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91 - Centro Studi Cinematografici

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91 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO
Anno XIV (nuova serie)
n. 91 gennaio-febbraio 2008
n. 91
Altra giovinezza (Un’) ........................................................................
49
Bimestrale di cultura cinematografica
American Gangster ...........................................................................
11
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
Assassino di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (L’) ....
22
Bentornato Pinocchio ........................................................................
26
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Bianco e nero ....................................................................................
25
Biùtiful Cauntri ...................................................................................
42
Caos calmo ........................................................................................
58
Caso Thomas Crawford (Il) ................................................................
9
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
Versamenti sul c.c.p. n. 26862003
intestato a Centro Studi Cinematografici
Come tu mi vuoi .................................................................................
24
Cous Cous .........................................................................................
43
2061: un anno eccezionale ................................................................
23
Falsario (Il) – Operazione Benhard ...................................................
52
Fine pena mai ....................................................................................
48
Forse Dio è malato ............................................................................
35
Giorni e nuvole ..................................................................................
5
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Grande grosso e... Verdone ...............................................................
54
Guardiani del giorno (I) ......................................................................
53
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
Segreteria: Cesare Frioni
Guerra di Charlie Wilson (La) ............................................................
4
Innocenza del peccato (L’) .................................................................
14
Into the Wild – Nelle terre selvagge ...................................................
31
John Rambo ......................................................................................
45
Leoni per agnelli ................................................................................
17
Lussuria – Seduzione e tradimento ...................................................
20
Non è mai troppo tardi .......................................................................
6
Non è un paese per vecchi ................................................................
47
Parlami d’amore .................................................................................
46
Parole sante ......................................................................................
41
Paura primordiale ..............................................................................
40
Persépolis ..........................................................................................
27
Petroliere (Il) ......................................................................................
2
Prospettive di un delitto .....................................................................
51
Resident Evil: Extinction ....................................................................
19
Rush Hour – Missione Parigi .............................................................
16
Scafandro e la farfalla (Lo) ................................................................
34
Scusa ma ti chiamo amore ................................................................
32
Signorinaeffe ....................................................................................
13
Sogni e delitti .....................................................................................
56
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Chiara Cecchini
Davide Di Giorgio
Alessio Granato
Silvio Grasselli
Maria Luisa Molinari
Diego Mondella
Fabrizio Moresco
Danila Petacco
Francesca Piano
Ivan Polidoro
Valerio Sammarco
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Spaccacuori (Lo) ...............................................................................
8
Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street .........................
29
30 giorni di buio .................................................................................
39
Tutta la vita davanti ............................................................................
37
Uomo qualunque (Un) .......................................................................
36
Tutto Festival Venezia ........................................................................
60
Film
Tutti i film della stagione
IL PETROLIERE
(There Will Be Blood)
Stati Uniti, 2007
Supervisore musiche: Linda Cohen
Canzoni/Musiche estratte: “Fratres for Violin and Piano” di
Arvo Part; “Violin Concerto in D Major op.77:3. Vivace non troppo” di Johannes Brahms (Berliner Philarmoniker”
Interpreti: Daniel Day-Lewis (Daniel Plainview), Paul Dano
(Paul Sunday/Eli Sunday), Kevin J. O’Connor (Henry Brands),
Ciarán Hinds (Fletcher Hamilton), Russell Harvard (H. W.
Plainview), Colleen Foy (Mary Sunday), Coco Leigh (sig.ra
Bankside), Paul F. Tompkins (Prescott), David Willis (Abel
Sunday), Jacob Stringer, Matthew Branden Stringer (operai
Silver Assay), Dillon Freasier (H. W. Plainview giovane), Harrison Taylor, Stockton Taylor (H. W. Plainview neonato), Randall Carver (sig. Bankside), Sidney McCallister (Mary Sunday giovane), Christine Olejniczak (madre Sunday), Kellie
Hill (Ruth Sunday), James Downey (Al Rose), Dan Swallow
(Gene Blaize), Robert Arber (Charlie Wrightsman), Bob Bell
(geologo), David Williams (Ben Blaut), Joy Rawls, Louise
Gregg, Amber Roberts (seguaci di Eli), Robert Caroline, John
W. Watts, Barry Bruce (lavoratori del petrolio), Irene G. Hunter
(sig.ra Hunter), John Chitwood (dottore), Hope Elizabeth
Reeves (Elizabeth), David Warshofsky (H. M. Tilford), Tom
Doyle (J. J. Carter), Colton Woodward (William Bandy), John
Burton (LP Clair), Hans Howes (sig. Bandy), Robert Barge
(barista), Robert Hills (interpreti di H. W. Plainview), Bob Bock
(prete), Vince Froio, Phil Shelly (domestici di Plainview),
Ronald Krut, Huey Rhudy, Steven Barr, Kevin Breznahan,
Jim Meskimen, Erica Sullivan
Durata: 158’
Metri: 4400
Regia: Paul Thomas Anderson
Produzione: Paul Thomas Anderson, Daniel Lupi, JoAnne Sellar
per Ghoulardi Film Company/Paramount Vantage/Miramax
Films
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Prima: (Roma 15-2-2008; Milano 15-2-2008)
Soggetto: liberamente tratto dal romanzo Petrolio! Di Upton
Sinclair
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Direttore della fotografia: Robert Elswit
Montaggio: Dylan Tichenor
Musiche: Jonny Greenwood
Scenografia: Jack Fisk
Costumi: Mark Bridges
Produttori esecutivi: Scott Rudin, Eric Schlosser, David Williams
Casting: Cassandra Kulukundis
Aiuti regista: Adam Somner, Richard Oswald, Eric Richard
Lasko, Jerry Nolan, Ian Stone
Operatore/Operatore steadicam: Colin Anderson
Art director: David Crank
Arredatore: Jim Erickson
Trucco: John Blake, Catherine Conrad, Kim Ayers
Acconciature: Linda D. Flowers, Lupe Devine, Sharon Ray Ely,
Yesmin ‘Shimmy’ Osman
Coordinatore effetti speciali: Steve Cremin
Supervisore effetti visivi: Grady Cofer, Paul Graff
Coordinatore effetti visivi: Erin D. O’Connor
Supervisore costumi: Eden Clark Coblenz
C
alifornia, 1898. Mentre in una
delle sue esplorazioni è intento a
scavare tra le pareti rocciose del
sottosuolo, il minatore Daniel Plainview
trova una pietra macchiata di petrolio.
Quattro anni dopo, durante una discesa in
un pozzo, è vittima di un incidente nel quale, però, riesce a salvarsi.
2
Un lavoratore, invece, perde tragicamente la vita. Daniel decide allora di farsi
carico del neonato che lo sfortunato collega ha lasciato orfano. Da questo momento, comincia a viaggiare assieme al bambino, ribattezzato H.W., in cerca di terre
utili da poter trivellare.
Un giorno, un giovane di nome Paul
Sunday si reca da lui domandandogli quanto è disposto a pagare per un podere pieno
di giacimenti. Il ragazzo gli rivela il posto, ma soltanto a patto di avere subito cinquecento dollari. Padre e figlio si avviano
alla fattoria dei signori Sunday per verificare lo stato del terreno che, malgrado
appaia brullo e povero di risorse, si conferma ricco di petrolio.
Plainview giunge a un compromesso
con l’altro figlio, Eli, che avanza la richiesta di diecimila dollari per finanziare la chiesa della “Terza Rivelazione”.
Acquista, quindi, tutte le proprietà e
chiama i suoi operai per aiutarlo nell’impresa. Si presenta poi agli abitanti del
luogo come un “salvatore”, assicuran-
Film
do loro un futuro fiorente, fatto di strade, istruzione, agricoltura, acqua e pane
per tutti. Ma i suoi piani si scontrano con
la prepotenza del pastore Eli e con un
destino avverso.
Dopo aver perso un uomo a seguito
dell’ennesima disgrazia, non riesce ad
evitare al figlio, che è stato coinvolto in
un’esplosione, una grave menomazione
all’udito. Per farlo curare lo manda in
un istituto per sordomuti. Daniel si illude anche di aver ritrovato suo fratello,
ma presto si accorge di essere stato ingannato e si sbarazza dell’impostore.
Prima di potersi accordare con la Union
Oil e realizzare una condotta che arrivi
fino all’oceano, deve cedere al ricatto del
devoto Bandy. Il quale, in cambio della
cessione della propria terra, pretende
che si converta.
Nel 1927, H. W. si sposa con la figlia dei Sunday, Mary, e progetta di andare a vivere con lei in Messico per fondare una società tutta sua. Quando il
padre, solo e alcolizzato, capisce che
diventerà un suo diretto concorrente, lo
caccia di casa. Plainview riceve infine
la visita di Eli che, nonostante sia diventato un popolare predicatore, versa
in condizioni economiche disperate. Per
il vecchio magnate è giunto il tempo
della vendetta: dopo averlo umiliato e
obbligato a pentirsi della sua superbia,
infierisce su di lui con un birillo fino ad
ammazzarlo.
N
ella vita artistica di un grande cineasta, e lo è stato per alcuni
maestri del cinema americano
come Huston, Welles, Malick o Scorsese,
arriva un momento in cui bisogna misurarsi con la Storia. Inoltrarsi nelle profondità più oscure e sgradevoli dell’animo
umano per risalire alle origini di un popolo. Proprio questo percorso, così impervio
e ambizioso, è alla base dell’ultimo lungometraggio del geniale Paul Thomas Anderson, il quinto di una carriera dagli esiti prodigiosi.
Sono innumerevoli i riferimenti che si
potrebbero abbozzare per un’opera di
tale portata. Da Greed di von Stroheim,
in cui il duello finale nella Valle della
Morte tra McTeague e Marcus assomiglia all’orrorifica resa dei conti consumata nella sala da bowling, a Il Tesoro della
Sierra Madre.
Da Quarto Potere a Il Gigante, il kolossal di Stevens, in cui il personaggio di
Rink, ossessionato anch’egli dall’oro nero,
Tutti i film della stagione
raggiunge abominevoli vette di crudeltà al
pari di Plainview.
Forse, però, nessuna di queste celebri pellicole riesce a rappresentare il sentimento di avidità con la stessa spregiudicatezza e incisività di Il Petroliere. Daniel Day-Lewis, in virtù di uno scrupoloso
lavoro sull’interpretazione (che gli è valso l’Oscar), trasuda cinismo da tutti i pori,
facendo parlare perfino il lercio che ha
sotto le unghie. E anche qui le analogie
con figure letterarie degne della sua rapacità si sprecherebbero: Achab, Fagin,
Shylock... .
Questo grandioso ed epico affresco
passerà agli annali come un impietoso
studio psicologico sugli istinti più belluini dell’essere umano, sulla sua innata
misantropia. E, come spesso accade
nelle sceneggiature dell’autore di Magnolia, i presupposti di tali comportamenti sono da ricercare nella famiglia,
autentico “flagello” in cui covano rabbia
e frustrazione (vedi il rapporto contrastato di Eli col genitore e la rivalità con
il gemello Paul).
Il protagonista è un individuo maledettamente arroccato nel proprio egocentrismo
per dimostrarsi sensibile con il prossimo.
Con un nebuloso passato privo di affetti,
deve “accontentarsi” di relazioni sostitutive:
con un figlio adottivo e un falso fratello. Sembra paradossale, eppure la vicenda narrata dal californiano Upton Sinclair nel romanzo Oil!, tolte le sue valenze politiche e sociali, potrebbe essere letta semplicemente
come la storia, tenera e impossibile, tra un
padre e un figlio. Prima salvato e allevato,
poi “abbandonato” e quindi riaccolto e, infine, ripudiato per sempre.
Lo sguardo tagliente di Anderson, forse esageratamente cupo, non risparmia di
colpire due bersagli, che costituiscono le
facce di una stessa medaglia: l’America.
L’arrivismo economico, l’accumulo di capitale a ogni costo, la filosofia perversa del
self-made man, da una parte; il fanatismo
religioso, il potere spirituale dei presunti
profeti, la strumentalizzazione della fede,
dall’altra.
È questa ultima questione quella che
sta più a cuore al regista. Non a caso, il
motivo del “sangue”, richiamato dal titolo
originale There Will Be Blood, è di derivazione biblica (nella scena del battesimo Plainview invoca infatti il sangue dell’Agnello per avere la salvezza). Il pastore che scaccia via il demonio con pratiche quasi esorcistiche (nel film ha il volto
del giovane ma preparatissimo Paul
3
Dano) non è altri che il portavoce di quella corrente “fondamentalista” del cristianesimo che oggi è in ascesa e rappresenta lo zoccolo duro dell’elettorato repubblicano.
L’ammirabile impudenza di Anderson
nel proporre un’opera così controversa e
“politicamente scorretta” non è stata perdonata né dal pubblico, né dai membri
dell’Academy (come fu d’altronde per Gangs of New York). A testimonianza del fatto
che, quando agli americani vengono rammentate le proprie radici, fatte di odio, afflizione, violenza e immoralità, preferiscono fare gli struzzi... .
Il netto e blasfemo rovesciamento dell’“american dream”, nonché del classico
western, offerto da Il Petroliere, è sostenuto da un impianto figurativo altrettanto
radicale. Gli spazi sconfinati del deserto
texano, con le sue aride colline (identica
location di Non è un paese per vecchi dei
Coen), rivivono sullo schermo grazie alla
splendida fotografia di Robert Elswit che,
ora abbacinante ora rugginosa, non ha
nulla da invidiare a quella di Almendros
in I giorni del cielo.
La sequenza che chiude la prima parte non ha precedenti nella storia del cinema in termini di potenza del linguaggio. H. W. segue da una tettoia le trivellazioni, quando all’improvviso uno scoppio
di gas lo scaraventa a terra. Il padre, che
assiste all’incidente, corre a salvarlo e lo
fa riparare nell’ufficio. Ma, non appena
vede che il pozzo brucia, lo lascia e si dirige verso l’incendio. È impressionante il
repentino capovolgimento di situazione:
in pochi istanti l’assolato paesaggio si trasforma in un inferno di fiamme e fumo,
dove gli operai appaiono ridotti a lugubri
ombre.
È encomiabile, poi, la destrezza registica con cui Anderson costruisce questo
nodo cruciale del racconto: un montaggio
ansiogeno, in cui si alternano scene di
massa ai volti tesi in primo piano dei protagonisti che fissano la torre, quasi fosse
una sorta di totem, è accompagnato da
una musica tambureggiante che sottolinea
la tensione sprigionata dal precipitare degli eventi. Uno degli esempi più felici di
come la presenza di una colonna sonora
straniante, frutto del prezioso contributo del
chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood (il vero “valore aggiunto” di Il Petroliere), si sposi perfettamente con la visceralità delle immagini.
Diego Mondella
Film
Tutti i film della stagione
LA GUERRA DI CHARLIE WILSON
(Charlie Wilson’s War)
Stati Uniti, 2007
sta ed eseguita da Barry White; “Opus 1” di Speedy West
(Jimmy Bryant); “Siboney” di Ernesto Lecuona; “Pakistani
Marketplace” composta ed eseguita da E. Prion, O. Prion;
“Farewell of Slavianka” (The Red Army Choir); “Israeli Café
n. 3” composta ed eseguita da Shai Hadad; “Bad Girls” di
Donna Summer, Joe Esposito, Ed Hokenson, Bruce Sudano
(Donna Summer); “Ladies Night” di George Funky Brown,
Robert Kool Bell, Ronald Bell, J. T. Taylor, Earl Toon, Dennis
D. T. Thomas, Claydes Smith, Meekaaeel Muhammad (Kool
& The Gang); “Let’s Dance” composta ed eseguita da David
Bowie; “Ths Little Light of Mine” arrangiata da Ry Cooder
(Mavis Staples)
Interpreti: Tom Hanks (Charlie Wilson), Emily Blunt (Jane Liddle), Amy Adams (Bonnie Bach), Julia Roberts (Joanne Hering), Philip Seymour Hoffman (Gust Avrakotos), Shiri Appleby
(Jailbait – Charlie’s Angels), Mary Bonner Baker (Marla –
Charlie’s Angels), Rachel Nichols (Suzanne – Charlie’s Angels), Ned Beatty (Doc Long), Terry Bozeman (annunciatore
premi CIA), Brian Markinson (Paul Brown), Jud Tylor (Crystal
Lee), Hilary Angelo (Kelly), Cyia Batten (Stacey), Ed Regine
(autista limousine), Daniel Eric Gold (Donnelly), Peter Gerety
(Larry Liddle), Wynn Everett (receptionist – Charlie’s Angels),
P. J. Byrne (Jim Van Wagenen), John Slattery (Henry Cravely), Joe Roland (McGaffin), Patrika Darbo (banditore), Salaheddine Ben Chegra (steward pakistano), Om Puri (Presidente
Zia), Faran Tahir (Generale Rashid), Amanda Loncar (schiava), Rizwan Manji (colonnello Mahmood), Maurice Sherbanee, Salam Sangi, Navid Negahban, Mozhan Marnò, Michelle
Arthur, Shila Vossugh Ommi (profughi), Habib Saba (ragazzo
afgano), Nadia Miller (ragazza afgana), Edward Hunt (arine
ambasciata), Michael Haley (ufficiale ambasciata), Denis
O’Hare (Harold Holt), Michael Spellman (agente Patrick), Russell Edge (agente Wells), Christopher Denham (Mike Vickers),
Ken Stott (Zvi), Aharon Ipalé (Ministro Difesa egiziano), Mary
Bailey (segretaria Doc Long), Trish Gallaher Glenn (assistente
di Joanna), Ron Fassler (Mario), Enayat Delawary (interprete
di Doc Long), Nancy Linehan Charles (sig.ra Long), Daston
Kalili (interprete Mujahideen), Pavel Lychnikoff, Ilia Volokh,
Alexander Lvovsky (piloti elicottero russi), Jim Jansen, Harry
S. Murphy, Spencer Garrett, Kevin Cooney (giunta congresso), Kirby Mitchell, Thomas Crawford, Joseph Sikora, Gabriel
Tigerman, Patrick Bentley, Marc Pelina, Sammy Sheik, Moneer Yaqubi, Gabriel Justice, Siyal Mohammad, Quill Roberts
Durata: 102’
Metri: 2559
Regia: Mike Nichols
Produzione: Tom Hanks, Gary Goetzman per Good Time Charlie Productions/Universal Pictures/Playtone/Participant Productions/Relativity Media
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008)
Soggetto: dal libro Charlie Wilson’s War: the Extraordinary Story
of the Largest Covert Operation in History di George Crile
Sceneggiatura: Aaron Sorkin
Direttore della fotografia: Stephen Goldblatt
Montaggio: John Bloom, Antonia Van Drimmelen
Musiche: James Newton Howard
Scenografia: Victor Kempster
Costumi: Albert Wolsky
Produttori esecutivi: Celia D. Costas, Ryan Kavanaugh, Jeff
Skoll
Produttori associati: Mary Bailey, Edward Hunt, Paul A. Levin
Co-produttore: Mike Haley
Direttori di produzione: Cristen Carr Strubbe, Nigel Marchant
Casting: Ellen Lewis
Aiuti regista: Nathalie Vadim, Mohamed Nesrate, Michael Haley, Basil Grillo, Mustapha Grumij, Matthew Heffernan, Mark
Trapenberg
Operatori: Trevor Coop, Ray De La Motte
Operatore steadicam: Will Arnot
Art directors: Maria Teresa Barbasso, Brad Ricker, Alessandro Santucci
Trucco: Luisa Abel, Kimberley Spiteri, Douglas Noe, Ruth Haney, Simone Almekias-Siegl, Kim Collea, Jake Garber, Silvi
Knight, Rick Sharp
Acconciature: Janice Alexander, Donna J. Anderson, John
Isaacs
Suono: Nourdine Zaoui
Supervisori effetti visivi: Helena Parker (WhooDoo EFX),
Robert Skotak (4Ward Productions), Richard Edlund
Coordinatore effetti visivi: Sarah Vinson
Coordinatori effetti speciali: John C. Hartigan, Andy Williams
Supervisore costumi: Bob Morgan
Supervisore musiche: Deva Anderson
Canzoni/Musiche estratte: Stomp” di Rod Temperton,
Louis E. Johnson, George Henry Johnson, Valerie Johnson
(The Brothers Johnson); “Angel of the Morning” di Chip Taylor
(Juice Newton); “Never, Never Gonna Give You Up” compo-
A
nni Ottanta negli Stati Uniti.
Charlie Wilson è un imprenditore texano eletto al Congresso come esponente del partito dei Liberali. La
sua vita dissoluta e godereccia ruota intorno a festini a base di cocaina e numerose amanti. Tra queste spicca una ricca possedente, Joanne Herring, che lo convince
a stanziare aiuti al popolo afgano contro
l’ingerenza sovietica.
Inizia così, per Wilson, una campagna
atta a unire gruppi politici e nazioni da
sempre in conflitto come Israele, Egitto e
Pakistan in nome di un nemico comune. Ma
non solo, grazie all’aiuto della CIA, nella
persona di Gut Avrakotos, riesce a fornire
ai ribelli in Afghanistan le armi più sofisticate e un adeguato addestramento militare.
Queste operazioni vengono effettuate,
naturalmente, in maniera ufficiosa e portano a una clamorosa sconfitta dell’Unione Sovietica.
4
Charlie Wilson è soddisfatto, ma chiede un ulteriore sforzo ai suoi colleghi: fare
delle opere umanitarie nelle zone devastate da questa guerra. La sua proposta non
viene considerata e all’uomo non resta che
riflettere sull’operato degli americani e sul
loro modo di portare la pace.
S
e la Storia non avesse messo il
suo sigillo La guerra di Charlie
Wilson sarebbe risultato un otti-
Film
mo esempio di fantafiction. Vedere, infatti,
il Congresso americano affannarsi per
mandare denaro ai ribelli afgani o, addirittura, la CIA svelar loro segreti militari, considerata l’attuale situazione mondiale, ha
quasi dell’incredibile.
Ma la pellicola di romanzato ha ben
poco. Siamo nei primissimi anni Ottanta, il
deputato texano Charlie Wilson organizza, sotto consiglio dell’amante sfegatata
anticomunista, una bizzarra quanto improbabile alleanza fra Israele, Egitto e Pakistan in favore dell’Afghanistan minacciato
dall’ingerenza sovietica.
All’urlo di “pericolo rosso”, ogni mezzo
viene considerato lecito da Wilson per fortificare le sue schiere incluse soluzioni “alternative”(come ingaggiare danzatrici del
ventre) per far crollare le reticenze dei politici più coriacei. Dopotutto certe furberie
sono quasi la regola per uno che assume
le sue dipendenti in base alla circonferenza seno (seguendo il motto «posso insegnar loro a battere a macchina non a farsi
crescere le tette»)!
A questo proposito, è d’obbligo far no-
Tutti i film della stagione
tare che la pellicola non mostra un ritratto politically correct del deputato texano
dedito ad alcool, cocaina e ammucchiate, ma, nonostante questo, lo rende accattivante rivelando le sue abilità di politico sottile e di uomo dal raro ingegno diplomatico.
A vestirne i panni cinematografici il
sempre bravo Tom Hanks che, nonostante una faccia troppo “pulita” per far esplodere completamente il personaggio, riesce
a tener testa a dei comprimari, Julia Roberts e Philip Seymour Hofmann, entrambi in ottima forma.
I tre, merito di una sceneggiatura senza compromessi firmata Aaron Sorkin, riescono a mettere in scena dei dialoghi graffianti che non lesinano critiche a nessuno
e che danno ritmo a un intreccio di per sé
già molto interessante.
Alla regia, Mike Nichols cerca di mantenere il tono brillante e satirico che caratterizza questa commedia senza però rinunciare alla concreta opportunità di dire
qualcosa in più, magari camuffando il tutto dietro uno sketch irriverente.
La scelta di usare un linguaggio cinematografico scanzonato e leggero, infatti,
è forse l’unico modo per raccontare una
storia così lontana e allo stesso tempo così
pregna di attualità come il foraggiamento
dei ribelli afgani; una vicenda che in molti
“fingono” di non ricordare, ma che è la testimonianza (insieme a migliaia di altri avvenimenti) di quanto la Storia, nel suo lento mutare, sia docente testarda pronta a
riproporre la sua lezione, a noi studenti
zucconi, più e più volte.
E, in riferimento a questo, appare ancora più toccante il mea culpa finale di
Wilson, quando ammette che un grande
difetto americano non è quello di esportare la democrazia a propria discrezione, ma
l’incapacità di colmare, in un secondo
momento, le voragini fisiche ed emotive,
che le bombe “amiche” creano nei luoghi
beneficiati dalla loro attenzione.
Probabilmente nessun politico americano ha detto questo, ma ci piace pensare che sia così.
Francesca Piano
GIORNI E NUVOLE
Italia/Svizzera, 2007
Regia: Silvio Soldini
Produzione: Lionello Cerri per Lumière & Co., Tiziana Soudani per Amka Films Productions/RTSI. Con il contributo del
Mibac, Eurimages
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 26-10-2007; Milano 26-10-2007)
Soggetto: Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Silvio Soldini
Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Silvio
Soldini, Federica Pontremoli
Direttore della fotografia: Ramiro Civita
Montaggio: Carlotta Cristiani
Musiche: Giovanni Venosta
Scenografia: Paola Bizzarri
Costumi: Silvia Nebiolo, Patrizia Mazzon
Organizzatore generale: Antonella Viscardi
Direttore di produzione: Attilio Moro
Casting: Jorgelina Depetris
Aiuto regista: Cinzia Castania
Suono: (presa diretta) François Musy
E
lsa e Michele sono una coppia benestante che vive a Genova. Sposati felicemente da vent’anni, hanno una figlia, Alice, che con il proprio compagno ha aperto un bistrot. Elsa ha lasciato
il lavoro, per portare a termine un sogno:
laurearsi in storia dell’arte, mentre Miche-
Interpreti: Margherita Buy (Elsa), Antonio Albanese (Michele),
Alba Rohrwacher (Alice), Giuseppe Battiston (Vito), Carla Signoris (Nadia), Fabio Troiano (Riki), Paolo Sassanelli (Salviati),
Arnaldo Ninchi (padre di Michele), Antonio Carlo Francini (Luciano), Teco Celio (ragionier Terzetti), Carlo Scola (Fabrizio),
Alberto Giusta (Roberto), Orietta Notari (sig.ra Carminati), Nicoletta Maragno (restauratrice), Arianna Comes (apprendista
restauro), Tatiana Lepore (Cristina), Roberto Serpi (Claudio),
Mario Parrinello (Jacopo), Alessandro Dufour (sig. Melzi), Luisa Jane Rusconi (sig.ra Melzi), Lindamilage Pathmini Fernando (Daisy), Manuela Parodi (collega di Alice al bistrot), Silvia
Gallerano (impiegata agenzia lavoro), Mariella Tacchella (acquirente casa), Michela Carri (segretaria ditta), Daniele Gatti
(intervistatore), Lisa Galantini (selezionatrice call center), Marco Salotti (professore), Fabio Fiori (agente immobiliare), Andrea Sivelli (cacciatore di teste), Marika Ceregini (segretaria
ditta Michele), Elsa Bossi (direttrice casa di riposo)
Durata: 116’
Metri: 3166
le lavora con due soci in un’azienda che
lui stesso ha fondato. Tutto sembra andare
per il meglio fino a quando Elsa si laurea.
Infatti, subito dopo, Michele confessa alla
moglie di aver perso il lavoro da due mesi:
licenziato dagli altri due soci perché ritenuto non troppo moderno e ostile ai nuovi
5
metodi di gestione. Michele si trova a quarant’anni a essere un manager disoccupato. La situazione è disastrosa; è necessario vendere la barca e perfino la casa per
riuscire a estinguere il debito con la banca. Elsa è risentita per non aver saputo
nulla prima e decide di lasciare il suo la-
Film
voro come restauratrice per trovarsi un’occupazione più remunerativa. Dopo il trasferimento in una casa più piccola, anche
Michele inizia a fare colloqui, ma incontra lavori sempre più deludenti e mortificanti. Arriva persino a chiedere indietro i
soldi prestati tempo prima a un amico, ma
con pessimi risultati. Mentre Elsa comincia a lavorare in un call center, Michele
passa le sue giornate a casa a oziare, fino
a quando si accontenta di un lavoro come
pony express pur di sfuggire alla depressione. Umiliato per essere stato visto dalla figlia, l’uomo prova allora a reinveintarsi un lavoro come imbianchino insieme
a due ex suoi dipendenti. Fallito anche
quest’ultimo tentativo, Michele è sempre
più apatico e distante. Un rapporto coniugale che prima sembrava a prova d’urto
ora comincia a sgretolarsi. Elsa trova anche un lavoro serale come segretaria e si
consola cedendo alle attenzioni del principale. Michele va via di casa e trascorre
qualche giorno a casa del ragazzo della
figlia, inizialmente tanto deplorato. L’affresco del Boniforti su cui lavorava Elsa si
rivela prezioso: viene infatti fatta una nuova scoperta ed è proprio davanti a quel soffitto affrescato che marito e moglie si ritrovano.
P
resentato alla Festa Internazionale del Cinema di Roma, nella
sezione “Première”, Giorni e nuvole di Silvio Soldini ha ricevuto la Menzione Speciale. Da L’aria serena dell’ovest,
suo primo lungometraggio, a Pane e tulipani, che lo ha consacrato grazie al successo di critica e pubblico, passando attraverso Un’anima divisa in due e Le acrobate , il regista milanese sceglie di raccontare una storia dolorosa, uno dei suoi film
più studiati e costruiti, come ha lui stesso
dichiarato in un’intervista. Si parte infatti
sempre da un iniziale vuoto esistenziale
che permette ai suoi personaggi di interrogarsi e di guardarsi con altri occhi. A
questa analisi corrisponde anche una dislocazione dello spazio: dopo aver perso
il lavoro, Elsa e Michele traslocano. Ma,
se nei suoi precedenti film i protagonisti
abbandonano la propria casa alla ricerca
di un altrove, qui non avvengono fughe
verso chissà dove. Siamo sempre a Genova, con il suo porto, le sue viuzze e i
suoi colori grigiastri. Quando Michele perde il lavoro, imprenditore abituato ai tempi
dell’azienda, là dove il lavoro rappresenta
la misura di ogni cosa, entrerà in una fase
di attesa, nonché di introspezione che gli
farà perdere la propria identità. Elsa, abituata a beneficiare della sicurezza economica costruita dal marito, si troverà improv-
Tutti i film della stagione
visamente a doversi rimboccare le maniche per fronteggiare la crisi e ritrovare
l’equilibrio perduto.
Il film si muove lento come una nuvola, attraverso continue allegorie, la presenza di acquari, di foto, di affreschi e barche,
che rappresentano l’immobilità della condizione sociale dei protagonisti, nonché la
precarietà del lavoro e la staticità della vita.
Una riflessione su una situazione di immobilità che però, come il restauro di un
antico affresco, si muove verso la riscoperta del proprio io.
Soldini tratteggia un paesaggio socia-
le, fotografando la realtà nei suoi aspetti
quotidiani. Di riflesso, lo stile di cui si serve è simile a un documentario: gira in presa diretta, con macchina a mano e lunghi
piani sequenza, per rimanere il più possibile vicino ai suoi attori.
Superlative le interpretazioni di Margherita Buy e Antonio Albanese, per la
prima volta sullo schermo insieme, senza
dimenticare il simpatico Giuseppe Battiston, spesso utilizzato nei lavori del regista.
Veronica Barteri
NON È MAI TROPPO TARDI
(The Bucket List)
Stati Uniti, 2007
Regia: Rob Reiner
Produzione: Alan Greisman, Neil Meron, Rob Reiner, Craig Zadan per Storyline
Entertainment/Two Ton Films/Zadan-Meron
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Justin Zackham
Direttore della fotografia: John Schwartzman
Montaggio: Robert Leighton
Musiche: Marc Shaiman
Scenografia: Buill Brzeski
Costumi: Molly Maginnis
Produttori esecutivi: Travis Knox, Jeffrey Stott, Justin Zacham
Co-produttore: Frank Capra III
Casting: Janet Hirshenson, Jane Jenkins, Michelle Lewitt
Aiuti regista: Frank Capra III, Brian Relyea, Stephen W. Moore, Eugene Davis
Art director: Jay Pelissier
Arredatori: Robert Greenfield, Mark Tuttle
Trucco: Valli O’Reilly
Acconciature: Medusah, Marie Larkin
Effetti speciali trucco: Stephen Bettles, Matthew W. Mungle
Coordinatore effetti speciali: Donald Frazee
Coordinatori effetti visivi: Collin Fowler (Illusion Arts), Taryn P. Kelly (Ring of Fire)
Supervisore effetti visivi: Jerry Spivack
Supervisore costumi: Sandy Kenyon
Canzoni/Musiche estratte: “I’ve Got a Feeling You’re Fooling” di Arthur Freed,
Nacio Herb Brown; “Tush” di Billy Gibbons (Doug Legacy); “La vie en rose” di Louigay ed Edith Piaf; “On the Road Again” di Floyd Jones (Canned Heat); “It’s Alright”
composta ed eseguita da Wade Hubbard; “Milord” di Marguerite Monnot (Edith Piaf);
“Say” composta ed eseguita da John Mayer
Interpreti: Jack Nicholson (Edward Cole), Morgan Freeman (Carter Chambers), Sean
Hayes (Thomas), Beverly Todd (Virginia Chambers), Rob Morrow (dr. Hollins), Alfonso Freeman (Roger Chambers), Rowena King (Angelica), Annton Berry jr. (Kai),
Verda Bridges (Shandra), Destiny Brownridge (Maya), Brian Copeland (Lee), Ian
Anthony Dale (istruttore), Jennifer Defrancisco (Emily), Angela Gardner (amministratore), Noel Guglielmi (meccanico), Jonathan Hernandez (Manny), Andrea Johnson (Elizabeth Chambers), Dawn Lewis (assistente di volo), Jordan Lund (artista
tatuaggi), Richard McGonagle (presidente consiglio di amministrazione), Jonathan
Mangum (Richard), Karen Maruyama (infermiera), Amber Mead (donna attraente),
Christopher Stapleton (Kyle), Taylor Ann Thompson (nipote di Edward), Alex Trebek
(se stesso), Roy Vongtama (dottore), Hugh B. Holub
Durata: 97’
Metri: 2660
6
Film
Tutti i film della stagione
E
dward Cole è un ricco proprietario di cliniche che ha tutto: soldi, belle donne e una vita invidiabile. È convinto che un ospedale per diventare una proficua azienda debba tagliare su personale e servizi. Seguito solo con
dal suo segretario tutto fare, è stato anche
allontanato da sua figlia per il suo carattere burbero e irascibile. Carter Chambers
è un umile meccanico nero di Los Angeles,
con il pallino della cultura, di saldi principi morali, che ha dedicato la sua vita alla
famiglia. Sognava di diventare professore
di lettere, ma un figlio inaspettato lo ha
costretto a guadagnarsi da vivere. I due
uomini si ritrovano per caso a condividere
la stessa stanza d’ospedale, logicamente
di proprietà di Edward. Entrambi infatti
sono gravemente malati di cancro e hanno
ancora pochi mesi di vita. Dopo un’iniziale diffidenza dovuta alle diverse origini e
classi sociali, Edward e Carter imparano
a conoscersi l’un l’altro e si scoprono
ugualmente decisi a non subire passivamente il destino a loro riservato. Così, tra
una battuta e una partita a carte, pensano
di compilare una “bucket list”, una lista
del capolinea, con tutto quello che avrebbero voluto fare nella vita e che, per mancanza di tempo, denaro o pigrizia non hanno potuto realizzare. La moglie di Carter
non riesce ad accettare la scelta del marito, considerandolo un ingrato. Superate le
prime titubanze i due uomini partono, con
la lista alla mano, pronti a sottoporsi a tutte
le prove più stravanti. Iniziano con il buttarsi con il paracadute nel vuoto, affrontano folli corse automobilistiche, bizzarri
tatuaggi o passeggiate in moto sulla Grande Muraglia. A bordo dell’aereo privato
di Edward si spostano dalle piramidi all’Himalaya, dalla Costa Azzurra per una
cena a base di caviale ai giardini del Taj
Mahal, fino ad arrivare ad Hong Kong.
Lungo il percorso, oltre a depennare le
emozionanti esperienze compiute, i due settantenni imparano a riscoprire se stessi e
le gioie della vita. Ma un episodio spiacevole spinge gli amici a fare ritorno a casa.
Carter inizia a perdere sangue per lo spostamento di un catetere. Tornando sulla
strada di casa, Carter organizza un possibile incontro di Edward con la figlia, allontanatasi da diversi anni. Il ricco imprenditore non reagisce bene e lascia per strada il suo amico a male parole.
Carter torna dalla sua famiglia che lo
accoglie con calore ed affetto e anche il
rapporto con la moglie sembra essere più
forte di prima. Ma per Carter quelli sono
gli ultimi scampoli di felicità. Infatti dopo
pochi giorni viene ricoverato e le sue condizioni sono gravissime. Viene avvisato
anche Edward che, nel bel mezzo di una
riunione di lavoro, non esita a correre dal
suo amico. Tra il dolore della famiglia
Carter si spegne, non prima di consegnare alla moglie una lettera per l’amico. Edward finalmente decide di andare dalla figlia, che a sua volta ha avuto anche una
figlia, riuscendo così a depennare anche
l’ultimo punto della lista. Ora che ha ritrovato la gioia per sé ed è riuscito a darla
a qualcun altro è libero di raggiungere il
suo amico. Le ceneri di Edward e Carter
vengono poi portate in cima all’Himalaya, così come loro avrebbero voluto.
“N
on c’è cosa più bella che dire
addio alla vita con gli occhi
chiusi e il cuore aperto”. Questo il senso del film Non è mai troppo tardi
– Vivi i tuoi sogni di Rob Reiner.
Regista di successi senza tempo come
Harry ti presento Sally e Misery non deve
morire, Reiner, uno degli ultimi classici del
cinema americano attuale, questa volta
racconta l’imminenza della morte. E non
lo fa come tanti film, in cui a far da protagonisti sono l’amarezza e l’ineluttabilità; qui
la fine della vita assomiglia più ad una
scampagnata per il mondo. È tale la leggerezza, infatti, attraverso la quale i due
protagonisti si avvicinano alla fine, che
potrebbe essere scambiata per superficialità. In realtà, non si tratta che di un approccio vitalistico alla morte, supportato da
un senso profondo dell’amicizia.
Si parte dalle corsie di un ospedale,
dove si ritrovano fianco a fianco due uomini agli antipodi, divisi tra loro da estrazione
sociale, interessi e passato. Eppure appena i loro sguardi si incrociano non ci si mette molto a capire che le due vite collimano
tra loro. E scocca quella scintilla che, dal7
l’inesorabile baratro della malattia, condurrà i due uomini a una sorta di rinascita fisica, psicologica e spirituale. Il segreto sta
nel titolo originale, The Bucket List, che
parla chiaro: una lista di desideri prima di
dare un “calcio alla vita”. Per capire che non
è mai troppo tardi per prendersi le cose che
non siamo mai riusciti a realizzare. Non è
mai troppo tardi per parlare con un buon
amico di filosofia davanti alle piramidi, o per
buttarsi a corpo libero da un aereo in volo.
Per spostare indietro le lancette del tempo,
dimenticarsi flebo e aghi e rialzare il sipario
del presente e dell’ “ora” da vivere intensamente, istante per istante.
Nonostante si debba ammettere che
temi fondamentali come gli affetti familiari,
il senso della vita, l’esistenza di Dio vengano solo sfiorati, il film si basa tutto sull’interpretazione dei due protagonisti.
I due mostri sacri sono Morgan Freeman e Jack Nicholson, per la prima volta
insieme sullo schermo, che riescono a fare
una commedia anche quando si parla di
cancro, di ospedali e di ultimi mesi di vita.
Entrambi settantenni, mantengono ancora
intatta la verve che fa sorridere di un tema
così profondo e doloroso come la morte.
Anche se lo script è prevedibile e si aspetta
il finale dall’inizio del film e ci si sia già abituati a un Nicholson vulcanico e avvezzo
agli eccessi e a un Freeman più flemmatico e riflessivo, la storia mira dritto al cuore
degli spettatori, portando alla commozione
quelli più sensibili. Nicholson, che ha lavorato al fianco dello sceneggiatore Justin
Zackman, ha scritto molte delle battute del
film, confessando di essersi ispirato a Fellini. Freeman ci regala forse uno dei sorrisi
più sinceri e smaglianti della sua carriera.
Veronica Barteri
Film
Tutti i film della stagione
LO SPACCACUORI
(The Heartbreak Kid)
Stati Uniti, 2007
“Muskrat Love” di Willis Alan Ramsey (Captain & Tennille);
“Wannabe” di Geri Halliwell, Emma Bunton, Melanie Brown,
Melanie Chisholm, Victoria Adams, Richard Stannard, Matthew Rowe (Spice Girls); “Canciones de amor” composta ed
eseguita da Julieta Venegas; “The Devil Went Down to Georgia” di Chatlie Daniels, John Crain, William Digregorio, Fred
Edwards, Charles Hayward, James Marshall (The Charlie
Daniels Band); “May Be I’m Not the One” di Wayne Coyne,
Steven Drozd, Michael Ivins (The Flaming Lips); “El Mariachi
Loco” di Roman Palomar Arreola (Mariachi Bandido); “La cucaracha (Mariaci Bandido); “Take Em Or Leave Em” di Thomas Hull (Amy LaVere); “Mia” composta ed eseguita da Cordero; “Cheers” composta ed eseguita da Roger Webb; “Pachangueando” di Ramon Nova, Maya Martinez (Pacha Massive);
“Samba Griot” di Thione Diop, Papis N’Diaye (Diop SenePercu); “Gypsy Woman” di Curtis Mayfield (Brian Hyland); “Painting by Chagall” di Deb Talan, Steve Tannen (The Weepies);
“Cuando canto” di Willy Abers, Raul Pacheco, Justin Poree,
Asdru Sierra, Jiro Yamaguchi, Ulises Bella (Ozomatli); “Put
the Message in the Box” di Karl Wallinger (World Party); “Under Pressure” di David Bowie, Freddie Mercury, Roger Taylor,
John Deacon, Brian May (Queen e David Bowie); “The First
Cut is the Deepest” di Cat Stevens (Buva); “After Party” di
Willy Abers, Raul Pacheco, Justin Poree, Ulises Bella, Jiro
Yamaguchi, Asdru Sierra, Jabu Smith-Freeman, K. C. Porter
(Ozomatli); “Annihilation of the Bee” (Metaphor)
Interpreti: Ben Stiller (Eddie Cantrow), Malin Akerman (Lila),
Michelle Monaghan (Miranda), Jerry Stiller (Doc), Rob Corddry
(Mac), Carlos Mencia (zio Tito), Scott Wilson (Boo), Ali Hillis (Jodi),
Polly Holliday (Beryl), Danny R. McBride (Martin), Roy Jenkins
(Buzz), Nicol Paone (hostess), Stephanie Courtney (Gayla), Amy
Sloan (Deborah), Jerry Sherman (nonno Anderson), Lauren Bowles (Tammy), Michael Kromka, Nicholas Kromka (gemelli dodicenni), Mishon Ratliff (ragazzino), Johnny Sneed (Cal), Kayla
Kleevage (donna formosa), Dan Geraci (padre dei gemelli), Sean
Gildea (camionista), Natalie Carter (ragazzina di 10 anni al matrimonio), Louis Accinelli (Manuel), Joel Bryant (Michael), Dean
Norris (padre della sposa), Leslie Easterbrook (madre di Jodi),
Gary Riotto (organizzatore matrimonio), Kathy Lamkin (madre
di Lila), E.E. Bell (padre turista), Lorna Scott (madre turista), Sergio
Ruiz (figlio turista), Miranda May (figlia turista), Kevin J. Flynn
(uomo estroverso), Mitch Rouse (aggressore in bicicletta), Brett
Oakley (giudice di pace), Jared Frazer (barista Cosmopolitan),
Philthee Lopez (Gerard Facchini), Manuel Parada (El Mojado),
Imelda Flores, Sandra Rikisting (bigliettaie), Jackie Flynn, Timothy
Sherman, Julie Mandel (clienti Beach Shack), Bobby Doyle (Jack
Bonoli), Docky, Mariann Neary, Gabriel Torres, Ernest Garcia,
Jerry Castellano, Gloria Sandoval, Alejandro Patino, Alexis Demangelaere, Pete Quintanilla
Durata: 116’
Metri: 2820
Regia: Peter e Bobby Farrelly
Produzione: Ted Field, Bradley Thomas per DreamWorks Pictures/Conundrum Entertainment/Davis Entertainment/DreamWorks SKG/Radar Pictures
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007) V.M.: 14
Soggetto: dal racconto “A Change of Plan” di Bruce Jay Friedman e ispirato alla sceneggiatura di Neil Simon nel 1972
Sceneggiatura: Scott Armstrong, Leslie Dixon, Bobby Farrelly, Peter Farrelly, Kevin Barnett
Direttore della fotografia: Matthew F. Leonetti
Montaggio: Alan Baumgarten, Sam Seig
Musiche: Bill Ryan, Brendan Ryan
Scenografia: Sidney J. Bartholomew jr., Arlan Jay Vetter
Costumi: Louise Mingenbach
Produttori esecutivi: John Davis, Ted Field, Marc S. Fischer,
Marc Haimes, Joe Rosenberg, Charles B. Wessler, Ashley
Woodard
Produttori associati: Matthew Aufdenspring, Ellen Dumouchel, Hal Olofsson
Co-produttori: Mark Charpentier, Tony Lord, Kris Meyer, Matt
Weaver
Casting: Joseph Middleton, Rick Montgomery
Aiuti regista: Hal Olofsson, Geoffrey Sawyer, Sean Vawter,
Greg Guzik, Renan Bendersky, David Berke, Shea Farrell
Operatore: Colin Anderson
Arredatore: Cindy Carr
Trucco: Keith Sayer, Ellen Vieira, Angel Radefeld, Amy Lederman, Gretchen Davis
Acconciature: Bunny Parker
Effetti speciali trucco: Vance Hartwell, Tony Gardner
Coordinatore effetti speciali: Mark Byers
Supervisori musiche: Manish Raval, Tom Wolfe
Canzoni/Musiche estratte: “Finished” composta ed eseguita da William Goodrum; “Different Drum” di Michael Nesmith,
Matthew Sweet, Susanna Hoffs; “The Tale of the Horny Frog”
di Wayne Coyne, Steven Drodz, Michael Ivins (The Flaming
Lips); “Together Again”; “So Good to See You” di Jerry Kalaf
(JK Jazz Ensemble); “Honey Come Home” di John Alagia,
Chris Keup (John Alagia); “A Moment Like You”, “She Makes
Me Fall Down” di Tom Wolfe (Buva); “Queen Bitch”, “Rebel
Rebel”, “Ashes to Ashes”, “Ziggy Stardust”, “Suffragette City”
composte ed eseguite da David Bowie; “Miss Gultch” di Herbert Stothart; “She Makes Me Fall Down”; “Screwed Up” di
Susan Sandberg, Jesse Valenzuela (Susan Sandberg); “Way
Down” di Kaulana Kanekoa, Travis Rice, Vince Esquire, Shawn
Michael, Brett Nelson (Kanekoa); “Conga” di Enrique Garcia
(Miami Sound Machine); “Rosalta (Come Out Tonight)” composta ed eseguita da Bruce Springsteen; “Ready to Take a
Chance Again” di Charles Fox, Norman Gimbel (Barry
Manilow); “Rapture” di Deborah Harry, Chris Stein (Blondie);
S
an Francisco. Eddie Cantrow,
single di quarant’anni proprietario di un negozio di articoli sportivi, il giorno di San Valentino trova finalmente l’amore grazie ad un fortuito incontro con Lila, affascinante e dolce ricerca-
trice ambientale. Dopo sei settimane di frequentazione, però, Lila riceve la notizia del
trasferimento a Rotterdam per motivi di
lavoro. Tallonato dal padre Doc e dall’amico Mac, Eddie si convince finalmente di
fare il grande passo e decide di sposarsi
8
con Lila, evitandole così di trasferirsi in
Europa.
Ma appena dopo il matrimonio, mentre
i due cominciano a conoscersi meglio durante il loro viaggio di nozze in Messico,
Eddie si rende conto di essere stato troppo
Film
impulsivo e di aver commesso un terribile
errore: dietro la dolce mogliettina si nasconde, in realtà, una ragazza dagli atteggiamenti grossolani e aggressivi, dal linguaggio scurrile e amante del sesso estremo.
Sfiancato e deluso dalla moglie, Eddie
si reca nel bar del villaggio turistico. Qui
incontra Miranda, una donna acqua e sapone, completamente l’opposto di Lila. Scatta il colpo di fulmine e per Eddie hanno inizio una serie di imbarazzanti situazioni per
nascondere alla neo-consorte l’attrazione
verso un’altra donna e alla nuova conquista di essere, in realtà, in luna di miele.
Quando la verità salta fuori, Eddie viene rifiutato da Miranda e, inevitabilmente,
abbandonato dalla moglie, la quale lo lascia in Messico senza soldi né passaporto.
Dopo numerose peripezie per cercare
di rientrare in America come clandestino,
Eddie riesce, con l’aiuto del padre, a raggiungere la casa della famiglia di Miranda nel Mississipi, ma qui scopre che si è
sposata da circa una settimana. Eddie non
si dà per vinto e, durante la notte, si reca
di nascosto dall’amata, la quale però rivela di essere felice della scelta fatta.
Tutti i film della stagione
Passa un anno e mezzo ed Eddie, perso il negozio a causa del divorzio da Lila,
si trasferisce in Messico, dove apre una
attività commerciale sulla spiaggia. Qui incontra nuovamente Miranda, che nel frattempo si è separata dal marito; si danno
appuntamento per un drink. Sembra il classico happy end, ma ecco che appare Consuelo, la nuova conquista dello spaccacuori Eddie. Per lui l’inizio di una nuova disavventura amorosa.
L
a nuova commedia dei fratelli
Farrelly (un remake di Il Rompicuori, 1972), così come per le
pellicole precedenti (Tutti pazzi per Mary;
Io, me e Irene...), diverte molto e risulta
particolarmente azzeccata la scelta del
cast, Ben Stiller (Eddie) e Jerry Stiller (suo
padre Doc) su tutti.
