Comments
Description
Transcript
Il Principio di Reciprocità in Fisica
Poste Italiane. Spedizione in abbonamento postale - 70% aut. DRT/DCB/Torino - N. 3 - Anno 2008 - CARTA E PENNA, Via Susa 37 - 10138 Torino - ANNO VI - N. 23 - Estate 2008 Poesia, narrativa, letteratura, cultura generale RIVISTA TRIMESTRALE GLI AUTORI DI CARTA E PENNA ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO 2008 I l S alotto degli A utori IL SALOTTO DEGLI AUTORI ANNO VI - N. 23 - Estate 2008 Editore: Carta e Penna - Via Susa, 37 10138 TORINO Tel.: 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034 E-mail: [email protected] Registrato presso il Tribunale di Torino al n. 5714 dell’11 luglio 2003 DIRETTORE RESPONSABILE: Donatella Garitta [email protected] Stampato in proprio SITI INTERNET: www.ilsalottodegliautori.it - www.cartaepenna.it E-mail: [email protected] [email protected] I testi pubblicati sono di proprietà degli autori che si assumono la responsabilità del contenuto degli scritti stessi. L’editore non può essere ritenuto responsabile di eventuali plagi o irregolarità di utilizzo di testi coperti dal diritto d’autore commessi dagli autori. La collaborazione è libera e gratuita. I dati personali sono trattati con estrema riservatezza e nel rispetto della normativa vigente. Per qualsiasi informazione e/o rettifica dei dati personali o per richiederne la cancellazione è sufficiente una comunicazione al Direttore del giornale, responsabile del trattamento dei dati, da inviarsi presso la sede della testata stessa: Via Susa, 37 - 10138 Torino. Sommario Dante Alighieri - La Divina Commedia di Carlo Alberto Calcagno (Arenzano - Ge) ......................................12 Raccontami una storia... d’amore Rubrica a cura di Gennaro Battiloro ........................................................... 15 Storia del Teatro di Maria Francesca Cherubini (Perugia) ............................................................................... 16 Il Principio di Reciprocità in Fisica di Enzo Bonacci (Latina) ...........................................................................18 La discriminazione delle casalinghe inviato da Calogero Andolina (Villalba – CL) .......................................... 19 Il ricordo di una grande attrice: ANNA MAGNANI di Gilbert Paraschiva (Trappitello - ME) ....................... 20 A Spello, il seme della fraternità universale di Franco Pignotti (Petritoli - AP) ................................................ 21 Il significato della Relatività Assoluta di Enzo Bonacci (Latina) ....................................................................... 24 Lucrezio: poeta e non filosofo di Giulia Del Giudice (Genova) .........................................................................25 Il vecchio e la città di Gian Franco MICHELETTI (Orbassano - TO) ............................................................ 26 Morte della creatività? di Matilde Ciscognetti (Napoli) .................................................................................... 26 Effetto serra di Giuseppe Dell’Anna (Torino) ................................................................................................ 28 Fiabe e storie albanesi di Bruna Tamburrini ...................................................................................................... 33 Il raggiungibile di Giovanni Reverso (Torino) ....................................................................................................35 Narrativa ........................................................................................................................................................... 36 Per una cultura non consumistica ..................................................................................................................... 45 Recensioni ......................................................................................................................................................... 47 Premi letterari ...................................................................................................................................................57 -2- E state 2008 La vetrina dei libri pubblicati dagli autori di Carta e Penna Tutti i libri pubblicati da Carta e Penna sono presentati sia al sito www.cartaepenna.it sia in queste pagine - I lettori interessati all’acquisto dei testi possono contattare la segreteria che provvederà a far recapitare il libro direttamente dall’autore - Per ulteriori informazioni sia per la stampa, sia per l’acquisto dei libri contattare la segreteria dell’associazione allo 011.434.68.13 oppure al cellulare n. 339.25.43.034 o inviare un e-mail a [email protected] - Nelle pagine centrali di questa rivista sono riportate le modalità associative e di pubblicazione dei libri senza codice ISBN LA MALATTIA DI NIEMANN PICK - Aspetti biologici, clinici e psicologici di Fulvio PALMA e Valentino GIOVAGNOLI ISBN: 978-88-89209-83-7 - www.niemannpick.org FULVIO PALMA si è laureato nel 1977 in Scienze biologiche presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Urbino. Nel 1986 è stato nominato professore associato di Biochimica comparata presso la Facoltà di Farmacia della stessa Università. La sua attività di ricerca ha privilegiato lo studio delle dinamiche biochimiche dei processi d’invecchiamento cellulare a cui è stata affiancata un’intensa attività didattica. Attualmente è titolare della cattedra di Biologia e genetica del comportamento presso il corso di Scienze psicologiche dell’intervento clinico della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. TIZIANA SCHIRONE è ricercatore confermato in Psicologia dello sviluppo presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Presso l’Università di Urbino è stata professore per affidamento di Principi di terapia familiare (Corso di Laurea Specialistica in Psicologia clinica del bambino e dell’adolescente) attualmente di Intervento psicologico sui gruppi (Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica) e dal 2004 a tutt’oggi è docente di Sviluppo infantile e dinamiche familiari.(Corso di Laurea triennale in Scienze Psicologiche dell’Intervento Clinico). VALENTINO GIOVAGNOLI laureatosi in Psicologia nel 2007 all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, ha maturato la sua esperienza nel campo della riabilitazione psichiatrica lavorando come educatore di comunità. Da sempre interessato al rapporto tra psicologia e malattie genetiche, ha approfondito il tema dei vissuti del malato grave e le relazioni dinamiche che si generano nella famiglia con malattia rara. Collabora attivamente alla cattedra di Biologia e Genetica del Comportamento dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Urbino. LA PORTA CHIUSA di Giuseppe PARISI - 15 €. ISBN: ISBN 978-88-89209-80-6 GIUSEPPE PARISI, calabrese di nascita, vive a Roma. Ha svolto la sua attività lavorativa nel sindacalismo agricolo con funzioni direttive in molte Regioni e Province italiane e all’estero in rappresentanza della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti. Ha collaborato, negli anni, a “Calabria Letteraria”, “La Gazzetta del Sud”, “La Tribuna del Mezzogiorno”, “Il Corriere di Reggio”. È stato redattore de “Il Popolo” e Direttore di periodici “Il Coltivatore Calabro” e “Agricoltura e Cooperazione”. Ha fondato il periodico della Coldiretti Novarese “Agricoltura 2000” e curato le trasmissioni televisive “Mezzogiorno Verde” a Napoli e “Salotto Verde” a Novara. Ha pubblicato: “Il porto di Locri Epizefiri” (Roma, 2005 - essegraf srl) - “Palcoscenico” Racconti (Roma, 2006 - essegraf srl) - “La forma delle nuvole” Racconti (Torino, 2007 Carta e Penna Editore) - Anche questo volume, per scelta dell’autore, sosterrà, con i proventi derivanti dalla vendita, le iniziative della Federazione fra le Associazioni per l’aiuto ai soggetti con sindrome di Prader Willi ed alle loro famiglie. Acquistando una copia de “La Porta Chiusa” si concorrerà a sostenere l’impegno. -3- I l S alotto degli A utori FRAMMENTI DI VITA di Mariateresa BIASION MARTINELLI ISBN: 978-88-89209-79-0 Prezzo: 15,00 Primo Premio Sezione Poesia a Tema Premio Letterario Internazionale Prader Willi IV edizione Dalla prefazione: “Il libro di Mariateresa Biasion Martinelli, costituito da racconti che sono stati scritti nell’arco degli ultimi dieci, quindici anni, da quando cioè l’autrice ha cominciato a cimentarsi anche nella scrittura in prosa, rappresenta, per questa ragione, l’evoluzione delle sue capacità narrative. Noi infatti conosciamo Mariateresa Biasion Martinelli principalmente come poetessa, e siamo abituati al suo personalissimo stile, capace di evocare emozioni, immagini, sensazioni profonde, semplicemente usando le parole, poche parole, distribuite come solo lei sa fare, in armoniosi versi, trasformandole in canto dell’anima. Il libro si apre e si chiude proprio con una poesia, come se l’autrice avesse voluto aprire e chiudere una parentesi, una sorta di inciso per raccontare di più, per esplicitare maggiormente i contenuti del suo universo interiore che le sono sembrati irraggiungibili con la poesia, e quindi indescrivibili in versi... Voglio raccontarti una fiaba che possa accompagnarti per tutta la vita, augurandoti sia lunga e ricca di ogni bene - di Gloria ESPOSITO e Gilberto GERMANI Primo Premio Sezione Narrativa Premio Letterario Internazionale Prader Willi IV edizione - ISBN: 978-88-89209-82-0 Prezzo: 8,00 euro Gilberto Germani: il 12 Agosto del 2002 diventai nonno e decisi di scrivere una fiaba per la mia prima nipotina Matilde affinché conservasse di me un ricordo particolare. Grazie alla mia fantasia, all’aiuto di Gloria, Loredana e Isabella, la fiaba Matilde fu un dono gradito e ricevette i complimenti di diverse persone. Ovviamente, quando nel 2004 diventai nonno per la seconda e terza volta, m’impegnai a inventare altre due fiabe, una per Leonardo e una per Carolina. Gloria Esposito: sono nata il 17 Agosto 1965 a Milano, dove vivo con Silvio, mio marito, e i nostri quattro gatti: Brian, Bilbo, Nirvana e Stanislao. Sono volontaria nel settore animalista e trascorro il mio tempo libero con libri, videogiochi, musica e lavori femminili. Il legame con Gilberto, amico e collega di volontariato, mi coinvolse nella realizzazione della fiaba Matilde e delle successive Leonardo e Carolina. Scoprii, così, anche il piacere e il divertimento di scrivere ed ebbi l’idea di proseguire con lui la scrittura di fiabe “a quattro mani”. I SOGNI DELL’INFORMATIVA - Intelligenza artificiale “Affascinante storia di meccanica onirica” di Ines Maria SALVO ISBN: 978-88-89209-85-1 Prezzo: 12,00 euro Il testo è un giro d’orizzonte sulla storia dell’Intelligenza Artificiale. Non dal punto di vista dell’informatico o dell’ingegnere, ma da quello dell’uomo occidentale che per secoli ha sognato di poter esaudire il suo antichissimo desiderio demiurgico di costruire un essere senziente, quello dei romanzieri che hanno contribuito ad accendere queste fantasie, dando una grossa spinta alla ricerca, quello dei filosofi che hanno contribuito con il loro argomentare ad intravedere possibili vie di sviluppo per l’Intelligenza Artificiale e quello di grandi logici del passato, i cui concetti non finalizzati ad esigenze applicative, sono stati utilizzati per la costruzione del computer. Nives Salvo trascina letteralmente i suoi lettori nell’antica Grecia dove fu inventata la “logica” o fra le pagine de “La Repubblica” di Platone, del “Faust” di Goethe, delle “Vite” di Plutarco. Da Socrate in poi, la filosofia ha affrontato i fondamentali problemi dell’Uomo, quali la formalizzazione della conoscenza e del comportamento intelligente. IL FUGGIR DEL TEMPO di Enrico BERGAGLIO ISBN: 978-88-89209-84-4 Prezzo: 13,00 euro Amore e morte sono le luci e le ombre che attraversano il testo poetico di Enrico Bergaglio. La commedia umana vista con occhiali addolcita dai ricordi d’infanzia. La tragedia sempre cantata con tenerezza, quasi a limare la durezza del ferro. Tra le righe e i versi scoppiettano qua e là gioiose luci di quell’infinito Carnevale che è il desiderio di bellezza o d’infinito. Pause e riposo pagati a costo elevato che innalzano gli occhi al cielo e accendono la speranza nel buio. E l’amore, poi, che gira la sua ruota come un mulino a vento. A volte cigola, si ferma per poi riprendere, non senza scosse, il corso. La vita tutta è accostata con sentimento autentico e malinconico, come un gioco rubato. La speranza è nel futuro, nei piccoli Andrea, Elena, Elisa e Riccardo, fiori ancora in boccio che rallegrano con i loro colori l’autunno degli anni. Il fiume ancora cammina, più lento, un poco più limaccioso, ma la tenebra non ha vinto ancora il sogno racchiuso nei versi dorati. A presto Enrico, torna a scrivere di bianche nuvole sospese nell’azzurro di un cuore di poeta. A presto. Vilma Viora -4- E state 2008 TORINO È POESIA di Roberto BRUCIAPAGLIA - 15 euro Poesie che hanno improvvisamente preso vita dalle immagini di una Torino vista come in un sogno. Fotografie di Fulvio Ferrero Roberto Bruciapaglia, nato a Milano vive a Torino dove ha compiuto i suoi studi e si è laureato in ingegneria elettronica presso il Politecnico. Ha fatto l’Assistente universitario, quindi ha lavorato alla Fiat in vari settori strategici. Si è, in seguito, occupato di consulenza aziendale presso diverse Aziende. Nel tempo libero si è dedicato alla pittura e alla scultura partecipando a molte mostre collettive. Ultimamente è tornato al suo vecchio amore: la poesia ed i racconti e ha pubblicato il suo primo volume I fiori del sole. Ha partecipato ad alcuni concorsi letterari e le sue opere sono state premiate con importanti riconoscimenti Con Carta e Penna Editore ha pubblicato, nel 2005, le sillogi poetiche Un altro domani e Lucciole nel 2006 e il romanzo Torino, un inverno anni ‘60. BUONA SOPRAVVIVENZA di Fulvio FERRERO - 8 euro In Buona sopravvivenza l’autore ferma attimi e luoghi in punta di penna e con immagini suggestive e particolari... poesie e fotografie dedicate a una Torino da osservare con attenzione e un po’ più d’amore. Fiabe antiche, d’antichi cantori. Il Simbàal Nelle mani, il valzer delle bacchette, “Solo per dall’abisso indorato”. “Kalinka”, tre pesci d’oro Miraggio d’un mare. col profumo del viburno, e la figlia del mare “. echi di cavalli dalle steppe. Il simbàl echeggia nel Dedicata al rumeno che passeggio svagato, Non suona suonava il Simbàl in via la muffa del cuore. per noi Sadkò, Garibaldi. nella via dei mercanti. Ma la musica, Sorride assorto il sogno si libra dolce. “Solo tre pesci, solo tre pesci per la storia di qualcuno. PAROLE DELL’ANIMA di Marzia CAROCCI - 12 euro Ho sempre pensato che la vita debba essere “ascoltata”,ogni istante è degno di attenzione,a volte però ci troviamo a fare i conti con l’altra parte,quella che teniamo al riparo,quella che nascondiamo spesso persino a noi stessi;l’ANIMA,ed è proprio la mia interiorità che in questo libro metto a nudo. Leggendomi molti penseranno che sono pessimista nei confronti della vita,ma non è così,semmai sono un’ osservatrice attenta e non perdo di vista la realtà,come si suole dire, rimango con i piedi per terra. Mi ritengo una persona felice e malinconica nello stesso tempo,riconosco la mia fortuna negli affetti,ma non dimentico il fine della vita. Nella mia esistenza ho avuto ed ho l’amore d’un uomo che ho conosciuto a quindici anni ,mi ha sempre tenuto per mano,con lui non ho mai avuto paura, è l’ancora e la certezza della mia vita,i miei figli sono l’aria che respiro,il terreno dove cammino, il cielo dove volo,l’energia del mio vivere,i miei genitori un abbraccio costante,anche se il tempo mi ha rubato mio padre che ancora m’avvolge l’anima con tenerezza... NADIA ANJUMAN - POESIE SCELTE Traduzione dal pharsi in italiano a cura di Pirooz EBRAHIMI e Cristina CONTILLI Introduzione di Cristina Contilli - 3 euro La poetessa afghana Nadia Anjuman, morta a soli venticinque anni il 5 novembre 2005, in seguito alle percosse ricevute dal marito, ha continuato a “vivere” attraverso la diffusione su internet di pochi significativi testi, tradotti dal persiano prima in inglese e successivamente in tedesco e in italiano. A febbraio del 2006 è uscito con una casa editrice di Torino un libro dedicato a Nadia, realizzato con la collaborazione della poetessa vicentina Ines Scarparolo (“Elegia per Nadia Anjuman”, Carta e Penna editore) che conteneva i versi di quattordici scrittrici italiane, versi di solidarietà, ma anche di protesta. Questi versi, pubblicati insieme alla traduzione di quattro poesie di Nadia, nel sito del Centro Studi Ettore Luccini di Padova e nel sito “Segniesensi”, dedicato da Alina Rizzi alla scrittura al femminile, sono stati copiati da un blog all’altro ed hanno dimostrato sia l’interesse crescente verso la figura di questa poetessa sia l’inconsistenza del diritto d’autore nell’editoria virtuale. -5- I l S alotto degli A utori SINFONIA CELESTE - silloge poetica - 10,00 euro di Elio Profirio GASBARRO Elio Porfirio Gasbarro, nato a L’Aquila risiede a Ciampino (Roma). Ha frequentato Licei classici in Istituti religiosi. Dirigente importante Società Responsabile Abruzzo. Ha partecipato a molti Concorsi letterari Nazionali e Internazionali, riscuotendo sempre ed ovunque lusinghieri successi. Nomina a Membro Honoris causa a vita della Unione Pionieri della Cultura Europea - CDAP - UPCE. Finalista in più Associazioni tra cui la Ibiskos di A. Ulivieri; Associazione Primavera Strianese; Associazione Il Simposio, Libera Associazione Poeti e Scrittori ed altre. Pubblicazioni in diverse Antologie italiano/inglese - Editori vari. Premio letterario Internazionale - ACSI Prato - Associazione culturale Amici dell’Umbria - A. Pensa. IL GIARDINO DEI SOGNI di Paolo GRECCHI - 5 euro PAOLO GRECCHI, nato a Codogno (Lodi) dove risiede tuttora, si è sempre dedicato alla poesia solamente come hobby. Solo da qualche anno le sue opere sono uscite dall’ambito famigliare e di una ristretta cerchia di amici, permettendo così ad una gamma sempre più vasta di persone di conoscerle e di apprezzarle. Il valido livello delle poesie è confermato dai numerosi riconoscimenti ottenuti in diversi concorsi letterari nazionale. È stato pure inserito in un’antologia della collana “Poeti d’oggi” che, tra l’altro, trovasi presso la Biblioteca Nazionale di Roma e presso la Nobelstiftelsen di Stoccolma. Sono poesie profondamente umane e realistiche dalle quali traspare una ricchezza di valori, una varietà di passioni, di sensazioni, il tutto sempre espresso senza ricerche stilistiche o metriche, ma con estrema semplicità e solo per il piacere di scrivere e di trasmettere emozioni. THE DARK SIDE - VISION OF PAINFUL DEATH X di Simona MARINARO - 15 €. MARINARO SIMONA è nata a Rivoli (To) il 17.03.1973, cresciuta a Grugliasco, cittadina alle porte di Torino, dove vive con la figlia. Ha conseguito il diploma di Perito Aziendale corrispondente in lingue estere, ama la lettura da quando era piccola; questa è la sua prima opera narrativa. The dark side - Le foto dalle scene del delitto sono ripetitive, con la stessa deprimente monotonia della trama si una soap opera o i disegni su un mazzo di carte: cuori, fiori, lingue che sporgono fuori dalla bocca. Cinque lingue gonfie riverse sul terreno o sul cemento o sul legno diventato grigio col passare delle stagioni e il tamburellare di piccoli piedi. Vision of painful death Giorgia stava sorseggiando il caffè, quando percepì una delle sue visioni arrivare: no, ti prego non adesso! Tutto è coperto da una luce verde, come se ci fosse uno strato di gelatina sul mondo. Avanza, fluttuando come un fantasma sopra i disegni tracciati sul cemento con i gessetti. Il corpo della ragazza è adagiato mollemente sul pavimento di cemento... PENSIERI BARBARI di Barbara PARUTTO - 8 euro BARBARA PARUTTO vive a Torino, dove è nata l’8 novembre 1980. È laureata in Psicologia Clinica. Nel 2006 ha iniziato a scrivere poesie, partecipando al Premio “Emozioni Sfumate” indetto dalla Città di San Gillio, classificandosi seconda con “Sono una barca di legno”, riportata nella precedente silloge, Lacrime liriche, pubblicata nel 2007 con Carta e Penna. La stessa poesia le è valsa una segnalazione di merito al Concorso degli Assi. Nel 2008 ha partecipato al concorso Note d’autore, terza edizione del concorso letterario di San Gillio, classificandosi al secondo posto con l’opera Allietami all’alba, pubblicata in questo volume. -6- E state 2008 IL PORTO DI CALAIS: AMORI, COSPIRAZIONI E DUELLI NELLA FRANCIA DEL 1804 di Cristina CONTILLI - 7 euro Nel 1804 viene scoperto un tentativo di colpo di stato contro Napoleone, che allora ricopriva la carica di primo console. La responsabilità di aver organizzato la cospirazione viene attribuita a Luigi Antonio Enrico di Borbone, ultimo discendente della famiglia Condé e duca D’Enghien, che viveva in esilio a Baden e che viene fatto rapire dai servizi segreti francesi dell’epoca, per essere giudicato a Parigi da un tribunale militare, presieduto dal generale Pierre Augustin Hulin. Il duca si dichiarerà sempre innocente, ma verrà lo stesso condannato alla fucilazione, mentre degli altri 42 congiurati, finiti sotto processo, molti (tra cui il conte Bouvet De Lozier che con la sua testimonianza aveva dato l’avvio alle indagini) verranno assolti, molti verranno condannati a pene che variano dai 2 ai 9 anni di carcere ed uno si suiciderà in carcere, prima della sentenza definitiva. Il Porto di Calais è una ricostruzione dell’episodio, fatta da un insolito punto di vista, quello del conte Alain De Soissons, colonnello della Marina Francese e cugino del duca D’Enghien, che non verrà coinvolto direttamente nel processo, ma che potrebbe aver avuto nella vicenda un ruolo più rilevante di quello che si riteneva finora. LE CRONACHE DEI TREI MONDI - La medaglia d’argento e Il castello sul lago di Marco TAMBORRINO l’autore è nato in Italia nel 1994. Ha cominciato a scrivere libri all’età di 9 anni: la commedia di “Tappoman”, e il fantasy “La guerra dei colori”. “Le cronache dei tre mondi - Il castello sul lago” è il suo secondo romanzo. Le cronache dei tre mondi, la medaglia d’argento, è il primo episodio di una trilogia. Narra le pericolose vicende di uno scienziato italiano. Fabio, residente in America, dei suoi due figli (Luca e Marco) e del suo miglior amico Tom. Senza volerlo, i quattro si troveranno immischiati in un’epica guerra tra il Bene e il Male. MONICA FIORENTINO continua a donarci piccoli gioielli di narrativa, in formato tascabile con bellissime storie adatte ai bimbi ma anche a chi sa ancora sognare. LA STORIA DELL’AQUILA NANA: sin dalla Notte dei Tempi, ogniqualvolta il cielo veniva attraversato da una stella cadente, non esisteva creatura che non si fermasse a ricordare la storia dell’aquila Nana. La storia dell’aquila bianca della Foresta di Cento Foglie, nata con un paio di ali più piccole e goffe rispetto a tutte quelle dei suoi simili, che aveva nel cuore un grande sogno: raggiungere un giorno la vetta del Monte Astur, inaccessibile alle sue ali nane, inadeguate ad affrontare dei voli troppo lunghi. La storia dell’aquila capace di tutto, contro tutti coloro i quali intravedevano nelle dimensioni ridotte delle sue ali, un impedimento al naturale svolgersi del ciclo quotidiano della sua vita. Forte e tenace nelle sue convinzioni, pronta a qualsiasi sacrifi- cio pur di poter riuscire a realizzare un giorno, il suo più grande desiderio. NUCCIO ILBURATTINO DI TERRAMARIS: narra un’antica leggenda, che ancora oggi coloro che si trovano in visita nel lontano Regno di Terramaris, possono ascoltare la storia di Nuccio il burattino senza voce, narrata dagli anziani Cantastorie del paese. La storia intensa e ricca di sentimento, intrisa di coraggio e di forza, della marionetta commissionata dal Re Io in persona, sovrano di Terramaris, al giovane Turi conosciuto da tutti come il più bravo burattinaio del paese. Con l’ordine di eseguirla senza alcuna feritoia sul viso adatta a fargli da bocca, completamente muto per suo esclusivo diletto. La storia di un -7- I l S alotto degli A utori ricatto ordinato ma anche di un riscatto possibile, attraverso la presa di coscienza di valori più intimi e di sentimenti più forti delle apparenze talvolta troppo leggere e superficiali, che sembrano semplici da accettare ma che invece nel profondo non lo sono affatto. LALEGGENDADELDELFINOAZZURRO E DELLASTELLA DEI MARI: nei fondali dei mari più profondi e misteriosi, giace la storia più bella mai raccontata. La storia scritta col blu dei morbidi petali di una rosa, sbocciata dall’amore più puro di una dolce stellina nei confronti del suo giovane Re... La bella storia che ogni notte i delfini cantastorie, saltando dalle acque argentee dell’oceano, narrano al mondo intero col sonoro canto della loro voce più dolce. La storia divenuta leggenda. LA LEGGENDA DELLA FATA GRAZIA E DEL GOBLIN STZAGATH II ‘LANCIADI FUOCO’DELLETERRE BRULLE: durante la Festa della Luna Nuova, tutte le creature del mondo fatato cessino ogni genere di ostilità in atto. Ed insieme streghe, maghi, druidi, fate, gnomi, draghi, unicorni e qualsiasi altro genere di creatura ed animale fatato si incontrino per unirsi in una lunga notte di fastose danze, allegre risa, divertenti giochi e gran buon bere fino al sorgere del nuovo mattino. Ed in quella Notte tutto diventa possibile: qualsiasi magia, qualunque desiderio, qualsivoglia incantesimo o inconfessato desiderio. Tutto, tutto... Il dottor Manzo (poeta, filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale) ha curato questa versione letterale dal latino degli “Inni d’ogni giorno” del grande poeta cristiano. Gli “Inni d’ogni giorno” di Prudenzio si distinguono per fervore didascalico. Nondimeno un lirismo soffuso fa capolino, indugiando sulle meraviglie della natura in relazione al Verbo salvifico. Così in prosieguo di tempo viene dichiarato il dogma (“noi sempre confessando Dio Padre/ in Te, Cristo, diremo uno/ e costantemente porteremo la tua croce/…/ Buon Pastore, per questi doni/ quale servizio potrà mai ricompensarti?/Nessun voto di quanti pregano risarcisce/il prezzo della salute”), ma pure è presente una delicata pittura non priva di reminescenze classiche (“Qui non ho bottino di rose,/ nessun aroma manda odore,/ma un liquido d’ambrosia penetra/ e sa di fede di nettare,/ effuso fin dal grembo del Padre”). La presente raccolta abbraccia le prime opere poetiche del dottor Manzo (filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale, vincitore del Poetry Slam di Torino Poesia 2006, ha ottenuto la menzione d’onore nel 7° Concorso Internazionale Poetico Musicale 2007). Da esse emerge la sua copiosa vena e polimorfa attività. Dalla prefazione: Definire poliedrico Alessio Manzo filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale) è poco: ha molte frecce al suo arco (la religione, la politica, la moda); le sue poesie sono animate da gioiosità e giocosità, condite di molto sale e ruscellanti rime; la trovata veramente originale è la cifra del suo stile. L’autore, fedele all’oraziana “aurea mediocritas”, tuttavia non disdegna il volo pindarico come quando nel fulminante distico “Per il tuo eterno ritorno, Pippo, / meriterai un mondo, non un cippo” mette in berlina l’attualità mondana. In questo volume si propone la versione letterale dall’originale greco del quarto Vangelo. Il Vangelo di San Giovanni contiene il germe della filosofia cristiana. Gesù è l’Inviato del Padre: “ Non solo per questi prego, ma anche per i credenti in Me con la loro parola, affinché tutti siano una cosa, come Tu, Padre in Me e Io in Te, affinché anch’essi in Noi siano,affinché il mondo creda che Tu m’inviasti”. Il Salvatore (“Giacché Dio non inviò il Figlio nel mondo affinché giudicasse il mondo, ma affinché il mondo fosse salvato da Lui”) si rivela anche nei miracoli, tuttavia ammonisce Tommaso: “Poiché Mi hai visto hai creduto? Beati quanti non vedendo pure credettero”. E’ una caratteristica peculiare del libro sacro l’antitesi spirito-carne: “Quanto è generato dalla carne è carne, è quanto è generato dallo spirito è spirito… è lo Spirito che vivifica, la carne non giova a niente; la dottrina che Io vi ho dato, è spirito ed è vita”. -8- E state 2008 Quattro chiacchiere col Direttore CRONACA DI UNA FIERA IN TONO MINORE Torino, ore 8,30, di giovedì 8 maggio 2008, ingresso riservato alla stampa della Fiera Internazionale del Libro di Torino; un capannello di colleghi attende di potersi accreditare e accedere ai locali che ospiteranno l’inaugurazione che, per la prima volta, è tenuta dal Presidente della Repubblica, onorevole Giorgio Napolitano. La presenza del capo dello stato è dovuta alle polemiche suscitate dall’invito, da parte degli organizzatori, di Israele in qualità di paese ospite della manifestazione. Gli autori israeliani sono stati invitati, oltre che per far conoscere la cultura nazionale, anche per festeggiare i sessant’anni della nascita dello Stato israeliano. Immediata la reazione dei palestinesi e dei paesi arabi i quali hanno ribadito che, ai festeggiamenti israeliani, si contrappongono le sofferenze delle popolazioni che, sessant’anni fa, abitavano quei territori. Non voglio addentrarmi in argomenti ostici e piuttosto complicati che possono portarci lontano dall’argomento ma, a mio avviso, la cultura dovrebbe pacificare e non fomentare polemiche o prestare il fianco a facili speculazioni. Tardivo è stato l’invito agli scrittori arabi che hanno anche dovuto fare i conti con i divieti dei propri governanti. Morale della favola: primo giorno di accesso ad una Fiera del Libro blindata che si contrappone al giorno precedente (dedicato all’allestimentto degli stand) dove, a parte una fisiologica attesa (dovuta al fatto che la maggior parte degli editori era all’ingesso alla medesima ora) poteva entrare qualsiasi cosa poiché, obiettivamente, è pressochè impossibile controllare camion, furgoni o auto che trasportano i libri e allestimenti. Per non tediare oltre il letttore racconto brevemente di esser riuscita a entrare in fiera con la tessera da espositore e che ho lasciato almeno una cinquantina di colleghi ad attendere l’apertura dell’ufficio degli accreditamenti della stampa e qualcuno mormorava: alla faccia dei privilegi della casta! Il tono minore della Fiera si è però palesemente manifestato sabato 10 maggio: la manifestazione a favore della Palestina ha scoraggiato il pubblico registrando un calo sia di presenza sia di vendite da parte degli editori più visitati. Ed a proposito di pubblico sottopongo ai lettori lo sfogo dell’autrice Giuseppina Iannello Siccardo e inviato al Presidente della Repubblica: “…sono l’autrice di un “libercolo” di poesie e racconti Le lacrime del sole, edito per la casa editrice Carta e Penna di Torino. Scrivo con animo esacerbato, proprio di quelle autentiche donne italiane, che hanno il coraggio di non nascondere le proprie lacrime. Sono stata il 10 maggio col mio consorte, alla Fiera del Libro di Torino con l’intenzione di apprezzare i libri degli altri, ma anche per poter vendere il mio volumetto con accluso un altro mio libro in omaggio; anelavo, non già di farmi conoscere, quanto di trasmettere al mio prossimo, specialmente ai giovani, emozioni e quanto la vita ci insegna. Forse, un giorno... Fra trecento o, quattrocento anni, un ragazzino, o una ragazzina troverà di certo, ancora nuovo, sulla spiaggia della vita, il mio libro: lo sfoglierà, non più schifandosi, lo leggerà e poi esclamerà: «Caspita, sono analoghe alle mie codeste emozioni… che cosa ha voluto insegnarmi l’autrice?» Ed è allora che sentirà una voce, fievole quasi un sibilo pronunciare le testuali parole: «Io? Ragazzo? Non ti ho insegnato proprio nulla: ho inteso, soltanto, aprire il tuo cuore, non da sola, naturalmente, insieme a quanti ti amano; ci sono riuscita, ma sono trascorsi trecento lunghissimi anni.» Ella, Illustre Presidente, scuserà lo sfogo, ma voglio comunicare a tutti gli Italiani che quella del 10 maggio 2008, è stata per me la giornata più triste e più amara della mia vita. Il pubblico si guardava bene dall’avvicinarsi al banco dell’Associazione Culturale Carta e Penna dove era esposto il mio libro, assieme a pregevoli opere di autori ed autrici soci. Appena, io osavo invitare gli astanti a dare uno sguardo ai libri, mi sentivo rispondere: «Non ho mai letto in vita mia... Non ho un centesimo... Non amo le poesie, né i racconti... Non acquisto nulla dagli sconosciuti...» Rispondevo con mezzo sorriso e con l’amaro in gola: «Va bene come non detto, signori.» E intanto mi rivedevo bambina e mi ritornavano in mente le raccomandazioni dei genitori e dei parenti: «Non si prende nulla dagli sconosciuti...!» Sconosciuta... Non è tanto codesta apostrofe che mi ha profondamente offesa, quanto il disprezzo con cui tale termine veniva pronunciato! E pensare invece che io amo e rispetto gli sconosciuti ed ho loro dedicato tre poesie che fanno parte della mia raccolta. Io sono stata trattata come una adescatrice! Chiedo scusa ancora per lo sfogo. Dopo l’ennesimo schiaffo morale, abbiamo fatto ritorno verso casa e prima di chiudere in bellezza la giornata, abbiamo fatto una tappa da un libraio, che aveva una copia in vendita; il mio proposito era lasciargli qualche copia ancora, ma egli, molto cavallerescamente, mi prendeva per le spalle, e mi indicava la porta. Un encomio voglio invece esprimere nei confronti del Libraio bresciano di via Solferino, il quale si è dichiarato disposto a vendere le copie già in deposito, accettando, anche, altre copie. Signor Presidente concludo la mia lettera, facendo a tutti gli Italiani una solenne dichiarazione: “Preferisco rimanere una piccola e sconosciuta scrittrice, piuttosto che recarmi nuovamente in una fiera ed essere trattata come la sconosciuta della quale bisogna aver paura.” La prego di voler accettare le mie “lacrime del sole”, che alludono emozione, generalmente di felicità provata dal sole, astro benefico, nei confronti degli esseri umani, quando accade loro un lieto evento. Peccato che questa volta, le lacrime sono amare: sono le lacrime di Giuseppina, una sconosciuta. Lo sfogo di Giuseppina, come avrete tutti compreso, è dovuto all’atteggiamento di rifiuto che il (raro) lettore italiano ha nei confronti degli scrittori sconosciuti e cioè non menzionati in giornali, trasmissioni televisive (magari scandalistiche) ecc. A parziale conforto di Giuseppina voglio raccontare un piccolo episodio occorsomi prima della presentazione dei libri sulla patologia di Niemann Pick e quello sulla Comunicazione Aumentativa Alternativa (segnalato sul numero precedente). Nei minuti precedenti la presentazione le persone che passavano davanti alla sala conferenze si fermavano per leggere il programma e, anche al fine di infoltire il pubblico, spiegavo che i libri trattavano di malattie rare e che ci avrebbe fatto piacere la loro partecipazione. Alcune persone si sono fermate, altre no ma un uomo, in particolare, ha nettamente rifiutato che proseguissi nella spiegazione dell’evento dicendo: “Malattie rare… per carità… alla larga” dato che non mi è mai mancata la prontezza ha risposto con un “Grazie per l’appoggio, ne avevamo proprio bisogno… le auguro una buona giornata” e mi sono -9- I l S alotto degli A utori rivolta ad una signora che sembrava più interessata. L’episodio si è concluso lì e la conferenza è iniziata… dopo circa un quarto d’ora quel signore era tra il pubblico ed era anche piuttosto interessato… forse la mia risposta sarcastica ha smosso un po’ l’indifferenza di quell’uomo, forse era solo curioso… chissà! Un buon successo di adesioni continua, invece, a ottenere l’incontro del mercoledì al Circlo dei Lettori “Conversazioni illetterate” tenuto da Albertina Zagami e Roberto Bruciapaglia e che ad aprile ha ospitato lo scrittore Piero Soria che ha presentato il suo ultimo libro intitolato Il topo edito da La Stampa. Come altri scrittori torinesi, ama raccontare la realtà attraverso i nodi e gli sviluppi di una trama da libro giallo. La città fa da sfondo a storie ambientate nel passato o nel presente: da Cavour al Museo Egizio, sono tanti i luoghi e i personaggi sabaudi che ritroviamo fra le sue pagine ammantati di mistero. Quando non è in viaggio, scrive anche per la radio e per il cinema, collabora con La Stampa e TuttoLibri. Il topo è la rielaborazione di un lungo racconto che fu pubblicato a puntate su Stampa Sera, storico quotidiano torinese; l’autore ha svolto un lavoro di revisione completo, ambientando l’intera vicenda nella Torino di oggi. L’avvincente storia inizia col ritrovamento del cadavere di una donna bellissima, prigioniera dei ghiacci della piscina dello Sporting, ed è un susseguirsi inesauribile di delitti e di ricatti nella Torino inquietante del Triangolo magico: sono questi i fondali di un noir travolgente dove realtà e fantasia si sovrappongono di continuo. Gli incontri al Circolo dei Lettori riprenderanno da ottobre e nel prossimo numero daremo ampio spazio alle varie attività ma posso annunciare sin d’ora che una volta al mese sarà dato spazio ad un autore per la presentazione di un proprio libro. Ed a proposito di libri ringrazio coloro che hanno letto il mio e mi hanno anche inviato la propria opinione che potete leggere nelle pagine dedicate ai recensori. Ringraziando tutti gli autori per la collaborazione auguro di trascorrere delle belle vacanze estive... a “rileggerci” presto. Donatella Garitta Carissima Donatella, grazie per le informazioni che ci hai dato nella scorsa Rivista n° 22, dove siamo stati messi al corrente della pubblicazione del tuo romanzo “Il Rio racconta - Una storia del ‘600", per il quale ti faccio i personali complimenti per la mole di lavoro che ha comportato la ricerca storica. Un libro che ho letto con piacere mentre mi son trovato a dover star fermo in casa per una tallonite… ma questa mi ha permesso una attenta e appassionata lettura e di poter scrivere anche una breve recensione che ti invierò. Mi fa piacere che lo spot pubblicitario sulla sindrome di PraderWilli sia stato oggetto di attenzione da parte di Riviste e TV private, soprattutto per gli impegni dietro le quinte richiesti da questa iniziativa. Complimenti anche alle autrici e autori che si sono classificati ai primi posti del “Premio del Direttore” (da te organizzato) riguardante la sezione Articoli e la sezione Poesie, oltre ad un “grazie” a tutti coloro che scrivono sulla Rivista “Il salotto degli autori”. Considerevole anche tutto il lavoro editoriale, apprezzabile attraverso “la vetrina dei libri pubblicati dagli autori di Carta e Penna”. Per le iniziative in corso e future auguri di buon lavoro! Giuseppe Dell’Anna (Torino) Piero Soria e Albertina Zagami nel Salotto Verde del Circolo dei Lettori di Torino - 10 - E state 2008 Congratulazioni a... CLAUDIO BENTIVEGNA: si è classificato (tra centinaia di partecipanti) al terzo posto al concorso internazionale di poesia, bandito dal Centro Giovani e Poesia di Triuggio (MI). GIUSEPPINA IANNELLO SICCARDO: al 12° Concorso di Pasqua “Andre da Pontedera” ha ricevuto il 5° premio ex-aequo per la sezione Poesia singola a tema religioso. GILBERT PARASCHIVA: la Commissione giudicatrice del Premio Internazionale Città di Bellizzi, gli ha con- ferito il Premio Speciale della Presidenza della Giuria per la Sezione D - Narrativa con il libro “Ma ‘ndo vai… se la banana non ce l’hai” un premio significativo ad un artista che ha avuto il pregio di portare nel mondo la migliore immagine dell’arte nell’accezione più ampia, attraverso opere di straordinario impatto emotivo e di vita vissuta, sostenuto da una fede adamantina e indissolubile. Al concorso poesia dialettare e in lingua italiana “Il valore della vita” organizzato a Castello Tesino (TN) il podio è stato conquistato da autori di Carta e Penna: 1° posto INES SCARPAROLO, 2° posto ROBERTO BRUCIAPAGLIA e 3° posto ALBERTINA ZAGAMI. CR ONA CA C ON TES Ta CRONA ONACA CON TEST 6-3-2008 - Veltroni promette semplificazioni in Italia, ma Berlusconi (PDL) vanta un vantaggio del 10% sul PD e si fanno sotto due outsider che si chiamano Bertinotti e Casini. 