio nel mondo degli scacchi. Le strategie autolesive consistono in generale nell’inventarsi degli ostacoli che rendano meno probabile una buona prestazione, o evitare d'impegnarsi adeguatamente, in modo da facilitare un probabile fallimento al fine di limitare i danni alla propria autostima e mantenere così la positività della propria immagine. Una strategia utilizzata di frequente per eliminare gli stati infelici, magari dopo una serie di fallimenti, è quella di ridurre la propria autoconsapevolezza. Ciò ha a che fare fortemente con tutte quelle strategie che si prestano per tale fine, dalle più comuni a quelle più serie come l'utilizzo di alcol o droghe. Esperimento:,studio'di'Hull'e'Young'(1983), In un primo momento, a dei partecipanti veniva sottoposto un test d'intelligenza, e, in modo casuale, a metà di loro si diceva di aver ottenuto un buon punteggio, mentre all'altra metà veniva comunicato di aver raggiunto un punteggio molto basso. Successivamente, i partecipanti venivano invitati ad un test di valutazione di bevande alcoliche: bisognava assaggiare ogni bevanda ed esprimere il proprio giudizio. In realtà, ciò che interessava gli sperimentatori era la quantità di bevanda assunta ad ogni assaggio. I risultati dimostrarono che i partecipanti a cui era stata data la valutazione scarsa, avevano ingerito quasi il doppio di alcol rispetto all'altra metà. Soprattutto quando si è stati esposti ad una lunga serie di esperienze fallimentari, o quando ci si trova in una condizione di depressione, può succedere che non ci si senta più padroni del proprio destino e si smetta, anche in condizioni favorevoli, di esercitare un controllo sugli eventi (incapacità appresa). Esperimento:,studio'di'Hiroto'(1974), Dei partecipanti vennero sottoposti a scoppi di rumori fastidiosi: nella prima prova ad alcuni fu concesso di poter interrompere volontariamente i rumori, mentre ad altri non fu consentito di sottrarsi. Nella seconda prova, i partecipanti che non avevano avuto la controllabilità sull'evento durante la prima fase, nonostante avessero potuto interrompere facilmente i rumori, non fecero nulla. La percezione dei gruppi (pregiudizi, discriminazioni, stereotipi) e identità sociale Nonostante quello che possono essere le proprie avversità verso pregiudizi, discriminazione e stereotipi, le modalità con cui andiamo a formarci tali percezioni di gruppi, sono le stesse che coinvolgono i processi cognitivi e sociali. Infatti, da un punto di vista cognitivo, categorizzare le persone in un’unica tipologia serve alla propria mente per reperirne informazioni nel modo più veloce e comprensibile possibile, così come vedere il proprio gruppo d'appartenenza migliore e in luce più positiva rispetto agli altri, serve a fornire al sé affiliazione e sostegno. Ciò è dato dal fatto che, come tutte le euristiche (“scorciatoie” del pensiero), categorizzare le persone è utile in quanto ci consente di padroneggiare l'ambiente e di conseguenza, ignorare le informazioni irrilevanti. Inoltre, quanto più la situazione o l'evento ci appaiono poco chiari o ambigui, tanto più è probabile che finiremo per darne un'interpretazione in linea con lo stereotipo, così come le emozioni come paura, preoccupazione e ansia (magari di fronte all'interazione di nuovi gruppi), possono portare a ingenti distorsioni di giudizio. E l’emozione gioca un ruolo così importante che quando l'interazione con il gruppo si accompagna ripetutamente ad emozioni negative e spiacevoli, si può rischiare il famigerato condizionamento classico, ovvero quando un individuo o un oggetto che è stato in precedenza frequentemente associato ad una particolare emozione, finisce per sollecitarne l'emozione provata con la sua sola presenza. Spesso la formazione dello stereotipo serve anche per giustificare le disuguaglianze presenti in società: ogni società infatti difende disuguaglianze che avvantaggiano alcuni gruppi a discapito di altri. La ragione più ovvia può essere la credenza in un mondo giusto: ovvero la convinzione razionale che le persone meritano ciò che ottengono e ottengono ciò che meritano. Credere pertanto nella giustizia generale della società, libera da responsabilità morali, e quindi biasimare le vittime diventa un modo per poter continuare a considerare il mondo come un luogo comprensibile e sicuro, dove le cose 5 © Diario del sottosuolo spiacevoli accadono solo alle persone “cattive”: l'AIDS è la punizione per omosessuali e drogati, e i poveri sono tali per la loro pigrizia. Non solo gli stereotipi ricalcano le disuguaglianze, ma, forse con ancor più evidenza, i ruoli sociali: la cultura dominante e i media promuovono l'idea secondo cui le caratteristiche personali corrispondano ai ruoli “assegnati” dalla società. Basti pensare alle differenze di genere che si presentano in svariati stereotipi (la donna nelle vesti di casalinga o come figura professionale d'infermiera o insegnante), oppure al “valore” attribuito al genere come fosse intrinseco, per cui dell'uomo viene messo in mostra con maggior frequenza il viso per esprimere professionalità, serietà e razionalità, mentre della donna il corpo, per mostrarne bellezza, sensualità e avvenenza (fenomeno del faceism). E allora, poiché si è convinti che i ruoli siano connaturati al gruppo d'appartenenza, questa convinzione ne diventa anche la giustificazione atta a mantenere l’ordine delle cose. E dunque, che l’attivazione da stereotipo, essendo inevitabile, renda giustificabile anche la discriminazione? Certo che no. Ognuno è influenzato dall'attivazione di stereotipi, ma riconoscerne gli effetti sulle proprie emozioni e opinioni può costituire la base per l'intenzionalità a rivedere con maggior attenzione e riflessione i propri giudizi (con un’elaborazione di tipo sistematica), ricordandoci sempre del ruolo delle aspettative, ossia che tendiamo a notare e ricordare quello che ci aspettiamo di vedere (vd. la profezia che si autoavvera). Inoltre, è risultato che tali distorsioni di percezione sarebbero