Dietro le risate si nascondono alcune
interessanti riflessioni sul tema dell’amore,
come la necessità di non rimanere soli, il
desiderio di trovare la persona giusta e le
diverse motivazioni che spingono uomini e
donne a pronunciare il fatidico “si”. Ognuno
affronta in modalità differenti questo senti-
mento: chi rifugiandosi in week-end di sesso a Las Vegas (come il padre di Eddie),
chi sottomettendosi ai voleri e ai molteplici
umori del partner (l’amico Mac). Eddie si
ritrova a viverle entrambe dopo il matrimonio con Lila; cerca fin da subito di scrollarsele di dosso, anche se inizialmente preferisce “fuggire” piuttosto che “affrontare”.
Molto simpatico il finale che, al posto
dello scontato happy end, mette in luce la
debolezza dell’uomo e la difficoltà di compiere le scelte giuste.
I Farrelly compongono con estrema
facilità una commedia semplice e divertente che strizza l’occhio a una società dei
sentimenti “usa e getta”, ma il ritmo e le
trovate risultano a volte scontate e già viste (non manca anche qualche caduta di
stile). Non sempre convincono le figure
femminili, lasciate spesso ai margini e fin
troppo stereotipate, soprattutto quella di
Lila. Insomma una commedia discreta che
pone qualche interrogativo. Cammeo di
Eva Longoria nella parte di Consuelo, la
fidanzata di Eddie nel finale.
Alessio Granato
IL CASO THOMAS CRAWFORD
(Fracture)
Stati Uniti/Germania, 2007
Regia: Gregory Hoblit
Produzione: Charles Weinstock per New Line Cinema/Castle
Rock Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 2-11-2007; Milano 2-11-2007)
Soggetto: Daniel Pyne
Sceneggiatura: Daniel Pyne, Glenn Gers
Direttore della fotografia: Kramer Morgenthau
Montaggio: David Rosenbloom
Musiche: Jeff Danna, Mychael Danna
Scenografia: Paul Eads
Costumi: Elisabetta Beraldo, Nava R. Sadan
Produttori esecutivi: Toby Emmerich, Liz Glotzer, Hawk Koch
Produttori associati: Samuel J. Brown, Michael Disco, Beverly J. Graf
Co-produttore e direttore di produzione: Louise Rosner
Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood
Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Steven F. Beaupre,
Gregory J. Pawlik jr., Brian Relyea
Operatore: Don Devine
Operatore steadicam: Bob Gorelick
Art director: Mindy Roffman
Arredatore: Nancy Nye
Trucco: Cynthia Barr, Jane English, Christina Smith
Acconciature: Susan Germaine, Charlotte Parker
Effetti speciali trucco: Clinton Wayne
Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson
Canzoni/Musiche estratte: “Ombra fedel anch’io” di Riccardo Boschi (Vivica Geneaux); “Nite Becomes Day” composta ed eseguita da Citizen Cope
Interpreti: Anthony Hopkins (Thomas Crawford), Ryan Gosling (Willy Beachum), David Strathairn (Joe Lobruto), Rosamund Pike (Nikki Gardner), Embeth Davidtz (Jennifer
Crawford), Billy Burke (detective Robert Nunally), Cliff Curtis
(detective Flores), Fiona Shaw (giudice Robinson), Bob Gunton (giudice Gardner), Josh Stamberg (Norman Foster), Xander Berkeley (giudice Moran), Zoe Kazan (Mona), Judith Scott
(domiciliata), Gary Cervantes (Ciro), Petrea Burchard (dr.
Marion Kang), Garz Chan (assistente direttore hotel), Wendy
Cutler (Gladys), Larry Sullivan (Lee Gardner), Valerie Dillman
(Peg Gardner), Gonzalo Menendez, John Littlefield, Retta (poliziotti), Vivica Genaux (cantante opera), Lyla Kanouse (corriere), Sandra Prosper (Karla), Monica Garcia (segretaria di
Crawford), Joe Spano (giudice Joseph Pincus), Peter Breitmayer (tipo NTSB), Mirron E. Willis (ufficiale giudiziario di
Moran), David Purdham (Burt Wooton), Lou Reyes (medico
SWAT), Rainy Kerwin (receptionis), R. J. Chambers, Eugene
Collier (ufficiali giudiziari), Tom Virtue (avvocato Apley), Payton
Koch, Cooper Koch, Sophie Hoblit, Caroline Weinstock, Alexander Weinstock (ragazzini), Michael Khmurov (uomo russo),
Julia Emelin (donna russa), Alla Korot (interprete russo), Jeff
Enden (detective), Kaily Smith (segretaria di Lobruto) Cooper
Thornton, Gunter Simon, Frank Torres, Yorgo Constantine
Durata: 113’
Metri: 3025
9
Film
T
homas Crawford, un ingegnere
specializzato in fratture meccaniche negli aerei, un giorno scopre che la giovane moglie Jennifer frequenta, in sua assenza, un altro uomo e decide
di ucciderla. La attende a casa e, dopo
averle confessato il suo amore morboso,
le spara in volto.
Il loro giardiniere avendo sentito il
colpo chiama la polizia che, grazie alle
abilità negoziative del detective Rob Nunally, riesce a entrare in casa e ad arrestare l’uxoricida, che, con tutta tranquillità, confessa il crimine. Per il detective,
però, c’è un’amara sorpresa: la donna
che giace in terra ricoperta di sangue è
la sua amante che fortunatamente non è
morta nonostante sia in condizioni disperate.
Thomas Crawford è portato in carcere
in attesa di giudizio. Del suo caso deve occuparsi Willy Beachum, giovane assistente della Procura Distrettuale che decide di
accettare solo perché il caso è apparentemente semplice.
La situazione, però, si complica,
perché Thomas Crawford ritratta la confessione e l’unica pistola che ha in casa,
che tutti consideravano l’arma del delitto, risulta non essere stata mai utilizzata.
Inizia il processo, ma nonostante gli
sforzi della procura, non ci sono prove reali a carico di Crawford; in più, la situazione si aggrava, perché durante un interrogatorio emerge la relazione, tenuta nascosta a tutti, di Nunally con la moglie
dell’imputato.
L’avvocato Beachum si trova in un vicolo cieco, l’unica sua speranza è che Jennifer Crawford si risvegli dal coma e dica
il nome del colpevole. Nunally, sicuro della colpevolezza dell’imputato, propone a
Beachum di “far ritrovare” l’arma del delitto con la complicità degli addetti alle
perizie.
L’avvocato ci pensa, anche perché perdere la causa significherebbe perdere l’opportunità di associarsi a un grande studio
che gli ha già fatto una proposta interessante, ma l’etica professionale ha la meglio e Thomas Crawford viene rilasciato
per assenza di prove.
Saputolo, Nunally si suicida con una
pistola, stranamente uguale a quella del
delitto.
Beachum, però, non si arrende e passa
ore al capezzale della donna sperando che
si svegli e sveli la verità e per questo il
Tutti i film della stagione
marito di lei decide di staccarle la spina
che la tiene in vita.
Per l’avvocato tutte le possibilità di
arrivare alla soluzione del caso sembrano svanire, ma un suo assistente, che involontariamente prende il suo cellulare
scambiandolo per il proprio, gli suggerisce un’idea: Thomas Crawford è andato nell’albergo dove si consumavano
i tradimenti della moglie e ha sostituito
la sua pistola con quella di Nunally, riprendendosela poi quando l’uomo era
impegnato nel soccorrere l’amante colpita.
Beachum corre a casa di Crawford e
gli dimostra di averlo incastrato, ma
l’uomo, pur non negando, gli ricorda che
non si può essere processato due volte
per lo stesso crimine. Beachum dice di
sapere benissimo che ciò è impossibile,
ma precisa che lui è stato processato per
tentato omicidio ed ora che la moglie è
morta l’imputazione cambierebbe in
omicidio. Thomas Crawford viene arrestato e si appresta ad affrontare un nuovo processo.
E
siste il delitto perfetto? Questa
domanda affascina molti, criminali e non, perché rappresenta
una singolare forma di supremazia intellettuale, un duello di menti che vede come
partecipanti l’assassino e il suo persecutore. La vittima, invece, in questo macabro gioco, è messa all’angolo, così come
il delitto stesso che diventa un mero pretesto per innescare il tutto.
Nel cinema rimane memorabile Delitto perfetto del grande Hitchcock, dove
un marito pianifica nei minimi particolari l’omicidio della moglie non riuscendo,
però, a portare a termine il suo progetto a causa di un inconveniente che
sconvolge tutti i suoi piani. Ma non è
l’unico, ci sono molti altre pellicole di
questo genere e tutte, a loro modo, singolari, perché di solito nei gialli si attende la fine per scoprire l’assassino, in
queste, invece, si palesa fin dai primi
fotogrammi lasciando allo spettatore un
unico enigma: ce la farà a non farsi scoprire?
Una domanda simile aleggia per tutto il film Il caso Thomas Crawford in cui
un ingegnere uccide la moglie con un’arma che risulterà mai utilizzata, scatenando un’avvincente caccia alla prova da
parte di un giovane e agguerrito avvocato.
10
A prestare il volto al lucido e spietato
assassino è un nome noto al grande pubblico Anthony Hopkins, così come sono
note le sue tipiche espressioni da “cattivo
schizoide”, che tanto affascinano gli amanti
del genere.
Detto questo è necessario aprire una
brevissima parentesi su Hopkins che,
dopo il celeberrimo dottor Lecter di Il silenzio degli innocenti, sembra rimanere
attaccato alle carni del personaggio che
lo ha reso celebre. L’interpretazione a suo
tempo fu strepitosa, ma ha lasciato un
alone che permea ogni suo successivo
personaggio. Anche in quest’ultimo film,
l’associazione fra Crawford e Lecter è
pressoché inevitabile, nonostante gli
sforzi, ammessi dallo stesso regista, di
cercare inquadrature, luci che non creassero questa confusione nello spettatore. Purtroppo, però, il risultato è parzialmente riuscito e verrebbe quasi da
sospettare che l’attore abbia creato un
personale paradigma recitativo da cui ha
deciso di non discostarsi, con il doppio
risultato di regalare sì interpretazioni
molto intense e convincenti, ma tutte irrimediabilmente simili, come in questo
caso.
Più accattivante risulta, invece, la prova di Ryan Gosling nei panni dell’avvocato dell’accusa, capace di trasformare in
maniera misurata il suo personaggio da
scalatore sociale senza remore in idealista pronto a sacrificare il successo per
l’etica.
A dare man forte ai due attori principali c’è una sceneggiatura di ottima fattura, con dialoghi ben costruiti e un leggero
cinico umorismo che allenta i momenti di
tensione.
Un film che, nel suo genere, si potrebbe considerare dunque un delitto
perfetto, ma si sa bene che questo non
esiste e c’è sempre una falla che fa sgretolare tutto. In questo caso è l’eccessiva costruzione e i continui richiami che
spersonalizzano la pellicola, indubbiamente ben fatta, ma che non emoziona
e coinvolge solo parzialmente lo spettatore.
Come mostra lo stesso Thomas
Crawford nel film, mentre gioca con le sue
sfere dal moto perpetuo, a volte basta una
leggera ed impercettibile curvatura a distruggere un meccanismo che sulla carta
sembra perfetto.
Francesca Piano
Film
Tutti i film della stagione
AMERICAN GANGSTER
(American Gangster)
Stati Uniti, 2007
Regia: Ridley Scott
Produzione: Ridley Scott, Brian Grazer per Universal Pictures/
Imagine Entertainment/Relativity Media/Scott Free Productions
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 18-1-2008; Milano 18-1-2008) V.M.: 14
Soggetto: dall’articolo The Return of Superfly di Marc Jacobson pubblicato sul “New York Magazine” nell’agosto 2000
Sceneggiatura: Steven Zaillan
Direttore della fotografia: Harris Savides
Montaggio: Pietro Scalia
Musiche: Marc Streitenfeld
Scenografia: Arthur Max
Costumi: Janty Yates
Produttori esecutivi: Michael Costigan, Branko Lustig, Nicholas Pileggi, Kehela Sherwood, James Whitaker, Steven
Zaillan
Co-produttore: Jonathan Filley
Direttori di produzione: Jonathan Filley, Branko Lustig
Casting: Avy Kaufman
Aiuti regista: Darin Rivetti, Noreen R. Cheleden, Phattana Sansumran
Operatore: Craig Haagensen
Operatore steadicam: Larry McConkey
Art director: Nicholas Lundy
Arredatori: Sonja Klaus, Leslie E. Rollins, Beth A. Rubino
Trucco: Don Kozma, Bernadette Mazur Felice Diamond
Acconciature: Belinda Anderson, Kenneth Walker, Bert Reo
Anderson, Brian Badie, Robin Day, Christine Fennell, Lorraine
Godfrey, Thom Gonzales, Susan Shectar, Taurance F. Williams
Effetti speciali trucco: Craig Lyman
Responsabile effetti speciali: Connie Brink
Supervisori effetti visivi: Dick Edwards (Invisible Effects),
Gray Marshall (Gray Matter FX), Wesley Sewell
Canzoni/Musiche estratte: “Why Don’t We Do It In the
Road” di John Lennon, Paul McCartney (Lewel Fulson); “Only
the Strong Survive” di Kenny Gamble, Leon Huff, Jerry Butler
(Jerry Butler); “Checkin’ Up On My Baby” di Sonny Boy Williamson; “Back to Bangkok Blues” di Harry Garfield; “Hold On
I’m Comin’” di Isaac Hayes, David Porter (Sam Moore, Dave
Prater jr.); “Guess Things Happen That Way” di Jack Clement
(Jonny Cash); “No Shoes” composta ed eseguita da John Lee
Hooker; “I’ll Take You There” di Alvertis Isbell (The Staple Singers); “Do You Feel Me” di Diane Warren (Anthony Hamilton);
“Goid Lovin” di Arthur Resnick, Rudy Clatk (The Rascals);
“Across 110th Street” composta ed eseguita da Bobby Womack; “What a Time It Was” composta ed eseguita da Daniel
May; “Wedding March” di Felix Mendelssohn (Bertalan Hock);
“Winter Wonderland” di Felix Bernard, Dick Smith (Louis Armstrong); “Only the Lonely (Know the Way I Feel)” di Roy Orbison, Joe Melson; “How Great Thou Art” di Stuart K. Hine; “Can’t
Truss It” di Chuc D, Gary Rinaldo, Hank Shocklee (Public Enemy); “Stone, Cold” di Hank Shocklee, Anthony Hamilton (An-
N
ew York. Tra la fine degli anni ’60
e l’inizio degli anni ’70 la corruzione della polizia era in
netta ascesa in città. Con la loro complici-
thony Hamilton); “Trees amigos”, “Club Jam”, “Railroad”, “Nicky
Barnes”, “Afro Beat”
Interpreti: Denzel Washington (Frank Lucas), Russell Crowe
(detective Richie Roberts), Chiwetel Ejiofor (Huey Lucas), Josh
Brolin (detective Trupo), Lymari Nadal (Eva), Cuba Gooding
jr. (Nicky Barnes), Armand Assante (Dominic Cattano), Ted
Levine (detective Lou Toback), Roger Guenveur Smith (Nate),
John Hawkes (detective Freddie Spearman), RZA (Moses
Jones), Yul Vazquez (Alphonse Abruzzo), Malcolm Goodwin
(Jimmy Zee), Ruby Dee (madre di Lucas), Ruben SantiagoHudson (Doc), Carla Gugino (Laurie Roberts), Skyler Fortgang (Michael Roberts), Kathleen Garrett (sig.ra Cattano), Joe
Morton (Charlie Williams), Richie Coster (Joey Sadano), Bari
K. Willerford (Joe Louis), Idris Elba (Tango), Common (Turner
Lucas), Warner Miller (Melvin Lucas), Albert Jones (Terrence
Lucas), J. Kyle Manzay (Dexter Lucas), T.I. (Stevie Lucas),
Quisha Saunders (Darlynn), Kevin Corrigan (Campizi), Robert Funaro (McCann), Jon Polito (Rossi), Robert C. Kirk (capitano polizia), KaDee Strickland (Sheilah Dickerson, avvocato
di Richie), Jon DeVries (giudice James Racine), Jim R. Coleman, Jason Furlani (ufficiali giudiziari), Lee Shepard (avvocato di Laurie), Gavin Grazer (Mike Sobota), Linda Powell (lavoratore sociale), Roxanne Amandez (medico), Norman Reedus (detective Norman Reilly), Pierra Francesca (stewardess),
Eddie Rouse (detective al party), Roosevelt Davis (capitano),
Roger Bart (avvocato), Eric Silver (ragazzino), Mitchell Green
(guardia del corpo di Tango), Saycon Sangbloh (donna di Tango), Conor Romero, Daniel Hilt, Daniel Farcher (teenagers),
Paul Doherty (giornalista TV), George Lee Miles (avvocato di
Frank), Chris McKinney (reporter TV), Ric Young (generale
cinese), David Wayne Britton (colonnello), Tommy Guiffre (esaminatore medico), Lawrence Lowry (medico), Dan Moran
(capitano), Marjorie Johnson (Charlene), Larry Mitchell (agente
FBI), Chuck Cooper (dottore), Kevin Geer (professore),
Chanche Kelly (MP), Sam Freed (giudice), Joey Klein (chimico), Anthony Hamilton (cantante band funk), Tyson Hall, Kirt
Harding, Bryant Pearson (spacciatori), Al Santos (meccanico), Jeahan-Pierre Vassau, Dawn Douglas (agenti), Robbie
Neigeborn (poliziotto), Clinton Lowe (uomo arrestato
nell’ascensore), Wilhelm Davis (fotografo), James Hunter,
Neville White (diaconi), Lonnie Gaetano (guardia prigione),
Jeff Mantel (agente Walsh), Serena Joan Springle (supervisore), Ron Piretti (giudice), Nino Del Buono (speaker), Arthur
Mercante (arbitro), Panama Redd (poliziotto), Robert Wiggins
(pianista), Steve McAuliff (poliziotto), Jonah Denizard (direttore negozio), Hamilton Clancy, Melissia Hill, Tom O’Rourke,
Tom Stearns, Scott Dillin, Sarah Hudnut, Maryann Urbano,
Cedric Sanders, Jason Veasey, David Spearman, Maurice
Ballard, Jeff Greene, William Hudson, Christopher A. Sawyer,
Dylan Gallagher, William C. Tate, Fab 5 Freddy
Durata: 157’
Metri: 4283
tà, inoltre, i narcotrafficanti agivano praticamente con una certa tranquillità, vendendo migliaia di chili di droga a quei tossicodipendenti alla disperata ricerca di una
11
dose. Una classe privilegiata e potente di
uomini bianchi sborsava centinaia di milioni di dollari a giudici, avvocati e poliziotti newyorkesi affinché tenessero la boc-
Film
Tutti i film della stagione
Dopo un’operazione lunga e laboriosa, Roberts riesce una mattina ad arrestare Lucas quando questi si era recato in
chiesa con la madre. Condannato inizialmente all’ergastolo, in prigione Lucas decide di collaborare con la giustizia. Nel
frattempo, l’agente è diventato anche avvocato. Nel corso delle numerose conversazioni tra i due, escono fuori tantissimi
nomi di agenti corrotti.
Grazie al suo aiuto, a Lucas viene ridotta la pena. Alla fine resta in carcere 15
anni e ritorna in libertà nel 1991...
B
ca chiusa; il loro scopo era infatti quello
di far prosperare al meglio questo mercato. La guerra in Vietnam stava cominciando a lasciare i suoi segni sul paese. Molti
giovani soldati statunitensi morivano e ritornavano in patria dentro dei sacchetti di
plastica, oppure erano diventati completamente dipendenti dall’eroina.
In questo contesto, un giorno, Frank
Lucas assume un potere enorme. Fino a
quel momento nessuno si era accorto di
lui. Era stato fino ad allora il silenzioso
apprendista di Bumpy Johnson, uno dei più
grande boss del crimine neri della zona
interna della città del dopoguerra. Quando il suo capo muore improvvisamente,
Lucas si costruisce un proprio impero personale. Non era mai andato a scuola ma
poteva contare su anni di esperienza acquisita direttamente in strada che gli tornò molto utile per riuscire a governare il
traffico della droga nella zona interna della
metropoli, inondando le strade di un prodotto più puro a un prezzo migliore che si
procurava direttamente a Bangkok. In poco
tempo, Lucas scalza tutte le organizzazioni criminali e diventa, al tempo stesso, uno
dei principali corruttori della città e un
uomo potentissimo dall’esistenza apparentemente insospettabile. Ha un suo club
dove conosce la moglie Eva, ex- Miss Puerto Rico. Compra un’abitazione lussuosissima nella quale vanno a vivere sia la madre, sia il resto della sua famiglia. Anche
la mafia si accorge di lui e uno dei suoi
uomini più potenti, Dominic Cattano, si
vede costretto a diventare suo sottoposto e
a dipendere da lui.
Tra i suoi maggiori rivali c’è Nicky
Barnes, altro boss nel commercio dell’eroina, e il detective Trupo del dipartimento
di polizia di New York, che consente lo
spaccio di droga nella sua zona, a condizione che gli venga data una parte del ricavato.
Richie Roberts è invece un poliziotto
scaltro e duro, abbastanza vicino alla strada per capire che si sta verificando un cambio ai vertici della malavita che controlla
la droga. L’agente intuisce che qualcuno
sta scalando i ranghi, scavalcando le famiglie mafiose locali e comincia a sospettare che un potente “giocatore” nero sia
apparso dal nulla per dominare la scena.
L’uomo è dedito completamente al lavoro,
tanto è vero che proprio per questo si è
separato dalla moglie e si trova spesso in
tribunale per la causa sull’affidamento del
figlio. Talvolta, ha qualche rapporto occasionale con qualche donna tra cui il suo
avvocato. Gran parte del tempo però lo
trascorre al lavoro, totalmente concentrato nel cercare le prove che possano incastrare Lucas.
L’agente e il boss, così diversi tra loro,
hanno però un rigoroso codice etico che li
accomuna. Una volta, Lucas maltratta in
modo violento un suo familiare dopo che
questi si era fatto trovare con della droga
nel bagagliaio dell’automobile. Roberts,
invece, un giorno, trova un milione di dollari nel bagagliaio di un auto, provente di
uno spaccio di droga, assieme a un suo
collega. Quest’ultimo cerca di convincerlo a tenersi i soldi, mentre lui decide di riportare l’intero bottino in centrale. Da quel
momento è diventato così un uomo segnato, malvisto sia dai suoi stessi colleghi sia
dagli spacciatori, fino a quando si è riscattato dirigendo il reparto della Essex County
SIU, dove ha selezionato un gruppo fidato
di poliziotti che agivano sotto copertura.
12
lade Runner a New York tra la fine
degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo. Scott si porta dietro la stessa dimensione claustrofobica –
all’oscurità della fotografia di Jordan Cronenewth del primo film si sostituisce quel
grigio impermeabile di quella di Harris
Savides (abituale collaboratore di Gus Van
Sant) – e, soprattutto, quell’inquetudine di
fondo che fa sia dell’agente Richie Roberts sia del boss narcotrafficante Frank Lucas, quasi due replicanti reincarnati sotto
fattezze umane.
Alla base di American Gangster c’è una
storia vera, quella leggendaria dello spacciatore che apparve per la prima volta sette anni fa in un articolo di Mark Jacobson
apparso sul “New York Times” nell’agosto
del 2000 e intitolato “The Return of Superfly”. Eppure nel film di Scott la dimensione
visiva appare come trasfigurata, inserita in
una grandiosa allucinazione senza limiti, in
cui anche le prospettive e i movimenti vengono distorti. La metropoli è al centro di
questo eccitante sfida che costutuisce sempre un elemento ricorrente nel cinema di
Scott non solo in Blade Runner. New York,
in particolare, Harlem, assume, quindi, quasi le coordinate di un asfissiante labirinto
proprio come Tokyo in Black Rain e gli
squarci di Firenze in Hannibal.
Inoltre, come spesso avviene nell’opera del cineasta di origine inglese, anche
American Gangster può essere letto come
una sorta di ‘romanzo criminale’ nel quale
si affrontano ancora due duellanti redivivi.
Richie Roberts e Frank Lucas appaiono
come la materializzazione di 2 fazioni nettamente contrapposte, proprio come gli
agenti statunitensi contro un boss locale
in Black Rain, l’astronave Nostromo contro la natura mostruosa in Alien, il cacciatore di taglie contro i replicanti in Blade
Runner, le due donne in fuga e l’agente
che gli sta dando la caccia in Thelma &
Louise, il generale Maximus e Commodo
in Il gladiatore.
Scott è sicuramente, oggi, uno dei più
grandi registi visionari, anticlassico per
Film
eccellenza, capace di manipolare la realtà portando(ci) sensorialmente dentro dimensioni sconosciute, facendo vivere l’incubo (Black Hawk Dawn), o l’ebbrezza del
piacere e del gusto (Un’ottima annata)
sulla propria pelle. American Gangster è,
dal punto di vista narrativo, uno dei suoi
film più lineari, grazie anche alla sceneggiatura di Steven Zaillan (Schindler’s List,
Gangs of New York, The Interpreter, che
aveva già collaborato con Scott, adattando assieme a David Mamet il romanzo di
Thomas Harris per Hannibal), che entra
nella struttura del crime-movie. L’ascesa al
potere del narcotrafficante Frank Lucas è
resa con un’intensità e una magniloquenza che sembra avere come modello la trilogia di Il Padrino di Coppola. Basta vedere, da questo punto di vista, il modo con
cui è inquadrata la figura di Denzel Washington – ancora straordinario nell caratterizzazione di un personaggio negativo così
come aveva fatto con quella del poliziotto
corrotto in Training Day di Fuqua – sia nell’accentuazione della sua apparente normalità (l’incontro con la donna che diventerà sua moglie nel proprio locale, lo stretto legame con la madre e con la sua famiglia), sia nelle sue feroci esplosioni di violenza. Magistrali, in questo senso, i momenti in cui Lucas esce dal bar e va ad
uccidere il suo rivale sotto lo sguardo sbigottito dei suoi familiari, o quello in cui se
la prende con il fratello dopo che si è fatto
Tutti i film della stagione
beccare dall’agente corrotto con la droga
in macchina.
American Gangster possiede quel delirio, quell’estasi del grande cinema di Scorsese. I locali dell’illegalità, la strada, proprio come Mean Streets, Quei bravi ragazzi
e Casinò. La sfida tra l’agente (ancora una
volta interpretato dal bravissimo Russell
Crowe, alla terza collaborazione con il regista dopo Il gladiatore e Un’ottima annata) e il boss della droga è invisibile ma accesa e si è inghiottiti dentro un vortice senza uscita, dove lo sguardo del regista riesce ancora una volta ad annegare e a far
perdere i sensi. Inoltre, in quel loro scontro a distanza, sembra rimaterializzarsi
quella sublime contrapposizione tra il detective Vince Hanna (Al Pacino) e il rapinatore Neil McCauley (Robert De Niro) in
quel capolavoro di Michael Mann rappresentato da Heat – La sfida. Lì c’era Los
Angeles, qui New York. La città però diventa il set per innumerevoli e infiniti punti
di fuga. Se in Heat – La sfida i due antagonisti si incrociavano per la prima volta verso la metà del film, qui la loro “resa dei
conti” avviene quasi verso la fine. La scena in cui l’agente Roberts attende con i
suoi uomini Lucas fuori dalla chiesa è da
antologia ed è girata con un’essenzialità
da grandissimo autore. In quel momento,
Scott sembra annullare di colpo il lato privato delle due figure. Oltre a quello del
narcotrafficante, va sottolineata anche l’in-
timità con cui il cineasta materializza gli
‘affetti perduti’ del poliziotto, con la battaglia in tribunale con l’ex-moglie e la dolorosa separazione dal figlio. Il cineasta però
ha davvero la capacità di far arrivare emotivamente tutte le emozioni anche attraverso brevissimi frammenti, pochissime inquadrature. Da quel momento, all’esterno della chiesa, Roberts e Lucas diventano di
colpo la piena incarnazione della Legge e
della Criminalità. Il film potrebbe quasi ricominciare da quel momento. Anzi, proprio da quel momento ne potrebbe cominciare ancora un altro, sempre con la durata di circa 2 ore e mezza. Nessuno se ne
accorgerebbe. Dall’arresto del narcotrafficante alla sua collaborazione con l’agente
(diventato anche avvocato) c’è tutto quel
vibrante senso del rispetto tipico dei grandi gangster-movie. American Gangster
potrebbe, quindi, trasformarsi ora in una
sorta di western metropolitano, con quell’intensità tipica del grandioso rifacimento
di Quel treno per Yuma di Mangold, dove
era proprio lo stesso Crowe che si contrapponeva a Christian Bale. Forse American Gangster lascerà prepotentemente il
segno anche con squarci della sua Storia
(il Vietnam). Non solo come uno dei film
più belli della stagione, ma proprio come
uno dei più importanti nella recente (e non)
storia del cinema americano.
Simone Emiliani
SIGNORINAEFFE
Italia, 2007
Regia: Wilma Labate
Produzione: Donatella Botti per Biancafilm. In collaborazione
con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 18-1-2008; Milano 18-1-2008)
Soggetto: Wilma Labate, Francesca Marciano, Carla Vangelista
Sceneggiatura: Domenico Starnone, Wilma Labate, Carla Vangelista
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Francesca Calvelli
Musiche: Pasquale Catalano
Scenografia: Gian Maria Cau
Costumi: Nicoletta Taranta
Casting: Stefania De Santis
Aiuto regista: Simone Spada
Suono: Alessandro Zanon, Emanuela Di Giunta
T
orino 1980. Emma, giovane impiegata della Fiat laureanda in
Matematica, viene da una mode-
Interpreti: Filippo Timi (Sergio), Valeria Solarino (Emma), Sabrina Impacciatore (Magda), Fausto Paravidino (Antonio), Clara
Bindi (nonna Martano), Gaetano Bruno (Peppino), Luca Cusani (Felice), Fabrizio Gifuni (Silvio), Giorgio Colangeli (Ciro),
Marco Fubini (Angelo), Veronica Gentili (Cecilia), Luigi Lavagetto (ing. Federico Ferri), Ulderico Pesce (barista), Rosa Pianeta (Gianna), Franco Ravera (Carlo), Alessandra Vanzi
(prof.ssa Ferrero), Roberta Carluccio (figlia di Silvio), Cristina
Odesso, Fiammetta Olivieri (studentesse), Gian Maria Villani,
Daniele Bernardi (studenti), Antonio Sinfisi, Toni Pandolfo,
Paolo Parente, Alfredo Alpe (operai), Claudio Castana (bidello), Germano Giordanengo (impiegato), Massimo Del Sette
(uomo all’incrocio), Massimo Avella (cameriere), Aglaia Moa,
Gustavo Frigerio
Durata: 95’
Metri: 2597
sta famiglia di emigranti che vede in lei e
nel suo promettente futuro il riscatto sociale per una vita di sacrifici. Emma, inol-
13
tre, è fidanzata con Silvio, un dirigente della Fiat che le facilita notevolmente sia il
percorso lavorativo che universitario.
Film
Tutto sembra scorrere sereno, ma, un
giorno, la ragazza incontra in fabbrica un
operaio, Sergio, che inizia a corteggiarla
e a parlarle di diritti sindacali. Emma è
infastidita, ma, allo stesso tempo, affascinata dall’uomo.
Intanto la Fiat decide di licenziare
14.000 dipendenti. Inevitabilmente iniziano gli scioperi, ma Emma continua ad andare a lavorare, nonostante gli insulti e gli
impedimenti degli operai più radicali.
Dopo qualche giorno, però, qualcosa cambia, cede ai sentimenti di Sergio e si unisce alle proteste. La sua famiglia è sconvolta e anche il fidanzato, nonostante il
cocente tradimento, le prova tutte per farla ritornare a sé, ma Emma sembra non
importarsene.
Chi le è vicino, allora, prova a parlare
con Sergio spiegandogli che se la ama veramente deve permetterle di avere un futuro brillante e dunque deve lasciarla. L’uomo dapprima è riluttante a perderla, poi,
con il passare dei giorni, si rende conto
che è la soluzione migliore per la donna
che ama.
Le lotte operaie finiscono con la disfatta dei lavoratori e, allo stesso tempo, finisce la storia fra Sergio ed Emma che, dopo
essere stata abbandonata, ritorna fra le
braccia di Silvio e conserva il suo posto di
lavoro.
Q
uanti meridionali con la valigia di
cartone sono partiti per trovar fortuna al Nord? Quanti di loro hanno dovuto nascondere – inutilmente – il
loro accento per farsi accettare e per poter tornare durante le vacanze al paese e
farsi chiamare “i milanesi” (per un meridionale chi viene dal nord viene solo da
Milano!)? Quanti hanno lavorato fino a
spaccarsi le mani sognando un futuro diverso per i propri figli? Tanti e la famiglia
Martano è tra questi con una vita passata in FIAT e una figlia, Emma, che, grazie
a una laurea e a un buon matrimonio, si
appresta a compiere il tanto agognato riscatto sociale.
Un giorno, però, arriva Sergio e tutte
le certezze della signorina Martano crollano sotto le mani sporche di grasso di
un uomo con la voglia di cambiare le regole, di un operaio deciso a combattere
contro l’azienda che ha permesso a lei e
ai suoi fratelli di avere “la befana” ogni
anno, di un uomo insomma, che risveglia
in lei l’ardore giovanile e la naturale tendenza a opporsi a un progetto non proprio.
Tutto questo durante il caldo ottobre del
1980, quando la minaccia di riduzione del
personale FIAT fece scendere in piazza
Tutti i film della stagione
non solo gli operai, ma anche quelli che
comunemente vengono chiamati colletti
bianchi, trasformandosi poi in quella che
viene ricordata come la più grande sconfitta del sindacato e della lotta operaia degli ultimi anni.
Wilma Labate, tramite vissuti di
Emma, ci propone una singolare visione
di queste vicende nel suo ultimo film Signorinaeffe. La “effe” naturalmente sta per
FIAT, luogo e causa degli eventi in questione.
Ora, escludendo il bellissimo spot dell’azienda automobilistica degli anni Trenta
che apre la pellicola (le cose datate hanno sempre un certo fascino!), ci sarebbero diversi appunti da fare a un lavoro che
sulla carta aveva le potenzialità per farsi
ricordare.
Prima di tutto la vicenda storica. Si
dà completamente per scontato che lo
spettatore conosca o ricordi cosa è avvenuto a suo tempo e quindi la si risolve
con qualche filmatino d’epoca buttato tra
una scena e l’altra che crea soltanto con-
fusione e toglie il piacere di veder ricostruito, in maniera consona, un momento relativamente importante per l’Italia sul
grande schermo. Intendiamoci, non che
la scelta di mettere spezzoni di vecchi tg
sia sbagliata, anzi, ma doveva essere cementata da una struttura narrativa adeguata.
Probabilmente si è voluto dare più spazio alla love story fra i protagonisti, ma
anche questa fa acqua ovunque. Lasciando perdere tutte le (troppe) volte in cui il
caso ci mette lo zampino, i personaggi non
hanno respiro, sembrano muoversi impacciati, o addirittura, in alcuni momenti, braccati dallo stereotipo più banale.
E cosi anche il talento di Valeria Solarino e Filippo Timi va a perdersi nella confusione del voler dire troppo e non riuscire
a dire nulla, in un marasma di sentimenti,
rivendicazioni e sogni che sfociano in un
finale indefinito e amaro come il giudizio
su questo film.
Francesca Piano
L’INNOCENZA DEL PECCATO
(La fille coupée en deux)
Francia, 2007
Regia: Claude Chabrol
Produzione: Patrick Godeau per Alicéléo. In coproduzione con Rhône-Alpés Cinéma/France 2 Cinéma/Integral Film. Con la partecipazione di Canal+/Ciné Cinémas/
CNC
Distribuzione: Mikado
Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Claude Chabrol, Cécile Maistre
Direttore della fotografia: Eduardo Serra
Montaggio: Monique Fardoulis
Musiche: Matthieu Chabrol
Scenografia: Françoise Benoît-Fresco
Costumi: Mic Cheminal
Direttore di produzione: Michel Jullien
Aiuti regista: Vincent Guillerminet, Mélanie Ravot, Cécile Maistre, Isabel Lebre
Suono: Eric Devulder
Trucco: Maya Benamer
Interpreti: Ludivine Sagnier (Gabrielle Aurore Deneige), Benoît Magimel (Paul
André Claude Gaudens), François Berléand (Charles Saint-Denis), Mathilda
May (Capucine Jamet), Caroline Sihol (Geneviève Gaudens), Marie Bunuel
(Marie Deneige), Valeria Cavalli (Dona Saint-Denis), Etienne Chicot (Denis
Deneige), Thomas Chabrol (Stéphane Lorbach), Jean-Marie Winling (Gérard
Briançon), Didier Bénureau (Philippe Le Riou), Edouard Baer (Edouard, l’attore intervistato), Clémence Brétecher (Joséphine Gaudens), Charley Fouquet
(Eléonore Gaudens), Hubert Saint-Macary (Bernard Violet), Alain Bauguil (Louis
Giraudet), Emanuel Booz (Alban), Stéphane Debac (Antoine Volte), PierreFrançois Dumeniaud (sig. Junot), Cécile Maistre (Cécile), Benoît Charpentier
(se stesso)
Durata: 115’
Metri: 3030
14
Film
G
abrielle Denege è una giovane
ragazza ambiziosa che dirige con
discreto successo una rubrica
meteo in televisione e usa il proprio corpo per sedurre tutti gli uomini che le capitano a tiro. Perduto il padre da piccola, Gabrielle vive con la madre che ha
una libreria. Charles Saint Denis è un
affermato scrittore sulla sessantina, sposato da anni con Dona che non disdegna
le avventure e la frequentazione dei privé. A ravvivare la sua pacifica vita matrimoniale è l’affascinante e seducente
editrice Capucine Jamet, che ha realizzato un incontro fra l’autore e il pubblico in una libreria della cittadina. Casualmente si tratta della libreria della madre di Gabrielle. Qui i due, che già si
erano intravisti durante una trasmissione televisiva, hanno l’occasione di conoscersi meglio.
In fretta la loro relazione diventa sempre più intima e profonda e, nonostante la
notevole differenza d’età, Gabrielle si innamora perdutamente di Charles. Anche
lui, a suo modo, sembra essersi affezionato, ma in realtà vuole proteggerla da se
stesso e dalle sue depravazioni sessuali.
Gabrielle, invece, si dimostra pronta a soddisfare i desideri più bizzarri e azzardati
dello scrittore, accecata dalle sue parole e
dalle promesse di separazione dalla moglie. Per la ragazza esiste solo lui e non
sembra prestare attenzione alla spudorata
corte di Paul Gaudens, un giovane rampollo di una famiglia altolocata. Il ragazzo, viziato e psicolabile, viene stuzzicato
dall’indifferenza di Gabrielle nei suoi confronti e le dichiara apertamente il proprio
amore.
Charles presenta Gabrielle ai suoi
amici e la fa partecipare a una serata
scambista. La mattina dopo, parte per
lavoro, promettendo di tornare di lì ad
una settimana. In realtà, l’uomo non si
fa più vivo e Gabrielle entra in depressione, rifiuta di uscire e di vedere altre
persone. La madre arriva addirittura a
chiamare Paul, che intanto continua a
corteggiarla ancora accanitamente. Il
ragazzo, per scuotere Gabrielle dal torpore in cui è caduta, organizza un viaggio a Lisbona. Passa un anno e Gabrielle, nonostante sia ancora innamorata di
Charles, accetta di sposare Paul, sperando che lui possa darle la felicità che desidera. Il giovane rampollo ha sempre
odiato lo scrittore e lentamente il tarlo
della gelosia comincia a disturbare la
sua mente, tanto più dopo le confessioni
della moglie. Nonostante Gabrielle con-
Tutti i film della stagione
duca una nuova trasmissione tutta sua,
la vita matrimoniale non è affatto serena. In più si ritrova ad avere una suocera arcigna e tutta presa dagli interessi
della famiglia.
Charles torna a Lione e apprende del
matrimonio di Gabrielle. Durante una festa di beneficenza, organizzata dalla signora Gaudens, i due amanti si rincontrano.
Paul non riesce a sopportare oltre la presenza dell’uomo e di fronte a tutti gli spara. A questo punto, la famiglia, colpita nel
buon nome dallo scandalo, ricorre al migliore avvocato sulla piazza. Gabrielle viene costretta a confessare pubblicamente i
suoi perversi trascorsi amorosi pur di giustificare il gesto del marito. Dopo aver ottenuto il suo scopo, cioè l’infermità mentale, Paul allontana Gabrielle dalla sua
vita, alla quale non rimane altro che fare
la soubrette negli spettacoli illusionisti
dello zio.
P
resentato al Festival di Venezia
2007, nella sezione Fuori Concorso, L’innocenza del peccato
segna il ritorno del grande maestro francese dietro la macchina da presa. Basandosi su fatti realmente accaduti (un omicidio di un architetto a New York, nel
1906), Claude Chabrol realizza una superficiale analisi del decadimento della
borghesia, che purtroppo rimane un ritratto d’ambiente patinato, formalmente impeccabile e ben recitato, ma mai incisivo
o inquietante.
All’interno di un dramma di provincia
il regista cala i suoi personaggi in un’atmosfera malata e corrotta, dove non solo
il sesso, ma anche l’amore, diventano un
15
esercizio di sopraffazione e di potere. Non
c’è un personaggio che in parte risulti positivo, tutti in qualche modo sono stati invischiati nel vortice di ambiguità morale
che fa della perversione “l’arte di trasformare il bene in male”. Ci vengono presentati due tipi di differenti borghesi: uno
è il colto e raffinato scrittore maturo per
cui la giovane perde la testa e l’altro il ricco erede, privo di stile e di talento, affetto
da problemi psicologici. Tra i due lupi si
trova l’ingenua e “innocente”, come citato dal titolo, Gabrielle, di estrazione piccolo borghese, destinata a farsi sporcare
e poi sbranare da entrambi. Dietro le eleganti facciate delle ville, dei lussuosi salottini da tè la provincia francese nasconde scheletri e squallidi incontri a luci rosse, innocenze peccaminose e licenziosi
tradimenti.
La fille coupée en deux si legge nel titolo originale del film: la ragazza tagliata
in due alla lettera, come dall’ ultima, simbolica, sequenza onirica. Qui la poveretta,
tramite un gioco di magia, si appresta ad
essere “tagliata in due” e versa una lacrima, guardando fisso in macchina da presa, quasi a tentare inutilmente di intenerire il cuore dello spettatore. Per raccontarci il suo dramma, Chabrol si serve di un
linguaggio cinematografico duro e secco
come una lama affilata di coltello, senza
sbavature e senza sangue, ma che arriva
dritto al cuore. Si avvale senz’altro di un
cast prezioso: Ludivine Seigner, Benoit
Magimel, François Berléand e Valeria Cavalli, attrice italiana molto apprezzata in
Francia.
Veronica Barteri
Film
Tutti i film della stagione
RUSH HOUR: MISSIONE PARIGI
(Rush Hour 3)
Stati Uniti, 2007
eseguita da Prince; “Everybody Wants Me” di Radu Ianceoglu (Alina Puscau); “California Girls” di Mike Love, Brian Wilson (The Beach Boys); “L’amour une aventure” composta ed
eseguita da Salaam Remi, Katin Cadet; “Sorry Seems to Be
the Hardest Word” di Elton John, Bernie Taupin (Elton John);
“Can Can” di Jacques Offenbach (The All Time Greats); “Bonnie & Clyde” di Serge Gainsbourg (Serge Gainsbourg, Brigitte Bardot); “Closer I Get to You” di Reggie Lucas, James
Mturne (Chris Tucker, Jackie Chan); “La vie en rose” di Mack
David, Edith Piaf, Louiguy (Grace Jones); “Kung Fu Fighting”
di Carl Douglas (Chris Tucker); “War” di Barrett Strong, Norman Whitfield (Edwin Starr); “Who Made the Tater Salad” di
Salaam Remi (Salaam Remi, Vincent Henry); “Last Night” di
Charles Axton, Gil Caples, Chips Moman, Floyd Newman,
Jerry Lee ‘Smmochy’ Smith (The Mar-Keys); “Less Than an
Hour” di Lalo Schifrin, Salaam Remi, Nas, Cee-Lo (Nas e
Cee-Lo)
Interpreti: Chris Tucker (detective James Carter), Jackie Chan
(ispettore capo Lee), Max von Sydow (Varden Reynard), Hiroyuki Sanada (Kenji), Yvan Attal (George), Noémie Lenoir
(Genevieve), Jingchu Zhang (Soo Yung), Tzi Ma (console Han),
Dana Ivey (sorella Agnes), Henry O (maestro Yu), Mia Tyler
(Marsha), Michael Chow (Ministro Esteri cinese), David Niven
jr. (Ministro Esteri inglese), Oanh Nguyen (Mi), Andrew Quang
(ragazzino kung-fu), Sun Ming Ming (gigante kung fu), Lisa
Thornhill (infermiera), Kentaro Matsuo (assassino francese),
Ludovic Paris, Richard Dieux, Olivier Schneider (poliziotti francese), Philippe Bergeron (cartaio baccarat), Daniel Yabut (croupier), Frank Bruynbroek (barista), Silvie Laguna (donna ascensore), Micaelle Mee-sook (cameriera cinese), Daniel Decrauze (chitarrista che canta), David Goldsmith (clown), Michael
Francini (uomo anziano), Julie Depardieu (oglie di Georges),
Marc Hoang (vigilante Torre Eiffel), Lisa Byrnes, Melissa Cabrera, Mandy Coulton, R. J. Durell, Catherine Ferrino, Loriel
Hennington, Rachael Markarian, Jaayda McClanahan, Ann
Beth Miller, Victoria Parsons, Vanessa Tarazona, Laetitia Ray,
Tovaris Wilson, Diana Carr, Noa Dori, Kayla McGee, Tanja
Plecas, Kristin Quinn, Liliya Toneva (ballerine), Lisa Piepergerdes, Eric Naggar, Ann Christine, Heather Mostofizadeh,
Jasmine Dustin, Francesca Cecil
Durata: 91’
Metri: 2400
Regia: Brett Ratner
Produzione: Roger Birnbaum, Andrew Z. Davis, onathan Glickman, Arthur M. Sarkissian, Jay Stern per New Line Cinema/
Roger Birnbaum Productions/Arthur Sarkissian Productions.
In associazione con Unlike Film Productions
Distribuzione: Key Films
Prima: (Roma 5-10-2007; Milano 5-10-2007)
Soggetto: dai personaggi creati da Ross LaManna
Sceneggiatura: Jeff Nathanson
Direttore della fotografia: J. Michael Muro
Montaggio: Mark Helfrich, Dean Zimmermann, Don Zimmermann
Musiche: Lalo Schifrin
Scenografia: Ed Verreaux
Costumi: Betsy Heimann
Produttore esecutivo: Toby Emmerich
Produttori associati: David Gorder, Darryl Jones
Co-produttori: Leon Dudevoir, James M. Freitag
Direttori di produzione: Gilles Castera, JoAnn Peritano
Casting: Ronna Kress
Aiuti regista: Gilles Kenny, James M. Freitag, Robert Schroer,
Kevin Turley, Vernon Davidson, Yannick Fauchier, Jerome Borenstein, Julie Laugier
Operatori: Gary Jay, Roger Simonsz
Art director: Chad S. Frey
Arredatore: Kate J. Sullivan
Trucco: Felicity Bowring
Acconciature: Kelvin R. Trahan, Margarita Pidgeon, Cathrine
A. Marcotte
Supervisori effetti speciali: Hans Metz, Clay Pinney, Grégoire Delage
Coordinatore effetti speciali: Pascal Declercq
Supervisori effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures),
Patrick Kavanaugh (CIS Hollywood), Ray McIntyre jr. (Pixel
Magic), Jerry Pooler (Digital Dream), Daniel P. Rosen (Evil
Eye Pictures), John Bruno, Lindy DeQuattro, Eli Jarra
Supervisori effetti digitali: Marco Recuay (Digital Dream),
Tyler Foell
Coordinatore effetti visivi: Robin Trickett
Supervisore costumi: Joyce KOgut
Coreografie: Marguerite Pomerhn Derricks
Canzoni/Musiche estratte: “Do Me, Baby” composta ed
D
urante un discorso davanti alla
commissione internazionale sul
crimine organizzato, l’ambasciatore cinese Han viene colpito da un cecchino proprio nel momento in cui dichiara
guerra alla “Società delle Triadi” (la più
grande cosca mafiosa orientale). L’ispettore capo, nonché guardia del corpo del
diplomatico, Lee, insegue per tutta la città
il killer, ma, nonostante gli venga in soccorso il suo amico detective James Carter,
non riesce a catturarlo.
I due agenti, a cui viene affidato il
caso dal capitano di polizia di Los Ange-
les, devono proteggere Soo-Yung, la figlia
del console. Anche lei infatti è in pericolo di vita, dal momento che è a conoscenza di una misteriosa lettera che il padre
le aveva lasciato prima di essere ferito,
nella quale sono contenute informazioni
riservate sulla pericolosa banda di criminali.
Lee e Carter vengono mandati in missione a Parigi per scovare il capo Shy
Shen, il quale altri non è che il fratello
adottivo dello sbirro cinese. Qui, però,
devono affrontare diverse peripezie. Dopo
aver incontrato un commissario un po’
16
sadico e un pauroso tassista antiamericano (che in breve tempo convertono in
una coraggiosa “spia” al loro servizio),
rischiano la pelle in ben due situazioni.
Nella prima, Lee viene sedotto da un’affascinate donna che in realtà si rivela essere una spietata assassina armata di un
ventaglio lancia-coltelli; mentre; nella
seconda, i due eroi sono costretti a fronteggiare una squadra di motociclisti che
dà loro la caccia, inseguendoli per le vie
di Parigi.
Su incarico del ministro Reynard, si
mettono poi sulle tracce di Genevieve, la
Film
donna con cui l’ambasciatore era entrato in contatto e che, in quanto ex componente della “Società delle Triadi”, è in
possesso della lista dei “Tredici Dragoni” (è tatuata dietro la sua nuca e nascosta da una parrucca). Intanto SooYung viene rapita e Lee e Carter riusciranno a trarla in salvo soltanto al termine di un estenuante combattimento sulla
Torre Eiffel.