16-3 - Dopo i cento morti di Lhasa, il Dalai Lama denuncia stato di terrore e genocidio culturale, ma dice no al boicottaggio delle Olimpiadi. 23-4 - Pasqua di sangue in Iraq e vittime anche da noi: strada, ‘ndrangheta, ecc. 144 - Nonostante la campagna elettorale migliore, la sinistra esce sconfitta, i comunisti perdono tutti i seggi e si ha un travaso di voti verso il centro. 30-3 - Eletto ieri Schifani presidente del Senato, oggi Fini presidente della Camera; i loro discorsi hanno ricevuto vasto consenso; i deputati del Pdl sono 175, quelli del Pd 117, 60 ne conta la Lega, 35 l’Udc e 29 l’Idv. 6-5 - Il ciclone Nargis causa forse trentamila vittime in Myanmar. 8-5 - La fiaccola olimpica portata in cima all’Everest. Formato il nuovo governo Berlusconi, ecco alcuni ministri: Interni Maroni, Esteri Frattini, Economia Tremonti, Difesa La Russa, Giustizia Alfano. 13-5 - Saliranno a oltre cinquantamila le vittime del terremoto nel Sichuan. Intanto si combatte a Tripoli cura di Eugenio Borra del Libano. 21-5 - A Napoli il primo Consiglio dei Ministri del nuovo Governo vara misure per l’economia, la sicurezza e l’emergenza rifiuti. 31-5 - Frane e straripamenti concludono un maggio senza sole. In Piemonte quattro morti. 17-6 - Dopo la sconfitta con l’Olanda, gli azzurri del calcio eliminano la Francia e passano ai quarti di finale. Speriamo, ma ci tocca la Spagna... SOLUZIONE DEL DICIANNOVESIMO QUIZ: L’albero a cui tendevi # la pargoletta mano, # il verde melograno # dai bei vermigli fior... VENTESIMO QUIZ Riordinando le sillabe qui in ordine alfabetico, avremo l’incipit d’un “romanzetto” che direi piuttosto noto. - 11 - A CA CHE CO DEL DI DI DUE GE GIOR GO I IN LA MEZ MO MO MON NE NIN NO NON QUEL RA ROT TE TE TER TI TRA VOL ZO. I l S alotto degli A utori DANTE ALIGHIERI LA DIVINA COMMEDIA di Carlo Alberto CALCAGNO (Arenzano - Ge) Non ci sono dati precisi circa le date di composizione. Boccaccio nella sua Vita di Dante afferma che il poeta avrebbe composto i primi sette canti dell’Inferno prima dell’esilio e che questi, ritrovati tra le sue carte, gli sarebbero stati inviati in Lunigiana nel 1306-7 presso i Malaspina. Questa forse è soltanto una leggenda, fra le molte sorte intorno a Dante, subito dopo la sua morte. Tuttavia è certo che dall’ottavo canto il linguaggio dantesco si fa piú robusto e personale, si svincola dalle artes dictandi, dalle locuzioni curiali e stilnovistiche. E c’è poi il primo verso del canto ottavo: “Io dico, seguitando” : legamento che si trova soltanto qui, in tutto il poema. Attualmente si ritiene che parti di un poema in onore di Beatrice possano essergli stati inviati (v. al proposito per un indizio anche l’ultimo capitolo della Vita nuova) ma non si sa quali parti. Il poema così come noi lo possediamo, si può dire, in sostanza, tutto composto nell’esilio. Di sicuro possiamo affermare che l’Inferno era già conosciuto nel 1313, e ciò vale, a partire dal 1319, anche per il Purgatorio, che secondo il Petrocchi sarebbe stato composto nel Casentino, ossia in provincia di Arezzo (di qui i notevoli riferimenti alla terra di Toscana)1. L’opinione che alcuni dantisti sostennero in passato per cui l’inizio del poema sarebbe da porre dopo la morte di Arrigo VII (1313) - sicché Dante sarebbe stato muto sino quasi ai 50 anni - non è oggi molto seguita. Secondo gli antichi esegeti Dante avrebbe atteso alla sua opera massima sino alla morte, infaticabilmente. Cosicché il Paradiso (1316-1321) sembra portato a termine poco prima della morte dell’autore, anzi pochi giorni prima: ma qui è da cogliere una gentile leggenda, e anche un poco patetica. Secondo il Boccaccio, anzi, gli ultimi canti sembravano essersi smarriti: soltanto il figlio Jacopo, in una visione, ebbe l’indicazione del luogo: e i canti mancanti furono ritrovati. Circa l’ispirazione dell’opera bisogna distinguere tra precursori e fonti. In primo luogo tra precursori pagani e precursori cristiani; tra i primi annoveriamo Omero (cap. XI dell’Odissea: in particolare l’evocazione di Ulisse delle ombre nel paese dei Cimmeri), i Misteri orfici, Platone, Cicerone, Virgilio, Ovidio (che nelle sue Metamorfosi descrive un viaggio agli inferi), Lucano, Stazio e Seneca. Tra i precursori cristiani annoveriamo le scritture sacre: l’Apocalisse, il libro di Enoc; alcune opere molto diffuse nel Medioevo: la Navigatio S. Brandani, il Purgatorio di S. Patrizio, la Visione di Tundalo, la Visione di frate Alberico di Montecassino, la De Jerusalem celeste (per le gioie paradisiache) e il De Babilonia civitati infernali (per le pene infernali) entrambe di fra Giacomino di Verona, Il Libro delle Tre Scritture di Bonvesin della Riva. Gli autori cristiani tuttavia non avvicinano nemmeno lontanamente la spiritualità di Dante e sono solo la prova di quanto il genere religioso fosse diffuso. L’unica fonte letteraria certa fu l’Eneide (Dante la seppe «tutta quanta» Inf. XX, 114): in particolare D. fece sicuramente riferimento al canto VI (discesa di Enea all’Averno), al concetto di superiore finalità del compito affidato ad Enea, alla struttura esteriore e alla figurazione dei luoghi ed esseri mitologici del Mantovano, all’idea di proiettare la vita nel regno della morte, di fondere la storia con la leggenda, il reale con il fantastico. Con tutta probabilità il titolo di Commedia non è stato dato da Dante al suo poema; la parola “Comedia” che si ritrova in Inf. XVI 128 (e XXI, 2) è usata per riferirsi allo stile del racconto in quei due luoghi2 ma non ha niente a che vedere con il concetto dantesco di tragedia e di commedia (v. De Vulgari eloquentia II IV,5); per cui l’attribuzione che presto si diffuse non era in linea con le idee dell’autore. La Commedia, infatti, appartiene al genere umile per contenuto e per stile, cosí come esso è definito dalle retoriche medioevali e da Dante stesso nel suo Convivio: a questo genere, tra descrittivo e satirico, si dava l’appellativo di comico3. Divina fu poi un’aggiunta dei posteri, a cominciare dal Boccaccio, a dire cioè che il poema era umile, ma trattava, ciò nonostante, di argomenti divini. Solo nel 1555, a dire il vero, compare anche l’epiteto Divina nell’edizione veneziana del Giolito a cura di Lodovico Dolce. Il poema si compone di tre cantiche di 33 canti ciascuna più l’introduzione nell’Inferno: il tutto quindi per un totale di 100 canti. Ciascun canto ha una media di versi un poco inferiore a 150, e presenta una lunghezza assai vicina a quella di tutti gli altri. Il metro usato è la terzina dantesca a rima incatenata (aba, bcb, cdc,...vzv, z), così definita perché da lui utilizzata per la prima volta e derivata forse dal sirventese incatenato di tre versi o piuttosto dalle terzine del sonetto. Il poema è in terza rima: i poemi medioevali di intendimento descrittivo e didascalico, sono in terza e in nona rima; verranno poi, con carattere narrativo, i poemi in ottava rima. L’endecasillabo della Commedia è in generale fortemente ritmico, e piano4. Rari, ma rilevabili, gli endecasillabi con l’accento spostato alla settima sillaba, che compongono il giro lungo e fermo di un’immagine eccezionale o di una sentenza perentoria. La lingua utilizzata non è esattamente il volgare illustre teorizzato nel De Vulgari eloquentia: specialmente nell’Inferno si usano molti dialettismi toscani, fiorentini e di altre regioni; la materia da trattare era troppo vasta per usare il volgare illustre; il Paradiso tuttavia è stato scritto in una lingua superiore, nobile e dotta. La lingua della Commedia può definirsi in generale il volgare fiorentino (ma non quello municipale e plebeo); tuttavia non si esaurisce in esso perché sono presenti molti latinismi, forestierismi e vocaboli coniati appositamente - 12 - E state 2008 da Dante. Importante è sottolineare che con la Commedia la lingua volgare esce dall’imitazione. Il poema rappresenta la materia di un lungo sogno, o, come si diceva allora, di una visione, anzi di una mirabile visione5. Il viaggio nei tre regni dell’oltretomba si finge avvenuto nel 1300, l’anno del grande Giubileo romano, regnando sul trono di San Pietro l’odiatissimo papa Bonifacio VIII. Piú esattamente avviene nell’equinozio di primavera, dunque tra il finire del marzo e il principiare dell’aprile. Il viaggio dura sette giorni, due (dall’8 aprile, sera, al 9 aprile alle ore 18/19) spesi nello scendere l’abisso infernale, tre (dal 10 aprile, notte inoltrata, al 13 aprile mercoledì) nel salire la santa montagna dell’espiazione, due nel volare su attraverso le sfere celesti sino all’Empireo (da mezzogiorno del 13 aprile, mercoledì, a mezzogiorno del 14 aprile, giovedì). Per la struttura dei tre regni ultraterreni, Dante accoglie la visione geocentrica sostenuta da Tolomeo nell’Almagesto e accettata da San Tommaso e dalla Scolastica, suoi costanti punti di riferimento filosofico. Nella rappresentazione tolemaica, la Terra è una sfera divisa in due emisferi, dei quali solo quello settentrionale abitato. Al centro di questo, Dante pone Gerusalemme e ai suoi antipodi la montagna del Purgatorio, sulla cui cima si trova il Paradiso terrestre. La Terra è circondata da nove sfere concentriche, ruotanti l’una dentro l’altra, tutte contenute da una decima, l’Empireo: esso è la dimora di Dio, degli Angeli e dei beati, ed è, invece, immobile. L’Inferno6 è una voragine a forma d’imbuto che si apre sotto la superficie terrestre dell’ emisfero boreale, al cui centro sta Gerusalemme. Superata la porta, si traversa l’Antinferno, che è una vasta pianura ove corrono dietro a una folle insegna i vili, che vissero senza assumersi responsabilità, senza aver partito o fazione, senza peccati e senza virtù. Miracolosamente Virgilio e Dante varcano il primo dei fiumi infernali l’Acheronte, oltre il quale sta il primo cerchio o Limbo, il cerchio di coloro che, non per loro colpa, morirono senza essere stati battezzati, pur essendo vissuti onestamente. Seguono i quattro cerchi degli incontinenti, peccatori meno dannati, perché la loro colpa fu la smoderata passione, né ebbe per fine l’ingiuria o la malizia. Ecco dunque i lussuriosi (secondo cerchio), i golosi (terzo cerchio), gli avari e prodighi (quarto cerchio), gli iracondi e gli accidiosi immersi nella palude Stige (quinto cerchio). Segue un canto di alta tragicità: i diavoli si oppongono a che Dante entri nella città di Dite. Ma interviene l’Angelo e la porta della città si apre. I due poeti si incontrano con gli eretici e gli atei (sesto cerchio); poi calano giù per un burrato e percorrono il settimo cerchio dei violenti che fecero ingiuria a Dio, o al prossimo o a se stessi. Dall’estremo margine del settimo cerchio si cala attraverso un baratro, che i poeti scendono sulle spalle del mostro Gerione, sul piano dell’ottavo cerchio, o cerchio dei fraudolenti, distribuiti in dieci fosse dette Malebolge. Ed ecco i ruffiani, i seduttori, gli adulatori, i simoniaci, i maghi e indovini, i barattieri, gli ipocriti, i ladri, i consiglieri di frode, gli scismatici, i falsari. Il pozzo dei giganti introduce alla parte piú fonda, riservata ai traditori e chiusa dall’ immenso corpo di Lucifero, confitto nel centro della terra. Qui la palude di Cocito è ghiacciata; vi stanno conficcati i traditori dei congiunti, della patria, degli ospiti, dei benefattori (nono cerchio). Nelle tre fauci di Lucifero sono eternamente maciullati Giuda, traditore di Cristo, e Bruto e Cassio, traditori di Giulio Cesare. Sono essi tre i traditori della Chiesa e dell’Impero. Mai come qui, in sede poetica, si esalta la concezione politico-morale di Dante: essere il genere umano ordinato provvidenzialmente da Dio su due grandi perenni istituzioni, autonome l’una rispetto all’altra, rispettivamente responsabili dell’ordine spirituale e di quello temporale. Il Purgatorio è un monte gigantesco che si leva sulle acque dell’emisfero australe. Dalle foci del Tevere l’Angelo nocchiero trasporta le anime che sono destinate all’espiazione e alla redenzione sino alla spiaggia dell’isola, sulla quale si leva la mole del sacro monte. Le prime balze costituiscono l’Antipurgatorio. Esse sono occupate dagli scomunicati, dai tardi a pentirsi e dai principi giusti, ma negligenti nelle cure religiose. Nelle sette cornici che sovrastano l’Antipurgatorio e cui si accede attraverso la porta del Purgatorio, custodita dall’Angelo confessore, stanno rispettivamente: i superbi, oppressi dai massi che domano la loro superba cervice; gli invidiosi, che recano il cilicio e hanno gli occhi cuciti; gli iracondi, il cui amore peccò per troppo di vigore, avvolti da un denso e acre fumo; gli accidiosi, rei di amore difettoso per manco di vigore, costretti a correre affannosamente in atto di ansiosa sollecitudine; gli avari e i prodighi, uniti insieme e proni sulla nuda terra; i golosi, ridotti a estrema magrezza dall’insaziata fame e dall’ insaziata sete; i lussuriosi, rei di amore difettoso per male obbietto, avvolti dalle fiamme, siano essi lussuriosi carnali, siano essi sodomiti. Il contrappasso fra colpa e pena è evidente7. La topografia morale del Purgatorio è ragionata con sottigliezza da Virgilio e poi ripresa e conclusa da Stazio. Guide di Dante sono Virgilio e, dalla quinta cornice, Stazio, ma il primo dilegua all’apparire di Beatrice, sul Paradiso terrestre. Cosi la ragione umana cede alla Verità rivelata. Su ogni cornice, uno o più personaggi incontrano Dante e discorrono con lui. Fra i molti troviamo un papa, Adriano V, e due re, Ugo Capeto e Manfredi. Ma ci sono maestri di poesia, il Guinizelli e Arnaldo Daniello; amici e poeti, da Casella a Bonaggiunta, da Belacqua a Forese Donati. Su ogni cornice sono offerti in diverso modo per recitazione e grida e canti, per sculture, per visioni esempi di virtù e vizi. Ovunque Dante raccoglie preghiere, notizie, o profezie: ma per una terra distaccata, e a un tempo presente come ineliminabile oggetto di passioni, di riflessioni, di speranze. Il Paradiso terrestre, che occupa la cima della montagna, è una foresta spessa e viva: corrisponde all’Eden biblico. Qui vissero Adamo ed Eva prima del peccato originale; qui sarebbero vissuti gli uomini nelle generazioni e nel tempo, se non fosse stato consumato il peccato originale. Qui si svolge una grande processione allegorica, e qui - 13 - I l S alotto degli A utori Beatrice scende, rimprovera Dante, e infine lo conforta e conduce con sè. Qui, dopo che si è allontanata l’ultima visione drammatica, quella della Chiesa schiava del re di Francia, Dante, già purificato dal fiume Lete, può essere immerso da Matelda nel fiume della virtuosa ricordanza, l’Eunoè; e qui trovarsi, alla fine, “puro e disposto a salire alle stelle”. E si conclude con il Paradiso. Secondo la dottrina geocentrica di Tolomeo, le sfere o i cieli che ruotano intorno alla terra immobile sono otto. I sette pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) sono, in questo ordine, incastonati nei primi sette cieli, mentre le stelle fisse o costellazioni sono raggruppate nell’ottavo cielo. Il nono cielo e Primo Mobile è un cielo teologico, non astronomico: esso riceve il movimento da Dio e lo comunica ai cieli sottostanti. Alle creature viventi sulla terra il movimento, la vita vegetativa e le inclinazioni del temperamento sono comunicate dai cieli astronomici. Le sfere ruotano intorno alla terra saldate in un solo e compatto sistema rotatorio: perciò le sfere sono tanto più veloci, quanto più sono ampie. Le intelligenze motrici si raggruppano pure in nove ordini: ciascun ordine presiede a un cielo. Ai nove cieli, a cominciare dalla Luna, corrispondono i nove ordini angelici e cioè gli Angeli, gli Arcangeli, i principati, le Podestà, le virtù, le Dominazioni, i Troni, i Cherubini e i Serafini. Gli spiriti beati risiedono nell’Empireo, ma si distribuiscono transitoriamente nei cieli per rendere sensibile a Dante il loro diverso grado di beatitudine; quando il poeta sarà giunto alle soglie dell’Empireo, tutti gli spiriti ritorneranno alla loro sede. Essi sono, a cominciare dalla Luna: le anime che non compirono i loro voti, gli spiriti attivi che operarono il bene per conquistare fama terrena, gli spiriti amanti, gli spiriti sapienti, gli spiriti militanti per la fede, gli spiriti giusti, gli spiriti contemplativi, gli spiriti trionfanti. Il sistema delle sfere è compreso nell’Empireo, l’infinito che sta al di fuori di ogni tempo e di ogni spazio. NOTE alle soglie dell’Empireo, la visione di Dio. L’itinerario della sua anima dall’innocenza all’espiazione alla redenzione alla beatitudine è difficile, ed è rappresentato sensibilmente dal viaggio, giù fra i dannati del baratro infernale, su fra gli espianti della dura montagna del Purgatorio. L’ultimo rito espiatorio Dante lo sostiene sulla cima della montagna, dove si distende il Paradiso terrestre, sotto l’incalzare spietato dell’inchiesta e della diagnosi implacabile di Beatrice. Poi il trionfo della sapienza, della carità, della beatitudine attraverso il linguaggio sensibile del Paradiso: che è linguaggio di armonie musicali, di danze, di luce e di lumi. Ma il poema è anche la storia universale della redenzione umana. E non soltanto per una ragione estetica: e cioè perché poeticamente la vicenda privata del poeta si fa universale, comunica a tutti gli uomini se stessa. Ma per una ragione costituzionale al poema dantesco. Perché Dante sente pulsare in se stesso il sangue di tutti gli uomini. Le sue esperienze ripetono quelle dell’uomo in assoluto: la subdola tentazione del peccato, lo scivolare dolce e impaurito verso di esso, la dura fatica a conquistarsi di nuovo la libertà dal peccato, il procedimento e il rito espiatorio fatto di lacrime e di sangue. Per questa programmatica universalità, l’allegoria ha il suo vero, compiuto significato. Allegoria è solidarietà, fraternità umana. E’ caritas. Dante si porta sulle spalle, oltre alla croce dei suoi peccati, la croce di tutti i peccati; e piange le lacrime dell’espiazione universale. 6 L’Inferno è la cantica della compenetrazione fra struttura teologica e cultura sistematica da una parte, passione politica dall’altra. Fu la cantica che piacque piú ai lettori romantici e al De Sanctis, critico di struttura romantica: vi lodavano le passioni piú fiere, i personaggi piú patetici. Ed è giusto rilievo. Ma è anche necessario richiamare l’Inferno all’ordine e allo slancio di tutto il poema. Ed ecco rilevarsi allora i grandi paesaggi terribili o squallidi; il ritmo narrativo ricco di passaggi, di estri, di vicende (Dante è uno dei piú grandi narratori della letteratura universale); l’esercizio di Dante a vedere, ascoltare, reagire in chiave di pietà e solidarietà o in chiave di sarcasmo, d’ ira, di vendetta; ecco allora i grandi stilemi popolari, i grandi sberleffi verbali, e il cosiddetto realismo linguistico di Dante entro la struttura sintattica classica. Ma soprattutto conta il senso del viaggio, che qui, in questa cantica, si comincia; e proseguirà nelle due cantiche successive. Entro il viaggio l’Inferno si colloca con una sua condizione narrativa. E Dante protagonista, infine, giudica nel baratro infernale come giudicherà sulla montagna del Purgatorio e nelle sfere celesti: seguendo una vocazione, anzi la sua vocazione. 7 Il Purgatorio si distingue però dall’Inferno per come i peccati, non valutati solo astrattamente, vengono considerati: nel secondo la distinzione tra di essi è capillare e si rifà a testi aristotelici e giuridici; nel primo D. si rifà ai testi della Chiesa, seppure filtrati dalla dottrina tomistica; i dannati scontano infatti specifiche responsabilità (<<attuali>>) di cui non si sono pentiti. Le anime purganti invece hanno cancellato con il pentimento e l’assoluzione il loro peccato (che quindi non necessita di tante descrizioni) e scontano qui soltanto la loro inclinazione al peccato. Mentre il dannato sconta poi nell’inferno la sua colpa più grave, i penitenti espiano nelle varie cornici tutte le loro impurità. 1 Secondo alcuni nel 1308 l’Inferno era finito, e nel 1313 il Purgatorio; nel 1318, a detta di Francesco da Barberino, ambedue le cantiche erano conosciute e divulgate. 2 Stile inferiore rispetto a quello che caratterizza l’alta tragedia dell’Eneide. 3 Nell’epistola a Cangrande della Scala (di non sicurissima attribuzione), Dante afferma “Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus” (Comincia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi), e spiega il titolo: esso, secondo le leggi della retorica medievale, deve rispondere sia all’argomento sia allo stile del poema, che comincia in modo triste e termina lietamente, e che è scritto in un linguaggio remissus et humilis (dimesso e umile), come si addice appunto al genere “comico”. 4 Con l’accento tonico quindi sulla penultima sillaba. 5 E’ evidente che la Commedia è anche la storia interiore, personale del poeta, dal tempo nel quale egli si sta perdendo e dannando moralmente sino al tempo nel quale egli, libero dall’impedimento del peccato, muove naturalmente a Dio, cosí come muovono a Lui le creature innocenti o redente, e ottiene, - 14 - E state 2008 Raccontami una storia... d’amore Rubrica a cura di Gennaro Battiloro MERAVIGLIOSO In questi circa due anni che collaboro con il giornale “L’ATTUALITÀ”, nella rubrica: “Posta Aneddotica”, ho preso sempre “spunto” da vicende “vere”, realmente vissute, che sono state molto apprezzate, come dimostrano le telefonate e le lettere che ho ricevuto per complimentarsi con me per le toccanti storie raccontate; ne cito solo alcune: “San Pietro, il vecchietto e l’uomo dal tronco di legno” – “Buon compleanno, Valeria” – “Nello specchio la madre morta” – “La fisarmonica” – “Un amore di altri tempi” – e specialmente una delle ultime pubblicate: “L’ultima lettera a Lorena”... Colgo questa occasione per ringraziare per i complimenti avuti nei miei riguardi. Non faccio nomi per motivi di rispetto e riservatezza (tanto...loro sanno a chi mi rivolgo). Desidero, ora, raccontarvi un’altra storia d’amore (di quello con la “A” maiuscola), cogliendo la circostanza dell’imminente Festa degli Innamorati, San Valentino, e facendo seguito così alla mia poesia (molto apprezzata) dello scorso anno e che aveva, appunto, il titolo: “A San Valentino”. Questa bella storia d’amore si svolge proprio come nella canzone di Domenico Modugno: “Meraviglioso”, e le similitudini tra la canzone di Modugno e la vicenda d’amo- re che andiamo a raccontare sono davvero sorprendenti. E proprio come nel testo della canzone di Modugno “Meraviglioso”, il personaggio maschile, al quale daremo il nome di Giacomo, stava meditando di fare un gesto insano, perché non sopportava più il peso della solitudine e delle continue delusioni, amarezze, sofferenze; quando, ad un tratto, come nella canzone di Modugno, un “angelo”, vestito da passante, intuendo il suo stato d’animo, provò a rincuorarlo, dicendogli: “Ma, non vedi di come il mondo sia meraviglioso?! ...Tu dici – non ho nulla – ma, ti sembra “nulla” il sole, il mare, il cielo stellato, il volto innocente di un bambino, l’amore di una donna che ama solo te...” E così dicendo la sua mano scivolò a cercare la mano di Giacomo che, a quel contatto, sentì una gioia immensa entrare nel suo cuore, ed anche il suo dolore appariva ora meraviglioso! E fu subito amore (Amore con la “A” maiuscola), amore sempre cercato e mai trovato, perché quell’angelo (vestito da passante) era sceso dal Cielo proprio per lui. Si incamminarono (mano nella mano) per un lungo sentiero cosparso di fiori senza parlarsi, perché il linguaggio dell’amore era nei loro occhi. Qualcuno dirà che sembra una favola; e invece è una storia vera, sintetizzata in un film, alla fine del quale non c’è la scritta: The End. Ciao, sono Chiara e ho tredici anni. Frquento la terza media. Mi è sempre piaciuto trasformare le mie emozioni in scrittura, ma da poco tempo ho imparato a trasformarle in vere e proprie poesie, che spesso parlano d’amore, di paura e di dolore. Le mie poesie sono ispirate alle mie esperienze di vita e ai miei rapporti personali, che considero il “vero carburante della vita”. Con la poesia sottolineo gli episodi negativi e positivi della mia vita, delle persone e degli avvenimenti che toccano la mia sensibilità. Per me scrivere è uno sfogo interiore di libertà, aiutato dalla fantasia che concretizza cose altrimenti impossibili. È la mia anima racchiusa in mezzo alle righe. Credo che se tutti dedicassero più tempo a questa espressione artistica, forse nel mondo ci sarebbe meno violenza e più tolleranza. INNAMORATA PAURA Guardo te, guardo quella persona che mi fa battere forte il cuore, mi fa tremare, mi fa provare sensazioni mai provate fino ad oggi, mi da una ragione per sorridere, per essere sempre di più... LA VITA Cosa sarebbe il mare se non ci fossero le onde cosa sarebbe il cielo se non ci fossero le stelle cosa sarebbe la vita se non ci fosse l’amore cosa sarebbe l’amore se non ci fosse il dolore cosa sarebbe il dolore se non ci fossimo noi: umani che non sanno la differenza tra sofferenza e amore, piangiamo, ci disperiamo, e non ci rendiamo conto che alla fine andrà tutto nel vuoto nel vuoto eterno, che nessuno potrà mai colmare. Ogni tanto abbiamo paura ma non quella che hanno i bambini ma quella paura che non si può mandar via con una semplice fiaba paura di restar da soli paura di essere incompresi paura che se sbagli non puoi essere perdonato paura di discutere con le persone a cui vuoi bene per fartela passare ci vuole ben altro di una fiaba forse un qualcosa di più semplice una parola un semplice ti voglio bene detto col cuore. - 15 - I l S alotto degli A utori STORIA DEL TEATRO Rinascimento: la Commedia Italiana - Quinta parte di Maria Francesca CHERUBINI (Perugia) IL RUZZANTE Angelo Beolco (Padova 1500 circa – 1542) commediografo italiano, prese il nome d’arte di Ruzzante. Pare fosse figlio illegittimo di un ricco medico, visse per lo più a Padova, operando soprattutto nella campagna dove amministrava i beni paterni e quelli di un suo amico e produttore, Alvise Cornaro alla corte del quale riconobbe le proprie qualità di uomo di Teatro. Alcune volte si improvvisava attore, altre invece scriveva opere teatrali di tipo comico-rusticano. Fu sempre in accordo con i suoi parenti e condusse una vita piuttosto agiata. Per suo divertimento e di quanti lo conoscevano il Ruzzante aveva creato un tipo, una specie di “maschera” che andava presentando e ripresentando in farse e commedie, e in situazioni piuttosto varie, che egli stesso proponeva sulla scena. A questo punto non si sa quanta parte ebbe il valore dell’attore accanto a quella dell’autore nel ricavargli tutta la notorietà di cui godette; ma è sicuro che il suo segreto fu quello della “naturalità”. Si dice che il nome d’arte che assunse, “Ruzzante” rappresentava il contadino goloso, goffo, balordo e beffato che si trova al centro di quasi tutte le sue commedie, derivi dal verbo “ruzzare, scherzare”, ma è anche vero che il cognome fosse frequente nel contado padovano. «Apparentemente, nella loro sostanza esteriore, le figure del Beolco non sono che personaggi comici, conforme a quella tradizione di farse villanesche, volte a presentare le sguaiataggini e la rozzezza dei villani, che erano proprie della tradizione “piovana”. Così questo Ruzzante che torna dalla guerra, millantatore e spaccamontagne, e tuttavia morto di fame e di paura nel “Parlamento de Ruzante che jera vegnù da campo (dalla guerra)”. Ma è difficile ridere ad una lettura attenta delle pagine, tale è la serietà con cui i personaggi sono rappresentati, l’istintiva e scarna potenza con cui è ritratta la loro psicologia elementare eppure drammatica, la forza inoppugnabile delle loro osservazioni. Quanti villani nei primi decenni di quel secolo, costretti dalla fame, dalla disperazione, a darsi al mestiere di soldato, bravacci e attaccabrighe a parole, ed invece poveri diavoli, sospinti a quel mestiere sciagurato solo dal bisogno, dalla speranza di portare a casa un quattrino»1 Alcuni studiosi hanno voluto vedere nella figura del Ruzzante un antesignano di una delle “maschere” della Commedia dell’Arte, e in particolare di Arlecchino. Ma in Arlecchino di contadinesco c’è ben poco, mentre questo Ruzzante è soprattutto un campagnolo, tratteggiato nei suoi aspetti più comici, ridicoli e accompagnato dal dileggio e dalla canzonatura verso la gente rustica che fin dall’antichità era fonte di spasso per gli spettatori. «L’Autore, Angelo Beolco, colto e letterato, in certe commedie come “La Piovana” e la “Vaccaria” (dove Ruzzante non c’è) si è valso ancora degli schemi della Commedia classicista, essenzialmente imitata dall’antico. Ma già nell’ “Anconitana”, sebbene ricalcata sugli stessi stampi, la presenza della gaglioffa maschera paesana sembra portare un soffio d’aria autentica in un mondo di cartapesta. Poi nella “Moschetta”, nella “Fiorina”, nel “Reduce” (e altresì nel “Menego”, il cui protagonista è sempre lo stesso benché con altro nome) e nei “Dialoghi in lingua rustica” e in quella immensa congerie di materiale comico, realistico e grottesco che è la “Betìa” (o “commedia senza titolo”), le strettoie si allentano le formule svaniscono, la gente va e viene all’aria libera, dicendone di tutti i colori, con una veemenza, e a volte con una certa sconcezza, che possono allarmare lo spettatore moderno, ma anche con una foga, con un ardore, con un’autenticità, che nella troppo fulgida scena italiana del gran secolo non si ritrovano facilmente. Un posto a parte nell’opera di Beolco occupa “Bilora”, che è un frammetto veristico di tratti brevi, e di potente conclusione tragica: una sorta di Verga “ante-litteram”. Naturalmente come in tutti gli autori del Cinquecento sia colti che popolareschi, anche in Ruzzante c’è il piglio eloquente, facondo, oratorio, il gusto della parola assaporata con voluttà: era nell’aria, e nessuno in quel secolo se ne liberò interamente mai. La saldezza della costruzione, della macchina teatrale di queste composizioni, alle volte può essere dubbia; ma il manto delle parole sonore è sempre più o meno ostentato, fa sempre un po’ la coda del pavone. Anche in quei momenti però si sente, più che il letterato, l’attore; si avverte lo schema predisposto per il ricamo dei lazzi, verbali e mimici che gli daranno la seconda vita a cui mirano: quella scenica. Ed è qui l’annuncio dell’imminente Teatro, fatto non più dagli autori, ma dagli attori: la “commedia improvvisa”».2 Angelo Beolco, Ruzzante, morì abbastanza giovane, a 42 anni, ma già le sue Commedie avevano risonanza ed erano rappresentate anche fuori Padova. Egli era già famoso specialmente a Venezia. Il Ruzzante scrisse soprattutto in dialetto “pavano”, ma ogni personaggio, all’interno di ogni opera parla di linguaggio della classe sociale cui appartiene. Così conclude il d’Amico: «Tirando le somme, possiamo concludere appunto questo: che il Teatro italiano del Rinascimento – oltre a creare alcune opere di indubbia - 16 - E state 2008 vivacità, o di gran classe letteraria, e anche a toccare eccezionalmente il capolavoro – adempì, “come massa”, soprattutto al pratico e prezioso compito di riprender l’antica materia, di riportarla in scena, di saggiarne ancora la parte viva. Di che, come vedremo, i propagatori più efficaci divennero, oltre i nostri scrittori, anche e soprattutto i nostri autori, specie dal seguente secolo XVII in poi. E così della Commedia cinquecentesca italiana furono direttamente e indirettamente discepoli, come pure vedremo, non solo una gran folla di autori stranieri di second’ordine, ma anche i massimi drammaturghi europei: quelli che nel Seicento dettero all’Europa il suo Teatro nuovo». BIBLIOGRAFIA Gianni, Balestrieri, Pasquali, Roberto Alone, Roberto Tessari “Manuale di Storia del Teatro” UTET, Torino, Gennaio 2005 z Cesare Molinari “Storia del Teatro”, Ed Laterza, Bari, Marzo 2005 z Oscar G. Brockett “Storia del Teatro”, Ed Marsilio, Venezia 1988 z D’Amico “Storia del Teatro”, Vol I, Parte I, Aldo Garzanti, Ed 1960 z NOTE Gianni, Balestrieri, Pasquali “Antologia della letteratura italiana” vol II, parte I. Casa Editrice G. D’Anna - Firenze, Aprile 1964 2 D’Amico - “Storia del Teatro Drammatico” Vol I Parte I, Aldo Garzanti Editore - 1960 1 ANABASI di Mauro MONTACCHIESI (Roma) Anabasi di un urlo agghiacciante klimax che flebile nasce da imi precordi d’ un labirinto plumbeo urlo agghiacciante che invade la mente la mente fiume abiotico velato di bruma urlo agghiacciante che rompe gli argini che si aderge libero impetuoso nell’etra priva di voci di suoni nell’etra muta urlo agghiacciante finalmente libero dai limiti asfittici della materia urlo agghiacciante sinapsi tra imi precordi d’ un labirinto plumbeo. INFINITO NULLA di Gianni FASSINA (Costarainera - IM) L’onda s’infrange sul solitario scoglio, ( minuscola isola) creando effimere magie di spuma. CAMINO di Alda FORTINI (Villongo – BG) Lento il silenzio nella sera e cupo questo giardino dalle lontane sfumature e sento gli uccelli volare. Ferma nel mio pensiero un ricordo taciuto e stretto nella sua fuga mi incalza memorie passate. Genziane fiorite nell’aiuola e racconto la stagione avuta sotto un tetto che gocciolava. Cielo sereno e certo dentro gli ulivi della collina e narro di una storia voluta. Odo il vento negli alberi dove la strada è polverosa e nelle nubi alte un gioco fatto di allodole e tordi. Scrivo brani confusi e nella gronda un volo dove il ritorno è segnato da una lampada accesa accanto al pendolo del camino. Nell’ alba grigia un grido rauco rompe il silenzio: sorpreso, il gabbiano, s’invola spiegando le maestosi ali verso l’orizzzonte del mare che sbianca. Un’ altra onda... ... lo scoglio è paziente. Al largo pescatori, apostoli senza Gesù, ritirano magre reti. Persiane bianche di salsedine si aprono all’avara luce del mattino. Un’ altra, ancora un’altra onda... Eterno gioco del mare. Rassegnati, quotidiani gesti di uomini e donne. Infinito nulla. - 17 - I l S alotto degli A utori IL PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ IN FISICA di Enzo BONACCI* (Latina) Nell’opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687) tra gli assiomi sul moto Newton enunciò la Lex III: «Actioni contrariam semper & æqualem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo semper esse æquales & in partes contrarias dirigi». Sin da tale formulazione della terza legge della dinamica, la coppia azione-reazione è stata sempre implicitamente identificata con causa-effetto, a mio