maggiormente correlati con certi tipi di personalità autoritaria che, credendo acriticamente nella legittimità dell'autorità e condizionati da conflitti interiori, proietterebbero le proprie inadeguatezze sugli altri; in questo modo il pregiudizio proteggerebbe questi individui dalla consapevolezza di scoperte troppo fastidiose o “scomode” da accettare. La tendenza “naturale” dello stereotipo: la correlazione illusoria Esperimento,di'Hamilton'e'Gifford'(1976), Ad una serie di partecipanti venne chiesto di leggere delle frasi in cui in ognuna di essere veniva descritto un comportamento positivo o negativo messo in atto da un membro di un ipotetico gruppo A e di un gruppo B. I membri del gruppo A erano più numerosi di quelli del gruppo B, ma in entrambi i gruppi i comportamenti positivi erano maggiori di quelli negativi con un rapporto costante di 2 a 1. Nonostante questa uguaglianza, quando ai partecipanti venne chiesto l'impressione dei due gruppi, essi trovarono più negativo il gruppo B. Questa distorsione (la correlazione illusoria) viene definita come la tendenza a ritenere che due eventi siano tra loro correlati anche se nella realtà una simile associazione non è affatto presente. Nello specifico, quando si verificano simultaneamente due eventi infrequenti (nell'esperimento l'appartenenza al gruppo B in minoranza e i comportamenti negativi che sono solitamente più rari), questa ricorrenza simultanea viene subito notata (risulta più saliente, cioè più distintiva, caratteristica) e quindi viene impressa per bene nella memoria. Ecco perché, quando leggiamo di fatti spiacevoli sul giornale, possiamo involontariamente trovarne le cause sul gruppo minoritario (correlato a caratteristiche più negative) piuttosto che su quello maggioritario. Difendere gli stereotipi Sebbene il contatto diretto con il gruppo sottoposto a stereotipo possa essere il modo per porre fine allo stesso stereotipo (ipotesi del contatto), in quanto si fa esperienza diretta di un'informazione incoerente con le proprie opinioni, si possono comunque innescare meccanismi di difesa in grado di ostacolarne la correzione (conversione). Prima di tutto, le informazioni incoerenti con le proprie aspettative possono essere neutralizzate con una spiegazione di qualche tipo, magari ricercandone cause particolari nella situazione. Oppure si può difendere lo stereotipo includendo il gruppo di persone in un’altra categoria (sottotipo) che ne costituisca l'eccezione, o considerare direttamente i singoli membri costituenti non “idonei” in quanto contrastano le aspettative stereotipiche (effetto di contrasto), e quindi non rappresentanti del gruppo. Il gruppo stigmatizzato Spesso gli individui che fanno parte di un gruppo stigmatizzato (soggetto a stereotipo o discriminazione) possono subire quella che viene chiamata minaccia da stereotipo (un tipo di profezia che si autoavvera), ovvero il timore di confermare con il proprio comportamento, gli stereotipi negativi del gruppo di appartenenza nutriti dagli altri individui. Esperimento:,studio'di'C.Steele'e'J.Aronson'(1995), Per esaminare questo fenomeno, gli sperimentatori hanno preso in considerazione lo stereotipo secondo cui i neri americani sono poco intelligenti. A degli studenti neri veniva sottoposto un test difficile dicendo ad alcuni che era solo un esercizio di laboratorio mentre ad altri che era fortemente correlato alle capacità intellettive. Nella condizione da minaccia da stereotipo (la seconda), gli studenti neri ottennero un punteggio nettamente inferiore rispetto alla prima condizione. Il fatto stesso di sapere che le persone hanno uno stereotipo negativo riguardo al proprio gruppo di appartenenza, può portare alla mente lo stereotipo creando uno stato d'ansia che nuoce alla prestazione. 6 © Diario del sottosuolo La persuasione da euristiche e appelli alle norme sociali Nel momento stesso in cui il proprio sguardo si posa su cose o persone, subito nasce un atteggiamento, cioè una valutazione, un giudizio, anche se ovviamente non sempre si è consci del come è avvenuto questo processo. Ecco allora che la conoscenza di questi processi cognitivi può tornare utile a chi, per lavoro, deve poter indirizzare e dirigere gli atteggiamenti come nel caso dei mass media. Primo fra tutti nel regolare l'atteggiamento, è il bisogno di coerenza: ogni volta che ci pervengono delle informazioni incoerenti con quello che già sappiano o crediamo, tendiamo ad innescare meccanismi atti a ristabilire l'armonia ed impedendo così altre contraddizioni. Sicuramente l’ulteriore bisogno di accuratezza, le proprie esperienze e le motivazioni personali possono aumentare il grado di riflessione e di profondità nel processo di costruzione dell’atteggiamento, ma anche il più attento può facilmente incappare nell’euristica (la scorciatoia del pensiero). Euristica della disponibilità L'errore di giudizio consiste nel fatto che quando si recuperano dalla memoria certe informazioni (soprattutto quando dobbiamo stimare un dato statistico), quelle meglio codificate e quindi più facilmente disponibili sono quelle più salienti. Ad esempio, Slovic e colleghi hanno mostrato come le morti per omicidio vengono ritenute ben più frequenti rispetto a quelle per tumore allo stomaco, nonostante i dati oggettivi dimostrino che queste ultime siano ben 17 volte più frequenti. Il fatto che i casi d'omicidio vengano lungamente trattate dai media e catturino particolarmente l'attenzione, porta a sovrastimarne l'effettiva diffusione. Il condizionamento classico Il metodo più antico e diffuso delle pubblicità è quello di associare alcuni prodotti a particolari emozioni. Ovvero se si presenta un oggetto di vendita (inizialmente “neutrale”) in concomitanza ad uno stimolo positivo (una musica o un'immagine piacevole), in grado di produrre emozioni positive (o negative) nello spettatore, una volta che il prodotto si ripresenterà nuovamente alla vista o al ricordo, sarà capace di suscitare automaticamente i sentimenti provati in precedenza (prima: oggetto ---> stimolo ---> emozione, dopo: oggetto ---> emozione). L'euristica dell'attrattiva/familiarità Anche questo tipo di persuasione spopola nel mondo della televisione: l'associare qualcuno che ci piace (come un viso attraente o una personalità famosa) ad un oggetto di vendita, induce a pensare che anche quell'oggetto sia altrettanto gradevole. Ecco allora che in genere subiamo maggiormente l'influsso persuasivo di chi troviamo più attraente rispetto a chi lo è di meno, così come gli elettori, in mancanza di altri parametri, spesso preferiscono i candidati politici che trovano migliori esteticamente. Allo stesso modo finiamo per apprezzare maggiormente quegli stimoli ai quali veniamo esposti con maggior frequenza (effetto di mera esposizione), dato che prediligiamo quei sentimenti positivi e rassicuranti associati alla familiarità. L'euristica dell'esperto Spesso vediamo prodotti di vendita consigliati da degli esperti del settore. Questo perché le pubblicità sanno che tendiamo ad accettare la validità di un'affermazione sulla base di chi la dice e non su quanto ci viene detto. Ecco che allora che ci fidiamo imprescindibilmente di quello che dicono gli esperti in quanto le loro affermazioni diventano autorevoli (per essere credibili però devono dare l'aria di competenza e affidabilità). La paura come migliore arma di persuasione La paura è sicuramente l'emozione più sfruttata da chi vuole manovrarci per esercitare la propria influenza. Essa infatti ha un ruolo importante nell’influenza dei propri atteggiamenti: innanzitutto a man mano che la paura cresce d'intensità, diventa sempre più difficile concentrarsi sul contenuto del messaggio e valutarlo obiettivamente, in secondo luogo la giusta dose d'ansia è in grado di catturare l’attenzione dello spettatore che s’attiverà nella speranza di trovare “una soluzione” per eliminare l'evento ansiogeno. Ecco allora che i messaggi pubblicitari più efficaci sono proprio quelli che contengono le istruzioni più rassicuranti nel fornire tali soluzioni. Bisogna però ricordare che affinché il messaggio risulti efficace, l'individuo deve pensare che la conseguenza negativa lo riguardi direttamente e personalmente; inoltre la paura provata non dev'essere esagerata, altrimenti allontanerebbe lo spettatore: quando infatti ci si sente senza scampo o in una situazione d'ansia eccessiva, le motivazioni di autodifesa possono indurci a ignorare, minimizzare o negare il messaggio (evitamento difensivo). 7 © Diario del sottosuolo Il messaggio subliminale E' oramai diffusa l'idea che le persone possano essere influenzate attraverso un'esposizione non consapevole alle informazioni (come ad esempio attraverso l'uso di immagini presentate così velocemente da non poter essere notate consapevolmente), tuttavia recenti studi sembrano sminuire assai il potere di tali effetti sui propri comportamenti. Infatti, anche se gli stimoli subliminali (visivi e non uditivi in quanto questi ultimi difficilmente sono codificati inconsapevolmente) hanno un effetto parziale sugli atteggiamenti, dato che tale effetto viene rapidamente eliminato una volta che ha luogo l'elaborazione conscia. Ciò significa che ciò che si vuole fare è molto più potente di qualsiasi “incitamento segreto” di cui possiamo essere vittime, per cui risulta abbastanza improbabile che l'influenza subliminale possa farci fare qualcosa che non vogliamo fare. Umore, risorse cognitive e fattori esterni La probabilità di incorrere ad euristiche sembra aumentare in concomitanza ad alcuni fattori. Primo fra tutti l'umore: sembra infatti che chi è di umore positivo sia più a rischio di elaborazioni superficiali. Infatti quando le persone si sentono bene, il più delle volte non avvertono la necessità né la motivazione di dover elaborare più accuratamente l’informazione in ingresso, sentono che tutto va per il meglio e che la loro situazione non presenti alcun pericolo. Un altro fattore determinante può essere la stanchezza (difficoltà a concentrarsi e di porre attenzione), oppure spesso capita che nel processo di valutazione di un oggetto, non disponiamo delle adeguate risorse cognitive (competenze tecniche), per cui alla fine affidiamo la propria scelta basandoci su impressioni superficiali (come le caratteristiche estetiche). Comprendere che chi vuole persuaderci non sempre ha a cuore i nostri interessi, è senz'altro importante perché ci ricorda che potremmo essere soggetti a manipolazioni. La persuasione non è qualcosa che siamo costretti a subire passivamente e inevitabilmente: il fatto di essere persuasi o meno dipende in gran parte dalle nostra consapevolezza. Tecnica del piede nella porta Questa definizione di influenza sociale si rifà alle strategie dei venditori porta a porta che hanno bisogno di infilare un piede nella porta del cliente per giungere al loro obiettivo. Essa consiste nell'indurre le persone a compiere una piccola azione coerente con il proprio obiettivo prefissato, per assicurarsi successivamente un'altra richiesta di più vasta portata. In questo modo l'esecuzione di un comportamento iniziale che può sembrarci di poco conto, è in grado di innescare processi di autopercezione che portano ad inferire un atteggiamento coerente con l'azione eseguita. Un esempio tipico di questo fenomeno convalidato più volte anche sperimentalmente, è quello utilizzato dalle associazioni che vogliono sollecitare elargizione di denaro e tempo: piccoli comportamenti altruistici (come una firma o un singolo buon proposito nei confronti dell'associazione) possono creare dei volontari dediti a chissà quali opere di bene. La norma della reciprocità come strategia di vendita Una delle norme sociali più diffuse consiste nel fatto che è convinzione diffusa restituire agli altri beni, servizi, doni, favori o complimenti che ci vengono offerti, anche se non sono stati richiesti. Una tecnica largamente diffusa consiste dapprima nell'effettuare da parte del venditore una richiesta talmente gravosa e impegnativa