A
ncora una volta l’irresistibile e
stravagante coppia formata dall’attore-regista di Hong Kong
Jakie Chan e dall’esuberante comico di
colore Chris Tucker (un perfetto clone di
Eddie Murphy) regala intrattenimento,
azione e una buona dose di humor. Dopo
Rush Hour – Due mine vaganti (1998) e
Colpo grosso al Drago Rosso – Rush
Hour 2 (2001), il regista Brett Ratner confeziona con molta furbizia un azzeccato
terzo capitolo della saga ideata da Ross
Tutti i film della stagione
LaManna, ricco di tensione e trovate spettacolari.
Scontri a fuoco, duelli fisici all’ultimo
sangue a colpi di arti marziali, inseguimenti
funambolici e salvataggi in extremis sono
gli ingredienti principali che condiscono ad
arte sequenze mozzafiato. Chan, grazie
alle sue innate doti di acrobata, movimenta quasi ogni scena con audaci coreografie degne di La tigre e il dragone, in cui
volteggia mirabilmente nello spazio (senza avere neppure bisogno di controfigure!).
Tra letali mosse di kung-fu e sparatorie a tutto spiano, l’adrenalina è dunque
garantita. Botte da orbi e non solo, però.
Perché non è tanto l’aspetto poliziesco (tra
l’altro piuttosto stereotipato, alla Arma letale - per intenderci) a rendere Rush Hour
III un sicuro prodotto di successo, quanto
invece il brio dei suoi interpreti, in particolare della “spalla” Tucker, al quale vengono affidate battute ora demenziali, ora esi-
laranti. La collaudatissima formula “cazzotti
& risate” funziona alla grande, insomma,
anche in questo ultimo episodio della fortunata trilogia ambientato nella Ville Lumière.
Due sono i momenti di trascinante comicità che segnaliamo, in cui spadroneggia il brillante detective nero: quando si
cimenta in un’improbabile lotta contro un
gigante cinese e poi quando, col suo collega, irrompono nello show della ballerina
Genevieve per salvarla da un attentato e
si lui improvvisa cantante. Davvero un gustoso siparietto.
In questa spassosa ed energica pellicola c’è spazio anche per alcuni cammei:
Philip Bakel Hall è il capitano di polizia
William Diel; Roman Polanski è il commissario francese Jacques; infine, Max von
Sydow veste i panni del subdolo ministro
Reynard.
Diego Mondella
LEONI PER AGNELLI
(Lions for Lambs)
Stati Uniti, 2007
Regia: Robert Redford
Produzione: Matthew Michael Carnhan, Tracy Falco, Andrew
Hauptman, Robert Redford per Andell Entertainment/Brat Na
Pont Productions/Cruise-Wagner Productions/United Artists/
Wildwood Enterprises
Distribuzione: Twentieth Century Fox
Prima: (Roma 21-12-2007; Milano 21-12-2007)
Soggetto e sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan
Direttore della fotografia: Philippe Rosselot
Montaggio: Joe Hutshing
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Jan Roelfs
Costumi: Mary Zophres
Produttori esecutivi: Tom Cruise, Daniel Lupi, Paula Wagner
Produttore associato: Bill Holderman
Direttore di produzione: Will Weiske
Casting: Avy Kaufman
Aiuti regista: Adam Somner, Ian Stone, Mike Topoozian, Jenny Nolan
Operatore/Operatore steadicam: Mark La Bonge
Art director: François Audouy
Arredatore: Leslie A. Pope
Trucco: Leo Corey Castellano, Gabriel De Cunto, Mustaque M.
Ashrafi
Acconciature: Bunny Parker, Terie Velasquez
L
a giornalista Janine Roth viene
incaricata dal capo del network
televisivo per il quale lavora di
Coordinatore effetti speciali: Steve Cremin
Supervisori effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title), Grady Cofer (ILM), Scott Liedtka (Tweak Films)
Coordinatori effetti visivi: Daniel Cavey, Courtney Ward
(ILM), Anna Fielda (Tweak Films)
Supervisore costumi: Lori DeLapp
Canzone/Musica estratta: “Lean Wit It” composta ed eseguita da Herman Beeftink
Interpreti: Robert Redford (professor Stephen Malley), Meryl
Streep (Janine Roth), Tom Cruise (senatore Jasper Irving),
Michael Peña (Ernest Rodriguez), Andrew Garfield (Todd
Hayes), Peter Berg (tenente colonnello Falco), Kevin Dunn
(Howard), Derek Luke (tenente Arian Finch), Larry Bates,
Christopher May, David Pease, Heidi Janson (soldati), Christopher Carley (cecchino), George Back, Kristy Wu, Bo Brown,
Josh Zuckerman, Samantha Carro, Christopher Jordan, Angela Stefanelli, Muna Otaru (studenti), Paula Rhodes (Summer Hernandez Kowalski, reporter ANX), Sarayu Rao (receptionist senatore Irving), Amanda Loncar (giovane assistente),
Richard Burns (impiegato senato), Kevin Collins (ranger), Jennifer Sommerfield, Wynonna Smith (ospiti talk-show), Babar
Peerzada (combattente afgano), Wade Harlan (pilota elicottero), Michael Peoples (veterano) John Brently Reynolds, Clay
Wilcox, Chris Hoffman, Louise Linton, Candace Moon
Durata: 92’
Metri: 2520
intervistare il rampante senatore repubblicano Jasper Irving. Quest’ultimo le rilascia delle dichiarazioni in esclusiva sul-
17
l’imminente piano che il governo americano intende adottare per vincere la guerra in Afghanistan e combattere il terrori-
Film
smo. Dopo gli errori compiuti da parte
della Casa Bianca nella gestione del conflitto e del rapporto con i media, la politica vuole servirsi della stampa per fare
chiarezza e riacquistare il consenso della
gente. Secondo Irving, il nemico da tenere a bada sarà l’Iran, il temibile “Asse
del male”, che riunisce sotto la stessa
causa antiamericana gli estremisti sunniti
e sciiti.
Di fronte alle incalzanti domande della reporter, che chiede quali saranno i costi umani previsti per la nuova strategia, il
senatore è risoluto nel sostenere la sua tesi:
per assicurare la sicurezza al popolo statunitense, bisogna fare di tutto, anche proseguire la missione militare altri dieci anni.
Nonostante il parere contrario del direttore, alla fine la Roth si rifiuta di mandare
in onda l’intervista.
Il docente di Scienze Politiche dell’Università della California, Stephen
Malley, durante un lungo colloquio con
un suo brillante allievo, lo esorta a impegnarsi concretamente in campo sociale e
civile per tentare di cambiare lo stato attuale delle cose. Ma il ragazzo non ha
minimamente intenzione di seguire il suo
consiglio e attende con preoccupazione,
come tutti i suoi coetanei, la chiamata alle
armi.
Due ex studenti del professor Malley,
malgrado il disperato tentativo di questo
ultimo di fermarli, decidono di arruolarsi.
Una volta giunti al fronte, rimangono seriamente feriti nel corso di un duro scontro a fuoco. Costretti all’immobilità tra le
asperità delle montagne afgane, chiedono
invano l’intervento dei soccorsi e finisco-
Tutti i film della stagione
no tragicamente la loro spedizione fucilati
dai talebani.
S
ono passati i tempi in cui andava
di moda il cosiddetto “impegno civile”. Pellicole autorevoli come Il
candidato, Tutti gli uomini del presidente,
oppure ancora Brubacker, hanno consegnato alla storia non soltanto il talento di
un interprete profondo e coriaceo quale è
Robert Redford, ma anche alcune pagine
di cinema di rara intensità, in cui la settima arte ha espresso appieno le sue potenzialità di farsi specchio deformante della
società.
L’anima liberal del divo americano,
che non ha mai smesso di manifestare
le sue idee e i suoi principi lungo tutto
l’arco della sua carriera, è tornata a farsi
sentire più combattiva che mai in Leoni
per agnelli. Un film sicuramente controverso e indigesto a gran parte dell’opinione pubblica statunitense (in particolar modo a quella di fede repubblicana),
perché affronta con coraggio e senza
retorica questioni di scottante attualità,
come la guerra in Iraq.
Attorno a questo tema cardine, Redford fa ruotare ben tre storie differenti
(la cronista e il senatore, l’insegnante e
lo studente, i due soldati in Afghanistan),
nelle quali si intrecciano non solo i destini dei rispettivi protagonisti, ma anche
quello di un intera nazione che, per la prima volta, tenta di fare ammenda dei propri gravissimi sbagli. Si comincia dalla
politica, la cui proverbiale ipocrisia è incarnata dal personaggio di Irving (Tom
Cruise), che con la sua calma ieratica e
18
una dialettica da statista navigato cerca
di usare la minaccia nucleare iraniana
come sordido viatico per conquistare la
presidenza.
Ma anche la stampa ha le sue colpe
da rimproverarsi. I mezzi di informazione che hanno appoggiato la dissennata
amministrazione Bush e i suoi insuccessi (e che continuano a pubblicare dati,
percentuali e grafici sul disastroso andamento della campagna irachena)
avrebbero infatti uguale responsabilità
degli stessi governanti nella morte di
migliaia di marines. Anzi – come sostiene l’aspirante leader conservatore – alcuni quotidiani e televisioni avrebbero
“soffiato sul fuoco”, strumentalizzando
perfino gli orrori del carcere di Abu
Ghraib. Per fortuna esistono anche professionisti come la giornalista interpretata da Meryl Streep, a ricordarci che
fare del «vero giornalismo» non significa essere proni al potere, ma farsi guidare dalla ragione, dalla coerenza e dall’etica.
In mezzo a tale sfacelo di valori in cui
si trova impantanata la più grande potenza del mondo, c’è posto poi per un altro
malessere di allarmanti proporzioni, quello rappresentato dalla scuola.
Il livello di istruzione in America attraversa una fase di degrado estremo ed è
da qui che bisogna ripartire se si vuole
veramente migliorare il futuro.
Il valente professor Malley sarà pure
un nostalgico idealista che non si arrende a instillare il dono della curiosità e della vis polemica. Ma non gli si può dare
certamente torto quando afferma che «i
pezzi di merda che comandano (i cosiddetti “agnelli”) marciano sull’apatia e
l’ignoranza dei giovani» e che quindi è
necessario agire mentre gli altri ragazzi,
reclutati soprattutto tra i ceti meno abbienti, vengono mandati sciaguratamente al
mattatoio.
L’accorato appello del regista, che per
l’occasione si ritaglia il ruolo di istitutore,
fa breccia nel cuore dei suoi corsisti sollevando un tema quanto mai stringente: il
diffuso sentimento di anti-politica. Attraverso questa riuscita opera di denuncia
sull’inutilità della guerra, avvalorata da un
cast di attori superbi, il settantenne Redford vuole scaldare gli animi delle nuove
generazioni, offrendo loro una irreprensibile lezione di democrazia, di umanità e di
speranza. E ci auguriamo che non sia l’ultima.
Diego Mondella
Film
Tutti i film della stagione
RESIDENT EVIL: EXINCTION
(Resident Evil: Exinction)
Stati Uniti/Francia/Australia/Germania/Gran Bretagna, 2007
Regia: Russell Mulcahy
Produzione: Paul W. S. Anderson, Jeremy Bolt, Robert Kulzer
per Resident Evil Productions/Constantin Film Produktion/
Davis-Films/Impact Pictures
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 12-10-2007; Milano 12-10-2007) V.M. 14
Soggetto e sceneggiatura: Paul W. S. Anderson
Direttore della fotografia: David Johnson
Montaggio: Niven Howie
Musiche: Charlie Clouser
Scenografia: Eugenio Caballero
Costumi: Joseph A. Porro
Produttori esecutivi: Bernd Eichinger, Samuel Hadida, Kelly Van Horn
Direttori di produzione: Héctor Lopez, Kelly Van Horn
Casting: Scot Boland, Victoria Burrows
Aiuti regista: Jose Jimenez, Mark Egerton, Joaquin Silva,
Maria Raquel Dioni, Valeria Villalobos, Matias Risso Patron
Operatore/Operatore steadicam: Norbert Kaluza
Art director: Barbara Enriquez
Trucco: Raul Zamora, Laura Hill
Acconciature: Bunny Parker
Supervisore e creazione creatura: Patrick Tatopoulos
Effetti speciali trucco: Bruce Spaulding Fuller, Richard Redlefsen, Jorge Siller
S
ono trascorsi tre anni da quando
il virus T si è diffuso oltre l’area
di Racoon City, l’intero pianeta
è ora abitato prevalentemente da zombie e gli effetti del contagio sulle piante
hanno reso il mondo un’intera landa desertica. Gli unici superstiti umani sopravvivono spostandosi da un luogo all’altro, evitando accuratamente le grandi città (dove più forte è la concentrazione dei non morti), nella speranza di
un domani migliore. Alice, però, non è
più insieme ai suoi amici: gli esperimenti
della Umbrella Corporation l’hanno infatti dotata di poteri che la rendono potenzialmente pericolosa per chiunque le
sia vicino e così la ragazza viaggia da
sola, a bordo di una potente moto. Quello che Alice non sa è che la Umbrella,
nella persona del dr. Isaacs, sta continuando i suoi esperimenti in un nuovo
laboratorio sotterraneo: il DNA della
ragazza è infatti l’unico ad aver “assorbito” il virus senza farle perdere la propria umanità e, per questo, contiene la
chiave che potrebbe portare alla fine del
contagio e alla liberazione del mondo dai
non morti. Dal momento che Alice è fuggita, Isaacs ha approntato una serie di
suoi cloni per continuare gli studi, ma
Supervisore effetti speciali: Casey Pritchett
Coordinatore effetti speciali: Darrell Pritchett
Supervisori effetti visivi: Matthew Gratzner (New Deal Studios Inc.), Thomas Turnbull (Rocket Science VFX), Dennis
Berardi, Evan Jacobs
Coordinatori effetti visivi: E. M. Bowen, Taryn P. Kelly (New
Deal Studios Inc.), Luke Groves, Victoria Holt (Mr. X Inc.),
Christa Tazzeo (Invisible), Rubina Cokar
Supervisore effetti digitali: Aaron Weintraub
Interpreti: Milla Jovovich (Alice), Oded Fehr (Carlos Olivera),
Ali Larter (Claire Redfield), Iain Glen (dott. Isaacs), Mike Epps
(L.J.), Spencer Locke (K-Mart), Ashanti (Betty), Matthew
Marsden (capitano Alexander Slater), Christopher Egan
(Mikey), Jason O’Mara (Albert Wesker), Linden Ashby (Chase),
Rusty Joiner (Eddie), Ramón Franco (Runt), Shane Woodson
(Piggy), Jamie Patrick Miller (Evan), Joe Hursley (Otto), Rick
Cramer (hockey su ghiaccio/guardia corridoio), Madeline Carroll (‘White Queen’), Peter O’Meara (inviato inglese), William
Abadie (inviato francese), Valorie Hubbard (Ma), Kirk B.R.
Woller (scienziato), Connor McCoy (ragazzo magro), John Eric
Bentley, James Tumminia, Geoff Meed, Brian Steele, Gary
Hudson
Durata: 95’
Metri: 2520
questi non riescono a superare le prove
cui sono sottoposti. La situazione è a un
punto di stallo, ma Isaacs non si arrende; è anche riuscito a sintetizzare un vaccino in grado di rendere intelligenti gli
zombi e di inibire loro l’istinto cannibalistico, ma le prime prove si rivelano ancora insoddisfacenti.
Intanto Alice, dopo essere sfuggita agli
agguati tesi da alcuni predoni, trova un
agenda che lascia supporre come in Alaska
il contagio non abbia attecchito e come,
forse, nel nord del mondo si nasconda la
nuova terra promessa.
Nel frattempo, un altro convoglio di
disperati è in cerca della salvezza, a bordo di una serie di camion corazzati: fra
loro ci sono anche Carlos Olivera e vecchie conoscenze di Alice, mentre leader
del gruppo è la risoluta Claire Redfield. I
disperati, durante una sosta, vengono attaccati da uno stormo di corvi che si sono
nutriti di carne infetta e, per questo, hanno contratto l’infezione cannibalistica. La
situazione sembra disperata, ma a risolvere il problema sopraggiunge inaspettatamente proprio Alice, che con i suoi poteri psichici scaccia i corvi. Riunitasi a
Carlos Alice è malvista dagli altri a causa delle sue capacità, ma ugualmente pro19
pone loro di raggiungere l’Alaska tutti
insieme. L’idea viene accettata all’unanimità da un gruppo ormai bisognoso di
speranza.
Per un viaggio così lungo occorre
però benzina a sufficienza; dopo aver constatato la difficoltà nel reperire il carburante, il gruppo decide di recarsi a Las
Vegas, ormai inghiottita dalle sabbie. Il
posto sembra disabitato, ma invece si rivela una grande trappola predisposta da
Isaacs, che ha rintracciato Alice con un
satellite e ora le invia contro un gruppo
di super-zombi, resi più veloci da una
nuova mutazione. La ragazza combatte
come una furia e, pur non riuscendo a
evitare la morte di molti compagni, sconfigge i mostri e riesce quasi ad aver ragione di Isaacs, che comunque fugge, ma
prima viene morso da un super zombie.
Per non diventare anche lui un non morto, lo scienziato, una volta tornato alla
base, si inietta dosi massicce di Virus T,
diventando così un mostro spaventoso.
Alice invece decide di recarsi al laboratorio dell’Umbrella per rubare l’elicottero con il quale Isaacs è fuggito e che potrebbe rivelarsi utile per raggiungere
l’Alaska. Carlos si incarica di rompere la
barriera di morti viventi che circonda la
Film
base: un’impresa suicida, ma inevitabile
per lui che è stato morso e che fra poco
diventerà uno zombie. L’eroe riesce nell’impresa e Claire e gli altri raggiungono
così l’elicottero, con il quale partono per
la terra promessa.
A terra resta soltanto Alice, che vuole
regolare una volta per tutte i conti con
Isaacs e l’Umbrella. Entrata nel laboratorio, la ragazza scopre l’esistenza dei
suoi cloni e le macchine che, forse, con
l’aiuto del computer centrale, potranno
permetterle di sintetizzare un antidoto all’infezione che ha distrutto il mondo.
Quindi arriva anche il momento del confronto con Isaacs, condotto con le armi
del corpo e della mente, fino alla vittoria
finale. A questo punto, resta da eliminare
soltanto il direttivo centrale dell’Umbrella, che ha sede in Giappone: per questo,
Alice annuncia ai nemici una sua prossima visita, accompagnata dall’esercito dei
suoi cloni.
A
cinque anni dalla sua uscita, si
fatica ancora a comprendere se
si debba o meno considerare importante un film come Resident Evil: i
meriti di aver ridato linfa al filone dei morti
viventi sono indiscutibili, così come quelli
di aver reso possibile la nascita di un filone che, partendo da celebri videogame, oggi produce film di successo. Ma
il vero problema sta nella mitologia che
il film ha saputo o voluto produrre. Quello che interessa, quindi, è stabilire se la
saga sia stata capace di fondare un immaginario nuovo o, quand’anche derivativo, capace comunque di porsi in una
prospettiva virtuosa, appassionante e vitale. Certamente Paul W.S. Anderson,
“mente” dell’intera operazione, possiede
la giusta dose di entusiasmo, ha le idee
chiare e dimostra di voler dare forma a
una saga coerente, ma capace, a ogni
film, di riflettere un differente sottogenere: se il primo Resident Evil era infatti un
action-movie claustrofobico (un possibile riferimento è l’Aliens di Cameron), il
secondo guardava più agli scenari metropolitani di tanto cinema anni Settanta, mentre in questo caso lo sguardo si
volge verso le distese desertiche e postapocalittiche dei vari Mad Max. In tal senso, è coerente anche il fatto che a ogni
capitolo cambi il regista; stavolta si segnali il ritorno dietro la maschera da presa di un talento decaduto come Russel
Mulcahy, regista di Razorback e Highlander.
Ma ogni buona intenzione si infrange inevitabilmente dinanzi alla pochezza e alla puerilità di un cinema che non
Tutti i film della stagione
ha alcuna ambizione, se non quella di
offrirsi come nuovo a un pubblico distratto e dimentico dei modelli: film dopo film,
si continua infatti a veleggiare nei territori del già visto, riciclando sequenze e
icone di mitologie preesistenti senza
guizzi né passione, con la presunzione
di chi intende sfruttare il citazionismo nel
segno della commistione di elementi eterogenei, ma evidentemente non ha
un’oncia dell’onestà di Tarantino e compagni, che almeno hanno la forza di credere nei loro personaggi e di renderli
entità vive, con cui lo spettatore possa
confrontarsi e appassionarsi. Nello scorrere caotico delle immagini di Resident
Evil: Extinction c’è tutta la nullità di un
mainstream odierno che non conosce il
piacere del racconto, ma si bea delle proprie deliranti invenzioni e di un continuo
ammiccare che sconfina nel plagio senza produrre reali sussulti nella storia (la
sequenza del test al morto vivente dota-
to di intelligenza, mutuata dal Giorno
degli zombi di Romero, non ha alcuna
utilità ai fini narrativi, ma serve unicamente come strizzatina d’occhio ai fans).
Il risultato è che non si prova alcun interesse per questi personaggi e queste vicende dal sapore artificioso, qualsiasi
possibile tematica è appiattita dalla rigidità di uno sguardo che non possiede
nemmeno la spavalderia cialtrona dell’Alexander Wytt che aveva reso quantomeno divertente il secondo capitolo. E il
boccone amaro da mandar giù riguarda
un cinema che ha completamente rovesciato di segno il mito del morto vivente,
non più metafora di una morte palesata,
da affrontare a viso aperto, ma implicito
e sotterraneo imbalsamatore dell’immaginario. In questo senso Resident Evil è
un franchise drammaticamente conservatore.
Davide Di Giorgio
LUSSURIA – SEDUZIONE E TRADIMENTO
(Se jie)
Cina/Stati Uniti, 2007
Regia: Ang Lee
Produzione: Ang Lee, William Kong per Haishang Films/Focus Features/Mr. Yee Productions/River Road Entertainment. In coproduzione con Hai Sheng Film Production Company
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 4-1-2008; Milano 4-1-2008) V.M. !4
Soggetto: dal romanzo omonimo di Eileen Chang
Sceneggiatura: Wang Hui-ling, James Schamus
Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Tim Squyres
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia e costumi: Lai Pan
Produttori esecutivi: James Schamus, Darren Shaw, Dai Song, Ren Zhong-lun
Produttore associato: Lloyd Chao
Co-produttori: David Lee, Doris Tse
Direttori di produzione: Eric Fong, Chiu Wah Lee, Wai Luen Pang
Casting: Rosanna Ng
Aiuti regista: Rosanna Ng, Tze Hung Lam
Art directors: Eric Lam, Bill Lui, Alex Mok, Chong Kwok-wing, Lau Sai-wan
Coordinatore effetti visivi: Sarah Barber (Mr. X Inc)
Supervisore effetti visivi: Brendan Taylor (Mr. X Inc)
Interpreti: Tony Leung Chi-wai (sig. Yee), Tang Wei (Wang Jazhi/sig.ra Mak), Joan
Chen (sig.ra Yee), Wang Leehorn (Kuang Yu-min), Chung Hua-tou (vecchio Wu),
Chu Chih-ying (Lai Shu Jin), Kao Ying-hsien (Huang Lei), Ko Yue-lin (Liang Jun
Sheng), Johnson Yuen (Auyang Ling Wen/sig. Mak), Kar Lok Chin (Tsao), Su Yan
(Ma Tai Tai), Caifei He (Hsiao Tai Tai), Ruhui Song (zia di Wang), Anupam Kher
(Khalid Saiduddin), Liu Jie (Leung Tai Tai), Hayato Fujiki (colonnello giapponese
Sato), Yuji Kojima (comandante giapponese Taicho), Akiko Takeshita, Cheng Yu-lai,
Li Dou
Durata: 156’
Metri: 4300
20
Film
Tutti i film della stagione
S
hanghai, 1942. Mentre la città è
occupata dalle truppe giapponesi
nel corso della Seconda guerra
mondiale, la signora Mak entra in un lussuoso caffè, fa una telefonata e poi si siede
ad aspettare. In quel momento, inizia a
pensare a quando era cominciata la sua
storia nel 1938. Allora si chiamava Wong
Chia Chi ed era una studentessa che viveva a Hong Kong. Suo padre, fuggito in Inghilterra, l’aveva lasciata da sola mentre
era scoppiata la guerra, mentre la madre
era morta. Al primo anno di università,
aveva incontrato Kuang Yu Min, uno studente che aveva messo in piedi una compagnia teatrale con lo scopo di tenere alto
lo spirito patriottico della popolazione. La
ragazza diventa così prima attrice della
compagnia e, attraverso la sua recitazione, capisce che riesce a commuovere ed
emozionare il pubblico. Anche lo stesso
Kuang resta colpito dal suo talento. Lo studente, al tempo stesso, ha anche in mente
un preciso piano politico; convince infatti
un gruppetto di studenti a realizzare un
progetto estremamente ambizioso, quello
dell’assassino del signor Yi, un potente
collaborazionista dei giapponesi. Ognuno
di loro ha un ‘ruolo’ da interpretare. A
Wong viene affidata la parte della signora
Mak, che si deve conquistare la fiducia di
Yi diventando prima amica di sua moglie,
giocatrice incallita di mahjong, e poi deve
iniziare una relazione con lui. La ragazza
si infiltra nella vita dell’uomo. Per fare
questo, comincia una profonda trasformazione sia nel fisico sia nel suo modo di comportarsi. Per un po’ le cose vanno secondo i piani; la giovane donna infatti rivela
ai suoi compagni ogni spostamento dell’uomo e la sua volontà sembra essere quella di volerlo vedere morto. Un fatale imprevisto, però, manda all’aria i piani; i
coniugi Yi decidono all’improvviso di ritornare a Shanghai. Inoltre un ex-guardia
del corpo del collaborazionista si è accorto del piano degli studenti e comincia a ricattarli fino a quando l’uomo non viene
assassinato. In seguito a questi eventi,
Wang decide così di fuggire.
1941, Shanghai. Wong è emigrata a
Hong Kong e cerca di tirare avanti. Con
sua grande sorpresa però, rivede Kuang.
Questi ormai fa parte della resistenza organizzata e torna ad arruolarla nella parte della signora Mak con lo stesso scopo
di qualche anno prima: uccidere Yi. L’uomo, nel frattempo, ha assunto un ruolo
ancora più importante diventando direttore del servizio segreto collaborazionista.
La giovane donna riprende così il suo vecchio compito e ne diventa finalmente
l’amante. Tra loro s’instaura una relazio-
ne sessuale estrema. Lei si accorge però
che, col tempo, è ormai in preda a una
passione incontrollabile nei suoi confronti. Comincia a sentirsi sempre più confusa
e inizia ad avere paura di perderlo e di
vederlo morire.
Nel 1942, al caffè dove si trova, Wang
è così assalita da un atroce dubbio: portare l’uomo alla gioielleria dove è stato pianificato il suo omicidio, oppure raccontargli tutto?
D
opo La tigre e il dragone anche
Lussuria potrebbe ipoteticamente apparire come una programmatica operazione a tavolino in cui si incrociano le atmosfere del cinema orientale con
le forme narrative di quello occidentale. La
tigre e il dragone aveva in sé la dimensione
del kolossal combinata però con un respiro
rarefatto, quasi aereo, che riprendeva in
maniera geometrica ma anche emozionale
la struttura del wuxiapian (“film di cappa e
spada”). Lussuria invece combina le forme
del mélo storico materializzando, grazie anche all’illuminazione di Rodrigo Prieto - il direttore della fotografia di film come La 25°
ora e 8 Mile che aveva già collaborato con
Ang Lee con il precedente I segreti di Brockeback Mountain (2005) – una Shanghai
cupa e, al tempo stesso, scintillante, luogo
di fuga ma anche di provvisorie attrazioni che
fa da sfondo ad una vicenda passionale impossibile, disperata, eppure densissima, che
viene però raccontata con quel ‘classicismo’
che si pone probabilmente un modello altissimo: quello di Casablanca (1942). Sia la città
cinese, sia quella marocchina del film di Michael Curtiz appaiono infatti come set provvisori, luoghi di transito, non solo spaziale
ma anche sentimentale. Certo, dietro al film
21
di Ang Lee c’è il racconto di Eileen Chang,
considerata come una specie di Jane Austen d’oriente, che viene dilatato per accentuare probabilmente gli elementi forti della
tragedia, proprio quella ‘seduzione e tradimento’ che non a caso fanno parte del titolo
con cui il film è stato distribuito in Italia. Però
c’è di più. Non è la prima volta che il regista
taiwanese incrocia le forme del melodramma declinandolo, di volta in volta, in maniera
diversa, incrociandolo con il western in I segreti di Brockeback Mountain, con un’avventura quasi fiabesca in La tigre e il dragone,
con il calligrafismo del film in costume in
Ragione e sentimento. Lee certamente si
riappropria di un certo respiro visivo che
porta ad accostare Lussuria all’opera di cineasti come Wong Kar-wai e Stanley Kwan:
i tagli di luce, il modo di inquadrare gli ambienti e i personaggi con movimenti della
macchina da presa lenti e cadenzati, la presenza della Storia e i residui del tempo che
sembrano rintracciarsi dentro l’inquadratura, spingono ad accostare quest’opera agli
straordinari In the Mood for Love (2000, che
condivide con questa pellicola lo stesso attore ptotagonista, Tony Leung) ed Everlasting
Regret (2005). Con questi film infatti Lussuria condivide quel senso di malinconica decadenza che, fino a questo momento, aveva attraversato solo in maniera tangenziale
l’opera del cineasta. Il senso di classicità, che
Lee ha probabilmente ereditato dalla sua
esperienza negli Stati Uniti, è presente nella
maniera potentissima in cui il regista recupera quei frammenti propri del cinema noir.
C’è, per esempio, il momento in cui Wong
Chia Chi/la signora Mak ha teso una trappola al signor Yi a Hong Kong e il piano sta per
andare in porto. Lee gestisce magistralmente, come in tutto il film, un ‘ritmo dell’attesa’,
Film
evidente nei tempi vuoti, nella sospensione
provvisoria delle azioni (il modo con cui vengono filmate, per esempio, le partite di
mahjong), nella crisi d’identità della bravissima protagonista (Tang Wei) sempre più
divisa tra il dovere e la passione. La ragazza, inquadrandola all’interno dei meccanismi
del genere, potrebbe incarnare una sorta di
moderna ‘dark lady’: affascinante, doppiogiochista, stavolta non diabolica ma piuttosto
vittima lei stessa del meccanismo che ha creato assieme agli altri compagni della Resistenza. Inoltre Lussuria possiede un potente erotismo che nei noir era sempre presente anche se più trattenuto; una sessualità
divampante, segno di come il film tenda progressivamente a surriscaldarsi come per materializzare ‘le fiamme del mélo’.
L’attesa si avverte in quasi tutto il film ed
è già presente in apertura, nel momento stesso in cui entra in un lussuoso caffè dell città,
fa una telefonata e poi si mette ad aspettare.
È come se da quell’istante la Storia della
Tutti i film della stagione
Cina sotto l’occupazione giapponese scorresse parallelamente alla propria vicenda
personale; entrambe volte all’indietro, guardando quasi esclusivamente al passato.
Non c’è dubbio che Lussuria – con il
quale Ang Lee ha vinto a Venezia il secondo Leone d’Oro in tre anni dopo I segreti di Brockeback Mountain nel 2005 –
possa essere ancora l’esempio di un cinema sempre mutevole nella sua forma,
che per i detrattori di Ang Lee potrebbe
rappresentare ancora una volta l’esempio della mancanza di uno sguardo personale. Certamente l’opera dell’autore
taiwanese spazia da diversi generi, adotta la loro struttura dando molte volte quasi la sensazione di riprodurla come può
essere accaduto, per esempio, con la
‘commedia degli equivoci’ in Banchetto
di nozze (1993), con il western in Cavalcando col diavolo (1999) e con il fantasy
d’azione di provenienza fumettistica rappresentato da Hulk (2004). Lee però, pur
essendo un regista disequilibrato e incostante, ha sempre delle improvvise accensioni che attraggono all’improvviso.
Lussuria è certamente uno dei suoi film
più belli. Anzi, forse più che La tigre e il
dragone, è il suo migliore film ‘orientale’,
così come Tempesta di ghiaccio (1997)
è il suo miglior film occidentale. Si tratta
di due esempi diversissimi nello stile, ma
condividono lo stesso provvisorio ‘raggelamento’ delle situazioni, ambientate nel
passato (tra la fine degli anni Trenta e
l’inizio dei Quaranta Lussuria, all’inizio
degli anni Settanta Tempesta di ghiaccio) in cui prendono gradualmente forma quelle ‘ombre di morte’. Ed entrambe queste pellicole giocano sull’accumulo, crescono progressivamente portando
a dei finali indimenticabili. Così classici
nella loro disperazione e nella loro emozionalità.
Simone Emiliani
L’ASSASSINO DI JESSE JAMES PER MANO DEL CODARDO ROBERT FORD
(The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford)
Stati Uniti, 2007
Supervisore effetti visivi: Deak Ferrand (HATCH)
Supervisore costumi: Kelly Fraser
Canzoni/Musiche estratte: “Jesse James” arrangiata ed
eseguita da Nick Cave; “Amazing Grace”, “Oh, Susannah”
(Brooklyn Proulx)
Interpreti: Brad Pitt (Jesse James), Mary-Louise Parker (Zeralda James), Zooey Deschanel (Dorothy Evans), Casey Affleck (Robert Ford), Sam Rockwell (Charley Ford), Jeremy
Renner (Wood Hite), Sam Shephard (Frank James), Ted Levine (sceriffo James Timberlake), Garret Dillahunt (Ed Miller),
Paul Schneider (Dick Liddil), Michael Parks (Henry Craig), Pat
Healy (Wilbur Ford), Brooklynn Proulx (Mary James), Meredith Henderson (Nellie Russell), Kailin See (Sarah Hite), Dustin
Bollinger (Tim James), Joel McNichol (corriere), J. C. Roberts
(ingegnere), Darrell Orydzuk (passeggero treno ucraino), Jonathan Erich Drachenberg (giovane passeggero treno), Torben Hansen (passeggero treno danese), Alison Elliott (Martha Bolton), Lauren Calvert (Ida), Tom Aldredge (George Hite),
Jesse Frechette (Albert Ford), Joel Duncan (deputato),James
Carville (governatore Crittenden), Stephanie Wahlstrom (cliente negozio), Ian Ferrier (fotografo), Michael Rogers (spettatore alla morte di Jesse), Calvin Bliid (ragazzo alla morte di Jesse), Sarah Lind (ragazza di Bob), Michael Coperman (Edward
O’Kelly), Laryssa Yanchak (Ella Mae Waterson), Hugh Ross
(voce narrante), James Defelice, Adam Arlukiewicz, Matthew
Walker
Durata: 155’
Metri: 4300
Regia: Andrew Dominik
Produzione: Jules Daly, Dede Gardner, Brad Pitt, Ridley Scott,
David Valdes per Warner Bros. Pictures/Jesse Films Inc./Scott
Free Productions/Plan B Entertainment/Alberta Film Entertainment/Virtual Studios
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 21-12-2007; Milano 21-12-2007)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Ron Hansen
Sceneggiatura: Andrew Dominik
Direttore della fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Dylan Tichenor, Curtiss Clayton
Musiche: Nick Cave, Warren Ellis
Scenografia: Troy Sizemore
Costumi: Patricia Norris
Produttori esecutivi: Lisa Ellzey, Brad Grey, Tony Scott, Ben
Waisbren
Produttore associato: Ron Hansen
Casting: Mali Finn
Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Karen Sowiak, Lisa
Jemus
Operatore: Roger Deakins
Operatore steadicam: Damon Moreau
Arredatore: Janice Blackie-Goodine
Trucco: Gail Kennedy, Rochelle Pomerleau, Jean Ann Black
Acconciature: Iloe Flewelling, Chris Harrison-Glimsdale
Effetti speciali trucco: Brian Hillard, Christien Tinsley
Supervisore effetti speciali: James Paradis
Coordinatore effetti speciali: Maurice Routly
L
ungo le strade del Missouri, nella seconda metà dell’Ottocento,
dettano legge i fratelli James. Fi-
gli di un pastore, Frank e Jesse, sono ormai
tristemente noti per le loro rapine. Treni e banche, gli obiettivi preferiti. Con loro, un mani22
polo di uomini disposti a tutto, pur di sopravvivere. Siamo negli anni immediatamente successivi alla sanguinosa guerra di secessione.
Film
Jesse, il più giovane dei James, dallo
sguardo accattivante e dai modi garbati, è
già leggenda. La sua storia, il suo aver
combattuto durante la guerra di secessione da confederato contro le prepotenze dei
nordisti, ne fanno un capo carismatico. Di
lui si dice sia terribile e spietato.
Ora però, a 34 anni, è stanco. Jesse
vive in piena clandestinità, sul suo capo
pesano numerose taglie. Ha paura, sa di
essere braccato. Intorno ha volti nuovi,
persone di cui non sa se fidarsi o meno.
Tra questi, il ventenne Robert Ford, ultimo di cinque figli, suo ammiratore, sin da
bambino. Robert vuole a tutti i costi far
parte della banda. È ancora un ragazzino,
deriso da tutti, senza neppure una pistola.
Eppure, riesce nel suo intento. Jesse lo
porta con sè. Lo fa stare a casa sua, insieme alla moglie e ai suoi due figli. Gli parla di progetti, probabili rapine, infine gli
regala una pistola. Una vera.
Sarà proprio con questa che il giovane
Ford, il 3 Aprile del 1882, gli sparerà. Ma
non riceverà glorie, onori, riconoscimenti, no. Avrà solo disprezzo. La sua vita si
trasformerà in un inferno. Fin quando
qualcuno arriverà a vendicare l’assassinio di Jesse James.
I
l film di Andrew Dominik, tratto dal
libro di Ron Hansen, non vuole essere un western. Mira maggiormen-
Tutti i film della stagione
te alla descrizione psicologica, quasi intima, dei personaggi, dei loro rapporti, delle loro fobie. Della contestualizzazione storica, infatti, non v’è traccia e, così facendo, molto si perde dello spessore del personaggio Jesse James, qui relegato a una
sorta di bandito pentito, isolato dal mondo, che sembra ora desiderare solo un po’
di tranquillità. Magari accanto a sua moglie e i suoi due figli. Anche l’assalto al treno, cui assistiamo nelle prime scene, non
restituisce l’efferatezza delle sue gesta. Gli
ultimi sprazzi di guerra civile sono lontani.
La banda non ha colore politico, è soltanto una banda di rapinatori.
Ecco perchè il Jesse di Brad Pitt, manca di carisma, di fascino. (Ovviamente interiore, sia chiaro). Quella sua ribellione, che
poi si tramuta in assalto alla diligenza, quel
suo attaccamento alla terra, ai propri avi, è
qui a malapena accennato. Se non con continui sguardi a praterie immense, a paesaggi
magnifici, dal sapore nostalgico. Si fa un pò
fatica, dunque, a credere come costui possa essere diventato leggenda.
Ciò nonostante, la linea tracciata dal
regista convince per altri motivi. Uno su
tutti, lo sguardo introspettivo del gruppo,
dove emerge un’amicizia ingannevole,
basata molto spesso sulla paura. Senza
però trarne giudizio alcuno, non ci sono
buoni, nè cattivi. Soltanto uomini, il cui
destino è segnato.
Non per nulla, la sceneggiatura si sofferma sugli ultimi anni di Jesse James.
Anni in cui sapeva di avere più nemici
che amici. La sua sofferenza è quella di
un qualsiasi essere umano, oramai vinto, in attesa di una fine. Ed è proprio quella fine che Jesse sembra cercare in Robert Ford.
Un film malinconico, soprattutto nei due
protagonisti, accomunati da un’unica speranza di gloria. Si potrebbe addirittura credere siano due cowboys vanesi.
Brad Pitt, bello, affascinante, sospettoso, restituisce a Jesse un’umanità, una
fragilità a noi molto vicina, giustificando
quasi la sua spietatezza. Degno contraltare, il bravo Casey Affleck, che fa di Robert
Ford un ragazzino antipatico e petulante,
il cui unico scopo è quello di diventare qualcuno. Fino al punto di ripetere il suo gesto
ben ottocento volte, in una squallida rappresentazione teatrale.
Vale la pena di ricordare il Frank James di Sam Shepard e Nick Cave che
presta la sua voce alla ballata dedicata
a Jesse.
È tutto qui il film. Magari a tratti lento,
con qualche lungaggine di troppo, comunque da vedere.
Splendida la fotografia e l’ambientazione.
Ivan Polidoro
2061 – UN ANNO ECCEZIONALE
Italia, 2007
Regia: Carlo Vanzina
Produzione: Carlo ed Enrico Vanzina per Rai Cinema/International Video 80
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 26-10-2007; Milano 26-10-2007)
Soggetto: Carlo ed Enrico Vanzina
Sceneggiatura: Carlo ed Enrico Vanzina, Diego Abatantuono
Direttore della fotografia: Claudio Zamarion
Montaggio: Raimondo Crociani
Musiche: Federico De Robertis
Scenografia: Luca Merlini
Costumi: Nicoletta Ercole
N
el 2061 la Terra, a causa di una
grave crisi energetica e dei cambiamenti climatici, è diventata
completamente deserta e inospitale. L’innalzamento dei mari ha cancellato molte città ridisegnando le cartine geografiche. L’Italia, a duecento anni dalla sua
Effetti speciali: Tiberio Angeloni, Davd Bush
Interpreti: Diego Abatantuono (‘Professore’), Michele Placido
(Cardinale Bonifacio), Anna Maria Barbera (Nunzia La Moratta),
Massimo Ceccherini (Cosimo Delli Cecchi), Emilio Solfrizzi (Nicola), Sabrina Impacciatore (Mara), Dino Abbrescia (Tony), Andrea Osvárt (unna), Stefano Chiodaroli (Grosso), Jonathan
Kashanian (Pride), Antonella Costa (Taned), Paolo Macedonio
(Salvim), Roberto D’Alessandro (Barone Cirò), Ninì Salerno (Marchese di Villa Sparina), Ugo Conti (Shrek), Paolo Cevoli (Moby
Dick), Gennaro Diana (uomo misterioso), Enzo Salvi (becchino)
Durata: 100’
Metri: 2800
riunificazione, si ritrova nuovamente divisa in Sultanato delle due Sicilie, Stato
Pontificio, Granducato di Toscana, Repubblica di Falce e Mortadella e Stato
Longobardo.
Un’associazione segreta, la “Giovane Italia”, decide di riunire lo stivale in
23
un’unica bandiera, ma per farlo ha bisogno di recuperare un importante tesoro, nelle mani di un complice, che permetta di comprare delle armi per combattere.
La missione è affidata a un convinto
patriota, chiamato il “Professore” che,
Film
insieme a un gruppo di scalcinati combattenti, parte dalla Sicilia in cerca dell’uomo misterioso. Non trovandolo è costretto a cercarlo in Calabria, in Puglia
fino allo Stato Pontificio. Durante il tragitto, conosce diversi personaggi, tra cui
Nicola, che sposano la causa e si aggregano al gruppo. Nello Stato Pontificio,
però, vengono scoperti dalle autorità papali e condannati a morte dal cardinale
Bonifacio. Quest’ultimo si rivela il complice della “Giovane Italia” che stavano
cercando e con uno stratagemma libera
tutti e consegna loro il tesoro: la Gioconda originale che dovrà essere portata a
Torino per essere venduta ai francesi in
cambio di diamanti.
Entrare, però, nell’Italia settentrionale è piuttosto difficoltoso perché ci
sono moltissime guardie che impediscono l’accesso ai meridionali. Nonostante
questo, il gruppo riesce ad arrivare a
Torino e consegnare al capo dei rivoluzionari, il duca di Biella, la Gioconda.
Alla corte di quest’ultimo, però, c’è un
traditore che riferisce tutto alla guardia
longobarda.
Intanto, una donna del gruppo, la prostituta pentita Mara, scopre che il “Professore” non è chi dice di essere, ma un
semplice mercenario che oltretutto ha rubato dalla cassaforte i diamanti destinati
a comprare i fucili. Delusa per il suo comportamento, lo raggiunge e gli intima di
darle almeno la sua parte. Il “Professore”
allora le propone di scappare con lui e dividere il malloppo. La donna, nonostante
la nascente relazione con Nicola, decide
di accettare. I due, però, durante la fuga
scoprono del tradimento e ritornano indietro per salvare i loro compagni di viaggio,
ma tutti sono spariti. L’unico a essere rimasto è Nicola che racconta agli amici di
essere lì in attesa di Mara. Arrivano le
guardie longobarde e iniziano a sparare,
Mara e Nicola riescono a fuggire con i diamanti mentre il “Professore” viene colpito a morte, diventando, dopo l’unità d’Italia, eroe nazionale.
D
opo le ammonizioni di Al Gore,
ci pensa Carlo Vanzina a raccontare i disastrosi effetti dello sconvolgimento climatico in un film che vede
protagonista un’Italia pre-risorgimentale
divisa in piccoli stati autonomi.
Riunirla sotto un’unica bandiera sarà
il compito di un gruppo di sgangherati eroi,
capitanati dal “Professore” (Diego Abatantuono), che, in un’avventura dai toni picareschi, raccontano un Paese frammentato, paradossale, ma non troppo lontano da
quello odierno
Tutti i film della stagione
Dichiaratamente ispirato a L’armata
Brancaleone di Monicelli, 2061-Un anno
eccezionale rappresenta un chiaro
esempio di pellicola trash. Ma che differenza c’è fra un film “brutto” e un film
“trash”? Il film brutto si propone come
prodotto di qualità, si sforza di esserlo,
ma suo malgrado non centra l’obiettivo,
il film “trash”, invece, si impegna in tutti i
modi di essere chiassoso, pacchiano e
fuori da ogni regola del “buon cinema”,
volutamente.
In 2061 ogni personaggio è una caricaturale, così come le situazioni, pregne
di satira socio-politica e di riferimenti grossolani al quotidiano che costituiscono i
tasselli di una trama spezzettata da micro-sketch che vedono come protagonisti alcuni nomi della comicità italiana, da
Dino Abbrescia alla simpatica Sabrina Impacciatore, nel ruolo della prostituta romana.
Il presunto mattatore è naturalmente
Diego Abatantuono che, dopo la riscoperta da parte del pubblico dei suoi film
d’esordio, ripropone un mix dei suoi vecchi personaggi da “Attila” al “terrunciello”
che ora rappresentano, però, una chiara
assenza di idee e la voglia furbesca di
sfruttare la “riabilitazione” di ciò che una
volta era considerato di serie B. L’altro
protagonista è Emilio Solfrizzi, attore dalla
rara bravura comica che il nostro cinema
italiano non riesce a sfruttare come dovrebbe, relegandolo a un ruolo, quello del
tipico pugliese, che va a castrare un istrionismo di cui ha dato prova in un lontano
passato.
Ciononostante l’idea originaria non è
male e fa sorridere, a tratti amaramente,
vedere l’Italia divisa in una colonia islamica dove il maiale è proibito, in una repubblica “falce e mortadella” piena di balere,
o in uno stato nordista che vieta l’accesso
ai meridionali. Sicuramente la situazione
non potrà mai essere così catastrofica, ma
come suggerisce lo sceneggiatore Enrico
Vanzina, gli egoismi e i regionalismi potrebbero condurre se non a questo al clima molto simile di cui si iniziano a vedere
i primi germogli.
Ma come ampiamente detto, questa
non è una pellicola di denuncia e il suo
lato pecoreccio è dimostrato anche della
continua e prolungata pubblicità a notissimi marchi italiani talmente sfacciata da
sembrare uno sketch nello sketch. Un film
trash è anche questo!
Francesca Piano
COME TU MI VUOI
Italia, 2007
Regia: Volfango De Biasi
Produzione: Marina Berlusconi, Claudio Saraceni per Medusa Film
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007)
Soggetto: Volfango De Biasi. Con la collaborazione di Gabriella Tomassetti
Sceneggiatura: Volfango De Biasi, Alessandra Magnaghi. Con la collaborazione di
Gabriella Tomassetti
Direttore della fotografia: Tani Canevari
Montaggio: Stefano Chierciè
Musiche: Michele Braga
Scenografia: Giuliano Pannuti
Costumi: Monica Celeste
Casting: Francesca Borromeo, Laura Muccino
Aiuto regista: Leopoldo Pescatore
Suono: Marco Fiumara, Diego De Santis
Interpreti: Cristiana Capotondi (Giada), Nicolas Vaporidis (Riccardo), Giulia Steigerwalt (Fiamma), Niccolò Senni (Loris), Luigi Diberti (Giuseppe), Elisa D’Eusanio
(Sara), Marco Foschi (Hermes), Roberto Di Palma (Peppe), Paola Carleo (Alessia),
Paola Roberti (Katia)
Durata: 107’
Metri: 2900
24
Film
G
iada è una studentessa universitaria modello, che da un piccolo
paese vicino Roma si è trasferita
nella capitale per seguire la facoltà di
Scienze delle Comunicazioni. Divide la
casa con una sua amica d’infanzia, Sara,
e fa una vita morigerata, trascorrendo il
tempo sui libri e riempiendo taccuini di
annotazioni sull’ambiente e sulle società
intorno a lei. Il suo look è decisamente arretrato e fuori moda e ciò per cui proprio
non riesce a darsi pace è il dilemma alla
base della sua ricerca personale: quello
tra essere e apparire. Riccardo è un ragazzo bello e viziato, con la passione per
la fotografia, che insieme al cugino e a un
gruppetto di ragazze organizza feste e privè all’insegna dello sballo e del divertimento. Appartiene a una famiglia agiata
ed è il tipico prodotto moderno, un concentrato di moda e superficialità. Anche
lui frequenta Scienze delle Comunicazioni, ma i risultati lasciano molto a desiderare e costituiscono una delle maggiori
fonti di conflitto con il padre.
Il primo approccio tra i due non è dei
migliori e avviene proprio durante un esame, superato come sempre brillantemente
da Giada, da Riccardo invece con un venti
tra sorrisi e complimenti a una giovane
assistente del professore. La ragazza riceve la notizia che i suoi genitori non possono più mantenerla e che deve trovarsi un
lavoro. In fretta si dà da fare e trova un
lavoro serale in trattoria, con cui decide
di conciliare anche le ripetizioni private.