parere un’interpretazione non più ammissibile dopo che la fisica quantistica ha dimostrato l’esistenza d’interazioni scevre dal vincolo causo-effettuale. La presenza in natura di alcuni fenomeni acausali quali, ad esempio, la preaccelerazione elettronica ed il paradosso EPR, richiede una descrizione fisica svincolata dal binomio causa-effetto a vantaggio di una perfetta simmetria logica e reversibilità temporale. Se causa ed effetto non sono più indispensabili, azione e reazione possono essere considerate paritetiche; definiamo Principio di Reciprocità tale interpretazione estensiva della terza legge della dinamica di Newton. Esso si estrinseca nella possibilità di permutare soggetto (causa) e complemento oggetto (effetto) in una proposizione ben formulata mantenendone invariata l’efficacia in termini di descrizione fisica. Una prima conseguenza interessante è l’interpretazione a doppio senso delle equazioni di campo di Einstein: Gµν=kTµν per cui è altrettanto vero sia che una massa crea uno spazio-tempo curvo intorno a sé sia, al contrario, che uno spazio-tempo curvo crea massa al proprio interno in modo che la materia sarebbe solo un’increspatura nel continuum spazio-temporale. Dunque non c’è una causa (il tensore sorgente Tµν ) ed un effetto (il tensore di Einstein Gµν) bensì le due entità sono intercambiabili nella descrizione fisica. Una seconda conseguenza interessante è l’interpretazione a doppio senso della contrazione di Fitzgerald ∆x=∆x0/γ per cui è altrettanto vero sia che la velocità del corpo genera la contrazione della lunghezza nella direzione del moto, sia, viceversa, che la contrazione della lunghezza in una certa direzione generi la velocità del corpo. Applicando il Principio di Reciprocità anche alla dilatazione temporale ∆t=γ∆t0, deve essere similmente vero che la velocità del corpo genera la dilatazione del tempo nella direzione del movimento esattamente come la dilatazione temporale in una certa direzione genera la velocità del corpo. Ciò significa, necessariamente, che il tempo non può essere scalare bensì deve essere orientato in un riferimento tridimensionale. Se il tempo non avesse tre dimensioni, la seconda interpretazione del legame tra velocità e dilatazione temporale non sarebbe possibile; infatti, senza una direzione che identifichi ∆t, ad una dilatazione temporale non potrebbe essere associato alcun vettore velocità v. Quindi la Reciprocità sostiene la recente ipotesi di uno spazio-tempo esadimensionale con spazio e tempo entrambi a tre dimensioni. Per concludere, il Principio di Reciprocità è l’estensione acausale della terza legge della dinamica ove azione e reazione sono paritetiche; esso rende conto dei fenomeni precausali evidenziati nella Meccanica Quantistica, corrobora l’ipotesi del tempo tridimensionale e l’interpretazione della materia come increspatura spazio-temporale. *) Membro del prestigioso Institute of Physics, Enzo Bonacci ha enunciato il Principio di Reciprocità, per la prima volta, nel saggio “Relatività Assoluta” pubblicato da Carta e Penna. - 18 - E state 2008 LA DISCRIMINAZIONE DELLE CASALINGHE inviato da Calogero ANDOLINA (Villalba – CL) Illustrissimo Signor Direttore, qualche giorno fa ho rivisto il film “La Bibbia” e come mi succede con i film importanti, ogni volta che li rivedo, colgo sempre un qualche particolare nuovo che le volte precedenti mi è sfuggito, o per distrazione o per qualche altro motivo. Quest’ennesima volta mi ha colpito particolarmente, la scena quando Dio scopre la disobbedienza di Adamo ed Eva, cioè, quando hanno mangiato il frutto proibito. Il momento esatto è quando Dio dice ad Eva che per colpa sua, anche Adamo ha disobbedito alle sue Leggi, quindi, Lei è condannata a provare atroci dolori durante il parto, inoltre, per questa sua colpa l’uomo sarà sempre il suo signore e padrone. Il tempo, da quel tragico evento, è trascorso in una successione illimitata di secondi, di minuti, di ore, di giorni, di mesi, di anni e di secoli, ma la donna, secondo l’indiscutibile volere espresso da Dio, è sempre vissuta in una condizione di sottomissione assoluta all’uomo. Per volere di Dio, tutto è possibile, tutto è accettabile. Ora da circa mezzo secolo, almeno nelle Società così dette evolute, noi donne abbiamo conquistato un grande spazio in qualsiasi settore della vita sociale. Oggi, nella Società dei consumi, ricopriamo ruoli sempre più importanti, sia nella vita pubblica che in quella privata. L’uomo finalmente e contrariamente a quanto ha decretato Dio, come sempre del resto, riconosce alla donna parità di diritti e di doveri, nonostante che Dio avesse deciso diversamente. Io sono profondamente convinta, che sia giusta la scelta dell’uomo. Si dice che a volte la donna esagera con le sue richieste, le sue pretese, ma forse l’uomo ha esagerato meno? Ma l’uomo, non ha esagerato fin dalla sua nascita? Tutto questo mi richiama alla mente un concetto, che mi frulla nella testa ormai da parecchi anni. Prendo ad esempio il nostro Paese, anche perché non conosco i modi e i termini di come lo stesso problema viene trattato in altri Paesi che vantano un grado di civiltà come il nostro. Nel nostro Paese, dove credo che le casalinghe siamo la maggioranza delle donne, ma di sicuro siamo una parte consistente della popolazione attiva, lo Stato finanzia opere di qualsiasi natura, elargisce somme più o meno giustificabili a milioni di soggetti diversi, si sprecano miliardi in ogni angolo del Paese che ormai non si contano più, ma mai nessun Parlamento a prevalenza maschile, ha preso in considerazione il fatto, che la donna-casalingamamma, svolge un lavoro. Un lavoro che è molto più importante di tantissimi altri, un lavoro che torna utile alla comunità intera e quindi allo Stato, un lavoro che dura una vita, ma che non viene retribuito nemmeno con una simbolica somma. Io credo che sarebbe un atto di giustizia sociale se, chi ha il compito di gestire il Potere, rivedesse la politica generale sulla famiglia, ma soprattutto sulla condizione della donna-casalinga-mamma. Io ritengo che essa può bene vantare quel diritto inalienabile che tutti i cittadini di questo Paese, a torto o a ragione, rivendicano: avere corrisposto un mensile, anche minimo, affinché questa donna che da un contributo determinante allo sviluppo della società, possa disporre di un suo reddito personale di cui non deve rendere conto a nessuno, ma che soprattutto gli deve servire per soddisfare quelle sue più intime esigenze, che spesso non può soddisfare per mille motivi legati magari ad una situazione ambientale o familiare difficile, che non gli consente di soddisfare quelle piccole necessità che sono tipiche della donna di oggi. ( Parrucchiere, cosmetici, un capo di abbigliamento o di biancheria intima ai quale tiene particolarmente o mille altre piccole cose). Visto che ogni cittadino fa di tutto per aggrapparsi a questo seno cosi produttivo, di uno Stato cosi munifico nei confronti di tutti, non vedo perché la donna impegnata nelle numerose attività della casa, non debba avere, anche Lei, questa possibilità, anzi, direi proprio questo diritto. Sarebbe un atto di giustizia sociale che in qualche modo metterebbe questa categoria di donne, in una condizione di parità sociale, con quelle che sono state più fortunate, in quanto hanno avuto la possibilità di scegliere un futuro per la loro vita, più vicino alle loro aspettative. Visto che gli sprechi sono talmente tanti e tali da portare il Paese ad un indebitamento alto come una montagna, non sarà certo questa spesa che porterà il Paese alla totale rovina. Comunque, io desidero approfittare del suo giornale per mandare un appello a tutte le donne che svolgono attività di casalinghe. Visto che nel Paese siamo in numero consistente e visto che, ma è una mia personale opinione, sicuramente da tempo abbiamo ottenuto il perdono di Dio per quel peccato compiuto da quella progenitrice di Eva, di organizzarci politicamente in modo che alle prossime elezioni possiamo proporre le nostre candidate, a qualsiasi livello amministrativo, affinché possiamo portare avanti le nostre battaglie, con in testa, la rivendicazione di un giusto salario. Auguri. È pur dolce l’immagine / delle donne di casa: / le muse son, son gli angeli / del domestico cielo. Albasicana 05/1995 Sit non doctissima coniux. Tua moglie non sia troppo dotta. Emilio Praga, Sospiri all’inverno Marziale, Epigrammi, II, 90, 7 - 19 - I l S alotto degli A utori IL RICORDO DI UNA GRANDE ATTRICE: ANNA MAGNANI di Gilbert PARASCHIVA (Trappitello - ME) Mi piace ricordare, come hanno fatti tanti giornali e tante trasmissioni televisive, che l’attrice più amata del Cinema Italiano, Anna Magnani, quest’anno (il 7 Marzo per l’esattezza) avrebbe compiuto cent’anni! Annaré va ricordata, oltre che per le varie pellicole cinematografiche anche per l’interpretazioni di tante belle canzoni come “’O surdato ‘nnamurato”, “Arrivederci Roma” e gli stornelli del film “Mamma Roma”. La stessa, a differenza di quanti la credono romana…de’ Roma, invece, così come il poeta Giuseppe Ungaretti ed il sottoscritto era nata ad Alessandria d’Egitto, proprio lo stesso anno in cui nacque mia madre (1908), la pianista Severina Di Bella. Non starò qui, in questo mio modesto ricordo, a ricordare tutti i film da lei girati dalla Magnani ma, tutt’al più, le canzoni da lei cantate che vanno da “Canta se la vuoi cantar” dal film “Abbasso la ricchezza” del 1947 a “’O cunto ‘e Maria Rosa”, dal film “Assunta Spina”, del 1948, oppure “Comm’è bello fa’ l’ammore quann’è sera” dal film “Siamo donne” a “Le rose rosse” (non quelle di Massimo Ranieri) tratta da una fiction girata per la TV dal titolo “La sciantosa”. Nonostante l’interpretazione di tutte queste canzoni, Anna Magnani ha inciso un solo disco a 78 giri con due bellissime canzoni napoletane che interpretavo anch’io e precisamente “Aggio perduto ‘o suonno” e “Scapricciatiello”; quest’ultima molti la ricorderanno per l’interpretazione del mio amico e collega Aurelio Fierro, il quale - come i nostri lettori ricorderanno - per un certo periodo della sua vita - era stato soprannominato appunto “Mister Scapricciatiello”. Penso che gli Italiani, in particolare gli amanti della canzone e della poesia, abbiano senz’altro gradito il rientro di questi italo-egiziani in Patria, tipo la Magnani, l’Ungaretti o il sottoscritto, dal momento che abbiamo dimostrato coi nostri lavori ma, soprattutto, col nostro comportamento, di avere amato l’Italia (assieme alla maggior parte degli italiani nati o residenti all’estero), più di tanti altri che vi sono nati, cresciuti e…pasciuti i quali, poverini, non si può dare loro torto, perché, probabilmente, per le tante cose ingiuste, i tanti torti subiti, le tante nefandezze viste, hanno fatto un po’ di “indigestione di Patria” tanto da esserne nauseati e far cantare a qualche italiano verace “Mi vergogno d’essere italiano”! I lettori avranno capito che intendo parlare del grande Giorgio Gaber, un altro amico che, cinque anni fa, ci ha lasciato! E dire che, nel lustro scorso, le cose non erano ancora precipitate al punto tale da farci nauseare, come al giorno d’oggi, non solo la politica ma, forse, la nostra stessa Patria, se non addirittura il Mondo intero! Agli amici Aurelio Fierro e Giorgio Gaber, nonché alla mia indimenticabile concittadina Anna Magnani dico:”Per come stanno procedendo le cose, al giorno d’oggi, su questo Pianeta, chi sta meglio fra Voi o noi, questi sicuramente siete Voi!” IL MULINO LETTERARIO Periodico di notizie, arte e cultura Il Mulino letterario, Hofstrasse 10, 77787 Nordrach, (Germania). Tel e Fax: 07838/641. Responsabile: Antonio Pesciaioli - Redazione: Giovanni Guidi, Gaetano Martorino; Redattori esteri: Donatella Garitta, Giovanni D’Andrea, Pietro Gatti, Francesco Cornelio, Nino Bellinvia, Nunzio Gricone, Anna V.Gozzolino: Italia; Francesco Scaramuzzo, Svizzera; Mario Meriggi, USA; Michelangelo Corazza, Austria; Giovanni Li Volti Guzzardi, Anna Sarrocco, Australia; Marco Zilony, Patricia Kowaleki, Canada. Ai sostenitori (30 euro) verrà pubblicata ogni mese una poesia gratis. Contributi liberi per la sottoscrizione vanno inviati ad: Antonio Pesciaioli, Hofstrasse, 10. C.a.P. 77787 Nordrach (Germania). - 20 - E state 2008 A SPELLO, IL SEME DELLA FRATERNITÀ UNIVERSALE OMAGGIO A FRATEL CARLO CARRETTO A 20 ANNI DALLA SUA SCOMPARSA di Franco PIGNOTTI (Petritoli - AP) Il 4 ottobre 2008 saranno passati venti anni esatti dalla scomparsa di fratel Carlo Carretto, senza dubbio una delle figure più significative del panorama ecclesiale e culturale italiano del dopo guerra. Non è stato un ‘caso’ che la sua avventura umana si sia conclusa la notte del 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, il santo di cui era innamorato e che sentiva talmente suo da scriverne una splendida biografia dal titolo emblematico: Io Francesco. Egli amava ripetere spesso che il ‘caso’ non esiste. Carlo era nato ad Alessandria il 2 aprile del 1910, da una numerosa e povera famiglia contadina costretta ad emigrare ben presto nella cintura torinese. Nella Torino delle grandi contraddizioni sociali ma anche delle grandi opportunità umane, Carlo Carretto cresce a contatto con un ‘oratorio salesiano’, dove riceverà una solida formazione umana e cristiana che ne farà ben presto un leader giovanile dell’Azione Cattolica, unica aggregazione indipendente cui era permesso ‘sopravvivere’ in quegli anni, dal regime fascista. Maestro elementare a 18 anni, consegue contemporaneamente la laurea in Storia e in Filosofia e nel 1940 vince un concorso per Direttore Didattico. E’ però già inviso al regime, e viene mandato in questa veste dapprima in uno sperduto paesino della Sardegna e poi cacciato anche da qui con l’accusa di attività antifascista, messo al confine ed infine rimandato in Piemonte. Appena terminata la guerra, nel 1945 viene chiamato a Roma a dirigere l’Associazione dei Maestri Cattolici e l’anno successivo, nel 1946 diventa presidente nazionale dell’Azione Cattolica Giovani. Ritrovatosi doti di grande organizzatore, per la celebrazione dell’80mo anniversario della fondazione dell’Azione Cattolica porta a Roma oltre 300.000 giovani, i cosiddetti “baschi verdi”, il primo raduno di massa stile “papa boys”. Testimonianza della sua attività di questo periodo all’interno del mondo giovanile, è il suo primo libro: Famiglia Piccola Chiesa nel qual anticipa di quasi venti anni alcuni temi che saranno del Concilio Vaticano II. Quelli erano anche anni di grandi fermenti all’interno del mondo cattolico per quanto riguarda il rapporto con la politica: era nata la grande balena bianca, la Democrazia Cristiana, al cui interno si ritrovavano le diverse anime del cattolicesimo politico. Vista la grande capacità organizzativa di Carlo Carretto, ai vertici della Chiesa ci furono pressioni affinché mettesse queste sue doti da grande leader sull’agone politico. Ma la vocazione del giovane attivista piemontese era un’altra e soprattutto gli era invisa la tendenza di larga parte del mondo politico cattolico di allora di guardare verso la Destra. Sarebbe potuto diventare uno dei notabili DC dei successivi cinquant’anni; scelse una strada completamente diversa: quella del deserto. Abbandonò tutto e si fece ‘piccolo fratello’1. Trascorse ben dieci anni nel deserto del- l’Algeria sulle orme di fratel Charles De Foucauld, vissuto e morto da solo, nel 1916, tra le popolazioni Tuareg di fede islamica, per testimoniare nella semplicità della vita condivisa con i poveri, la fraternità universale di un vangelo vissuto intensamente nel silenzio, nel lavoro, nella preghiera e nella sottomissione a tutti, sull’esempio di Gesù durante la sua vita nascosta di Nazareth. Carretto, “uomo di azione”, diventa, in questi dieci anni di deserto, “maestro di contemplazione”; il libro che pubblicherà alla fine di questa ‘traversata spirituale’, nel 1964, Lettere dal deserto, divenne subito un best seller e resterà una pietra miliare nella storia della spiritualità cristiana del XX secolo. In esso fratel Carlo racconta la sua esperienza di fede, esperienza che lo porta ad affermare con passione che Dio è per lui una evidenza, l’acqua stessa in cui il pesce nuota, l’aria che il vivente respira. Una fede che fa un tutt’uno con la pasta stessa della vita e della storia, che dona una certezza assoluta nella presenza di Dio nelle piccole cose di ogni giorno, una fede sostanziata dall’amore per tutte le creature e non dalle strutture religiose. Tornato in Italia, fratel Carlo sceglie un vecchio convento francescano abbandonato nei pressi del cimitero di Spello, il San Girolamo, e qui si dedica all’accoglienza e alla contemplazione, nella consapevolezza che occorre riscoprire Il deserto nella città (titolo di un altro suo libro successivo). Nasce a metà degli anni sessanta “la fraternità di Spello” e in pochi anni essa diventa un centro dove migliaia di giovani e meno giovani saranno accolti e potranno trovare uno spazio dove condurre la propria ricerca spirituale senza essere giudicati e in grande libertà interiore; invitati al silenzio e alla contemplazione. Anno dopo anno, fratel Carlo si impose come uno dei riferimenti essenziali in Italia e nel mondo (i suoi libri vengono tradotti nelle principali lingue), per una ricerca religiosa e mistica estremamente aperta, ecumenica, davvero evangelica. La fraternità di Spello, dalla fine degli anni sessanta fino alla fine degli anni ottanta, è stata un crocevia di ricerca spirituale ed umana di cui oggi sarebbe impossibile tracciare le coordinate; un luogo di incontro fra generazioni, fra credenti e non credenti, fra uomini e donne, fra l’uomo e Dio. Un luogo dove le parole d’ordine erano: lavoro, silenzio, preghiera, fraternità, accoglienza; e queste, offerte con semplicità, senza ‘strutture religiose’ o ‘mura di cinta’, da vivere sparsi negli eremi immersi negli uliveti del Subasio, divenuto quasi una novella Tebaide2. Sono stato guidato a Spello dal libro che Carlo aveva pubblicato all’inizio del 1983, Ho cercato e ho trovato, libro che mi entusiasmò subito e mi costrinse a ‘cercare’ e a ‘trovare’ chi lo avesse scritto. In esso fratel Carlo raccontava ancora una volta la sua ‘esperienza’ di Dio3, e - 21 - I l S alotto degli A utori incoraggiava alla fede: “Non chiedetevi più se credete o non credete in Dio, chiedetevi se amate o non amate. E se amate, non pensate ad altro, amate. E amate sempre di più fino alla follia, quella vera e che porta alla beatitudine: la follia della Croce, che è cosciente dono di sé e che possiede la più esplosiva forza di liberazione per l’uomo”. Ciò che conta è amare, sarà infatti il titolo di un altro suo libro di successo. Carretto è autore di molti libri di spiritualità, libri che nascevano dalle sue meditazioni, dalla sua preghiera, dal suo silenzio e dai suoi incontri. In genere in ogni nuovo libro condensava la riflessione dell’intero anno precedente, portata avanti con tutte le persone che venivano a condividere con lui la vita di fraternità. Nell’anno in cui sono stato presente, il filo che guidava tutto era la sofferenza ed essa nasceva immediatamente dalla sua situazione fisica, si sentiva vecchio e malato, per raggiungere nella preghiera e nella meditazione la situazione del mondo, il cuore di Dio e il grido di Giobbe. Diceva spesso: questo libro lo scriverò sulla carta o nella mia carne. Lo scrisse sulla carta e l’anno successivo pubblicò Perché Signore? Il dolore: segreto nascosto nei secoli. In esso c’erano anche le nostre fatiche e le nostre domande. Sono così nati alla stessa maniera, oltre ai testi già citati, anche altri volumetti di successo come Innamorato di Dio, L’utopia che ha il potere di salvarti, Al di là delle cose, Beata Te che hai creduto, e altri. Sono vissuto in fraternità a Spello dal settembre 1983 al maggio 1984. La Fraternità del S. Girolamo era in quegli anni un porto di mare. L’accoglienza estiva era costituita soprattutto da tanti gruppi organizzati provenienti dalle parrocchie, che venivano per vivere la classica ‘settimana’, con le sue belle liturgie animate dalle meditazioni di fratel Carlo, dalle lezioni bibliche di Giuseppe Florio e dai canti al pozzo di Pierangelo Comi. Fare accoglienza nei mesi autunnali, invernali e primaverili significava invece una cosa diversa. Venivano persone che si fermavano per periodi lunghi, persone al di fuori del contesto lavorativo normale o che si erano posti momentaneamente fuori degli schemi; persone in ricerca che si erano date un tempo per riflettere e magari per ricominciare. Un tempo ‘sabbatico’, come il ‘settimo anno’ dell’antico popolo ebraico, nel quale anche la terra doveva riposare e l’uomo doveva vivere di quello che la terra spontaneamente donava a tutti indistintamente. Ho vissuto Spello principalmente come “incontro”: un incontro con Dio oltre la legge, fuori delle mura, ma per questo più intimo e vero; e un incontro con tante persone che, pur nella loro casualità, sono diventate significative, con le quali ho costruito un rapporto di amicizia forte, duraturo; oppure che sono rimaste impresse nella mia memoria in maniera indelebile. Torno a Spello quasi ogni anno, come una sorta di pellegrinaggio personale. Mi reco al San Girolamo, ora di nuovo semplicemente “il cimitero di Spello” dopo il terremoto del 1997, quando a causa delle lesioni al convento, ha avuto termine anche ciò che era rimasto in vita di tutto il movimento dei decenni precedenti. Che cosa cerco dunque oggi in quel luogo, un tempo ricco di spiritua- lità e di presenze, ma ora di nuovo ‘deserto’? Nel piccolo orto adiacente alla cappellina e antistante al cimitero cittadino, dove eravamo soliti coltivare ortaggi da usare in cucina, riposano ora due ‘piccoli fratelli’: fratel Carlo e fartel Ermete, gli unici rimasti. Ma grazie a loro, la Fraternità è ancora lì, nella forma del seme che caduto in terra, muore ma porta molto frutto, come dice il Vangelo. Oggi certamente ci sono tanti altri punti di riferimento per i giovani (ma ci sono davvero?), eppure quando guardo i miei figli, penso con tristezza che sono meno fortunati di me; sento la mancanza per i giovani di oggi di un luogo come la Spello che fu. Per questo sentivo che il ricordo di Carlo, nel ventesimo del suo passaggio al Padre, non poteva restare nel silenzio. [email protected] NOTE 1 I ‘piccoli fratelli’ costituiscono una sorta di network di fraternità religiose iniziate da René Voillaume, su ispirazione e in base alle regole per fraternità scritte dallo stesso Charles de Foucauld, che invece visse e morì da solo pur sognando queste fraternità. 2 Gli ‘eremi’ di Spello erano case coloniche abbandonate che Carlo Carretto aveva chiesto ed ottenuto in uso dai proprietari per utilizzarle come spazi di accoglienza e di preghiera per le persone che intendevano trascorrere un tempo accanto alla sua fraternità. All’inizio degli anni ottanta erano circa trenta. Oggi solo uno di questi eremi funziona ancora, il Beni Abbes, dove vivono tutt’ora alcuni ‘piccoli fratelli’. La ‘Tebaide’ era la regione dell’antico Egitto dove sorsero le prime forme eremitiche di monachesimo cristiano. 3 Il titolo riprendeva, per rovesciarlo, quello di un altro libro sulla fede scritto dal famoso giornalista non credente che si firmava Ricciardetto sul Corriere della Sera e che aveva appunto intitolato: “Quesiti et non inveni”, ‘ho cercato e non ho trovato’. - 22 - POESIA di Corrado ALESSANDRINI (Recanati – MC) Quell’angolo di luna per una siringa d’un giovane argenteo con pieno luccichio di fango sociale naviga assente fra paradisi di mari, in solitudine squallida, ignaro degli ori della sua giovinezza. E state 2008 SOTTO QUELLA LUNA CHE DORME Era il tempo di Fosca Andraghetti (Bologna) di Bernadette BACK (Casapesenna - CE) Erano giorni di lacrime e rabbia, di solitudine e d’abbandono. Erano gorghi di fiumi in piena quei giorni sepolti di paura. Erano vortici pieni di poltiglia, ciarpame, grigiore e nebbia. Sogno di luna su un velo d’aria, carezza in solitudine, sospiri profumati, estasi magica in una notte candida, quando l’anima spogliata incontra Colui che ama… Riflessi di stelle nell’eterna presenza, armonia celeste, vestita di silenzi, domanda tremante sulle labbra dell’Amante, sorriso di luce che il cuore brucia… E’ tenerezza di cielo, vissuta insieme, nascosta in un sogno sotto quella luna che dorme… Dentro l’acqua gli alberi spogli avevano perso il vigore dell’alba del mezzogiorno dell’autunno. Ero io dentro l’acqua a sentirmi sporca per un amore finito. Un amore importante. Ero niente, un fallimento. In quel mio tempo strano stavo aggrappata all’orlo di un pozzo, stringevo le dita per non cadere, chiudevo gli occhi per non vedere. Avevo cancellato il cuore per non morire. Erano i giorni di lacrime e rabbia rivisti in moviola adesso che il tormento è diventato oblio. È NATO UN FIORE di Calogero ANDOLINA (Villalba – CL) Tempo fa è nato un fiore, che tra i fiori era il più bello, ancora oggi ha il candore, della Desdemona di Otello. Il profumo ha della rosa, la purezza ha del giglio, come il Sole è luminosa, dell’orchidea ha il meglio. E’ cresciuta senza amore, nonostante il desiderio, non si sa chi fu l’autore, che la privò di quel delirio. REQUIEM PER UN BOCCIOLO DI ROSA di Leila GAMBARUTO (Chieri – To) Il suo cuore no di certo, anzi, durante la Primavera, sognava ad occhi aperti, che arrivasse prima di sera, Bambina mia, quanta pena infinita quando soffrivi gemendo in quel letto, e si spegneva così la tua vita, mentre stringevi una bambola al petto. su di un bel cavallo alato, un cavalier servente, più che di spada armato, di amore sempre ardente. Io, lacrimando, imploravo ai dottori ciò che soltanto il destino può offrire, e tu, sconfitta, tra spasmi e dolori, chiedevi se fa più male morire. Ma il tempo inesorabile, il segno suo ha lasciato, seppur sul viso è percepibile, é bello più di quando è nato. Fiore innocente, falciato dal male, verso le stelle lassù sei volata, ma io ripenso a quel bianco ospedale ed il mio mondo è una porta bloccata. Fino a quando batte il cuore, il desiderio è sempre vivo, e il ricordo di quel fiore sarà sempre suggestivo. Il tempo passa, lo sai, tiro avanti, son diventata una vecchia marmotta, parlo di te col Signore e coi santi, ed accarezzo una bambola rotta. Suggestivo e spirituale, per il cuore e per la mente, come un’anima immortale, sarà in me sempre presente. - 23 - I l S alotto degli A utori IL SIGNIFICATO DELLA RELATIVITÀ ASSOLUTA di Enzo BONACCI* (Latina) La Relatività Assoluta prevede l’applicazione letterale del principio di Relatività Ristretta di Einstein, per cui tutti i sistemi di riferimento inerziali devono essere indistinguibili a prescindere dalla loro velocità (ivi compreso il caso limite v=c) ed indipendentemente da eventuali conseguenze paradossali. Pertanto le interazioni scevre da causalità ammissibili, in generale, nei sistemi di riferimento inerziali alla velocità della luce in virtù della condizione di atemporalità e, nello specifico, per le onde elettromagnetiche, devono essere riscontrabili anche negli ordinari sistemi di riferimento inerziali a velocità subluminale. Ciò rende sia conto delle correlazioni acausali già evidenziate nella Meccanica Quantistica sia possibile l’ipotesi che l’energia radiante, richiusa ad elica per autointerazione, generi carica elettrica o magnetica a seconda che si ripieghi, rispettivamente, lungo il proprio versante elettrico o magnetico. A suffragare l’efficacia di tale modello, aderente alla descrizione spinoriale delle particelle, v’è la spiegazione della quantizzazione delle masse stabili, della conservazione della carica e della sua indipendenza dalla massa cui è associata, della neutralità di talune particelle, della natura dello spin, del meccanismo di scambio tra massa ed energia radiante, dell’irraggiungibilità sia della velocità c sia dello stato di quiete per la massa e dell’assenza di monopoli magnetici. Il Principio di Minima Energia favorisce solo quelle strutture che minimizzino l’energia complessiva e l’elica elettromagnetica lo rispetta in pieno, presentando un campo interno inferiore a quello sulla superficie laterale. Si noti come ciò getti luce su un aspetto mai esplorato sin dalla scoperta dell’equivalenza massa-energia: il perché la radiazione debba convertirsi in una struttura energeticamente concentrata come la massa, e, ancora più arduo a credersi, come mai alcune particelle siano stabili. Assumendo il doppio segno per le soluzioni delle equazioni di Maxwell, si ottiene una spiegazione coerente della preponderanza di materia ordinaria rispetto all’antimateria, che crescerebbe lungo l’asse temporale mentre risulterebbe invertita andando a ritroso nel tempo. Nella congettura, infine, che i fotoni possano interagire fra loro, è plausibile l’esistenza di un’induzione, che porterebbe più onde elettromagnetiche a comportarsi in modo simile per mutua influenza tipo effetto domino. La violazione del principio di causalità permette una riformulazione della terza legge di Newton che contempli la reciprocità. Il principio consiste nella possibilità di invertire sogget- to (causa) e complemento oggetto (effetto) in una proposizione ben formulata mantenedone invariata l’efficacia in termini di descrizione fisica. La conseguenza più interessante risiede in un’interpretazione a doppio senso delle equazioni di campo di Einstein Gµν=kTµν , in cui è vero sia che una massa deformi lo spazio-tempo sia, al contrario, che una curvatura dello spazio-tempo generi massa al suo interno. Inoltre, applicata allo spazio-tempo, la reciprocità suffraga la natura tridimensionale del tempo e la necessità di un tensore sorgente 6x6. La Relatività Assoluta non solo rende possibile una descrizione unitaria della realtà basata sull’unico campo elettromagnetico nella sua duplice morfologia lineare a v=c ed elicoidale a v<c, ma apre anche la prospettiva su scenari attualmente sconosciuti, in cui la materia sia l’anello intermedio d’una lunga, o addirittura illimitata, catena di successive eliche di campi di forza. Lo stesso campo elettromagnetico potrebbe essere, a sua volta, l’estrinsecazione elicoidale di un precedente campo tachionico in base all’ipotesi del ricoprimento: la ricorsione ad infinitum dell’avvolgimento elicoidale ogniqualvolta si superino soglie discrete d’energia. Alle probabili obiezioni che il modello proposto sia troppo semplicistico, non contemplando la possibilità d’interazioni diverse da quelle elettromagnetiche o gravitazionali (ad esempio le forze di colore), e che lo spazio-tempo a 6d sia stato solo accennato, si rimanda al saggio Estensione della Relatività Generale (Carta e Penna Editore, 2006). In esso viene dimostrata la tridimensionalità del tempo, attraverso un esperimento ideale diodo-fotodiodo, e proposta una nuova supersimmetria spazio-temporale, di modo che la molteplicità delle interazioni percepite non dipenda da numerose sorgenti di campo, bensì dall’estrinsecazione del medesimo tensore energetico 6x6 in una cornice esadimensionale. All’eventuale accusa d’aver trascurato il problema del neutrino, di non aver menzionato la massa mancante o di aver dato per scontata la freccia del tempo, si ricorda che tali tematiche sono state approfondite nel saggio Estensione della Relatività Ristretta (Carta e Penna Editore, 2006). *) Membro del prestigioso Institute of Physics, Enzo Bonacci ha pubblicato con Carta e Penna il saggio “Relatività Assoluta” di cui quest’articolo rappresenta un estratto con finalità divulgativa. - 24 - E state 2008 LUCREZIO: POETA E NON FILOSOFO di Giulia DEL GIUDICE (Genova) Mi è capitato durante quest’anno scolastico di far imbattere i miei alunni in Lucrezio e con piacere li ho fatti inciampare in alcuni passi del suo De rerum natura, affinché potessero anche loro provare stupore di fronte alla Bellezza che ci circonda. Lucrezio è sicuramente uno degli autori più complessi e geniali della latinità classica, a parer mio un vero e proprio unicum, per quanto era innamorato della FILOSOFIA EPICUREA, per come ha perseguito tenacemente l’ideale della ataraxìa, senza però essere con essa coerente, ma vivendo un’esistenza avvolta dal tormento e dalla passione. La sua voce, così razionale in tanti passi, lascia spazio alla lettura di un animo colmo di angoscia e disperazione, lui che avvertì come purtroppo insanabile lo iato inevitabile che prende piede nell’animo umano tra aspirazione all’ infinito e finitezza e limite di tutte le cose. Tutto ciò portò lentamente Lucrezio alla disperazione, probabilmente al suicidio addirittura. Questa natura tanto lo affascinava e tanto lo incantava, quanto lo spaventava per la gioia di fronte al suo infinito, alla sua infinita bellezza, e successiva alla contemplazione della eudaimonìa segue subito un senso di phòbos, al punto che his ibi me rebus quaedam divina voluptas/ percipit atque horror (III, 28-29: “Qui, di fronte a queste cose mi coglie un’oscura divina ebbrezza che mi fa paura”). Sentiva bene Lucrezio dentro e intorno a sé quel “male di vivere” così caro al nostro Novecento, sapeva bene che nulla lo avrebbe mai soddisfatto a pieno e che sempre invano avrebbe cercato la gioia, perché medio de fonte leporum/ surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat (IV, 1133-1134: “Nel cuore stesso della gioia nasce un non so che di amaro capace di angosciarti anche tra i fiori”)…lo capite? Anche in mezzo ai fiori, che sono metafora della felicità, scaturisce qualcosa di amaro, una nota stonata, un senso di mistero, inspiegabile per Lucrezio, di certo un’angoscia (l’etimo angat non è certo casuale) che tormenterà sempre e comunque. Che cosa significava per Lucrezio “essere felici”? Forse vivere senza dolore, senza ansie, senza provare alcun brivido, senza palpiti…significava non soffrire, ma anche non gioire, non farsi turbare da alcuna emozione, non tremare di paura, non agitarsi…stare lì, sulla riva – come dice lui – a guardare gli altri che si affannano, che corrono e compiacersi di saper restare sereni, senza essere toccati da ambizioni, da desideri. In un’unica parola il segreto è l’imperturbabilità, l’ataraxìa per l’appunto. Ci crede, il nostro Lucrezio, in tutto questo, ci crede con una caparbietà spaventosa e vuole convincere il suo lettore che seguendo Epicuro questa serenità davvero è realizzabile sulla terra: bandire la politica, l’amore, allontanare da sé il pensiero degli dei, ogni forma stupida di superstizione, dimenticarsi perfino della morte. L’imperativo categorico è “rag- giungere l’imperturbabilità”, afferrare a piene mani quella divina indifferenza montaliana e solo così salvarsi dal male di vivere. Ma, ahimè, che impresa impossibile! Quanto si sente solo Lucrezio dinanzi a questo obiettivo, quanta solitudine avverte il lettore nello sforzo del poeta che tenta invano di parlare di felicità, ma sembra patire l’esistenza come un passaggio doloroso tra il nulla da cui proveniamo ed il nulla in cui precipiteremo. Bisognerà aspettare S. Agostino per comprendere che questo oscuro malessere che portò Lucrezio alla morte non è altro che un bisogno di infinito avvertito dalla creatura umana, poiché inquietum est cor meum - afferma Agostino – donec requiescat in te, Domine (“inquieto è il mio cuore, finchè, o Signore, non riposa in te”). Lucrezio si guardava intorno e vedeva solo uomini che si distruggevano nelle sofferenze, alcuni avvertendo una insopportabile febbre di vivere, altri tormentati dall’angoscia di morire, nessuno in grado di raggiungere un distacco da sé stesso. Solo quegli dèi lontani e avvolti dall’iperuranio possono essere indifferenti. Lui, inconsapevole “cercatore di Dio”, lui che sognava di diventare come loro, indifferente e distaccato dalle passioni e dalla gioia stessa, perché non est pura voluptas (IV, 1081: “nessun piacere è puro”), è l’unico poeta antico veramente tormentato dal bisogno del divino e dell’assoluto. Lontanissimo tutto ciò dalla mente di Epicuro! Ed allora? Allora è un fallimento la filosofia lucreziana, un fallimento la sua opera che non raggiunge l’obiettivo che si era prefisso. Un fallimento la vita stessa di Lucrezio, conclusasi forse col suicidio…ma, c’è sempre un “ma”, quanta immensa, straordinaria poesia nasce da questa contraddizione. Non c’è poesia più autonoma dalle intenzioni che l’autore desiderava indicare al lettore: Lucrezio, che credeva di avere sotto i piedi la via della serenità epicurea, fu egli stesso incapace di perseguirla, torcendosi in una sofferenza che trasuda da buona parte dei suoi esametri. La filosofia poco per volta lascia spazio alla poesia, fino a culminare in quella visione apocalittica della peste di Atene, dove il dolore umano prende forma e si fa concreto, diventa materia, diventa un’ossimorica pesantezza del vuoto, del nulla sul quale si affaccia l’esistenza umana. Unica consolazione a questo nulla, a questo vuoto rimane la POESIA. E qui, paradossalmente, Lucrezio sembra affermare la superiorità della poesia sulla filosofia proprio come remedium al male di vivere. Strana è la vita: cerchi di indicare una strada seguendo una dottrina filosofica e ti ritrovi a dire a Memmio che forse l’unico sentiero da calcare è l’aspra via della poesia, perché è col canto, più che con la ratio che il dolore è sopportabile, quel dolore che ha una voce