da renderne inevitabile il rifiuto, e in seguito di farsi concedere una richiesta molto più moderata (il vero obiettivo del venditore). Il senso di colpa suscitato nel primo brusco rifiuto fa appello alla norma della reciprocità che porterà la persona a concedere proprio quello che il venditore in realtà voleva (tecnica della porta in faccia). La norma dell'impegno come strategia di vendita Un’altra norma sociale diffusa è quella che ci impone di tenere fede agli impegni presi e di adempiere ai propri doveri; questa norma è talmente forte che spesso obbliga l'individuo a sacrificare se stesso e i propri interessi pur di rispettarla. Una tecnica diffusa da parte dei venditori consiste nell'assicurarsi l'adesione ad una richiesta iniziale, per poi successivamente aumentarne fortemente le dimensioni rivelando costi (in termine di denaro o energia) inizialmente celati (tecnica del tiro mancino). Esempi ancor più assurdi si verificano quando non di rado le vittime di tale tecnica di vendita finiscono addirittura per scusarsi con il venditore per aver preso anche solo in considerazione l'eventualità di ritirarsi da un accordo in cui le condizioni sono cambiate. Inoltre, a corroborare il rischio di persuasione intervengono la dissonanza cognitiva (la discrepanza tra l'impegno assunto e l'ipotesi di non tenere fede al patto crea una spiacevole attivazione che richiede un intervento per preservare l'immagine positiva di se stesso), e il rinforzo cognitivo (l'impegno preso viene rinforzato da eventuali giustificazioni che servono a sostenere la giustezza della propria decisione). 8 © Diario del sottosuolo Atteggiamenti e comportamenti Atteggiamenti e comportamenti sono strettamente correlati, ciò però non significa necessariamente che siano sempre in perfetta sintonia, anzi fin troppo spesso nascono “inspiegabili” contraddizioni in grado di generare una situazione di disagio, forse proprio perché ne diamo per scontata la coerenza logica. Così, quando non riusciamo direttamente ad arrivare ai propri atteggiamenti, lo facciamo inferendoli attraverso l’osservazione degli stessi comportamenti nelle situazioni in cui si verificano (teoria dell'autopercezione). Contrariamente dalle proprie aspettative, non solo i propri pensieri ma anche ciò che facciamo, a prescindere dalla loro coerenza, sono in grado di modificare gli atteggiamenti e influenzare stati emotivi. Esperimento:,Strack,'Martin'e'Stepper'(1988)'J'VIDEO, In uno studio gli sperimentatori chiesero di valutare a dei partecipanti quanto fossero divertenti dei cartoni animati: ad alcuni fu chiesto di eseguire il compito con una penna serrata tra i denti, ad altri invece con la penna tenuta tra le labbra protruse. Benché i partecipanti ne fossero inconsapevoli, queste manovre obbligano ad una mimica facciale che determina rispettivamente un sorriso e un'espressione corrugata. Bastò attivare "artificialmente" i muscoli facciali per notare che i partecipanti con "il sorriso" valutarono molto più positivamente i cartoni animati rispetto a quelli con l'espressione corrucciata. La dissonanza cognitiva Quando in un modo o nell’altro diventiamo consapevoli dell'incoerenza esistente tra i propri principi e le azioni compiute, si genera dentro di noi uno stato spiacevole di tensione che, al fine di porvi termine, necessita di un cambiamento. Ma poiché il comportamento ci appare come liberamente scelto e le conseguenze delle proprie azioni sono difficili da negare, è più facile ristabilire coerenza modificando gli atteggiamenti stessi (ossia i principi). Esperimento:,studio'di'Festinger'e'M.'Carlsmith'(1959)'J'VIDEO' Nell'esperimento venne chiesto ad un partecipante di eseguire una serie di compiti molto noiosi e ripetitivi, inutili se non per l'atto in sé. Al termine dell'esecuzione lo sperimentatore chiede al partecipante un favore: l'assistente che doveva motivare i prossimi partecipanti non è arrivato in tempo, pertanto gli propone di ricoprire il suo ruolo. Per tale “favore”, ad un gruppo venne proposta la ricompensa di un dollaro per mentire dicendo che l'esperimento è motivante e interessante, ad un altro vennero dati 20 dollari per mentire, mentre ad un altro ancora venne chiesto di non mentire. Quando successivamente ai 3 gruppi venne chiesto di valutare la piacevolezza del compito, solamente i partecipanti che ricevettero 1 dollaro per mentire lo giudicarono piacevole. Ci sono tutti gli elementi del fenomeno della dissonanza cognitiva: il comportamento discrepante con l'atteggiamento (l'atto del mentire), le conseguenze negative (l'illusione procurata ai prossimi partecipanti) e l'esecuzione di tale azione ingiustificatamente (la ricompensa ridicola di 1 dollaro). Proprio quando non riusciamo a spiegarci il perché del nostro comportamento incoerente (mancano le giustificazioni esterne), ecco allora che dobbiamo trovare una spiegazione ad ogni costo, modificando così il proprio atteggiamento (in fondo l'esperimento deve avere una qualche valenza scientifica e tutto sommato non è stato così noioso). Altri esempi di dissonanza cognitiva: La giustificazione dello sforzo: perché spesso si arriva ad amare proprio quello che ci causa tribolazioni se non sofferenze? Perché per giustificare le proprie sofferenze l'unico modo è modificare il proprio atteggiamento, o in generale più investiamo in qualcosa, in termini di tempo, denaro o sofferenza, più quel qualcosa finisce per piacerci. da Smith, E.R., Mackie, D.M. “Psicologia Sociale (seconda edizione)”, Zanichelli, Bologna, 2004 9 © Diario del sottosuolo La giustificazione delle decisioni: ogni volta che si compie una scelta difficile, si compie necessariamente una rinuncia, spesso difficile da accettare. Per ridurre tale tensione si utilizza la strategia di amplificare le valutazioni positive dell'opzione scelta e screditando le alternative scartate: le persone devono convincersi di aver fatto la scelta giusta. Ad esempio chi scommette abitualmente nelle corse di cavalli ha molta più fiducia nelle proprie