La prima persona che si fa viva è proprio
Riccardo che decide di correre ai ripari per
paura di non essere mandato a Ibiza dal
padre. Seppure infastidita dalla proposta,
spinta dalla necessità, Giada accetta di
fare ripetizioni a Riccardo e tra i due nasce uno strano rapporto. Riccardo, durante una lezione, le ruba uno dei taccuini segreti e inizia a sbeffeggiarla con gli amici.
Poi per non pagarle le lezioni arriva a
portarsela a letto e un po’ per gioco, un
po’ per curiosità, la storia tra i due va
avanti. Giada, però, soffre perché con il
tempo capisce che Riccardo si vergogna
di lei e non la considera degna di entrare
nel suo mondo, fatto di ragazza appariscenti e alla moda.
Pur di conquistarlo, decide così di rinnegare i propri ideali (arriva persino a derubare il suo datore di lavoro) e quello per
cui si era sempre battuta e accetta l’aiuto
dell’affascinante Fiamma, amica di Riccardo. Viene trasformata dalla testa ai piedi e, tra l’incredulità di tutto il gruppo,
conquista l’attenzione di Riccardo. Tutto
sembra perfetto, ma la gelosia di Alessia,
la “rifatta” del branco, da sempre inna-
Tutti i film della stagione
morata di Riccardo, rompe l’incantesimo
e fa in modo che Giada conosca il vero
Riccardo, quello dei “giovedì” sera, in cui
si esibisce sul palco della discoteca e, tra
alcool e droga, trascorre la nottata ogni
volta con una ragazza diversa. Giada è
sconvolta e tronca ogni rapporto.
Si chiude in se stessa e decide di dedicarsi all’università, dove finalmente viene
presa come assistente dal suo professore.
All’esame, si ritrova Riccardo e si offre di
interrogarlo lei. Il ragazzo, a sorpresa, risulta molto preparato e, dopo averle fatto
la morale, le confessa il proprio amore. I
due si riconciliano affettuosamente sul tetto
soleggiato dell’università.
E
sordio alla regia del romano Volfango De Biasi, Come tu mi vuoi
è l’ennesima commediola per
teen-agers. Del dramma di Pirandello, in
cui veniva affrontata la tematica della doppia identità, da cui il regista trae il titolo,
non si avverte neanche l’ombra. L’unico
dramma è, ancora una volta, quello di aver
perso soldi e tempo nella visione della
copia di “casa Moccia”, o Brizzi-Martani,
se dir si voglia. Anche qui si parte da un
romanzo come base d’appoggio, che sviluppa e traspone in immagini clichè di cui
si è arrivati davvero ad avere la nausea.
Una favola d’amore a metà strada tra una
moderna Cenerentola e Il diavolo veste
Prada. Da una parte, c’è il vitellone ricco e
vizioso della “gioventù bruciata”, dall’altra
il brutto anatroccolo povero, che diventa
cigno vendendo l’anima. Il tutto per cosa?
Parola d’ordine: apparire. Peccato che l’approfondimento psicologico dei personaggi risulti davvero insufficiente. Ed è poco
credibile anche sul piano della denuncia
che la pellicola vorrebbe documentare. La
noia e i vizi dei giovani di oggi, con le tasche piene e la testa vuota, lo squallido
rituale della cocaina chic e la rappresentazione dei locali di tendenza, non fanno
altro che standardizzare già noti luoghi
comuni. Alla fine, il risultato è che entrambi i protagonisti, dapprima così diversi, poi
complementari, sono arrivisti e meschini.
Ognuno, però, può dire di essere diventato “come l’altro lo voleva”. All’insegna dell’opportunismo, pardon, dell’amore.
Nel cast non potevano che esserci i
due divi del momento, Nicola Vaporidis e
Cristiana Capotondi, che, come previsto
da ogni operazione commerciale che si rispetti, agganciano e invitano a nozze il
pubblico dei giovanissimi. La Capotondi è
comunque perfetta nei panni della bruttina stagionata e mette un po’ in penombra
il pavoneggiante Vaporidis, al quale, obiettivamente, manca un po’ il fisico per fare
lo sciupafemmine. Per la prima volta, invece, sul grande schermo Elisa D’Eusanio,
attrice teatrale, che interpreta Sara, la bizzarra ma sincera amica di Giada. Con la
sua mimica facciale e i suoi toni di voce
regala momenti brillanti, come quello in cui
si allena sulla cyclette rivolgendosi ad un
santino di Padre Pio, affinché le faccia trovare un uomo.
Veronica Barteri
BIANCO E NERO
Italia, 2007
Regia: Cristina Comencini
Produzione: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini per Cattleya/Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 11-1-2008; Milano 11-1-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Cristina Comencini, Giulia Calenda, Maddalena Ravagli
Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Cecilia Zanuso
Musiche: brani vari
Scenografia: Paola Comencini
Costumi: Antonella Berardi
Suono: Bruno Pupparo
Interpreti: Fabio Volo (Carlo), Ambra Angiolini (Elena), Aïssa Maïga (Nadine), Eriq Ebouaney (Bertrand, marito di Nadine), Katia Ricciarelli (Olga, madre di Carlo), Franco Branciaroli (Alfonso, padre di Elena), Anna Bonaiuto (Adua, madre di Elena), Teresa Saponangelo (Esmeralda), Awa Ly (Veronique), Billo (Ahamdou), Bob Messini (Dante)
Durata: 100’
Metri: 2750
25
Film
E
lena è una mediatrice culturale
tra gli africani e le istituzioni italiane e vive il suo lavoro come
una vera e propria missione. Proveniente da una famiglia borghese, inconsciamente cerca di espiare i suoi sensi di
colpa e il razzismo dei suoi genitori dedicandosi anima e corpo all’organizzazione umanitaria. Vive in una bella casa
con Carlo, tecnico informatico fannullone, che non condivide l’amore della
moglie per l’Africa, soprattutto quando
viene costretto ad accompagnarla alle
serate di beneficenza. A completare il
quadretto della coppia felice, c’è Giovanna, una figlia di dieci anni viziatissima
dai genitori e dalla nonna. Durante una
serata organizzata dall’associazione di
Elena, Carlo conosce Nadine, una splendida donna senegalese, moglie di Bernard, l’intellettuale africano relatore della conferenza, nonché collega di Elena.
Carlo rimane folgorato dalla bellezza
della donna e si scopre suo complice dal
primo sguardo. Convince la moglie a invitare Nadine e i figli alla festa di compleanno di Giovanna. Nadine e i suoi due
bambini vengono accolti alla festicciola
con un po’ di diffidenza da tutti i partecipanti e, tra una gaffe e l’altra, la donna è costretta ad andarsene dopo essere
stata offesa per il colore della sua pelle.
Carlo e Nadine riescono a malapena a
scambiarsi una parola, ma l’intesa è nell’aria.
Bernard è fuori per lavoro e Nadine
porta il suo computer guasto al negozio
di Carlo. L’uomo ne approfitta per ficcare il naso nei documenti di Nadine e
legge alcune intime confessioni sul suo
sentirsi inadeguata e invidiosa nei confronti delle donne bianche. Riparato il
guasto, Carlo le riporta il computer direttamente a casa e, in quell’occasione,
cadono anche le ultime barriere tra i due
che cedono alla passione. La relazione
adulterina va avanti anche quando tutto
intorno cospira per renderla impossibile e farla sembrare sbagliata e innaturale. Ma basta un dettaglio taciuto che
Bernard e Elena scoprono tutto. Così
vengono entrambi cacciati dalle rispettive case e, mentre Carlo torna dalla
madre, Nadine è costretta a sistemarsi
in una camera improvvisata alla meno
peggio da conoscenti della sorella. La
nuova coppia comincia a frequentarsi assiduamente. Tuttavia, se inizialmente la
relazione è appagante e felice, basta
poco per sentire la nostalgia di casa, dei
figli e per far prevalere i sensi di colpa.
Passato un breve periodo di assestamento, gli amanti vengono riaccettati dai
Tutti i film della stagione
coniugi traditi e riprendono la loro vita
normalmente. Dopo qualche tempo, i
due, per caso, si rincontrano ai giardini
con i bambini e non possono fare a meno
di tornare l’una nelle braccia dell’altro.
P
artendo dal presupposto che il
cinema deve far ridere anche parlando di razzismo, Cristina Comencini, dopo il successo di La bestia
nel cuore, torna dietro la macchina da
presa con Bianco e Nero, una storia d’integrazione razziale nella Roma multietnica. Ispirata fortemente da un viaggio
fatto in Africa per girare un documentario in Rwanda, la regista parte dalla problematica di fondo secondo cui non possa esistere un amicizia tra bianco e nero.
E, per trattare questo tema, la Comencini, in collaborazione anche con l’organizzazione sanitaria senza fini di lucro
Amref, ha scelto di affrontare un genere
come la commedia, che permette di toccare argomenti importanti da vicino, senza turbare, ma, allo stesso tempo, facendo riflettere. Ha deciso di lavorare sul
simbolico, sui modi in cui i membri delle
rispettive etnie simbolizzano e vivono il
rapporto con il “diverso”. Perché nel film
si parla di matrimonio e di tradimenti, ma
si parla soprattutto di pregiudizi e razzismo.
Si arriva, così, a semplificare una sorta di diffidenza che, allo stesso tempo, è
attrazione; per cui, ad esempio, il maschio
bianco imprigiona la donna nera in uno
stereotipo erotico, o la bambina nera sogna di essere come la biondissima Barbie. In realtà, è quello che sembra dirci la
regista, il bianco è come il nero, accomunati da un’unica corrente di pensiero, il
più delle volte superficiale e sbagliata. Ciò
che noi pensiamo di loro è esattamente
ciò che pensano loro di noi. La scena più
significativa a questo proposito, è la festicciola della figlia di Carlo e Elena, dove
Nadine e l’uomo si sentono ugualmente
estranei e cominciano ad avvicinarsi l’una
all’altro. Il teatro d’azione della loro relazione sarà la “Roma bene”, dove a servire sono rispettivamente le cameriere nere
con il grembiulino bianco e i camerieri
bianchi con i guanti bianchi (in casa dei
rari neri borghesi), o lo sfondo di Piazza
Vittorio, dove un bianco si sente fuori posto e le donne nere perdonano le scappatelle dei mariti, purché non siano con
donne bianche. Due comunità chiuse in
sé e bloccate da un senso di superioritàostilità, ma anche sopraffatte da una reciproca attrazione.
L’incontro tra i due mondi diventa quindi un fattore di cambiamento e vitalità, capace di abbattere barriere culturali e sociali, in cui tutto diventa possibile, anche
ironicamente fingersi per un attimo la
Ekberg e immergersi nella fontana di Trevi. Dal cast, a dire il vero, ci si aspettava
qualcosa di meglio. Dopo l’interessante e
apprezzata comparsata di Ambra Angiolini in Saturno contro, l’attrice appare in
questo film decisamente sotto tono e monoespressiva. Lo stesso discorso vale per
Fabio Volo, che, contrariamente ai suoi
ruoli brillanti, fa la figura del “bambacione”, stralunato e distante. I momenti più
gustosi li offre invece il cast di supporto:
con Franco Branciaroli, assai spiritoso
nella parte di un razzista ontologico, incondizionato estimatore delle bellezze
dalla pelle nera; Anna Bonaiuto, nella
parte della madre-suocera piena di pregiudizi; Katia Ricciarelli, proveniente dalla ridondanza dei palcoscenici dell’opera, che inaspettatamente recita in modo
più credibile degli altri.
BENTORNATO PINOCCHIO
Italia, 2007
Regia: Orlando Corradi
Produzione: Mondo TV
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007)
Soggetto e sceneggiatura: Loris Peota, Clelia Castaldo
Musiche: F. Micalizzi, F. M. Cantini
Direttore di produzione: Gianni Galatoli
Durata: 85’
Metri: 2500
26
Veronica Barteri
Film
O
rmai Pinocchio è un bambino
vero, va a scuola, è vivace, non
dice più bugie ed è la gioia di
papà Geppetto, ma questa felicità è di
breve durata: il Gatto e la Volpe si alleano ancora una volta con l’Omino di Burro per compiere altre nefandissime azioni. Insieme agli aiutanti dell’Omino, i due
decidono di andare al Polo Nord e di rapire Babbo Natale per privare i bambini
della gioia della festa e dei doni. I malvagi sgherri dell’Omino di Burro convincono con l’inganno Pinocchio a rubare i
risparmi della cassa della sua scuola, facendogli credere di poter contribuire con
quei soldi alla costruzione dei regali di
Natale per i bambini poveri. Per aver rubato, seppure in buona fede, Pinocchio è
trasformato di nuovo in un burattino di
legno. Vergognandosi della propria ingenuità e non avendo il coraggio di ripresentarsi a casa dal povero Mastro Geppetto, Pinocchio decide di andare in cerca della Fata Turchina per annullare l’incantesimo. Sulla sua strada incontra il
cagnolino Winner, che diventerà l’inseparabile compagno di questa nuova avventura. La Fata Turchina, purtroppo, è
fuori città per un viaggio e a Pinocchio
non rimane altro che proseguire da solo
la sua strada. Sul suo cammino, incontra ancora una volta l’Omino di Burro
che lo convince di poter ritrovare la Fata
Turchina nel Paese dei Balocchi, dove Pinocchio viene di nuovo trasformato in un
ciuchino e costretto a lavorare per l’Omino di Burro, da cui riesce a scappare con
l’aiuto di Winner. Per la via, i due incontrano il saggio Grillo Parlante, che li accompagna nel loro viaggio verso il Polo
Nord, per liberare Babbo Natale. In prossimità del Polo, Pinocchio incontra il Cavaliere dei Princìpi Perduti, che lo prende come bestia da soma e, quando questi
viene attaccato dai predoni, Pinocchio si
sacrifica per lui; per questa buona azione viene di nuovo trasformato in un burattino di legno. Giunti finalmente a destinazione, Pinocchio e i suoi amici si alleano con gli orsi polari amici di Babbo
Natale per scacciare l’Omino di Burro e
i suoi scagnozzi. I cattivi sono puniti per
le loro malvagie azioni dalla Fata Turchina e Pinocchio è ritrasformato di nuovo in un bambino vero e può così riabbracciare Mastro Geppetto.
L’
animazione italiana versa ormai
da anni in una situazione che definire critica sarebbe un mero eufemismo ma questo film riesce a sprofondare in un abisso difficilmente raggiunto finora. Lo spunto di partenza è
Tutti i film della stagione
talmente comico che se non fosse da
piangere sarebbe da ridere, nel senso
che anche a doverlo riassumere a un
bambino di due, tre anni (perché questo è l’unico target di pubblico per un
film come questo) risulterebbe comunque ai limiti dell’inverosimile (anche se
bisognerebbe inchinarsi di fronte alla
mente diabolica che è riuscita a concepire una “trama” del genere). Fare un
elenco di tutte quelle perle nere che
compongono il film sarebbe un’impresa
veramente ai limite dell’impossibile (considerato il fatto che “intender non la può
chi non la prova”)... Pinocchio che rimane invischiato nel rapimento di Babbo
Natale da parte dell’Omino di Burro con
il Gatto e la Volpe! La Fata Turchina (di
rosso vestita) che è fuori città per un
lungo viaggio! Pinocchio che incontra il
Cavaliere dei Princìpi Perduti (e chi
è??)! Il Grillo Parlante che a quanto risulta non è morto schiacciato dal martello, come tutti crediamo di ricordare,
ma continua a dispensare consigli e opinioni a Pinocchio che però continua regolarmente a fare di testa sua. Le renne di Babbo Natale che si lasciano comandare dal Gatto e la Volpe e li accom-
pagnano in giro a compiere le peggiori
nefandezze e per poi improvvisamente
ribellarsi solo quando costoro prendono in giro gli avversari! L’Omino di Burro che, alla fine, viene trasformato dalla
Fata Turchina in un vero panetto di burro e viene mangiato dagli abitanti di un
piccolo paesino costiero che si preparano a festeggiare il Natale (sic)…E preferiamo fermarci qui per decenza. L’animazione dei personaggi è veramente
pessima, così come quella dei fondali.
La tecnica, se così la vogliamo chiamare, è infantile, sciatta, ben oltre il limite
della banalità. Le musiche sono inascoltabili; la canzoncina di apertura fa accapponare la pelle, sia per la melodia
sia per il testo (“La Fata Turchina che è
molto carina”). Il doppiaggio è affidato
alle voci esperte di Emanuela Rossi,
Mino Caprio e Oreste Baldini (con in più
un delizioso cameo di Alina Moradei);
buona la scelta di Federico Bebi per la
voce di Pinocchio. Davanti a un prodotto del genere non si può fare a meno di
chiedersi quali siano le finalità e gli scopi
di una tale operazione.
Chiara Cecchini
PERSEPOLIS
(Persepolis)
Francia/Stati Uniti, 2007
Regia: Vincent Paronnaud, Marjane Satrapi
Produzione: Marc-Antoine Robert, Xavier Rigault per 2.4.7 Films. In coproduzione
con The Kennedy-Marshall Company/France 3 Cinéma/French Connection Animations/Diaphana Films. In associazione con Celluloid Dreams/Sony Pictures Classics/Sofica Europacorp/Soficinéma. Con la partecipazione di CNC. Con il supporto di
Régione Ile-de-France, Fondation GAN pour le cinéma/Procirep/Angoa-Agicoa
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008)
Soggetto: dai personaggi dell’omonima graphic novel di Marjane Satrapi
Sceneggiatura: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud
Montaggio: Stéphane Roche
Musiche: Olivier Bernet
Scenografia: Mariane Musy
Produttori esecutivi: Marc Jousset, Kathleen Kennedy
Co-produttore: Tara Grace
Direttore di produzione: Olivier Bizet
Coordinatore animazione: Christian Desmares
Canzoni/Musiche estratte: “Eye of the Tiger” composta ed eseguita da Survivor;
“Roses de Sud opus 338”, “Marche persane opus 284” di Johann Strauß
Voci: Chiara Mastroianni (Marjane ‘Marji’ Satrapi, come teenager e donna), Catherine
Deneuve (sig.ra Satrapi, madre di Marjane), Danielle Darrieux (nonna di Marjane),
Simon Abkarian (sig. Satrapi, padre di Marjane), Gabrielle Lopes (Marjane bambina), François Jerosme (Anouche), Tilly Mandelbrot (Lali), Arié Elmaleh, Mathias
Mlekuz, Jean Fraçois Gallotte, Stéphane Foenkinos
Durata: 95’
Metri: 2524
27
Film
I
ran 1978. Marjane Satrapi è una
bambina di otto anni precoce ed
estroversa che vive a Teheran con
i genitori e la nonna e sogna di essere un
profeta che salverà il mondo. Appassionata
di libri e di storia cresce in una famiglia
dagli ideali progressisti, tra immagini di
Bruce Lee e Che Guevara, proprio mentre
vacilla il trono dell’ultimo Scià. La bambina è ispirata dai racconti dei prigionieri
politici, come suo nonno e suo zio e dalla
madre, che cerca di educarla secondo i principi di un moderato femminismo. Con l’instaurazione della Repubblica islamica inizia il periodo dei “pasdaran” che controllano i comportamenti e i costumi dei cittadini. Attraverso gli occhi di Marjane assistiamo all’infrangersi delle speranze di un
popolo, quando i fondamentalisti prendono
il potere, imponendo il velo alle donne e imprigionando migliaia di oppositori. Intelligente e impavida, la piccola Marjane aggira il controllo sociale dei “tutori dell’ordine” e della sua rigida insegnante, scoprendo il genere punk, i Bee Gees e gli Iron
Maiden. Vive in un mondo dove le strade
sono in mano a ragazzini col mitra, nelle
case si fa il vino di nascosto, due centimetri
di pelle sfuggiti al chador possono costare
l’arresto, la Venere di Botticelli sui libri di
scuola è tutta vestita, per non parlare dei
missili che abbattono le case dei vicini. Ma,
dopo l’insensata esecuzione del suo adorato zio e sotto i bombardamenti della guerra
tra Iraq e Iran, la paura diventa una realtà
quotidiana con cui fare i conti. Temendo per
la sua sicurezza, i genitori decidono di mandarla a studiare in Austria quando compie
14 anni. Marjane si ritrova, così, da sola
con i problemi dell’adolescenza e i pregiudizi di chi la identifica proprio con quel fondamentalismo religioso e quell’estremismo
che l’hanno costretta a fuggire. Con il tempo, vede il suo corpo trasformarsi e riesce
a farsi accettare, incontrando persino
Tutti i film della stagione
l’amore. Iniziano anche le prime delusioni
(il primo ragazzo è gay, il secondo è infedele) e, dopo il liceo, la ragazza si ritrova nuovamente da sola e con una gran nostalgia
di casa. Benché questo significhi mettersi il
velo e vivere sotto una dittatura, Marjane
decide di tornare in Iran per stare con la
sua famiglia. Dopo un difficile periodo di
adattamento, entra in un Istituto d’arte e
poi si sposa, senza mai smettere di denunciare le ipocrisie di cui è testimone. A 24
anni, però, pur sentendosi profondamente
iraniana, capisce di non poter più vivere in
Iran. In preda alla depressione, si separa
da un marito disimpegnato e interessato solo
ai film occidentali. Prende, poi, la drammatica decisione di lasciare il proprio paese per la Francia, piena di speranze per il
futuro, ma segnata in modo indelebile dal
proprio passato. Il film termina con Marjane che, dopo aver trascorso del tempo nell’aeroporto di Parigi, indecisa se partire o
meno, prende un taxi e torna in città.
T
rasposizione dell’omonima graphic novel realizzata dalla 38enne iraniana Marjane Satrapi, qui
regista al fianco di Vincent Paronnaud,
Persepolis è un fumetto autobiografico che
racconta la vita dell’autrice. Accolto alla
prima proiezione a Cannes da quindici minuti di applausi e dal premio della Giuria,
il film d’animazione, costato circa sei milioni di euro, è l’elaborazione di quattro volumi di fumetti in cui la Satrapi narra, con
dolore e ironia, la propria crescita in un
paese segnato dalle guerre e dal fondamentalismo. Vistasi scippare l’Oscar come
miglior film d’animazione da Ratatouille,
Persepolis costituisce una vera e propria
educazione sentimentale e, al contempo,
un viaggio nella memoria collettiva.
Marjane, infatti, testimone prima del
potere tirannico esercitato dallo Scià, poi
dal sistema oppressivo dei Guardiani della
Rivoluzione, è stata vittima anche dei pregiudizi che caratterizzano la società occidentale. Il tutto viene raccontato dall’autrice in modo coinvolgente e con grande ironia, che però non cela la drammaticità della situazione nella quale si trova a vivere.
L’invito di Cannes del film suscitò l’ira del
Ministero della Cultura iraniano, con tanto
di lettera di protesta (respinta) all’ambasciata francese a Teheran. Registrato come un
normale film di “denuncia” contro il velo, il
sessismo e la repressione culturale, Persepolis è invece un ritratto di un Paese e di
un’epoca, leggero e duro insieme, che, tracciando a linee d’inchiostro la vita di una
bambina, si pone come fine la speranza di
un nuovo Iran, senza più sangue e dogma.
La necessità di tradurre il vissuto in
cartoon nasce dal desiderio di non voler
imprigionare il personaggio della protagonista entro dei confini troppo stretti, cioè
di una storia autobiografica di una ragazza iraniana, ma di darle un respiro più universale. Anche il disegno non vuole essere realistico. Tutto è disegnato a mano in
2D, utilizzando il bianco e nero, con rare
immagini a colori (quelle a Parigi, che rappresentano il presente della protagonista),
tra rimandi al neorealismo e influenze
espressionistiche. I disegni sono volutamente infantili e tutte le sfumature si affidano al carboncino nero, che rende in
modo semplice le espressioni dei volti. La
regista ha osservato i disegnatori studiare
i sui bozzetti, sezionare le sue espressioni e le sue emozioni. Ha dovuto riaffrontare momenti intensi della sua vita, con il giusto distacco, cercando di restituire un’immagine più veritiera possibile di quanto
vissuto. Non ha trascurato nulla, i suoi pregi
come i suoi difetti e ha posto la stessa cura
e attenzione nel descrivere i suoi lati migliori come quelli peggiori.
Proprio perché Persepolis è il riflesso
sincero della Satrapi, l’autrice ha pensato
più che bene alla persona con cui realizzarlo. La scelta è andata su Vincent Paronnaud, artista underground di corti di animazione, che ha guidato l’autrice iraniana
nella sua prima regia. Non potevano certo
finire, lei e la sua storia, in una produzione
hollywoodiana con divi pronti a fagocitare
con la loro immagine i veri personaggi del
film. Nel doppiaggio originale, le voci sono
state affidate a Catherine Deneuve e Danielle Darrieux (rispettivamente nelle parti
della combattiva madre e della irresistibile
nonna) e a Chiara Mastroianni (Marjane).
Nella traduzione italiana hanno preso il posto Paola Cortellesi, Licia Maglietta e Sergio Castellitto.
Veronica Barteri
28
Film
Tutti i film della stagione
SWEENEY TODD – IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET
(Sweeney Todd: the Demon Barber of Fleet Street)
Stati Uniti, 2007
Regia: Tim Burton
Produzione: John Logan, Richard Zanuck, Walter F. Parkes,
Laurie MacDonald per DreamWorks Pictures/Warner Bros.
Pictures/Parkes-MacDonald Productions/The Zanuck Company/Film IT
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) V.M.: 14
Soggetto: dal testo teatrale di Christopher Bond, ispirato a un
racconto giallo vittoriano e dal musical Sweeney Todd: the
Demon Barber of Fleet Street di Stephen Sondheim con testo
di Hugh Wheeler
Sceneggiatura: John Logan
Direttore della fotografia: Dariusz Wolski
Montaggio: Chris Lebenzon
Musiche: tratte dal musical Sweeney Todd
Scenografia: Dante Ferretti
Costumi: Colleen Atwood
Produttore esecutivo: Patrick McCormick
Produttori associati: Brenda Berrisford, Derek Frey
Co-produttore: Katterli Frauenfelder
Direttori di produzione: Patrick McCormick, Nikki Penny,
Samuel Sharpe
Casting: Susie Figgis
Aiuti regista: Katterli Frauenfelder, Toby Hefferman, Emma
Stokes, Joe Barlow, Bryn Lawrence, Andy Madden, Eileen
Yip
Operatore: Des Whelan
Operatore steadicam: Vince McGahon
Art director: David Warren
Arredatore: Francesca Lo Schiavo
Trucco: Nana Fischer, Paul Gooch, Christine Greenwood, Ve
Neill, Peter Owen, Lisa Pickering, Ivana Primorac, Christine
Whitney, Duncan Jarman, Ivan Manzella, Tristan Versluis, Josh
Weston, Lisa Wood
Acconciature: Paul Gooch, Christine Greenwood, Ve Neill, Peter Owen, Lisa Pickering, Ivana Primorac, Christine Whitney,
Lisa Wood
Supervisore effetti speciali trucco: Neal Scanlan
Supervisori effetti speciali: Gary Brozenich (MPC),
Graham Christie, Chas Jarrett
Coordinatore effetti speciali: Paul Driver (MPC)
Supervisore costumi: Suzi Turnbull
Supervisore musiche: Paul Gemignani
Coreografie: Francesca Jaynes
L
ondra. Benjamin Barker un tempo era un uomo felice. Era felicemente sposato con Lucy, una
donna bellissima dalla quale aveva avuto
una bambina, Johanna. Il diabolico giudice Turpin però ha messo gli occhi addosso
sulla sua sposa, cercando invano di ottenere il suo amore con ogni mezzo. Con l’ausilio del suo scellerato aiutante Beadl
Bamford, lo fa arrestare e ingiustamente
condannare a 15 anni di prigione per potergli rubare così la moglie e la figlia.
Canzoni/Musiche estratte: “The Ballad of Sweeney Todd”
di Stephen Sondheim; “No Place Like London” di Stephen
Sondheim (Johnny Depp, Jamie Campbell Bower); “The Worst
Pies in London”, “Poor Thing”, “Wait”, “Toby’s Finger (part 1)”
di Stephen Sondheim (Helena Bonham Carter); “My Friends”,
“Epiphany”, “A Little Priest”, “By the Sea”, “Final Scene (Part
1)” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Helena Bonham
Carter); “Green Finch and Linnet Bird” di Stephen Sondheim
(Jayne Wisener); “Alms Alms” di Stephen Sondheim (Laura
Michelle Kelly); “Johanna (Parts 1 & 2)” di Stephen Sondheim
(Jamie Campbell Bower); “Pirelli’s Miracle Elixir” di Stephen
Sondheim (Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Ed Sanders); “Pirelli’s Entrance” di Stephen Sondheim, “The Contest”
(Sacha Baron Cohen); “Ladies in Their Sensitivities” di Stephen Sondheim (Timothy Spall); “Pretty Women”, “The Judge’s Return” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Alan Rickman); “Johanna (Act II)” di Stephen Sondheim (Johnny Depp,
Jamie Campbell Bower, Laura Michelle Kelly); “God, That’s
God”, “Not While I’m Around” di Stephen Sondheim (Helena
Bonham Carter, Ed Sanders); “Searching (Part 2)” di Stephen
Sondheim (Laura Michelle Kelly); “Final Scene (Part 2)” di Stephen Sondheim (Johnny Depp)
Interpreti: Johnny Depp (Sweeney Todd), Helena Bonham Carter (sig.ra Lovett), Alan Rickman (giudice Turpin), Timothy Spall
(Beadle), Sacha Baron Cohen (Pirelli), Jamie Campbell Bower
(Anthony), Laura Michelle Kelly (mendicante), Jayne Wisener
(Johanna), Gracy May, Ava May, Gabriella Freeman (Johanna bambina), Jody Halse, Aron Paramor, Lee Whitlock (poliziotti), Nick Haverson, Mandy Holliday (clienti di Pirelli e Todd),
Colin Higgins, Phill Woodfine (clienti), John Paton (uomo che
resta senza fiato), Daniel Lusardi (ragazzo prigioniero), Toby
Hefferman (cliente felice), Charlotte Child (moglie del cliente
felice), Kira Woolman (figlia del cliente felice), David McKail
(Ministro), Philip Philmar (sig. Fogg), Gemma Grey, Sue
Maund, Emma Hewitt (detenuti), Buck Holland (cliente barbiere), Peter Mountain (dandy Fleet Street(, Harry Taylor (sig.
Lovett), Jerry Judge, Stephen Ashfield, Norman Campbell
Rees, Jonathan Williams, William Oxborrow, Tom PleydellPearce, Laura Sanchez, Johnson Willis, Jon-Paul Hevey, Liza
Sadovy, Jane Fowler, Gaye Brown (clienti torta), Graham
Bohea, Ian McLarnon, Helen Slaymaker, Jess Murphy, Nicholas Hewetson, Adam Roach, Marcus Cunningham
Durata: 117’
Metri: 3051
Una volta finita la detenzione, torna in
città assieme ad Anthony, un giovane marinaio che lo aveva salvato dal mare assumendo una nuova identità, quella di Sweeney Todd. Il suo solo e unico desiderio è
quello di vendicarsi.
Ritorna alla sua vecchia bottega da
barbiere, posta sopra al negozio di Mrs.
Lovett specializzato in torte. La donna racconta a Todd che sua moglie si è avvelenata dopo che il giudice Turpin ha tentato di
possederla. La figlia Johanna invece vive
29
reclusa nell’abitazione dell’uomo. Inoltre,
questi, dopo la scomparsa di Lucy, ha rivolto le sue attenzioni amorose verso di lei.
La ragazza, però, viene notata un giorno
da Anthony. Vedendo la dua immagine affacciata alla finestra, ne resta folgorato e
si innamora subito di lei. Da quel momento il proposito del giovane è quello di liberare Johanna per salvarla.
Un giorno, in un affollato mercato, c’è
un esuberante uomo italiano di nome Pirelli che, con l’aiuto del suo assistente
Film
Toby, un adolescente da lui trattato malissimo, vende miracolose lozioni per capelli. Todd, che sta assistendo alla scena, lo
smaschera. I due poi si fronteggiano in una
competizione tra ‘barbieri’ che viene stravinta da Sweeney. Pirelli, però, ha scoperto la sua vera identità. Si reca così alla
sua bottega chiedendogli una percentuale
sui profitti, altrimenti avrebbe rivelato tutto. Todd lo uccide tagliandogli la gola. I
corpi uccisi vengono poi gettati di sotto
attraverso una botola. Molti altri suoi
clienti faranno questa fine. Mrs. Lovett trova anche una possibile soluzione per i suoi
affari in difficoltà e decide di utilizzare la
carne umana per farcire le sue torte e i suoi
pasticci. Gli affari cominciano ad andare
meglio, anche grazie all’aiuto di Toby che
la aiuta nel locale e che lei considera ormai come suo figlio adottivo. A questo punto, lei comincia a sognare una vita rispettabile avendo accanto Todd come marito.
Nel frattempo, la fuga di Johanna progettata da Anthony fallisce. Dopo questo
gesto, il giudice Turpin, che aveva intenzione di sposare la ragazza, decide di farla rinchiudere in un manicomio. Il giovane marinaio riuscirà comunque a trovarla
e a farla scappare.
Intanto Todd fa fuori altri clienti tra cui
Bamford. Poi, una volta che il giudice Turpin si siede nel suo negozio per farsi la barba, non si fa sfuggire l’occasione e uccide
anche lui. Tra le sue vittime però c’è anche
una donna, che appare come una matta e una
visionaria. Si trattava invece di Lucy, che
aveva preso in passato il veleno (come gli
aveva detto Mrs. Lovett): non era morta, ma
impazzita. Anche la proprietaria del negozio
di torte finisce nel fuoco gettata da Todd. Il
barbiere viene invece ucciso da Toby.
Tutti i film della stagione
R
itorna a essere oscura e sepolcrale l’atmosfera del cinema di
Tim Burton. Abbandonate le derive del cinema di fantascienza di Il pianeta
delle scimmie, quelle visionarie-favolistiche
di Big Fish e il set-giocattolo di La fabbrica
di cioccolato, si ha l’impressione che il cineasta voglia ridare consistenza a quella
dimensione dark, popolata da figure che si
trovano sempre in una posizione di dislivello e che ha reso grandiosa e perfettamente
riconoscibile, a livello non solo visivo ma
proprio di atmosfere, una buona parte della sua filmografia. Il personaggio del barbiere di Sweeney Todd (interpretato da
Johnny Depp, ormai al sesto film con Burton, se si tiene conto anche di La sposa
cadavere), può ipoteticamente apparire
come una specie di reincarnazione del protagonista di Edward mani di forbice, però
incattivito dal tempo e disilluso dagli eventi.
Stavolta non c’è più futuro nei protagonisti
di Burton. Si respira, sin da subito, un odore di morte, ma non più quella morte che è
segno profetico (la predizione iniziale), ma
anche la naturale conclusione di una vita
straordinaria come in Big Fish, la stessa che
aveva permeato (con la continua e dichiarata presenza degli scheletri) La sposa cadavere. Forse non è un caso che proprio
questi siano i film più belli del cineasta statunitense realizzati nel nuovo decennio.
Per quanto riguarda Sweeney Todd –
Il diabolico barbiere di Fleet Street, Burton si confronta già con un personaggio
conosciuto che ha terrorizzato e appassionato gli spettatori già da quando è apparso per la prima volta a Broadway in un
musical nel 1979. Questo spettacolo si era
basato sul testo teatrale di Christopher
Bond del 1973. Non si sa se questo “bar-
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biere assassino” sia realmente esistito o
no. La maggiorparte concorda per la seconda ipotesi. Nel caso, comunque, sia
vissuto veramente, sembra che abbia ucciso circa 160 persone nella Londra vittoriana del XVIII° secolo. Il cineasta riprende, quindi, una figura già conosciuta, entrata nell’immaginario già prima dell’esistenza di questo film. Sweeney Todd è un
po’ come Batman. Entrambi sono, per
motivi diversi, assetati di vendetta e hanno una doppia identità. Dietro la maschera dell’uomo-pipistrello si nasconde il giovane miliardario Bruce Wayne. Dietro quella del diabolico barbiere c’è quella – ormai sepolta, praticamente rimossa – di
Benjamin Barker, che ha vissuto frammenti
di provvisoria felicità quando era assieme
alla moglie e alla figlia piccola. Forse questi squarci del passato, oltre alle immagini
della figlia di Benjamin ormai cresciuta che
guarda fuori dalla finestra, appaiono come
i momenti più forti, più intensi del film, in
quanto rimandano a degli squarci mélo
abbaglianti tipici, per esempio, del cinema
di William Dieterle. Però in questo ingranaggio visivo apparentemente perfetto c’è
qualcosa che non torna. Rispetto al passato, Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street sembra calcolato, studiato
quasi ‘kubrickianamente’, in ogni dettaglio.
Ciò sembra creare una frattura rispetto a
un’universo che appare già ultraterreno (la
città di Londra che possiede delle zone
d’ombra quasi horror simile alla Transilvania di Dracula), nel senso che può essere
interpretato come una specie di città popolata solo da una specie di ‘zombie’ di
personaggi non-vivi, già evidente dal personaggio di Mrs.Lovett e la sua bottega
dove prepara le torte, al perfido giudice e
il suo sinistro braccio destro, fino a finire
al ragazzino Toby. Quelle atmosfere, straordinariamente funeree ma piene anche
di autentica malinconia del cinema di Burton, è come se si fossero improvvisamente rarefatte. In Sweeney Todd – Il diabolico
barbiere di Fleet Street, come anche in La
fabbrica di cioccolato, non solo si sente il
peso del décor, ma questo risulta essere
addirittura prevalente rispetto alla storia.
Gli oggetti scenici della fabbrica del signor
Willy Wonka hanno infatti la stessa importanza delle lame, della sedia in cui si siedono i malcapitati clienti del barbiere, della botola di quest’ultimo film. È ovvio che
Burton è e resta comunque un grandissimo autore capace di mascherare questa
sua dipendenza alla ‘materia dello spazio’,
facendo muovere i suoi personaggi con
quelle traiettorie derivanti dalla versione
aggiornata dello stop-motion di Tim Burton’s Nightmare Before Christmas, rifacen-
Film
dosi a quelle accensioni cromatiche improvvise che esaltavano il rosso del sangue dei film della casa Hammer e, in particolare, di Terence Fisher, riproponendo
quel respiro gotico-claustrofobico del cinema di Mario Bava e recuperando, più a livello letterario che cinematografico, il mondo di Charles Dickens con l’infanzia incompresa e maltrattata. Non si può quindi dire
che Sweeney Todd – Il diabolico barbiere
di Fleet Street non sia un film comunque
visivamente ricco e pieno di riferimenti.
Soltanto che, come si è sottolineato, tutto
Tutti i film della stagione
sembra integrato in un meccanismo dove
non sfugge niente allo sguardo del suo
creatore. Come se Burton, rispetto al passato, stia tentando di spostarsi da qualche
altra parte mantenendo, al tempo stesso,
una coerenza con la sua opera. Per fare
questo ha come paura di ‘perdere il controllo’ di ciò che sta facendo. E allora, proprio sotto questo aspetto, in questo film ne
risente la componente del musical, mai libero e straripante, ma ragionato nei minimi dettagli. Qui manca il suo musicista
Danny Elfman (nella sua filmografia è sta-
to assente soltanto un’altra volta, in Ed
Wood) e probabilmente si sente. Ma è proprio la struttura del genere che anche qui
prevale e s’impossessa della storia. Forse
Burton ritornerà su questo personaggio
una volta che si è liberato dalla necessità
di raccontare la sua storia come è successo con quel capolavoro rappresentato da
Batman – Il ritorno rispetto a Batman. E
come in quel caso, forse si vedrà un altro
film. Autenticamente ‘burtoniano’.
Simone Emiliani
INTO THE WILD – NELLE TERRE SELVAGGE
(Into the Wild)
Stati Uniti, 2007
Regia: Sean Penn
Produzione: Sean Penn, Art Linson, William Pohlad per Paramount Vantage/River Road Films/Art Linson Productions/Into
the Wild/River Road Entertainment
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008) V.M.: 14
Soggetto: ispirato al romanzo Nelle terre estreme di Jon
Krakauer
Sceneggiatura: Sean Penn
Direttore della fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Jay Cassidy
Musiche: Michael Brook, Kaki King, Eddie Vedder
Scenografia: Derek R. Hill
Costumi: Mary Claire Hannan
Produttori esecutivi: David Blocker, Frank Hildebrand, John
J. Kelly
Direttore di produzione: John J. Kelly
Casting: Francine Maisler
Aiuti regista: David J. Webb, Dylan Hopkins, John R. Saunders, Ian Calip
Operatore/Operatore steadicam: Jacques Jouffret
Art directors: John Richardson, Domenic Silvestri
Arredatori: Danielle Berman, Christopher Neely
Trucco: April Hutchinson, Robin Mathews
Acconciature: Sterfon Demings, Doreen Vantyne
Supervisore effetti speciali: Donald Frazee
Supervisore effetti visivi: Marty Taylor (Entity FX)
Supervisore costumi: Jacqueline Aronson
Supervisore musiche: David Franco
Canzoni/Musiche estratte: “Hard Sun” di Gordon Peterson (Eddie Vedder, Corin Tucker); “Society” di Jerry Hannan
(Eddie Vedder, Jerry Hannan); “No Ceiling”, “Rise”, “Long
Nights”, “The Wolf”, “Guaranteed” composte ed eseguite da
Eddie Vedder; “Going Up the Country” di Alan Wilson (Canned
Heat); “King of the Road” composta ed eseguita da Roger
U
na citazione da Byron (che termina così “Non amo meno gli
uomini ma più la natura”) apre
il film che racconta le avventure di Christopher McCandless seguendo in parallelo i due anni di viaggio precedenti l’arrivo
Miller; “Doing the Wrong Thing”, “Frame” composte ed eseguite da Kaki King; “U Can’t Touch This” di M. C. Hammer, Rick
James, Alonzo Miller (M. C. Hammer); “Emory and Old St.
Andrews March” di Henry D. Frantz jr. (The Atlanta Pipe Band);
“I Thougt I Was You” di Sean Hannan, Jerry Hannan (Kelly
Peterson); “Fork and File” di Erik Pearson (The Crooked Jades);
“Dakota Themes” composta ed eseguita da Peter Ostroushko; “Slab Song” composta ed eseguita da Everett ‘Insane
Wayne’ Smith; “Kaa” composta ed eseguita da Claude Chaloub;
“Angel from Montgomery” di John Prine (Kristen Stewart, Emile
Hirsch); “Picking Berries” composta ed eseguita da Gustavo
Santaolalla; “Tracy’s Song” di David Baerwald, Kristen Stewart (Kristen Stewart); “Best Unsaid”, “Timekeeper”, “Carte noir”,
“Flood”, “I Saw It” composte ed eseguite da Michael Brook;
“Porterville” di John Fogerty (Creedence Clearwater Revival)
Interpreti: Emile Hirsch (Chris McCandless), Marcia Gay Harden (Billie McCandless), William Hurt (Walt McCandless), Jena
Malone (Carine McCandless), Brian H. Dieker (Rainey), Catherine Keener (Jan Burres), Vince Vaughn (Wayne Westerberg),
Kirsten Stewart (Tracy Tatro), Hal Holbrrok (Ron Franz), Jim
Gallien, Leonard Knight (se stessi), Malinda McCollum (cameriera), Zach Galifianakis (Kevin), Craig Mutsch, Jim Beidler
(gruppo di Wayne), Robin Mathews (Gail Borah), Candice
Campos (ragazza bar), Steven Wiig (ranger), Signe Egholm
Olsen (Sonja), Floyd Wall (uomo nella cabina telefonica), Bryce
Walters (Chris a 4 anni), Jim Davis (agente immigrazione),
Cheryl Francis Harrington (lavoratore sociale), R. D. Call (Bull),
Haley Ramm (Carine a 11 anni), Merrit Wever (Lori), John
Jabaley (speaker), Bart the Bear (orso), Sharon Olds, Carine
McCandless (voci narrante aggiuntive), Matt Contreras, Denise Sitton (compratori libri), James Joseph O’Neil, Paul Knauls,
John Decker, John Hofer, Jerry Hofer, Terry Waldner, Thure
Lindhardt, Everett ‘Insane Wayne’ Smith,
Durata: 148’
Metri: 4060
in Alaska e l’eremitaggio nel “grande
Nord”, la meta finale del suo percorso.
L’inizio del racconto è proprio l’arrivo nelle terre selvagge. Dopo una lunga
marcia a piedi tra i monti e le foreste dell’Alaska, Cristopher scopre, oltre il fiume
31
mezzo ghiacciato, un autobus abbandonato e lo sceglie come ricovero.
Poi si riparte dalla “nascita”, l’abbandono della vita borghese. L’estate del diploma al college, Cristopher mette in atto
un piano meticolosamente preordinato da
Film
tempo: abbandonare la vita di agi e menzogne procuratagli dai genitori, per compiere
un lungo viaggio verso la più radicale delle
“rivoluzioni spirituali”. Così, lasciatosi alle
spalle la città, Cristopher distrugge ogni sua
proprietà. Passano mesi prima che i genitori si accorgano della “sparizione”, troppo tardi perché possano impedirla. Con il
nuovo nome di Alexander Supertramp, il
ragazzo affronta il deserto, i monti e le foreste. È la voce della sorella a scandire il
viaggio di Cristopher, raccontando l’esperienza di chi è rimasto senza poter sapere
nulla, passando in rassegna i comuni ricordi
sui genitori, colpevoli più che dei propri
errori della scelta di nasconderli.
Sul suo cammino, Alexander s’imbatte
in una gentile coppia di hippy, ormai fuori
dalla giovinezza. Con loro - che lo prendono a ben volere quasi fosse un figlio stringe amicizia; poi, una mattina, riprende il suo viaggio, con la promessa di ritrovarli prima della spedizione in Alaska.
Il secondo capitolo è “l’adolescenza”.
Alaska, terza settimana sul “magic bus”:
finisce la scorta di riso ma inizia il disgelo.
Diciannove mesi prima, un altro incontro sulla strada per il grande viaggio. Wayne, un coltivatore di mais, accoglie AlexCristopher e lo fa lavorare nei campi. I due
fanno presto amicizia e scambiano racconti
e progetti. Ma, un giorno, all’improvviso,
una squadra dell’F.B.I. arriva a sirene spiegate e arresta Wayne. Poi il viaggio arriva
fino in Messico, dove Alex giunge dopo una
lunga navigazione in kayak. Intanto la memoria della sorella torna alla grande menzogna dei genitori, la più dolorosa per Cristopher, che, appena adolescente, scoprì
d’essere figlio illegittimo, nato prima che
il padre lasciasse la sua precedente moglie e sposasse la madre.
Superata la tentazione di chiamare
casa, Alex torna in patria e conosce la durezza dell’età adulta, il terzo capitolo del
suo viaggio. L’incontro con la grande città è solo botte e disperazione. Ma presto il
ragazzo ritrova la coppia di hippy (il quarto capitolo, “la famiglia”), fermi in una
“cittadella psichedelica”. Passato il Natale e avviata la preparazione fisica per
l’Alaska, Alexander saluta gli amici e riprende il cammino. L’ultimo incontro è con
un vecchio militare in pensione. È il capitolo finale, “la conquista della saggezza”.
Il veterano, un vedovo chiuso nella sua
solitudine, impara dal giovane lo stupore
per la bellezza del mondo; Alex comincia
a capire che la vera felicità non può esistere che nella condivisione, nel superamento della dimensione individuale. Quando il vecchio gli propone di farsi adottare
Alex riparte per l’ultima volta.
Tutti i film della stagione
In Alaska si avvicina la fine. Ormai
deciso al ritorno, Alex scopre con orrore
di essere bloccato dal fiume che, in seguito al disgelo, è diventato troppo largo e
impetuoso per essere attraversato. La caccia e la pesca vanno male: il ragazzo non
sa come sopravvivere. Il ricorso alle erbe
selvatiche è l’errore fatale. Avvelenato,
troppo debole per continuare a provvedere a sé, Cristopher scrive l’ultima pagina
del suo diario: “Sono felice”. La firma è il
suo vero nome. Preparato alla fine, il suo
cuore batte gli ultimi palpiti mentre gli
occhi fissano l’azzurro del cielo.
T
ratto dal libro di J. Krakauer, a sua
volta basato su una storia vera, il
quarto lungometraggio diretto
dall’attore Sean Penn inizia come sfida
edipica, avventura d’affermazione di sé e
di scoperta dell’Altro. Ma il film non si ferma a questo. La storia di Christopher McCandless, che Penn volge in classico bildungsroman, costituisce manifesto d’una
certa mitologia statunitense, più o meno
la medesima alla base degli eroi dell’universo Western; l’uomo/individuo, privato di
tutto, mette alla prova la propria tempra resistendo alla durezza dell’habitat (sociale
o naturale poco importa), esplora la frontiera geografica e, contemporaneamente,
quella del proprio limite d’essere umano.
Ma quello che a una sguardo meno che
attento può apparire l’ennesimo road movie sfornato dalla “macchina Hollywood” ri-
vela, soprattutto se si ripercorre retrospettivamente il film alla luce del non consueto
finale, la propria interessante originalità.
Il protagonista non è in Alaska per rimanerci: superata la prova, compiuto con
successo il cimento psico-fisico- esistenziale, Cristopher vorrebbe uscire dal mondo
selvaggio per rientrare “dentro i suoi limiti”,
ora che ne ha saggiato la confortante e soddisfacente estensione. E non è la morte a
fermarlo, ma quella stessa Vita (o Verità),
oggetto finale della ricerca del giovane. Il
percorso dell’esistenza, per chi decida di
trascorrerlo alla luce della verità, non prevede inversioni di marcia. Il finale mistico
riorienta e ridisegna in qualche misura tutto quanto gli sta prima. Non è la morale protestante a decidere di far coincidere con il
successo esistenziale del ragazzo la sua
riuscita materiale; non è l’ecologismo, che
a ogni passo sembra dover far crollare la
pellicola su se stessa a decidere una finale
ricomposizione cosmica. Così, nonostante
una certa ridondanza narrativa, una misura retorica non proprio perfettamente tarata e, da ultimo, una vicenda in fondo non
originale, il film mantiene una solidità e, al
contempo, una leggerezza di tocco davvero non comuni. Per di più, il regista ha il
coraggio di far coincidere la felicità con la
consapevolezza della necessità della perdita; la morte viene finalmente a ratificare il
raggiungimento d’una gioia radicale.