sola ed accomuna gli uomini tutti. - 25 - I l S alotto degli A utori IL VECCHIO E LA CITTÀ di Gian Franco MICHELETTI (Orbassano - TO) Sono fredde correnti oggi i segnali della città, c’è distacco e passa inosservata l’immoralità all’indirizzo della storia. Si corre sul filo dell’arroganza e della superficialità percorrendo le strade senza uno sguardo degno di rispetto. Piazze, cortili e selciati celanti barbarie lontane, accantonate nell’indifferenza. Forse fa paura tanto clamore emanato dalle mura, embrione di un’eredità che si insinua nelle vie ignoranti le matrici e le gesta ed un capitello passa alfine come un oggetto di ingombro. Il sole fa capolino dai bastioni di “Palazzo Madama” e un distinto signore si sofferma quasi smarrito ad accarezzare la città nelle sue nebulose metamorfosi, dalle cupole alle torri ai campanili osannanti i capolavori e le ambizioni che ne derivano dalla storia. Il campanile di San Lorenzo batte cadenzati rintocchi, quasi a voler interrompere quel silenzio cercato, e una smorfia controllata sfugge all’eleganza dello sconosciuto dal passo claudicante, ma dal por- tamento retto. Dallo sfarzo del palazzo le mura sembrano cogliere commozione agli occhi di attempata signorilità, le quali rughe profonde segnano un composto aplomb, vagante ancora oggi fra affreschi e mistero di una città dal fascino di una romantica signora. I suoi occhi cadono sulle antiche volte dagli affreschi dorati e un’atmosfera surreale vive nel morbido di geometrie che del silenzio dei secoli conserva la grazia e la cultura, interpreti della ricchezza di una città dall’aria intrigante. Il vecchio si abbandona ad un lungo sospiro, ed il bastone dalla ricca impugnatura segna il passo incerto dell’età, ma non sminuisce la signorilità che gli anni non hanno per nulla intaccato, e la figura prima di dileguarsi nelle folate di un caldissimo inverno, si volta a salutare con nostalgia questa “città amica” dalla quale ha molto ottenuto, ma che molto è riuscito a darle. Grazie vecchio amico! (all’Avvocato, con nostalgia!!) MORTE DELLA CREATIVITÀ? di Matilde CISCOGNETTI (Napoli) È inutile attendersi cambiamenti di tendenza notevoli dalle periodiche statistiche sull’argomento: esse continuano ad attestare la scarsa propensione alla lettura da parte degli Italiani, superati in questo anche da Paesi con tradizioni storiche e civili più recenti e perciò meno corpose delle nostre. Preferite in assoluto tutte le attività che non richiedano grossa fatica mentale, quali la televisione (con il minimo di impegno fisico dell’esercizio delle dita sul telecomando), con una scarsa attenzione anche verso le letture cosiddette “di passatempo” quali ‘gialli’ e riviste di disimpegno. La cosa assume un aspetto anche ridicolo quando si pensa a coloro (e sono veramente tanti), che non leggono neanche le varie pubblicazioni a cui sono abbonati, considerando il versamento della quota già di per sé un’attestazione del proprio impegno culturale. Un lato però triste, direi, di questa assuefazione al disimpegno mentale, riguarda purtroppo coloro che sono preposti, e quindi pagati, alla lettura di quei testi che, dopo, dovrebbero essere offerti, editi al pubblico. Una pigrizia culturale che, se spegne la creatività e uccide i talenti, produce prodotti prestabiliti e preconfezionati alla cui base non vi è un giudizio critico che opera una scelta di qualità, ma è al servizio di mere esigenze editoriali tese a privilegiare autori (spesso creati dalla lottizzazione) pedine di possibili successi di cassetta. Spesso gi stessi membri di giuria di concorsi letterari, neanche sanno di cosa parla il testo prescelto e, in caso di concorsi importanti (nel senso di famosi), il premio diventa talvolta mero effetto di una raccomandazione dorata attribuita a turno alle solite tre, due, (forse una sola) grosse case editrici. Mancando una seria valutazione di scelta, all’enorme numero di autori in circolazione resta solo l’auto-promozione: spedizioni, concorsi, spazi acquistati (spesso con laute donazioni) su bollettini associativi, in attesa di qualcosa. Forse di nuovo Leo Longanesi che ‘divorava’ qualunque testo o anche breve verso, fiero di annunciare al mondo la nascita di un vero, nuovo autore. - 26 - E state 2008 FABIO CLERICI nasce a Milano nel 1961, ove vive. Dopo aver conseguito il diploma di Maturità Turistica, viene assunto nell’amministrazione pubblica locale. Da oltre vent’anni, inoltre, svolge attività di volontariato presso la Croce Bianca Milano Centro. Amante della montagna e viaggiatore appassionato, l’autore nel corso degli anni passati ha partecipato con successo a numerosi concorsi letterari fra i quali, nell’anno 2006, al Concorso “International Police Association” dove, con la lirica “Nevica” si è classificato 2° ed ultimo in ordine cronologico, al Concorso Letterario Internazionale “Città di Castellana Grotte 2007 Vittorio Sabatelli” dove si è classificato 9° con la lirica “Foglie al vento”. Numerose sue poesie sono presenti in altrettante pubblicazioni antologiche. Fabio Clerici è Socio del Cenacolo Europeo “Poeti nella Società” e Socio Autore dell’Associazione culturale “Carta e Penna”. KIMERIK EDIZIONI ISBN: 978-88-6096-202-7 Prezzo: € 10,00 Categoria: Poesie Anno 2008, Pagine: 60 Le poesie di Fabio Clerici sono una serie di ritmate ed emozionanti canzoni; versi musicali, intrecciati e contrapposti, scandiscono armoniosamente le liriche che compongono questa raccolta, risultato ultimo di studio e costruzione in ogni verso e parola. Clerici dipinge immagini piene di passione e coinvolgimento, costruisce metafore colte e di evidente bellezza, in un crescendo di poesie che man mano divengono sempre più raffinate nei contenuti e nella forma. “I fiori della libertà” di BRUNA MURGIA stampato da Giuntina, Firenze; il libro è stato presentato presso il Centro Sociale della Comunità Ebraica di Torino il 22 giugno 2006, relatore Prof. David Sorani. Il libro racconta la storia di una famiglia di ebrei come tante, vittime della esecrabile azione dell’uomo concretizzatasi nelle leggi razziali. L’autrice indaga in modo sensibile e delicato l’animo dei protagonisti e ne evidenzia i tratti più caratterizzanti degli anni dell’esilio, vissuti nella quotidianità delle regole imposte dalla Terra ospitante, consapevoli e grati di essere riusciti a sfuggire ad una morte certa. Grati per esseri vivi, ma consci della propria impotenza di fronte agli avvenimenti, a quella moltitudine di voci spezzate dalla disperazione di tutti quegli uomini, donne e bambini che non sono riusciti a fuggire. Una storia vera scritta per esaudire il desiderio dell’unico protagonista ancora vivente per raccontare ai figli dei figli una parte della sua adolescenza che lo ha segnato in modo significativo, per lasciare quegli anni agli uomini di domani. Nato grazie al ritrovamento della documentazione originale, il racconto è uno strumento per ricordare le azioni degli uomini e quanto possono essere ignobili, ma anche per conservare la consapevolezza che nel futuro i fiori della libertà resteranno vivi se ogni uomo farà cadere su di essi un filo d’acqua ogni giorno. IL RICAVATO DELLA VENDITA DEL LIBRO SARÀ INTERAMENTE DEVOLUTO ALLA FEDERAZIONE TRA LE ASSOCIAZIONI PRADER WILLI - Prezzo di copertina: 12,00 euro L’UMO DELLA NOTTE… racconta di GILBERT PARASCHIVA. Siamo certi che molti lettori del nostro giornale, che si avvicinano o hanno superato da poco la cinquantina, si ricorderanno de “L’UOMO DELLA NOTTE”, la trasmissione radiofonica che, negli anni ‘80 (stando ad una indagine della Doxa) aveva ottenuto il più alto indice di gradimento e d’ascolto per la bravura del suo conduttore che deliziava seralmente centinaia e centinaia di ascoltatrici appassionate alla musica dolce e alla poesia ma anche all’umorismo e all’erotismo. In questo libro Gilbert Paraschiva ha raccolto i ricordi degli ultimi suoi trent’anni di vita e carriera raggruppando fotografie, ritaglia di giornale, spartiti musicali, dediche… vi sono foto di grandi personaggi che hanno fatto epoca, come Marisa Del Frate, Angela Luce, I Cugini di Campagna, Il Giardino dei Semplici, I Beans, Massimo Troisi, nonché tutti i migliori poeti partenopei dell’epoca. Le foto, tutte a colori sono accompagnate dalle poesie scritte da Gilbert. Il volume non ha prezzo di copertina per cui verrà inviato soltanto a coloro che lo richiederanno direttamente al suo autore che si pregerà di inviarlo in OMAGGIO assieme, però, ad un Modulo di Conto Corrente Postale con la scritta: “Offerta a piacere per adozioni a distanza bambini eritrei” – Per ulteriori informazioni contattare direttamente l’autore al n. 392/8689755. - 27 - I l S alotto degli A utori EFFETTO SERRA di Giuseppe DELL’ANNA (Torino) Uno dei “doni” derivati dall’utilizzo dei combustibili fossili è la “libertà”: libertà di andare dove vogliamo, di acquistare ciò che vogliamo, di vivere come vogliamo. Con il ritmo di emissione di anidride carbonica (CO2) dall’inizio del terzo millennio, il giornalista e ambientalista George Monbiot, nel suo libro CALORE ed.Longanesi, ipotizza che nel 2030 si raggiungerà un riscaldamento di 2°C superiori ai valori preindustriali, punto oltre il quale i principali ecosistemi inizieranno a collassare. Pensate alla frase iniziale: “libertà di andare, acquistare e vivere come vogliamo”… Attenzione! Questa non è una libertà acquisita e quindi divenuta “legittima” come molti di noi forse penseranno, è solo il frutto di un progresso che ha bruciato tappe e tempi illudendoci della forza e del potere dell’uomo su tutto, ma il nostro mondo diviene sempre più piccolo e noi diventeremo titani schiacciasassi inesorabili se non rifletteremo di invertire questo processo limitando l’uso dei combustibili fossili e trovando nuove risorse adeguate a “sostenere” e non distruggere gli ecosistemi, anche se, in questo campo, nulla è come appare, prendiamo ad esempio il bioetanolo spacciato per il futuro combustibile, derivato da materie prime alimentari (come il mais) trasformate in biocarburanti che hanno soltanto causato la scalata dei prezzi alimentari di prima necessità, facendo precipitare milioni di persone nella fame con l’aumento insostenibile dei cereali (cfr Dichiarazione del relatore ONU per il Diritto all’Alimentazione Jean Ziegler). L’energia eolica non è promettente come sembra in quanto se i venti sono deboli e non costanti non si può sostenere la domanda di energia elettrica di routine e nemmeno si ha possibilità di stoccaggio. Lo stesso Idrogeno si comporta in modo abbastanza simile ai combustibili fossili (cfr G.Monbiot) per il fatto che brucia rapidamente e nella stratosfera accelera l’impoverimento dell’Ozono, oltre a rilasciare in troposfera vapore acqueo triplicato rispetto ad un aeroplano a kerosene, producendo quindi un ulteriore disastro ambientale. Estrarre e interrare CO2 dall’atmosfera richiede costi molto elevati, allo stesso tempo far assorbire CO2 nelle profondità oceaniche dal fitoplancton stimolerebbe la produzione di metano che, oltre a distruggere l’ecosistema degli oceani, causerebbe più riscaldamento globale di quanto ne si voglia far assorbire. L’energia solare rimane, a tuttoggi, quella più compatibile rispetto ad emissioni di scorie, anche se sembra non sia del tutto autosufficiente e via sia ancora bisogno di ricorrere ai fossili, ma, come si esprime il prof. Carlo Rubbia al riguardo, si può iniziare a ridurre del 20% entro il 2020 il livello di emissioni inquinanti in Europa attraverso la costruzione di “Impianti Solari Termodinamici” in particolare nelle Regioni dove vi sono giornate con più presenza di sole. z Come funziona: L’impianto solare termodinamico è costituito da collettori parabolici lineari, collegati in serie. Ogni collettore è costituito da un riflettore di forma parabolica, un semplice specchio di vetro, in grado di concentrare i raggi solari su un tubo ricevitore. Tramite un fluido viene alimentata una stazione di potenza che si trova all’interno del campo solare. z Il calore: Il calore prodotto viene trasformato in vapore acqueo per generare elettricità. La temperatura di operazione varia dai 390° ai 550°, a seconda delle dimensioni dell’impianto. A differenza del sistema fotovoltaico e dell’eolico, questo sistema consente di immagazzinare il calore e renderlo disponibile secondo necessità, eliminando la variante intrinseca della sorgente solare tradizionale e del vento. Concludendo, in merito al tema dell’effetto serra, non crediamo che sempre qualcun altro farà al nostro posto. Siamo chiamati in prima persona a modificare, anche di poco, le nostre abitudini, perché siamo semplicemente troppo comodi e abbiamo troppo da perdere. Non possiamo cambiare questa situazione senza abbandonare le nostre sedie. Azione significa muovere le gambe usando meno i combustibili. Dall’Aprile 2005 all’Aprile 2008, personalmente ho percorso 4500 Km in bici che, se percorsi in auto, avrebbero prodotto circa 170gr di CO2 a Km. Non mi voglio nascondere dietro un dito: uso anche io l’auto per lunghi tragitti o bisogni inderogabili, ma so di aver modificato di almeno un poco le mie abitudini di spostamento. FONTI: z Calore (ed. Longanesi) di Gorge Monbiot – Aprile 2007. z Riviste: “Automobile” Febbraio 2007, Settembre 2007 e Aprile 2008. z Giornali: “Il Corriere della Sera” 4.12.2007 “City” 15.12.2006; 20.02.2007; 28.02.2007; 20.06.2007; 4.12.2007; 20.04.2008. - 28 - E state 2008 L’Europa e l’anidride carbonica: i responsabili danno i numeri! Fonte: Commissione Europea 2004 AUTO PRIVATE Le emissioni dei mezzi di trasporto privati nella UE incidono poco sul totale; negli ultimi anni sono state ridotte del 13% nonostante la crescita del 16% della percorrenza media annua. TRASPORTO PESANTE, AEREO E MARITTIMO La globalizzazione del commercio comporta grandi spostamenti di merci da una parte all’altra del pianeta. Aerei, camion e navi inquinano più della circolazione delle auto private sulle strade. INDUSTRIA La produzione industriale, in costante aumento, è tra i principali respondabili dell’emissione di CO2 nell’ambiente. Ma anche uno dei settori dove si sta intervenendo maggiormente. RISCALDAMENTO DOMESTICO Per scaldare le nostre case bruciamo molto combustibile, con grandi emissioni. Su questo comparto occorre lavorare molto per ridurre le emissioni di CO2 PRODUZIONE DI ENERGIA Petrolio, carbone e olio combustibile: la dipendenza dell’Europa da queste fonti energetiche poco compatibili con l’ambiente è ancora elevata. Occorre intervenire, spingendo sull’ecosostenibilità e sul rinnovabile. - 29 - I l S alotto degli A utori POTENTE UOMO di Fabio CLERICI (Milano) 2012: LA FINE DEL MONDO? di Giovanni REVERSO (Torino) Guarda attraverso quella porta, Scendi dallo scranno Della tua saccenza E vivi il dolore Che umilia strade e città Accogli i lamenti degli ultimi, Dona un attimo alla loro disperazione; Pietosi fantasmi che ci lasciano Portando con sé Rabbia e dolore, Di un pasto mancato O di un gesto negato; Nell’ultimo atto, Del gelido riposo, Su quella panchina Sognano umano interesse, E pietoso calore; Tu che mi giudichi, Scendi dallo scranno e sappi Che ho vissuto in mezzo a loro. Così secondo i Maya e l’astrofisica. I Maya erano formidabili osservatori delle stelle. Di loro è rimasto poco dopo le distruzioni sistematiche effettuate dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma da quel poco uno scienziato americano è riuscito a mettere d’accordo il distacco dello scettico che ha bisogno di prove, con le certezze di chi ha fede in un disegno sovrannaturale scritto nel cielo, stabilendo da profonde osservazioni che nel 2012 ci saranno allineamenti planetari, anomala attività del Sole, nubi interstellari, tutti eventi uniti da strane coincidenze. Secondo James Lovelock, l’inventore della teoria di Gaia, la Terra Vivente, se l’energia in circolo diventa eccessiva, Madre Terra provvede a raffreddare il sistema come successe 74 mila anni fa con le esplosioni di supervulcani come quello del lago Toba a Sumatra, che con la sua coltre di ceneri provocò un lungo inverno riducendo la popolazione umana a poche migliaia di esseri. Con la fisica moderna tornare a cercare nel cielo il nostro destino non è tanto irrazionale. Nel 2012 ci sarà un allineamento dei pianeti con lacerazione del campo magnetico terrestre e provocazione di disastri a catena. Che fare? Che dire? Non ci resta che aspettare. Chi vivrà vedrà se l’Apocalisse 2012 ci sarà. 2012: se la fine avverrà, i Maya soppressi sarà come risorgessero, e soli resteranno a godersi un mondo nuovo rinato per essi. DIO È AMORE di Velia GOZZOLINO (Acqui Terme - AL) Dio è amore ed io lo sento nel mio cuore vivo e palpitante, come un’amante. Le mie ferite nella vita mi hanno portato verso il Suo Costato sanguinante al confronto leniva il mio dolore con il Suo Sangue. Ringraziando il mio soffrire dicendo: “Dio, è sempre poco quello che mi dai”. Pensando il calvario che hai sopportato per i nostri peccati. Con umile preghiera chiedo misericordia per l’umanità per chi non ama la fede e l’amore verso il nostro Signore. PALCOSCENICO di Gennaro BATTILORO (Sesto Fiorentino - FI) Si accendono le luci della ribalta. Scroscianti applausi accolgono il tuo ingresso sul palcoscenico. Il pubblico ti tributa vibranti acclamazioni. La scena è tua, e tu sei felice... Infine, cala il sipario... si spengono le luci... il teatro si svuota... In fondo alla sala, in penombra, resta solo uno spettatore, ma tu non te ne sei nemmeno accorta... Ed ora, come ogni sera, ripiombi nella quotidiana solitudine... - 30 - E state 2008 TUTTO SEI TU PER ME di Santi ZAGAMI (TO) GENTE INTELLIGENTE di Giovanni D’ANDREA (Acqui Terme) Se tu sei qui con me, Amore mio, io scordo tutto quanto il mondo intero. Tu sei la luce che rallegra l’anima, sei sogno e sei certezza che non muta, sei sole, luna, stelle, sei splendore che mi sostiene e avvince sempre più. Amore, tu lo sai quanto ti amo… Tutto tu sei per me! Mi colmi sempre di felicità. Ti stringo sul mio cuore Perché, con te tra le mie braccia, io vivo ognora palpiti d’amore, dimentico il dolore di questo mondo strano, che si dibatte invano tra egoismi sordi e tante atrocità senza confini. Meraviglioso il mondo se la gente che lo vive fosse, così, per natura, gentile e intelligente! Che miracolo, davvero, se tutte le persone capissero l’evidenza di nessuna differenza. Parlare in libertà di gioie e di problemi, capirsi tutti quanti con le stesse parole. La gente, nel mondo, tutta si somiglia, ha le stese esigenze e le stesse speranze. Prega lo stesso Dio e non ha complesse teorie, esprime lo stesso amore e desidera poter fare. Purtroppo è utopia che questo si avvererà, ma si può, solo, sperare che ognuno lo capirà. Si sa, soltanto, che l’ipocrisia, nascosta, si da un gran da fare per confondere l’ingenuità. Potrà essere la fine di tutti i prepotenti, se la gente capirà che può cambiare il mondo! REBECCA di Riccardo FEDELI (Villamagna - PI) Rebecca ha un lungo scialle su spalle di velluto, profumo di gelsomino e lacrime di resina, sentiero di bosco senso di avventura, visioni di occhi di cerbiatto cacciatori in fuga. Il sorriso che le crea come impeto d’artista, una piccola ruga, solco di giorno di pioggia su terra fertile di frutti golosi. Ammiro nella sua bellezza il fragore del tuono, il tratto luminoso della folgore, che acceca giusto l’attimo che precede il suo passaggio. TRA I MURI (a Pavese) di Maria Cristina SACCHETTI (Riva di Chieri – TO) Tra i muri dell’antica casa Ancor aleggia il tuo respiro Greve di malinconia, pregno di rimpianti per ciò che non è stato per ciò che hai perduto. Il tempo ha vissuto per te, lo stesso ha narrato di te tra i muri… dell’antica casa! - 31 - I l S alotto degli A utori TI HO ATTESO... di Mariateresa BIASION (Orbassano - TO) A Gabriel Ti ho atteso in silenzio, socchiudendo appena la porta, perché filtrasse uno spiraglio di luce, ad indicarti il cammino. Ti ho atteso come si attende lo sbocciare di una rosa, il volo di un airone, una goccia di pioggia, nel caldo torrido dell’estate. Ti ho atteso, trepidante, all’ombra di un eucalipto, ai margini del tempo, alle origini della vita. Ti ho atteso... e sei arrivato, come un sorriso, che irrompe nella monotonia dei giorni, come un raggio di sole, che squarcia le nubi, come un colibrì, che si posa leggero, sul suo nido di foglie, come rugiada, di lucente madreperla. E, all’improvviso, l’attesa è diventata presenza, tingendo d’azzurro e d’oro ogni nostro domani, piccolo cuore, che porti il nome dell’arcangelo che diede il grande annuncio: Gabriel, splendente arcobaleno di felicità. LA MAPPA di Caterina ODDENINO (Torino) Sono un frammento della vita una parte integrante di questo universo una infinita divisione di opposti. Ho tracciato una mappa del dolore, e ho segnato ogni strada e sentiero e ne ascolto il mormorìo e l’ indolenzimento non cessa con il pensiero; è un’onda senza fine e il canto del gallo e il suono della campana hanno uno strano effetto: scaturiscono dal silenzio, attraversano il cuore e se ne vanno di eternità in eternità. MEDITERRANEO di Walter MILONE (Druento – TO) Quante volte ancora mi dovrai stupire, quante volte ancora mi dovrò commuovere davanti a te. Con i tuoi colori, con i tuoi profumi quante volte ancora risveglierai il ragazzo antico che vive dentro di me; che da te viene e a te ritorna. La tua voce vibra nelle mie fibre più vere, di fronte a te non finirò d’innamorarmi mai, di fronte a te non invecchierà la mia anima, di fronte a te non esiste morire. Anni son trascorsi, ricordi lontani quelli della gioventù, sulle tue sponde ho giocato e amato. Lontani… Ma tu ancora sai sorprendermi, sai farmi sentire parte di te, del tuo respiro. Profondamente, sempre tu, Mediterraneo . Perché da te vengo, e a te ritorno. Nonna Mariateresa - 32 - E state 2008 FIABE E STORIE ALBANESI di Bruna TAMBURRINI Seconda parte Il racconto, non a caso, inizia così: “Ascoltate ora, ragazzi, il racconto della giovane Omer, della figlia bella e tenera di un vecchio pieno d’anni. Questa ragazza diede onore a tutto il suo paese, come prima di lei gli aveva dato onore il prode tra i prodi Gjergj Elez Alia. Per questo tutti gli albanesi cantano il suo valore e la sua bellezza, la additano come esempio alle generazioni future”. In sostanza si narra di un vecchio che un tempo era forte e giovane, gli rimase solo la sua figlia bella e buona, ma incapace di combattere, perchè le donne usano solo “fuso e conocchia”. La ragazza venne data in sposa ad un giovane e si doveva sposare. Purtroppo dal mare arrivò un grande principe nemico, arrogante e saccheggiatore. Il principe scrisse al vecchio sfidandolo, altrimenti gli avrebbe preso tutto compresa la figlia. Il vecchio, tra le lacrime, raccontò il fatto alla figlia e questa gli suggerì di invocare aiuto tra i giovani del posto. Il vecchio decise di riferire in un’assemblea il fatto per farsi aiutare. Andò dal signore della città e, molto cortesemente, lo pregò di convocare in assemblea i trenta signori della città. Raccontò il fatto, ma i signori subito non risposero, allora lui tirò fuori i soldi, ma nessuno li toccò, poi, quando se ne andò si accorse che gli altri lo deridevano. Decise così di affrontare da solo il principe nero. Raccontò tutto alla figlia la quale decise di andargli in soccorso, armandosi e combattendo lei per lui. Si travestì da uomo e andò nella Kulla (con questo nome si intende la casa) del suo fidanzato per riposare, ma questi non la riconobbe. Si fece chiamare “Il giovane Omer”. Arrivò l’incontro con il principe nero e lei riuscì ad ucciderlo. Rimase solo il suo cavallo “superbo e dalla testa alta”. Alla fine la ragazza ritornò con il corpo del principe morto nella casa del suo “amico” fidanzato e insieme festeggiarono, dopo aver buttato il corpo in un burrone. Ritornò poi a casa da suo padre, pronto ad abbracciarla e a baciarla e tutto il paese festeggiò l’evento. Alla fine giunse il giorno delle nozze della ragazza, ma il fidanzato non vide l’amico Omer che aveva ucciso il mostro e gli aveva promesso che sarebbe tornato per il suo matrimonio. A questo punto la ragazza rivelò al fidanzato di essere lei il giovane Omer che egli aveva conosciuto. E così la festa continuò. La storia termina con queste parole: “Il racconto è finito. Statemi bene, voi che avete ascoltato. Statemi bene e permettetemi di gridare ancora una volta: salve giovinezza! Che tu possa essere felice! Perché tu vinci gli uragani con l’impeto del tuo spirito e del tuo braccio, distruggi il male ed esalti il bene, rendi possibile l’impossibile”. Come già si è potuto notare, nelle storie si ripetono sempre delle parole fondamentali come Kulla (la famiglia, la casa) BESA (è la parola data). Un eroe mantiene sempre la parola data. C’è sempre un eroe che non difende solo se stesso, ma anche tutto il paese, difende l’onore di un’intera comunità. Gli eroi, comunque, si distinguono l’uno dall’altro, perché sono diversi anche fisicamente, ma tutti hanno insito il concetto dell’onore. Per esempio Mujo è un uomo prudente, calmo, Halil è svelto, coraggioso, Dizdar Osman Age è invidioso, individualista e così via. Nelle storie ci sono anche esseri soprannaturali come le ZANE, le BIANCHE ORE, esse sono come le donne di montagna dell’Albania: hanno figli in kulla, hanno un corpo che si può toccare e non è insensibile al dolore. Sono una idealizzazione della donna, della donna di montagna, piena di saggezza e di amore per il bene, per il giusto, per le persone che prendono generosamente gli altri sotto la loro protezione e li aiutano a raggiungere il loro scopo. E’ il caso di ritornare ora sulle parti descrittive della natura, perché nelle storie la natura stessa sembra partecipare. Per esempio nella storia di Mujo e Behur essa viene descritta in tanti modi, ecco per esempio una poesia inserita nel testo: “Cadde la rugiada prima dell’aurora” Non aver fretta, o cara luna! L’acqua è molto fresca, molto dolce spira il venticello… Manda la tua luce ai rami biforcuti, manda il tuo occhio fra quelle rocce, e fretta non avere di tramontare!” In seguito c’è questa bella descrizione narrativa: “Il sole, che si era fermato un momento sulle cime dei monti, rotolò ora dietro le montagne. Uscì la bianca luna oltre i faggi e illuminò la strada che attraversava i monti, accompagnava un gruppo di paraninfi a cavallo….” All’interno dei racconti ci sono i canti degli eroi, delle fanciulle. Ecco nella storia “ Il matrimonio di Halil” il canto dell’eroe Halil che canta la lingua dei suoi antenati e che risalta come un grido di guerra: E’ così giunto per me il giorno estremo! Assente il sole e assenti le montagne! Dov’è, o sole, la protezione tua? Dov’è, o Zana, la protezione tua? E’ dunque questa la besa vostra? Non mi rispondi, sole? Ti scongiuro per la luce che ti fiammeggia in fronte! Lasciarti voglio una parola estrema! Cerca i miei monti, roccia dopo roccia! Anche in questo canto la natura è personificata. Il lamento, potremmo definirlo anche canto, di Rina (della storia omonima) è abbastanza commovente in quanto narra di una giovane che, alla vista di una nave che trasporta vestiti di seta, lei vi entra dentro per comperarne alcuni in occasione del matrimonio della cognata, ma i marinai che sono pirati, cominciano a manovrare i remi e - 33 - I l S alotto degli A utori a portare più in là la nave e quando Rina se ne accorge inizia a gridare: “O cani di marinai! Fate andare più adagio la nave, in modo che io possa almeno raccomandare a mia cognata di avere cura del mio bambino. Quando lo mette nella culla pianga la mia sorte e dica: - Buono figliolo, figliolo mio! Bambino, bambino mio, dov’è andata la tua mamma? - Mia madre si trova nel paese dei Turchi - E a te chi darà del latte? O bambino, bambino mio! Il suo onore e la sua bellezza sono ora in mano dei malvagi! Ma tu stai buono, Bambino mio! Buono, buono e dormi! Le guance della tua mamma diventeranno fiori per l’altare. Del petto suo bello faranno uno specchio per specchiarsi. Ah, ora l’onore e la bellezza della tua mamma si trovano in grande pericolo…” (op.cit. p.180). Le Zane cantano così: Zane siamo, che Zane possiamo restare! Besa a besa e parola a parola. Sposa e paraninfi noi ti ridiamo! ……………… Zane siamo, che Zane possiamo restare! Besa a besa e parola a parola, La donna è donna ed è Zana la Zana, in sole la Zana, la donna una luna… (op.cit.58) Cantano anche le Bianche ore, sentiamo: “Ascoltate, Mujo e Halil: Fratelli siete, fratelli possiate restare! Non uscite mai in spedizioni l’uno senza l’altro, perché infelice è il cuore che non ha un fratello!”(p. 70) Anche gli animali fanno parte integrante delle storie. Si parla spesso di cavallo nero e di cavallo bianco: “Allora Halil dice al fratello: - O Mujo, dammi subito il tuo cavallo bianco, perché vado a prendere Tanusha, la figlia del re” (p.75). E ancora in un’altra storia: “Allora porterò il mio cavallo nero per i prati, lo lascerò libero di brucare erba e fiori per qualche giorno, poi lo riprenderò, lo sellerò, lo monterò e correrò a Jutbina” (p. 142). Altri animali sono le capre della montagna e gli uccelli “Aspettate un po’ o uccelli della montagna. Voi non avete altro da fare che cantare..”. “Oh Dio! Parla forse la capra delle montagne?? Sì, ha parlato la capra delle montagne!E che cosa ha detto la capra delle montagne? Ecco – Finché sarà giorno, sarà il sole a proteggere Halil; di notte lo proteggerà la luna; La Zana custodirà le armi al suo fianco”. (p.75). C’è anche il serpente nero come un corvo: “Quand’ecco, passata la mezzanotte, entrare nella stanza un grande serpente, nero come un corvo, e si avvicina sibilando a Hysen per leccargli le ferite e versarvi il suo veleno. Ma la sposa è lì pronta: gli taglia la testa con le forbici e la getta in un angolo della stanza: poi si china di nuovo sul capo di Hysen: gli asciuga la fronte sudata, gli bagna le labbra aride, lo guarda con i suoi occhi pieni di luce. Dopo un po’, ecco un altro serpente, più grande, rosso come il sangue…Ed ecco entrare un altro terzo serpente, ancora più grande, bianco come la neve…...” . (p.136) Ma c’è anche un grillo che “ nel silenzio…canta dolcemente”. Vorrei concludere sottolineando che questo lavoro è solo un’analisi delle origini di un popolo che è entrato nella nostra cultura e che ha alla base sentimenti nobili e positivi. Ogni cultura, infatti, può essere scoperta e apprezzata. Non dobbiamo certo fermarci ad eventuali frange estremiste e violente che a volte sono presenti nel nostro paese e che dobbiamo sicuramente bloccare per evitare che contaminino ciò che di buono può esserci in un rapporto culturale e umano. C’è da dire, inoltre, che attualmente gli albanesi vedono l’Italia e i paesi occidentali come un esempio di democrazia, di liberismo ed anche di lusso, infatti, attraverso la televisione, arrivano nelle loro case, notizie e messaggi che evidenziano opulenza e ricchezza. Dal punto di vista economico l’Italia, in questi ultimi anni, si è anche impegnata ad aiutare l’Albania per un costruttivo sviluppo economico e già si sono notati sensibili miglioramenti in diversi settori. Principali testi di riferimento: Mitrush Tuteli (a cura), Fiabe e leggende albanesi, Rusconi, Milano, 1993 Luana Carbonini, Storia dell’Albania, www.olografix. org www.wikipedia.org Rosselli Alberto, Viaggio nel paese delle aquile, www.storico.org Monumento equestre a Giorgio Castriota Scanderbeg - 1403/ 1468, nella piazza centrale di Tirana - 34 - E state 2008 IL RAGGIUNGIBILE di Giovanni REVERSO (Torino) When there is a will there is a way (Quando c’è la determinazione vi è sempre una strada per raggiungere i propri obiettivi). D’accordo, la determinazione è la spinta più potente per andare avanti, per non fermarsi di fronte a nulla, quindi ben decisi ad arrivare dove si voleva arrivare e ad ottenere ciò che si voleva ottenere. Comunque per qualsiasi problema da risolvere, prima di passare alla determinazione, che può portare a notevoli sforzi di proseguimento, occorre stabilire se la cosa è fattibile, se la si può realizzare, in sostanza se lo scopo è raggiungibile. ogni cosa ha un punto che può essere raggiungibile o irraggiungibile. Il raggiungibile è sinonimo indubbiamente di possibile. Ma, non tutto quello che sembra possibile a prima vista o di primo acchito, lo è per davvero. Cammin facendo, cioè col proseguire degli sforzi, col proseguire delle conoscenze, molto di quello che sembrava impossibile può diventare possibile. La stessa cosa può accadere per quello che, subito, sembra facile, possibile e attuabile. Nella sua attuazione possono sorgere difficoltà insormontabili tali da renderlo, magari anche solo momentaneamente, impossibile da attuare. Il raggiungibile ha, quindi, una sua aleatorietà. Non è detto che una cosa sia raggiungibile o irraggiungibile con i dati conosciuti al momento iniziale della richiesta. Resta il fatto che possiamo sempre cambiare il corso delle cose. Mi piace quando ha detto la scrittrice inglese Jeanette Winterson: “l’uomo si costruisce sempre le sue prigioni da solo. Anche quando inventa qualcosa di utile, come la tecnologia, riesce comunque a trasformarla in qualcosa di punitivo. Siamo tutti lì a invocare la libertà e non facciamo altro che negarla. L’arte può aiutarci attraverso l’immaginazione che costruisce spazi, luoghi, vite. E sa renderci liberi. La lettura è un atto privato incontrollabile. Ci sei tu e c’è il libro, nessuno può sapere cosa accade dentro di te. E forse è questa l’unica vera libertà”. Penso abbia ragione, il raggiungibile, qualunque esso sia, è ormai ostacolato da troppi condizionamenti. Troppe leggi che si sovrappongono una sull’atra, ostacolano e rendono difficile anche il più piccolo movimento. Ogni azione è condizionata da altre che, a volte finiscono per renderla inutile annullandola. E’ vero che quello che uno fa, cambia quello che vede, ma è tutto racchiuso in limiti troppo ristretti perché le modifiche possano farsi sentire ampiamente e contare davvero. Diceva Socrate: “C’è un solo bene, il sapere, e un solo male, l’ignoranza”. Ma oggi come oggi, il sapere si è così ampliato, in parte certo inutilmente per conoscenze inutili o dannose, che anche l’ignoranza ha subito la stessa sorte. Non si è più semplicemente ignoranti, ma si è fuori dal gioco tagliati nel proseguire, fermati anche verso il raggiungibile, figuriamoci nel tentare l’irraggiungibile. La troppa conoscen- za sta creando problemi su problemi, che richiedono altre conoscenze, col risultato di creare una confusione tale che ferma la vera conoscenza, quella che dovrebbe permetterci di vivere la nostra vita senza troppi affanni, senza troppe fermate, senza troppi timori, ma con più certezze e maggiore serenità. Arrivati a questo punto, facciamo una bella risata con G.B.Shaw: “L’uomo ragionevole si adatta al mondo. Quello irragionevole persiste nel cercare di far adattare il mondo a se stesso. Quindi, il progresso, qualunque esso sia, dipende dall’uomo irragionevole”. Anche se abbiamo riso di fronte a questa irrazionalità, dobbiamo in tanti casi dare ragione a G.B.Shaw, che con i suoi aforismi azzecca la verità: infatti sembra un paradosso, eppure è vero che i nostri errori sono sovente la nostra guida, almeno quando li riconosciamo come tali. Il genere umano si distingue in tre categorie: “Quelli che fanno accadere le cose; quelli che guardano le cose accadere; quelli che non sanno cosa accade”. Soltanto per i primi si pone il problema del raggiungibile. I secondi accettano quello che accade. I terzi vivono nel nulla, non rendendosi conto del perché delle cose, come per coloro che mentre fanno jogging, corrono, corrono per non andare da nessuna parte. Volete anche sapere perché è sempre più difficile raggiungere il raggiungibile? Perché come ha detto Mafalda, la geniale bambina dei fumetti ideata da Quino: “A questo mondo c’è sempre più gente e meno persone”. Ma, non bisogna mai disperare perché: “Finché sogni, c’è sempre una via d’uscita”. - 35 - PASSATO, PRESENTE, FUTURO di Baldassarre TURCO (Genova) Non so che dire. Si vive il mattino con l’anima sospesa, anzi talvolta ancora addormentati o ci si bea dei sogni d’oro fatti lungo il sonno. E volano quelle ore in un momento. Son state belle? Chi lo sa. Può darsi. Non ci si bada allora, tutti intenti all’avventura del giorno presente o al gioco al nascondino dell’amore o al gioco dell’azzardo della vita. Nel tardo pomeriggio ci si ferma. Si nota, ahimé, che ben presto la sera ci verrà addosso piena d’ombre oscure e misteriose, a volte senza stelle o con le stelle mute e silenziose. In quel presente che più non ci incanta, ci si rifugia nel passato e spesso ci appare bello al confronto. Forse si tratta, ahimé, soltanto d’illusione; ma che ci aiuta a vincere la notte. I l S alotto degli A utori NARRATIVA Down o no di Rosanna Balocco Bassetti (Savona) Margherita tornò a casa con la morte nel cuore. Pensava a come era trepidante, quella mattina, ancora nell’attesa dell’ecografia che le avrebbe probabilmente svelato se quell’esserino che cominciava a sentir muovere da pochi giorni dentro di lei, era un maschietto od una femminuccia. Aveva cercato di convincersi che in ogni caso sarebbe stata la stessa cosa e non aveva il coraggio di confessarsi che, se avesse saputo di attendere un bambino, sarebbe stata più