possibilità di vittoria dopo aver scommesso che prima (Knox e Inkster, 1968). Atre reazioni di fronte alla dissonanza cognitiva: Immaginate di avere appena infranto una dieta che vi eravate promessi di rispettare rigorosamente, mangiando un'intera scatola di biscotti. Potreste risolvere il conflitto di incoerenza in questi modi: • • • • minimizzare l'incoerenza banalizzando il comportamento discrepante: “qualche biscotto non comprometterà l'intera dieta”; rendere il comportamento logicamente coerente: “la dieta è troppo dura, ogni tanto bisogna concedersi qualche lusso...”; minimizzare la propria responsabilità: “i biscotti erano un regalo, sarebbe maleducazione non mangiarli”; attribuire l'incoerenza ad altre cause: “questa dieta mi mette di pessimo umore”. Solo con una più attenta riflessione si può essere consapevoli delle false spiegazioni che possiamo fornire a noi stessi, e accettare così non solo l'incoerenza, capendo che possono essere “altri” i motivi responsabili delle proprie incoerenze, ma anche i nostri stessi limiti che ci portano inevitabilmente a cadere nell'incoerenza. Anche perché a costo di vedere la propria vita lineare e coerente, si rischia di “raccontarsela” senza poter mai rendersi conto della “falsità” dei propri atteggiamenti, in quanto lo sforzo di giustificare l'incoerenza stimola la persona a considerare infinite strategie e argomentazioni che altrimenti avrebbe ignorato. Infine, la reiterazione dei propri atteggiamenti e delle attribuzioni che forniamo, consolidano maggiormente la loro perpetuazione nel tempo (aumentandone l'accessibilità e la salienza), rendendo più probabili i comportamenti correlati (non v'è nulla di più pericoloso delle abitudini: i propri comportamenti si innescano in modo così automatico che ci si ritrova nel bel mezzo di un'azione ancor prima di saperne il perché). Ecco quindi che sapere in che modo i comportamenti influenzano gli atteggiamenti, e viceversa, significa già riuscire ad esercitarne un certo controllo piuttosto che subirli passivamente. Influenza sociale, conformismo, autorità Influenza sociale Nonostante le proprie convinzioni riguardo la propria personalità, è necessario comprendere quanto l'influenza sociale incida su ogni aspetto della propria esistenza. Si è sorpresi nello scoprire con quanta maggior frequenza si segua la norma sociale anziché i propri atteggiamenti: troppo spesso si fa quello che si deve fare anziché quello che si vuol fare. Così nasce il rischio di costruirsi un mondo dove il giusto e lo sbagliato, il bene e il male si rispecchiano nelle norme sociali e non dentro di noi. La sola presenza di altre persone attorno ad un individuo può accrescere la sua attivazione fisiologica rendendo alcuni comportamenti facili e altri più difficili (facilitazione sociale): il timore di essere valutato e la distrazione procurata sono forti determinanti sulla qualità della prestazione . La comprensione della realtà è fortemente condizionata dalle percezioni degli altri attorno a noi, e di conseguenza, anche i comportamenti connessi. Esperimento:,studio'di'Latanè'e'Darley'(1968)'–'VIDEO'' In una stanza un partecipante doveva compilare un questionario assieme ad altre persone (collaboratori in incognito), anch'esse intente nell'esecuzione del compito. Ad un certo punto veniva riversato nella stanza del fumo: contrariamente dalla situazione in cui i partecipanti erano soli e cercavano aiuto per l'allarme suggerito dal fumo, durante la compilazione del questionario assieme ai collaboratori, nonostante i segnali di disagio e d'imbarazzo, non fecero nulla. Quando i partecipanti cercarono di ottenere informazioni su cosa stesse accadendo vedendo il fumo, trassero inferenze dalle reazioni assenti delle altre persone intorno. Non è la mera presenza degli altri che influisce sull'azione, ma ciò che le azioni degli altri ci dicono sulla situazione. 10 © Diario del sottosuolo Il fenomeno dell’ignoranza collettiva da Smith, E.R., Mackie, D.M. “Psicologia Sociale (seconda edizione)”, Zanichelli, Bologna, 2004 Quando lo stesso fenomeno di inerzia o più in generale di influenza sociale si applica a molte persone oltre che al singolo, si parla di ignoranza collettiva. Il tragico evento avvenuto in un sobborgo di New York divenne un esempio famoso nella letteratura della psicologia in grado di spiegare quanto facciamo affidamento sugli altri per interpretare la realtà esterna. Una mattina del 1964 una ragazza di nome Kitty Genovese fu pugnalata ripetutamente per strada da un uomo. Nonostante le ferite ricevute, la ragazza riuscì a trascinarsi fino ad un angolo di strada dove gridò aiuto. Mentre dagli appartamenti vicini iniziavano ad esporsi alcune persone incuriosite dalle grida, l’assassino ritornò dalla ragazza pugnalandola di nuovo. Le indagini dimostrarono che la ragazza morì dopo più di mezzora dall’inizio dell’aggressione e che ben 38 persone avevano assistito a parte dell’aggressione. Eppure nessuno di loro prestò il benché minimo aiuto, nemmeno limitandosi a chiamare la polizia. Nonostante gli astanti si fossero accorti dello stato di emergenza manifestando ansia e indecisione sul da farsi, la presenza di altri osservatori aveva influito nella decisione di accorrere in aiuto. Si era verificato quel fenomeno definito come diffusione di responsabilità: quando ad un evento sono presenti altre persone, la responsabilità viene suddivisa e ciascun individuo avverte meno la responsabilità di prestare aiuto di quanto sentirebbe se fosse sola. Gruppi e conformismo Come nel caso degli automatismi nella formazione degli stereotipi, quando gli individui interagiscono all’interno di un gruppo, pensieri ed azioni tendono a convergere diventando man mano sempre più simili. Esperimento:,studio'di'Asch'(1955)'–'VIDEO, In un gruppo di 8 persone disposte in ordine (tra cui 7 attori incogniti facenti parte dell’esperimento e un partecipante disposto nell’ultima posizione) vennero mostrati due cartoncini, in uno una linea retta (di riferimento) e