Silvio Grasselli
SCUSA MA TI CHIAMO AMORE
Italia, 2007
Regia: Federico Moccia
Produzione: Medusa Film/Cecchi Gori Group
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Fedeico Moccia
Sceneggiatura: Federico Moccia, Chiara Barzini, Luca Infascelli
Direttore della fotografia: Marcello Montarsi
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche: Claudio Guidetti
Scenografia: Maurizio Marchitelli
Costumi: Grazia Materia
Casting: Gaia Gorrini
Suono: Antonio Pulli, Cinzia Alchimede
Interpreti: Raoul Bova (Alex), Michela Quattrociocche (Niki), Francesco Apolloni
(Pietro), Cecilia Dazzi (madre di Niki), Pino Quartullo (padre di Niki), Veronika Logan (Elena), Davide Rossi (Fabio), Luca Angeletti (Enrico), Francesca Antonelli (Susanna), Ignazio Oliva (Flavio), Luca Ward (Tony Costa), Riccardo Rossi (prof. Martini), Riccardo Sardonè (Marcello Santi)
Durata: 110’
Metri: 2931
32
Film
Tutti i film della stagione
A
Roma, Alex è un affermato pubblicitario di 37 anni; Elena, la
sua donna, lo abbandona ed egli
non riesce in nessun modo ad adattarsi alla
vita da solo, nonostante vari tentativi degli amici per farlo partecipare a delle feste. Pietro, un avvocato, uno dei suoi migliori amici, gli porta persino in casa un
gruppo di modelle russe, le quali creano
uno scompiglio che richiama addirittura
l’intervento della polizia. Ma l’inaspettato improvvisamente accade: vediamo Nichi, una diciassettenne molto vivace, correre verso la scuola in motorino, non fermarsi a uno stop e così battere contro l’auto di Alex. Ne nasce un litigio e la ragazza
si fa portare a scuola da lui. Nonostante il
ritardo, Alex arriva in tempo all’incontro
con Leonardo, il direttore della sua agenzia, e Marcello, un suo collega: Leonardo
li mette in gara tra loro per ottenere una
campagna pubblicitaria per una nuova
marca di caramelle giapponesi; chi perderà, sarà trasferito nella sede di Lugano.
Durante l’incontro, Nichi gli telefona da
scuola, gli dice che ha avuto un 7 e gli chiede di venire a prenderla all’uscita; lui non
può rifiutarsi, in quel momento e quindi si
presenta; credeva di doverla portare dal
meccanico per ritirare il motorino invece lei
lo fa andare nel centro storico, per un aperitivo e così, tornando all’auto, la trovano portata via dai vigili. Salgono in autobus senza
biglietto e arriva il controllore. La ragazzina si intromette anche nei ritmi di lavoro di
Alex, che non riesce ad evitare di rispondere
alle sue chiamate, di presentarsi all’uscita
di scuola e addirittura di portarla al mare;
nei momenti in cui è con lui, Nichi è molto
brava a eludere le telefonate che riceve dalla madre, mentre lui deve mantenere il contatto con il gruppo di lavoro e così, tra l’altro, non può evitare di presentarsi a un investigatore privato per incaricarlo di seguire
una donna, la moglie del suo amico Enrico,
che ha chiesto il suo aiuto. Nichi sollecita
l’amore di Alex, mentre il gruppo di lavoro
di lui non lo soddisfa; Leonardo dà il termine di un giorno perché Alex e Marcello gli
presentino i loro progetti ed è proprio Nichi,
adesso, a trovare delle idee che Alex presenta in tempo e che vengono accettate dal capo.
Nichi passa la notte con lui e al mattino lo
saluta dicendogli: “Scusa, ma ti chiamo
amore”. La loro relazione ormai è nota a tutti,
compresi i genitori di Nichi. Alex scatta foto
a lei addormentata, le presenta al suo capo e
stavolta anche i Gapponesi accettano.
Ricompare Elena e riesce andare ad
abitare di nuovo con Alex; a questo punto
vediamo Nichi da sola o con le amiche che
cercano di consolarla; la madre è la prima
a dirle “Lo sai quanti ce ne sono la fuori
che aspettano?” Elena riprende le sue amicizie e con loro commenta negativa il modo
in cui ha trovato la casa. Ma ad Alex arriva
la dimostrazione (da lui non cercata) che
Elena lo ha tradito con Marcello e quindi
la butta fuori di casa e torna da Nichi.
I
l filone “giovanilistico” lo si potrebbe definire come una delle forme
di “romanzo d’appendice” (forse la
più vivace), o come un vivace tipo di “cinema popolare”, nel senso di cinema con trame e personaggi che “fotocopiano” la quotidianità media di una classe media. Non
è qui il caso di indagare se i libri di Moccia
(e i film ricavatine) seguono il filone oppure hanno contribuito a crearlo: sta di fatto
che la vita da adolescente di Nichi e il suo
culminare nella storia d’amore con Alex
sono un ennesimo racconto di questo tipo.
La trama equilibra gli spazi dati agli adulti
e quelli dati ai ragazzi. Degli adulti, sceglie quelli troppo giovani per essere genitori credibili e troppo vecchi per essere credibili “fidanzati”: ci mostra un certo campionario di schizzi su di loro. Dei ragazzi,
sceglie quelli a un passo dalla maggiore
età, ma poco attendibili come capaci di progettare davvero la propria vita: cioè, in un
momento estremamente delicato; e anche
qui abbiamo un campionario di schizzi.
Il racconto inizia da Alex, ma subito Nichi prende uno spazio pari all’altro personaggio.
Un adolescente ha convinzioni granitiche, su qualunque cosa; trincia giudizi fulminei su tutto e, a volte, questo modo di
essere e di fare è utile, a tutti; costruire i
personaggi e la trama stessa in modo che
si evidenzi questo era quasi inevitabile, se
si vuol essere semplicisticamente realistici, cosa che, crediamo sia stata una scel33
ta dell’autore. Era possibile cadere nel rischio del “già visto” su ogni elemento del
racconto; escludiamo subito un riferimento a Lolita che ci sembra proprio il meno
presente, ma includiamo pure tutto il resto. Si potrebbe anche aggiungere la pretenziosità (o la superficialità) di voler tracciare psicologie di adolescenti fissandosi
sui loro “modi di fare e di dire”; o la banalità elegante di siglare i vari momenti della
storia con citazioni letterarie...
Cosa ci fa accettare gradevolmente questo racconto, dunque? La figura del narratore, all’inizio solo voce fuoricampo, poi anche
personaggio con un volto; è lui a costruire il
filo conduttore tra i diversi episodi, a suggerire una interpretazione; fare citazioni è il suo
modo per suggerire come interpretare gli
episodi, è abile nel pilotarci gradevolmente
a concordare con le sue posizioni. L’intervento investigativo che fa conoscere ad Alex
il rapporto della moglie con Marcello viene a
inserirsi bene nello svolgersi della trama. Si
inseriscono meno bene altri punti minori qua
e là. All’inizio del film, la sequenza, veloce
ma non troppo, che mostra i tentativi di Alex
per dimenticare la sua ex donna, è costruita
con un intreccio di campi, di battute del personaggio, di base musicale continua, di voce
fuoricampo che ci racconta tutto quanto il
personaggio prova, ma ironizzando simpaticamente su di lui; si sperava che sequenze
di struttura così ben realizzata si sarebbero
ripetute nel corso del film, ma purtroppo ciò
è avvenuto solo in pochissimi altri momenti.
La presenza della musica copre la quasi totalità delle scene; siamo certi che si
deve anche a essa il fatto che il film riesca
ad “accattivare” il suo pubblico: è una astuta decisione...
Danila Petacco
Film
Tutti i film della stagione
LO SCAFANDRO E LA FARFALLA
(Le scaphandre et le papillon)
Francia/Stati Uniti, 2007
Canzoni/Musiche estratte: «Excerpt» dalla colonna sonora di I 400 colpi di Jean Constantin; “La mer” composta ed
eseguita da Charles Trenet; “Ultraviolet (Light My Way)” (U2);
“Don’t Kiss Me Goodbye” (Ultra Orange & Emmanuelle);
“Ramshackle Day Parade” di Joe Strummer (Joe Strummer e
The Mescaleros); “All The World Is Green” di Tom Waits, Kathleen Brennan (Tom Waits)
Interpreti: Mathieu Amalric (Jean-Dominique Bauby), Emmanuelle Seigner (Céline Desmoulins), Marie-Josée Croze
(Henriette Durand), Anne Consigny (Claude), Patrick Chesnais (dott. Lepage), Niels Arestrup (Roussin), Olatz Lopez
Garmendia (Marie Lopez), Jean-Pierre Cassel (Padre Lucien), Marina Hands (Joséphine), Max von Sydow (Papinou
Bauby), Emma de Caunes (imperatrice Eugénie), Agathe de
la Fontaine (Inès), Hiam Abbas (Betty), Franck Victor (Paul),
Théo Sampaio (Théophile), Fiorella Campanella (Céleste),
Isaach de Bankolé (Laurent), Zinedine Soualem (Joubert,
impiegato PTT), Jean-Philippe Écoffey (dott. Mercier), Françoise Lebrun (sig.ra Bauby), Gérard Watkins (dottor Cocheton), Nicholas Le Riche (Nijinski), François Delaive, Virginie
Delmotte (infermieri), Anne Alvaro (Betty), Laurent de
Clermont-Tonnerre (Diane), Talina Boyaci (Hortense Bauby),
Georges Roche (Fourneau, impiegato PTT), François Filloux
(infermiere di notte), Cedric Brelet von Sydow (Papinou giovane), Sara Séguéla (paraplegica Lourdes), Vasile Negru
(violinista), Antoine Bréant (assistente Jean-Baptiste Mondino), Azzedine Alaia, Michel Wincott (se stessi), Jean-Baptiste Mondino, Lenny Kravitz, Farida Khelfa Elvis Polanski,
Yves-Marie Coppin, Daniel Lapostolle, Philippe Roux, Maria
Meyer, Ilze Bajare, Anna Chyzh
Durata: 112’
Metri: 2800
Regia: Julian Schnabel
Produzione: Kathleen Kennedy, Jon Kilik per Pathé Renn Productions. In coproduzione con France 3 Cinéma. In associazione con The Kennedy-Marshall Company. Con la partecipazione di Canal+/Ciné Cinémas. In associazione con Banque
Populaire Images 7. Con il supporto di C.R.R.A.V. Nord Pas
de Calais/Région Nord Pas-de-Calais
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 15-2-2008; Milano 15-2-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Jean-Dominique Bauby
Sceneggiatura: Ronald Harwood
Direttore della fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Juliette Welfing
Musiche: Paul Cantelon
Scenografia: Michel Eric, Laurent Ott
Costumi: Olivier Bériot
Produttori esecutivi: Pierre Grunstein, Jim Lemley
Direttori di produzione: Stephan Guillemet, Olivier Jacob,
Emmanuel Mathieu
Aiuti regista: Sébastien Marziniak, Stéphane Gluck, Mathilde
Cavillan
Operatore: Gilber Lecluyse (Berto)
Operatore steadicam: Jörg Widmer
Trucco: Myriam Hottois, Florence Batteault, Sandrine Cirilli, Elizabeth Delesalle, Chloé Van Lierde
Acconciature: Christian Gruau, Thierry Di Cecca, Laure Moulin
Effetti speciali trucco: Benoît Lestang, Olivier Afonso
Suono: Dominique Gaborieau
Supervisore effetti speciali: Georges Demétrau
Coordinatore effetti visivi: Laurence Vidot
Supervisore musiche: Julian Schnabel
8
dicembre 1995. Jean-Dominique
Bauby, caporedattore di “Elle
France”, resta completamente
paralizzato in seguito a un ictus che l’ha
colto improvvisamente mentre era in
macchina. È sempre stato un uomo in
piena salute, atletico e di successo. Aveva sempre vissuto la sua professione di
giornalista con passione frenetica e non
si era mai reso conto di cosa fosse veramente importante. Un anno prima dell’incidente, era andato via di casa, lasciando la moglie e i suoi due figli. In
seguito all’incidente che l’ha colpito,
piomba in un coma profondo. Quando si
risveglia, tutte le sue funzioni motrici
sono ormai deteriorate. Non può parlare, né respirare senza assistenza. L’uomo è vittima di una sindrome “lockedin”; lui è mentalmente vigile, ma è come
prigioniero dentro il suo stesso corpo.
L’unica parte del corpo che riesce ancora a muovere è la palpebra dell’occhio
sinistro. Quando la chiude una volta, è
per dire sì. Quando la chiude due volte,
è per dire no. Costretto a confrontarsi
con quest’unica prospettiva di vita, Bauby riesce a costruire un ricco universo
interiore, nel quale ha sviluppato soprattutto due componenti: l’immaginazione
e la memoria. All’Hospitale Maritime di
Berck-sur-mer, ha imparato un alfabeto
completamente nuovo, che codifica le lettere più frequenti del vocabolario francese. Attraverso questo linguaggio e con
l’aiuto di una logopedista, è riuscito a
dettare lettera per lettera il romanzo in
cui ha raccontato il proprio mondo interiore (la malattia, la sofferenza, la voglia di vivere), intitolato appunto “Le
scaphandre et le papillon” che è stato
pubblicato poco dopo la sua morte, avvenuta nel marzo 1997.
L
ascia sin da subito spiazzati
un’operazione come Lo scafandro e la farfalla. Per tutta una serie di ragioni. Questo film, nel modo in cui
34
filma la malattia e l’immobilismo del protagonista, porta a un immediato parallelismo con Mare dentro di Alejandro
Amenábar. Lì c’era la vicenda di un exmarinaio (interpretato da Javier Bardem)
che rimase paralizzato dopo un tuffo in
mare e che iniziò, con l’aiuto di un’associazione per i diritti umani, una forsennata lotta con i tribunali spagnoli per ottenere una morte dignitosa. Questa pellicola invece è tratta da una storia vera,
quella di Jean-Dominique Bauby, colpito
da un ictus a 43 anni che gli ha bloccato
tutto il corpo tranne la palpebra sinistra.
Si tratta, quindi, di due sguardi non solo
sull’attesa della morte ma proprio su un
tempo interiore che si ferma, che segue
altri ritmi e nuovi percorsi. La visione del
cineasta spagnolo era più distante e inserita in un racconto a tratti più oggettivo. In Lo scafandro e la farfalla, Schnabel sembra, sin da subito, privilegiare il
punto di vista soggettivo di Bauby. Il film
infatti comincia con il risveglio dal coma
Film
del protagonista. Ciò che vede lui è ciò
che vede lo spettatore. Il mondo esterno
è visto attraverso il suo occhio. Si entra,
quindi, sin da subito nel suo mondo, nel
suo pensiero, nel suo dolore. Del resto è
come se l’artista statunitense, oltre che
lo sguardo, volesse, in qualche modo,
materializzare il linguaggio di Bauby,
quello cristallizzato nelle pagine del romanzo autobiografico da cui il film è tratto
e che è stato pubblicato nel marzo 1997
(che venne realizzato, appunto, grazie all’aiuto di una logopedista che trascriveva i suoi pensieri) e che costituiva la sua
unica comunicazione, il suo unico contatto, col mondo esterno.
Ora è chiaro che in opere di questo
genere c’è sempre il rischio di cadere nel
sospetto del ricatto emotivo. Confrontando Lo scafandro e la farfalla con il resto
della filmografia di Schnabel, questa interpretazione potrebbe essere subito smontata. L’artista-cineasta infatti, oltre a questo film, aveva infatti portato sullo schermo già altre figure biografiche come quelle del famoso pittore in Basquiat (1996) e
dello scrittore e poeta cubano Reinaldo
Arenas in Prima che sia notte (2000). Queste due, assieme a Bauby, sono accomunate dal fatto di essere scomparse prematuramente.
Quindi Lo scafandro e la farfalla, premio per la regia al 60° Festival di Cannes, diventa, in qualche modo, un altro
esempio di come Schnabel utilizzi la vita
di un’altra figura per un cinema di carattere quasi compositivo. La sua macchina da presa è come il pennello del
pittore. Lo schermo è come la tela. Rispetto al dipinto, c’è un movimento che
viene come fermato, sospeso, come per
dare forma a un universo cromatico dove
la figura del protagonista si mescola
quasi a un universo dominante, quello
del grigio sottolineato dalla fotografia di
Janusz Kaminski. Il movimento è come
rallentato, quasi azzerato. Ciò serve per
ridare forma alla memoria di Bauby, al
suo passato (fino al momento dell’incidente mentre si trovava in macchina),
alla frattura tra il prima e il dopo. I volti
degli altri sono come apparizioni. Le voci
come echi da mondi lontani. Quindi, più
che sulla storia, come aveva fatto
Amenábar, Schnabel sembra lavorare
essenzialmente sulla percezione, utilizzando il cinema per un processo figurativo e, contemporaneamente, sensoriale. Se c’era pienamente riuscito con
Basquiat e parzialmente con Prima che
sia notte; stavolta si ha l’impressione
Tutti i film della stagione
che abbia fallito il bersaglio. Certamente fa fare a un grande attore come Mathieu Amalric una sfida quasi atletica
con la sua espressività, visto che non
può comunicare col resto del corpo. Ma
della vitalità, dell’anima, della scrittura
di Bauby restano solo dei labili frammenti. Al contrario, malgrado le intenzioni, i
residui di un melodramma costruito,
sono invece evidenti e ben visibili come,
per esempio, nella scena della telefonata con il padre, interpretato da Max von
Sydow. Alla fine, ci si sente come ingannati. E ciò dispiace ancora di più, se ciò
avviene davanti a un’opera di un artista
come Schnabel.
Simone Emiliani
FORSE DIO È MALATO
Italia, 2007
Regia: Franco Brogi Taviani
Produzione: Grazia Volpi per Ager 3
Distribuzione: Istituto Luce
Prima: (Roma 29-2-2008; Milano 29-2-2008)
Soggetto: liberamente ispirato al saggio omonimo di Walter Veltroni, Franco Brogi
Taviani
Sceneggiatura: Franco Brogi Taviani
Direttore della fotografia: Stefano Moser
Montaggio: Alessandro Cerquetti
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia. Interpretate da Siya Makuzeni
Produttore esecutivo: Berto Pelosso
Aiuto regista: Marcello Aliotta
Suono: Ignazio Vellucci, José Nascimento, Fabio D’Amico, Franco Coratella
Interpreti: Padre Horacio Caballero, Manuel Anselmo Miguel, Horatio Guiamba, Manuel Francisco, Elias Marufo Mafunde, Mamadou Wade, Mamadou Niang, Khalo
Matabane, Dario Dosio, Brian Nemavhidi, Madine Nel, Jacinta Magero, Mazziwa
Yudaya, Sarah Nakirijja
Durata: 90’
Metri: 2493
35
Film
D
ocumentario che focalizza la sua
attenzione su alcuni dei grandi
problemi dell’Africa. La prima
parte è dedicata alle persecuzioni che subiscono i bambini accusati di stregoneria.
La seconda alle donne sieropositive che
combattono quotidianamente contro la malattia. La terza al brutale trattamento fisico e psicologico dei bambini soldato e, infine, l’ultima parte all’emigrazione vista
come unica speranza di riscatto.
L
a splendida voce rauca di Siyavuia Mazukeni ci accompagna
lungo un viaggio difficile in un inferno senza ritorno, dove la speranza è
morta già da tempo e dove non c’è spazio
per nessuna emozione, nessun pensiero
tranne la sopravvivenza. Questo inferno ha
un nome: Africa.
Su questa terra si è detto e visto un
po’ tutto, certe immagini risultano così tanto scontate da averci praticamente assuefatto quasi a considerarle un colore locale, per questo il docu-fiction Forse Dio è
malato di Franco Brogi Taviani merita più
di un apprezzamento, perché non si lascia
Tutti i film della stagione
trasportare da sentimentalismi da pubblicità “raccoglifondi” , ma racconta, ispirandosi al diario di viaggio di Walter Veltroni,
un’ Africa cattiva, spietata, un’Africa a suo
modo diversa, popolata da gente arrabbiata che vede i “bianchi” come bancomat
ambulanti e i bambini come cibo per ogni
appetito. Un’ Africa cruda, dunque, che è
come un pugno difficile da schivare.
Ciò che differenzia questo lavoro da
altri simili è la scelta di una linea registica
asettica che toglie ogni passionalità alla
narrazione. Non ci sono commenti, considerazioni o pietismi, ma soltanto immagini che non hanno bisogno di essere
caricate di nessun significato poiché da
sole urlano.
Si vede una discarica e tra i rifiuti persone che esultano al ritrovamento di carne putrefatta, ragazzini ammazzati dai
parenti a causa di una ridicola superstizione tribale, bambini, se risparmiati da
stupri e malattie, costretti ad abbracciare
un fucile sotto minaccia di mutilazioni fisiche, donne marchiate dall’AIDS costruire
“libri della memoria” con foto, appunti, pensieri per non farsi dimenticare dai figli, gio-
vani che sfidano la morte per arrivare in
quell’Europa accusata di alimentare i loro
sogni, ma si vedono anche gli occhi sgranati davanti ai poveri di Zavattini durante
la proiezione in mezzo alla savana del film
di De Sica Miracolo a Milano.
Di fronte a queste immagini, come indirettamente fa intendere Taviani, i commenti sono inutili perché si finirebbe soltanto per fare retorica spicciola e dire cose
talmente ovvie che, per onestà intellettuale, ciascuno dovrebbe tenere per sé partendo dal presupposto che su determinate vicende non c’è sostrato culturale o fede
politica che tenga: il giudizio è unanime.
Amaramente (ed egoisticamente) viene da pensare che forse per noi (e per le
nostre delicate coscienze) siano meglio gli
spot da cartolina, quelli che illudono di
portare la felicità con due matitine colorate, perché da questa pellicola l’unica sensazione che se ne ricava è l’impotenza
verso un problema talmente grande, di cui
probabilmente solo Dio può occuparsi,
magari quando si ristabilisce.
Francesca Piano
UN UOMO QUALUNQUE
(He Was a Quiet Man)
Stati Uniti, 2007
Canzoni/Musiche estratte: “Not Today” di Frank A. Cappello (Robert Cosio); “Midnight Train to Georgia” di Jim Weatherly (Robert Cosio); “Dance of the Goblin”, “Got It Going On
Now”, “Here For You”, “Inner Depths of a Tortured Soul” composte ed eseguite da Robert Cosio; “You and I”, “For You” composte ed eseguite da Frank A. Cappello
Interpreti: Christian Slater (Bob Maconel), John Gulager
(Goldie/Maurice Gregory), Elisha Cuthbert (Venessa Parks),
William H. Macy Jamison Jones (Scott Harper), Michael DeLuise (detective Soreson), Sascha Knopf (Paula Metzler),
Cristina Lawson (Nancy Felt), K. C. Ramsey (Jackson), David Wells (Ralf Coleman), Randolph Mantooth (dr. Willis),
Frankie Thorn (Jessica Light), Sewell Whitney (Derrick
Miles), Lisa Arianna (assistente ADD), Livia Treviño (segretaria di Shelby), Tina D’Marco (infermiera), Bill Rothbard
(moglie di Phil), Maggie Wagner (moglie di Phil), Brian Lohmann (maitre), Paul D. Roberts (cameriere), Bobby Hardy
(karaoke MC), Courtney Balaker (signora in rosso), Greg
Baker
Durata: 95’
Metri: 2600
Regia: Frank A. Cappello
Produzione: Michael Leahy per Neo Art & Logic/Quiet Man
Productions
Distribuzione: One Movie
Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Frank A. Cappello
Direttore della fotografia: Brandon Trost
Montaggio: Kirk M. Morri
Musiche: Jeff Beal
Scenografia: Ermanno Di Febo-Orsini
Costumi: Sarah Trost
Produttore esecutivo: Jason Hallock
Co-produttore: Frank A. Cappello
Direttore di produzione: Teresa Zales
Casting: Jason Mundy, Don Phillips
Aiuti regista: Alisa Fredericks, Roger Udwin, Dawn York
Art director: Michael Barton
Arredatore: Marina Starec
Trucco: Bonni Flowers, Gary J. Tunnicliffe
Acconciature: Michael Davis, Kathleen Toner
Coordinatore effetti speciali: Ron Trost
B
ob Maconel è un modesto impiegato vessato quotidianamente dai
colleghi e dai superiori. L’uomo
vive nell’ombra, meditando un giorno non
troppo lontano di reagire contro le ingiusti-
zie. Ogni giorno prepara con cura una pistola con sei proiettili, cinque per colleghi
odiati e il sesto per sé stesso, e si reca in ufficio. Il giorno designato per la strage, però,
un suo collega, Ralph Coleman, lo precede
36
aprendo il fuoco all’interno dell’open space. In quegli attimi concitati, Bob reagisce e
mette fine alla strage sparando a Coleman.
Improvvisamente Bob diviene un eroe, colui
che ha ucciso la “mela marcia”. La stampa
Film
lo segue dappertutto, vuole raccogliere le sue
dichiarazioni. Il giorno dopo, al lavoro, Bob
viene accolto dagli applausi dei colleghi e il
suo capo, Gene Shelby, gli offre un nuovo
ufficio con le mansioni di vice presidente del
pensiero creativo. L’ufficio è lo stesso appartenuto alla giovane Vanessa Parks, che si è
salvata dalla morte per merito di Bob, ma
che ora è gravemente ferita in ospedale. Il
primo incarico per Bob è proprio quello di
andare a trovare Vanessa con una busta da
parte di Gene. In ospedale, Bob vede la ragazza: è paralizzata dal collo in giù e urla
tutta la sua rabbia contro Bob che non l’ha
lasciata morire. Il giorno successivo, Bob va
di nuovo da Vanessa: la ragazza è più calma
e lo implora di aiutarla a completare ciò che
Coleman ha iniziato ponendo fine a quella
che per lei non è più vita. Bob è costretto a
prometterle che la aiuterà. Il giorno in cui
Vanessa viene dimessa dall’ospedale, Bob la
va a prendere ed esaudisce i suoi ultimi desideri. I due vanno a cena in un bel ristorante
dove la ragazza gli confessa di essere stata
l’amante di Shelby. Dopo cena, Vanessa gli
chiede di lasciarla investire da un treno, ma
Bob non ce la fa e le salva nuovamente la
vita. Vanessa urla la sua disperazione e un
dito le si muove. Il medico dice che per la
ragazza ci sono delle speranze di recupero,
le strutture nervose non sono così compromesse come avevano pensato in un primo momento. Euforica a quella notizia, Vanessa bacia Bob e lo ringrazia per aver riacceso le
sue speranze. Tra i due nasce un tenero legame sentimentale. Bob è sempre accanto
alla ragazza anche quando lei vuole tornare
in ufficio per la prima volta dopo il terribile
giorno della strage. Intanto, in ufficio, lo psicanalista mostra a Bob un foglio nel quale
qualcuno minaccia di completare l’opera di
Coleman: il medico è convinto che sia scritto da lui. Bob discute con Shelby che lo provoca dicendogli che Vanessa si è legata a lui
solo per bisogno. La posizione di Bob continua a peggiorare. Tornato a casa, trova Vanessa in compagnia di Shelby. Poco dopo,
Bob trova una foto di Vanessa e Shelby con
una dedica in cui la ragazza dichiara di amare solo lui. Disperato, Bob va in ufficio e sfoga la sua disperazione davanti a Shelby, poi
rivolge la pistola contro se stesso e si spara.
U
n giorno di ordinaria follia. Quante volte nella letteratura, nel cinema e, ahimé sempre più spesso nella vita reale (i numerosi casi di cronaca nera non sono mai stati così tanti
come in questi ultimi mesi), assistiamo a
questi giorni di follia? Giorni neri, nerissimi, allucinati e allucinanti. E mani, tante
mani “forti”, armate, insanguinate, disperate. Quante volte abbiamo assistito a in-
Tutti i film della stagione
terviste di vicini di casa o abitanti del quartiere dire di tanti insospettabili uomini “Era
un uomo riservato, era un uomo tranquillo”? Ecco He Was a Quiet Man è proprio il
titolo originale dell’italiano (ancora una
volta una traduzione semplicistica e banalizzante) Un uomo qualunque, una pellicola di cui dispiace registrare la distribuzione limitata a poche sale e gli esigui incassi. Già, perché il film, diretto da Frank
Cappello e interpretato da un quasi irriconoscibile Christian Slater, avrebbe sicuramente meritato più attenzione. Per diverse ragioni.
Innanzitutto per la lucida rappresentazione di uno stato di angoscia cieca che
nasce dentro e gonfia, preme, si materializza, frutto dei meccanismi atroci e perversi che nella nostra società dividono senza pietà i “vincenti” dai “perdenti”, i deboli
dai forti. E qui il protagonista, l’uomo qualunque, l’uomo tranquillo, è un grigio impiegatuccio che veste in modo trasandato, porta occhiali dalla montatura demodé, ha una incipiente calvizie, ha denti brutti e storti, lavora in una grigia azienda che
ha sede in un anonimo gigante di cemento, costretto davanti a un computer a controllare interminabili colonne di dati e numeri. Vittima continua di mobbing da parte di colleghi e superiori, è oltretutto costretto a guardare dietro le sue grandi lenti una bella collega che, ovviamente, non
lo degna di uno sguardo. Ed ecco matura-
re il gesto, un solo gesto, unico, estremo,
definitivo. La strage, l’eliminazione di tanti
si, ma anche di sé stesso.
Ma il film ha un altro merito che sta tutto in quella tonalità che mescola monologo
interiore, una cospicua dose di humour
nero, un pizzico di surrealismo (il pesce rosso parlante nell’acquario che suona un po’
come la voce dell’inconscio del protagonista) con una fotografia a tratti sfocata, a tratti
mossa, che fa un sapiente uso di immagini
velocizzate che bene rendono la dimensione straniata e paranoide in cui il protagonista vive. Tutto concorre a dare al film l’atmosfera di un sogno che diviene incubo.
I deboli, le vittime, i soli, i disperati, sono
loro a percepire le note dissonanti di un
mondo che li calpesta senza fare troppi
complimenti, sono loro destinati a rinchiudersi sempre più con i propri fantasmi in
uno spazio mentale cupo e ristretto.
“Arriva il momento in cui i malati e i
deboli debbono essere sacrificati per salvare il gregge”. Questa frase, pronunciata
dal protagonista prima del tragico finale,
suona come la triste considerazione di una
sconfitta. E quella bambolina hawaiana dal
sorriso lontano che ondeggia i fianchi sopra la sua scrivania, evoca il sogno tragico, impossibile, inarrivabile, di tanti disperati, di tanti malati, di tanti deboli .... E un
brivido ci attraversa la schiena.
Elena Bartoni
TUTTA LA VITA DAVANTI
Italia, 2007
Regia: Paolo Virzì
Produzione: Motorino Amaranto/Medusa Film
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 28-3-2008; Milano 28-3-2008)
Soggetto: tratto da Il mondo deve sapere – Romanzo tragicomico di una telefonista
precaria di Michela Murgia
Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni
Direttore della fotografia: Nicola Pecorini
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Franco Piersanti
Scenografia: Davide Bassan
Costumi: Francesca Sartori
Produttore esecutivo: Daniele Mazzocca
Fonico: (presa diretta) Mario Iaquone
Interpreti: Isabella Ragonese (Marta), Sabrina Ferilli (Daniela), Elio Germano (Lucio), Valerio Mastandrea (Giorgio Conforti), Massimo Ghini (Claudio), Micaela Ramazzotti (Sonia), Valentina Carnelutti (Maria Chiara), Paola Tiziana Cruciani (madre di Sonia), Mary Cipolla (madre di Marta), Tatiana Farnese (signora Franca),
Caterina Guzzanti (Fabiana Lanza Campitelli), Niccolò Senni (Sebastiano Mangiarotti), Edoardo Gabbriellini (fidanzato di Marta), Laura Morante (voce narrante)
Durata: 117’
Metri: 2450
37
Film
M
arta è una giovane intelligente
e capace. Appena ottenuta la
laurea in filosofia teoretica, si
ritrova però nella situazione critica comune a molti giovani della sua età. Situazione che il suo fidanzato sceglie di risolvere
accettando l’invito d’una prestigiosa università statunitense. Marta – ormai ex studentessa fuori sede - resta così sola e senza una casa. Un giorno incontra la piccola Lara che le lascia un biglietto: “cercasi
babysitter”. Marta inizia a prendersi cura
della bambina e trova un alloggio precario nell’appartamento di Sonia, la mamma svanita e scapestrata di Lara, che la
invita a lavorare nello stesso call centre in
cui lavora lei.
Superato lo sgomento per le bizzarrie
del lavoro – coreografie di riscaldamento,
premiazioni e punizioni altrettanto retoriche e spettacolari, un forte opprimente apparato ideologico violentemente imposto –
Marta s’immerge con ingenuo impegno nel
suo meschino lavoro di telemarketing; al
punto da escogitare nuovi trucchi e divenire in breve una delle migliori telefoniste. La
ragazza sembra aver risolto parte dei suoi
problemi e potersi dedicare così a proseguire, anche se solo di notte, i suoi studi in
vista di nuovi approdi professionali.
Tra le ore passate con Lara e quelle spese alla Multiple, l’azienda truffaldina del
telemarketing, la giovane inizia a fare nuove conoscenze, ad affezionarsi al ridicolo
Lucio, venditore illuso d’essere all’inizio
d’una brillante carriera, e a nutrire speranze
di poter ottenere da Giorgio Conforti – sindacalista che da mesi ronza attorno all’azienda certo delle inadempienze e delle
irregolarità imposte ai lavoratori – il piacere d’una relazione d’anime e di corpi.
Tutti i film della stagione
Ma la disillusione è dietro l’angolo. Al
ritorno dall’ennesima visita in Sicilia alla
mamma ammalata, Marta scopre che il sindacalista è sposato, ha una bambina e, per
di più va a letto con la coinquilina Sonia.
Con i licenziamenti brutali, istantanei e senza motivazione, la conoscenza più approfondita dei dirigenti e della loro squallida umanità, la ragazza inizia a vedere più chiaramente gli inganni e le prepotenze sulle quali
si fonda la Multiple. Conforti, messo sotto
pressione il direttore grazie alla confidenze
di Marta, ottiene l’ingresso all’azienda. Ma
la visita è una messa in scena che sembra
non avere nessuna utilità per i dipendenti e,
dopo la quale anzi, i licenziamenti avvengono ancor più violenti e numerosi. Tra i primi
a esser cacciati c’è Sonia, creduta “spia” del
sindacato, la quale, perduto il lavoro e caduta in depressione, intraprende in breve tempo la carriera di squillo. Lucio, perso il primato di migliore ed entrato in crisi, nel sottrarsi all’umiliazione dei colleghi, si schianta con l’auto e finisce in ospedale. Poi è
l’azienda a rischiare il collasso. E quando
nell’ufficio del presidente entra la capotelefonista Daniela, che con lui conduce da anni
una squallida relazione clandestina, la storia trova anche il suo tragico epilogo. La
mattina seguente, davanti ai venditori e alle
telefoniste in attesa d’entrare al lavoro, la
polizia arresta la donna per aver ucciso il
suo amante, colpevole, dopo averla messa
incinta e illusa d’un futuro insieme, d’averla
pure rifiutata.
Marta, intanto, riceve da una prestigiosa rivista internazionale la notizia che il suo
saggio, scritto durante i mesi da telefonista
mettendo a frutto anche il cambio di prospettiva dovuto a quella particolare esperienza, è stato scelto per la pubblicazione.
Dopo aver salutato per l’ultima volta la
mamma uccisa dalla malattia e incontrato
con cordiale indifferenza il suo ex ragazzo,
Marta s’incammina verso un nuovo inizio.
E per prima cosa si ferma a risarcire una
delle tante donne anziane contattate per telefono e ingannate spacciandosi per amica
di figli e parenti. Attorno alla tavola imbandita offerta dalla gentile vecchietta sembra
ancora possibile sperare.
I
n principio fu il blog d’una ex telefonista passata a vita professionale migliore, Michela Murgia. Poi
il blog fu pubblicato da ISDN sotto il titolo
Il mondo deve sapere e il duo Virzì (regista), Bruni (sceneggiatore) lo scelse come
origine d’ispirazione per un film che non si
fermasse al racconto dei call centre, ma
che di essi facesse pretesto e metafora per
rappresentare il paese precario nel quale
siamo oggi.
Il risultato è una commedia brillante che
non dimentica la tradizione, lasciandosi
spesso attraversare da correnti amarognole
e che punta molto sui due cardini di sceneggiatura e direzione degli attori. Una delle cose
migliori del film è senza dubbio l’affiatamento e l’efficacia del gruppo d’interpreti scelti e
diretti da Virzì; tutti (o quasi) professionisti
rodati che raramente hanno dato prove tanto convincenti e intonate. A cominciare dalla
coppia perfetta Ferilli-Ghini, passando per il
duo di nuove certezze Mastandrea-Germano, e finendo con la più che convincente protagonista Isabella Ragonese.
Poco convincono invece le scelte di Virzì
da “orchestratore d’immagini”. Esordio e
conclusione, affidati a musiche pop, arditi
movimenti di macchina e tono trasognato
(addirittura onirico nel caso dell’incipit),
sembrano stonature forti, svolazzi carichi
di presunzione che poco hanno a che fare
con una materia narrativa sulla quale per
tutto il resto della pellicola si sceglie di lavorare in modo differente. Poi viene una
regia più al servizio dell’effetto (drammatico, comico, surreale, poco importa) che
della storia, la quale amplifica piccole codardie già contenute nello script: la critica
forte è alla volgarità, mai al potere, alla
meschinità, non all’ipocrisia, la condanna
– quando arriva – non si sbilancia mai e
cerca al contrario, subito dopo esser stata
formulata, un elemento grazie al quale trovare un accomodante riequilibrio, facendo
insomma uso strutturale di tutti i vituperati
e scongiurati “se” e “ma”. Alla fine restano
le molte preziose intuizioni e le altrettante
occasioni perse di farne buon uso.
Silvio Grasselli
38
Film
Tutti i film della stagione
30 GIORNI DI BUIO
(30 Days of Night)
Stati Uniti, 2007
Regia: David Slade
Produzione: Sam Raimi, Robert G. Tapert per Columbia Pictures/Dark House Entertainment/Ghost House Pictures
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008) V.M.: 14
Soggetto: dall’omonima graphic novel di Steve Niles e Ben Templesmith
Sceneggiatura: Steve Niles, Stuart Beattie, Brian Nelson
Direttore della fotografia: Jo Willems
Montaggio: Art Jones
Musiche: Brian Reitzell
Scenografia: Paul D. Austerberry
Costumi: Jane Holland
Produttori esecutivi: Joseph Drake, Aubrey Henderson,
Nathan Kahane, Mike Richardson
Co-produttori: Ted Adams, Chloe Smith
Direttori di produzione: Annie Dodman, Ronnie Hape
Casting: Mary Vernieu
Aiuti regista: Paul Grinder, Robyn Grace, Emma Hinton, Gene
Keelan
Operatore: Cameron McLean
Art directors: Nigel Churcer, Mark Robins
Arredatore: Jaro Dick
Supervisore trucco e acconciature: Vinnie Smith
Trucco: Anita Aggrey, Michael Krehl, Jane O’Kane
Acconciature: Anita Aggrey, Michael Krehl, Maya Lewis, Jane
O’Kane
Supervisore effetti speciali trucco: Davina Lamont
Effetti speciali trucco: Jeff Flitton, Gareth J. Jensen, Samantha Lyttle, Sarah Rubano
Supervisore effetti speciali: Jason Durey
B
arrow, in Alaska, è la città più a
Nord degli Stati Uniti e la notte
dura ben 30 giorni: l’approssimarsi del lungo periodo di buio spinge
parte degli abitanti a lasciare il posto in
tutta fretta, complice la neve che rende difficile raggiungere l’aeroporto. Fra le persone in viaggio, c’è anche Stella, che si è
appena separata dallo sceriffo Eben Oleson, ma ha un incidente ed è quindi costretta a rientrare a Barrow.
Nel frattempo, lo stesso Oleson si rende conto che qualcosa non va: piccoli incidenti isolati (cani uccisi, generatori sabotati, terminali del computer isolati) sembrano voler tagliare la cittadina fuori dal
mondo con l’approssimarsi della notte. Un
solo uomo sembra avere chiaro cosa sta
succedendo, è un barbone che promette
l’arrivo della Morte in città. Una morte che
sta arrivando in gruppo e al quale l’uomo
spera di unirsi (ma le sue speranze andranno deluse).
Troppo tardi Eben e i cittadini si ren-
Coordinatore effetti speciali: Kat Stephens
Supervisori effetti visivi: George Port (PRPVFX), Dan Lemmon, Charlie McClellan
Coordinatori effetti visivi: Stephen Nixon, Amy Shand
Supervisore costumi: Jaindra Watson
Supervisore musiche: Brian Reitzell
Interpreti: Josh Hartnett (sceriffo Eben Oleson), Melissa George (Stella Oleson), Danny Huston (Marlow), Ben Foster
(lo straniero), Mark Boone jr. (Beau Brower), Mark Rendall
(Jake Oleson), Amber Sainsbury (Denise), Manu Bennett
(deputato Billy Kitka), Megan Franich (Iris), Joel Tobeck (Doug
Hertz), Elizabeth Hawthorne (Lucy Ikos), Nathaniel Lees
(Carter Davies), Craig Hall (Wilson Bulosan), Chic Littlewood (Issac Bulosan), Peter Feeney (John Riis), Min Windle
(Ally Riis), Camille Keenan (Kirsten Toomey), Jack Walley
(Peter Toomey), Elizabeth McRae (Helen Munson), Joe
Dekkers-Reihana (Tom Melanson), Scott Taylor (Paul Jayko),
Grant Tilly (Gus Lambert), Pua Magasiva (Malekai Hamm),
Jared Turner (Aaron), Kelson Henderson (Gabe), John Wraight (Adam Colletta), Dayna Porter (Jeannie Colletta), Kate
Butler (Michelle Robbins), Patrick Kake (Frank Robbins),
Thomas Newman (Larry Robbins), Rachel Maitland-Smith
(Gail Robbins), Abbey-May Wakefield (ragazzina vampira),
John Rawls (Zurial), Andrew Stehlin (Arvin), Tim McLachlan
(Archibald), Ben Fransham (Heron), Kate Elliott (Dawn), Allan Smith (Khan), Jarrod Martin (Edgar), Sam La Hood (Strigoi), Jacob Tomuri (Seth), Kate O’Rourke (Inika), Melissa
Billington (Kali), Aaron Cortesi (Cicero), Matt Gillanders (Daeron)
Durata: 113’
Metri: 2669
dono conto di essere diventati le prede di
un branco di vampiri che, protetti dal buio,
possono uccidere chiunque senza timore di
essere disturbati.
Eben, insieme al fratello Jake, a Stella
e a un gruppo di superstiti, si nascondono
in una soffitta dove, razionando il cibo, trascorrono alcuni giorni. Una volta usciti
allo scoperto, notato come i vampiri, furbescamente, usino alcune delle loro vittime come esche, per attirare i pochi umani
ancora rimasti in vita.
La lotta per la sopravvivenza passa,
quindi, per un continuo gioco del gatto e
del topo, con gli umani che tentano di nascondersi, ma vengono inesorabilmente
scoperti e eliminati, restringendo sempre
più il gruppo dei superstiti.
Il mese intanto sta passando e, con
l’approssimarsi del nuovo periodo di luce,
i vampiri decidono di distruggere il paese
per non lasciare traccia del loro passaggio e riconsegnare, in questo modo, la loro
figura alla leggenda. Per questo, un enor39
me incendio viene appiccato e sfortunatamente Stella, divisa da Eben, si trova nascosta sotto un’auto: le fiamme rischiano
di raggiungerla, ma, allo stesso tempo, è
impensabile uscire allo scoperto per non
cadere vittima dei mostri.
Così Eben si inietta il sangue prelevato da un cadavere infetto, in modo da assorbire i poteri dei vampiri e combattere
con loro a mani nude, permettendo a Stella di fuggire. La lotta con il capo dei mostri vede l’ex sceriffo vincitore e il gruppo
di assassini si dilegua così dalla cittadina.
Il sorgere del sole vede Eben e Stella
riuniti in un abbraccio, mentre i raggi bruciano la pelle dell’uomo, ormai diventato
anche lui un vampiro.
I
l nuovo progetto della Ghost House, la casa di produzione di Sam
Raimi e Robert Tapert specializzata in film horror, possiede più di uno spunto d’interesse, essendo non soltanto tratto da una graphic novel di culto (“30 gior-
Film
ni di notte”), già contesa da molti produttori, ma potendo anche vantare alla regia
il nome di David Slade, fattosi notare con
alcuni videoclip e con un piccolo film, Hard
Candy (ancora inedito in Italia), ben valutato dalla critica estera e dagli appassionati.
La presenza di Steve Niles, già autore
del fumetto, nel ruolo di sceneggiatore,
garantisce, inoltre, la giusta continuità con
la storia originale, aumentando le aspet-
Tutti i film della stagione
tative per l’appassionato desideroso di un
horror di qualità.
In effetti, l’approccio utilizzato da Niles
sembra esattamente lo stesso del fumetto:
non affidarsi, cioè, alla forza del racconto
(semplice e oltremodo slabbrato), puntando invece sulla forza visiva delle immagini,
complice un’interessante fotografia plumbea di Jo Willems, le indovinate location
neozelandesi che riproducono un ambiente artico molto convincente e ottimi effetti
speciali di trucco, che ci regalano vampiri
davvero inquietanti e mostruosi.
Sfortunatamente ciò che può ben funzionare sulla carta non è detto che si riveli
altrettanto efficace su schermo, soprattutto se sono evidenti i compromessi con il
tipico cinema horror industriale, basti pensare al tema della coppia riunita grazie al
pericolo, uno stanco body count e un confronto finale con il capo dei “cattivi”. Da
questo punto di vista, anche la ricercatezza visiva si dimostra comunque insufficiente per sopperire alle enormi carenze di una
sceneggiatura totalmente priva di qualsiasi vincolo di causa ed effetto nelle azioni e
che perciò produce personaggi privi di alcuno spessore e scene spesso incomprensibili. A questo si aggiunga una regia che
alterna momenti eccessivamente asciutti
e piatti con autentiche esplosioni di caos,
che producono scene d’azione in fast-motion alla lunga molto fastidiose.
Il risultato è un film freddo e non coinvolgente, al pari degli altri progetti finora
portati avanti dalla Ghost House (The Grudge, Boogeyman): purtroppo duole constatare come Sam Raimi, pur essendo un regista coraggioso e geniale, non si dimostri
un produttore altrettanto illuminato e si
contenti di sponsorizzare progetti privi di
vitalità.
Davide Di Giorgio
PAURA PRIMORDIALE
(Primeval)
Stati Uniti, 2007
Regia: Michael Kaleman
Produzione: Gavin Polone per Hollywood Pictures/Pariah/Sarah James Productions
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Prima: (Roma 27-7-2007; Milano 27-7-2007) V.M.: 14
Soggetto e sceneggiatura: John D. Brancato, Michael Ferris
Direttore della fotografia: Edward J. Pei
Montaggio: Gabriel Wrye
Musiche: John Frizzel
Scenografia: Johnny Breedt
Costumi: Dianna Cilliers
Produttori esecutivi: Mitch Engel, Jamie Tarses
Produttore associato: David Wicht
Casting: John Papsidera
Aiuti regista: Marchant Bellingan, Leigh Tanchel, Christo van
Schalkwyk
Art director: Fred Du Preez
Arredatore: Melinda Launspach
Trucco: Sue Michel, Juanette Van Der Merwe
Acconciature: Sue Michel, Juanette Van Der Merwe, Rene Rossouw
Effetti speciali trucco: Howard Berger, Gregory Nicotero
Supervisore effetti speciali: Mickey Kirsten
Supervisori effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures),
Paul Linden
Coordinatore effetti visivi: Ashok Nayar (Luma Pictures)
Canzoni/Musiche estratte: “Ni Wakati” composta ed eseguita da Kalamashaka; “Allah Wakbarr” di L. Ifediorama, T.
Sotade, P. Kamson (Ofo & The Black Company); “Compe” di
Simon Kimani (Bamboo(; “Keleya” composta ed eseguita da
Moussa Doumbia; “Truth (Amazing Grace)” composta ed eseguita da Foundation Movement
Interpreti: Dominic Purcell (Tim Manfrey), Brroke Langton (Aviva Masters), Orlando Jones (Steven Johnson), Jürgen Prochnow (Jacob Krieg), Gideon Emery (Mathew Collins), Gabriel
Malerna (Jojo), Linda Mpondo (‘Gold Tooth’), Lehlohonolo Makoko (Beanpole), Dumisani Mbebe (Harry), Eddy ‘Big Eddy’
Bekombo (Ato), Chris April (apitano), Ernest Ndhlovu (Shaman), Erica Wessels (dr. Cathy Andrews), Vivian Moodley
(agente indiano UN), Lika Van Den Bergh (Rachel), Andrew
Whaley (senatore Porter), Patrick Lyster (Roger Sharpe), Jacqui Pickering, Kent Shocknek (giornalisti), Mathias Tabotmbi
(abitante del villaggio), Kgmotoso Motlosi (figlio di Shaman),
Thandi Nugbani (moglie di Shaman), Michael Mabizela (manovale), Thomas Kariuki, Azeez Danmola (pescatori), Pamphile
Nicaye, Emmanuel Nkeshiman, Pierre Calver Nsabimana,
Henry Jeane (batteristi Burundi)
Durata: 93’
Metri: 2450
40
Film
B
urundi, Africa centrale. Un enorme coccodrillo, soprannominato
Gustave dalla popolazione locale, semina il panico e miete vittime di villaggio in villaggio mentre nel paese infuria la
guerra civile fra Hutu e Tutsi. Negli Stati Uniti la curiosità nei confronti della terribile belva diventa una vera caccia dopo la morte di
un’ispettrice inglese. Il giornalista di un
network televisivo, Tim Manfrey, viene incaricato di andare sul posto per un reportage
che porti alla cattura del bestione; per la missione gli vengono affiancati l’amico cameraman Steven Johnson, la giornalista animalista Aviva Masters e il ricercatore Matt Collins che ha costruito una gabbia speciale.