contenta. Aveva quasi paura di quel pensiero che ogni tanto si affacciava alla mente e che ogni volta scacciava con stizza. Non poteva permettersi preferenze, non dopo tutti quegli anni d’attesa e dopo tutti quei tentativi finiti in nulla; non dopo tutte le delusioni patite. Il responso dell’ecografia aveva esaudito la sua speranza: «E’ senza dubbio un maschietto» aveva detto il ginecologo «però…» Quel “però” era rimasto sospeso nell’aria, quasi come una spada sopra la sua testa. Non le pareva di pensare ad altro mentre il dottore le consigliava l’amniocentesi. «Magari è solo un’impressione, un mio errore, ma certe misure non sono proprio… corrispondenti, ecco. Le consiglierei quest’esame. Oltretutto, alla sua età è gratuito.» Era stato gentile. Aveva detto “misure non corrispondenti” anziché anormali, ma lei aveva capito. Era uscita assicurando che avrebbe telefonato e preso l’appuntamento. Adesso pensava al ritorno di Piero e a come gliel’avrebbe comunicato, perché lei lo sentiva che il suo bambino non era normale. Se ne era accorta prima che il ginecologo si pronunciasse. Bene, avrebbe fatto l’amniocentesi e poi? Forse Piero non sarebbe stato d’accordo, magari avrebbe rifiutato quell’esame. Le avrebbe detto: «Sia come sia. E’ nostro figlio e lo terremo!» E lei avrebbe subito accettato perché voleva questo bambino, che fosse down o no. Invece Piero, dopo il primo momento di delusione e di smarrimento, disse subito che l’amniocentesi andava fatta, che era necessario sapere. «E poi?» chiese Margherita col fiato sospeso. «Poi vedremo.» fu la secca risposta. *** Dopo l’esame, l’attesa per Margherita diventava ogni giorno più estenuante. Sapeva già il responso; lo sentiva. Aveva capito che non sarebbe stata così fortunata da sentirsi dire - perché le avevano promesso di telefonarle - che si trattava di un maschio sano. Ciò che la preoccupava maggiormente era la reazione di Piero di fronte a quella scelta: tenere ugualmente il bambino oppure decidere di abortire e buttarlo via così, come fosse stato spazzatura. La tanto attesa risposta giunse per posta. Non si erano sentiti di dirglielo a voce che il suo bambino, quell’esserino che ora muoveva nella sua pancia e le tirava calci a più non posso, era un bambino down. Margherita pianse tutte le sue lacrime e non perchè non si aspettasse quella notizia, ma perché sapeva già cosa le avrebbe chiesto Piero. E sapeva anche che mai sarebbe riuscita a convincerlo del contrario. Lui era fatto così: era buo- no, gentile, tenero, onesto, ma aborriva le imperfezioni. Non avrebbe mai accettato un figlio “anormale”. Margherita ascoltò tutte le argomentazioni del marito con rassegnazione e senza replicare, disse solo: «Domani telefono per prendere l’appuntamento per l’aborto.» Lo disse così, in modo piatto e senza inflessione alcuna, come se avesse annunciato che sarebbe andata al cinema. *** Solo pochi giorni la separavano da quello fatidico in cui avrebbe dovuto dire addio al suo bimbo e Margherita s’inventava occupazioni diverse per cercare di non pensare. Quando non aveva più nulla da fare in casa, leggeva e vedeva la TV. Quella mattina girò casualmente su un canale che non seguiva quasi mai, perché trasmetteva prevalentemente televendite. Invece, proprio quella mattina, vi era una trasmissione diversa. Vi si soffermò per pura curiosità e, quando vide chi erano gli ospiti e capì di che trasmissione si trattava, fu tentata di cambiare subito canale. Poi decise che era stupido nascondere la testa nella sabbia come gli struzzi. Ascoltò sempre più interessata le argomentazioni di genitori di ragazzi nati con la sindrome di down. Il programma era così coinvolgente che decise di registrarlo. Si argomentava sul possibile recupero dei ragazzi, sui loro progressi, sulle loro capacità di apprendimento. Infine il presentatore cominciò ad intervistare i giovani down. Qualcuno rispondeva con fatica, altri riuscivano a reggere il discorso e a rispondere a tono. Arianna parlò per ultima. Esordì con una dichiarazione che pareva avere dell’incredibile: dichiarò di essere una ragazza felice e, alla richiesta del presentatore di spiegare questa sua felicità nonostante l’handicap che l’aveva colpita, rispose di aver avuto la fortuna di essere figlia di due genitori intelligenti, che avevano creduto il lei e nelle sue capacità, che l’avevano aiutata standole vicini ma soprattutto donandole tutto l’amore di cui erano capaci. Arianna disse di aver terminato gli studi superiori ed aver conseguito il diploma magistrale e, infine, di aver trovato un’occupazione presso la biblioteca civica della sua città. «Chi è più fortunato di me?» concluse, fra gli applausi del pubblico e le calde lacrime di Margherita. Attese l’arrivo di Piero sempre più trepidante. Il marito giunse con la solita faccia scura che aveva messo su da quando aveva saputo del bambino. «Devo farti vedere un programma televisivo che ho registrato stamattina, ma vorrei che tu lo seguissi fino alla fine, con pazienza, senza parlare o interromperti. Dopo ne discuteremo solo se vorrai. Se deciderai di non fare commenti, accetterò la tua decisione. Vuoi farmi questo regalo?» Con un senso di angoscia, anche se a malincuore, Piero decise di accettare. Visionò la cassetta senza dire una parola, come lei gli aveva chiesto, e senza mostrare alcun turbamento, mentre sua moglie sentiva il cuore batterle sempre più forte in petto. Sperava in un miracolo, lo sapeva. Quando il programma finì, Piero si prese il viso fra le mani e rimase seduto fermo sul divano per un tempo interminabile. Lei sapeva che suo marito era giunto ad un bivio: aveva due strade dinanzi a sé e doveva decidere quale fosse quella giusta. Rimase immobile così a lungo che Margherita stava per andarsene, quando lui la fermò prendendole la mano: «Se sapessimo che diventerà così…» iniziò. «Dipenderà da noi.» Rispose lei. «E… e se non diventasse, voglio dire, se non fosse…» «Tesoro» lo interruppe la moglie, abbracciandolo «sarà quel - 36 - E state 2008 che Dio vorrà! Non possiamo sapere, dobbiamo solo tentare, se… lo vuoi anche tu» «Tu lo vorresti vero?» «Sì. Sì, lo vorrei questo bambino che è cresciuto dentro di me, che sento muovere ogni giorno, vitale, come tutti gli altri bambini. Se questo è il mio destino, io l’ho già accettato, Piero.» Il marito la osservò a lungo, poi prese il suo viso fra le mani e le posò un leggero bacio sulle labbra. «Vieni» la fece alzare e la condusse vicino al telefono. Compose il numero e disse: «Vorrei disdire un appuntamento…» Un manovale ad hoc di Guido Bava (Biella) Restiamo nel cantiere di Via Monte di Pietà per descrivere personaggi che ne hanno fatto la storia, mi hanno arricchito di emozioni, mi hanno aiutato insegnandomi segrete malizie da impiegarsi nel nostro genere di lavoro. Certo che la ripresa delle cornici barocche dei soffitti del piano direzione non sarebbe stata una cosa facile, ci voleva uno che lo sapesse fare, che sapesse prepararsi le sagome e fosse così attentamente delicato da rispettare il resto degli arredi ancorché abbastanza ben protetto. Ci voleva uno stuccatore come era stato, a suo tempo, Cagliero che aveva lavorato con l’Ing. Lange e con me tante volte prima di affrontare gli stucchi del Caffè San Carlo. Dovetti arrangiarmi chiedendo uno stuccatore capace all’impresario e, proprio a lui venne in mente un vecchio artista dello stucco al quale, in pensione nella sua casa di San Mauro, avrebbe provato a rivolgersi.. Riuscì a convincerlo e mi fece mille raccomandazioni sul come comportarmi nei suoi riguardi perché “a l’e an poch sufflìn” , promisi e il signor Giacùn arrivò in cantiere di buon’ora attendendo nervosamente il mio arrivo. Appena sorpassata la guardiola fui fermato dalla guardia di turno che, ridendo, mi annunciò che ero atteso da una persona che già si era lamentata del mio ritardo. In mezzo al cortile, appoggiato al bancone del ferraiolo, stava un omone “in carne” in salopette chiara su una maglia marrone, portava in testa un basco grigio e teneva in mano una cazzuola che ora stava agitando verso di me. “ Signor Giacone ! “ dissi dirigendomi verso di lui con la mano tesa e rimasi di sasso alla sua risposta: “ l Signor a l’e an cel e nui suma sì che spetoma…..” Adottai anch’io il dialetto : “Ch’a scusa ma, mè orari a l’e col dla banca …., anlora andoma dzora” e mi avviai con lui al seguito. Giunti nei locali dove avrebbe dovuto operare, alzò appena gli occhi poi sentenziò : “ Travai facil per un parei ed mi, ma longh per la difficoltà da fè ij pont …….ma, col lì, a l’e ‘n problema so … “ e rise. Il modo di fare di quell’elemento stava dandomi fastidio quindi tagliai corto : “ Adess ij mando al cap con ij carpentiè., ch’a disa a lor lon ch’a l’an da fé.” Scesi in cortile e passai la patata bollente al capo operaio con un sorrisetto ironico: “ Adess, Bola, ch’a vada an poch chiel a divertise con monsù Giacùn, mi vado a piè an cafè” .. e, allontanandomi udii un mormorato : “A sarìja mej na canamìa …….” Stavo terminando il giro dei lavori in corso quando, attraversando il cortile, incontrai un Bolla particolarmente nervoso che stava minacciando di andarsene dal cantiere: “O chiel, o mi” borbottava e, da ciò compresi che l’incontro con lo stuccatore era stato peggiore del mio. “ Cosa a jje ? “ gli chiesi ridendo, “a ije che col lì a l’e mat, adess a veul che mi ij presenta tuti i manovaj per serne el mej …”. Riuscii a rappacificarlo e anche a farlo ridere e ridevamo ancora quando, con la solita cazzuola pendente in mano, ci raggiunse lo stuccatore. Lo affrontai decisamente : “anlora ij l’aj sentì ch’a l’a decidu da lasène, peccato però perché costì a l’e an cantiè alegher andòa as travaja, ma as ne tuti amis e gnun a fa peisè gradi e importansa…, gnanca l’ingegnè. Ij manovaj a son tuti bravi fieui ad bon comand e a son tuti ocupà meno un quindi, se chiel a peul rangesse con cul lì, bin se ‘d no, ch’a vada pura…….” Ci fu un attimo di silenzio durante il quale il capo operaio mi guardava preoccupato , io cercavo di mantenere un fare sereno e deciso e lo stuccatore se ne stava immobile a fissarmi . Poi mi rivolsi a Bolla e gli chiesi di chiamare Sinatra, cosa che egli fece immediatamente. Ci raggiunse il manovale siciliano lontanissimo parente del cantante americano, un uomo gentile e sempre sorridente con baffetti scuri sul viso abbronzato da uomo del sud. Era nato contadino diventando manovale a Torino dove sperava di mettersi a posto definitivamente, era obbediente e si adattava a tutte le incombenze del cantiere senza discutere ed io ero sicuro che, se il diavolo non ci avesse messo la coda, sarebbe riuscito gradito anche al capriccioso stuccatore. Li presentai dicendo chiaramente a quest’ultimo “ Questo o nessun altro, Sinatra non ha mai visto gesso e scagliola, sta a te insegnargli tutto senza fartelo scappare “, e congedai ambedue poi trattenni Bolla : “ Piasute el mè discors ? “ “A l’e stait fantastic e Giacùn sensa parole. lon a l’e stait el mej !”… Diplomazia, decisione, chissà ma, dopo una settimana Giacùn e Sinatra erano una coppia indivisibile che portò a termine il lavoro degli stucchi in modo perfetto e poi si dedicò anche ad altri lavori meno nobili come la platriatura di pareti e soffitti ed era uno spettacolo il vederli apparire, all’ora del pranzo, con i vestiti e le parti di pelle scoperte completamente bianchi ma. soprattutto, sorridenti. Passò il tempo, il lavoro terminò e gli operai si dispersero poi, un giorno, incontrai Sinatra per via, un uomo diverso dall’operaio di anni prima che mi annunciò trionfante che si era comprato un alloggio e aveva fatto il platrio alle pareti e ornamenti di stucco ai soffitti, Aveva avuto da Giacone in regalo i ferri del mestiere che aveva intrapreso lui stesso grazie a quanto lui gli aveva insegnato e alla mia decisione di accoppiarli, quel giorno di tanti anni prima. Quattro donne di Franco Calandrini -Breve raccolta di racconti Perché il tempo è poco, e l’acqua si sta alzando (Raymond Carver) IO NON SONO COMPETITIVA Non sono una donna competitiva, non lo sono mai stata. Ma neanche remissiva. E non mi piace nemmeno perdere a priori. Mi soddisfa però essere sconfitta da un degno antagonista. Voglio lasciare il campo di battaglia vinta sì, ma con onore. Voglio avere, di qualsiasi cosa si tratti, la possibilità di confrontarmi con qualcuno che reputo degno del mio rispetto e magari, se serve, lasciarlo anche vincere; anche là dove potrei avere notevoli probabilità di vittoria. Come nel sesso, ad esempio. Avendo già passato la trentina ed avendo iniziato a praticarlo - 37 - I l S alotto degli A utori molto presto, come è facile immaginare, mi è capitato un po’ di Ogni estate inizio Le Onde di Virginia Woolf - sono ormai cintutto (come a tutte, credo): ragazzi che pensavano di essere dei que estati consecutive - o Berlin Alexanderplaz, o l’ Ulisse, e tori da monta che crollavano dopo il secondo orgasmo, altri addirittura, quando proprio voglio farmi del male, La ricerca eiaculatori precoci che non facevano neppure in tempo a sfilar- del tempo perduto. Mi piace essere sconfitta da giganti simili, mi il body ed erano già venuti, altri a cui non avresti invece mi fa pensare alla vastità della mente umana e a quanto siamo magari dato un euro che si rivelavano amanti perfetti. ridicoli quando ci mettiamo in competizione col mondo; solo Ora, dovete capire che, a una donna di 30 anni, per far che poi, arrivare a pensare che l’unica competizione che puoi pensare ad un uomo che è un vero stallone o un inetto, basta vincere, la puoi vincere solo se trovi qualcuno più debole di davvero poco. Ed è per questo che quando trovo un uomo che te, non dà poi così tanta soddisfazione. amo, che amo davvero, faccio di tutto perché lui si senta - Comunque intanto sentite questo: realmente - un “vero uomo”. E m’impegno talmente tanto da “Parte Prima: una specie d’introduzione (giro pagina) 1. Dal crederci anch’io, e finisce addirittura che, da donna frigida quale quale, eccezionalmente, non si ricava nulla. (vado a capo). posso sembrare ad uno che mi cavalca per ore senza farmi Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione venire, divento multiorgasmica; e vengo, vengo a ripetizione, orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e finché alla fine quasi svengo. non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo E l’uomo che amo si sente un vero uomo. spostandosi verso nord. Le isoterme e le isotere si comportaChiusa la parentesi sessuale, che era solo per attirare la vostra vano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto norattenzione, passo ad elaborare il concetto iniziale. male con la temperatura media annua, con la temperatura del Non sono una donna competitiva, dicevo, ma neanche remis- mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con siva. l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare Quando ho iniziato a scrivere ero certa che avrei scritto qual- del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello cosa che avrebbe lasciato una traccia importante. di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano Avevo appena vent’ anni, ma mi sentivo già in buona compa- conformi alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore gnia. A ventuno anni Brecht riscriveva per la quarta volta il acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atquinto atto di Tamburi nella notte, Bob Dylan consegnava alla mosferica era scarsa. Insomma, con una frase che, quantunstoria Blowin’ in the wind e Like a rolling stone, Mozart a que un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella quell’età ormai aveva cambiato in modo irreversibile il flusso giornata d’agosto dell’anno 1913". della musica. Adesso toccava a me, ma sentivo che dovevo fare in fretta, che avevo poco tempo, non so nemmeno io perché. Questo era l’inizio - solo l’inizio - de L’uomo senza qualità di E’ pur vero che Luchino Visconti rinnovava il cinema italiano a Robert Musil. quarant’anni e passa, Alfieri riusciva a far sentire il suo urlo Ora ditemi voi se questo non è un (altro) genio! solo qualche anno prima, De Sica raggiungeva la propria con- Cosa si può fare se non accettare una sconfitta definitiva? sacrazione come attore ormai in piena senilità; ma quella era Scrivo ancora ovviamente - non saprei fare altro -, ma niente più romanzi; qualche racconto si, qualche poesia, qualche sagtutta gente di cui, in ogni caso, non avevo alcuna stima. Prestissimo avevo iniziato a vincere premi letterari e già per gio, ma soprattutto faccio con grande piacere traduzioni di me si prefigurava un futuro ricco di successi. Non avevo com- altri autori e devo dire che sono diventata talmente brava che piuto ancora 24 anni che già il mio primo romanzo era stato adesso anche gli editori più importanti mi cercano quando venduto oltre ogni aspettativa e tradotto in tre lingue. Mi rieditano qualche grande classico. invitavano ovunque, mi facevano parlare e mi chiedevano pa- Pensate che questa credibilità me la sono guadagnata quando reri su ogni cosa, mi presentavano persone veramente famose il mio editore, dopo avermi rifiutato la pubblicazione dell’ennesimo romanzo (assai mediocre, e di questo gliene sono ane interessanti, e anche di realmente interessanti. che grata) mi mise alla prova, quasi per scherzo, chiedendomi Questo per un paio d’anni. Poi, il nulla, sempre meno cose da dire, sempre meno inviti da di tradurre un brano di Mrs. Dalloway (in realtà una frase, una rifiutare cortesemente, nessun’altra storia meritevole di essere sola frase). raccontata; un aridimento totale e che, ora lo posso dire ma Dei romanzi di Virginia Woolf esistevano già traduzioni stupende ma lui era convinto che io avrei potuto fare di meglio. allora mi sembrava impossibile, si rivelò definitivo. Adesso avevo altri compagni, come John Osborne di Ricorda Non so perché, ma comunque dubito che il fatto che io l’abbia con Rabbia, Philip Ridley con Riflessi sulla pelle o Marcel fatto sentire un vero uomo abbia potuto condizionare la sua Montecino con La grande occasione, e dovevo farmene una scelta; non sono certo io il tipo di donna che va a letto con qualcuno, meno che mai con il proprio editore, per garantirsi ragione. Ciclicamente, quasi un paio di volte l’anno, torno all’idea del qualche vantaggio. No, di lui mi ero quasi innamorata e se avegrande romanzo. A volte ho tutto in testa: gli ambienti, i per- te ben letto la parte precedente, capite di cosa sto parlando. sonaggi, la struttura, ho tanti inizi e tanti finali meravigliosi, Il libro, come ho già detto, era Mrs. Dalloway e la frase era tutto insomma, ma alla fine mi arrendo e non so nemmeno più quella del celeberrimo incipit: “La signora Dalloway disse che perché - non so più perché ci provo e non so più perché mi avrebbe comprato lei i fiori”/ “La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei.”/ “La signora Dalloway disse arrendo. C’è da dire che questo periodo di aridità mi aveva lasciato molto che i fiori sarebbe andata a comprarli lei.” tempo per leggere - anche se poi leggendo i capolavori del Inutile dire che la mia traduzione si rivelò la migliore (e adesso passato, neanche tanto remoto, mi deprimevo ancora di più. sta a voi scoprire quale sia - perché io non sono una donna Ma va bene, va bene così, mi dico. Ci sono infatti molti libri, al competitiva!!) e che da allora ho trovato un nuovo lavoro. Un pari degli amanti di cui sopra, da cui mi piace essere sconfitta; lavoro magnifico direi, che mi mette in competizione con altri traduttori - ma questo è il minimo e l’ho messo in conto - ma menti supreme che mi lasciano spossata, vinta e disorientata. - 38 - E state 2008 mi solleva dall’imbarazzo di dover confrontare i miei sempre più miseri tentativi letterari con i grandi capolavori della letteratura. Per tornare al discorso uomini, qui invece col tempo ho imparato a mediare; perché quando ti rendi conto di quello che sei, di quello che sei diventata e ti accorgi di avere nei loro confronti un vantaggio schiacciante, se non hai più rispetto di te stessa, che rispetto potresti mai avere per un tuo subalterno? E allora da quel momento, per potere accettare il fatto che il tuo uomo valga qualcosa, spesso devi imparare a fingere, soprattutto con te stessa, devi dirti che invece quello è un uomo speciale, che sei stata fortunata e che sei tu che ti devi ridimensionare. E così passano gli anni e tu ti accontenti di quello che capita, traducendo libri magnifici, scrivendo saggi e poesie, sognando la seconda occasione e aspettando un amore decente. L’incidente di Grazia Fassio Surace (Moncalieri) “C’è una casa ferma in cima alla collina. Ha mattoni rossi, le finestre piccole, e un cortile aperto sulla valle. Crescono il verde, e i fiori, i pensieri d’infanzia, le lontane attese, e gli amori, e il babbo stanco si aggira a coltivarli.” Agosto di nuovo in collina. Ma mio padre pare assente, stanco, triste, tormentato da problemi di cui non vuole parlare. Se mi avvicino per abbracciarlo fa un sorriso distratto, compiacente, e ricambia appena l’abbraccio. Se lo chiamo “papalotto” il suo “bella gioia” di rimando è strappato, non sentito col cuore. Non sta ai giochi, agli scherzi che ci hanno da sempre legato come allegri complici. Non riesco a riconoscerlo. Penso persino che non mi ami più, perché non prende l’iniziativa per una carezza, un abbraccio, una confidenza, e sembra subire i miei approcci. Non s’incontra neanche con gli amici. La nostra casa d’improvviso è diventata vuota e triste, e mio padre vecchio di cent’anni. La mamma, da sempre l’ombra felice del babbo, è ora un’ombra mesta, disorientata, che, come me, non capisce che cosa sia successo. Se gli domandiamo che cosa ha, lui dice nulla, e sfugge il dialogo. Un giorno che mangiamo sotto il pergolato guardando la valle macchiata dal bianco di un piccolo cimitero in fondo al pendìo, dice: “Quando sarò morto, non ci sarà bisogno del funerale, datemi una spinta e arriverò a destinazione”. Lo esclama in dialetto, come una battuta, e ride, per farci capire che sta scherzando. Ma non riesco più a sognare. Né ad essere felice. Sento un gelo al cuore. Ho brutti presentimenti. Sono i primi di settembre. Siamo di nuovo a Torino. Questa volta il babbo mi abbraccia e bacia, e mi dice due o tre volte “bella gioia”. Sono lieta che mi dimostri ancora il suo affetto, ma non posso fare a meno di domandargli: “Vuoi fuggire lontano che mi dai tanti baci?” Sta uscendo per andare al lavoro. “La mia sciocchina” esclama, ridendo. E’ ritornato ad essere il mio papà. Sono felice. Sono ancora felice un paio di ore dopo, quando odo squillare il telefono. Ho dimenticato la tristezza e i presentimenti che mi hanno accompagnata per un mese intero. Sto curando le piante sul terrazzino. Ali bianche di nubi dipingono un cielo azzurro lacca. Penso ad un ragazzo che ha appena telefonato. Mille sogni allegri mi frullano in testa. “Pronto” “Chi parla?” La voce dell’uomo è triste e compassata. Dico il cognome e poi “Ma chi è?” La voce è sempre triste, raggelante. “Vorrei parlare con la signora”. “La mamma non c’è. E’ uscita per la spesa. Può dire a me?” “E’ il pronto soccorso dell’Ospedale Molinette”. Fa una pausa in cui mi sembra che deglutisca per prendere tempo. Poi dice il nome del babbo chiedendomi “E’ suo padre?” Mentre sto tremando, riesco a dire “Sì”. “Ha una Giulietta targata TO…” “Sì. Ma che cosa è successo?” “Ha avuto un incidente…” Come faccio a non svenire? “Ma come è accaduto? E’ grave?” “E’ uscito di strada con l’auto. E’ molto grave. Venite subito”. Poso il ricevitore e scappo pensando a mio padre che sta soffrendo e forse morendo e a come dirlo a mia madre che troverò a fare spesa dal verduriere all’angolo. I mostri nel giardino di Gianfranco Gremo (San Gillio - To) Per il poliziotto che da quattro ore piantonava quella stanza d’ospedale era arrivata l’ora del cambio. La consegna era di stare nel corridoio davanti alla porta aperta della stanza n. 7 e non farvi entrare nessuno tranne, ovviamente, i medici e le infermiere assegnati a quel paziente. La stanza era occupata da lui solo, si trattava a tutti gli effetti di un vero e proprio prigioniero. Il magistrato aveva stabilito di tenerlo sotto custodia in quanto era accusato di molestie ad una minorenne. La precauzione di tenerlo sotto controllo era una mera formalità, quell’uomo era stato riempito di botte, quasi linciato da una folla inferocita. Era stato salvato in extremis da due vigili urbani e da una pattuglia di poliziotti. In quelle condizioni, anche lo avesse voluto, non sarebbe stato in grado di fuggire dall’ospedale. In fondo al corridoio apparve il collega destinato a dare il cambio. - È dura, eh? - disse quello montante. - Almeno qui non c’è da patire il freddo. A me l’ospedale, tutto questo bianco, mi mette sonno, fatico a tenere gli occhi aperti. Non è stanchezza, è monotonia, noia - rispose l’altro. - 39 - I l S alotto degli A utori - Di che si tratta stavolta? - Un brutto caso, di quelli sporchi. Pare che ‘sto tizio abbia cercato di allungare le mani su una bimba di otto o nove anni, non so l’età precisa. - Perché è in ospedale? - incalzò l’altro. - Quando la madre si è accorta delle molestie si è messa ad urlare e subito un gruppo di persone, richiamate dagli strilli, si sono avventate sul porco. Botte da orbi. - Quindi adesso è lì dentro a disposizione del giudice? - Sì, ma il dottore ha detto che devono operarlo, pare sia conciato male. - Ben gli sta. Riesco ancora a capire un ladro che magari ha fame. Ma questi zozzoni…. - sentenziò il poliziotto salutando il collega dopo aver preso le consegne. Nella sala dove si radunavano le infermiere prima di prendere servizio l’argomento era quello. Del resto era accaduto di fresco. Quando si trattava di pedofili e guardoni gli animi erano più accesi del solito. L’infermiera più anziana si era presa l’incombenza di narrare alle giovani gli eventi. Intorno a lei il silenzio era totale, nessuna avrebbe osato interrompere il flusso delle sue parole. re perché è conciato male. Non auguro la morte a nessuno, ma se quello resta sotto i ferri certo non piangerò. Le infermiere annuirono, chi per convinzione chi per convenienza. Alla “capa” è sempre meglio dare ragione. Nella stanza n. 7 Antonio non riusciva a convogliare i suoi pensieri in uno schema che avesse una qualche logica. Tra i calmanti che gli avevano somministrato ed il torpore conseguente alle botte prese faceva fatica a connettere. Cercò di raccogliere le idee, di ricostruire gli ultimi eventi. Ma la sua mente non riusciva a fermarsi al giorno precedente, andava molto più indietro nel tempo. Ad un tempo ben più doloroso di questo. Perché ieri erano state botte fisiche e facevano certo male ma mai come le ferite inferte all’anima. I suoi ricordi fecero un balzo di tre anni e si soffermarono dolorosamente a quando la moglie gli aveva detto che tra di loro era finita e che non ne voleva più sapere di lui. Roberta era determinata ed aveva subito iniziato le pratiche per la separazione. Suo scopo primario era quello di sottrargli la figlia Germana di cinque anni. La voleva allontanare da un uomo, a suo dire, inaffidabile, pericoloso, incapace di amare e educare la figlia. Era pura cattiveria la sua, era evidente che padre e figlia erano molto uniti. Il volerli separare rappresentava una gratuita crudeltà. - Come sapete - esordì - da tempo correva voce che nei giardi- Ma come spesso accade, il giudice, donna, sentenziò che le ni di Via Verdi si aggiravano strani individui. Barba lunga, responsabilità erano primariamente del padre, stabilì la somma malvestiti, dei mezzi barboni. Si dice che attirino le bambine mensile da corrispondere per il sostentamento di madre e fioffrendo loro caramelle, poi cerchino di toccarle, addirittura di glia. Stabilì infine il diritto del padre di vedere la figlia una volta baciarle. Le mamme sono in apprensione e cercano di non per- la settimana a giorno fisso per un pomeriggio. dere di vista le figlie. La polizia, anche in borghese, organizza Antonio accolse con disperazione la sentenza ma si aggrappò a degli appostamenti. quelle poche ore a sua disposizione. Nonostante risultasse eviDopo le premesse, il racconto proseguì. dente la sofferenza di Germana, la madre volle incrudelire ulte- Ieri pomeriggio una madre si era distratta un attimo e la figlia riormente il tutto. Decise, dopo qualche mese, di trasferirsi con di sette anni le era sparita da sotto gli occhi. Forse si era tratta- la figlia ad ottocento chilometri di distanza, al sud, presso dei to di più di un attimo ma queste distrazioni si pagano care. parenti. Il clima era migliore, diceva, avrebbe giovato alla saluAffannosamente si era messa a cercare tra gli alberi e le siepi te della piccola. In realtà non era che un pretesto per allontacon nient’altro in mente che quel vestitino rosa. I giardini era- narla dal padre. no affollati, difficile individuare la figlia in mezzo a quella con- Divenne così sempre più difficile per Antonio vedere la figlia. Il fusione. Un tuffo al cuore. In lontananza aveva scorto un’om- viaggio era lungo e costoso e lui non se lo poteva permettere bra rosa seduta su una panchina in fondo al parco. Un altro che una volta al mese. Il suo stipendio era pesantemente tuffo al cuore più angoscioso del primo: accanto ad Ornella, decurtato dall’assegno che mensilmente doveva versare all’ex seduto vicino a lei, troppo vicino, un uomo dimesso e trasan- moglie. dato. Si avvicinava sempre di più alla figlia, la toccava, sì, la Così Antonio si lasciò andare. Tra la disperazione ed i ridotti toccava! Un urlo le scaturì dalla gola, si precipitò verso la pan- introiti divenne sempre meno curato nella persona: barba lunchina e si mise a gridare aiuto per richiamare la folla. ga, abiti stazzonati. Quando partiva per vedere la figlia, guarQui l’infermiera prese fiato, si guardò intorno per verificare dandosi allo specchio, quasi si vergognava. l’effetto delle sue parole sull’uditorio, e proseguì. I pensieri rivolti al passato si interruppero e si fiondarono bru- Nello spazio di qualche secondo, attirati dalle urla, erano scamente al giorno precedente: così poche ore erano trascoraccorsi in molti e mentre lei si precipitava a strappare la figlia se? Non riusciva a focalizzare la mente sull’entità del tempo dalle grinfie del porco un gruppo di persone circondavano la che scorreva. Si sforzò a concentrarsi sugli eventi del giorno panchina e cominciavano a picchiare sistematicamente prima. l’individuo che, a questo punto, cercava di ripararsi dalla Sì, era al parco, ai giardinetti di Via Verdi, e vagabondava come gragnola di colpi rannicchiandosi sulla panchina. Partecipavano al solito per cercare un po’ di conforto all’ansia che lo accomal pestaggio due in tuta da jogging, un pensionato, tre madri pagnava come un’ombra. Sapeva bene cosa l’avrebbe conforinfuriate, un gelataio ed un venditore di palloncini che con una tato, stare in compagnia della figlia, lì, al parco e comprarle un mano li teneva saldamente in pugno, con l’altra menava gelato, o i palloncini dalle buffe sagome e contare con lei i all’impazzata. Il provvidenziale intervento di due vigili urbani e pesciolini rossi nella vasca della fontana principale. Gli tornò di una pattuglia di poliziotti aveva sottratto il malcapitato alla alla mente, vagando nel giardino, quel vestitino rosa che aveva furia popolare. Qualche minuto ancora ed il linciaggio avrebbe regalato alla figlia l’anno prima. Aveva preteso che la madre ottenuto l’esito auspicato, ammazzare di botte il guardone da glielo facesse indossare tutte le volte che la bimba si fosse intempo ricercato. contrata con lui. Era successo una volta soltanto, l’ex moglie L’infermiera riprese fiato, si guardò ancora una volta intorno era stata capace di mettere in atto queste meschine cattiverie con soddisfazione: tutte stavano a bocca aperta ad ascoltarla. pur di frustrarlo ed umiliarlo. - Adesso il porco è nella stanza n. 7, presto lo dovranno opera- C’era una bimba seduta là, sulla panchina, bionda e vestita di - 40 - E state 2008 rosa. Germana! Sì, era lei. No, non poteva essere, la bimba era centinaia di chilometri lontana… Si avvicinò cercando di rassettarsi e le chiese se poteva sedersi lì. Innocentemente la bimbetta disse di sì, non aveva ragione di temere quel signore, anche se la mamma le aveva detto di stare attenta agli sconosciuti. Scambiarono qualche parola, fu lei a chiedergli il nome e lui fece altrettanto. Antonio stava discosto da lei, gli bastava poter stare ad un metro da una bimbetta che gli ricordava Germana. Non aveva caramelle con sé, né intendeva avvicinarsi a lei più di tanto. Gli bastava ammirare la sua figurina aggraziata e sentirla parlare con la sua vocina che voleva apparire quella di un’adulta. Improvvisamente si levò un grido, laggiù, verso quella macchia di alberi. Una donna urlava parole a lui incomprensibili. Restò come pietrificato. In un baleno gli furono addosso in tanti, lo circondarono: chi lo teneva, chi lo picchiava. Si rannicchiò nell’incavo della panchina. Vide la bimbetta in braccio ad una donna urlante, isterica. Poi tutto gli precipitò addosso. Il piantone di guardia alla porta della stanza n. 7 si fece da parte. Una barella, due infermieri ed un medico si infilarono nella stanza. - Sala operatoria, urgente. Il poliziotto captò solo queste poche parole. Per ora il suo compito era finito. Avrebbe atteso disposizioni. L’uomo fu depositato sulla barella, cercò di dire qualcosa ma si accorse che, mentre il pensiero era vivido, le parole erano confinate in fondo alla gola. Come in un sogno i suoi occhi seguivano il tragitto nei corridoi, nell’ascensore. E mentre questo scendeva lui ebbe la sensazione di salire. Salire. Salire dove? Verso cosa? Che strano, se si sale ci si avvicina alla luce, pensò. Cos’è allora questo buio? Cos’è questo buio? Buio profondo, tenebra…. Ed ora, ed ora…. Cos’è questa luce? tengo io.» Da allora in poi, la signorina in questione, dal nome dolcissimo Graziella, ma in netto contrasto con il temperamento burbero, aggressivo e vendicativo si proponeva di non affidare alcuna recita scolastica alla piccola “Giugia”. Dovete sapere, che in quei tempi la figura dell’insegnate di scuola materna era molto autorevole; se le maestre avevano l’autorità di insegnare la buona educazione ai fanciulli, a saper leggere e scrivere, alla maestra d’asilo competevano tutte le attività manuali e ricreative dei bimbi, anche di quelli che frequentavano le elementari. Al vertice della gerarchia scolastica, nella scuola della mia infanzia, era un direttore residente nella scuola del paese; seguivano: due maestre che molto amabilmente, svolgevano la loro opera, una bidella e una cuoca che ci preparava deliziosi piattoni di patate e zucchine con il sugo. Per ben cinque anni, io Iginia, chiamata dai miei affettuosamente Giugia, non fui mai chiamata a partecipare alle recite scolastiche, che si tenevano ogni anno nel mese di maggio. Ogni anno, mi illudevo che la signorina Graziella si ravvedesse e mi chiamasse per recitare, perché la speranza, nel cuore di una bambina, è l’ultima a morire ed io ci tenevo a far sentire la mia voce, non so per qual motivo. Arrivò, pure, l’ultimo anno di scuola. Questa volta mi dicevo, G. dovrà farmi recitare: ella sa che sto soffrendo, che da parecchio tempo, anelo a far parte anch’io della compagnia dei piccoli attori. Confidavo, intanto a mia madre il mio disagio, la mia vergogna, la mia amarezza per non essere mai chiamata. Nell’ultimo anno mia madre che non sopportava più di vedermi silenziosa e sofferente, affrontò la signorina Graziella e così le disse: «Signorina, la mia bambina, non è poi, così timida, come lei pensa: per l’ultima volta, dia una particina non lasci che diventata grande, la mia figliola abbia un brutto ricor-do di lei.» La signorina guardò un attimo mia madre, poi sempre sfoggiando il suo grande sorriso le disse: «La bambina è timida, come io penso: comunque, le farò un piccolo esame e in base a quello deciderò se quest’anno è idonea per la recita.» (dall’autobiografia di Iginia “era il maggio odoroso”) Ebbene, quell’esame non fu mai fatto: era stato solo un’invenzione di Graziella ed io, Iginia, non fui mai un’attrice. Nel mese di maggio la scuola era tutta festosa perché si pensava al teatrino, che avrebbe avuto luogo a conclusione dell’anno Erano gli anni ’60 ed io, Iginia, avevo cinque anni. Un bel matscolastico; i maschietti mandavano in ferie il pallone, le tino, entrò dal cancelletto, percorse il vialetto fiorito e bussò femminucce fra le quali anch’io mandavamo in libertà la “palla alla casa dei miei genitori una donna, sui 45anni, in apparenza prigioniera”. simpatica: grande mole, colorito bruno, lo sguardo vivace, caEra, quindi il “maggio odoroso” per usare il verso di G.Leopardi, pelli sulle spalle, bocca molto larga e doppio mento, tutti elenella poesia “A Silvia”... E mentre la giovanissima Silvia, nei menti che in genere caratterizzano la figura bonacciona, semomenti di tregua, dal suo mal sottile, evitava la compagnia condo una impressione popolare, ma, a mio avviso, errata. Busdelle coetanee, non partecipando a quelle poche gioie che la sando, chiamò la mamma: «Signora Giseldi, apra, la signorinatura dona in genere ai ragazzi, così... na Graziella, sono!» La signora Giuseppina apriva