sull’altro altre 3 linee rette, di cui solo una uguale a quella di riferimento. Il compito consiste nell’individuare nel secondo cartoncino la linea retta uguale a quella del primo (le altre linee differiscono notevolmente). Data la facilità del compito, durante le prime prove tutti concordano sulla scelta della linea giusta, ma quando ad un certo punto gli attori concordano unanimemente su una risposta palesemente sbagliata, ecco allora che solo un 25% dei partecipanti sottoposti al test tenerono fede alla propria opinione. Il fattore chiave della propria adesione alle norme sociali è l’aspettativa del consenso: quasi sempre ci aspettiamo che anche gli altri vedano il mondo proprio come lo vediamo noi, ossia tendiamo a sopravvalutare la concordanza altrui rispetto alle proprie opinioni (effetto del falso consenso). L'influenza sociale è tale perché in grado di soddisfare due bisogni influenti per l'essere umano: quello di comprendere e padroneggiare il proprio mondo sociale e quello di affiliazione, ossia di sentirsi accettato e stimato da chi a sua volta si rispetta e stima. In genere si considerano le proprie opinioni come ragionevoli e pertanto si tende a presumere che ogni persona ragionevole le condividerà, e tale concordanza di vedute ci rende più sicuri di percepire il mondo nel modo “giusto”. La maggioranza viene vista idealmente come una serie di repliche che sono tutte giunte alla stessa conclusione e allora, soprattutto quando la realtà è ambigua, il consenso di altri è visto come la ”migliore scommessa”. Inoltre ci si conforma per ottenere un’identità sociale, ossia sentirsi orgogliosi e fieri della propria appartenenza all’interno di un gruppo e vederlo in luce positiva di modo da poter esprimere la propria identità. 11 © Diario del sottosuolo La polarizzazione del gruppo Quando ci si trova ad esprimere un giudizio all’interno di un gruppo, spesso non solo avvengono falsi consensi, ma accade spesso che l’iniziale posizione media diventi più estrema in seguito all’interazione dei suoi componenti (in caso di una forte maggioranza difficilmente si verifica un compromesso intermedio). Per spiegare questo fenomeno è necessario ricorrere nuovamente al concetto di euristiche: spesso il consenso stesso viene utilizzato come euristica, cioè fornisce una scorciatoia alla posizione che si ritiene sia corretta, senza soffermarsi troppo sulla validità o ricercare con il proprio senso critico un giudizio personale. E così, il desiderio di affiliazione e l’aspirazione ad essere stimati da coloro che reputiamo importanti, ci spingono non solo ad uniformarci, ma ad adottare una posizione ancora più radicale per mostrarsi come componenti “migliori”. Inoltre la maggioranza ha dalla sua parte altri tipi d’euristiche che aumentano le probabilità di conformismo, come l’effetto di priorità (vengono memorizzate meglio le informazioni iniziali rispetto alle successive), dato che le posizioni della maggioranza solitamente vengono discusse prima, e l’effetto di mera esposizione (si preferiscono quelle informazioni che compaiono più frequentemente), dato che le argomentazioni della maggioranza vengono discusse più a lungo (forniscono repliche d’opinioni). Il pericolo di un cieco conformismo si verifica ancor più in quelle situazioni in cui si hanno certe pressioni tali per cui diventa più importante l'adesione che non quello di prendere le decisioni migliori (pensiero di gruppo). Oltre ad una posizione critica, di dubbio e di domanda, è sempre bene quindi considerare tutte le informazioni disponibili, ponendo particolare attenzione alla posizione della minoranza spesso in grado di stimolare l'attività riflessiva e fornire soluzioni alternative. Un esempio eclatante dell’importanza del singolo ci proviene dal film “La parola ai giurati” di S.Lumet (1957), in cui un giurato (H.Fonda) che si ritrova solo a votare per l'assoluzione in un caso d'omicidio, dimostra una coerenza razionale e una sicurezza nell’esposizione delle proprie argomentazioni, tali da convincere gli altri giurati ad elaborare in maniera più sistematica il caso e riconsiderare così più approfonditamente le prove e il contesto, fino a raggiungere l’unanimità nella sentenza finale. L'influenza dell'autorità Quando la maggior parte dei gerarchi nazisti furono catturarti e processati durante il processo di Norimberga, lo psichiatra G.M.Gilbert ebbe l'occasione durante il corso del processo di analizzarli a fondo e intervistarli molteplici volte. La cosa scioccante fu che nonostante numerosi di loro si dichiararono contrari su molti punti all'ideologia nazista, tutti giustificarono le loro azioni con una frase scolpita nella storia che seppe mandare a morte milioni di vittime: “Facevo solo il mio dovere, obbedivo solo a degli ordini”. Ma davvero la sola obbedienza può fornire la spiegazione alle azioni? Fu solo un fenomeno contestualizzato a quel periodo storico o può essere spunto per una spiegazione più generale? Gli studi di Stanley Milgram furono determinanti per fornirci spiegazioni in merito. Esperimento,di,S.'Milgram'(1963),J'VIDEO, Milgram reclutò uomini di tutte le condizioni sociali per il suo esperimento in cambio di un piccolo compenso. Ciascun volontario veniva presentato ad un altro uomo (un attore collaboratore con lo sperimentatore), che fingeva di essere un altro partecipante. In tale seduta un partecipante doveva assumere il ruolo dell'insegnante, mentre l'altro il ruolo dell'alunno per il (fasullo) obiettivo di dimostrare gli effetti delle punizioni sull'apprendimento. Tramite un sorteggio manipolato, al partecipante veniva sempre assegnato il ruolo dell'insegnate: il compito consiste nell'insegnare all'allievo delle prove e di punire con una scarica elettrica al polso (di cui provò egli stesso la sensazione sgradevole per testarne il funzionamento) ogni sbaglio dell'altro partecipante (attore) legato ad una sedia Per infliggere la scossa, l'insegnante aveva a disposizione 30 interruttori, che andavano da 15 volt (etichettato con “scossa leggera”) a 450 volt (etichettati con ”XXX”), con i quali doveva punire in modo graduale l'alunno per ogni risposta sbagliata. Iniziato l'esperimento e quindi gli errori dell'alunno, l'insegnante cominciò a fornire le scosse: quelle forti venivano accompagnate dapprima da gemiti di dolore, in seguito da urla vere e proprie e proteste di rifiuto da parte dell'attore. A tali segnali, il partecipante mostrò chiari segni di angoscia, chiedendo spiegazioni allo sperimentatore che, con sicurezza e inflessibilità, annunciava che l'esperimento doveva continuare. Quando l'attore, per le scosse oramai superiori a 300volt, simulò ulteriori sofferenze fino a fingere lo svenimento, i partecipanti iniziarono a protestare alacremente; tuttavia lo sperimentatore incitava a continuare ad ogni costo e a rispondere con severità alle proteste, ribadendo che l’esperimento doveva continuare e che il partecipante sarebbe comunque stato esente da ogni responsabilità. Contrariamente dalle aspettative di ognuno, il 68% dei partecipanti inflisse scosse sempre più intense fino a 450 volt. Purtroppo altri studi effettuati suffragano il risultato ottenuto, mettendo in evidenza che l'obbedienza all'autorità (e i suoi effetti sui nostri comportamenti) è altrettanto probabile oggi come lo è stato allora, indipendentemente dal contesto storico e dallo status sociale degli individui (concetto splendidamente rappresentato sul grande schermo dal film “L’onda” di D.Gansel, 2008) 12 © Diario del sottosuolo Fattori influenti sulla norma dell'obbedienza all'autorità Milgram non si limitò a scoprire questo sconcertante fenomeno, ma analizzò sperimentalmente anche le condizioni che potevano aumentare o diminuire l'obbedienza all'autorità: • legittimità dell'autorità: per esercitare la propria influenza, l'autorità dev'essere riconoscibile e legittima, cioè accettata dal gruppo. Ecco allora che i medici vengono riconosciuti per il camice e lo stetoscopio, così come poliziotti e pompieri: questi simboli sono sufficienti ad attivare la norma dell'obbedienza, aumentando la probabilità che gli individui obbediscano. Nella condizione in cui lo sperimentatore non indossava l'uniforme e le regole venivano dettate da una persona qualsiasi, l'obbedienza diminuiva drasticamente. • la vicinanza fisica con l'autorità: è sufficiente la vicinanza fisica per esercitare una pressione maggiore all'obbedienza. Variazioni notevoli sono risultate nel caso in cui gli ordini venivano forniti da un'altra stanza o se, dopo gli ordini, lo sperimentatore se ne andava. • assenza di responsabilità: quando tutta la responsabilità viene scaricata sulla figura d'autorità, gli individui percepiscono se stessi solamente come strumento della figura d'autorità (stato d'agente). In tal modo le persone ignorano di potere o dovere controllare le proprie azioni e di conseguenza si annullano i meccanismi dell'automonitoraggio che solitamente fanno collimare canoni interiori a comportamenti esterni. • accessibilità della norma: essa deve sovrastare qualsiasi altra norma, come un canone interiore o eventuali emozioni correlate. Quando ad esempio nelle condizioni in cui l'insegnante veniva avvicinato/allontanato dall'alunno (allievo non visibile, allievo nella stessa stanza, allievo a contatto fisico con l'insegnante), l'attenzione dei partecipanti focalizzata fortemente sulle sofferenze dell'alunno, riduceva fortemente il livello d'obbedienza. Ecco perché è più facile sganciare una bomba atomica da un aeroplano o sparare con un'arma da fuoco, piuttosto che torturare o uccidere una persona con le proprie mani. • influenza ruolo sociale insegnante/alunno: assumendo i panni di un ruolo rispetto ad un altro, si attivano già inconsciamente dei meccanismi consoni al ruolo che si sta assumendo (vd. esperimento di Johnson e Downing). Dall'obbedienza alle atrocità sociali Per quanto potente sia questo tipo d’influenza, non basta spiegare i comportamenti distruttivi avvenuti nel corso della storia solamente con la spiegazione sul costrutto dell’obbedienza. Vi sono infatti altre componenti che corroborano certi comportamenti: • la routinizzazione del comportamento inconcepibile: la natura sequenziale e graduale dell'esecuzione di un compito fa sì che si arrivi ad accettare cose inizialmente ineccepibili. Quando la ripetizione di certe azioni le trasforma in routine, si può incorrere ad una desensibilizzazione in grado di anestetizzare l'orrore di fronte ad esse. I gerarchi nazisti subirono una tale desensibilizzazione, che uccidere divenne per loro nient'altro che un dovere spiacevole: alla fine della giornata potevano sedere tutti assieme ridendo e scherzando giocando a carte, oppure tornare a casa da buoni padri famiglia. • autogiustificazione e colpevolezza della vittima: man mano che il comportamento di un individuo diventa distruttivo, egli entra in uno stato di dissonanza cognitiva, in quanto aumenta l'incoerenza tra il proprio concetto di sé e il comportamento nocivo attuato. Poiché è impossibile risolverlo attraverso l'autoinganno (le azioni hanno effetti visibili), le giustificazioni sono la strada più facile. Ecco allora che l'individuo reintepreta la propria azioni come un'attività volta a finalità positive: molte azioni aggressive ad esempio, vengono giustificate invocando la tutela della propria difesa, oppure ancor più spesso incolpando la vittima (le persone a cui si è recato danno meritano di essere punite). Sicuramente ognuno di noi trova difficile immaginarsi in circostanze simili con gli stessi atteggiamenti dei partecipanti di Milgram, eppure - e la vita quotidiana lo dimostra continuamente - i processi socio-psicologici evocati dalla situazione specifica godono di terribile efficacia nell'influenza del comportamento. Vero è che un forte atteggiamento critico e una riflessione sistematica sono in grado di ridurne gli effetti (magari mettendo in dubbio le norme stesse o la legittimità dell’autorità), tuttavia, le pressioni esercitate dal contesto