Giunta sul posto, l’equipe viene accolta da una
guida locale che li informa del fatto che l’animale abbia resistito più volte agli spari dei
proiettili. Al terrore seminato da Gustave, si
aggiunge la scia di sangue di cui si macchiano ogni giorno i guerriglieri al servizio del
dittatore Piccolo Gustave che governa come
un re la zona dell’alto fiume Rusizi e che ha
preso il nome dal coccodrillo. Al gruppo si
unisce il cacciatore Jacob Krieg, convinto che
l’animale non possa essere catturato vivo. Il
gruppo si ferma nella zona dove sono localizzati gli attacchi del coccodrillo, nei pressi delle
paludi di Kibira al confine tra Burundi e Ruanda. L’equipe familiarizza con Jojo, un ragazzo che vive nella foresta, ma l’agguato studiato fallisce e Gustave riesce a evitare la trappola. Steven, intanto, ha l’occasione di filmare il massacro di un’intera famiglia ad
opera dei guerriglieri al soldo del dittatore:
Aviva è convinta di poter mostrare quelle immagini al mondo. Ma un guerrigliero, ascoltata la conversazione, informa i capi che gli
americani hanno filmato un’esecuzione nella boscaglia. Il gruppo è braccato dai guerriglieri. Aviva chiede un ponte aereo ma il
coccodrillo li aggredisce e Jacob ci rimette
la vita. Poco dopo, anche Matt muore investito da una jeep di guerriglieri in cerca del
computer con le immagini delle loro esecuzioni. Medesima sorte trova Steven, attaccato dal coccodrillo mentre sta facendo delle
riprese in una palude. Intanto i guerriglieri
minacciano Tim e Aviva: vogliono il loro
computer. Tim scopre che Harry, un funzionario governativo, è in realtà Piccolo Gustave; l’uomo vuole a tutti i costi il computer
che contiene le immagini che lo inchioderebbero. Tim e Aviva portano Harry nella savana con la scusa di recuperare il computer e
gli dicono che il coccodrillo è stato ucciso.
In realtà Gustave è vivo e uccide Harry. Tim
e Aviva riescono a mettersi in salvo. In aereo
Tim e Aviva insieme a Jojo rivedono le riprese effettuate dal povero Steven. Il 15 maggio
2005, il cessate il fuoco tra il governo del
Burundi e i ribelli Hutu pone fine a dodici
Tutti i film della stagione
anni di guerra civile. Gustave invece è ancora vivo e va a caccia sul fiume Rusizi.
S
tupore e paura. Sono state queste le primissime sensazioni provocate nello spettatore dal cinema ai suoi albori. Eravamo alla fine dell’Ottocento e i fratelli Lumière trasmettevano panico negli spettatori al Grand Cafè, proiettando immagini di una locomotiva che correva verso di loro. Il terribile, il pauroso e, con
il passare degli anni, il mostruoso sono stati
certamente i protagonisti della settima arte.
Ed eccoci alla paura primordiale. Un gigantesco coccodrillo miete un gran numero
di vittime saziandosi dei corpi di tanti indigeni in quel del Burundi, uno degli stati dell’Africa centrale più martoriati da guerre civili in anni recenti. Antecedente illustre (molto
molto illustre) del nostro bestione terra-acqua è certamente Lo squalo, geniale invenzione con cui Spielberg era riuscito ad astrarre uno squalo dalla semplice minaccia animale facendolo diventare una bestia inafferrabile che sembrava muoversi secondo
un’intelligenza omicida. Una cosa è certa: il
clima simbolico-fantastico del capolavoro di
Spielberg qui manca del tutto, semmai siamo più dalle parti di film come Alligator (1980)
di Lewis Teague o Lake Placid (1999) di Steve Miner. Ma le somiglianze più evidenti sono
con Anaconda (1997) di Luis Llosa, dove a
seminare il panico nella foresta amazzonica
è un serpentone di circa dodici metri di lunghezza, un predatore talmente mortale da
essere diventato una leggenda e sulle cui
tracce si mette, anche in questo caso, una
troupe televisiva per molti versi simile a quella
che caccia un coccodrillone nell’Africa nera.
Ma qui c’è di più. All’intreccio tra horror
(ben poco a dire il vero), action movie (tanto
tanto action tra le foreste, le savane e i fiumi
dell’Africa centrale) e fantastico (anche questo dispensato in dosi massicce, avete mai
visto un coccodrillo lungo circa nove metri
capace oltretutto di percorrere a forte velocità chilometri e chilometri sulla terra ferma?)
si è sovrapposto il tema “impegnato” della
guerra civile fra Hutu e Tutsi che ha occupato le cronache di pochi anni fa. Ed ecco il
pasticcio, mescolare il tema della natura e
del mostruoso che si ribella all’uomo (frasi
tipo “La guerra civile, il genocidio, tutti quei
cadaveri nell’acqua, così Gustave ha preso
gusto alla carne umana, siamo noi che costruiamo e creiamo i nostri mostri” sono
messe in bocca all’eroico giornalista d’assalto) con il tema dell’antibellicismo svolto
con superficialità scolastica. La ribellione
della natura come conseguenza della guerra! Ecco fatto. Ce ne aveva parlato già Spielberg ma attraverso modi, linguaggi e simboli lontani anni luce. Il suo squalo rimandava
si a quel concetto di natura distruttrice, cieca e feroce, ma vista come parte dell’anima
umana da combattere e riproposta in un
mondo dove è l’uomo che minaccia la natura stessa. Senza fronzoli e senza discorsetti. Solo una pinna minacciosa.
Qui c’è di tutto, e di più. E semmai dovesse mancare qualcosa, aggiungiamo
pure uno sciamano che evoca in trance
uno spirito malvagio e una discussione tra
i nostri eroi sull’impotenza di organismi
come le Nazioni Unite di fronte a genocidi
di massa e sull’opportunità di mostrare i
massacri che avvengono in terra d’Africa
al mondo intero, quello stesso mondo che
spesso si è dimostrato poco interessato ai
problemi del “continente nero”. E piazzare
in bocca a un cameraman (nero per di più)
frasi ciniche sul menefreghismo delle grandi potenze per ciò che avviene in Darfur o
in Burundi assesta il colpo letale alla favoletta avventurosa. Non era meglio fermarsi agli effetti speciali animatronic o alle
immagini ricostruite al computer di un coccodrillone che corre per la savana?
Elena Bartoni
PAROLE SANTE
Italia, 2007
Regia: Ascanio Celestini
Produzione: Domenico Procacci per Fandango
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 1-2-2008; Milano 1-2-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Ascanio Celestini
Direttore della fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Alessandro Pantano
Musiche: Roberto Boarini, Matteo D’Agostino, Gianluca Casadei, Ascanio Celestini
Interpreti: Rosa Rinaldi (sottosegretario al Ministero de Lavoro), Alessio Dee Luca,
Walter Schiavella (sindacalisti CGIL), Ascanio Celestini, Collettivo PrecariAtesia
Durata: 75’
Metri: 2060
41
Film
R
oma, quartiere Cinecittà, accanto a uno dei centri commerciali
più grandi della capitale, circa
quattromila lavoratori precari attraversano
ogni giorno per ventiquattro ore il portone
di un’anonima palazzina, una fabbrica di
occupazione a tempo determinato che sembra un condominio qualunque. Tra di loro,
alcuni operatori telefonici hanno organizzato un’Associazione Coordinata e Continuativa contro la Precarietà. Si, perché a Roma
c’è un realtà produttiva di circa quattromila
persone che non ha neanche un dipendente
diretto. Questo è il più grande call-center italiano, si chiama Atesia, vanta circa trecentomila telefonate al giorno. Attraverso le
parole dei lavoratori, si entra a contatto con
una realtà che ha dell’incredibile. Alcuni di
loro ci spiegano come si entra a far parte di
Atesia: dopo una serie di colloqui preliminari e di lunghi test psicologici, si deve seguire un corso preparatorio di tre settimane
non retribuito. Poi si entra nel call-center. Il
primo problema che si deve affrontare tutto
da soli è la ricerca della postazione di lavoro: ogni volta ogni operatore si deve cercare
una postazione che spesso è sporca, scomoda, non funzionale. Non si ha diritto a ferie,
né a malattie. L’età media dei lavoratori è
superiore ai trent’anni, per molti di loro si
tratta del lavoro col quale mantenere la famiglia: trentasei ore a settimana per cinquecento euro. Il numero telefonico del call-center è gratuito, quindi può capitare di tutto: di
notte chiamano i maniaci che non possono
permettersi le hot-line a pagamento, di giorno chiamano i ragazzini per fare scherzi telefonici. Gli operatori sono retribuiti in base
al numero e alla durata delle chiamate, sotto i venti secondi non vengono neanche pagati, mentre per le telefonate superiori ai venti
secondi vengono pagati ottantacinque centesimi a telefonata. Per telefonate superiori
ai due minuti e quaranta però, la paga viene
abbassata. Ad un certo punto, i lavoratori
decidono di fermarsi, si organizzano in collettivi e si riuniscono nella sala del comitato
di quartiere. Nasce, così, il primo sciopero.
Ma nel luglio 2005 sono partiti i licenziamenti per assemblea non autorizzata e interruzione di servizio. Nel luglio 2006, sarebbero scaduti molti contratti, c’era un accordo che Atesia aveva sottoscritto ma che non
viene rispettato. Nel maggio 2006, a molti
lavoratori non viene rinnovato il contratto.
Per di più, c’era una specie di lista nera su
cui c’erano i nomi di chi faceva parte del
collettivo. Tagliati, non confermati. L’ispettorato del lavoro viene chiamato in causa,
dà ragione ai lavoratori e impone l’assunzione di più di tremila persone. L’Atesia però
ricorre in appello bloccando gli effetti dell’ispezione. Nell’autunno del 2006, ci si oc-
Tutti i film della stagione
cupa del lavoro precario, la CGIL firma con
Atesia un accordo per l’assunzione dei lavoratori con contratto part-time a 550 euro al
mese. I lavoratori che firmano il contratto
devono sottoscrivere anche una liberatoria
che evita multe all’azienda. Salvatore, un
operatore precario, è stato licenziato per una
frase pubblicata sul giornaletto del collettivo ritenuta offensiva. Finite le interviste,
Ascanio Celestini fa le sue riflessioni; l’Atesia è un Titanic con tutte le luci accese e con
la musica che suona, ma l’acqua sta già inondando la nave. Nei mesi scorsi, quindici lavoratori e lavoratrici sono stati raggiunti da
avvisi di garanzia con la motivazione di aver
gridato slogan contro la precarietà.
L’
immagine più eloquente della
realtà raccontata dal film-documentario Parole sante di Ascanio Celestini è quella della proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso” racchiusa nel
monologo-apologo recitato dal bravo attoreautore romano all’inizio e alla fine del suo
lavoro. Si spiega bene come un rubinetto che
perde una piccola goccia dopo l’altra, se nessuno se ne preoccupa, rischia di provocare
un diluvio devastatore che farà crollare l’intero palazzo. Un diluvio distruttivo, una catastrofe. Il bel documentario di Celestini, che
quasi si scusa per aver girato un film “un po’
loffio, un po’ moscio perché privo di azione e
avventura”, non è per niente “moscio” anzi,
possiede una grande forza dirompente che
ha il merito di gettare in faccia allo spettatore quello che tutti sappiamo, ma che non abbiamo forse il coraggio di denunciare. Siamo tutti a bordo di un gigantesco Titanic, l’orchestra continua a suonare come da contratto, ma stiamo tutti ballando sull’orlo di un
baratro. Tantissimi giovani, l’esercito dei co-
siddetti “precari” (ma non solo purtroppo,
oppure alle soglie dei quaranta si deve essere considerati ancora giovani?) non riescono a vivere, forse solo a (soprav)vivere
senza alcuna possibilità di guardare al futuro, perché non hanno un lavoro, oppure se
lo hanno, vanno a infoltire quell’esercito di
“precari” con contratti a termine che spesso
non vengono rinnovati e che, comunque, se
sono tra i fortunati, possono contare su una
paga di cinquecento euro al mese o giù di lì.
Il caso del “gigante” Atesia (il più grande callcenter italiano) raccontato dalle testimonianze registrate da Celestini la dice lunga. Mostra come chi ha provato a riunirsi in un collettivo e a protestare sia stato licenziato e in
qualche caso raggiunto addirittura da avvisi
di garanzia. Ci chiediamo smarriti: dove sono
le forme di rappresentanza sociale? E i
sindacati? E il governo? Ah già, dallo stesso
documentario apprendiamo che i sindacati
confederali sono quei signori che firmano con
Atesia un accordo che prevede l’assunzione
part-time di parte dei lavoratori precari. Una
mezza vittoria? Meglio un condono forse, anzi,
come ha osservato Celestini, un’amnistia.
Anche perché firmando una liberatoria si libera l’azienda dal rischio di una multa.
Flessibilità. Che parola di moda! Il bravo attore-regista riesce con stile semplice, chiaro e mai urlato, nell’intento di cancellare l’idea che la flessibilità possa essere uno strumento per far calare la disoccupazione, senza usare grimaldelli ideologici o politici. Ma si, forse è meglio intenderla in senso letterale, e cioè che il lavoratore deve dimostrarsi davvero “flessibile”, nel senso di “piegarsi” meglio e più che
può. Parole sante, queste si!
Elena Bartoni
BIÙTIFUL CAUNTRI
Italia, 2007
Regia: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio, Giuseppe Ruggiero
Produzione: Lionello Cerri per Lumière & Co.
Distribuzione: Lumière & Co.
Prima: (Roma 7-3-2008; Milano 7-3-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio, Giuseppe
Ruggiero
Direttore della fotografia: Alessandro Abate
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Paranza Vibes (Valerio Camporini Faggioni, Guido Zan)
Suono: Daniele Marianello, Marta Billingsey, Bruce Morrison, Paolo Segat
Interpreti: Raffaele Del Giudice, Mario Garlando, Patrizia Garlando, Mario Cannavacciuolo, Sabatino Cannavacciuolo, Antonio Montesarchio, Donato Ceglie, Giulio
Treccagnoli, Umbero Arena, Salvatore Picone (se stessi)
Durata: 72’
Metri: 2320
42
Film
I
l documentario racconta quel che
oggi accade nel così detto “triangolo della morte” – zona nella provincia di Napoli compresa tra le località
di Acerra, Qualiano, Giuliano e Villaricca
– a quattordici anni dal commissariamento della Regione Campania per l’emergenza rifiuti, pochi mesi prima che scoppi la
nuova recente crisi.
Il percorso del film è una vera e propria via crucis lungo le ferite, che negligenza e delinquenza hanno inflitto a quelle terre. S’inizia dalla discarica di Villaricca. A guidare il triste pellegrinaggio è
Raffaele Del Giudice, rappresentate locale di Legambiente, da anni coinvolto con
rabbia e passione nella denuncia dei crimini e delle inadempienze che stanno condannando a morte vaste zone della regione Campania. Si passa poi ai pecorai che,
da millenni nella zona, ancora pascolano
le greggi accanto a discariche e impianti
industriali. Ma gli armenti sono ammalati,
il latte inquinato dalla diossina, che si accumula nelle falde acquifere, nei terreni e
nei corpi degli animali; la stessa vita degli
uomini e delle donne che abitano queste terre è a rischio. Le pecore fino a pochi mesi
prima destinate alla produzione di latte e
formaggi commestibili e certificate sono
oggi destinate all’eliminazione, al macero,
che spesso raggiungono già morte.
Gli agricoltori raccontano come Acerra e i dintorni fossero storicamente tra le
regioni del Suditalia più fertili e rigogliose;
ora le polveri tossiche si accumulano sulle
produzioni agricole prima ancora che possano giungere a maturazione, ne soffocano
la crescita, ne impediscono la vendita sul
mercato; gli alberi centenari, accerchiati da
scarti industriali, inaridiscono, l’acqua che
irriga i campi è avvelenata dagli sversamenti abusivi nei pozzi. Dietro lo sfacelo, l’ormai acclarata presenza della camorra, che
sullo smaltimento dei rifiuti industriali provenienti da tutta Italia organizza un enorme giro di denaro, e che punta a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sul
problema dei rifiuti solidi urbani – l’immondizia –, distogliendola dal più serio e vasto
di quelli provenienti dalle grandi industrie
di tutta Italia.
Con l’emissione d’un bando per la costruzione di un sistema d’impianti per lo
smaltimento dei rifiuti sembra aprirsi una
via d’uscita: ma la gara è vinta dalla Fibe
Impregilo – società controllata dalla famiglia Romiti –, che progetta e realizza, solo
parzialmente, impianti vecchi e inefficaci.
Dopo azioni giudiziarie, trattative e
gare d’appalto andate deserte, la gestione
degli impianti e la costruzione delle nuove
strutture necessarie è oggi tornata nelle
Tutti i film della stagione
mani della società inadempiente alla quale erano state sottratte.
L’Unione Europea ha multato l’Italia
per le sue 4886 discariche abusive tollerate in tutto il suo territorio nazionale.
I
l film porta la firma dei tre autori,
Esmeralda Calabria, montatrice,
Andrea D’Ambrosio, regista, Peppe Ruggiero, giornalista, ed è il risultato
degli oculati, ma pur sempre coraggiosi
sforzi del produttore Lionello Cerri. Dalla
necessità di conoscere e raccontare una
vicenda vicina e urgente come questa, il
documentario è presto diventato film solido e convinto, lontano dall’improvvisazione o dal sensazionalismo del reportage,
capace invece di usare il mezzo cinematografico in modo agile ma compiuto anche su temi tanto incandescenti. Come
sempre, buona parte della solidità del film
deriva dalla nettezza di alcune scelte iniziali. Così il documentario, pur coinvolgendo materiali eterogenei – le intercettazioni
telefoniche e le riprese prodotte in sede
d’indagine dai Carabinieri e dalla Guardia
Forestale – non si disperde nella disamina di nomi e dati, ma si dà il tempo di guardare. Nei campi larghi sui ributtanti laghi
di melma, sui monti di polveri e le piramidi
di ecoballe, nei primi piani dei volti dei pastori e degli agricoltori, nelle inquadrature
sui paesaggi naturali stravolti dalla violenza e dall’incuranza diventa leggibile un
dramma che non è solo d’una regione, ma
di tutto il nostro paese; affiora davanti agli
occhi l’immagine brutalmente esplicita del
fallimento d’una classe dirigente, politica
culturale ed economica, delle sue colpe e
di quelle di chi – noi tutti cittadini italiani –
l’ha autorizzata e assecondata. Il film, uscito nelle sale con la bellezza di venti copie
(cinque in più del molto discusso Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi), conferma una sempre più evidente crescita del
cinema documentario nel nostro paese.
Silvio Grasselli
COUS COUS
(La graine et le mulet)
Francia, 2007
Regia: Abdellatif Kechiche
Produzione: Claude Berri per Pathé Renn Productions/Hirsch. In coproduzione con
Ciné Cinémas/France 2 Cinéma
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 11-1-2008; Milano 11-1-2008)
Soggetto: Dominique Arce
Sceneggiatura: Abdellatif Kechice. Con i dialoghi di Ghalya Lacroix
Direttore della fotografia: Lubomir Bakchev
Montaggio: Ghalya Lacroix
Scenografia: Benoît Barouh
Costumi: Maria Beloso-Hall
Produttore esecutivo: Pierre Grunstein
Produttore associato: Nathalie Rheims
Direttori di produzione: Benjamin Hess, Benoît Pilot
Casting: Morgane Bourhis, Anne Fremiot, Monya Galbi
Aiuti regista: Carlo De Fonseca Parsotam, Morgane Bourhis, Raphaël De Vellis,
Monya Galbi
Operatore: Sofian El Fani
Operatore steadicam: Fabrice Sebille
Acconciature: France Rossi
Suono: Eric Armbruster, Nicolas Waschkowski
Interpreti: Habib Boufares (Slimane Beiji), Hafsia Herzi (Rym), Faridah Benkhetache
(Karima), Abdelhamid Aktouche (Hamid), Bouraouïa Marzouk (Souad), Alice Houri
(Julia), Cyril Favre (Sergueï), Leila D’Issernio (Lilia), Abdelkader Djeloulli (Kader), Bruno
Lochet (Mario), Olivier Loustau (José), Sami Zitouni (Majid), Sabrina Ouazani (Olfa),
Mohamed Benabdeslem (Riadh), Hatika Karaoui (Latifa), Nadia Taouil (Sarah), Henri
Rodriguez (Henri), Bruno Lochet (Mario), Mohamed Karaoui (Lafita), Nadia Taoul (Sarah), Carole Franck (un’invitata), Paloma Casanova, Doris Stern, Salah Zaït (invitati
sulla barca), Henri Cohen (Claude Dorner), Jeanne Corporon (la banchiera), Violaine
de Carne (sig.ra Dorner), Nourdine Midoun (Thomas), Gilles Matheron
Durata: 151’
Metri: 4000
43
Film
N
el porto di Sète (Marsiglia) il giovane Majid, guida turistica, si
trastulla con una francese bianca con la quale intrattiene una relazione
clandestina.
A pochi metri di distanza il padre Slimane sta per chiudere la sua lunga carriera al cantiere navale: tra giri di parole e
scuse reticenti il principale gli fa capire
che la sua presenza non è più gradita. Il
vecchio immigrato magrebino prende la
cosa con la sua caratteristica flemma e,
dopo qualche rimostranza, se torna a casa.
Arriva presto domenica, il giorno in cui
la famiglia si riunisce.
Slimane è divorziato; lasciata la casa
della moglie, si è sistemato in una delle stanze dell’alberghetto della sua nuova compagna. Lì lo raggiungono i due figli maschi,
Majid e Riadh, che vengono dal pranzo domenicale a casa di Souad, la madre lasciata da Slimane e gli portano un po’ del suo
leggendario cous cous di pesce. Al pranzo
hanno partecipato tutti, figli e figlie, nipoti,
generi e nuore; amicizie e inimicizie, amori
e odii, lodi e insulti, tutto ha avuto il suo
posto nella grande messa in scena del giorno di festa, davanti al ricco cous cous della
“matriarca” Souad assisa in trono.
Nella stanza di Slimane, i due ragazzi
incontrano Rym, la giovane figlia della
nuova compagna del vecchio, che senza
complimenti si mette a mangiare con foga
accanto a lui, mentre Riadh la spia con
sguardo rapito.
Quando il patrigno decide d’investire la
sua liquidazione in una vecchio progetto, la
ragazza è la prima a sostenerlo: l’idea è di
metter su un ristorante di cous cous a bordo
Tutti i film della stagione
d’una barca ormeggiata nel centro della città. Il primo passo è l’acquisto d’una vecchia
bagnarola che padre e figlio – il più piccolo
Riadh – rimettono a nuovo in pochi giorni.
Mancano però i permessi per l’attracco, le
autorizzazioni sanitarie e soprattutto manca
il finanziamento della banca, senza il quale
l’impresa di Silmane non potrà mai neppure
iniziare. Rym e Slimane fanno visita a segretari, ispettori, sovrintendenti e perfino al sindaco in persona; ma l’intrico della burocrazia sembra porre un ostacolo insormontabile al progetto del vecchio. Ancora una volta
Slimane dimostra la sua perseveranza organizzando una serata dimostrativa a bordo
della barca che ormai è pronta per ospitare
il ristorante. Ed è ancora la sfacciata e impulsiva Rym a coinvolgere i vecchi immigrati musicanti che passano le giornate al bar
dell’alberghetto, felici di poter sostenere con
la loro musica il progetto dell’amico.
Arriva la sera fatale, è Slimane ad accogliere i molti invitati tra rappresentati d’istituzioni e di banche, ristoratori, e amici; figlie e figlie pronti a servire gli ospiti. Le cose
procedono bene, al punto che tra i convitati
già serpeggiano invidie e maldicenze.
Ma, al momento di servire il cous cous,
Majid scopre tra gli invitati la sua amante,
la moglie del sindaco; preso dal panico, farfuglia qualche scusa al fratello e corre via,
portando con sé le pentole ancora nell’auto.
Tra le sorelle scoppia la rabbia e lo
sconcerto; gli ospiti intanto iniziano a mostrare insofferenza per la lunga attesa. Mentre Slimane si lancia alla ricerca di Souad
perché risolva l’intoppo, Rym, rimasta fino
all’ultimo momento insieme alla madre restia a presentarsi alla serata, indossa un
provocante costume color porpora e danza
quasi ipnotizzando gli invitati.
Souad però non si trova e, per di più,
un terzetto di piccoli balordi ruba il motorino a Slimane.
Nella notte d’angoscia e disperazione
Rym danza freneticamente senza sosta e
Slimane rincorre i giovani aguzzini che ridono degli sforzi del vecchio, fino a che
l’uomo non cade a terra stremato.
I
l terzo lungometraggio diretto dal
franco-magrebino Abdellatif Kechiche è stato presentato con grande
successo in concorso all’ultima Mostra del
Cinema di Venezia. Anche se poi i premi
ottenuti non hanno soddisfatto né le aspettative della critica e neppure quelle, legittime ed esplicite, del regista che al festival
lagunare è particolarmente legato. È dunque facilmente comprensibile che la distribuzione italiana abbia voluto presentarlo
come “Il Leone d’Oro del pubblico e della
critica”. Lasciando da parte le questioni festivaliere (sempre relativamente interessanti), passiamo all’analisi dei meriti, effettivi e numerosi, del film.
Kechiche dirige con mano ferma un folto
gruppo d’attori, molti dei quali alla prima
esperienza da professionisti e ne fa orchestra intonata, affiatato gruppo capace di dar
vita con efficacia allo spartito meticolosamente preparato dal regista, ma anche di deviare in scoppi d’improvvisazione in armonica
consonanza con lo script. Il talento dimostrato
nella direzione degli interpreti deriva al regista dai suoi inizi come attore di cinema.
“Non voglio andarmene senza prima
aver lasciato qualcosa ai miei figli”. È il motto
del protagonista, la sintesi di tutta la sua
vita, spesa nel lavoro, per la famiglia: se il
primo è “lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza”, anzi lotta contro il proprio annientamento, la seconda è il gruppo, la comunità, una rete sociale piena di “smagliature”,
eppure in grado di produrre effetti più che
concreti. Questo è il punto in cui il film mostra la sua forza politica. La sofferenza e
l’angoscia degli ultimi minuti svelano il discorso che si va componendo fin dall’inizio.
Non solo il testo di Kechiche dice la necessità e il significato della relazione e della
solidarietà, della famiglia e della comunità,
ma va ben oltre, smascherando il mito neooccidentale individualista del “trionfo della
volontà”; il volto di Slimane porta chiari i
segni d’una vita consumata nell’ostinata
resistenza alle avversità, eppure la sua determinazione non può nulla contro l’accanirsi dell’esclusione e del rifiuto che la “società dei bianchi” gli getta addosso.
Silvio Grasselli
44
Film
Tutti i film della stagione
JOHN RAMBO
(Rambo)
Stati Uniti/Germania, 2008
Coordinatore effetti speciali: Rangsun Rangsimaporn
Supervisori effetti visivi: Wes C. Caefer, Nikolay Gachev,
Veselina Georgieva, Velichko Ivanov, Peter Tomov
Coordinatori effetti visivi: Milena Peneva, Nick Peshunoff
Supervisore costumi: Sean Gundlach
Supervisore musiche: Ashley Miller
Canzoni/Musiche estratte: “Tiny”, “The Wishing Well” composte ed eseguite da Jake La Botz
Interpreti: Sylvester Stallone (John Rambo), Julie Benz (Sarah), Matthew Marsden (mercenario), Graham McTavish
(Lewis), Raynaldo Gallegos (Diaz), Jake La Botz (Reese),
Tim Kang (En-joo), Maung Maung Khin (maggiore Pa Tee
Tint), Paul Schulze (Michael Burnett), Cameron Pearson
(Jeff, missionario), Thomas Peterson (dentista, missionario), Tony Skarberg (missionario), James With (predicatore, missionario), Kasikorn Niyompattana, Shaliew Manrungbun (cacciatori di serpenti), Supakorn Kitsuwon (Myint),
Aung Aay Nou (tenente Aye), Ken Howard (reverendo Arthur Marsh), Aung Theng (leader pirati), Pornpop Kampusiri (proprietario villaggio serpenti), Wasawat Panyarat (MC
villaggio serpenti), Kammul Kawtep (giovane ammaliatore
villaggio serpenti), Sornram Patchimtasanakarn (Tha), Noa
Jei, Kjan Saen (interpreti Karen),Aun Lung Su, Pan Dokngam, Han Pik, Tip Tiya, Nee Lungjai, Moan Adisak (guardie), Mana Sen-Mi (capitano nave), Toole Khan Kharm (sergente), Warcharentr Sedtho (ragazzo), Yupin Mu Pae, Somsak Wongsa, Surachai Muangdee, Saiwan Lungta, Rapimpa Dibu, May Kung
Durata: 91’
Metri: 2740
Regia: Sylvester Stallone
Produzione: Sylvester Stallone, Kevin King, Avi Lerner,
John Thompson per Rogue Marble/Emmett-Furla Films/
Equity Pictures Medienfonds GmbH & Co. KG IV/Lionsgate/Millennium Films/Nu Image Films/The Weinstein Company
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008)
Soggetto: dai personaggi ideati da David Morrell
Sceneggiatura: Art Monterastelli, Sylvester Stallone
Direttore della fotografia: Glen MacPherson
Montaggio: Sean Albertson
Musiche: Brian Tyler
Scenografia: Franco Giacomo Carbone
Costumi: Lizz Wolf
Produttori esecutivi: Peter Block, Boaz Davidson, Danny
Dimbort, Randall Emmett, Jon Feltheimer, George Furla, Josef Lautenschlager, Florian Lechner, Trevor Short, Andreas
Thiesmeyer, Bob Weinstein, Harvey Weinstein
Produttori associati: David Morrell, Christopher Petzel
Casting: Sheila Jaffe
Aiuti regista: William Paul Clark, Inthira Sawantrat, Tracey Poirier, Phattana Sansumran
Operatori: Daniel Page McDonough, Vern Nobles
Operatore steadicam: Gilles Corbeil
Art director: Suchartanun ‘Kai’ Kuladee
Arredatore: Witoon Suanyai
Supervisore trucco: Scott H. Eddo
Supervisore effetti speciali: Alexander Gunn
J
ohn Rambo trascorre la sua vita
a Bangkok dove raccoglie veleno dai serpenti in completo isolamento. Un giorno, un gruppo di volontari occidentali gli chiede di traghettarli,
sotto lauto compenso, verso la Birmania
per portare aiuti umanitari nelle zone oppresse dal regime Ragoon.
L’uomo accetta con difficoltà e consiglia al gruppo prudenza in quelle zone,
perché estremamente pericolose. Poco tempo dopo il loro arrivo, infatti, vengono imprigionati durante un attacco compiuto dal
regime. Rambo, saputolo, si unisce a una
compagnia di mercenari, inviati in quella
zona per liberarli. Le operazioni di salvataggio vengono programmate per la notte,
ma qualcosa va storto e, vista l’impossibilità di recuperare tutti i prigionieri, il gruppo decide di sacrificarne qualcuno e scappare via prima di essere presi. Rambo,
però, non è dello stesso avviso, rimane lì
insieme a un altro soldato e porta in salvo
anche l’ultima rapita. Durante la fuga, i
mercenari vengono raggiunti dalla polizia
che si appresta a fare una carneficina. Con
grande tempestività, Rambo arriva in loro
soccorso e inizia a sparare all’impazzata,
scatenando una guerriglia che vede soccombere tutti i militari del regime, permettendo ai volontari di salvarsi.
Dopo questa esperienza, John Rambo
decide di ritornare nella sua terra e ai suoi
affetti negli Stati Uniti.
P
er chi è stato ragazzino negli anni
Ottanta, Rambo è un mito e i miti
non possono essere toccati,
neanche quando il tempo ha inesorabilmente tolto loro il vigore fisico o trasformato la furia virile in ascetica crisi. Mai.
Dunque, ci accosteremo a questa pellicola in punta di piedi senza lasciarci influenzare da piccoli intellettualismi (di matrice
sessista) che riducono il senso critico, ma
neanche abbandonandoci alla nostalgia
che è altrettanto dannosa per una giusta
analisi dell’opera.
Sono passati vent’anni dall’ultima volta che Sylvester Stallone ha vestito i pan45
ni di Rambo, un’esperienza ricordata da
tutti come una clamorosa figuraccia diplomatica (il film narrava l’intervento statunitense in territorio afgano contro i russi e
uscì in concomitanza con l’inizio della Perestrojka). Dopo questa gaffe, l’eroe si è
ritirato a vita monastica ed è così che lo
ritroviamo in John Rambo con il volto immobile, lo sguardo stanco di chi ha visto
tutto, parco di emozioni e di parole, un
uomo, in definitiva, deluso da non si sa
bene cosa.
A riaccendere il suo animo guerriero
un gruppetto di missionari, o meglio un
gruppetto di occidentali benestanti con
velleità umanitarie, che gli fa riabbracciare le armi contro i militari del governo birmano. Il resto è scontato per gli aficionados: una carneficina che vede bombe, arti
mozzati, mitragliette e tanto tanto sangue.
Ma sempre per un buon motivo, in questo caso la silenziosa (perché se ne parla poco) guerra in terra birmana, tema
molto caro a Stallone che però nel film
viene ridotto a mero pretesto per scate-
Film
nare l’inferno interiore del suo personaggio.
C’è una differenza sostanziale fra John
Rambo e i tre episodi che lo hanno preceduto: una fortissima malinconia di fondo
che permea in tutta la pellicola e che, in
alcuni momenti, si trasforma in pietà, la
stessa che aleggia in quei programmi te-
Tutti i film della stagione
levisivi che ripropongono vecchie glorie
costrette a elemosinare attenzione. Molto
triste, ma viene da sospettare che, in questo caso, tali sensazioni così poco virili siano una scelta voluta per andare al di là
dell’icona e far risaltare l’uomo in tutta la
sua debolezza. Non a caso viene usato,
come titolo del film, il nome completo del
personaggio. E quel John, un nome comune adatto a un impiegato come a un musicista di strada, nella narrazione ha più peso
del testosteronico Rambo.
Questo è forse il riscatto che ha scelto
Stallone per il suo alter ego cinematografico di cui, secondo vecchie interviste degli anni Novanta, non andava fiero. Un riscatto che ha voluto gestire in prima persona non solo reinterpretandolo, ma anche curandone (e bene) la regia.
Bisogna ammettere, infatti, che come
regista non è malaccio, anzi si dimostra
perfettamente conforme agli standard di
genere, come attore invece è quello che
è, i suoi punti di forza sono una fisicità
nerboruta e una “maschera” che non può
essere sostituita, neanche da chi ha qualità recitative nettamente superiori (per sua
fortuna!).
Nel complesso il film non delude le
aspettative, pur essendo estremamente
prevedibile. Sostanzialmente offre ciò che
lo spettatore vuole (ri)vedere e lo fa, forse,
per l’ultima volta perché John ha ritrovato
la sua strada, quella di casa, con buona
pace dei suoi nemici davanti e dentro lo
schermo.
Francesca Piano
PARLAMI D’AMORE
Italia, 2007
Scenografia: Tonino Zera
Costumi: Maurizio Millenotti
Casting: Laura Muccino
Suono: Gaetano Carito, Luca Anzellotti, Antonio Pulli, Gilberto
Martinelli
Interpreti: Silvio Muccino (Sasha), Aitana Sánchez-Gijón
(Nicole), Carolina Crescentini (Benedetta), Andrea Renzi
(Lorenzo), Flavio Parenti (Tancredi), Max Mazzotta (Fabrizio), Geraldine Chaplin (Amelie), Giorgio Colangeli (Riccardo)
Durata: 115’
Metri: 2500
Regia: Silvio Muccino
Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz,
Matteo De Laurentiis per Cattleya/Alquimia Cinema. In collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 14-2-2008; Milano 14-2-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Silvio Muccino e Carla Vangelista
Sceneggiatura: Carla Vangelista, Silvio Muccino
Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche: Andrea Guerra
R
oma, giorni nostri. Sasha ha venticinque anni; per vivere fa il parquettista, “riporta in vita il legno” per dirla con lui. L’infanzia l’ha trascorsa in una comunità di recupero, perché i genitori (il padre morto, la madre
scappata chissà dove) erano tossicodipendenti. Fa fatica ad ambientarsi alla vita,
ancora di più a manifestare l’amore che
prova da quasi vent’anni per Benedetta,
compagna di giochi quando bambina, ora
ragazza ricca e viziata, frequentatrice di
giri poco raccomandabili. Lavorare nella
villa del padre di lei, però, potrebbe aiutarlo a riavvicinarla a sé. Oltre a questo,
troverà nella quarantenne Nicole – conosciuta dopo un rocambolesco incidente
d’auto – la migliore delle amiche in fatto
di consigli sulla seduzione e simili. Ci vorrà del tempo, ma alla fine i due si accorgeranno che l’amore che stavano cercando
si nascondeva proprio dietro la loro ami46
cizia: la donna, rifugiatasi in un matrimonio che le regalava sicurezza senza passione, dopo essere scappata dalla Francia, in seguito al suicidio dell’uomo che
amava, inizialmente terrà a bada la scintilla scoppiata nei confronti di Sasha che,
da par suo, dovrà passo dopo passo cancellare i fantasmi del passato, inclusa Benedetta. Prima il confronto/scontro col
cugino/amico arrivato a Roma con grandi
propositi lavorativi, svaniti nuovamente
Film
nell’eroina e terminati con la morte sotto
un tunnel investito da un auto, poi la sfida
risolutiva al tavolo verde con Riccardo,
vecchio “tutore” acquisito e maestro di
poker al quale Sasha non ha ancora perdonato l’improvviso allontanamento.
S
ilvio Muccino, ventisei anni, esordisce alla regia portando sullo
schermo Parlami d’amore, tratto
dal libro omonimo scritto insieme a Carla
Vangelista, qui coautrice della sceneggiatura. Lo fa mettendo nel film “tutto se stesso”, a cominciare dai tanti (e pomposi) rimandi cinefili di appassionato spettatore
(una passeggiata su Ponte Sisto che dovrebbe far pensare al Godard di Fino all’ultimo respiro, un pestaggio davanti al
muro di Il conformista, senza contare un
Tutti i film della stagione
accenno in DVD di L’atalante di Jean Vigo,
o la scena della festa chiaro omaggio all’orgia in maschera dell’ultimo Kubrick in
Eyes Wide Shut), proseguendo con le citazioni musicali (“non conosci Chet
Baker?”...), per terminare con i brani scelti
per la colonna sonora, a dir poco onnipresenti. Fosse solo questo, ci troveremmo
davanti a un giovane autore – che ovviamente ben si guarda dal mettersi in disparte, rimanendo solo al di qua della macchina da presa –, magari impaurito di fronte
all’idea di snellire o alleggerire il testo per
timore di non arrivare a quanta più gente
possibile: ma il problema è estendibile, non
limitato agli elementi di cui sopra e pervade l’intero contesto finendo per sovresporlo
a 360°. Il veicolo emozionale è affidato non
a una cernita dolorosamente sentita, ma
imbustato in confezioni da ipermercato,
accattivante a tutti i costi, alla fine esasperante e logorroico, semplicemente indigeribile. Si faccia attenzione a queste derive
ormai incontrollabili del famigerato “nuovo
cinema giovane italiano”: può andar bene
soffermarsi sui turbamenti adolescenziali
di un gruppetto di maturandi, ma raccontare così una storia, parlando all’infinito
d’amore senza aver minimamente idea di
come rappresentarlo col silenzio di un’immagine, dovrebbe far riflettere. Soprattutto chi ha deciso di elargire finanziamenti a
scatola chiusa, contando semplicemente
sul ritorno in termini di box office che, guarda caso, il primo weekend è stato ben al di
sotto delle aspettative.
Valerio Sammarco
NON È UN PAESE PER VECCHI
(No Country for Old Men)
Stati Uniti, 2007
Regia: Joel ed Ethan Coen
Produzione: Joel ed Ethan Coen, Scott Rudin per Paramount
Vantage/Miramax Films/Scott Rudin Productions/Mike Zoss
Productions
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) V.M.: 14
Soggetto: dal romanzo omonimo di Cormac McCarthy
Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen
Direttore della fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joel ed Ethan Coen
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Mary Zophres
Produttori esecutivi: Robert Graf, Mark Roybal
Produttore associato: David Diliberto
Direttori di produzione: Robert Graf, Omar Veytia
Casting: Ellen Chenoweth
Aiuti regista: Betsy Magruder, Bac DeLorme, Jai James, Taylor Phillips
Art director: John P. Goldsmith
Arredatore: Nancy Haigh
Trucco: Jean Ann Black
Acconciature: Paul LeBlanc
Effetti speciali trucco: Christien Tinsley
Coordinatori effetti speciali: Peter Chesney, Jason Hamer
Supervisore effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures)
Operatore: Roger Deakins
“P
erché l’ho sempre saputo che
uno dev’essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro. E io sono sempre stato disposto. Non per
vantarmene ma è così. Se non sei disposto a
morire quelli lo capiscono. Lo vedono in un
batter d’occhio. Credo che dipenda soprat-
Supervisore costumi: LoriDeLapp
Canzoni/Musiche estratte: “Puño de tierra” di Michael Eloy
Sanchez (Angel H. Alvarado jr., David A. Gomez, Milton Hernandez, John Mancha); Las mañanitas” eseguita da Lola Beltran
Interpreti: Josh Brolin (Llewelyn Moss), Javier Bardem (Anton Chigurth), Tommy Lee Jones (Ed Tom Bell), Woody Harrelson (Carson Wells), Kelly Mcdonald (Carla Jean Moss),
Garret Dillahunt (Wendell), Tess Harper (Loretta Bell), Barry
Corbin (Ellis), Stephen Root (uomo che assume Wells), Rodger Boyce (sceriffo El Paso), Beth Grant (madre di Carla Jean),
Kit Gwin (segretaria scriffo Bell), Zach Hopkins (deputato strangolato), Eduardo Antonio Garcia (uomo ‘Agua’), Gene Jones
(benzinaio), Mayk Watford, Boots Southerland (vittime), Margaret Bowman (commessa), Thomas Kopache (negoziante),
Doris Hargrave (cameriera), Rutherford Cravens (commesso
negozio pistole), Matthew Posey (commesso negozio sport),
George Adelo (messicano nella vasca da bagno), Marc Miles
(commesso Hotel Eagle), Trent Moore (ragioniere), Brandon
Smith (agente INS), Roland Uribe (messicano elegante), Richard Jackson (contadino), Josh Blaylock, Caleb Jones (ragazzi in bici), Angel H. Alvarado jr., David A. Gomez, Milton
Hernandez, John Mancha (band Norteño), Chip Love, Ana
Reeder, Kathy Lamkin, Johnnie Hector, Jason Douglas, Mathew Greer, Luce Rains, Philip Bentham, Eric Reeves, Josh
Meyer, Chris Warner, Dorsey Ray
Durata: 122’
Metri: 3150
tutto da quello che uno è disposto a diventare. E credo che in questo caso bisognerebbe
mettere a rischio la propria anima. E io non
voglio farlo. Ora che ci penso forse non l’ho
mai voluto”. Parola dello sceriffo Bell, uomo
d’altri tempi impegnato, mai come in questa
occasione, ad affrontare il male nella sua
47
forma più estrema. Texas, 1980: Llewelyn
Moss, cacciatore di antilopi nel deserto, s’imbatte in una zona dove è appena avvenuto
un regolamento di conti. Tra i cadaveri, su
un furgoncino, un ingente carico di droga.
Qualche centinaio di metri più avanti, all’ombra di un albero, giace un altro corpo. Ac-
Film
canto, una valigetta contenente due milioni
di dollari. Moss la fa sua. E torna alla roulotte dalla moglie. Nel frattempo, un killer
dal passato ignoto, armato di una bombola
ad aria compressa, uccide il vicesceriffo che
l’ha appena arrestato e, poco dopo, un malcapitato automobilista per impossessarsi
della sua vettura. Il suo nome è Anton Chigurh ed è seriamente intenzionato a recuperare la valigetta coi soldi. Nel frattempo,
Moss spedisce la moglie (consapevole che il
marito si sia cacciato in qualche guaio ma
ignara dei particolari) a Odessa, dalla madre e si mette in fuga con i soldi. Da un motel
all’altro, con la valigetta sempre appresso e
il fiato sul collo di Chigurh, aiutato da una
ricetrasmittente che capta i segnali provenienti dalla cimice infilata tra i soldi: si spareranno, colpendosi non mortalmente. Il primo ripara in Messico e, in ospedale, lo salveranno. Il secondo fa esplodere una vettura
di fronte a una farmacia per entrare indistur-
Tutti i film della stagione
bato e prendere l’occorrente per una buona
medicazione. Intanto, sulle tracce di entrambi
si mettono rispettivamente il sergente Bell –
implorato dalla moglie di Moss – e un bizzarro investigatore privato, Carson Wells, assoldato per fermare Chigurh una volta impossessatosi della valigetta. Morirà. Così
come Moss, ma per mano dei narcotrafficanti
messicani, prima del confronto risolutivo con
il serial killer. Che ripiegherà sulla moglie
dell’uomo, quasi per voler mantenere la parola data telefonicamente al cowboy prima
del loro mancato incontro.
I
l ritorno dei fratelli Coen a un cinema ben più congeniale, dopo gli innocui tentativi in commedia con
Prima ti sposo, poi ti rovino e Ladykillers,
coincide con il loro primo adattamento per
lo schermo di un romanzo (fatta eccezione
per l’“Odissea” di Omero, fonte di ispirazione per Fratello, dove sei?): dell’omonimo ca-
polavoro di Cormac McCarthy, sguardo pessimista su un mondo ormai sfuggito a qualsiasi logica morale, i Coen mantengono inalterati plot e atmosfere, puntando molto sui
momenti di umorismo nero che, di tanto in
tanto, McCarthy utilizza per stemperare la
tensione di pagine che, trasposte, tendono
forse ad alleggerirsi rispetto alla ben più profonda riflessione che le anima. Eremita da
tempo, volutamente lontano da tutti e trasferitosi a El Paso, in Texas, l’autore di “Rhode
Island” – specchio di un’America per certi
versi prossima “alla fine” – serve su un piatto d’argento il trionfo agli Oscar dei Coen
(miglior film, regia, sceneggiatura non originale e Javier Bardem attore non protagonista): la forza cinematografica di Non è un
paese per vecchi, crepuscolare nostalgica
operazione antinoir e lontana anni luce dagli stilemi riconoscibili del thriller, esplode
nella consapevole sordità di una colonna
sonora terribilmente muta, poggiata su fruscii e rumori che – da soli – costituiscono la
musicalità di una vicenda dalla struttura coraggiosissima (nessuna figura centrale, con
lo sceriffo interpretato dal solito, enorme Tommy Lee Jones, sorta di raccordo per il nucleo narrativo principale), soprattutto per la
scelta di non sottomettersi a logiche di rappresentazione abituali (la morte di Moss, inaspettata e sorprendente), per la capacità di
perdere volutamente per strada i personaggi e poi ritrovarli chissà dove, per l’ennesima
dimostrazione di quanto conti, ancora oggi,
saper dirigere gli attori: la maschera di Bardem – caschetto a parte – è glaciale e indimenticabile, così come la fotografia del sodale Roger Deakins, a tratti caldissima, valore aggiunto di un’opera magari non trascendentale, ma dalla potenza immaginifica devastante.
Valerio Sammarco
FINE PENA MAI
Italia/Francia, 2008
Musiche: Brutopop, Antongiulio Galeandro
Scenografia: Sabrina Balestra
Costumi: Allegra Mori Ubaldini, Fiamma Benvignati
Produttore esecutivo: Daniele Mazzocca
Suono: Pierre Yves Lavoué
Interpreti: Claudio Santamaria (Antonio Perrone), Valentina Cervi
(Daniela Perrone), Daniele Pilli (Gianfranco), Giorgio Careccia (Daniele), Ippolito Chiarello (Nasino), Giancarlo Luce (l’Africano), Ugo
Lops (il Bello), Danilo De Summa, Giuseppe Ciciriello (brindisini), Lea Barletti (moglie di Nasino), Fabrizio Parenti (tenente),
Simone Franco (pescatore), Fabrizio Pugliese (ristoratore)
Durata: 90’
Metri: 2695
Regia: Lorenzo Conte, Davide Barletti
Produzione: Amedeo Pagani per Classic srl/Verdeoro srl/Paradis Films
Distribuzione: Mikado
Prima: (Roma 29-2-2008; Milano 29-2-2008)
Soggetto: Massimiliano Di Mino, Pierpaolo Di Mino, Marco Saura, Davide Barletti liberamente tratto dal romanzo Vista d’interni. Diario di carcere, di “scuri” e seghe, di trip e sventure di
Antonio Perrone
Sceneggiatura: Marco Saura, Pierpaolo Di Mino, Massimiliano Di Mino
Direttore della fotografia: Alberto Iannuzzi
Montaggio: Roberto Missiroli, Paolo Petrucci
48
Film
A
ll’inizio degli anni Ottanta, Antonio Perrone è un ragazzo della
provincia del Sud che ama la bella vita. Ma mantenere il lusso, le droghe e
ogni genere di divertimento costa caro. Per
questo, inizia a entrare nel giro degli spacciatori con l’appoggio complice della sua
compagna Daniela, che sposerà e dalla
quale avrà un figlio.
Con il passare del tempo, però, la sete
di ricchezza è sempre più forte e Antonio,
dopo un periodo di quattro anni in carcere, non esiterà a entrare a far parte della
Sacra Corona Unita.
I suoi nuovi soci, “Nasino”, “Orso” e
“Il bello”, conosciuti in carcere, si rivelano temibili e crudelmente pazzi uccidendogli Daniele, amico di sempre e socio fedelissimo di affari .
Daniela che all’inizio appoggiava le
azioni del marito, è la prima che si rende
conto della pericolosità dei nuovi soci di
Antonio e cerca di dissuaderlo per condurre una vita normale. La sua preoccupazione va, soprattutto, al bambino e fa
promettere ad Antonio di non abbandonarli mai.
Durante un pranzo intimamente familiare, la televisione dà notizie che sono iniziati gli arresti di molti componenti della
Tutti i film della stagione
Sacra Corona Unita e capiscono che questa volta è veramente finita.
Nonostante iniziano a sentirsi le sirene in lontananza, Antonio non si scompone e continua a mangiare, guardando fisso davanti a sé come incredulo e, nello stesso tempo, sconfitto.