di buon Una piccola Giugia, preferiva starsene in un luogo solitario del grado e faceva accomodare la donna che conosceva soltanto di giardino della scuola pur amando la scuola, pur amando la nome e per la professione che svolgeva: maestra d’asilo. materna maestra della propria classe, che nessuna voce in capiE veniamo al dunque, mia madre chiedeva a Graziella: «A che tolo, aveva però, riguardo alle attività ricreative. La piccola cosa devo la sua visita?» E quella facendo un enorme sorriso, Giugia non era affetta dal mal sottile, ma di un’incurabile marispondeva: «Vengo a raccoglier bambini, signora carissima: lattia che le avevano affibbiato: la timidezza. mi servono per formare un discreto numero di allievi.» Mia Durante le prove, Iginia rimaneva spesso nell’aula vuota: le madre rispondeva: «La mia bambina mi è di grande compainsegnanti conversavano nel corridoio, mentre, Graziella, in gnia; tuttavia, se l’iscrizione di mia figlia, è indispensabile, un’aula tutta sua, intratteneva i bambini: spiegava loro cosa per raggiungere il numero richiesto, farò in modo di iscriverdovevano fare, e poi... Dava il via. Qualche volta io Iginia avela.» Indignata la signorina rispondeva: «Io di bimbi ne ho quanti vo, assistito alle prove, da astante e spettatrice invisibile perché ne voglio! Era solo per fare un favore a lei.» Di rimando la nessuno si curava dei sentimenti che una bimba può provare. mamma: «Bene, allora si tenga i suoi bimbi, che la mia me la E per avermi sempre esclusa io, Graziella, ti ho detestata in - 41 - Quando qualcuno c’imprigiona di Giuseppina Iannello (Brescia) I l S alotto degli A utori silenzio. Si era giunti alla fine definitiva della scuola elementare: fra un giorno avrebbe avuto luogo il teatro con i piccoli protagonisti raggianti e tutti i genitori invitati. La mattina del fatidico giorno, mi alzai di buon’ora: mi mia madre chiamò, mi abbracciò, mi diede un bacio sui lunghi capelli. «Iginia», mi disse: «sei proprio sicura di voler andare a scuola?» «Sì, mamma», risposi. E così ero andata: la sala profumava di rose in onore alla Vergine, profumava di pasticcini alla mandorla, di confetti... Accettai qualche pasticcino vinta dalla golosità, ma poi... Continuai a guardare per parecchio tempo con sguardo accusatore la signorina Graziella e le sue assistenti assunte da poco per il grande lavoro. Non ero abituata a far esplodere la mia ira, ma ad un certo punto, raggiunsi la mia aula la cui porta sulla sommità recava la scritta “5a elementare”. Sedetti all’ultimo posto, dando intanto, uno sguardo ai compiti dei miei quaderni e per ogni compito un voto, siglato dalla maestra, si trattava sempre di nove o dieci. “Fra poco sarò una signorina” pensai, “presumibilmente sarò anche brava perché saprò svolgere i temi, saprò mettere in sintesi un discorso o saprò analizzarlo... A che cosa vale? Tu, signorina Graziella, mi hai affibbiato una malattia della quale non soffro; con il tuo saper fare hai influenzato l’ambiente che mi circonda: io continuerò ad essere una timida per molti anni ancora, sarò forse ciò che tu e quelli che ragionano come te vorrete che io sia... Ma stai attenta: perdonare è da saggi, dimenticare è da vili. Quando deciderò di scrivere la mia autobiografia, forse ti avrò già perdonata, ma non dimenticherò che tu mi hai posta dentro un contenitore.” Improvvisamente si aprì la porta dell’aula, entrò la maestra; si accorse che stavo piangendo, le guance dentro le mani... «Che cos’hai, perché piangi?» mi chiese premurosa. La guardai, un attimo, ma intensamente poi scossi il capo, chiusi gli occhi e risposi: «Io! Niente». “Solo, che fare da solo?” mi chiedevo, mentre con una mano reggevo la mia schiena e con l’altra asciugavo grosse, persistenti lacrime. Era un pianto inconsolabile, frutto insensato di insensata morte.”Che faccio, che farò? Non so dove andare” pensavo e invocavo con la voce dell’anima lei “Madre, madre mia, dove sei”. Ricaddi, camminavo carponi,le gambe non mi reggevano, ma andavo, né so perchè e dove: movimento istintivo, nulla di più. Ero così formica tra le formiche, e formica trovai un pezzetto di galletta, mollica di nutrimento”. “Buon giorno, professoressa”. Un allievo mi saluta, sono arrivata a scuola, mentre sono ancora in compagnia di mio padre formica. L’ambiente caldo e illuminato, pieno di vita, mi riporta alla realtà: firma di presenza, registro di classe, personale, banali battute di convenienza con i colleghi che man mano incontro e veloce, come al solito, salgo le scale che mi conducono al piano superiore. Ma oggi non è come gli altri giorni, non posso far quadrare il cerchio: il padre formica è impresso nella mia mente, davanti ai miei occhi il fuoco del braciere è vivo, non vuole diventare cenere. Guardo attonita le pareti, i banchi, i miei allievi, creature pulsanti di vitalità; “quale futuro,” penso, “preparo, per loro, forse un futuro di uomini-formica da pestare con il tacco di un pesante stivale, manovrato da un grande piede?” “Buon giorno, ragazzi,oggi è un giorno speciale”. Roberto, pensando che io alludessi alle condizioni meteorologiche, risponde: “Sì, è un giorno speciale, non si era mai vista tanta nebbia a Palermo, per noi l’azzurro del cielo è quasi una condizione abituale, ma oggi Palermo è come Milano”. “Va bene, va bene, oggi è un giorno speciale perché c’è la nebbia, ma è speciale anche perché non faremo una normale lezione: come la natura mescola cielo e terra, così noi mescoleremo passato e presente, per proiettarli nel futuro”. Roberto sempre attento a tutto ciò che io dico, chiede: “ Ma che significa, prof ?” “Tra poco capirai. Mentre venivo a scuola, forse a causa di queste condizioni climatiche per noi eccezionali, mi sono immersa nei ricordi, nel mio lontano passato, quando in una giornata buia e nebbiosa come questa, mio padre mi raccontava del suo passato, dei tristi eventi vissuti in Libia, “Che brutta giornata oggi, neanche un raggio di sole!” La nebbia occulta la vista e solo a stento è possibile evitare le durante la Seconda guerra mondiale. Mi raccontava che dopo macchine che sembrano evanescenti sagome, appena intuibili la caduta di Tobruch, egli era l’unico sopravvissuto della sua attraverso le luci dei fanali, rosse come fuoco di braciere, che compagnia e, dopo tanto errabondare, fu preso prigioniero dagli emerge improvviso dal vapore consistente. Anch’io mi sento Alleati , ma lui non si accorse di questo perchè gli Americani lo vaporosa essenza nell’abbraccio solidale di cielo e terra, umido caricarono privo di sensi su una camionetta, quando ormai era vapore, nell’abbraccio memoriale che mi lega a quel braciere. arrivato ai margini del deserto. Appena si svegliò, sentì parlare “Papà, papà racconta ancora, è presto per andare a letto, il americano, perciò capì subito che era in trappola. Egli parlava un po’ la loro lingua, perché gliel’aveva insegnata suo padre fuoco è ancora vivo, riscalda ancora”. che nei primi del Novecento era stato emigrato negli Stati Uni“Quando ci fu la presa di Tobruch, le bombe cadevano dal cieti, pertanto cercò nei limiti del possibile di familiarizzare con i lo, altre sbucavano dalla terra, quali demoni scatenati, sanguinari. suoi carcerieri, che fiduciosi in lui alla fine, lo sorvegliavano Noi ballavamo una tragica e strana tarantola tra le angosciose sempre meno e mostravano amicizia nei suoi confronti, dandosmorfie e le urla di paura e di dolore. Non so poi cosa accadde, gli anche abbondanti porzioni di cibo. non so, semplicemente so che ad un tratto mi svegliai, con la Tuttavia la preoccupazione per il suo futuro non abbandonava schiena dolorante per l’insolito peso: erano i miei compagni, mio padre.”Sono pur sempre un prigioniero,” pensava,”cosa morti, che fungevano da scudo impermeabile al mio corpo in- mi aspetta appena arriveremo al campo?” Questo semplice dolenzito, alla mia mente straniata.”Dove sono” mi chiedevo, pensiero lo indusse a profittare del buio della notte per scaval“che cosa è successo”. Solo dopo capii l’accaduto: gli alleati care il parapetto del camion e buttarsi giù, tra la morbida sabavevano preso Tobruch. bia. Era libero! Ma era in mezzo al deserto, né poteva seguire Non c’era più nessuno, il forte era deserto, non c’era anima le impronte lasciate dalle ruote della camionetta, perché questo viva, solo fuochi residui, fumi densi, intensi, maleodoranti, cor- lo avrebbe riportato in mano ai nemici. Che fare? Si mosse in pi straziati, occhi atterriti,carni bruciate . direzione opposta, ma ben presto, muovendosi tra le dune per- 42 - Lezione di Francesca Luzzio (Palermo) E state 2008 se ogni direzione. Ormai era l’alba, per fortuna stava spuntando il sole e sarebbe finito quel freddo che ormai cominciava a farlo ulteriormente soffrire. Luce abbagliante, silenzio infinito, spazi infiniti, dune su dune. Il sole era ormai alto sull’orizzonte e un caldo afoso, infernale era subentrato al freddo che sino a poche ore prima l’escursione termica aveva reso altrettanto insopportabile; il sudore gli grondava in ogni parte del corpo, le gambe erano diventate pesanti, a stento assecondavano la volontà di camminare. Che sete! Le labbra a poco a poco si gonfiavano, si spaccavano: mio padre raccolse tra le mani le sue urine e si bagnò le labbra. Sopravvisse così quel giorno e l’altro ancora, quando sentì lontano un rombo di motore.”Meglio prigioniero come prima che morto” pensò e cominciò a chiedere aiuto, per quel tanto che la sua gola secca gli permetteva di fare. Il rombo si faceva sempre più vicino,” sono salvo,” pensò”sono salvo!” e si lasciò andare, ormai del tutto privo di forze. Appena rinvenne si trovo in un ospedale da campo: parlavano italiano, era salvo! Guardo per caso l’orologio e mi accorgo che parte dell’ora è volata via, allora mi affretto a concludere dicendo: “Va bene ragazzi, mi fermo qui, ho tolto un bel po’ di tempo alla lezione; un altro giorno, quando studierete la Seconda guerra mondiale faremo una lezione in compresenza con l’insegnante di Storia e vi racconterò altre vicende vissute da mio padre in guerra, anzi vi porterò anche delle fotografie. Adesso mi pare più opportuno leggervi un testo poetico di Quasimodo, Uomo del mio tempo, diverso,come constatate dal titolo, da quello che avevamo programmato di analizzare oggi, ma sicuramente inseribile anche nel percorso storico. I ragazzi ormai totalmente coinvolti nella narrazione aprono di malavoglia il manuale di letteratura, ma presto si lasciano prendere anche dalla mia pur modesta recitazione:”…..T’ho visto: eri tu /con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,/senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora/come sempre,come uccisero i padri,…/…Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue/ salite alla terra, dimenticate i padri:/ le loro tombe affondano nella cenere,/gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore”. Il suono della campana cade come una mannaia sulla lettura dell’ultimo verso, ma gli allievi, diversamente dal solito, restano seduti in religioso silenzio. “Hanno capito, hanno connesso letteratura e vita, vita passata e presente, vorrei tanto che le proiettassero nel futuro!”. Raccogliendo frettolosa penne, registro e libri, ero immersa in queste considerazioni, quando si accosta Susanna e con sguardo malinconico e dubbioso, dice:”Professoressa, mi ha coinvolto molto il suo racconto e i versi che ha letto, ma noi giovani riusciremo a creare un mondo migliore?” sollievo. Il calore continuava a serpeggiare soffocante dappertutto. Nemmeno le estese zone boschive e la miriade di laghi e di laghetti, di cui era costellata quella regione, riuscivano a stemperare la grande ondata di caldo che si era abbattuta su tutta l’Europa Centrale e che durava, implacabile, da ormai più di due settimane. Le serate, in quei luoghi, anche quelle di piena estate, si impregnavano normalmente di attesi e benvenuti frescori che salivano copiosi dalla natura. Ora pareva invece di essere in piena savana. Erano ormai passate le ventitrè da un bel pezzo. La grande casa di campagna, alle spalle di Serena, sonnecchiava nella radura circondata dai boschi, come un grosso animale mansueto, accovacciato nel buio rassicurante della natura. Serena se ne stava tranquillamente seduta su una comoda sedia da giardino, posta nel bel mezzo dell’esteso prato rettangolare che si apriva sul lato solare della casa, curato fino nei minimi particolari, Di dormire, in quel caldo stringente e avvolgente, neppure a parlarne. Preferì perciò rimanere all’aperto, nonostante l’ora ormai tarda, in compagnia dei suoi pensieri e dell’immenso cielo stellato che pareva volerla assorbire nella sua pulsante luce bianca. Aveva ormai perso il ricordo di un cielo simile: sfarzoso, fantasmagorico, entusiasmante. L’oscurità che gravava sulla natura faceva assumere al cielo, per contrapposizione, plasticità e profondità inusuali. La piatta e sbiadita uniformità del cielo cittadino, al quale era abituata, faceva risaltare ancora di più il pulsante mistero di quel cielo aperto, immenso, profondo. Il suo pensiero, fermentato da quel maestoso spettacolo, prese ad arricciarsi in un’infinità di domande. L’idea che l’immensa spirale della Via Lattea, nella quale siamo immersi, anche se in uno dei lembi esterni, potesse contenere qualcosa come duecento miliardi di stelle, cioè di soli ( aveva appena letto qualche giorno prima un interessante e approfondito articolo in merito ), di cui il nostro è soltanto una ( e neppure tanto grande ) di queste luminosissime lucciole astrali, la lasciava attonita e stordita. Il pensare poi che di galassie, più o meno grandi come la nostra Via Lattea, che misura in diametro all’incirca centomila anni luce, ce ne fossero a miliardi, finì per confondere la logica predisposizione dei meccanismi della sua mente. Miliardi di soli, miliardi di galassie, miliardi di anni luce … Cos’era l’uomo davanti a queste cifre, a queste realtà inimmaginabili? Che significato aveva la vita, quella umana in particolare, in questa smisurata e inesauribile realtà? Perché l’energia, la capacità attiva della materia, andava diluendosi in continuazione ed era destinata a sparire? Perché, in tutto quel costante e inarrestabile livellamento dell’energia verso valori sempre più bassi, c’era una valenza che andava contro questa Serena alzò il capo verso l’immensa cupola del cielo stellato e globale corsa verso la morte: la vita? La vita che unica indirizza il suo respiro quasi s’arrestò. Davanti ai suoi occhi sgranati le cose dal basso verso l’alto, dal disordine all’ordine, dal meno s’estendeva uno scenario scintillante e sfarzoso. Lo spicchio di al più? cielo, sopra e intorno a lei, illuminato a giorno dalla densa e Il suo pensiero ripiegò, pian piano, esausto, su sé stesso. Altre palpitante massa di milioni di stelle, condensate nella fulgente possibilità di conoscenza, di coscienza, di pensiero sarebbero spirale della Via Lattea, brulicava festoso sopra le velate diste- occorse per poter afferrare il senso di tutta quella immensa e se dei boschi e dei prati, i cui profili s’intravvedevano appena in aggrovigliata realtà, per poter penetrare in quei terribili e affaquel singolare paesaggio notturno, non disturbato da luminose scinanti misteri. sorgenti artificiali. Ogni tanto un leggero alito di vento muoveva l’aria calda e Era una tarda serata di pieno agosto. Un caldo eccezionale stagnante, dando l’impressione di una debole frescura. Ma era avvolgeva la natura e ne riempiva ogni cellula vitale. Neppure soltanto un’illusione. L’aria tornava subito a farsi densa, imil sopraggiungere della notte era riuscito a portare un qualche mobile, avvolgente. - 43 - Serena di Giovanni Tavèar (Trieste) I l S alotto degli A utori Certo, tutta quella immensità baluginante, spalancata davanto riali, e stordito dalla sequela di interrogativi e di misteri che si al suo sguardo, aprivano davanti ai suoi occhi spirituali. faceva apparire l’umana quotidianità come un piccolo gioco Poche volte nella sua vita Serena aveva avuto la possibilità ( insignificante. I problemi, che ancora poche ore prima l’aveva- lei, figlia della città, del rumore riprodotto in continuazione, no tormentata e innervosita, sembravano ora delle foglie sec- della luce perennemente accesa ) di porsi in ascolto, nel silenche, prematuramente avvizzite. zio, nella solitudine, nel buio profondo, delle voci materiali e “ Come mai “ pensò “ tutta questa magnificenza, questa dila- spirituali che arrivavano dal creato e che accendevano nella gante immensità, questo sontuoso splendore, se poi non c’è cassa armonica del corpo e della mente, risonanze impensate, nessuno che possa abbracciare, neppure con il pensiero, tutte echi inimmaginati, onde mai percepite. queste incommensurabili dimensioni? Un palcoscenico impo- Pian piano tutto il suo essere, anima e corpo, mente e pensiero, nente, rigurgitante di azione e di conseguenze, per una picco- gorgogliò, rivitalizzato, cristallizzandosi in un linguaggio lissima sala, desolatamente vuota e silenziosa? E’ mai possibile semantico nuovo, densamente poetico e musicale: la preghieche questo palcoscenico di smisurate dimensioni fosse stato ra. allestito per l’uomo, questo minuscolo, sbiadito e insignifican- E nel fervore di quella muta preghiera, antagonista della dispete spettatore? “ razione e del nulla, la sua coscienza si illuminò di un bagliore C’era qualcosa che non combaciava in quei rapporti sproposi- più denso del creato che la illuminava, più profondo del pensietati e Serena ne intuiva l’incongruenza. E’ se l’universo fosse ro che la fermentava, più lucente della preghiera che la permestato veramente costruito per l’uomo, perchè tutte quelle smi- ava. surate grandezze, quelle profondità abissali, quegli spazi infini- Serena si sentì d’improvviso come una delle infinite stelle che ti, apparentemente senza confini? illuminavano quelle profondità senza confini. Se l’uomo doveva accontentarsi di vivere su questi piccolo granello sabbioso, chiamato Terra, disperso nelle profondità dello spazio, senza avere il potere di poterlo veramente abbandonare, che senso poteva avere quella mostruosa grandiosità che lo attorniava? Domande che solo una notte simile poteva suscitare. Il pensie- E’ un piacere parlare con zio Giovanni quando fa le sue acute ro di Serena, come rinvigorito improvvisamente dal suo stesso osservazioni sulle ultime mode della nostra odierna società. A lavorìo, balzò su vette ancora più audaci e riempì lo schermo proposito dei telefonini cellulari (che in verità sono ormai in della sua mente ionizzata: esplosioni di soli, dilatazioni di gas, voga da qualche decennio,tanto che il loro uso, sempre più sibilare di materia in continua espansione, fughe di onde sono- sofisticato, è divenuta un’abitudine diffusissima o meglio un re, magnetismi perforanti, sfregolii incandescenti, comete in bisogno irrinunciabile di noi tutti esseri viventi del terzo millenebollizione, supernove in implosione, particelle in rotta di col- nio), così mi ha intrattenuto. lisione, dissolvenze di nubi infrastellari, radiazioni spiralidose, “Vuoi sentire” mi dice invitandomi con interesse ad ascoltarlo rotazioni inanelanti … “un episodio a cui ho assistito questa estate?” La fucina dell’universo la frastornò con l’inaudita violenza del- “Certamente” rispondo, sicuro che l’episodio sarà divertente le sue leggi fisiche. Incominciò a sentirsi a disagio sulla sua “sono tutto orecchie!” “Ecco” comincia lo zio “me ne stavo sedia posta in mezzo al prato. Si mosse più volte, come se tranquillo sulla spiaggia ad abbronzarmi al sole, cosa ancora qualcosa di fastidioso la tormentasse. possibile ad uno come me che non disdegna sdraiarsi su uno di Improvvisamente un nuovo pensiero la illuminò. Il pensiero quei lidi abbandonati, che offrono un posto non più grande di che forse l’uomo era soltanto una particella temporanea del un fazzoletto, quand’ecco la suoneria d’un cellulare dare setempo e dello spazio e che proprio in questa dimensione tem- gno squillante di chiamata”. porale avesse assorbito tutte le inquietudini viscerali che lo “Oh, sì” approvo io, immaginandomi quella scena su una delle tormentavano e lo divoravano in continuazione. Anche lei, pur poche minuscole spiagge non a pagamento del nostro bel mare così apparentemente calma e serena, come il nome stesso por- italiano “ormai i cellulari squillano dappertutto, anche nei posti tava a suggerire, era spesso rosa dal tarlo dell’inquietudine. più impensati: per la strada, nelle sale di attesa, sui bus, sui Qualcosa in lei la spingeva costantemente a valicare i confini treni, allo stadio, nei negozi, nelle stazioni, ed, ahimé, talvolta del tempo, a uscire dalle sue spire avvolgenti,. Lo spazio, poi, anche in luoghi dove la delicatezza e il buon senso dettano che le appariva come un’armatura pesante che la appiattiva e fasti- dovrebbero essere spenti, come nelle chiese, nei teatri...” diosamente la delimitava. “Proprio così” continua lo zio “Ebbene, allo squillo, ecco quatLa mente le suggeriva che da qualche parte doveva esserci un “ tro o cinque persone, sdraiate vicine a me, agitarsi alla ricerca buco nero “ che inghiottiva e divorava la dimensione dello spa- affannosa del telefonino, nascosto chissà dove tra tutte quelle zio e del tempo, per proiettarli in una dimensione nuova, borse, asciugamani, stuoie; ma, fu un giovanotto a pronunziare atemporale, afisica: la dimensione dello spirito. Una dimensio- il fatidico: Pronto!” ne intessuta di luce, di serenità, di amore. “E allora?” chiedo io “Finì lì la cosa, o no?” Non poteva esserci altra ragionevole soluzione, altrimenti l’uo- “No” rispose lo zio “Tutti i presenti su quella spiaggia fummo mo sarebbe stato e rimasto un “ non senso “, un figlio del caso, costretti a vivere una squallida storia d’amore, dato che il gioun’avventura senza speranza. vane, non curante di noi, dopo quel ‘pronto’, asserì ridendo Lo spirito di Serena rifiutava, per sua stessa natura, il disordi- trionfante “Con Giulia”, da cui tutti arguimmo che dall’altra ne, le soluzioni senza speranza, il caos, l’aridità, il caso cieco e parte gli fosse stato chiesto: ‘Con chi sei?’ insondabile. “Interessante” commento “si sa come sono i giovani...” Il suo animo era, nello stesso tempo, abbagliato dalla magnifi- “E no” ribatte lo zio “perché, vedi, nessuno dei tanti presenti cenza che palpitava viva e lucente davanti ai suoi occhi mate- voleva sapere della vita di quel giovane, ma visto che non c’era - 44 - Il millantatore di Baldassarre Turco (Genova) E state 2008 nessuna Giulia in mezzo a noi, pensammo che forse la ragazza fosse in mare a fare un bagno”. “Beh, sì, succede tra molte coppiette di bagnanti che uno prediliga prendere il sole e il partner o la partner invece farsi delle nuotatine...” “Certamente” approvò lo zio “ma, sta il fatto che quel giovane continuò a raccontare sempre con voce di vanto d’una Giulia sdraiata accanto a lui...” “Ho capito: quella tale Giulia invece non c’era”. “Hai colto nel segno” dice lo zio “E non solo tutti notammo che Giulia non era presente, ma che forse non esisteva proprio e che evidentemente quel giovane si fosse inventato quel nome per fare ingelosire una sua amante”. “Beh, sì” approvo ancora “mi sembra una tattica antica”. “Senz’altro” risponde lo zio “ma, io voglio dirti ben altro”. “Bene” dico subito come scusandomi “parla pure”. “Ecco: una volta tali storie d’amore, belle o squallide, le venivamo a sapere attraverso il cinema o, ultimamente, attraverso la televisione, ora invece, a causa o grazie all’invenzione dei telefonini, tutto il mondo è divenuto un teatro a scena aperta: quando meno te l’aspetti, qualcuno si mette a recitare a voce alta le sue cose al telefonino!” “Zio” dico “come sempre devo darti ragione: è proprio come tu affermi; ma cosa possiamo farci?” “Nulla” risponde “è come sempre l’altra faccia della medaglia d’ogni cosa positiva: al beneficio dell’invenzione dei telefonini che ci permette una svelta e spesso utilissima corrispondenza, dobbiamo munirci di pazienza per dovere ascoltare storie, purtroppo non sempre gradevoli, e di essere resi partecipi di notizie che non vorremmo sentire da parte di chi ha il cattivo gusto di gridare forte le sue cose al cellulare!” “Zio Giovanni” dissi io a questo punto “posso dirti un’impressione da me spesso avuta quando assisto a comunicazioni a voce alta che durano a non finire, fatte con questi benedetti, ma costosi cellulari?” “Ti ascolto”. “Penso che molti fingano di telefonare per darsi delle arie”. “Credo” approvò lo zio “che senz’altro non siano pochi i maniaci di quella sorta; però sono senz’altro convinto che siano tanti i millantatori che approfittano del telefonino per farci sapere di prodezze spesso inventate di sana pianta!” PER UNA CULTURA NON CONSUMISTICA La pubblicazione dell’opuscolo "LE SABBIE NEL DESERTO" di Rino Piotto va in controtendenza rispetto ai canali di informazione dominanti nei media della società attuale. Una società che non è azzardato definire "consumistica" ed egemone nel nostro pianeta. Si tratta dell’egemonia di una minoranza di umanità che "consuma" le risorse del pianeta sfruttando una tecnologia avanzata senza porsi il questito di rispettare la maggioranza di quell’umanità che vive nel terzo (o quarto) mondo. Ma perché questo libricciolo "Le Sabbie nel deserto" va in controtendenza? Innanzitutto perché non si tratta propriamente di un libro edito. E’ stato stampato da una tipografia senza il prezzo di copertina e senza costi per l’autore. Sembra dire: "gratuitamente mi è stato pubblicato e gratuitamente ve ne faccio omaggio. Così come i suoi messaggi gratuitamente mi sono stati dati dal Creatore e gratuitamente ve ne faccio dono". Il libro, o meglio il racconto, trae ispirazione dai filò invernali, durante i quali "nella grande stalla fra il calore di tutta la famiglia umana ed anche di quella domestica" il nonno dell’autore narrava al nipotino la sua esperienza nella guerra di Libia. Una cosa orribile accaduta nel 191112 ad un pacifico contadino, che viveva nel verde della campagna di Fontaniva fra l’abbondanza di acque del Brenta, brutalmente mandato (perché così gli è stato comandato contro la sua coscienza) a combattere nel deserto. Oltre ai prevalenti valori della famiglia, del saper ascoltare, del ruolo del nonno che oggigiorno va recuperato, della creatività "del bambino che è sempre in noi", della "fede che salva" l’uomo, soprattutto nei momenti più drammatici della sua vita, questo racconto lancia frecciate stringate e pungenti al dilagante consumismo che ci rende schiavi del cosiddetto "benessere". Eccone qualche spaccato: "Mi ritengo fortunato per avere avuto un nonno che, raccontandomi la sua storia vera, storia di guerra, di sacrifici e di fame, mi ha regalato quei semi che, stimolando la mia creatività, hanno fatto germogliare i miei sogni". "Purtroppo i bambini di oggi si ritrovano spesso con nonni moderni e vinti da quel consumismo che dissolve in fretta gli innaturali capricci dei nipotini prigionieri nelle bancherelle degli altrui desideri; nonni che comprano per loro ciò che appare necessario, indispensabile, inevitabile, ma che si rivela subito dopo superfluo, vano, vuoto, da buttare. Beni materiali privi di certezze, imbevuti dalla pubblicità dell’usa e getta. Vacua apparenza che non nutre, ma distrugge il bambino (ed il suo mondo creativo) per farne un precoce consumatore di massa". Ed ancora: "Il deserto è il luogo della purificazione dalle distrazioni esterne per scoprire le proprie risorse interiori, la propria originalità ed unicità, il proprio mondo troppe volte dimenticato". "E’ il luogo ideale e più naturale per ritrovare se stessi, la fiducia nei propri talenti più autentici oscurati dai media, l’autostima e la creatività del bambino che è sempre in noi, anche se demoni immondi lo vorrebbero soffocare". - 45 - I l S alotto degli A utori ANDARE di Gianclaudio VASSAROTTO (Lombriasco) Lasciare i tumulti del tempo, le sorde gelate corse dell’Io e andare dove il mondo è una foresta di ulivo, dove libera vola la colomba dello Spirito. Dove, al suono dell’arpa incantata, danzano le perle dell’amore e i silenzi, le voci luminose s’innalzano tra gli arcobaleni del sole. Andare dove non impera più il delirio della materia e il vampiro del secolo non succhia il sangue dei miseri. Andare dove l’ostia sacra del pane si spezza per tutti i viventi, dove spariscono i funebri sguardi e pura, gioiosa canta la vita. Andare dove la rugiada dell’incanto stilla in tutte le anime, dove il fiume dolce della poesia irriga tutti gli istanti. Andare dove i fumi e le nebbie non appaiono più sul cammino del cuore. dove nell’Eden del mondo sboccia il giglio dell’orazione. TRIANGOLO di Annamaria VEZIO (FI) RISERVA di Franca MARIANNI (Novara) Attorno a una riserva di nidi, immobili come frecce stanche di scoccare – la sua stessa stanchezza – di più si fa somigliante (fino a quando?) quella soffice immagine d’infanzia sorpresa a dondolare su rami spogli dallo schermo di vetri fioriti a stelle di ghiaccio. Allora era questo il segno d’esistere indenni al riparo del nido tra volute di fumo e le sue esterne versioni – forma forse non lieta ma plausibile, come slancio bambino di volo oltre i confini. Guardo un film alla tivvù il triangolo è evidente, per far spazio all’uomo pazzo che d’un’altra si innamora, muore una figura, di certo ingombra Io mi chiedo, se l’amore è davvero un folle gesto, o più semplicemente un desiderio sano di una vita vista in due fra gli abbracci ed i sorrisi, perché il sole scalda i corpi senza fare un’ombra sola che insieme son più forti d’ogni cielo illuminato Ché è sta’ storia che per stare bene insieme devi uccidere la moglie o il marito che frappone tra te e l’innamorato un corpo disamato Se proprio Cupido sbaglia e le frecce sue scompiglia colpendo te e lei e un’altra lei ancora che bisogno c’è di darle il sonno antico e perenne della morte Sant’Iddio, dille ch’è finita e con l’altra vai a nozze! LA PRIMAVERA di Giancarlo PETRELLA (Roma) MARIA, MARIA di Anna PRESUTTI (Sulmona - AQ) Hilary metro armonioso dai crini, effluvio soave di cure, dei venti quiete, fremiti vezzosi di fini steli, miri con occhi divi attenti. rit. Maria sei luce, sei pace dei cuor, avvolgi i tuoi figli con dolcezza e amor Tu madre del mondo sei l’esempio vivente di chi ha creduto nella grandezza del Signor rit. .................................................. Tu stella dei cieli inondi di luce chi in te si rifugia e in te ha fiducia rit. .................................................. Tu con grazia divina ascolti e sostieni i figli tuoi afflitti da ogni dolor... rit. .................................................. Nei verzieri di achillee, di alti pini gentili, che davano ombre presenti, penseri ne l’etra gian repentini: i corsi del tempo avaro son lenti. Hilary parli con detti dei cieli e d’amore. Ti veggio ed amo i segni che crei nel tuo andar, mentre con i veli de la fortunata veste disegni infiniti arcani vezzi, li steli de li astri divengon laidi ed indegni. - 46 - E state 2008 LE RECENSIONI DI... MARIA GRAZIA CAPONNETTO M. FRANCESCA CHERUBINI te “humanitas” a tutto tondo ed è in siffatto modo che esse giungono a sfiorare, anche con il soffio più lieve della sua Voce di Poeta, persino i più ascosi punti del nostro cuore, facendo avvertire l’Autrice come un nostro “Alter Ego”, come parte integrante del nostro stesso “Io”. La purezza divina dei suoi versi è “ sorriso dell’anima “ è “ musica del cuore” che scivola rapida come fulgido ruscello che riesce a trascinare via le brutture del mondo e a fugare le sofferenze della vita, fino al raggiungimento della “ Catarsi “, della “ Purificazione interiore”. Vi è, infatti, nelle sue parole un che di angelico, di splendore aurorale, di luce primordiale; alcune rare volte anche un che di semplice, ma che altro non è che “ semplicità dell’inaudita grandezza e dell’immenso”. Il “Grande” si manifesta spesso tramite la “parvenza del semplice”. Le liriche dell’Artista Tina Piccolo sono “uniche” perché rispecchiano l’impeto generoso e passionale del suo cuore “ unico”. Nelle poesie di questa grande poetessa ritroviamo l’amore che alberga nel suo animo fin dalla nascita: Amore che è nato con lei quale dono concesso da Dio, come tocco delle sua dita divine. Lei stessa è infatti “ Amore”. Ed è “Amore” perché nel suo animo da sempre vibra e si manifesta appunto, lo sfavillìo di un’incommensurabile scintilla dell’ “Amore di Dio”. Amore verso tutto e verso tutti. Amore per il Creato e per gli esseri umani. Amore per tutto ciò che esiste. Il segreto, il mistero, la magia, lo stregante fascino che attrae e seduce di questa eccezionale Artista. Tina Piccolo, sono dunque qui… racchiusi nella “semplice – immensa” parola … “ Amore”. Senza tema di cadere in errore, ritengo che l’Arte di Tina Piccolo, raggiunga vertici talmente alti e ineguagliabili da far configurare questa somma Artista quale massima voce poetica dell’orizzonte letterario del nostro territorio nazionale; ritengo altresì che ella rappresenti una delle vette poetiche di maggior spicco sia in campo Europeo che Internazionale. LA MAGIA DELLA POESIA DI TINA PICCOLO L’ARTISTA ROBERTO DI ROBERTO GIOVANNI ALLEVI - LA MUSICA IN TESTA Giovanni Allevi pianista, compositore e filosofo “timido” dei nostri giorni, ha inciso quattro raccolte di sue composizioni per solo pianoforte: “13 Dita” (1997), “Composizioni” (2003), “No Concept” (2005) e “Joy” (2006) che hanno raggiunto strepitosi successi con oltre 250.000 copie vendute. Le sue tournée, in giro per il mondo, registrano il tutto esaurito. Allevi incontra il pianoforte in tenera età. In casa sua c’è un Bachstein ma non può toccarlo perché è riservato esclusivamente alla sorella maggiore. Un giorno supera il divieto e il “suo appuntamento quotidiano con la trasgressione” lo porta ad incontrare la musica, o meglio la “Strega capricciosa”, come lui ama definirla. Tale “Strega” gli permette di dar voce ed espressione al suo mondo interiore, “monopolizza” la sua vita e lo impegna con “dedizione assoluta”. Si sa, “non si raggiungono mai grandi risultati se non si soffre un po’”. La sua musica contemporanea ha riferimenti a stilemi classici e lo porta a “sorvolare più volte gli oceani, a sfidare i giudizi e le delusioni, ad avere la forza di non dare nulla per scontato e a credere nei sogni e nelle idee”. Durante i suoi concerti è solito intrattenere gli spettatori raccontando le cause, l’iter e i sentimenti che stanno dietro alle sue composizioni. Oggi, i ricordi e gli aneddoti, convergono nel libro “La musica in testa” in cui Allevi parla di sé e della sua carriera professionale coinvolgendo i lettori con idee e sentimenti e trasmettendo l’amore profondo per la musica. Il testo non è un’autobiografia ma una “cura per lenire l’ansia” esprimendo che “non bisogna mai aver paura di rompere le regole se è il nostro cuore a chiederlo. Mai temere di destabilizzare un sistema: è nella sua natura la necessità di cambiare ma soprattutto bisogna sempre trovare il coraggio di esporsi, di osare, di mettersi in gioco: è un dovere dell’artista”. Vita e filosofia parlano al cuore di tutti. Il lirismo di questa grandissima poetessa sgorga potente e naturale dai più riposti meandri della sua immensa anima. L’ultimo libro delle creazioni dell’Artista ci viene presentato insieme alle Poesie del Poeta napoletano Roberto Di Roberto ed ha per titolo: “Me piace ammore – Poesie in napoletano e in lingua”. Il testo della inimitabile Artista Tina Piccolo si presenta a noi, anche questa volta, con liriche di altissima qualità e musicalità e di incredibile scorrevolezza. Poesie che profumano di innocenza e fulgida purezza che emanano profonda spiritualità, ma parimenti toccano tutte le infinite sfaccettature dell’esistenza (anche negative) e tutte le corde dei sentimenti umani più profondi. Le creazioni di questa strepitosa e incredibile Artista sono pervase da stupefacen- Autentica voce napoletana, schietta, genuina, immediata, dalle accese e bellissime coloriture tipicamente partenopee. Il lirismo, autenticamente sentito e vissuto da questo Artista, sgorga con grande spontaneità dai suoi versi, mescolandosi a peculiari immagini di vita campana, ricche di fascino e di suggestione. Lo splendore della lingua napoletana, ricchissima già in se’ stessa di espressioni dalle tinte forti, smaglianti, suasive e magnetiche, si rinvigorisce e si avvalora, accentuando così la sua seduzione e malìa, tramite l’abilissima penna di questo “verace” poeta partenopeo che sa cogliere con sottile acume e destrezza, vicende e sentimenti che rivelano il genuino “vigore e sentire napole- - 47 - I l S alotto degli A utori tano” attraendo fortemente, in tal modo, il lettore. Molte sue liriche sono “liriche d’amore”: un amore molto delicato, soffuso e gentile e nello stesso tempo velato da sottile amarezza scaturente dalle circostanze che spesso, purtroppo, la vita impone. Un amore cantato con dolcezza e nello stesso tempo con malinconia, come si conviene ad un vero ed autentico Poeta. Un bell’esempio di questa tipologia può essere costituito dalle seguenti poesie: In “Vommero sulitario” il poeta dice: “Cu ’e mmane dint’ ’e mmane / e ’o ffuoco c’abbruciava dint’ ’e vvène, / vulava ’o tiempo e se faceva tarde, / affatturate ’a sta passione ardente…. / È mezzanotte, mamma sta’ mpenziero. / Famme saglì, num me fa fà cchiù tarde. / E i’ te lassavo, ammore mio carnale, / purtànneme ’int’ ’e panne e dint’ ’o core / ’o prufumo che tu tenive ncuollo. / E cchello me faceva cumpagnia / strata facenno, mentre riturnavo, / cuntento e malinconico, /- casa addò nun ce truvavo a tte” Molto profondi e malinconici sono anche i versi della poesia “L’Anema mia”: “Ce si’ turnata, ncopp’ ’a stessa strata / sulagna e cchiena d’albere spugliate, / addò sti core nuoste, cammenanno / facevano unu core”… “Chesti llacreme asciute ’a dint’ ’o core / me diceno ca si’ rimasta sola: / E invece no, nun t’hê ’a senti maie sola: / ll’anema mia stà sempe affianco a tte”. Il Poemetto “O Signurino” è invece un vero bozzetto napoletano in cui spicca tutto l’incanto della lingua partenopea. In esso si parla della ragazza “Mmaculata” della quale era innamorato (“faceva ll’uocchio ’e trèglia”) il Signurino, cioè un nobile altolocato, istruito, ben vestito (“culletto ’a diplomatico e ’o gilè scozzese, ultima moda, e ’o bastoncino”) che però aveva una sposina. Ma alla madre Mariannina diceva: “Non v’arrabbiate, chè la signorina, se vedovo sarò, la sposo apposta”. Lo diceva per scherzo, questo è certo, ma a volte il destino ha più fantasia di noi e la sposina, dando alla luce un bimbo, morì e lo lasciò vedovo. E il Signorino tenne fede alla sua promessa: e passato un anno sposò Mmaculata. Molto toccante è anche la lirica “Figlia ’a nisciuno”. È una storia dell’Ottocento in cui si parla di tormenti interiori passati da una ragazza-madre prima di decidersi a lasciare la sua creatura “dint’ ’a rota d’ ’a Nunziata e sparette ‘int’ ’o niro d’ ’a nuttata” Lasciò la sua creatura alle suore di clausura e sparì nella nera nottata. Notevoli sono anche le poesie “Comm’era bella”, “Chiove!”, “L’ora d’ ’a cuntrora”. La lirica “Primmavera” è al suo inizio descrittiva e illustra quindi tutto l’incanto della primavera che torna portando la sua dolce aria, il cielo chiaro, il suono delle campane, il volo delle rondini. Ma la strofa di chiusura di questa poesia è davvero di grande sentimento.”E comme ’a Primmavera è nenna mia: / sempre cu na viuletta int’ ’e capille / e ’o pizzo a rriso ca m’allarga ’o core. / Ah ! Nun sia maie, nu juorno me lassasse ! / ’A Primmavera nun turnasse cchiù / e sarrìa sempre notte attuorno a mme !” Segue la singolare poesia “Vase e carocchie” in cui si parla di gelosia e il poeta la termina con questi versi molto toccanti: “Ll’ammore chesto vò: vase e carocchie / e ce pò fà lassà surtanto ‘a Morte”. Nella poesia “Comm’à Ddoie Gocce” l’Artista immagina che lui e la sua amata siano come gocce d’acqua che scivolano sui vetri durante una tempesta e dice: << Ddoie gocce mo se so’ ncuntrate / e se so’ fuse nzieme /comme nuie ce ‘ncuntraìmo / p’addeventà na goccia sulamente”. Sono frasi d’amore dettate dal cuore e che rivelano un grande sentire interiore. Vi sono poi dei veri e godibilissimi bozzetti partenopei che solo un verace animo napoletano riesce a descrivere in tutta la loro veridicità mescolata a malinconia della vita, come ad esempio “ ’O stesso mestiere”, “ ’O Sabato ’e na vota”, “Na vecchia e tre canille”, “ ’O Filosofo nzurato”. Nella poesia “Nu cunziglio” l’Artista offre il suo consiglio a chi pone tanti fiori sulle tombe dei parenti morti. “Sentite a mme” egli dice “E’ bello chistu gesto, / ma inutile” …. “Iate a truvà nu povero malato / dint’ ‘o spitale, o meglio nu pezzente / dint’ a nu vascio stritto e sgarrupato / addò se more ogne ora mmiez’ ‘e stiente”… “‘E muorte - embè, comme ve l’aggia di’ - / nun vonno scucciature, ma durmì!” L’Artista Roberto Di Roberto, a mio avviso, non è il solito poeta che scrive solo vicende o bozzetti tipicamente napoletani, ma il suo profondo sentire, sa parlare, in modo assai raffinato e seducente, di amore e di vita e di morte al lettore che lo ascolta con emozione e pieno di coinvolgimento. Al suo parlare poetico, è sottesa, infatti, tutta la complessità della vita e della morte che egli sa tratteggiare con estrema delicatezza e levità, presentandosi così a chi lo ascolta, non solo come notevolissimo Artista, ma anche e soprattutto come profondo e grande Filosofo della esistenza. Non ho avuto il piacere di conoscere personalmente l’Artista Roberto Di Roberto, ma conosco le sue bellissime Poesie e tramite la lettura di esse posso affermare con sicurezza che egli è un vero grande Artista, in altre parole, come diremmo noi, “Un autentico Poeta di razza”. CRISTINA CONTILLI FRAMMENTI DI VITA raccolta di racconti di Mariateresa BIASION MARTINELLI - Carta e Penna Editore, 2008, pp. 115, euro 15.00. La scrittrice torinese Mariateresa Biasion Martinelli, finora conosciuta per le sue pubblicazioni nell’ambito della poesia, si presenta questa volta ai lettori con un corposo libro di racconti, intitolato “Frammenti di vita” e pubblicato dalle edizioni Carta e Penna di Torino, in quanto vincitore del premio letterario internazionale Prader Willi, quarta edizione (la sindrome di Prader Willi è una malattia genetica rara e il premio organizzato annualmente da Carta e Penna intende sensibilizzare le persone su questa malattia ancora poco conosciuta). Il volume costituisce un interessante sperimento stilistico, perché, come spiega la stessa Biasion, nell’introduzione: “la narrativa rappresenta per me una sorta di esperimento, un tentativo di raccontare, in prosa, ciò che la poesia, per stile e carattere, non può contenere. Ogni mio scritto sia esso un racconto, l’itinerario di un viaggio, un ricordo vissuto o sentito da altri, contiene una parte di me, ed è questo il mio limite ed anche un po’ la mia forza interiore, sia positiva, o negativa, per quanto riguarda lo stile ed i contenuti: non riuscire ad essere distaccata dalla narrazione, neppure se si tratta della cronaca di un avvenimento, di una favola inventata, di una storia che non è mai accaduta. Sempre, ed in ogni - 48 - E state 2008 caso, spunta, qua e là, un cenno autobiografico, un luogo del cuore, un sentimento, un’ispirazione tratta dal mio vissuto, dai ricordi… dalla mia anima, insomma.” Il libro è diviso in sei sezioni, intitolate rispettivamente: “Celeste, Anna e le altre”, “I miei gatti”, “Favole”, “Altre storie”, “Fra cronaca e storia (i luoghi della vita)”, “Lettere”. Tra le varie sezioni le più riuscite mi sembrano la prima, che contiene una serie di racconti ambientati tra gli anni ’20 e la seconda guerra mondiale (che la Biasion ha scritto attingendo alle esperienze e ai racconti della nonna) e la quinta, che contiene la descrizione dei luoghi dell’infanzia dell’autrice e in particolare del suo paese d’origine e delle sue amate montagne del Trentino. Il libro è stato dedicato dall’autrice alla nonna (la donna ritratta nella copertina del libro in una foto in bianco e nero): “una donna speciale, che mi ha insegnato ad amare la lettura e la scrittura, guidando i miei piccoli passi verso la passione per i libri, la mia dolce nonna materna dal nome insolito come lei: Alceste”. GIUSEPPE DELL’ANNA IL RIO RACCONTA UNA STORIA DEL ‘600 - Romanzo di Donatella Garitta Saracino - NEOS Edizioni - € 11,00. Il RIO RACCONTA è un romanzo alquanto avvincente ambientato nel 1600, con basi storiche certe con le quali l’autrice ha voluto tesserne le fondamenta, fondamenta frutto di una appassionata ricerca storica dalla quale se ne apprende la profonda drammaticità degli eventi, quali: le guerre tra la Francia e la Savoia, alternate da deboli alleanze; la peste a Torino e in altre parti d’Italia nel 1630; l’assedio di Torino, nel 1640, da parte di Spagnoli e Francesi alla conquista del Piemonte… La vita di un giovane protagonista del romanzo, Sebastiano Barbero, si interseca nelle vicende storiche con sequenze che ripropongono i drammi dell’Epoca dove il personaggio, con il suo talento ed il suo valore, affronta le insidie della peste, dei briganti, della battaglia contro i Francesi sul Monte dei Cappuccini e nella stessa Torino dove rimase ferito alla gamba destra. Gli amori che Sebastiano incontra sul suo cammino sono connotati da forte passionalità ma, rimangono anch’essi, permeati da quella instabilità, inquietudine e precarietà che avvolgono il tempo storico di riferimento, fatto di intrighi nei Palazzi, di instabilità regnante, di miseria, di storie individuali intrise di maltrattamenti e inganni, ma anche di nobiltà, così come appare la figura francese del caporale Berger che, dopo l’assedio di Torino, passando in rassegna i feriti, celerà per sempre nel cuore uno struggente segreto, per salvaguardare la vita del figlio mai conosciuto. Il “Rio Racconta” si suddivide in due parti: nella prima parte si sviluppa il romanzo sulle basi storiche dell’Epoca, mentre nella seconda parte si sviluppa una documentazione storica molto precisa che fornisce al lettore un aiuto concreto nel ritrovare i giusti riferimenti epocali ed ambientali, in un contesto storico dove i grandi Regni di Francia e Spagna cercarono ripetutamente di contendersi il Piemonte governato dalla Casa Savoia che annoverò Duchi che, con compromessi e battaglie, sbar- rarono costantemente l’occupazione delle principali forze militari europee. Inoltre il buon governo di alcuni tra i duchi di Casa Savoia permise lo sviluppo sociale della vita di quell’epoca con interventi di tipo economico, come l’abbassamento del valore della lira d’argento, operata da Vittorio Amedeo, mirante a ristabilire i giusti equilibri monetari che si erano impennati con l’avvento della peste; inoltre interventi sulle norme riguardanti le varie mansioni di arti e mestieri, sulla suddivisione dell’esercito e su molte altre norme riguardanti l’amministrazione statale e della giustizia, norme che certamente apriranno la strada verso i nostri tempi moderni. Complimenti a Donatella Garitta per il grande lavoro di recupero storico, attraverso il quale, l’autrice sviluppa il suo romanzo offrendo al lettore effetti scenici di forte intensità emotiva e visiva che, meritatamente, appassionano la lettura fino al termine del libro. CINTHIA DE LUCA “UOMINI E DONNE SOLI” DI GIANFRANCO GREMO - Carta e Penna Editore Gianfranco Gremo nasce a Torino il 17 Ottobre 1947. Appassionato alla letteratura fin da ragazzo, ed in particolari ai racconti, ottiene ottimi risultati in concorsi nazionali ed internazionali. Accanto al crescente impegno come scrittore - pubblica infatti una Guida sulla Francia - nasce una passione altrettanto sentita per la Fotografia e, più tardi, per il Teatro, che gli regala grandi soddisfazioni; la sua commedia a sfondo psicologico “Nostalgia per il presente” va in scena il 21 Ottobre 2006 al Teatro di Caselette e promette in futuro numerose repliche. Il volume che Gianfranco Gremo ci propone “Uomini e donne soli”(Carte e Penna Editore) si rivela molto interessante, quasi sorprendente con la sua analisi profonda e disincantata della realtà. Siamo tutti uomini e donne soli, in una società che ci divora, uccidendo i sogni, impedendo di metterci a confronto con la parte più profonda di noi stessi. Il messaggio ci giunge chiaramente da questo autore profondo e poliedrico e attraverso un linguaggio colto ed attuale, con uno stile chiaro e preciso, egli delinea mirabilmente ritratti di vite vissute solo parzialmente, a causa di un destino poco generoso, sofferte fino in fondo, esistenze mai banali, ma giocate sulle note della solitudine, che ora è rassegnazione, ora reazione. Ogni essere umano, e qualcuno più di altri, porta dentro di sé una propria personale solitudine, intessuta in silenzio, come filo dal colore inconfondibile, nella trama della vita. Non è facile “captare” questo silenzio, comprenderlo, raccontarlo con tanta lucidità, nei suoi aspetti più reconditi ed imprevedibili, con sensibilità e capacità di cogliere le più sottili sfumature, ma Gianfranco Gremo “percorre mille vite”, vivendone fino in fondo ciascuna… L’esistenza senza luce di Valerio, celata dietro una perpetua rappresentazione teatrale, per non avere il coraggio di guardare il proprio volto, disprezzato, allo specchio, strumento di verità, che inevitabilmente gli riman- - 49 - I l S alotto degli A utori derebbe crudamente un’immagine mai accettata… La bimbetta dai capelli castani, prigioniera di un abisso di indifferenza, che si accontenta, per sopravvivere, di briciole d’affetto a basso prezzo, trangugiate tra un orfanotrofio e l’altro, prima di giungere in un nido “meno peggiore” degli altri, in cui c’è anche una torta di compleanno, anche se di legno…la bimbetta infelice che un giorno tutto il mondo avrebbe conosciuto come Marylin Monroe… perché la solitudine, come un male invisibile ed imparziale, non risparmia nessuno, ma segna in modo indelebile. E’ emblematica la storia di Sergio, che salva per lavoro, per passione, dal suicidio i suoi simili infelici, uomini soli, la cui coscienza offuscata in un momento di disperazione, conduce al desiderio di porre fine alla propria interiore agonia… e lui è lì, a lenire quelle sofferenze indicibili, a tendere una mano, a salvare… ma poi è la sua coscienza, quella di Sergio, a dilatarsi improvvisamente a dismisura, fino ad intuire la verità, la realtà della vita senza scampo, che ci attanaglia, che lo attanaglia, fino a fargli compiere quell’ultimo, estremo atto liberatorio… E ancora la vicenda di Marcella, che si rifiuta di vivere, isolandosi dal mondo, ibernandosi in un guscio di “cristallo”, da cui non c’è via d’uscita… nascondersi per non affrontare una realtà che fa paura, per non rischiare la delusione, il rifiuto (I giorni passavano, rigidi, uguali, perfettamente calibrati nella loro ferrea organizzazione. Non si po’ tuttavia vivere così, come automi, anche s e la paura è grande.) E Marcella, prigioniera di una solitudine senza speranza, sceglie ancora la vita, con tutte le sue attrattive, i suoi richiami, i suoi rischi; è la vita a chiamarla ancora una volta e Marcella risponde. E molto bello, per chiudere la panoramica dei racconti, è l’accenno al bimbetto, innocente ed infelice, che la madre non riesce ad amare, a cui ella si rivolge con tono impaziente ed irato, quasi fosse colpevole di essere al mondo ed in cui l’autore rivede un altro bimbetto, lontano nel tempo e nello spazio, che porterà sempre dentro di sé, carico ancora di un fardello difficile da deporre, impossibile da dimenticare… E’ il bimbo non cresciuto, sofferente, ignorato, che resta dentro di noi, uomini e donne soli di domani, a condizionare delle vite “con rabbie e livori non risolti”. Il resto del libro, di profondo interesse letterario ed artistico, il lettore lo scoprirà da sé, pagina dopo pagina… PURCHÈ NASCA QUALCOSA di Giovanni TAVCAR nei riguardi della figura di un Dio Padre, ma paradossalmente distante ed è una distanza, arcaica e futura, che non riesce in nessun modo ad essere colmata. Resta l’indubbio valore di questa ricerca esistenziale, effettuata con umani, effimeri passi, nella quale ciascuno o perlomeno molto noi possono identificarsi sullo sfondo di un tempo / fato, che scorre indifferente ed imperturbabile, giorno dopo giorno senza risposte, trascinando con sé in un ingannevole turbine sogni ed umane illusioni che solo la Fede, seppure sofferta e tormentata, può placare. La Fede non muore mai, non può morire nel percorso così prezioso di questo sensibile poeta, e le domande per cui non v’è risposta costituiscono certamente non un abbandono di essa, ma una sete mai saziata di figlio, un desiderio profondo ed imperituro di lasciarsi comunque e sempre catturare dalla mano di Dio. Ciò si può chiaramente dedurre dalla dedica di apertura del libro “Nulla è fuori / dalla mia coscienza, / né l’universo / né Dio”, frase che può essere senz’altro considerata riassuntiva di tutto l’iter esistenziale dell’autore ed espressione della sua stessa essenza. Ed il fascino più profondo di quest’opera consiste poi nell’essere Vangelo vivo, forte, senza ipocrisie, senza formalismi; nel porsi autenticamente nel suo sentire, senza timori e con profonda convinzione, per cui al raro e indiscutibile valore poetico si aggiunge un valore di testimonianza, che fa di Tavcar quasi un “profeta del moderno” in un mondo torturato dalla sofferenza e soffocato nella confusione. ( Il profeta… è colui che scruta attento / il presente / e lo confronta con la parola / di Dio / che è l’unico e vero futuro / del mondo ). Il poeta-profeta non si stanca di annunziare al mondo la tenerezza, la bontà di Dio ( La tenerezza / è l’atteggiamento / di Dio / verso la sua creatura…); la Pace vera non come imposizione, ma come atto d’Amore, seme che porterà frutto; la Speranza attraverso la convinzione che nella vita, e soprattutto nela vita del cristiano, nulla è per sempre e tutto può essere trasformato e sanato, nell’ottica del Regno di Dio, che non è rassegnazione, ma fiducia nell’ amore del Padre, che fluisce risanando; e non si stanca di annunziare l’Uomo stesso, la cui dignità egli non cessa mai di sottolineare ( senza / la presenza dell’uomo / nel creato / neppure Dio / avrebbe una voce ) e la cui povertà ed emarginazione non è disgusto agli occhi di Giovanni Tavcar, ma ricchezza, come lo è agli occhi immensi di Dio. È dunque un poeta-profeta coraggioso, inesorabile, che grida il suo scandalo, il suo orrore di giusto contro la guerra, la forza, la violenza, contro ogni sorta di sopraffazione, baluardo nei secoli dell’ umana potenza; nella realtà segno definitivo e vergognoso dei sconfitta dell’uomo. Concludo con un commento alla bellissima lirica “ Purché nasca qualcosa” che dà il nome all’intero volume: Dio è un seminatore folle, generoso, pronto a sprecare tutta la semente possibile, pronto all’incontro con l’umano senza riserve, purché nasca qualcosa; ed è questa fertile, generosa semente che Giovanni Tavcar raccoglie, andando per le strade del mondo, le strade di Dio, e diffonde con amore, con profondo amore. Un libro prezioso dunque, assolutamente da non perdere. Stupenda e particolarmente avvolgente è l’opera del grande poeta trilingue, narratore e saggista, Giovanni Tavcar, dal cui complesso mondo interiore traspare una visione esistenziale ed un intenso sentire poetico. Una poesia profondissima, impalpabile e nello stesso tempo molto forte, che scava nelle coscienze. Si nota un innegabile contrasto tra la sua fede, meravigliosa, autentica, vissuta e la visione di un’esistenza immutabile ed in qualche modo “perduta”; assolutamente disincantata e sofferta ( Dov’è il Tuo Regno, o Signore? / Perché continua a non venire? / Perché tutte queste spietate guerre, tutti / questi morti innocentii, / tutte queste orribili torture? ) Sorgono interrogatori enormi, trascendenti, irrisolvibili - 50 - E state 2008 ALDO DI GIOIA ALICE…E LE TUE MERAVIGLIE? di Albertina ZAGAMI Carta e Penna Editore Mi auguro una notte, di visitare “i sogni e gli incubi notturni” di Albertina Zagami, per farla svegliare con una fragorosa risata liberatoria. Forse, svegliandosi di soprassalto, mi manderà a quel paese, ma sarà tutto a fin di bene e perché no, magari spunto per un suo racconto “strano”. Per altro, dalla conoscenza diretta non avremmo potuto asserire che Albertina Zagami, l’Autrice di “Alice … e le tue meraviglie?”, fosse avvolta da questi malinconici pensieri fin dall’”Alba”. Lei, presidio “Slow Food” per Carta e Penna ed il Salotto degli Autori nella prestigiosa cornice del Circolo dei Lettori di via Bogino, a Torino, vorrebbe essere invisibile, e raccontarci storie restando dietro un muro di “nebbia pallida”. E’ soprattutto scrittrice da fiaba, e lo evidenzia già nella quarta di copertina con il suo “piccina”, per rimarcarlo in diverse composizioni, “ho allungato la mano per sfiorare/ il mantello dell’arcobaleno”, o ancora: “nubi di zucchero filato/ si consumano/ nella penombra del tramonto”. Ci spiace dover rimarcare questa sua vena così pessimista, a volte quasi autolesionista delle sue poesie, tanto da desiderare di annullarsi nel vento per essere lì sepolta, così in contrapposizione al suo mondo di filastrocche e fiabe che ce la fanno apparire così eterea, (anche per costituzione) e spensierata. Questo concetto è ben espresso dall’Autrice che, avvolta nel suo “Scialle rosso” e assillata da dubbi amletici cita: “Quando il sole si addormenta/ vorrei correre con il fiume/ nell’eterno conflitto/ di luce e di ombra,/ all’infinito”. Come già detto, il suo mondo incantato ritorna anche nelle sue odi per rimarcare però, con passaggi di lirica bellezza (“Ultimi giochi di sole/ creano ombre cinesi/ sui muri accaldati e stanchi), il suo voler essere invisibile “Il cuore trema/ e si rannicchia per non farsi sentire”. Vorremmo rilevare, in una nota che per un attimo stemperi la pressione di questo cielo grigio, che nella poesia “Pioggia”, il concetto “la pioggia si confonde/ con le lacrime” è stato anche espresso da Fabrizio De Andrè: “C’è anche chi aspetta la pioggia/ per non piangere da solo”. Quindi l’Autrice è in buona compagnia, resta il dubbio, che si aggiunge a quelli di Albertina, di sapere chi avrà l’imprimatur della primogenitura. E non se ne dolga la poetessa, anche in presenza di questo testo molto amaro, a cominciare dalla bella immagine di copertina, noi, abbiamo colto il suo profumo. IL RIO RACCONTA di Donatella GARITTA Neos Edizioni (Dicembre 2007) da lungo tempo, con meticolosa preparazione, prova ne siano le sue “Note” e la sua pressante e puntigliosa “Cronologia” e “Bibliografia”, oltreché la parte di ricerca storica “Che cosa accadde in Piemonte nel 1600?” che fa da corollario al romanzo. Alla fine con la Neos Edizioni, ha stappato la sua bottiglia di “Barolo”, invecchiato col tempo nella cantina del suo cuore dove sono stati smussati gli angoli per esaltarne la rotondità del sapore. De visu, non avremmo potuto affermare che l’Autrice era già presente sul territorio nel 1630, ci pareva, bocciolo di rosa nel mese di maggio, ma tant’è, questo ci rivela già dalle prime descrizioni di quegli anni, appunto. Fin dai primi vagiti il nuovo nato ci è apparso tenace e puntiglioso, “il canale, snodandosi per più di settecento trabucchi, era il simbolo della tenacia dei paesani che, lottando caparbiamente, erano riusciti a ottener ragione sui paesi vicini”. La sua determinazione ci è subito riproposta in un passaggio cruciale del libro, che tiene vivo il racconto: Sebastiano, “svegliatosi alla frescura della sera, sconvolto per la perdita della famiglia e della casa, si ripromise di non arrendersi”. Da qui in poi il racconto è pressante ed elaborato e trova spunti anche per riflessioni puntigliose, belle contrapposizioni, attimi devoluti agli affetti parentali: “e la vista di una corona del rosario lo fece trasalire: era quella di sua madre, i grani di legno li aveva intagliati lui” e, “il magone gli strinse la gola, gli occhi gli si riempirono di lacrime; la rabbia s’impossessò di lui come la marea montante s’impossessa della spiaggia”. L’Autrice, nel racconto ci regala anche delicatezze: “il pallido incarnato del volto, incorniciato dai capelli setosi” o “la bellezza di quella donna dal profilo di cammeo”, ma ci viene da dubitare che per l’antica dottrina della metempsicosi, in un’altra vita sia già stata additata per stregoneria: “cercando di dare sollievo al malato, i dottori avevano somministrato diverse bevande medicinali preparate con la polvere di perle tritate, i fiori di borragine e di croco con l’aggiunta di miele di castagno e vino consacrato”. Ed è sull’onda di parole dette e non dette, sul lasciare intuire cose a seconda della fantasia e della sensibilità del lettore, che Donatella Garitta ci prende per mano e ci accompagna nel gossip che ha resistito nel tempo fino ai giorni nostri: “Non bisogna dimenticare che la moglie è francese, forse sarà possibile qualche alleanza con i cugini d’oltralpe, ma…chi lo sa…? L’umore dei Savoia è mutevole”. Notevole è anche l’abilità della Scrittrice di attrarre la curiosità del lettore, portandolo a spasso per i capitoli del suo libro, senza svelargli fino all’ultimo l’arcano: “aveva notato, buttati sotto un portico, sopra uno dei carri del fieno, alcuni sacchi e, non visto, ne aveva aperto uno: conteneva grano; deluso ne aprì un altro, uno degli ultimi, ben pigiato tra gli altri e sorrise: aveva trovato quello che cercava”. Ora, non chiedeteci cosa stava cercando Sebastiano (il protagonista), sarebbe come svelare un segreto che neanche sotto tortura ci lasceremmo sfuggire, ma il racconto è fluido ed articolato, un buon viatico per proseguire il cammino che si snocciola anche tra percorsi a luci rosse: “la lingua esperta di lei s’insinuava dolce- È decisa, impetuosa, determinata, Donatella Garitta quando si prefigge di attuare un suo progetto, e quando decide di dare alla luce un figlio, si documenta, prende in considerazione ogni minimo particolare, ne sviscera l’intima costituzione, per far si che alla resa dei conti, questo progetto possa essere il migliore possibile. “Il rio racconta”, è il figlio inespresso che Donatella Garitta teneva nel cassetto, lavorando alla sua nascita - 51 - I l S alotto degli A utori mente nei punti più intimi del corpo” o, “Quando lei si pose a cavalcioni…”,che tendono una trappola accattivante e pruriginosa al lettore. Lasciateci passare come ciliegina sulla torta il racconto che Francesca e Stefano hanno snocciolato tra “guerre tra Savoia, francesi e spagnoli, (che) aveva sfiorato appena il paese sul rio”, racconto fatto per interposta persona lasciando l’Autrice per un attimo in disparte, come seduta in un’aula d’università in un giorno d’esami, ad ascoltare attentamente “il professore, (che) accarezzandosi la barba ben curata e puntando gli occhi nel viso (dell’esaminanda, chiese): mi esponga la situazione socio economica dei domini Sabaudi nel XVII secolo. Francesca iniziò: I domini sabaudi nei primi anni del XVII secolo”…bla bla bla. Stefano e i lettori, sorrisero. RAFFAELE DI VIRGILIO LA POESIA DI ALDA FORTINI - La privacy lirica della Fortini - affidata sinora a quattro sillogi poetiche : Il primo verso, ed. Il Conventino, 1978; Scritti sciolti, Soc. ed. Vannini, 1991; Ideali di cristallo, Venilia ed., 1994; Tempo sconfinato, Lorenzo ed., 1997 - è molto difficile da visitare, od anche da spiare, perché non ha ‘finestre’: è il respiro fiabesco (ed eroico) di un’anima che non conosce cedimenti («non è di me arrendermi», Battitura finale 1978) e che non ha occhi per le sorti passate presenti future del mondo. Non è un caso che nei momenti di grazia di questa poesia i normali e realistici rapporti di successione temporale si dissolvano e si trasfigurino da un lato in nostalgica o aborrente memorizzazione del domani e dall’altro in profetico preannuncio di eventi già inchiodati nella morsa implacabile di un passato senza ritorno. Il «taccuino» aristocraticissimo di donna Alda, una schiva ventenne che ha letto da gran signora per altri due ventennî il libro della vita (o, meglio, di una singolarissima vita ‘iperurania’), è un «diario» - uso vocaboli suoi - che anche quando registra date e luoghi affida la sua forza evocativa ad un ‘cronotopo’ esistenziale le cui leggi segrete fanno tutt’uno con quelle che presiedono alla vita silente di un’umanissima polis senza ‘dove’ e senza ‘quando’; vorrei anche dire: senza ‘chi’, dato che le rarissime apostrofi della poetessa ad un ‘tu’ o ad un ‘lui’ sempre enigmatici e senza volto - incastonate quasi sempre in infinitesimali frammenti di vita, come ad esempio la ‘coincidenza’ che annulla con finezza conturbante la distinzione io-lui nella lirica Il pomeriggio del silenzio 1997: «mi coincide l’amico» - confermano, non che smentire, la strenua espansione ‘implosiva’ della fantasia fortiniana, che conquista il lettore additandogli un Eden che si lascia vagheggiare nella sua luminosa dimensione umanizzante proprio in grazia della perentoria e sistematica rimozione di qualsivoglia aggancio ai motivi ricorrenti della grande poesia universale, dal sogno di una cosmopoli ideale (penso a Virgilio) alla tessitura di esperienze ‘corpuscolari’ di sodalità - pur sempre altamente coivolgenti - come ad esempio l’amore (penso a Catullo). Chiedere a questa donna dal seducente profilo interiore le ragioni di tale macroscopica estromissione sarebbe non solo violare il sacro perimetro del suo nido esistenziale, ma sarebbe addirittura un insulto alla sua fiera, ed insieme accattivante perché inerme, dignità intellettuale ed umana. La Fortini proviene da esperienze di studio e di scuola sostanzialmente estranee all’area e alla routine del classicismo tradizionale, ma il suo umanesimo esistenziale è pur sempre ‘mediterraneo’ e non ha nulla di nebuloso: negli anni della sua maturazione ‘efebica’ ella ha imparato soprattutto dalla scuola ad osservare da vicino e a (ri)vivere il bello figurativo dell’arte greca antica, donde la nitidezza solare dei suoi fantasmi poetici, sublimata da un amore autentico e squisitamente aristocratico, per la natura agreste, sentimento che forse appartiene ad un DNA ancestrale, trasmesso in eredità a donna Alda da una secolare e domiciliare frequentazione feudataria della campagna. La solarità delle fantasie fortiniane è classica ed insieme classicistica perché da un lato è espressione di una luminosa ‘mediterraneità’ nativa, dall’altro è figlia dell’arte plastica ellenica (ut sculptura poçsis!»), della quale la poetessa di Villongo ha colto genialmente la tensione ideale verso la conquista dell’eternità, di quel tempo sconfinato che ella ha insediato a futura memoria nel frontespizio dell’ultima raccolta delle sue liriche e vede racchiuso nella durata impercettibile ed insieme sconfinata dell’attimo. E’ secondo questa prospettiva che vanno storicizzati i ‘debiti’ della Fortini nei confronti della tradizione letteraria, soprattutto di quella otto/ novecentesca, contattata pudenter et raro e arricchita con l’apporto inedito di stimolanti suggestioni filosofiche e scientifiche tradotte in squisiti ed apparentemente elementari mitemi, come ad esempio la laicissima idea/immagine - risalente ai primordi biologici dello strutturalismo - secondo cui il «tutto esiste in una sola parte» (Zingaro 1978), o la folgorazione nichilista di Gorgia il relativista siceliota («Nulla esiste», Reale contro infinito 1978), o il rinvio ai cosiddetti ‘buchi neri’, che sono un dono sconvolgente della relatività einsteiniana («Cammino verso una meta / che la mia rapidità nasconde», Il lago 1994: una velocità non reale ma infinita, concepita e mitizzata su basi scientifiche come superiore a quella della luce, sottrae la meta al campo visivo dell’osservatrice, arretrandola alle sue spalle e rendendogliela appunto invisibile). Vedremo qui di séguito che la poesia della Fortini è una lotta sofferta ma vittoriosa contro una «crudele barriera» che si lascia interpretare come scacco inflitto dal tempo reale all’homo humanus (La casa popolare 1994) e una chiosa eloquente dei due versi testè trascritti si può leggere in una successiva lirica di Tempo sconfinato, dal titolo significativo Il limite (1997), nella quale la poetessa orienta simpaticamente il lettore nella giusta direzione esegetica dichiarando di porsi «a discutere isolata di grandi teorie» per poi scolpire questo lapidario apogftegma altrimenti oscuro ed astruso: «Impossibile giungere dove il ricordo / ha già annunciato la sua venuta». Qui il cronotopo si muove (più propriamente: si è mosso) lungo l’asse einsteiniano del tempo, donde il paradosso (apparente) del «ricordo» che anticipa il suo oggetto, cioè l’equivalente della «meta» del viaggio spaziale di cui sopra; e in tale contesto esoterico va inquadrata l’immagine del «tempo che barrica le porte», - 52 - E state 2008 cioè si blocca ed immobilizza lo spazio (Il cancello chiuso 1997; un’utile ‘didascalia’ è offerta al lettore dal «vuoto / di un cancello chiuso» in Fatti di sempre 1997). Non sfugga la natura (ri)creativa - o, se si vuole, (re)inventiva - di certe immagini fortiniane che rinviano a modelli facilmente riconoscibili e che appunto in forza dell’esibizione di tale dipendenza rivendicano una originalità provocatoria grazie a contestuali variazioni ‘rigeneranti’: si pensi alla riproposizione di un tema ‘iconico’ come quello del «muro d’orto» assunto da Eugenio Montale come sema del limite invalicabile che inchioda l’uomo nella irreversibilità della sua amechanía. Orbene, nel riproporre il tema montaliano del muro Alda Fortini lo atteggia in modi diversi e con variazioni sinonimiche (a parte le lessie «barriera», «limite», «cancello chiuso», che già conosciamo): «muro rosso» (Tu e l’infinito 1978), «muro dei cocci» (La ruota1994), «muro di cinta» (titolo omonimo 1994), «muro diroccato» (Il casolare 1994), «muraglia» (Il porto 1994 e La meta prefissa 1997); fra le denominazioni sostitutive del muro merita una menzione speciale la ‘leopardiana’ «siepe», riservata dalla Fortini all’ultima (e pienamente matura) raccolta delle sue liriche (1997: Lungo le mura, Il violino del vicolo, L’oasi) insieme con la parola chiave «confine», che fa da contrappunto antitetico al titolo della silloge in Non confondiamo, L’oasi, Incontro nonché in La clessidra, che è diversa dall’odicina omonima di Scritti sciolti (1991) e in cui alla voce «confini» fa da preludio una più rara parola chiave: «margine». Ciò che più conta è però la funzione (pur sussidiaria) di trampolino che quel tema centralissimo adempie nella prospettiva immediata di un atto salvifico che la poetessa compie da sola affidando il successo del proprio messaggio al superamento contestuale di quel limite. L’esito di quel superamento che riscatta l’homo humanus dall’impasse registrata e sofferta ma non superata da Montale - è in effetti uno sconfinamento dell’istante ‘atomico’ (cronotopo dato dalla coincidenza del punctum temporale col punctum spaziale) nell’espansione illimitata (un po’ leopardiana ed assolutamente laica) dell’attimo/kosmos eterno; e per familiarizzare con siffatto sconfinamento che fa coincidere l’akariaîon con l’ápeiron (cioè l’«infinitamente piccolo» con l’«infinitamente grande») si può meditare sulla «festa/incontro» che in 21 marzo (1997) fa tutt’uno con la mozzafiato «ultima riga / di una breve nota». Altrettanto e forse più significativa è la chiusa della lirica Lasciami vedere (1994): «Allontanati vi è un ramo / che batte contro il vetro / della finestra». Questa apostrofe, che va letta con l’occhio rivolto alla lirica I portali 1994 («La prima neve cade [... ] sui vetri della finestra aperta»), richiama d’obbligo alla mente (grazie ad un contrasto costruito provocatoriamente - cioè fortinianamente - su una evidente analogia) il finale di una delle migliori prove poetiche di Giosuè Carducci, Nevicata, in cui sono «uccelli raminghi» a battere col becco contro i «vetri appannati» della finestra (ovviamente chiusa, mentre la «finestra» fortiniana è ‘irragionevolmente’ «aperta») chiamando il poeta, il quale risponde al richiamo col dire che presto raggiungerà quegli amici defunti, venuti a bussare alla sua finestra. La grande forza di suggestione dell’apostrofe fortiniana sta non tanto nella sostituzione di un muto ed inquietante ramo ai piccoli pennuti carducciani, quanto nella drammatica oggettivazione del netto rifiuto che la poetessa oppone al ‘messaggio/richiamo’ implicito nel movimento del ramo che ‘bussa’ alla finestra: diversamente dal Carducci, che dice «giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò», donna Alda si dissocia per e con indifferenza da questo coinvolgimento e non intende affatto trasferirsi presso i suoi defunti, perché la tragedia di quella finestra non ha bisogno di un Ade che la ospiti: è una ‘morte’ altra, cioè una vita (laicamente) eterna come perenne uscita dal tempo; e coerentemente, nella silloge poetica successiva a quella del 1994, la poetessa, con la consueta tensione provocatoria che contraddistingue la sua poetica dell’intertestualità, dà questo preannuncio: «Seppellirò i miei morti / sotto un alto pioppo / dove il tempo durerà in eterno» (Il vecchio quartiere 1997), fornendoci una chiosa finissima di Lasciami vedere, non necessariamente mirata, che fa pensare ai lucidi fantasmi del sogno, poetico e no, a cui nulla sfugge di ciò che è vitale. Da quanto qui esposto emerge con evidenza la squisitezza selettiva dei rapporti che la poetessa di Villongo intrattiene con la tradizione: i riscontri testuali che ella esperisce esibiscono quanto basta perché il lettore riconosca il ‘modello’, ma si configurano sempre come variazioni intese a superarlo. Per quel che concerne il Carducci risulta emblematica una lirica fortiniana nella quale la vendemmia intona una canzone poeticissima, che relega nell’angolo della pedestre prosaicità il «ribollir dei tini» della carducciana lirica San Martino (il cui pur suggestivo finale è, all’insaputa di tutti, la scopiazzatura di un pensiero del Buddha): «Dai filari di uva matura / la vendemmia canta nei tini» (La vendemmia 1994). Questa selettività aristocratica della poesia fortiniana si manifesta prepotentemente anche nella scelta dei ‘modelli’. E’ sufficiente una ricognizione a volo d’uccello per constatare che la Fortini privilegia nettamente i maggiori: oltre al Carducci (e al Pascoli, il cui «gelsomino notturno» è snobbato in La maschera greca 1994: «Fioriranno i gelsomini al sole») spiccano con prevalenza assoluta il già citato Montale, Quasimodo, Ungaretti, nonché Pavese («Verrà il tuo giorno / ma non avrà più / i suoi occhi / ed i miei / saranno bendati alla luce [...]