specifico creano stress e ansia, riducendo così la possibilità di riflessione. Piuttosto, un fattore cruciale per ridurre la cieca obbedienza risulta essere la presenza di altre persone, e quindi 13 © Diario del sottosuolo la possibilità di formare una resistenza di gruppo contro le pressioni esterne (quando Milgram fornì un alleato ai partecipanti sottoposti all'esperimento, l'obbedienza ne risultò fortemente compromessa). Riuscire a conservare viva la propria “voce della coscienza” e rimanere avvedutamente critici (stato di reattanza) nonostante la situazione in cui siamo immersi, può diventare cruciale in tutti quegli aspetti della vita in cui siamo chiamati a obbedire e seguire le norme, qualunque esse siano. L'influenza dei ruoli sociali Innanzitutto non vi è norma che possa influenzare il proprio comportamento se prima non viene alla mente (non diventa accessibile). Ad esempio le ricerche rilevano come sia più probabile che le persone sporchino in ambienti già insudiciati piuttosto che in luoghi puliti: più accessibile è lo stimolo che ricorda la norma, maggiore ne sarà la propria influenza. Allo stesso modo i ruoli influenzano chi li svolge, perché nel metterli in atto si acquisiscono abilità ad essi connessi e si sviluppano tendenze di comportamento correlati che a loro volta renderanno più probabili l'attivazione di determinati comportamenti e autoinferenze corrispondenti. Ad esempio, le differenze riscontrabili tra uomo e donna e gli stereotipi ad essi attribuiti, più che di carattere biologico, trovano spiegazione nel ruolo sociale che rivestono nella società e quindi, secondo un’ottica fortemente culturale. A. Eagly infatti afferma che le donne, essendo state a lungo in una posizione subordinata rispetto all'uomo, sono inserite all'interno della società prevalentemente in ruoli di servizio o di cura agli altri, come in mansioni quali la casalinga, l'infermiera, la commessa o l'insegnante. Tali ruoli prevedono l'acquisizione e il miglioramento di certe abilità (come un certo livello di sensibilità, abilità comunicative e affettive e una buona lettura dei comportamenti non verbali), che andranno a plasmare parte della personalità delle donne che eseguono tali compiti, e quindi confermeranno lo stereotipo erroneo che le donne svolgono certi ruoli perché per natura sono “nate” competenti per tali ruoli. In ogni contesto sociale i propri comportamenti il più delle volte si attivano automaticamente, si esegueno cioè azioni sequenziali (script) adatte alla circostanza. Ciò significa che all'attivazione di determinati schemi in seguito a certi eventi (come dire “buon appetito” una volta seduti a tavola), rende più probabile l'attivazione di alcuni comportamenti. Un esempio di come il ruolo sociale possa influenzare non solo il proprio comportamento ma anche la propria personalità, venne dimostrato dallo sconcertante esperimento di Zimbardo, forse il più famoso della storia della psicologia (da cui è stato tratto il film, “The experiment” di O. Hirschbiegel, 2001). Esperimento:,studio'di'Zimbardo'e'colleghi'(1973)'J'VIDEO, Gli sperimentatori ingaggiarono per tale esperimento volontari maschi tra i 17 e 30 anni affinché partecipassero a pagamento ad uno studio sulla “vita in prigione": alcuni di essi furono assegnati casualmente al ruolo di prigionieri mentre altri a quello di secondini. Ogni aspetto della vita in prigione doveva simulare fedelmente la realtà, a cominciare dall'arresto: i partecipanti nel ruolo di prigionieri vennero inaspettatamente arrestati da poliziotti veri, vennero prese loro le impronte digitali e furono condotti in una “prigione” praticamente uguale ad una vera e incarcerati con tanto di uniforme a righe e catene alle caviglie. Le guardie a loro volta dovevano interpretare fedelmente la loro parte, controllando i prigionieri, disciplinarli e far rispettare le regole carcerarie. Inaspettatamente, col tempo i prigionieri si ritrovarono alla mercé di qualunque regola inventate e fatte rispettare dalle guardie: da una parte aumentarono sempre più la crudeltà, la ferocia e l'insolenza dei secondini, dall'altra la passività, l'umiliazione e la disumanizzazione dei prigionieri. L'esperimento sfuggì al controllo degli sperimentatori che furono costretti a “liberare” molteplici prigionieri con palesi sintomi depressivi o psicotici. Continuando gli effetti deleteri sui partecipanti, l'esperimento dovette terminare bruscamente, che durò così meno della metà di quanto era stato previsto. Seguendo la stessa linea dell’esperimento sull’obbedienza di Milgram, fu variata solamente la veste fatta indossare al partecipante-insegnate col compito di punire l’attore-alunno, e la possibilità di compiere tale compito in anonimato. Esperimento,di,Johnson,e,Downing,1979, I partecipanti potevano aumentare o diminuire l'intensità della scossa elettrica alla vittima di 1, 2 o 3 unità. Ad alcuni vennero fatti indossare tuniche e lunghi cappucci in grado di attivare associazioni negative come l'appartenenza al gruppo del Ku Klux Klan o l’aspetto del boia, mentre altri vennero vestiti in uniforme da infermiere, in grado di associare emozioni positive come assistenza e cura. In seguito, entrambi i gruppi vennero suddivisi nuovamente in due categorie: ad alcuni venne coperto il volto (anonimato), ad altri invece venne lasciato il volto scoperto. Quando l'attore-vittima dell'esperimento sbagliava il compito, non solo gli incappucciati davano scosse maggiori rispetto alle piccolissime scosse degli infermieri, ma l'anonimato ne amplificava nettamente gli effetti. Far parte di quei ruoli sociali aveva reso altamente accessibile l'appartenenza al gruppo dei partecipanti, rendendo così più probabile il comportamento coerente con tale ruolo. In generale quindi la deindividuazione accresce la tendenza da parte dei singoli individui di partecipare a qualunque tipo di comportamento di gruppo o di ruolo, a prescindere dal contenuto morale e sociale del comportamento stesso. 14 © Diario del sottosuolo