Antonio non riuscirà a mantenere la
promessa fatta alla moglie, perché verrà arrestato e condannato a 49 anni di pena di
cui 15 con il regime carcerario del 41 bis.
I
l film è liberamente tratto dal romanzo autobiografico “Vista d’interni”
(Manni Editori), scritto da Antonio
Perrone stesso durante la sua detenzione.
Il film colpisce per la fotografia eccellente (a opera di Alberto Iannuzzi), ma
delude dal punto di vista narrativo, a causa di personaggi poco approfonditi ai quali il pubblico non può affezionarsi e a causa della poca attenzione data alle singole
situazioni del racconto, solo accennate
(come, per esempio, il matrimonio; o la
morte del giovane amico Giancarlo per
mano dei carabinieri, liquidata in una manciata di fotogrammi: inseguimento, spari,
morte, dieci secondi dieci di piano medio
di un Santamaria inespressivo, causando
straniamento e noia.
L’interpretazione dei due protagonisti,
Claudio Santamaria (Antonio) e Valentina
Cervi (Daniela), non eccelle a causa di una
eccesiva monoespressività.
Il film si inscrive in quel filone, trainato
da Romanzo criminale, che descrive la vita
malavitosa e strizza l’occhio al genere documentaristico.
I due registi non prendono una posizione e non danno giudizi creando così
un’atmosfera asettica e talvolta distratta
che non permette la focalizzazione completa della vicenda.
Nonostante il film parta dalla fine e, con
vari flashback (secondo una consueta
scansione del gangster-movie americano,
come per esempio Carlito’s Way), mostra
cosa è successo, con la voce fuori campo
di Antonio che commenta la sua vita, di
nessun personaggio si sa il background e
film scorre, senza troppe pretese, verso un
finale che sembra voler perdonare i crimini commessi dal protagonista.
Film mediocre che meritava un trattamento migliore da parte di Barletti & Conte, tanto da far riecheggiare la celebre sentenza di un ipotetico professore: i ragazzi
non sono stupidi, ma non si applicano.
Maria Luisa Molinari
UN’ALTRA GIOVINEZZA
(Youth Without Youth)
Stati Uniti/Germania/Italia/France/Romania, 2007
Regia: Francis Ford Coppola
Produzione: Francis Ford Coppola per American Zoetrope/Bim/
Bavaria Atelier/Pricel/SRG Atelier
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 26-10-2007; Milano 26-10-2007)
Soggetto: dal romanzo di Mircea Eliade
Sceneggiatura: Francis Ford Coppola
Direttore della fotografia: Mihai Malaimare jr.
Montaggio: Walter Murch
Musiche: Osvaldo Golijov
Scenografia: Calin Papura
Costumi: Gloria Papura
Produttori esecutivi: Anahid Nazarian, Fred Roos
Produttore associato: Masa Tsuyuki
Direttori di produzione: Diona Dragnea, Adriana Rotaru
Casting: Florin Kevorkian, Karen Lindsay-Stewart
Aiuti regista: Anatol Reghintovschi, Craita Nanu, Oana Ene,
Vladimir Anton
Art directors: Ruxandra Ionica, Mircea Onisoru
Arredatore: Adi Popa
Trucco: Peter King, Jeremy Woodhead, Dana Roseanu
2
4 aprile 1938, Pasqua. Il settantenne professore di linguistica
Dominic Matei viene folgorato da
Acconciature: Peter King, Jeremy Woodhead, Domnica Sava
Supervisore effetti visivi: David Vana
Coordinatore effetti visivi: Jan Vseticek
Supervisore costumi: Adina Bucur
Canzone/Musica estratta: “Middle Village” composta ed
eseguita da Lev Zhurbin
Interpreti: Tim Roth (Dominic), Alexandra Maria Lara (Veronica/Lara), Bruno Ganz (prof. Stanciulescu), André Hennicke
(Josef Rudolf), Marcel Iures (prof. Giuseppe Tucci), Adrian
Pintea (Pandit), Alexandra Pirici (donna nella camera 6), Florin Piersic jr. (dr. Gavrila), Zoltan Butuc (dr. Chirila), Adriana
Titieni (Anetta), Mircea Albulescu (Davidoglu), Dan Astileanu
(professore), Christian Balint (Grenzschutz), Dragos Bucur
(barista), Theodor Danetti (dr. Neculache), Andrei Gheorge
(tassista), Roxana Guttman (Gertrude), Anamaria Marinca
(receptionist hotel), Hodorog Anton Mihail (Doru, la guardia),
Mihai Niculescu (Vaian), Gelu Nitu (poliziotto), Mirela Oprisor
(Craita), Alexandru Repan (dr. Chavannes), Dorina Lazar,
Rodica Lazar, Dan Sandulescu, Andi Vasluianu
Durata: 124’
Metri: 3398
un fulmine davanti alla stazione di Bucarest, città nella quale si era recato per porre
fine alla sua esistenza con una dose di stric49
nina. Ricoverato in ospedale con il corpo
ustionato, l’uomo è autore di una guarigione sorprendente.
Film
Il dottore che lo ha in cura, Stãnciulescu, gli diagnostica una “ipermnesia”. A
causa del trauma, Matei ha sviluppato una
memoria fuori dal normale che gli consente
di mettere a fuoco tutto il suo vissuto personale e ricordare il bagaglio culturale
acquisito nel campo delle lingue orientali.
Dotato di facoltà intellettive straordinarie,
è in grado di riprendere a scrivere il libro
al quale stava lavorando da giovane sull’origine del linguaggio.
Il suo caso clinico, divenuto oggetto
d’interesse per l’opinione pubblica, viene
studiato dai maggiori medici della Romania e anche dai tedeschi. Questi ultimi, che
attraverso gli esperimenti di “elettro-locuzione” del professor Rudolf cercano la soluzione per perfezionare il genere umano,
pretendono di esaminare il fenomeno come
una cavia da laboratorio.
Dopo aver scoperto di essere stato incastrato da una finta prostituta che ha trasmesso le sue conversazioni private alla
Gestapo, Matei si rifugia a Ginevra e cambia identità. Sono gli anni in cui infuria la
seconda guerra mondiale e lui vive nella
paura di essere catturato dalla polizia segreta.
Un giorno, un rappresentante del governo americano lo presenta al professor
Monroe con la promessa che questi possa
aiutarlo. In realtà, dietro il fantomatico
dottore si nasconde il cinico Rudolf, fedele servitore di Hitler, che vuole coinvolgerlo
nelle sue ricerche. Matei rifiuta di collaborare col folle scienziato e, per evitare di
essere eliminato, è costretto a ricorrere alle
sue doti “soprannaturali”: riesce infatti a
indurre l’uomo al suicidio.
Non sentendosi più al sicuro, nel 1947
decide di lasciare una testimonianza in una
Tutti i film della stagione
lingua oscura in cui profetizza l’avvento
di una catastrofe nucleare. Alcuni anni più
tardi, conosce per caso Veronica, un’avvenente insegnante svizzera che salva a seguito di un incidente in montagna. La donna parla il sanscrito e in un’altra vita afferma di essere stata il filosofo indiano
Rupini.
Il professore, che rivede nella ragazza
la fidanzata di gioventù Laura, finisce per
innamorarsene e scappa con lei a Malta.
Attraverso Veronica (che arriva a parlare
le lingue più antiche del mondo), riesce a
portare avanti la sua opera, ma tutto questo al prezzo di dover vedere la sua amata
invecchiare precocemente. Pur di salvarla, sceglie di rinunciare a lei. Nel dicembre del 1969, dopo essere tornato al suo
paese natale Piatra Neamt e aver rincontrato i colleghi d’università, Dominic Matei viene ritrovato morto con un passaporto che reca sopra il nome di Martin Audricourt...
«D
unque – disse – la storia riparte dall’inizio. Sto sognando ed
è solo quando mi sveglierò
che mi sembrerà di cominciare a sognare per davvero... È come la storia del re che sognava di essere una farfalla, che sognava di essere un re, che sognava di essere una farfalla». Il sonno della ragione genera mostri – non soltanto per
Goya ma anche per Mircea Eliade?
La complessità dell’opera dell’intellettuale e storico delle religioni rumeno, lo
stile criptico e visionario (non sempre facile da tradurre visivamente perfino per un
maestro come Francio Ford Coppola e per
il suo montatore di fiducia Walter Murch)
si rivela, sin dalla primissima sequenza: in
50
una serie di immagini, si alternano ingranaggi di orologi, ideogrammi cinesi e la figura di una donna misteriosa riflessa in
uno specchio d’acqua... .
Bisogna ammettere che, per il suo ritorno al cinema dopo ben dieci anni di inattività, il regista ha scelto un soggetto a dir
poco ambizioso, per non dire proibitivo.
Non è affatto semplice trasporre sul grande schermo una storia che si interroga su
spinosi concetti, quali il significato del tempo (definito nel film «suprema ambiguità
della condizione umana») e i limiti della
conoscenza. E il discorso vale altrettanto
per chi “è costretto” a mandare giù per 124
minuti contorte e snervanti elucubrazioni
accademiche: gli spettatori.
Ci sta bene che nella filosofia indiana
il confine tra passato, presente e futuro, o
fra sogni e vita materiale possa essere
agilmente cancellato, in virtù del fatto che
il tempo, lo spazio, la natura mentale e fisica, si incarnano tutte nella sostanza dell’universo, che è Dio. Ed, ancora, che l’intrigante tema delle identità molteplici venga sviscerato sotto forma di “trasmigrazione dell’anima” (o “metempsicosi”).
Ma quando, a questa idea di base
orientale della vita e della coscienza, si
aggiungono teorie sul superuomo, studi
sul proto-linguaggio (la donna che si professa eremita buddista del VII secolo, in
piena trance medianica, si esprime addirittura in sumero e babilonese!) e sui poteri tele-cinetici, si ha l’impressione, francamente, che ci sia davvero troppa carne
al fuoco, per di più indigesta, per il povero pubblico. Al quale, poi, spetta anche
l’ingrato compito di destreggiarsi tra i labirintici anfratti dell’inconscio del protagonista che, lacerato nel proprio io da una
sfibrante lotta tra bene e male, tiene degli interminabili “monologhi” col suo doppio.
I tormenti, le paranoie e il disordine
interiore che agitano il rigenerato professore, prendono corpo attraverso apparizioni immaginarie e continue presenze di
specchi, con un lavoro sulla messa in scena di tipo “sperimentale” che predilige inquadrature sghembe o addirittura ruotate
a 360°.
Nella prima parte, in corrispondenza
degli anni bui del nazismo e della forzata
clandestinità, il sentimento prevalente di
solitudine viene visualizzato grazie al supporto di una fotografia scura e contrastata, che tende ad “ingabbiare” l’uomo in luoghi angusti e claustrofobici.
Il tentativo di Coppola di fare di Un’altra giovinezza non soltanto un pamphlet
mistico-filosofico ma anche un thriller politico è andato sicuramente a vuoto; l’azio-
Film
ne, che ben si confà al genere, è relegata
infatti in secondo piano rispetto all’indagine psicologica, con conseguente fissità
della macchina e riprese quasi da kammerspiele.
Per fortuna, però, rimane la volontà da
parte dell’autore di mettere in discussione
Tutti i film della stagione
quella supremazia del sapere, su cui è
imperniato l’intero racconto. E rendere così
l’erudito Matei, interpretato da un ineguagliabile Tim Roth, capace di provare emozioni e passioni calde come tutti gli esseri
umani, benché nel romanzo sia più simile
a un alieno o a un mutante. La riscoperta
dell’amore per Veronica (l’attrice Alexandra Maria-Lara, che si divide brillantemente
in tre ruoli diversi) ha il sapore di una vicenda faustiana, in cui il sacrificio estremo è la privazione dell’amore stesso.
Diego Mondella
PROSPETTIVE DI UN DELITTO
(Vantage Point)
Stati Uniti, 2008
Art director: arcelo Del Rio
Arredatore: Denise Camargo
Trucco: Eduardo Gomez, Ruth Bermudo, Fernando Legarreta
Acconciature: Gerardo Perez Arreola
Supervisore effetti visivi: Paddy Eason
Coordinatore effetti visivi: Michael MacGillivray
Interpreti: Dennis Quaid (Thomas Barnes), Matthew Fox (Kent
Taylor), Forest Whitaker (Howard Lewis), Bruce McGill (Phil
McCullough), Edgar Ramirez (Javier), Saïd Taghmaoui (Suarez), Ayelet Zurer (Veronica), Zoe Saldana (Angie Jones), Sigourney Weaver (Rex Brooks), William Hurt (Presidente Ashton), James LeGros (Ted Heinkin), Eduardo Noriega (Enrique),
Richard T. Jones (Holden), Holt McCallany (Ron Matthews),
Leonardo Nam (Kevin Cross), Dolores Heredia (Marie), Alicia
Zapien (Anna), Justin Sundquist (Parsons), Sean O’Bryan
(Cavic), José Carlos Rodriguez (De Soto), Rodrigo Cachero
(Luis), Guillermo Ivan (Felipe), Xavier Massimi (Miguel), Shelby
Fenner (Grace Riggs), Ari Brickman (agente servizi segreti),
Brian McGovern (Mark Reinhart), Lisa Owen (donna statunitense), Rocio Verdejo (Paulina), Marisa Rubio (poliziotta)
Durata: 90’
Metri: 2460
Regia: Pete Travis
Produzione: Original Film/Relativity Media
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 29-2-2008; Milano 29-2-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Barry Levy
Direttore della fotografia: Amir M. Mokri
Montaggio: Stuart Baird, Sigvaldi J. Karason, Valdis Oskardottir
Musiche: Atli Örvarsson
Scenografia: Brigitte Broch
Costumi: Luca Mosca
Produttori esecutivi: Andrea Giannetti, Callum Greene, Tania Landau, Adam Milano
Co-produttori: Ricardo Del Rio, Tania Landau
Direttori di produzione: Pablo Buelna, Arturo Del Rio, Cristina Ecija
Casting: Sarah Finn, Randi Hiller, Carla Hool
Aiuti regista: Nick Heckstall-Smith, Frederic Henocque, Joceline Hernandez, Renan Bendersky, Patrick Heyerdahl, Hiromi
Kamata
Operatore: Jaim Reynoso
Operatore steadicam: Gerardo Manjarrez
I
l Presidente degli Stati Uniti
Ashton si appresta a concludere a
Salamanca, città colta della Spagna e quindi particolarmente adatta a ospitare l’evento, un trattato con gli altri grandi
della Terra con lo scopo di rafforzare il
fronte comune contro il terrorismo e aprire un periodo di prosperità e di pace. Punti fermi del gruppo di body-guards sono
Barnes, un agente ritornato sul campo,
anche se con qualche problema nervoso,
dopo essersi preso un anno prima un proiettile in pieno petto per salvare la vita del
Presidente, e il suo capo Taylor a cui è
molto legato. Gli auspici di pace sono però
presto cancellati: il Presidente non fa in
tempo a iniziare il discorso di apertura
nella Piazza Mayor gremita di gente che
viene abbattuto dai colpi di un cecchino,
presumibilmente sparati dal palazzo di
fronte; gli agenti cercano di coordinare le
prime ricerche nel caos che si è prodotto,
ma sono spazzati via insieme alla folla
dalle forti esplosioni di un ordigno collo-
cato sotto il palco. A questo punto, lo svolgersi della vicenda è presentata secondo i
vari punti di vista dei protagonisti, forte
ognuno della sua storia personale e dei
propri mezzi di percezione della realtà:
Ashton non è morto (al suo posto è a terra
un sosia) e, nel ripercorrere i minuti precedenti alla strage, ha a che fare prima con
il suo staff che cerca di convincerlo a bombardare un campo in Marocco (fantomatico covo del terrore), poi con terroristi in
carne e ossa che lo addormentano e lo
portano via in ambulanza; Taylor, inizialmente all’inseguimento di un presunto cecchino in fuga, è presto scoperto come colluso con gli stessi terroristi che cerca di
raggiungere in auto; Barnes, dapprima a
rilento nel collocare al posto giusto i pezzi
del rompicapo, si lancia nella rincorsa di
Taylor in una specie di raid automobilistico metropolitano; Lewis, un turista semplicione, che però ha ripreso tutto con la
sua telecamera, riesce a fornire delle informazioni preziose agli agenti e a salvare
51
una bambina dal traffico impazzito della
città; Javier, un poliziotto spagnolo legato
all’equivoca Veronica, fa inconsapevolmente da tramite per l’esecuzione dell’attentato, mentre i terroristi, di cui la ragazza fa parte, fanno strage della centrale dei
servizi segreti e si impadroniscono di
Ashton. È Barnes a tirare le fila della storia: procura con uno scontro devastante
la morte di Taylor, uccide i terroristi in fuga
e salva ancora la vita del suo Presidente.
N
essuno è quello che afferma e
vuole dimostrare di essere; niente è ciò che si vede, anzi proprio
ciò che si vede è il contrario di ciò che è.
Che cos’è, allora, la verità e, soprattutto,
dov’è? Essa appartiene a noi perché tutti
noi ne portiamo avanti una parte, la più
vera, perché nostra. Da qui prende il via il
plot narrativo del film. Bene, detto questo,
sappiamo tutti quanto il concetto di relatività e quanto l’appartenenza del falso al
vero (e il suo contrario) sia connaturato alla
Film
storia del cinema, sia al cinema stesso.
Niente di strano, quindi, che gli autori del
film abbiano voluto approfondire ancora
una volta uno dei significati simbolici del
fare cinema; ed è superfluo citare riferimenti imbarazzanti con capolavori del passato
(è la cosa più letta in questo periodo) per
scovare queste o quelle relazioni, questi o
quei punti di contatto. Potremmo ricordare
di tutto, gialli, perfino western, noir a montagne.
Siamo certi però di una cosa che questo modo di trattare possa (debba) rendere completamente liberi il fascino, la se-
Tutti i film della stagione
duzione, il gioco vertiginoso dell’illusionismo che porta avanti un pezzo di verità
e, contemporaneamente, la spiazza, addirittura arrivando all’eccesso, al pericolo
del girotondo intellettualistico fine a se
stesso ma ricco di charme. Non c’è ombra di ciò in questo film: otto storie continuamente riavvolte al punto di partenza
nella noiosa dimostrazione di come possa variarsi un evento criminale; il tutto
condotto con l’asetticità della tecnica televisiva che propone contrasti spazio/temporali sempre più violenti e con un montaggio che man mano che si arriva alla
fine strappa sussulti e non partecipazione, fa scoppiare incongruenze visive e
non ottiene coinvolgimenti emozionali,
quasi a lasciare spazio alle inserzioni
pubblicitarie che al cinema, per ora, non
ci sono. Pesa, in più, la scelta scriteriata
degli attori, ognuno solo con se stesso e
privo di contatto con gli altri: un Dennis
Quaid perpetuamente ghignante, un Forest Whitaker spaesato come non mai, la
Weaver e Hurt a mortificare lo smalto
delle loro lontane interpretazioni.
Fabrizio Moresco
IL FALSARIO – OPERAZIONE BERNHARD
(Die Fälscher)
Austria/Germania, 2007
Arredatori: Christian Krüger, Gerhard Krummeich, Johannes
Slapa
Trucco: Waldemar Pokromski, Daniel Slaka
Suono: Torsten Heinemann
Supervisore effetti visivi: Markus Degen, Christian Pundschus
Interpreti: Karl Markovics (Salomon Sorowitsch), August
Diehl (Adolf Burger), Devid Striesow (maggiore Friedrich
Herzog), Martin Brambach (maresciallo Holst), August Zirner (dott. Klinger), Marie Bäumer (Aglaia), Veit Stübner (Atze),
Sebastian Urzendowsky (Kolya Karloff), Andreas Schmidt
(Zilinski), Tilo Prückner (dott. Viktor Hahn), Lenn Kudrjawizki
(Loszek), Arndt Schwering-Sohnrey (Hans), Werner Daehn
(Rosenthal), Dolores Chaplin (ragazza del casinò), Norman
Stoffregen (Abramovic), Hille Baseler (Grete Herzog), Jan
Pohl (Sascha), Matthias Luhn (Ganove), Werner Daehn (Rosenthal), Erik Jan Rippmann (direttore di banca), Michael
Blohn (croupier)
Durata: 98’
Metri: 2630
Regia: Stefan Ruzowitzky
Produzione: Josef Aichhlozer, Nina Bohlmann, Babette
Schröder per Babelsberg Film/Beta Cinema/Josef Aichholzer
Filmproduktion/Magnolia Filmproduktion/Zweites Deutsches
Fernsehen
Distribuzione: Lady Film
Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008)
Soggetto: dal libro Des Teufels Werkstatt di Aldolf Burger
Sceneggiatura: Stefan Ruzowitzky
Direttore della fotografia: Benedict Neuenfels
Montaggio: Britta Nahler
Musiche: Marius Ruhland
Scenografia: Isidor Wimmer
Costumi: Nicole Fischnaller
Co-produttori: Henning Molfenter, Caroline von Senden, Charlie Woebcken
Direttori di produzione: Monika Maruschko, Christian Springer
Casting: Heta Mantscheff, Lisa Olah, Markus Schleinzer
Aiuti regista: Anton Maria Aigner, Timon Modersohn
B
erlino 1936. Il re dei falsari, Salomon Sorowitsch, un ebreo russo dal viso spigoloso e di poche
parole, viene arrestato. Portato dapprima a
Mauthausen, dove per la sua abilità nel disegno godrà di alcuni piccoli privilegi, viene
successivamente trasferito a Sachsenhausen,
dove, nei blocchi 18 e 19, i nazisti stanno
allestendo un laboratorio di contraffazione.
Qui, un ristretto gruppo di ebrei, composto
da abili disegnatori, tipografi, incisori, stampatori, dovrà riprodurre valuta falsa. In cambio, verrà data loro la speranza di “rimanere in vita”. È il 1942, sta per avere inizio
l’“Operazione Bernhard”.
Voluta dal maggiore tedesco Bernhard
Kruger, l’operazione mira non solo a rimpinguare le casse del Terzo Reich, ma, soprattutto, a indebolire l’economia inglese e
statunitense, immettendo sul mercato sterline e dollari, tutti rigorosamente falsi.
Per fare questo, c’è bisogno di un
esperto, un artista del falso. Sorowitsch è
lì, disposto a tutto pur di sopravvivere. È
lui che traghetterà la squadra fino alla fine
e nulla lo fermerà, né basteranno umiliazioni o sensi di colpa per farlo cadere.
Il tentativo di boicottaggio del suo compagno di prigionia, Adolf Burger, è soltanto l’ultimo ostacolo da superare. Posto di
fronte al dubbio se sia giusto essere complici dei disegni nazisti o ribellarsi, “Sally” Sorowitsch continuerà da solo. Stamperà egli stesso alcune mazzette di dollari.
L’unico suo pensiero è di uscire vivo
da quell’inferno.
La fine della guerra, metterà a tacere
dubbi e rimorsi.
52
T
ratto dal libro “The Devil’s
Workshop” di Adolf Burger, ebreo
slovacco che fece parte di quel
l’impresa, il film è un’ennesima riflessione sulla mostruosità e l’efferatezza dell’Olocausto. Ma la sorpresa e il fascino
della pellicola sta nel modo in cui tratta
l’argomento, evitando accuratamente
qualsiasi banalizzazione o pietismo di
sorta.
L’azione si svolge in gran parte nelle
due baracche, i blocchi 18 e 19, dove pulsioni, paure, speranze, si alternano a soprusi e vigliaccherie di ogni genere, dando forma a un tessuto narrativo denso e
drammatico. Lo sguardo del regista si concentra sui rapporti tra i prigionieri, senza
però calcare la mano o insistere sul già
detto, quasi fosse la situazione in sé ad
Film
essere già piena di significati. Avvertiamo
la guerra e le crudeltà che essa comporta, senza vederla. Ed è invece interessante assistere a come i protagonisti la subiscano. Ciascuno a suo modo.
Ecco allora che il conflitto tra Salomon
Sorowitsch, cui il bravo Karl Markovics dà
spessore e ambiguità, e il suo compagno
Adolf Burger (August Diehl) diventa elemento portante del racconto. La disperata ostinazione di Sorowitsch, incurante di
sputi, calci e persino di pisciate in testa,
è resa ancor più evidente dalla mai sopita dignità di Burger che insinua in lui dubbi atroci e irrisolvibili. In un contesto del
genere, servire la causa nazista è il dilemma delle coscienze, il desiderio di sopravvivenza è l’unica giustificazione possibile.
È un quadro così desolante che ogni
azione, sguardo o silenzio, diventa significativo di un’umanità profonda e disperata.
In quelle baracche, non ci sono vincitori,
ma soltanto vinti. Ne è figura emblematica, in tal senso, Herzog, il comandante del
campo. Costui, con un passato da comunista, instaura con Salomon un rapporto
che prescinde da ogni tipo di gerarchie. Il
Tutti i film della stagione
comandante ha lo stesso desiderio del prigioniero, salvarsi.
Stefan Ruzowitzky ci conduce magistralmente in questo abisso, ben coadiuvato dagli attori e dalla lucida fotografia di
Benedict Nevenfels.
Adolf Buger, lo stampatore, continua a
girare il mondo per raccontare la sua terribile esperienza. Ha 90 anni.
Ivan Polidoro
I GUARDIANI DEL GIORNO
(Dnevnoy dozor)
Russia, 2006
Regia: Timur Bekmambetov
Produzione: Konstantin Ernst, Anatoli Maksimov per Bazelevs
Production/Channel One Russia/TABBAK
Distribuzione: Twentieth Century Fox
Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007)
Soggetto: dal romanzo Dnevnoj dozor di Sergei Lukyanenko e
Vladimir Vasiliev
Sceneggiatura: Alexander Talal, Timur Bekmambetov
Direttore della fotografia: Sergei Trofimov
Montaggio: Dmitri Kiselev
Musiche: Yuri Poteyenko
Scenografia: Mukhtar Mirzakeev, Nikolai Ryabatsev, Valery Viktorov
Costumi: Varvara Avdiushko
Produttori esecutivi: Natela Abuladze, Aleksei Kublitsky
Produttore associato: Adam F. Goldberg
Operatore: Yelena Ivanova
Effetti speciali: Pavel Perepyolkin
S
i ricomincia da dove ci si era fermati nel precedente I guardiani
della notte. Anton, lo sfortunato
e trasandato guardiano dei “cattivi” si
ritrova innamorato dell’Eletta della Luce
– Svetlana – , la donna in grado di portare il Bene alla vittoria finale, ma an-
Supervisori effetti visivi: Aleksandr Gorokhov, Vladimir Leschinski, Andrew Mesniankian
Supervisore animazione: Viktor Lakisov
Interpreti: Konstantin Khabensky (Anton), Mariya Poroshina (Svetlana), Vladimir Menshov (Geser), Galina Tyunina
(Olga), Viktor Verzhbitsky (Zavulon), Zhanna Friske (Alina),
Dmitri Martynov (Yegor), Valeriy Zolotukhin (padre di Kostya), Aleksei Chadov (Kostya), Nurzhuman Ikhtymbayev
(Zoar), Aleksei Maklakov (Semyon), Aleksandr Samojlenko
(Orso), Yuri Kutsenko (Ignat), Irina Yakovleva (Galina Rogova), Yegor Dronov (Tolik), Nikolai Olyalin (inquisitore),
Rimma Markova (Darya, la strega), Anna Slyusaryova (la
maga), Igor Lifanov (Parrot), Sergei Trofimov (segretario di
Zavulon), Mariya Mironova (madre di Yegor), Anna Dubrovskaya (vampiressa), Sergei Ovchinnikov, Anton Stepaneko
(se stessi)
Durata: 132’
Metri: 3350
che padre del piccolo Ergon, l’Eletto
delle Tenebre, colui che invece potrà consegnare il mondo intero nella mani del
Male. Un nuovo evento viene a turbare
il millenario equilibrio tra le due fazioni
in lotta perenne: visti i disperati progetti di riconquistare il figlio perso, Zavu-
53
lon, signore delle Tenebre, organizza
l’assassinio di Galia Rugova, membro
della sua stessa parte, nel tentativo d’incastrare Anton e metterlo fuori gioco.
Boris Ivanovic, il sovrano della Luce,
intuisce l’inganno e, con la speranza di
tenere nascosto Anton, gli presta il cor-
Film
po della sua vice Olga (l’anima della
quale si trova a sua volta ospitata nel
corpo dell’uomo). La situazione dà il via
a una serie di peripezie tragicomiche visto che Anton viene ospitato – ancora
dentro il corpo di Olga – dall’inconsapevole amata Svetlana. Il trucco comunque non è sufficiente a ingannare Zavulon: i guardiani del giorno scovano Anton, ma mentre stanno per catturarlo e
metterlo a morte Svetlana, grazie ai suoi
enormi poteri, sferra un contrattacco
tanto devastante da permettere al ricercato di fuggire e costringere gli oppositori a un accordo. I guardiani della notte (che, è bene ricordare, sono “i buoni”) avranno tempo fino all’alba per dimostrare l’innocenza dell’ormai fuggitivo. Come prima cosa Anton si precipita in Iran nel tentativo di recuperare dalla tomba di Tamberlano il leggendario
Gesso del Fato. La ricerca fallisce. Tornato a Mosca Anton scopre che il Gesso
è custodito dal suo barista Zoar, che,
senza batter ciglio, glielo consegna. Da
qui in avanti, una serie sfrenata d’eventi
conduce a un finale in grande stile.
Fervono i preparativi per la festa di
compleanno del piccolo Ergon, il quale,
dopo un diverbio col padre, gli ha sottratto il prezioso gessetto, prima ancora
che lo potesse usare per provare la sua
innocenza. Anton si presenta alla festa e
fronteggia il figlio che ancora non gli
perdona l’errore fatale – commesso in
passato - d’averlo rifiutato. Mentre Zavulon avvelena Anton, Svetlana, Olga e
altri guardiani delle tenebre si muovono
in soccorso del compagno. Così, mentre
tutti sono distratti in mezzo alla confusione del salone della festa, nel silenzio
del corridoio Svetlana e Ergon s’incontrano. La ragazza non vuole lo scontro
perché sa che da esso deriverebbe la rovina del mondo, ma il piccolo gioca a
provocarla e le impedisce di andar via.
Svetlana allora lo sposta con la forza e
una goccia di sangue cade a terra: è la
guerra. Il duello tra i due “titani” scatena morte e distruzione per chilometri
all’intorno. Al culmine della devastazione, i due eletti si trovano, stremati, a contendersi il comune oggetto d’amore: Anton. È il piccolo insignificante Anton ad
avere originato la fine del mondo e ora
l’uomo si trova sull’orlo d’un precipizio,
strattonato da una parte e dall’altra sul
punto d’esser tagliato in due da una lastra di vetro che piomba dall’alto. Quand’ecco, il sovrano Ivanovic scatta una
foto e il tempo si cristallizza in un’istantanea senza vita. Solo Anton è ancora
libero di muoversi. Ferito e ormai quasi
Tutti i film della stagione
morto, l’uomo si precipita nel luogo in
cui tutto era iniziato. Sull’unica parete
superstite scrive col Gesso del Fato e nel
giro d’un secondo si sente sottoporre una
seconda volta la domanda che nel 1992
aveva cambiato i corso della sua e di
tutte le altre storie: “Sei d’accordo?”
“No”.
I
l film è il secondo capitolo d’una
trilogia iniziata un paio d’anni fa
con I guardiani delle notte e che
si concluderà nel 2009 con l’ultimo I guardiani del crepuscolo e rappresenta l’apice visibile, la proverbiale punta dell’iceberg, di uno specifico filone cinematografico: quello della produzione moscovita,
tipicamente main stream e generalmente
ispirata alla “poetica” del blockbuster. Aumentato il budget e aumentate pure le
contorsioni d’una trama sempre più pirotecnica, quello che resta fermo è uno spiccato gusto per l’eclettismo narrativo - il
continuo mutare dei toni e degli accenti,
dalla commedia all’action puro, dalla spy
story in rosa al fantasy più vivace e truculento –, l’intelligente e accorto “riciclag-
gio” d’una lunga e ricca tradizione letteraria e un’impostazione estetica schizoide che mette a contatto la concretezza
della Russia di oggi con una collezione di
trovate raccolte dalle fonti più diverse: videogioco, illustrazione, fumetto, animazione seriale e non e il cinema stesso (la
figurina che si anima potrebbe ricordare,
per esempio, le foto che prendono vita
dell’ameno Il meraviglioso mondo di Amelie).
Il film è godibile e, nonostante la sua
ridondanza, estetica e narrativa, raggiunge e mantiene una certa credibilità, elemento non di poco conto. Ma non
tutto funziona fino in fondo: la pellicola,
ad esempio, sembra mancare prima di
tutto di compattezza, la sceneggiatura
non sempre è in grado di comporre con
la giusta misura gli eventi in un nitido
disegno. Come spesso si dice dei film a
episodi, il secondo raramente è il migliore. Restiamo, quindi, in attesa di arrivare alla conclusione di questa eccentrica
saga.
Silvio Grasselli
GRANDE, GROSSO E…VERDONE
Italia, 2008
Regia: Carlo Verdone
Produzione: Aurelio e Luigi De Laurentiis per Filmauro
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 7-3-2008; Milano 7-3-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Piero De Bernardi, Pasquale Plastino, Carlo Verdone
Direttore della fotografia: Danilo Desideri
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musiche: Fabio Liberatori
Scenografia: Luigi Marchione
Costumi: Tatiana Romanoff
Produttore esecutivo: Maurizio Amati
Aiuti regista: Inti Carbone, Roberto Giandalia
Suono: Fabrizio Quadroli
Trucco: Alfredo Marazzi
Acconciature: Aldo Signoretti
Effetti: Emanuele Pescatori, Kristina Russo, Flaminia Speziale, Matteo Stirati
Interpreti: Carlo Verdone (Leo/Callisto/Moreno/politico), Claudia Gerini (Enza), Geppi
Cucciari (Tecla), Eva Riccobono (Blanche), Emanuele Propizio (Steven), Andrea
Miglio Risi (Severiano), Martina Pinto (Lucilla), Clizia Fornasier (Carmela), Vincenzo Fiorillo (Clemente), Alessandro Di Fede (Sisto), Stefano Natale (Guerrino),
Anna Maria Torniai (Olga), Roberto Farnesi (Fabio Muso), Marco Minetti (Mirco
Crestadoro), Massimo Marino (impresario pompe funebri), Pierluigi Ferrari (capo
ricevimento)
Durata: 131’
Metri: 3550
54
Film
A
tto primo. Il simpatico Leo che
andava in vacanza a Ladispoli e
alzava gli occhi al cielo si è sposato con Tecla e ha due figli paffuti, Clemente e Sisto. La famiglia Nuvolone è in
procinto di partire per un raduno nazionale di boyscout. Tuttavia la serenità e i
progetti della giornata vengono bruscamente turbati dalla morte improvvisa della madre di Leo che vive con loro. Il capofamiglia, sconvolto, avverte il fratello
in Australia e cerca di predisporre in fretta
un degno funerale per la madre. Un impresario funebre sbucato dal nulla, stravagante e cocainomane, provvede a organizzare il tutto. Dopo la difficile scelta
della bara e dei fiori, la famiglia dopo un
viaggio a dir poco rocambolesco (passando per sbaglio per il Verano) si avvia al
cimitero di Vetrano. Durante la strada, la
macchina con il feretro ha un incidente e
l’impresario funebre finisce all’ospedale.
La famiglia è costretta a caricarsi la bara
in macchina e a proseguire per il cimitero. Peccato che, arrivati a Vetrano, trovano i cancelli chiusi e decidono di accamparsi con la tenda davanti al campo
santo. Il giorno successivo svolgono le
pratiche per la sepoltura, ma la bara viene confusa con un’altra, identica, e anziché cremare la salma della madre di Leo
viene cremato il corpo di un motociclista
metallaro.
Atto secondo. Il pignolo e metereopatico Furio, ha mutato il suo nome in
Callisto, ha un lavoro prestigioso come
professore universitario di Storia dell’Arte, il vizietto per le squillo e un figlio introverso, Severiano, avuto dall’ultima delle tre mogli, da sistemare il prima possibile. Il carattere dispotico di
Callisto ha reso il figlio insicuro e timido e, pur avendo vent’anni, il ragazzo
non ha molti rapporti con l’esterno e soprattutto con le ragazze. Durante un esame universitario, Callisto rimane favorevolmente colpito da una ragazza seria
ed educata, Lucilla, e la invita a casa per
farla conoscere al figlio. Tra i due, inaspettatamente, nasce un sentimento molto forte e nella ragazza Severiano trova
la speranza di fuggire da quella tetra
casa e da quel padre padrone. I due innamorati si sentono entrambi vittime
delle circostanze e sempre più desiderosi di libertà fanno di tutto per sbarazzarsi dell’uomo, organizzando una rapina e lasciandolo da solo durante una visita alle catacombe, ma ogni tentativo
fallisce.
Atto terzo. Jessica e Ivano, rientrati
dal viaggio di nozze, hanno concepito
Steven e hanno “affinato” i gusti e i loro
Tutti i film della stagione
nomi. I coatti, che ora vendono cellulari
e si credono signori, si chiamano Enza e
Moreno. Steven ha ormai quattordici
anni e la famiglia decide di andare a trascorrere le vacanze estive nell’albergo
più esclusivo di Taormina. La famiglia è
in crisi; tra marito e moglie c’è il classico momento di stanchezza e mancanza
di desiderio, aggravato da un figlio con
cui non c’è dialogo e che sembra interessato solo al calcio. Non mancando le
finanze, Enza e Moreno, su consiglio
della psicologa che segue Steven, decidono di provare a ritrovarsi trascorrendo una vacanza tutti e tre insieme. Ma la
sobrietà e l’eleganza dell’hotel San Domenico sono molto lontani dalla classica vacanza forma villaggio turistico a cui
è abituata la famiglia. I conflitti così anziché svanire si acuiscono. Moreno è attratto da un’ospite dell’albergo, Blanche,
elegante e raffinata e le attenzioni che
le rivolge ingelosiscono Enza, che fa i
bagagli e va a stare da sola in un altro
albergo. Qui viene presa di mira da un
attore di un reality show che la coinvolge in una gita sulla sua barca. Moreno,
intanto, scopre con tristezza che la sua
“dama bianca” altro non è che una prostituta d’alto bordo. Enza pur essendo
ubriaca si rende conto che l’attore l’ha
invitata per una notte di sesso a tre e si
tuffa dalla barca per raggiungere la riva
a nuoto. Marito e moglie si ritrovano in
ospedale più innamorati di prima.
D
opo le regie asciutte e composte
di L’amore è eterno finché dura e
Il mio miglior nemico, assai lontani dal macchiettistico Viaggi di nozze
55
degli anni ’90 e ancor più dagli archetipi
Un sacco bello e Bianco rosso e Verdone dei lontani anni ’80, il nostro Carlone
torna in gran forma, in omaggio alle innumerevoli richieste dei suoi tanti fan. A
distanza di trent’anni, Verdone rispolvera le sue maschere lontane, per adattarle ai gusti di oggi. Grande grosso
e...Verdone rappresenta un salto nel
buio, un esperimento coraggioso di un
autore che gioca su se stesso, ripuntando su ciò che lo ha consacrato all’immortalità. Verdone già sapeva a cosa andava incontro e il suo gesto, a prescindere
dalla riuscita o meno del film, appare
come un vero atto di coraggio, solo per
questo ammirevole. È quasi impensabile che un regista, per di più affermato,
possa competere con il segreto del suo
successo. Verdone lo ha fatto. E lo ha
fatto con la piena coscienza di mettersi
a rischio. La sua è stata una risposta
onesta, lontana dalla ipocrisia e volgarità a cui siamo, purtroppo, abituati. Questa volta siamo davanti a una comicità
diversa, dal sapore nostalgico, in cui si
avverte un retrogusto amaro, una nausea nei confronti della società.
L’imbranato Leo adesso è sposato
con una ragazza sarda, ha due figli che
parlano non solo come lui, ma proprio
con la sua voce e una mamma a carico
che ha la pessima idea di morire il giorno che la famigliola ha deciso di fare una
gita. I quattro si trovano così ad affrontare una serie di eventi sfortunati dove brilla per stravaganza comica la stella di
Massimo Marino, star della tv trash notturna della capitale (“A frappé” è la sua
frase storica), nei panni di un fetente
Film
cassamortaro. Ma il vero regalo ai fan
dell’attore è l’arrivo del fratello emigrato
in Australia, Stefano Natale, che non solo
parla anche lui come Verdone, ma che è
stato il modello originario del personaggio di Mimmo di Bianco rosso e Verdone. Nel secondo episodio, il più costruito
(ricorda luci e ombre dell’espressionismo) e il più cupo, è di scena il professore pignolo che aveva liquidato nei precedenti film le due mogli Magda e Veronica Pivetti. Niente moglie qui, ma il professore sfoga la sua carica di follia sul
figlio, timido pianista e sulla fidanzatina
di lui, orfanella. L’idea è quella di fare il
ritratto di un “mostro” di oggi, legato alla
politica, alla Chiesa, ma pronto a tratta-
Tutti i film della stagione
re sul prezzo con le prostitute. Nel terzo
episodio, il più funzionale, torna la coppia Ivano e Jessica, leggi Moreno e
Enza, con l’idea di ricostruire una famiglia in crisi e di sfruttare l’occasione per
elevarsi di classe. I protagonisti scopriranno, come nelle commedie anni ’60,
che i mostri non sono loro, ma le persone finte che hanno intorno.
Questa volta, a differenza dei casi
precedenti, i tre segmenti non sono più
ad incastro, ma sequenziali e non si incrociano mai tra loro. I personaggi sono
cresciuti, si sono evoluti, nel bene e nel
male, si fanno portatori della vena malinconica e pessimistica del regista. Dal
trittico infatti emerge, più o meno pale-
semente, la visione della morte. Nel primo capitolo è assai evidente, nel secondo e nel terzo è simbolica (labirinto e fine
del matrimonio). Grande ritrattista della
nostra Italietta, ormai Verdone non pare
più muoversi con l’intento di far ridere il
pubblico, ma sembra volerlo indurre alla
riflessione sui mali della società e sulla
volgarità dei nostri costumi. Nel cast, interpreti più o meno noti della tv e del
grande schermo. Verdone e la Gerini
sono fantastici come ai tempi di Ivano e
Jessica, con grandi battute e indimenticabili tormentoni.
Veronica Barteri
SOGNI E DELITTI
(Cassandra’s Dream)
Stati Uniti/Gran Bretagna/Francia, 2007
Regia: Woody Allen
Produzione: Letty Aronson, Stephen Tenenbaum, Gareth Wiley per Iberville Productions/Virtual Studios/Wild Bunch
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 1-2-2008; Milano 1-2-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen
Direttore della fotografia: Vilmos Zsigmond
Montaggio: Alisa Lepselter
Musiche: Philip Glass
Scenografia: Maria Djurkovic
Costumi: Jill Taylor
Produttori esecutivi: Brahim Chioua, Vincent Maraval, Ben
Waisbren, Daniel Wührmann
Co-produttori esecutivi: Charles H. Joffe, Jack Rollins
Casting: Patricia Kerrigan DiCerto, Gail Stevens, Juliet Taylor
Aiuti regista: Todd Embling, Ben Howarth, Sam Smith, James
Chasey, Beatrice Manning, Catherine Tyler
Arredatore: Tatiana Macdonald
Trucco: Sallie Jaye, Sharon Martin
Acconciature: Francesco Alberico
Suono: Robert Hein
L
ondra. Ian e Terry, due fratelli di
diverso carattere, vogliono dare
una svolta alla loro esistenza e
migliorare la propria situazione finanziaria. Insieme decidono di comprare una
barca e la chiamano “Cassandra’s Dream”. Ian aiuta il padre a gestire il ristorante di famiglia ma vorrebbe mollare tutto per realizzare un progetto che lo vedrebbe coinvolto in un affare di una catena di alberghi in California. Terry invece
fa il meccanico e ha la passione per il gioco d’azzardo. Questo suo vizio però gli
Operatore/Operatore steadicam: George Richmond
Interpreti: Ewan McGregor (Ian), Colin Farrell (Terry), m
Wilkinson (zio Howard), John Benfield (padre), Clare
Higgins(madre), Ashley Madekwe (Lucy), Andrew Howard
(Jerry), Sally Hawkins (Kate), Keith Smee (collega di Terry), Hayley Atwell (Angela Stark), Peter-Hugo Daly (proprietario barca), Stephen Noonan (Mel), Dan Carter (Fred),
Richard Lintern (direttore), Jennifer Higham (Helen), Lee
Whitlock (Mike), Hugh Rathbone, Allan Ramsey, Paul Marc
Davis, Terry Budin-Jones, Franck Viano, Tommy Mack (giocatori di poker), Philip Davis (Martin Burns), Phyllis Roberts (madre di Burns), Tamzin Outhwaite (ragazza di Burns),
Cate Fowler (madre di Angela), David Horowitch (padre di
Angela), Matt Barlock (proprietario della Jaguar), Jim Carter (capo del garage), Paul Gardner (venditore di Bentley),
Michael Harm (agente immobiliare), Mark Umbers (Eisley),
Maggie McCarthy (domestica), Richard Graham. Ross Boatman (detectives), Milo Bodrozic, Emily Gilchrist, George Richmond
Durata: 108’
Metri: 3038
procura molti danni. Una sera infatti, perde una somma notevole al tavolo da gioco e, disperato, si rivolge al fratello. Lui
cerca di aiutarlo come può, ma il denaro
procurato non basta. Ian inoltre, ha conosciuto Angela, una bellissima aspirante attrice e se ne è innamorato perdutamente.
Sembra, però, giunta l’occasione per
i due ragazzi di uscire dai loro problemi
finanziari. In occasione del compleanno
della madre, arriva in città, dagli Stati
Uniti, il facoltoso zio Howard, che già
56
in passato ha aiutato i due fratelli. Ian e
Terry così colgono l’occasione per chiedergli l’ennesimo aiuto. Anche questa
volta l’uomo accetta di aiutarli. Stavolta però lo zio gli chiede in cambio un
favore enorme: i due devono infatti uccidere un uomo che lo sta ostacolando
indagando nei suoi traffici non proprio
puliti. I due giovani entrano subito in
crisi. Non sanno se accettare o meno. Il
più deciso è Ian mentre Terry appare terrorizzato. Alla fine i due nipoti si presentano da Howard dicendo che accet-
Film
tano l’affare che gli è stato proposto. Cominciano così a escogitare i piani per far
fuori la vittima designata. Una sera, lo
incontrano in un locale e ci scambiano
anche due parole. Alla fine, riescono a
ucciderlo in un luogo isolato. I due reagiscono a questo omicidio in maniera
totalmente differente. Ian si riesce a controllare e continua a comportarsi come
ha sempre fatto. Terry, invece, entra in
una crisi profonda ed è ossessionato dal
senso di colpa. Beve sempre di più, prende delle pastiche e la notte ha continui
incubi. Anche la sua fidanzata, con la
quale convive, nota che sta cambiando
sempre di più. A un certo punto, dice a
Ian che non riesce a vivere più con questo peso, lo accusa di averlo trascinato
in questa storia e ha intenzione di andare a confessare tutto alla polizia. Questi
cerca di prima dissuaderlo, poi contatta
lo zio per comunicargli le intenzioni di
Terry. A questo punto, Howard, per non
avere problemi di nessun tipo, chiede al
nipote un ulteriore, estremo sacrificio:
uccidere Terry. Il delitto si deve compiere nella barca che hanno insieme. I due
organizzano così una gita in mezzo al
mare. L’epilogo però è differente rispetto a quello programmato...
C
on Sogni e delitti Woody Allen
sembra chiudere la sua trilogia
londinese, affrontando nuovamente le forme del giallo, più cupo in Match Point, più tendente verso il comico e
il fantastico in Scoop. Ancora una volta,
nel cinema del prolifico cineasta
newyorkese si affaccia il fantasma di Dostoevskij, evidente sia nel raggelato Match Point, ma soprattutto, in Crimini e misfatti, una delle sue “commedie umane”
più tragiche. Anche in quest’ultimo film,
inoltre, il denaro e il delitto sono intrinsecamente legati, anzi lo sono ancora di
più rispetto sia a Match Point sia a Crimini e misfatti dove la componente passionale aveva invece una sua importanza. Per sottolineare questa atmosfera
cupa, quasi malata, il regista si affida a
quelle tonalità uggiose della fotografia di
Vilmos Zsigmond (con cui aveva già collaborato nel 2004 in Melinda e Melinda)
e recupera, anche se in maniera meno
evidente di quanto potrebbe far apparire
il titolo originale, elementi simbolici e mitologici. I primi sono sottolineati dalla presenza del teatro. Lo spazio è come un
palcoscenico, piuttosto chiuso, dove le
azioni sembrano aprirsi e chiudersi autonomamente in ogni scena. Inoltre la
Tutti i film della stagione
componente teatrale è presente sia negli spettacoli dell’affascinante ragazza di
cui si innamora Ian sia nel finale dove la
barca, luogo di per sé limitato e definito,
diventa il set della tragedia finale. Gli elementi mitologici sono invece già messi
in luce dal nome di “Cassandra”, non a
caso quello con cui i due fratelli hanno
chiamato la loro imbarcazione e questa
figura della mitologia greca era nota per
avere avuto da Apollo il dono della preveggenza e quindi anticipava terribili
sventure.
C’è, quindi, il cinema di Woody Allen
dentro Sogni e delitti. Soprattutto l’ultimo cinema, quello più stanco, che ricicla se stesso, quasi affannato nel continuo tentativo di mantenere costante un
ritmo incalzante, lo stesso che aveva
nelle sue pellicole degli anni Settanta e
Ottanta, che seguiva soprattutto le traiettorie di dialoghi fulminanti. Ecco, ultimamente nella sua filmografia la parola
si è fatta più debole. Allora, o il cineasta
si indirizza verso una follia incontrollabile, quella che aveva caratterizzato recentemente sia Hollywood Ending sia
Anything Else, oppure la sua opera appare incolore, priva ormai di un’autentica ispirazione. Pur essendo stilisticamente più compiuto, già da Match Point si
era affacciato il sospetto che la struttura
del noir fosse piuttosto estranea allo
sguardo del cineasta. Lì, in ogni caso,
l’aveva saputa affrontare con un certo
mestiere. Scoop e Sogni e delitti appaiono come la testimonianza di un’involuzione che Allen non cerca neanche di
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mascherare, ma, piuttosto è come se la
esibisse. Se si pensa al modo con cui
viene costruito ed eseguito il delitto dai
due fratelli e al finale, c’è una frattura tra
la velocità della scrittura e quella della
messa in scena. Inoltre, lo stesso senso
di colpa e la progressiva follia di Terry
appaiono isolati come puri elementi di un
meccanismo narrativo anche farraginoso che restano epidermicamente distanti
e freddi; al contrario, invece, dei grandi
noir, in cui si tende a precipitare nella
storia e nelle ossessioni mentali dei protagonisti.