. Verrà la morte / ma tu non ci sarai ...», E pensare che domani 1978), tutti evocati con perentorietà emulativa, argutamente mimetica. Un lungo discorso a parte meriterebbe la silloge poetica Scritti scioltii (1991), che senza mia premeditazione è rimasta quasi del tutto fuori campo nel corso di questa ricognizione critica. Il motivo di tale elusione involontaria sta nella diversità della poetica che presiede a detta silloge e che costituisce un a sé anche in grazia della metrica, contraddistinta da un ritmo più disteso e cantante, modulato in margine ad una temporanea sympatheia dell’autrice con se stessa e con il mondo. A questa ‘maniera’ descrittiva e un po’ scanzonata - si pensi alla duplicazione sistematica degli aggettivi (non dei verbi, che sono gli ‘arieti’ di ogni vera rivoluzione culturale) - ha fatto séguito, tre anni dopo, il rientro adulto nella carreggiata del sentiero che ha portato la ribelle Fortini a riprendere con nuova lena il promettente cammino interrotto e a svoltare con risolutezza liberatoria ad un bivio, «quello in fon- - 53 - I l S alotto degli A utori do» (Punto e virgola di una preghiera, 1994), che finalmente le ha restituito le «pietre dorate» dei suoi anni verdi (Momenti di solitudine 1978). PUEBLO NERUDA Ecco una recensione d’Autore un po’ particolare, direi anomala, recensione di “una persona” nella sua interezza sviluppata attraverso la conoscenza diretta dell’autore che nel caso specifico è: ALDO DI GIOIA E’ difficile introdurre un autore come Aldo Di Gioia, non poeta, il poetare lui afferma essere “cosa nobile” e quando qualcuno gli attribuisce questo titolo, si schernisce, nascondendosi dietro il dito per mascherare il rossore che gli imperla le gote. Il suo essere saltimbanco della penna, per la versatilità con cui cambia sovente e volentieri argomento e lingua, almeno nel senso della lingua volgare, lo rende quasi inafferrabile, anche se i suoi concetti base, tendono ad essere sempre adamantini. Altrimenti neanche lui riuscirebbe più a decifrarli. A parte questo volgare e questo saltabeccare, lo scrivere lo entusiasma, è come se una radice del suo cervello equino, che lui a volte scambia per nobile cavallo, subisse crisi epilettiche che ne alterano la continuità inficiandone la qualità. Nella realtà l’autore è molto più simile ad un mulo, per resistenza, cocciutaggine, caparbietà, e in alcuni casi, quando non affronta gli argomenti con la giusta inclinazione emotiva, si trasforma in asino. Gli piace scalciare l’aria e ragliare alla luna, e questa, non è cosa troppo normale. Quando scrive, i suoi “barbarismi” a volte fanno sorridere, ma nulla più. E questo suo continuo rapportarsi con il “tecnicismo” in contrapposizione con la maieutica e con l’arte umanistica, sembra un continuo lavoro di sfinimento, più simile all’arte della lavandaia che dell’artista scrittore. Lo scrivere di qualità appartiene ad altri, ed è questo il motivo per cui ho accettato di buon grado di ritrarre un suo contorno, di cui il secondo, inteso in senso culinario del termine, sono io. NEVIO NIGRO INNI D’OGNI GIORNO di Alessio Manzo - Carta e Penna Editore - 5 euro L’autore, dotto grecista e latinista, ha tradotto questi inni che scrisse, secoli fa, il grande Prudenzio. Non si creda trattarsi di mera e sola traduzione, ma di un “rifacimento”, una “invenzione” nuova da parte del nostro A. moderno, che appunto A.Manzo. Infatti egli introduce con una sua poesia personale e con un suo scritto gli inni e le scritture poetiche dell’autore latino. Inoltre, come ad es. fa Quasimodo ed altri, la “traduzione” è farina a alta poesia del traduttore, da’ una musica, corpo, vena, fascino personale che unisce a quello del poeta antico tradotto. Se per es. parliamo di lirici greci, non è creazione nuova quella del suddetto p. Nobel? E non c’è alcuno che, nel commentare, non consideri originali di Quasimodo le traduzioni. Ma “de hoc satis”, perché chi legge gli inni di Prudenzio nella riscrittura poetica originale di Manzo, resta colpito, affascinato, e sogna con il nostro cosiddetto traduttore sulle sue note (sì, note!) e sue moderne traduzioni. In cui si apprezza il fascino del poeta antico e del poeta moderno che è Alessio Manzo. E questo avviene anche per chi non crede, in questo tempo in cui poetare così non è tanto comune, purtroppo. GIOVANNI REVERSO IL RIO RACCONTA di Donatella GARITTA SARACINO – Neos Edizioni di Rivoli (TO) 2007 – 11,00 euro. Cimentarsi in letteratura come “opera prima” con un romanzo storico da ambientare a ragion veduta e documentata per non correre il rischio di inesattezze controproducenti, penso non sia stato troppo facile. Eppure la anche giornalista Donatella Garitta Saracino ci è lodevolmente riuscita. Il titolo è accattivante “Il rio racconta” una storia del ‘600. Un rio il cui scrosciare di acque impetuose teneva un tempo lontano compagnia, ma che poi ha finito col disturbare la crescita umana che l’ha imbrigliato. Ma la natura non assecondata, finisce sempre per avere, prima o poi, la rivincita, ed ecco che una forte alluvione ha ridato forza al rio e la sua voce impetuosa si è risentita. L’allagamento di una biblioteca ha portato alla luce documenti antichi che hanno parlato per bocca del rio. La storia raccontata è viva e incentrata su un personaggio, Sebastiano, che non ha nulla da invidiare a un suo pari moderno. È provato fin dalla giovane età, dalla vita che, con la peste, gli porta via i famigliari. Ma l’esistenza, se da una parte toglie, dall’altra dà. Entra in possesso di denaro in parte rubato ai suoi, e incontra una donna: Margherita… “Mai aveva visto una donna tanto bella!” Purtroppo Margherita lo considererà “solo una bella preda da catturare, domare ed esibire”. Però non riuscirà tanto a domarlo neanche con la somministrazione di una polverina che non doveva soltanto eccitarlo, ma ridurlo alla sua mercé (avrà sbagliato la dose?). Avendo capito il genere di donna che era, Sebastiano la lascerà. Altra botta negativa della vita: resta abbindolato da Monsù Chiabotto, un affarista senza scrupoli a cui consegna tutto il suo avere. Ne segue comunque una positiva: salva da un’aggressione una brava ragazza, Rebecca, che gli procurerà un buon lavoro all’Albergo delle Virtù che, sorto come ospizio e ospedale, diventa in seguito officina per forgiare nuovi artigiani, come diventerà poi Sebastiano. Sebastiano sposerà Rebecca (figura ben costruita anche sul piano psicologico) avrà un figlio e diventerà un imprenditore della seta. Monsù Chiabotto riconosciuto contrabbandiere, truffatore e usuraio, sarà impiccato (la giustizia allora funzionava ancora). Non vado oltre, ma posso dire che questo romanzo è ben costruito, ben ponderato, ogni azione è giustificata tale da rendere il romanzo storico avvincente come uno moderno. Non manca nulla, ci sono pagine in cui la bellezza si sposa con la sessualità che muove l’intelligenza per raffinarla. L’esordio di Donatella Garitta Saracino non poteva essere migliore. - 54 - E state 2008 PACIFICO TOPA FESTIVITÀ poesia di Giuseppina IANNELLO SICCARDO - pubb. su questa rivista, n°22 p. 19 Una originale quanto opportuna composizione quella in cui Giuseppina Ianello Siccardo focalizza la validità del periodo festivo del quale oggi molti abusano. Lei ne ha sviscerato le significazioni più comuni, denunciando anche le negatività che sovente accompagnano le feste. Così esordisce l’autrice: “Festività/ forse i tuoi intenti/ sono buoni ma molta gente fa baloria/ di capire il tuo messaggio/ non se ne parla.”. E’ la pura verità! Molta gente trascorre il periodo di vacanza abbandonandosi a bagordi d’ogni genere, obliando il vero significato del iposo. Eppure: “Uno schiocco di dita/ un batter di ciglia/ ed è già Natale/ che meraviglia!”. Questa è la festività forse più cara a tutti; è il momento in cui ci si ritrova, si rinverdiscono affetti ed amicizie. E’ la festa dei più piccoli, giorno in cui vengono organizzati cene e pranzi succulenti, ma, prosegue l’autrice, è anche il giorno in cui i vecchi soli sentono di più l’abbandono, lo stesso dicasi di chi è ricoverato in ospedale, per costoro il Natale è angosciante. Nella notte di Natale si elevano canti e nenie, si accendono mille luci e la gioiosità/ “Forse si ferma su un monte/ forse su un vicolo buio/ è il canto gonfio di pianto/ del viandante, o semplicemente/ dello straniero?”. E’ questo l’interrogativo che si pone Giuseppina Ianello. Lei stessa è imbarazzata e aggiunge: “Cosa dire di più?”. Anche la notte di Natale c’è qualcuno che piange in pieno contrasto con la gioiosità di alcuni. Una acuta osservazione fa poi l’autrice: “E’ Natale; le chiese sono gremite/ di gente che andata per “pregare”/ ma anche per fermarsi/ a parlare del più e del meno”. La chiesa sfavilla di luci risuona di canti: “però c’è un angolo discreto/ vi sta raccolto il perdente/ cercando un dialogo con Dio.”. Lei rivela con acume che c’è qualcuno che , forse angosciato dai rimorsi, e dal peso dei suoi peccati, è alla affannosa ricerca del perdono che solo Dio gli può dare. NOTE D’ARPA poesia di Barbara PARUTTO pubb. su questa rivista, n°22 pag. 34 Con una simbolizzazione quanto mai originale Barbara Parutto fa l’esaltazione dell’arpa, evidenziandone le virtù che questo strumento, piuttosto raro, ma sempre gradevole ad ascoltarsi, ha per l’armoniosità del suo suono. “Senza questa voce/ esile come un raggio di luna”; delicata la similitudine, ma basta un nonnulla per disperdere la musicalità. L’autrice fa delle comparazioni dell’arpa e s’immedesima in questo suono celestiale: “Come acqua sgorgherei/ confondendomi fra i flutti/ senza più coscienza dei confini.” oppure: “Sarei solo una scintilla/ caduta cometa/ traccia dell’arcobaleno/ che svanisce.” Il suono di questo strumento si disperde facilmente alla stessa maniera con cui l’arcobaleno, che si distende dopo un temporale, svanisce celermente, lasciando solo il ricordo dei colori dell’iride che si disintegrano nell’aria. Nell’estasi esaltatoria delle sensazioni che in lei suscita questo suono dell’arpa la Parutto sente la necessità di elevare una lode al creato, una lode che dice ben poco per la sua pochezza, ma riesce a far vibrare l’animo su- scitando lacrime che coinvolgono l’autrice, accompagnandola con “un sommesso pianto”. La composizione riesce a scuotere l’intimità suscitando ammirazione per uno strumento musicale che, per l’armoniosità delle sue note, sa anche suscitare il pianto di un’intima commozione. LA CAREZZA DELLA LUNA poesia di Maria Cristina SACCHETTI pubb. su questa rivista, n°22 La calura estiva spesso stimola a trasgredire ad ogni forma i pudore per cui Maria Cristina Sacchetti descrive alcuni momenti della sua intimità giustificandoli con la torrida estate in cui il corpo ha bisogno di liberarsi da qualsiasi forma di costrizione. Nella notte afosa dell’estate, lei se ne sta tranquillamente distesa sul suo letto discinta, senza reticenza alcuna ed espone “i bianchi seni/ alla carezza della luna” che sembra goda di questa nudità; una scena intuibile anche se può sembrare un poco osé, l’afa richiede spesso il superamento di ogni reticenza, specie quando si è nella più sola intimità. Anche la luna viene coinvolta e assume il ruolo di galeotta nel carezzare, con la sua pallida luce, quella scena. In questa atmosfera di relax: “Ali metto ai miei pensieri/ e percorro filigrana di giorni/ consumati di tempo.”. Si ricordano gli eventi del passato, quelli degli anni verdi e allora riemergono incontri galeotti, scappatelle notturne alla luce delle stelle, scampagnate in montagna, situazioni emozionanti, perfino: “promesse e giuramenti spudorati.”. Questo è ricordare la gioiosità e la spensieratezza della gioventù, vissuta nel pieno senso della parola, senza limiti. Ma, questa rimembranza è di breve durata “Un sospiro profondo/ torno al presente, rientro nel corpo/ sul letto disfatto.”; si ripropone la realtà in tutta la sua crudezza, ma c’è sempre l’atmosfera galeotta, perché: “L’incantevole luna/ la stessa di allora/ tende i suoi raggi/ lambisce il mio cuore.”. Quella luna, complice di momenti emozionanti, sembra ammiccare furbescamente prima di andare ad eclissarsi “oltre il muro”. Quello che potremmo definire un sogno è scomparso con i raggi stessi della luna. UNA FOTOGRAFIA poesia di Gaetano PIZZUTO pubb. su questa rivista, n°22 pag. 26 la composizione di Gaetano Pizzuto vuole essere un tuffo nel passato favorito da una vecchia fotografia. E’ sufficiente questa, seppure ingiallita, a far riaffiorare alla mente tanti ricordi. “Una parte tappezzata/ a fiorellini rosa/ trascurata dalla luce del giorno”. L’ambientazione è quanto mai realistica, una parete dislocata nella penombra. “Una fotografia appesa/ ingiallita come l’erba d’agosto/ incorniciata da un tenero ricordo”. Una fotografia scattata molti anni fa che, alla sola vista, evoca piacevoli rimembranze, infatti: “Il tuo sorriso disegnato/ dolcemente sinuoso/ i tuoi capelli carezzati dal vento/ negli occhi misteriosi bagliori.”. Queste poche righe descrivono la persona riproposta nella foto. Si ha la sensazione che questa foto sia stata scattata da poco. La sola vista risveglia vecchi ricordi: “Ogni giorno ti penso/ ti penso ora, ovunque sei/ forse sarai poco lontana.”. Allora l’autore da’ libero sfogo all’immaginazione, rivive il luogo ed il tempo in cui venne scattata e ciò suscita “la nostal- - 55 - I l S alotto degli A utori gia di te” una nostalgia delicata come: “un foulard di seta/ che m’avvolge l’anima/ quando scende la sera.”. E’ l’atmosfera più adatta per rievocare il passato, quella della sera che scende per portare la serenità negli animi. Mattutina luce, poesia di Silvia SPALLONE pubb. su questa rivista, n°22 pag. 26 L’alba è certamente uno dei momenti più suggestivi della giornata, dopo l’incubo del buio notturno appaiono i primi bagliori della “mattutina luce”, che riportano una certa serenità negli animi. Silvia Spallone ha ben focalizzato questo momento con una versificazione snella e assai efficace. “Taglia l’ombra/ della notte, a fette/ tra gli antichi/ e moderni palazzi/ ornati di viali alberati/ e piazze in fiore.”. Questo fa la luce del mattino diffondendosi ovunque, lei la definisce: “calda e tiepida” per sottolineare l’affettuosità con la quale viene accolta. Il panorama circostante si rivitalizza, perfino le “acque verdastre dei fiumi” mandano strani riflessi. in questo cromatico risveglio mattutino anche la “dolce e cara Torino” si sveglia sotto una fitta nebbiolina che Silvia Spallone chiama “grigio mantello”. E’ un clima freddo, uggioso, ma non resta che attendere che: “il vento di primavera” disperda questo grigiore definito “foschia d’inverno”. I primi raggi ravvivano con la loro luce “le piante della/ profumata primavera.”. Tutta la composizione è caratterizzata da questo clima albeggiante in cui le cose, dopo il sonno notturno, tornano ad assumere la loro solita veste impreziosita dalla “mattutina luce”. ARCO poesia di Alda FORTINI pubb. su questa rivista, n°22 pag. 39 In un clima idilliaco Alda Fortini descrive un ambiente naturale in cui tutta la scena ha un suo ruolo ben definito, utile a sottolineare la validità di una realtà ricca di suggestioni. “Giorni assurdi nell’estate/ calda e afosa dove il richiamo/ degli uccelli è vago/ e sotto questa siepe/ un nuovo pomeriggio trascorre.”. Ottimamente descritto questo ambiente. Siamo in un afoso pomeriggio estivo, è il momento adatto per approfittare del silenzio che regna attorno per evocare le lontane giornate collegate a tanti ricordi. la scena si fa agreste: “Guardo il grano maturo/ nella distesa alta/ dove il papavero è sparso/ e la mia stagione traduce/ giorni alterni e certi/ sotto gli ulivi maturi”. Si sta facendo sera, mentre voci lontane vanno perdendosi nel semibuio che avanza. L’autrice fa entrare in scena: “un passante/ con la bisaccia a tracolla”, questo per dare un tono di naturalità; contemporaneamente “la fontana all’angolo/ zampilla acqua fresca.”. Da ultimo ecco: “il vento nella sera” che, col suo leggero soffio, trascina le foglie accartocciate, mentre “sotto l’arco di questa casa/ un nido di passeri alto.”. Tutta la composizione assume una tonalità di puro realismo, proposto con una versificazione scorrevole, di immediata acquisizione, il che la rende più gradevole. cui agiscono due unici personaggi: Lombrantil ed il custode della biblioteca. Una prima impressione che si desume dalla lettura è che l’autore descrive, dettaglia, particolareggia, evidenzia aspetti, talvolta secondari, ai quali egli da’ una certa importanza, perché agevolano la conoscenza in cui si svolgono i colloqui e gli atteggiamenti. Un tal signor Lombrantil si reca presso l’edificio che ospita la grossa biblioteca alla ricerca, per consultazione, di un raro e importante volume edito nel ‘500 e del quale ha urgente bisogno. La ricerca si svolge nell’ambito di una intera giornata con la collaborazione del bibliotecario, ma risulterà del tutto vana: il volume non si trova. Fra i due si svolgono sintetici colloqui che evidenziano le diverse caratterologie, specie del bibliotecario, che inizialmente mostra scetticismo nei confronti di Lombrantil, immaginandolo un perditempo, un fannullone, ma quando questi si qualifica per Dottore allora la musica cambia, il bibliotecario diviene assai disponibile e guida il cliente nella dettagliata ricerca del volume attraverso le sontuose sale di un ex palazzo gentilizio, passato poi in mano a un ordine religioso, che lo ha tenuto fino alla data dell’esproprio. Molto dettagliato è il commento sul valore architettonico delle sale che si susseguono, piene di reperti culturali e storici, contraddistinti da muffe e polvere, elementi sottolineano lo scarso utilizzo che si fa della biblioteca. Il rinvenimento di una stanza assai riservata nel cui scaffale vengono trovate alcune scarpe, una parrucca, il tutto fra ragnatele e muffe, confermerebbe l’esistenza di un tesoro nascosto che sarebbe appartenuto a personaggi ivi abitanti molti anni addietro; tutto questo vivacizza il racconto e chiama in causa una vecchia diceria secondo la quale nella stanza si sarebbe nascosto un tesoro. Ma, la diceria non ha alcuna convalida. Si prosegue nella ricerca, vengono ricontrollati gli schedari, ma del volume nessuna traccia. Alla fine di questa laboriosa e stressante ricerca risultata vana, essendo già buio, lombrantil decide di rinviare al giorno dopo la prosecuzione della “ricerca fino a quando......”. QUASI UN PRELUDIO di Franco FAVATÀ – Monte dit. – Melegnano (MI) 2008 “Quasi un preludio” è il titolo emblematico di un racconto che Franco Favatà ha ambientato in una biblioteca. Lo si potrebbe definire uno spaccato di vita reale in - 56 - E state 2008 P R E M I L E T T E R A R I Sui siti Internet dell’associazione è disponibile un servizio gratuito di inserimento automatico dei bandi. CENTRO ARTISTICO CULTURALE ARTE CITTÀ AMICA - TORINO 5a edizione (2008) Premio Nazionale di Arti Letterarie Art. 1- Possono partecipare al concorso autori italiani e stranieri con elaborati in lingua italiana a tema libero. Art. 2 - Il concorso si articola in 4 sezioni: z poesia singola z volume di poesie z romanzo edito z racconto inedito. Art. 3 - Gli elaborati partecipanti al premio non saranno restituiti. Art. 4- Il giudizio della giuria è insindacabile e inappellabile. Art. 5- Le opere partecipanti dovranno essere inviate alla segreteria del premio, presso il Centro Culturale Arte Città Amica di Via Rubiana, 15 - Torino, entro e non oltre il 31 luglio 2008. Allegare copia del bollettino di pagamento. Art. 6- La quota di partecipazione è fissata, in € 20 per una sola sezione. Ogni sezione in più, comporta una maggiorazione di € 5. La quota potrà essere versata sul conto corrente postale numero 51814473 intestato: Arte Città Amica Centro Culturale, via Rubiana, 15 - 10139 Torino oppure con assegno, vaglia postale o versata direttamente alla segreteria del Centro nel termine indicato. E’ importante indicare nella causale di versamento: “Premio Nazionale d’Arti Letterarie”. Art. 7- I premi dovranno essere ritirati al momento della cerimonia conclusiva. Non saranno spediti per posta. Art. 8- In base al D.L.vo n. 196/03 e successive modificazioni i dati dei partecipanti saranno utilizzati esclusivamente per il premio letterario. Art. 9- Non si accettano copie non dattiloscritte. Eventuali copie scritte a mano annulleranno la partecipazione al premio Art.10- I vincitori del concorso saranno avvisati con lettera. I risultati verranno pubblicati sul sito web: www.artecittaamica.it Art.11- Con l’adesione al concorso il concorrente accetta il presente regolamento. Art.12- La premiazione avverrà il 4 ottobre 2008 presso la GAM di Torino. Tutti i vincitori saranno avvisati. Art.13- Per informazioni: segreteria del premio tel. 011/ 7768845 - 011/7717471 consultare il sito www.artecittaamica.it - E-mail: [email protected] SEZIONI z poesia singola: Il concorrente dovrà inviare un massimo di 3 z poesie dattiloscritte, a tema libero. Occorre inviare 4 copie per ogni poesia, di cui solo una recante nome, indirizzo e numero di telefono. z volume di poesia Dovrà essere stato pubblicato negli ultimi 5 anni. Occorre inviarne 4 copie di cui una sola recante nome, indirizzo e numero di telefono. z romanzo edito Dovrà essere stato pubblicato negli ultimi 5 anni. Occorre inviarne 4 copie di cui una sola recante nome, indirizzo e numero di telefono. z racconto inedito. È prevista la partecipazione con un massimo di 3 racconti dattiloscritti, a tema libero, non superiore alle 10 cartelle con 1.800 battute per cartella. Occorre inviarne 4 copie di cui solo una recante nome, indirizzo e numero di telefono. PREMI - (per ogni sezione) 1° classificato: trofeo, diploma d’onore e opera d’arte 2° classificato: targa d’argento , diploma d’onore e opera d’arte 3° classificato: targa d’argento , diploma d’onore e opera d’arte 4° classificato: medaglia d’argento, diploma d’onore. 5° classificato: medaglia , d’argento diploma d’onore. Saranno assegnati altri premi comprendenti coppe, medaglie e segnalazioni con diploma d’onore. L’ASSOCIAZIONE CULTURALE NOIALTRI organizza il Terzo Premio Internazionale “NOIALTRI/POESIA” REGOLAMENTO Art.1) Il concorso è aperto a tutti, senza distinzione di età anagrafica e di nazionalità. Art.2) Si partecipa con una sola poesia, non superiore ai 20 (venti) versi (pena, l’esclusione dal concorso), a tema libero, in lingua italiana, in vernacolo o lingua straniera (per il vernacolo e la lingua straniera è necessaria la traduzione in italiano). Art.3) La poesia deve essere inedita, mai pubblicata su riviste del settore o antologie e mai premiata in altri concorsi. Art.4) Di ogni poesia è richiesta una sola copia con firma e indirizzo dell’autore. Art.5) Per le spese di segreteria è richiesto un contributo di € 10,00 da versare sul c.c.p. 13420914 intestato a: Andrea Trimarchi via C. Colombo, 11/A – 98040 Pellegrino (ME). Essendo il concorso legato alla promozione libraria, il concorrente, per la quota versata, ha diritto a ricevere un libro della NoialtriEdizioni. Art.6) Tutto il materiale dovrà pervenire in redazione entro, e non oltre, il 20 luglio 2008 al seguente indirizzo: NOIALTRI via C. Colombo, 11/A – 98040 Pellegrino (ME). MODALITÀ DI VINCITA Art.7) Tutte le poesie pervenute verranno pubblicate sulla rivista NOIALTRI di settembre/ottobre 2008 in forma anonima, cioè, prive in calce del nome e cognome dell’autore. La rivista verrà inviata, oltre ai partecipanti, ai lettori e collaboratori, alle associazioni, biblioteche, giornalisti e critici letterari, i quali, con il loro voto decreteranno la classifica dei vincitori. Art.8) Ogni votante potrà esprimere fino a 10 (dieci) preferenze, indicando nella scheda/voto allegata il titolo della poesia, la pagina e il numero cronologico corrispondente. La scheda/voto dovrà pervenire in redazione entro il 20 ottobre 2008. Art.9) Dai punteggi ricavati verrà stilata la classifica dei vincitori e pubblicata sul numero di novembre/dicembre di NOIALTRI. Art.10) Al primo classificato, verrà assegnata una prestigiosa targa personalizzata, con sopra incisa la poesia vincitrice; al secondo e al terzo classificati, una targa personalizzata; al quarto e al quinto classificati, un diploma, più regali in libri. Art.11) Tutto il materiale giunto in redazione non verrà restituito. Art.12) La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento. INFORMAZIONI: Cell.: 339-7383485 E-mail: [email protected] - 57 - I l S alotto degli A utori SECONDA EDIZIONE DEL CONCORSO SAN MODULO d’iscrizione apposito (anche fotocopiato o scritto BENEDETTO NEL CUORE in proprio) pubblicato anche su www.club.it e www.literary.it Il concorso si articola in tre sezioni per inediti di autori maggiorenni A ) Poesia uno o due componimenti a tema libero, in 9 copie. Lunghezza tassativa massima 35 versi.(formato 12) B ) Narrativa un racconto breve a tema libero in 9 copie max. 4 cartelle; C ) Narrativa a tema un racconto breve, in 9 copie nel cui canovaccio narrativo sia contemplato l’universo femminile: la donna, le sue emozioni, le sue lotte. Max 4 cartelle. A tutti i finalisti ovvero vincitori, segnalati, menzionati,ed eventuali Premi Speciali. Un Vincitore Assoluto Primo classificato della quartina finalista per ogni sezione,verrà premiato con targa personalizzata, artistico-fotografica. Ai tre rimanenti sarà assegnato a pari merito il Secondo Posto e saranno consegnate pergamene, libri, elaborazioni artistico-fotografica Tutti i finalisti saranno premiati con Attestati di Merito,Segnalazioni, premi speciali; con volumi di narrativa o saggi, ed eventuali plaquettes con i testi vincitori a uso interno. Quota di partecipazione: euro 5 PER SEZIONE da inoltrarsi direttamente in contanti ben occultati all’interno del plico o con vaglia postale al referente acc. Daniela Bruni Curzi all’indirizzo sottoindicato.Uno stesso autore, potrà con lo stesso invio, concorrere ad ognuna delle tre sezioni con opere dissimili ma con buste ben separate contenenti le tre quote e il Gli elaboratidovranno essere inoltrati solo a mezzo Posta Prioritaria a: “Premio Letterario DANIELA BRUNI Via LAUREATI n° 89 –63039 – SAN BENEDETTO DEL TRONTO (AP). I testi devono essere anonimi All’interno del plico si allegherà: componimenti, quota , una busta anonima chiusa (riportando nella parte esterna solo l’indicazione della Sezione prescelta); il modulo di iscrizione. Per la sola Narrativa è necessario che l’opera-e venga riprodotta in floppy-disk o CD. Gli elaborati non rispondenti alle caratteristiche indicate non saranno presi in considerazione. L’organizzazione non risponde di disguidi postali, plagi ecc. SCADENZA: 30 NOVEMBRE 2008 La Data della Premiazione sarà comunicata ai SOLI finalisti e a chi, desiderando essere informato sulla cerimonia, pur non risultando tra i finalisti,allegherà anche un francobollo e una busta con il proprio indirizzo. I premiati devono ritirare di persona i riconoscimenti Le opere presentate non saranno restituite. Per tutto quanto non previsto dal bando varrà la deliberazione ultima del Presidente di Giuria. Gli interessati dovranno richiedere il bando integrale per prendere visione di tutti i dettagli; contattare a tal fine la Presidente di Giuria acc. Daniela Bruni oppure telefonare SOLO dalle ore 19 alle ore 20 allo 348 470 35 88 oppure RICHIEDERE per MAIL a: [email protected] GRADUATORIA FINALE DEL CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE PROFUMO D’ANTAN La giuria presieduta da Salvatore Saracino, fondatore e presidente di Carta e Penna e composta da: per la narrativa Albertina Zagami e Federica Goria - per la poesia Roberto Bruciapaglia e Rosalba Fano ha stilato la seguente graduatoria: Sezione narrativa 1° posto: Dina Marika Riccardini (Marotta Mondolfo – PV) 2° posto: Stefano Borghi (Cassina de Pecchi – MI) e Gaia Conventi (Copparo - FE) 3° posto: Sabina Bordone (Genova) 4° posto: Fulvia Massini (Lastra a Signa – FI) 5° posto: Gianfranco Gremo (San Gillio – TO) 6° posto: Katia Brentani (Bologna) 7° posto: Maria D’Anna (Acerra – NA) 8° posto: Patrizia De Padova (Pavia) 9° posto: Giacomo Di Blasi (Nicolosi – CT) 10° posto: Vittorio Sartarelli (Trapani) 11° posto: Anna Francesca Basso (Bassano del Grappa – VI) 12° posto: Alessandro Gattuso (Roncello – MI) 13° posto: Lina Palmieri (Torino) 14° posto: Rosanna Bonoldi (Castel Goffredo – MN) 15° posto: Liana Berti (Rimini) 12° posto: Guido Bava (Biella) 13° posto: Amelia Valentini (Pescara) 14° posto: Achille Caropreso (Modena) 15° posto: Fulvio Ferrero (Torino) CLASSIFICAGIOVANISSIMI: Sezione Poesia: 1° posto ex æquo: Federica Alamia (Bagheria – PA), Letizia Di Rosa (Torino) e Luce Santato (Lendinara – RO) Sezione Narrativa: 1° posto ex æquo: Tiziana Napoli (Bagheria – PA) e Silvia Samoggia (Casalecchio di Reno – BO) CLASSIFICAGIOVANI: Sezione Poesia 1° posto: Anastasia Bullo (Lendinara) 2° posto: Riccardo Vecellio Segate (Cavalcaselle di Castelnuovo del Garda - VR) 3° posto: Tiziana Sercia (Bagheria - PA) 4° posto: Francesca Caramanna (Delia – PA)) 5° posto: Chiara Pucci (Calenzano - FI) 6° posto: Mirijam Paci (Delia - PA) 7° posto: Federica Parise (Roseto C.S. - CS) Sezione Poesia 1° posto: Vincenza Cinzia Ricco (Margherita di Savoia – FG) 2° posto: Enzo di Ganci (Lombriasco – TO) 3° posto: Umberto Muller (Torino) 4° posto: Santi Zagami (Torino) 5° posto: Maria De Luca Pistoresi (Messina) 6° posto: Roberto Mestrone (Volvera) 7° posto: Laura Chiozza Puglia (Parma) Sezione Narrativa 8° posto: Gabriella Maddalena Macidi (Mali – VI) 1° posto: Valentina Cavallaro (Torino) 9° posto: Enrico Di Rosa (Torino) 2° posto: Sergio Giuliana (Bagheria – PA) 3° posto: Susanna Trino (Cortale – CZ) 10° posto: Vita Bellacicco (Alpignano) 4° posto: Anastasia Bullo (Lendinara – RO) 11° posto: Annunziata Scarponi (Roma) - 58 - E state 2008 Carisssima Donatella, per troppo tempo ritengo di aver usurpato l’attribuzione di “critico” mentre, a ragion veduta, il mio impegno era quello di esprimere delle opinioni personali (e quindi da “opinionista”) sulle opere sottopostemi. L’antipatica diatriba con De Simone non ha solamente rubato spazio al giornale, ma mi ha anche indotto a riflettere ed a maturare questa decisione.: Togli quindi il mio nominativo dall’elenco dei “critici”ed io, se vorrai, , ma come opinionista, esprimerò liberamente le mie considerazioni sulle opere che tu mi invierai o che gli autori vorranno inviarmi direttamente ma sempre previo accordo con Te. Mi riservo però naturalmente, la libertà di scelta. Guido I CRITICI LETTERARI Gli associati a Carta e Penna hanno diritto annualmente ad una recensione gratuita di un libro edito che sarà pubblicata sulla rivista e sul sito Internet nella pagina personale - Inviare i libri direttamente ai critici letterari con lettera di accompagnamento contenente indirizzo, numero di telefono, breve curriculum e numero della tessera associativa a Carta e Penna. z Gli autori che non sono associati a Carta e Penna e richiedono una recensione dovranno versare un contributo economico variabile a seconda del tipo di libro e quindi dovranno contattare la Segreteria dell’Associazione telefonando allo 011.434.68.13 oppure al 339.25.43.034 oppure scrivendo a Carta e Penna, Servizio Recensioni - Via Susa 37 - 10138 Torino o all’indirizzo e-mail [email protected]. z Il materiale inviato non viene restituito z PACIFICO TOPA Via S. Paterniano, 10 62011 Cingoli (MC) OPINIONISTA: GUIDO BAVA via Dante 9 13900 Biella [email protected] (Inviare solo libri di poesia editi) DE LUCA Cinthia Via Badia di Cava, 62 00142 - Roma e-mail: [email protected] TESTATE CHE COLLABORANO CON CARTA E PENNA E IL SALOTTO DEGLI AUTORI Per l’inserimento contattare la redazione - Si richiede e si offre la disponibilità all’inserimento di estratti dei bandi di concorso e/o iniziative culturali intraprese T e sta ta In d irizzo R e sp o n sa b ile D ib a ttito D e m o c ra tic o P ia z z a S a n F ra n c e sc o , 6 0 - 5 1 1 0 0 Pis toia E n z o C a b ella G li A rtis ti de l gio rn o V ia S a n P ietr o , 8 - 1 2 0 1 2 B o v e s ( C N ) C a rlo D i B e n e d etto Il C on v iv io V . Pie tra m a rin a -V e rze lla 6 6 - 9 5 0 1 2 C a s tiglio n e d i S icilia E n z a C o n ti Il L a b o r a to rio d el S e g n alib ro V ia U g o d e C a rolis , 7 0 – 0 0 1 3 6 R o m a B ru n o Fo n ta n a Il M u lin o le tte ra rio H o fs tras s e ,1 0 7 7 7 8 7 N o rd ra c h (G e rm a nia ) A n to n io P e s ciaio li L a G rinta V ia P a cin o tti, 1 6 - 1 3 1 0 0 V e rc elli S te fa n o D i T a n o L e N u v o le V ia E n e a , 4 7 - 8 0 1 2 4 N a p o li M a r ia Pia D e M a rtin o L e V oc i C .P . 1 2 4 - 8 0 0 3 8 P o m iglia n o d ’A rc o ( N A ) C la u dio P e rillo N o ia ltri V ia C . C olo m b o , 1 1 /a – 9 8 0 4 0 – P e lleg rin o (M E ) A n d re a T r im a rc hi P o e ti n ella S o cie tà V ia P a rrillo , 7 - 8 0 1 4 6 N a p oli P a s q u a le F ra n cisc h e tti P re s e n z a V ia P a lm a , 5 9 - 8 0 0 4 0 S tria n o ( N A ) L u igi P u m b o R n o te s di R u b e ttin o E dito re V ia A . V o lta , 1 6 - 8 7 0 3 0 R e nd e ( C S ) F u lvio M a z z a S c o rpio n e L e tte r ar io C a s e lla p o s tale , 7 4 0 - P a d o v a A n to n ia A rsla n S ila rus V ia B . B u o z zi, 4 7 - 8 4 0 9 1 B attip a glia (S A ) P ie tro R o c c o V e rs o il fu tu ro C a s e lla P o s tale 8 0 - 8 3 1 0 0 A v ellin o N u n z io M e n n a - 59 - I l S alotto degli A utori L’associazione culturale CARTA e PENNA bandisce la terza edizione del Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa Il Concorso degli «ASSI» POTRANNO La cadenza del concorso è biennale e PO TRANNO ISCRIVERSI SOLO AUTRICI E AUT ORI CHE SI SIANO AUTORI CLASSIFICA TI AI PRIMI TRE POSTI IN UN CONCORCLASSIFICATI SO LETTERARIO - È necessario allegare fotocopia della lettera di comunicazione del piazzamento ottenuto oppure copia dell’articolo di una rivista letteraria che dia esauriente resoconto della manifestazione con i nominativi dei vincitori, o copia del diploma - Le opere presentate dovranno essere tassativamente le stesse che hanno avuto un piazzamento nei primi tre posti dei concorsi nazionali e internazionali. Le opere devono pervenire dattiloscritte o chiaramente compilate in stampatello in tre copie di cui due anonime e una con indirizzo, telefono e dati anagrafici dell’Autore. Si prega di allegare il file di testo con Cd, floppy disk o inviarlo con e-mail a [email protected] (Il supporto sarà utilizzato per la realizzazione dell’antologia - Le opere mancanti non saranno inserite) Gli elaborati dovranno essere inviati entro e non oltre il 31 dicembre 2008 al seguente indirizzo: Associazione Culturale CARTA e PENNA - Via Susa 37 - 10138 Torino Farà fede il timbro postale. Per partecipare al Concorso sono state fissate le seguenti quote: Sez. 1 - POESIA: 10 euro per l’invio di una sola poesia 12 euro per l’invio di due poesie; 15 euro per l’invio di tre poesie. TIVA: 10 euro per l’invio di un racconSez. 2 - NARRA NARRATIVA: to, 12 euro per due racconti; 15 euro per tre racconti. Gli associati di Carta e PPenna enna hanno diritto a uno sconto di 5 euro su tutte le sezioni. Le quote dovranno pervenire tramite: -bollettino di versamento sul c.c. postale n, 43279447 (CAB 01000 - ABI 07601) intestato a Carta e Penna; -contanti; -assegno non trasferibile intestato a Carta e Penna; Allegare inoltre un breve curriculum, entro un massimo di 5 righe. zione al Concorso costituisce espressa autorizzazione a un’eventuale pubblicazione e non darà diritto ad alcun compenso per i diritti d’autore. La premiazione avverrà in data da destinarsi che sarà comunicata tempestivamente ai vincitori. Ai partecipanti saranno comunicati l’esito, la data e il luogo della Premiazione, durante la quale saranno lette le opere vincitrici. I vincitori che non potranno ritirare il premio assegnato potranno delegare una persona di fiducia o, su richiesta, riceverlo a casa con spese a carico del destinatario. Il Comitato organizzatore potrà apportare, al presente regolamento, le opportune modifiche per il buon esito della manifestazione. PREMI: Primo Premio: pubblicazione di un libro di 56 pagine con omaggio di 100 copie all’autore; Secondo Premio: pubblicazione di un libro di 56 pagine con omaggio di 75 copie all’autore; Terzo Premio: pubblicazione di un libro di 56 pagine con omaggio di 50 copie all’autore. I libri saranno muniti di codice ISBN, stampati su carta avorio, copertina a colori, con dimensione 15 x 21 circa. Medaglia ricordo e attestato per 5 menzioni d’onore e per 5 segnalazioni di merito per ogni sezione. Saranno inoltre predisposte pagine internet per segnalati e menzionati al sito www.cartaepenna.it Gli organizzatori si riservano la facoltà di pubblicare un’antologia delle opere partecipanti al premio; sarà cura della Segreteria avvisare i concorrenti interessati. I dati personali saranno trattati in ottemperanza alla legge sulla privacy. Per ogni altra informazione: www.cartaepenna.it [email protected] Le opere inviate non saranno restituite. La partecipa- Tel. 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034