Poi, tranne la bella prova di Tom
Wilkinson nei panni dello zio Harold, anche Ewan McGregor e Colin Farrell (soprattutto quest’ultimo) appaiono a disagio, come spaesati in un cinema che è
sempre più fuori controllo, cha è come
un set continuamente aperto e ininterrotto (a Barcellona infatti ha già completato le riprese di Vicky Cristina Barcelona con Penelope Cruz, Scarlett Johansson e Javier Bardem ed è già al lavoro
su un altro progetto), segno di come la
vita e il cinema siano ormai diventati elementi coincidenti. Questa sua prolifica
attività (oltre 40 film), soprattutto ultimamente, rischia di creare criticamente una
notevole dispersione. Attenzione, quello
di Allen non è un cinema invecchiato, ma
un cinema che non ne vuole sapere di
fermarsi ma anche di rinnovarsi. Ed è
così, nella sua ripetizione, che almeno
oggi lascia più disorientati che delusi.
Simone Emiliani
Film
Tutti i film della stagione
CAOS CALMO
Italia, 2008
Canzone/Musica estratta: “L’amore trasparente” (Ivano Fossati)
Interpreti: Nanni Moretti (Pietro Paladini), Valeria Golino (Marta), Isabella Ferrari (Eleonora Simoncini), Alessandro Gassman (Carlo), Blu Yoshimi Di Martino (Claudia), Hippolyte Girardot (Jean-Claude), Kasia Smutniak (Jolanda), Denys Podalydès (Thierry), Charles Berling (Boesson), Silvio Orlando
(Samuele), Alba Rohrwacher (Annalisa), Manuela Morabito
(Maria Grazia), Roberto Nobile (Taramanni), Babak Karim
(Mario), Stefano Guglielmi (Matteo), Tatiana Lepore (madre
di Matteo), Beatrice Bruschi (Benedetta), Cloris Brosca (psicoterapeuta), Antonella Attili (maestra Gloria), Sara D’Amario
(Francesca), Anna Gigante (madre), Nestor Saied (marito di
Eleonora), Dina Braschi (donna anziana al gala), Ester Cavallari (Lara), Anna Gigante, Valentina Carnelutti (amiche di Maria Grazia), Roman Polanski (Steiner)
Durata: 112’
Metri: 3009
Regia: Antonello Grimaldi
Produzione: Domenico Procacci per Fandango. In collaborazione con Portobello Pictures/Phoenix Film Investment/Rai
Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Laura Paolucci, Francesco Piccolo
Direttore della fotografia: Alessandro Pesci
Montaggio: Angelo Nicolini
Musiche: Paolo Buonvino
Scenografia: Giada Calabria
Costumi: Alexandra Toesca
Casting: Laura Muccino, Annamaria Sambucco
Aiuto regista: Loredana Conte
Suono: Gaetano Carito
U
n giorno d’estate, il manager
cinematografico Pietro Paladini
perde la moglie Lara a seguito di
un malore improvviso. L’uomo, che non
ha assistito alla tragedia in quanto si trovava in spiaggia col fratello Carlo a salvare la vita a una donna sconosciuta, decide da qual momento di dedicarsi interamente alla figlia di dieci anni Claudia.
Abbandona anche il lavoro, proprio quando la sua società attraversa una fase delicata, perché in odore di fusione con una
multinazionale.
Per stare sempre vicina alla bambina,
trascorre le sue giornate davanti alla sua
scuola ad aspettarla fino al termine delle
lezioni, seduto su una panchina. Durante
la lunga attesa, Pietro osserva la gente che
frequenta i giardinetti (una bella ragazza
di nome Jolanda che porta a spasso il suo
cane San Bernardo, un ragazzino down che
si diverte a giocare con l’antifurto della
sua auto) e finisce per stringere amicizia
con il proprietario del bar dove pranza tutti
i giorni.
Poiché si ostina a non muoversi da
lì, i colleghi d’ufficio sono costretti ad
andarlo a trovare. Pietro, che soffre in
silenzio per il lutto della moglie e non
riesce a esternare il suo male, riceve intanto le confidenze dell’amico francese
Jean Claude, che gli racconta le proprie
difficoltà coniugali e quelle della cognata Marta (sua compagna prima di conoscere la sorella Lara), una persona problematica che non sa come affrontare
una gravidanza indesiderata e lo rimprovera di non aver amato abbastanza la
moglie.
Un giorno, rincontra la donna che ha
salvato in mare, Eleonora Simoncini, che
scopre essere l’amante segreta del signor
Steiner, potente imprenditore ebreo interessato all’acquisto della società dove lavora. Dopo averla invitata nella sua casa
al mare, passa una focosa notte di sesso
con lei.
Ma neppure questo lo aiuta a dimenticare la terribile perdita.
Come, d’altronde, non gli era stato di
nessuno conforto il tentativo di partecipare a una seduta di gruppo terapeutica per
mettere fine ai suoi sensi di colpa. L’unica
forza per andare avanti, Pietro la trova nella figlia, sulla quale cerca di non far pesare i suoi tormenti interiori. È proprio lei,
alla fine, a spingerlo a ritornare a lavorare, sebbene abbia rifiutato un importante
promozione offertagli dal suo nuovo capo
Steiner.
P
eccato di presunzione voler ridurre il romanzo Premio Strega di
Sandro Veronesi a una copia
sbiadita e senz’anima di La stanza del
figlio. Perché il riferimento è d’obbligo
(leggi più avanti). Peccato di presunzione voler annullare il ricco materiale antropologico del libro, dove figura una gal58
Film
leria di ritratti umani disperati, ironici, a
volte grotteschi, fagocitando così il resto
del cast con ingordigia quasi cannibalesca.
Peccato di presunzione, infine, volere
credere, a tutti i costi, che la partecipazione onnipotente dell’Autore-factotum sia sinonimo di garanzia. Niente di più sbagliato! Non si può costruire un intero film sul
carisma (disturbante e indisponente) di
Nanni Moretti e sulle sue (indiscutibili) doti
di attore, sacrificando un potenziale narrativo così generoso quale è quello di Caos
Calmo. Il cui folgorante incipit con il drammatico salvataggio in mare preannuncia la
morte, con un’intensità espressiva pari a
quella presente nella scena che anticipa
la fatale immersione subacquea di Andrea
nell’opera sopra citata, Palma d’oro a Cannes nel 2001: mentre la madre è al mercato, un misterioso ladruncolo sfreccia via
tra i banchi distraendo la sua attenzione... .
La sceneggiatura, firmata anche da
Piccolo e Paolucci, si concede alcune licenze e lacune inspiegabili, oltre che evidenti incongruenze. Ed è il vero punto debole di questa equivoca e ruffiana (vedi la
tanto chiacchierata scena di sesso, dove
Tutti i film della stagione
Moretti si mostra in una veste insolita e trasgressiva) operazione popolar-autoriale.
È sacrosanta la scelta di voler rappresentare in primissimo piano il caotico flusso di coscienza dell’uomo medio Paladini
che, affetto da catatonia post-trauma, guarda il mondo circostante dall’abitacolo della sua macchina come un immenso e meraviglioso acquario. Pietro, mentre è assorto a ripassare a mente le compagnie aeree con le quali ha viaggiato e gli indirizzi
delle case nelle quali ha abitato, riscopre
la bellezza e la semplicità della vita: i piccoli gesti d’affetto, gli sguardi complici, i
sorrisi liberatori.
Al contrario, appare quasi sacrilega la
decisione di relegare artisti di navigata
fama a ruolo di povere comparse (c’è perfino un cammeo del grande Roman Polanski nella parte di Steiner). E mi riferisco, in
particolare, a quel monumento vivente di
malinconico sarcasmo che è Silvio Orlando, la cui fugace apparizione nei panni del
battagliero e illuso direttore del personale
Samuele, lascia piuttosto perplessi, se non
delusi, i suoi tanti estimatori.
Per non parlare, poi, dei personaggi interpretati da Valeria Golino e Alessandro
Gassman (rispettivamente Marta e Carlo),
che a stento riescono a rubare la scena al
“dittatore” Nanni, rimanendo due personalità malate ma difficilmente inquadrabili. I
loro profili, infatti, non vengono sufficientemente approfonditi ed è un peccato, perché è grazie anche all’interazione con queste figure che Paladini si confronta con l’altro aspetto fondamentale del dolore: la solitudine.
Per quanto la regia di Grimaldi riesca
a essere sobria e in sintonia con quella
atmosfera di apparente atarassia e sospesa inquietudine che si respira lungo tutta
la storia, difetta immancabilmente dal punto di vista del ritmo: soporifero e mai incalzante, come è invece nel testo originale di
Veronesi. L’amara e silente elaborazione
del lutto e la sua parziale accettazione finale, insomma, non convince e, soprattutto, non coinvolge, lasciando lo spettatore
un po’ più confuso, assente e freddo di prima. Proprio come il protagonista di Caos
Calmo che, a forza di comprimere le sue
emozioni, si “scioglie” in una crisi di pianto
soltanto dopo un’ora dall’inizio del film.
Diego Mondella
VALUTAZIONI PASTORALI
Altra giovinezza (Un’) – discutibile /
ambiguità
American Gangster – accettabile / problematico
Assassino di Jesse James per mano
del codardo Robert Ford (L’) – discutibile / problematico
Bentornato Pinocchio – inconsistente
/ banale
Bianco e nero – discutibile / ambiguità
Biùtiful Cauntri – accettabile-realistico
/ dibattiti
Caos calmo – discutibile / ambiguità
Caso Thomas Crawford (Il) – accettabile / problematico
Come tu mi vuoi – inconsistente / superficialità
Cous Cous – accettabile-problematico /
dibattiti
2061: un anno eccezionale – accettabile / brillante
Falsario (Il) – Operazione Benhard –
accettabile-realistico / dibattiti
Fine pena mai – discutibile / ambiguità
Forse Dio è malato – discutibile / ambiguità
Giorni e nuvole – accettabile / problematico
Grande grosso e... Verdone – accettabile / semplice
Guardiani del giorno (I) – accettabile /
crudezze
Guerra di Charlie Wilson (La) – accettabile-problematico / dibattiti
Innocenza del peccato (L’) – discutibile
/ scabrosità
Into the Wild – Nelle terre selvagge –
accettabile-problematico / dibattiti
John Rambo – discutibile / violento
Leoni per agnelli – accettabile-problematico / dibattiti
Lussuria – Seduzione e tradimento –
discutibile / scabrosità
Non è mai troppo tardi – raccomandabile / problematico
Non è un paese per vecchi – discutibile-crudezze / dibattiti
Parlami d’amore – discutibile / velleitario
Parole sante – n.c.
Paura primordiale – n.c
Persépolis – accettabile-problematico /
dibattiti
59
Petroliere (Il) – discutibile / problematico
Prospettive di un delitto – accettabile /
crudezze
Resident Evil: Extinction – discutibile /
crudezze
Rush Hour – Missione Parigi – accettabile / brillante
Scafandro e la farfalla (Lo) – accettabile-problematico / dibattiti
Scusa, ma ti chiamo amore – inconsistente / superficiale
Signorinaeffe – discutibile / ambiguità
Sogni e delitti – discutibile-problematico / dibattiti
Spaccacuori (Lo) – inaccettabile / volgare
Sweeney Todd – Il diabolico barbiere
di Fleet Street – discutibile / crudezze
30 giorni di buio – inaccettabile / malsano
Tutta la vita davanti – accettabile-riserve / problematico
Uomo qualunque (Un) – accettabileproblematico / dibattiti
Film
Tutti i film della stagione
TUTTO FESTIVAL
VENEZIA 2007
OTTIMA SELEZIONE, SBAGLIATO IL LEONE
A cura di Flavio Vergerio, Francesca Felletti, Luisa Ceretto e
Davide Di Giorgio
Un consuntivo della 64a Mostra di Venezia, 75° anniversario dalla fondazione, comporta i soliti rischi di valutazione legati al gusto
personale. Pur considerandomi un cinefilo snob che mette al di sopra di tutto l’autorialità, avendo in spregio le ragioni del cinema come
industria e i riti spesso osceni del divismo e della mondanità, mi unisco all’apprezzamento pressoché unanime della critica che ha
giudicato molto buona la selezione dei film del Concorso e delle altre sezioni proposta da Müller.
In questi giorni, finito il mandato del Presidente della Biennale uscente Davide Croff, torna a rispuntare un altro manager navigato
quale Paolo Baratta, che aveva ben operato in coppia con Alberto Barbera. Gli equilibri e le alchimie politiche sono sempre qualcosa
di misterioso, territorio che non mi affascina. Continuo a non capire tuttavia come un Direttore di una manifestazione complessa e
quindi bisognosa di continuità quale la Mostra, pur avendo dimostrato competenza, equilibrio e attenzione al rinnovamento delle
strutture narrative di nuovi autori (quest’anno ad esempio Abdellatif Kechiche), ogni anno debba vivere nell’incertezza della nomina.
Nel momento in cui redigo questo rendiconto leggo che il Ministro Rutelli auspica una conferma di Marco Müller alla direzione di
Venezia. Visto il difficile momento politico speriamo che l’auspicio non sia solo un esercizio retorico. Mai come quest’anno la Mostra,
dopo aver definitivamente riconquistato attenzione e prestigio presso produttori e critica, avrebbe bisogno della continuità di una
direzione collaudata, in vista di un rimescolamento delle carte provocato dalla Festa del Cinema romana. La larghezza di mezzi
finanziari, l’attenzione massiccia dei media ai riti del “red carpet”, la spettacolarizzazione dell’evento, non possono non provocare un
riposizionamento degli altri festival maggiori. La richiesta di maggiore “visibilità” da parte dei politici ha già prodotto un cambiamento profondo nella direzione del Festival di Torino, ma forse Venezia ha i mezzi e il prestigio per continuare con coerenza su una propria
strategia culturale. Tuttavia i beni informati ci riferiscono di un certo malumore per le date della Festa, troppo vicine sia a quelle di
Venezia che di Torino. Certamente i selezionatori di Roma e Venezia hanno litigato con i produttori per accapparrarsi alcuni titoli. I film
richiesti di Coppola, di Corneau e di Sean Penn hanno preso la strada di Roma piuttosto che quella di Venezia. Ma, sulla carta, salvo
alcune delusioni di cui diremo poi, il menu era principesco, mescolando piatti classici e cucina innovativa: Wes Anderson, Kenneth
Branagh, Youssef Chahine, Brian De Palma, Peter Greenway, Paul Haggis, Todd Haynes, Abdellatif Kechiche, Ang Lee, Ken Loach,
Eric Rohmer e poi i Leoni d’Oro attribuiti a Tim Burton e Bernardo Bertolucci, l’omaggio al redivivo Alexander Kluge. Credo che la
selezione veneziana sia stata la migliore degli ultimi anni. In questo panorama purtroppo i tre film italiani di Paolo Franchi, Vincenzo
Marra e Andrea Porporati sono apparsi modesti, se non sbagliati. I produttori di Carlo Mazzacurati (La giusta distanza), Silvio Soldini
(Giorni e nuvole), Mimmo Calopresti (L’abbuffata) hanno preferito la vetrina romana, più casereccia e buonista di quella spesso
prevenuta dei cinefili del Palagalileo, e forse dal loro punto di vista hanno avuto ragione. Rimane però incomprensibile come il brillante
e puntuto Non pensarci di Giovanni Zanasi sia stato concesso alle Giornate degli autori, così come La ragazza del lago, geometrico
ritratto al noir della provincia friulana dell’esordiente Andrea Molaioli sia stato presentato alla Settimana della critica. Consideriamoli
incidenti di percorso che non inficiano il risultato complessivo.
Se Müller era stato ingiustamente criticato l’anno scorso per l’eccesso di film asiatici, ha pensato bene quest’anno di ribadire la sua
giusta attenzione per la Cina, nominando direttore della Giuria uno Zhang Yimou che, dopo i suoi esordi di regista “contro”, appare
oggi uomo d’apparato e di potere. Ebbene, è facile pensare che Yimou sia riuscito a condizionare una giuria formata da registi forse
meno navigati di lui, capovolgendo tutte le aspettative della critica che avevano tributato un vero trionfo al bellissimo La graine e le
moulet di Kechiche.
Col senno di poi si può adombrare un qualche conflitto d’interessi nel fatto che il produttore di La tigre e il dragone e del premiato
Lust, Caution di Ang Lee, Bill Kong, abbia prodotto anche tutti film di Yimou.
Rimango infine perplesso circa la retrospettiva dedicata al Western all’italiana, curata dall’infaticabile studioso del B-Movie
italiano Marco Giusti. Egli afferma che “tra il 1963 e il 1974 in Italia c’è stata una rivoluzione. Come definire altrimenti la
nascita di un genere che cambiò completamente il linguaggio cinematografico del tempo, le regole del mercato, della moda, i
modelli produttivi e riesce ancora oggi, a quarant’anni di distanza, a produrre nuovo cinema”. Per quanto riguarda gli aspetti
narrativi e linguistici la “rivoluzione” adombrata da Giusti sarebbe consistita nella reinvenzione di un genere quasi finito come
il western e nella costruzione del primo cinema postmoderno. A me sembra che, a parte Leone che sta una spanna sopra tutti i
suoi compagni d’avventura per rigore e consapevolezza, gli spaghetti western siano stati un impoverimento e una banalizzazione
del genere americano d’origine. Il dato che accomuna molti di quei film è costituita dall’ironia (spesso però facile se non becera)
e dall’ideologizzazione schematica, con una rozza analisi di classe, il femminismo, la critica alle istituzioni. Il cosiddetto “postomoderno” si riduce spesso in una comicità popolaresca e nella stanca riproposta di meccanismi narrativi prevedibili. Per dovere
di documentazione ho visto finalmente l’osannato Django di Sergio Corbucci (1965), storiella di un reduce della Guerra Civile
che si fa vendicatore dei soprusi subiti da contadini messicani a opera una banda di razzisti. L’ho trovato noioso, ripetivo e
grossolano. Corbucci tenta la carta dell’ironia nel caricare di banalità gli stereotipi insiti nel soggetto. Ma si ride poco.
60
Film
Tutti i film della stagione
Mi sembra del tutto fuorviante richiamare il cinema giapponese dell’epoca (Yojimbo, I sette samurai) come modello stilistico. La
storia del western all’italiana merita forse uno studio sociologico più che un’analisi critica. Continuo a pensare che la Mostra dovrebbe
dedicarsi anche nell’ambito delle retrospettive alla conoscenza e alla valorizzazione del cinema d’autore altrimenti invisibile e non
tanto nel rilancio di un genere in occasione di nuove uscite in DVD.
(f.v.)
IL CONCORSO: ROHMER E
KECHICHE
di FLAVIO VERGERIO
Malgrado l’affollamento nella sezione
maggiore di molti grandi registi il Concorso di
Venezia 2007 rimarrà segnato nel nostro immaginario cinefilico dagli straordinari Gli amori di Astrea e Céladon di uno dei “grandi vecchi” della cinematografia europea, il sempre
sorprendente Eric Rohmer, e da La graine et
le moulet (Il grano e il miglio) del talentuoso
tunisino Abdellatif Kechiche.
A parte queste e altre particolari riuscite
(Anderson, Guerin) mi pare che stavolta Müller sia andato sul sicuro puntando su un gruppo
di film accomunati dall’impegno civile e dal pacifismo. Non a caso, la maggiore presenza è stata
attibuita al cinema americano “democratico”,
penalizzando probabilmente a malincuore altre
aree geografiche. Facendo i conti i film in concorso erano in numero leggermente superiore
allo scorso anno (23 contro 20), di cui ben sei
statunitensi, quattro inglesi, tre italiani, tre cinesi (due erano però prodotti a Hong- Kong),
due francesi (ma uno era diretto dal tunisino Kechiche), un giapponese, un egiziano, uno spagnolo, un taiwanese. Insomma, ancora una volta prevale il cinema occidentale, l’Africa nera e
l’America Latina sono assenti. Forse la selezione veneziana non fa altro che prendere atto dei
dati della produzione mondiale, ma continuo a
pensare che nel mondo esistano altre cinematografie e talenti emergenti.
Il film che avrebbe meritato il massimo riconoscimento era La graine et le moulet (Il grano e
il miglio) del franco-tunisino Kechiche, già segnalatosi alla Settimana della Critica del 2001
con La colpa di Voltaire e poi a Cannes nel 2003
con La schivata. Kechiche riesce a coniugare
un’acuta osservazione sulle difficoltà di inserimento nel tessuto sociale francese di immigrati
nordafricani con una straordinaria fluidità di un
racconto fondato sulla costruzione di personaggi
credibili e su una descrizione emozionante dei
loro rapporti. Precisione sociologica e forza dei
sentimenti: un connubio dal difficile equilibrio
che qui funziona benissimo. Il protagonista è un
immigrato nordafricano sessantenne che si licenzia da un cantiere navale di Sète in crisi, ove ha
lavorato a lungo. L’uomo, stanco e deluso da una
vita ormai senza prospettive, si divide fra due famiglie. Mantiene buoni rapporti con la donna da
cui ha divorziato e con i figli ormai grandi, pur
vivendo con una nuova compagna che gestisce
un bar-ristorante e con la figlia avuta da questa
da un precedente matrimonio. L’uomo sogna di
coinvolgere le due famiglie in un nuovo progetto che ridia slancio alla sua vita. Con i soldi della
liquidazione acquista una carretta del mare che
adatta a ristorante galleggiante. La sera dell’inaugurazione, cui partecipano sia amici che i maggiorenti della città, incentrata su piatti tipici della
tradizione araba, il figlio sparisce con il piatto
forte, il couscous. Per tener buoni nella lunga attesa i commensali, la figlia della seconda moglie
(Hafsia Herzi, premiata per la migliore interpretazione femminile) improvvisa un’interminabile
sensuale danza del ventre. A prima vista il soggetto assomiglia ai film di Guédiguian, ambientati fra gli emarginati della periferia di Marsiglia,
oppure a quelli di Kaurismaki in cui i poveri sognano un’inafferabile felicità. Ciò che distingue
Kechiche da quei modelli è la totale moralità della
sguardo e la rinuncia a qualsiasi intento didascalico. La comunità araba è descritta con tutte le
sue contraddizioni, evitando ogni possibile pregiudizio e stereotipo. Le due famiglie litigano e
si odiano, ma solidarizzano, coinvolte dal sogno
del padre; le tradizioni religiose sono messe in
crisi dall’impatto con i disvalori consumistici della società occidentale; il senso della famiglia, con
i suoi riti collettivi, convive con maschilismo e
tradimenti. Tutto sembra sciogliersi nel sentire
comune del cibo, della musica e del ballo sensuale.
Lo sguardo apparentemente non selettivo di
Kechiche permette che la verità delle azioni e dei
personaggi si manifesti inattesa e sorprendente
attraverso lunghe pregnanti inquadrature con la
mdp sempre addosso eppure rispettosa dei personaggi. Ne deriva una tensione drammaturgica
che raramente incontriamo al cinema.
L’altra grande riuscita mi è apparso Gli
amori di Astrea e Céladon di Eric Rohmer (di
cui abbiamo già parlato nel numero precedente
di Film), straordinaria riflessione sul miracolo
del manifestarsi dello spirito attraverso l’illusionismo dei linguaggi e delle rappresentazioni. Rinunciando al “realismo” e allo psicologismo delle serie delle Commedie e dei Proverbi
il grande “teorico” della Nouvelle Vague mette
in scena un’opera in versi settecentesca di Honoré d’Urfé, in cui si tratta d’amori e di fedeltà
in una Gallia al tempo dei Druidi, totalmente di
fantasia. Depurato da ogni obbligo di verisimiglianza il film coniuga leggerezza e astrazione,
coinvolgendoci in un labirinto di forme, ove essere e apparire, sensualità e purezza, religiosità
precristiana e panteismi entrano in una relazione poetica. Lo spirito ha a che fare con la rima
barocca e il dolce frusciare del vento sui boschi
incontaminati di una Francia ancora agreste.
E veniamo al gruppo dei film di “denuncia”
americani, applicati alla guerra in Iraq o allo strapotere dell’economia. Gli estimatori di Brian De
Palma (Redacted) hanno apprezzato la sua consueta abilità nel manipolare tecnologie e le conseguenti forme di linguaggio, ma il soggetto del
dramma – la violenza agita dalle truppe USA
contro la popolazione civile – finisce per esserne
depotenziato. Il film diventa una riflessione sulla
manipolazione delle immagini più che una protesta civile contro la guerra imperialista.. Decisamente più tradizionale nelle scelte narrative, con
una solida sceneggiatura lineare e la costruzione
61
di personaggi a tutto tondo (ben interpretatati da
Tommy Lee Jones e Charlize Teron) In the Valley of Elah di Paul Haggis. Un padre svolge una
ricerca personale sulle sorti del figlio “assente
ingiustificato” dopo essere ritornato dall’Iraq, scoprendo così un quadro inquietante sulla vera natura della guerra. Alla fine, l’uomo farà un alzabandiera con le stelle e strisce americane rovesciate, non riconoscendosi più nei valori di un
acritico patriottismo.
Tony Gilroy con Michael Clayton ci ripropone in modo un poco stanco il noto acritico
teorema secondo cui gli USA avrebbero gli
anticorpi per vincere le forze del male. In questo caso, un avvocato in crisi d’identità (un
George Clooney che rifà il verso al grande
“Bogey”) riesce da solo a scardinare i piani di
una grande azienda agrochimica inquinatrice.
Abbiamo bisogno di fiabe, lasciateci sperare.
Più stimolante il “politicamente scorretto”
The Darjeling Limited di Wes Anderson che
narra il viaggio scombinato e surreale di tre
fratelli alla ricerca della madre fattasi suora al
Nord dell’India. Umorismo sardonico, gag al
limite dell’assurdo, spiazzamento continuo
della consequenzialità del racconto nascondono un’ironia non poi tanto nascosta sui luoghi
comuni conflitti fra colonialismo e impenetrabilità culturale dell’India.
Se l’ennesima rivisitazione del mito di Jesse
James (The Assassination of Jesse James by the
Coward Robert Ford di Andrew Dominik) non
ha lasciato alcuna traccia nella memoria degli
spettatori, di notevole interesse è apparso il caleidoscopico I’m Not There (Io non sono qui) di
Todd Haines, dedicato alla complessità della figura di Bob Dylan. La molteplice personalità del
cantautore, rappresentata con una sceneggiatura
a incastro in cui convivono le diverse fasi (reali o
immaginarie) della vita di Dylan, sono lo specchio problematico della società americana, sospesa fra utopia e pragmatismo, arte e vita, tradizione e omologazione consumistica.
Ken Loach sembra essere tornato in gran
forma con Un mondo libero, in cui denuncia
le nuove forme di sfruttamento della manodopera proveniente dall’Europa ex-comunista.
Una impiegata licenziata da un’agenzia di collocamento di lavoro “interinale” (ah, le belle
parole...) impara la lezione e da vittima diventa carnefice. Lucido, senza facili speranze e
proprio per questo utile.
Il film di Ang Lee, Lust, Caution (chissà
se verrà tradotto letteralmente, Lussuria, attenzione!, il che produrrebbe un effetto esilarante) si divide in due parti, la prima, noiosa e
prevedibile narra dei tentativi di seduzione di
una giovane resistente nei confronti un collaborazionista al soldo dei giapponesi occupanti
nella Shanghai del 1941. Nella seconda parte,
l’adescamento a fini spionistici si trasforma in
attrazione fatale fra i due, che si avvinghiano e
copulano instancabilmente per almeno un’ora
Film
di film. Solo che la supposta “lussuria” del titolo si riduce a un erotismo inerte da “omelette norvegese” (come spiritosamente dice Positif), la cui preoccupazione precipua è quella
di nascondere il pisello del povero Tony Leung.
I film di Andrea Porporati Il dolce e l’amaro e di Vincenzo Marra L’ora di punta, pur
lodevoli nelle buone intenzioni di far riaccostare il cinema italiano a temi di impegno civile (la mafia, la corruzione negli apparati dello
Stato) purtroppo non funzionano per debolezze di sceneggiatura ed eccessi di didascalismo.
Mi piace concludere con due film diversissimi fra loro, ma egualmente interessanti per
la ricerca linguistica.
Il grande Youssef Chahine assieme al suo
assistente Khaled Youssef firma con Chaos
un’opera acuta e beffarda, mescolando denuncia politica e melodramma, buoni sentimenti e
ironia. Nel narrare la persecuzione di un poliziotto corrotto nei confronti di una donna difesa da un magistrato democratico (e la patetica rivolta di un quartiere vessata dai soprusi
della polizia), il vecchio regista egiziano mette in scena una nuova opera popolare che unisce alle dichiarate finalità “didattiche” la rivisitazione intelligente del cinema di genere.
Più sottile e raffinata l’operazione del catalano José Luis Guerin, regista di ricerca già impostosi all’attenzione per il suo rigore formale.
Con Nella città di Silvia Guerin mette in scena
il “pedinamento” (reale e metafisico) di un giovane pittore che insegue, dietro a diverse figure
femminili, l’immagine di una donna sognata. Il
film diventa una riflessione sul sogno e sulla
rappresentazione, ricerca quasi religiosa di un
segno puro attraverso la confusione e le contraddizioni del reale. Guerin si ispira contemporaneamente a Hitchcock e a Ozu. L’intrigo e
la direzione di senso. La purezza del cinema.
Troppo ambizioso per un festival.
FUORI CONCORSO
di FRANCESCA FELLETTI
La sezione “Fuori Concorso” della 64esima
edizione della Mostra di Venezia ha brillato, come
pure i film della competizione, per la presenza di
grandi autori. Affianco a una trascurabile “Venezia Notte”, che ha fatto parlare di sé solo per l’ennesima versione (The final cut) di Blade Runner
di Ridley Scott e per la presenza di una bruna
Scarlett Johansson nella commedia di Robert
Pulcini e Shari Springer Berman Diario di una
tata, una delle perle dell’intero festival è stata proprio “Venezia Maestri”. Woody Allen, Julio Bressane, Claude Chabrol, Amos Gitai, Im Kwon
Taek, Takeshi Kitano, Carlo Lizzani, Manoel de
Oliveira, i nomi dei grandi che hanno presentato
la loro ultima creazione. In ordine alfabetico viene prima Allen, che pure con il suo Cassandra’s
Dream non ha convinto la platea. Ma i film di
Woody, probabilmente per la prolificità del loro
autore, non sempre riescono a raggiungere le vette
e, dopo i memorabili Match Point e Scoop pare
ispirati dalla musa Johansson, qui siamo di fronte a uno dei “minori”. Il cast non è da poco: protagonisti Ewan McGregor e Colin Farrel nel ruolo di due fratelli che commettono un omicidio a
scopo di lucro. Originale per la filmografia alle-
Tutti i film della stagione
niana l’ambientazione sociale nella lower class e
geografica nella periferia londinese, ma la storia
non riesce a decollare. Un tema, quello della colpa e della pena, del delitto e del castigo, ormai
abusato dal regista americano che questa volta
non riesce a essere convincente.
Tutt’altro stile e registro per la Cleopatra di
Julio Bressane: il mito dell’ultima regina d’Egitto viene descritto dal più sperimentale fra i registi brasiliani con la forza di immagini essenziali,
dai colori saturi, al cui centro sta la plasticità erotica dei corpi di Cleopatra (Alessandra Negrini)
e dei suoi due amanti romani: Cesare (Miguel
Falabella) e Antonio (Bruno Garcia), l’amore intellettuale e il diletto di Bacco. Sullo sfondo, al
posto delle sanguinose lotte di conquista dell’Impero Romano, la potenza della natura e la ricchezza della corte di Alessandria d’Egitto. Inedita Cleopatra in lingua portoghese.
Sesso, amore e morte anche in La Fille
coupée en deux di Claude Chabrol. La sensuale Ludivine Sagnier è una conduttrice televisiva in cerca del successo che si innamora dell’anziano e affermato scrittore Francois Berléand. L’uomo la conduce attraverso giochi
erotici sempre più perversi per poi lasciarla.
La ragazza cercherà consolazione nel matrimonio con il paranoico milionario Benoit Magimel, che non riuscirà a superare la gelosia
per lo scrittore con tragiche conseguenze. Una
storia tutta giocata sui limiti, sulla linea sottile
che separa la vittima dal carnefice, la pazzia
dalla bizzarria, la finzione dalla realtà. Interpreti all’altezza di una regia sempre credibile
e coinvolgente, per l’ennesima affascinante
storia di amour fou chabroliana.
Arrivato al Lido all’ultimo momento Disengagement di Amos Gitai. Ed è stato davvero un peccato che le proiezioni siano state fatte “d’emergenza” sul piccolo schermo della
Sala Pasinetti. L’inizio è folgorante: una palestinese (la sempre più interessante Hiam Abbass) e un israeliano si incontrano su un treno
italiano e si baciano. Dopo i titoli di testa, le
vicende di Ana (Juliette Binoche) che accoglie il fratellastro israeliano Uli (Liron Levo)
giunto in Francia per i funerali del padre. A
contatto con la parte mediorientale della sua
vita, Ana decide di tornare in Israele per ritrovare la figlia abbandonata alla nascita, vent’anni prima. Incontra la ragazza in un kibbutz
durante le operazioni militari per lo sgombero
dei coloni israeliani da Gaza (2005), in cui è
coinvolto come poliziotto anche Uli.
Gitai riesce, ancora una volta, a fondere in
un racconto appassionante la Storia del popolo ebraico con le singole vicende personali.
Prende le cose da lontano, dall’Europa, e adotta
il punto di vista di una francese per descrivere
il dramma dell’ennesimo esilio, dell’ennesima
violenza che colpisce il suo popolo. La tragedia viene stemperata dall’ironia senza per questo perdere forza e l’incontro fra madre e figlia getta una luce di speranza su un finale
drammaticamente già scritto.
La storia di un Paese, la Corea, anche nel
commovente melodramma di Im Kwon Taek
Beyond the Years, ovvero la storia di due bambini adottati da un cantante girovago. A Dongho viene insegnata l’arte del tamburo, mentre
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Song-hwa è sottoposta a un durissimo training (che include la cecità permanente) per
affinare le doti di cantante. Dong-ho non regge la situazione e scappa di casa, ma passerà
il resto della sua vita a cercare la sorellastra
da sempre amata. Anche qui il dramma umano si inserisce, facendo un passo indietro nel
tempo, nella storia coreana: la tradizione del
bel canto (che a orecchie occidentali appare
dapprima lamentoso, ma poi strega con la sua
ipnotica e triste melodia), il dramma sociale
e quello umano del protagonista, destinato all’infelicità.
Dalla tragedia alla commedia con Glory to
the Filmmaker! di Takeshi Kitano, seconda parte
della delirante trilogia sull’arte iniziata con Takeshi’s. Un manichino con tanto di maglietta blu
targata “K crew” viene sottoposto a una tac e a
svariati esami clinici, ma il consiglio del medico è : “Dica al signor Kitano di venire di persona, la prossima volta!”. Solo alla fine del film si
scoprirà l’incurabile malattia del regista: il cinema. I sintomi della malessere dell’autore si
rispecchiano nella stanchezza d’ispirazione: stufo dei soliti film di gangster e dubbioso sul gusto del pubblico, Kitano prova a girare un film
classico in bianco e nero alla Ozu, poi si cimenta nel genere cappa e spada, in quello sentimentale, nella fantascienza, in un crescendo ironico
e umoristico irresistibile. Nella seconda parte,
il film si perde invece nei meandri grotteschi
nella storia assurda e interminabile di due stravaganti truffatrici alle prese con situazioni imprevedibili. Peccato.
Il buon artigiano Carlo Lizzani con Hotel
Meina è di nuovo alle prese con una vicenda
legata alla lotta contro il nazismo: sul Lago
Maggiore nel ’43 gli ebrei ospiti del raffinato
albergo vengono sequestrati all’interno dello
stesso da un reparto di SS. Nonostante gli sforzi
del proprietario dell’albergo e di un’affascinante tedesca antinazista, i non-ariani saranno uccisi e gettati nel lago. I buoni sono buoni (gli
ebrei) e i cattivi sono proprio cattivi (le SS); i
fatti sono prevedibili (e tristemente veri, dal
saggio di Marco Nozza), lo svolgimento scolastico. Questo non vuole dire che il film non
sia godibile o interessante, come talvolta lo
sono le fiction in televisione. Lizzani è un buon
narratore e il suo impegno ammirevole.
Last but not least, il centenario Manoel de
Oliveira. Instancabile, lucidissimo, questa volta
vuole rivoluzionare la storia: e se Cristoforo
Colombo fosse stato portoghese? Cristóvão
Colombo - O Enigma racconta la vita di un
giovane medico diviso fra il lavoro, l’amore
per la moglie e la passione per le scoperte marittime portoghesi, il Portogallo e l’America.
Impersonato in età “matura” proprio dal grande regista, il protagonista è convinto che colui
che scoprì l’America fosse nato in Portogallo,
nel paese di Cuba, nome che avrebbe poi dato
all’omonima isola delle Antille. C’è una parte
“storica”, tratta dal libro dei coniugi Manuel
Luciano da Silva e sua moglie Sílvia Jorge, e
c’è la vita vera dei coniugi de Oliveira che davanti alla macchina da presa non nascondono
il sentimento di amore e profondo rispetto che
li lega da tanto tempo. Quando la realtà commuove più della finzione.
Film
Tutti i film della stagione
ORIZZONTI 2007
di LUISA CERETTO
Paragonabile, per certi versi, a Un certain
regard del festival di Cannes, Orizzonti è un
interessante contenitore in cui si sperimentano
linguaggi e formati differenti, dalla pellicola
in 35 millimetri al digitale. Articolata in due
sezioni competitive, Orizzonti (per i lungometraggi di fiction) e Orizzonti Doc (per i lungometraggi documentari), cui si aggiungono i
fuori concorso di Orizzonte Eventi, quest’anno il filo rosso che ne ha unito i percorsi era
individuabile in una scelta tematica tesa verso
la documentazione antropologica e la testimonianza di realtà sociali conflittuali, da un lato,
e una tematica più intimistica che ruota intorno ai rapporti umani e, in particolare, familiari
colti nelle sue svariate sfumature ed eccessi,
dall’altra.
Si inserisce in quest’ultimo filone, il film
portoghese, Mal nascida firmato da João Canijo, già assistente alla regia di nomi noti, come
Manoel de Oliveira e Wim Wenders, e considerato figura di spicco nel panorama cinematografico portoghese odierno.
Nel ritrarre le umiliazioni di una giovane
donna, maltrattata e disperata per la morte del
padre, tormentata dal ricordo del crimine e del
tradimento della madre, cui non perdona di essersi rimaritata, la narrazione, gelida e cupa, talvolta eccede in tonalità da tragedia greca, senza
tuttavia riuscire a restituire la drammaticità di
fondo della vicenda. Forse, un’eccessiva attenzione nel rendere visibili e urlare certi conflitti,
finisce col fare implodere quell’atmosfera claustrofobica (altrimenti ben descritta) del bar locanda. Il rischio è quello di un déjà vu.
A proposito di tragedia greca, non si può non
citare la riuscita rivisitazione in chiave contemporanea di Medea, a opera del torinese Tonino
De Bernardi, interpretata dalla brava Isabelle
Huppert, nei panni di una donna devastata dal
dolore di un abbandono, che trascorre le sue notti in squallidi locali notturni, alla ricerca di compagnia per sfuggire alla solitudine e all’amarezza. Tuttavia Médée Miracle si discosta dal testo
originale, almeno per quel che riguarda il finale.
Vincitore del Leone d’oro con Still Life nell’edizione precedente, il cinese Jia Zhanke ritorna sugli schermi della mostra veneziana con
Useless. Seguendo il lavoro della stilista Ma
Ke il regista svela la realtà imprenditoriale dell’industria tessile in Cina e il quadro che ne
esce è quello di una realtà complessa e articolata, contraddittoria, dove ancora, malgrado il
modello vincente ed esportabile, vi sono importanti nodi da sciogliere. Un ritratto raffinato sul piano linguistico, ma che forse, proprio
per questo motivo, rischia di cadere talvolta in
una ricerca estetizzante un po’ fine a se stessa.
In Xiaoshuo (The Oscure), l’ex direttore
della fotografia di Zhang Yimou, Lü Yue, nel
corso di un simposio tenutosi nella sede dell’Associazione degli scrittori in una piccola
cittadina della Cina sud-occidentale, ne filma
le conversazioni. La mdp segue la discussione, divagando qua e là e cogliendo momenti
privati di alcuni protagonisti. Ne esce un lavoro interessante, una lettura inedita da parte di
MICHAEL CLAYTON di Tony Gilroy
intellettuali cinesi che si confrontano col loro
paese, con i suoi recenti sconvolgimenti e cambiamenti, di fronte ai quali faticano a rapportarsi. Un film, dato l’argomento, destinato certamente a un ristretto pubblico, tuttavia meritevole di attenzione.
Produttore di film di Marco Ferreri (El cochecito) e di Luis Buñuel (Viridiana), sceneggiatore e regista, Pere Portabella, classe 1929, è da
considerarsi uno dei padri del cinema spagnolo.
Con Die stille vor Bach il regista si cimenta
nell’impresa non facile di ritrarre la vita e l’opera
del celebre compositore. In un viaggio attraverso i secoli, dove il racconto si dipana seguendo
storie differenti e dove la figura di Johan Sebastian Bach, seppure in maniera appena accennata, prende forma, è la musica la vera protagonista della pellicola. La musica che, grazie al
suo potere evocativo, va oltre il proprio compositore, e riesce a comunicare, attraverso i secoli
con uguale intensità il proprio messaggio.
Nel procedere con la narrazione, Die stille
vor Bach ci pare smarrire la sua brillantezza
iniziale. E alcune scene, nell’intento di celebrarne il talento, rischiano un po’ la maniera.
Quanto sopra non sminuisce il valore del film
che è una dichiarazione d’amore per la musica
e l’arte di Bach.
Ne L’histoire de Richard O. veniamo in
qualche misura sorpresi da un inizio a sorpresa:
Richard O. ha agganciato una donna in un bar.
La porta in una camera dove lei gli chiede di
essere stuprata nel sonno. L’uomo invece la riprende con una videocamera. Al risveglio la
donna si infuria e lo getta a terra facendogli battere la testa. Richard O. è morto. Da questo
momento, ci verrà narrata la coazione a ripetere
di un uomo incapace di controllare le proprie
pulsioni sessuali. Il film di Daniel Odoul, che
parafrasa spudoratamente nel titolo il ‘classico’
Histoire d’O, vorrebbe essere trasgressivo, ma
finirebbe col divenire prevedibile se non venisse ‘salvato’ dalla prestazione ‘fisica’ di un Mathieu Amalrik sempre più versatile nell’affrontare ruoli lontanissimi gli uni dagli altri.
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Non sostenuto d’alcunché se non dalla
pretesa di narrare il degrado del nostro tempo
è invece Il passaggio della linea di Pietro
Marcello. Con riprese notturne su treni a lunga percorrenza, il regista vorrebbe raccontarci di un’umanità ormai vicina all’azzeramento. Riesce soprattutto a mostrarci immagini
sgranate e dialoghi quasi incomprensibili,
grazie a un sonoro sporco che vorrebbe fare
tanto ‘cinema-verità’ e che invece riesce solo
a irritare chi non abbia già pregiudizialmente
sposato la causa dell’intellettualismo a tutti i
costi.
Chi invece ci ricorda che i registi con la R
sanno passare dalla fiction al documentario con
maestria e consapevolezza del mezzo è Jonathan Demme in Man from Plains. Seguendo la
campagna promozionale dell’ultimo libro di
Jimmy Carter, intitolato “Palesatine. Peace Not
Apartheid”, Demme ci offre il ritratto di un ultratottantenne che continua la sua battaglia per
la pace con l’onestà intellettuale di chi non ha
il timore di indicare meriti e colpe di entrambe
le parti in conflitto. È il ritratto di un’altra America distante anni luce da quella di George W.
Bush.
VENEZIA 64 – GIORNATE
DEGLI AUTORI
di DAVIDE DI GIORGIO
Uno spazio in cerca della sua dimensione,
in transito tra figure del nostro prestigioso passato (l’omaggio a Carlo Lizzani), la fiera difesa del cinema indipendente (la presentazione
di Fabio Ferzetti spiega che “spetta ai festival
difendere i suoi spazi di invenzione, estetica,
produzione”) e un occhio che dal cinema italiano, decisamente ben rappresentato, muove
verso le cinematografie di dieci altri paesi:
questo il programma tracciato dalle “Giornate
degli Autori”, giunte al loro quarto anno di attività e che si rivelano sempre più un interessante laboratorio che, nel rispetto di quell’autorialità invocata programmaticamente, si di-
Film
mostra capace di cercare sguardi in grado di
radiografare il mondo contemporaneo, ma, allo
stesso tempo, di tracciare nuove strategie di
intrattenimento, ponendosi quindi a metà strada fra il prodotto d’essai e quello popolare.
In questo senso, è interessante notare come
molte delle figure riscoperte e dei nuovi nomi
portati alla ribalta dal programma siano degli
autori “borderline”, a cavallo fra sistemi produttivi e generi, capaci di armonizzarsi con l’industria per lavorare dall’interno la macchina
cinema e dare vita a linguaggi personali. Come
altrimenti definire la figura di Giulio Questi,
“milite ignoto” del cinema italiano, omaggiato contemporaneamente nella retrospettiva dedicata al Western nostrano per il suo Se sei vivo
spara e al quale Ferzetti e i suoi collaboratori
hanno dedicato uno spazio mostrando al pubblico lagunare i cortometraggi realizzati in maniera totalmente autarchica nella solitudine di
casa propria? La natura profondamente naïf dei
lavori di Questi è affrontata con piglio interessato e curioso, in grado perciò di far riflettere
sul ripiegamento personale di un cineasta da
sempre interessato alla forza e alla centralità
del linguaggio e che, per questo motivo, sfrutta questi lavori per una riflessione sulle proprie ossessioni (si veda la lotta partigiana nel
più incisivo dei corti, Visitors).
A queste possibili tendenze del nostro cinema, risponde Gianni Zanasi con il suo Non
pensarci, che, in ossequio al dualismo arte/industria enunciato in precedenza, batte invece
le più consolidate strade della commedia all’italiana, gratificata da un bel cast che vede in
Tutti i film della stagione
prima linea un convincente Valerio Mastandrea. Con ghigno beffardo e capacità di coinvolgimento, Zanasi racconta il ritorno a casa
di un giovane musicista che deve fare i conti
con il disfacimento della famiglia. La regia
dimostra stile e la storia intriga per la sua capacità di non utilizzare l’ironia per stemperare
l’amarezza, ma per amplificare anzi quel senso di disagio tipico della periferia apparentemente più sonnacchiosa, che si rivela invece
coacervo di incomprensioni. Ritenuto da molti il miglior film italiano presente al festival,
Non pensarci è senza dubbio il più onesto, privo com’è della presunzione dei più blasonati
colleghi presentati in concorso e non.
La tensione legata al complesso rapporto
tra l’uomo e l’ambiente si ritrova anche negli
ultimi due titoli che segnaliamo in questo spazio, ovvero Andalucia di Alain Gomis e Sous
les bombes di Philippe Aractingi: frutto di una
coproduzione franco-spagnola, Andalucia racconta le peripezie di Yacin, altissimo, dinoccolato e dall’aria spiritata, che passa da un lavoro all’altro in cerca di un qualcosa che non
ha forma e che pare essere soltanto un motivo
per domare l’irrequietezza innata che si porta
dentro. Il film vive letteralmente dell’eccellente
performance fornita dall’attore protagonista
Samir Guesmi, che riesce a dare corpo e nervosa energia al continuo girovagare di Yacine
e crea una grande empatia con lo spettatore,
lieto di abbandonarsi alle continue torsioni
narrative e caratteriali del personaggio e del
mondo con cui lo stesso interagisce. Per questo motivo, Andalucia è un ottimo esempio di
cinema libero e vitalistico, degno di essere recuperato.
Più drammatico, ma non meno importante, è invece il contributo fornito da Agnes Poirier per creare il personaggio di Toni, il tassista cristiano al centro di Sous les bombes, toccante grido d’allarme contro la guerra in Libano. Philippe Aractingi, prolifico documentarista che alle spalle aveva un unico lungometraggio, un musical libanese campione d’incassi in patria, dirige il film con grande sensibilità e riscuote per questo gli entusiasmi della
platea presente alla Mostra. La vicenda si dipana a partire dalla missione di Zeina, libanese sciita emigrata da tempo a Dubai, che torna
a Beirut per ritrovare suo figlio, disperso dopo
i bombardamenti israeliani dell’estate 2006.
Quasi un instant-movie di una drammatica
pagina della storia recente, Sous les bombes
riesce a evitare ogni rischio di retorica, costruendo la vicenda come un appassionante
road-movie, dove il viaggio di Zeina e Toni
diventa momento di confronto tra due diverse
concezioni del mondo: il tutto si riflette in un
paesaggio devastato dai bombardamenti, ma
che Aractingi riprende con rara sensibilità, gridando il suo dolore di uomo e testimone per
una terra che, nonostante la distruzione, continua a riverberare la sua selvaggia bellezza e
per questo offre una possibile speranza, nonostante la durezza della vicenda narrata. Un film
che ci piacerebbe vedere distribuito e che eleva il programma della sezione dimostrando
come sia possibile raccontare in maniera emozionante le tragedie dei nostri tempi.
IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di
educazione all’immagine e degli strumenti audiovisivi nella scuola. Il
suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla
scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo
per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti
della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei
film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero.
Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale.
SCRI
VERE
di Cinema
direttore Carlo Tagliabue
SCRIVERI DI CINEMA
Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che
film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di
lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica.
ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in
questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di
argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno.
La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al
Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected]
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