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Il Principio di Reciprocità in Fisica

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Il Principio di Reciprocità in Fisica
Poste Italiane. Spedizione in abbonamento postale - 70% aut. DRT/DCB/Torino - N. 3 - Anno 2008 - CARTA E PENNA, Via Susa 37 - 10138 Torino -
ANNO VI - N. 23 - Estate 2008 Poesia, narrativa, letteratura, cultura generale RIVISTA TRIMESTRALE
GLI AUTORI DI CARTA E PENNA
ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO 2008
I l S alotto degli A utori
IL SALOTTO DEGLI AUTORI
ANNO VI - N. 23 - Estate 2008
Editore: Carta e Penna - Via Susa, 37
10138 TORINO
Tel.: 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034
E-mail: [email protected]
Registrato presso il Tribunale di Torino
al n. 5714 dell’11 luglio 2003
DIRETTORE RESPONSABILE:
Donatella Garitta
[email protected]
Stampato in proprio
SITI INTERNET:
www.ilsalottodegliautori.it - www.cartaepenna.it
E-mail: [email protected]
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I testi pubblicati sono di proprietà degli autori che si assumono la responsabilità del contenuto degli
scritti stessi. L’editore non può essere ritenuto responsabile di eventuali plagi o irregolarità di utilizzo di
testi coperti dal diritto d’autore commessi dagli autori. La collaborazione è libera e gratuita.
I dati personali sono trattati con estrema riservatezza e nel rispetto della normativa vigente. Per qualsiasi informazione e/o rettifica dei dati personali o per richiederne la cancellazione è sufficiente una
comunicazione al Direttore del giornale, responsabile del trattamento dei dati, da inviarsi presso la sede
della testata stessa: Via Susa, 37 - 10138 Torino.
Sommario
Dante Alighieri - La Divina Commedia di Carlo Alberto Calcagno (Arenzano - Ge) ......................................12
Raccontami una storia... d’amore Rubrica a cura di Gennaro Battiloro ........................................................... 15
Storia del Teatro di Maria Francesca Cherubini (Perugia) ............................................................................... 16
Il Principio di Reciprocità in Fisica di Enzo Bonacci (Latina) ...........................................................................18
La discriminazione delle casalinghe inviato da Calogero Andolina (Villalba – CL) .......................................... 19
Il ricordo di una grande attrice: ANNA MAGNANI di Gilbert Paraschiva (Trappitello - ME) ....................... 20
A Spello, il seme della fraternità universale di Franco Pignotti (Petritoli - AP) ................................................ 21
Il significato della Relatività Assoluta di Enzo Bonacci (Latina) ....................................................................... 24
Lucrezio: poeta e non filosofo di Giulia Del Giudice (Genova) .........................................................................25
Il vecchio e la città di Gian Franco MICHELETTI (Orbassano - TO) ............................................................ 26
Morte della creatività? di Matilde Ciscognetti (Napoli) .................................................................................... 26
Effetto serra di Giuseppe Dell’Anna (Torino) ................................................................................................ 28
Fiabe e storie albanesi di Bruna Tamburrini ...................................................................................................... 33
Il raggiungibile di Giovanni Reverso (Torino) ....................................................................................................35
Narrativa ........................................................................................................................................................... 36
Per una cultura non consumistica ..................................................................................................................... 45
Recensioni ......................................................................................................................................................... 47
Premi letterari ...................................................................................................................................................57
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E state 2008
La vetrina dei libri pubblicati dagli autori
di Carta e Penna
Tutti i libri pubblicati da Carta e Penna sono presentati sia al sito www.cartaepenna.it sia in queste pagine - I lettori
interessati all’acquisto dei testi possono contattare la segreteria che provvederà a far recapitare il libro direttamente
dall’autore - Per ulteriori informazioni sia per la stampa, sia per l’acquisto dei libri contattare la segreteria dell’associazione allo 011.434.68.13 oppure al cellulare n. 339.25.43.034 o inviare un e-mail a [email protected] - Nelle
pagine centrali di questa rivista sono riportate le modalità associative e di pubblicazione dei libri senza codice ISBN LA MALATTIA DI NIEMANN PICK - Aspetti biologici, clinici e psicologici di Fulvio PALMA e Valentino GIOVAGNOLI
ISBN: 978-88-89209-83-7 - www.niemannpick.org
FULVIO PALMA si è laureato nel 1977 in Scienze biologiche presso la Facoltà di
Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Urbino. Nel 1986
è stato nominato professore associato di Biochimica comparata presso la Facoltà di
Farmacia della stessa Università. La sua attività di ricerca ha privilegiato lo studio delle
dinamiche biochimiche dei processi d’invecchiamento cellulare a cui è stata affiancata
un’intensa attività didattica. Attualmente è titolare della cattedra di Biologia e genetica
del comportamento presso il corso di Scienze psicologiche dell’intervento clinico della
Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
TIZIANA SCHIRONE è ricercatore confermato in Psicologia dello sviluppo presso la
Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Presso l’Università di Urbino è stata professore per affidamento di Principi di terapia
familiare (Corso di Laurea Specialistica in Psicologia clinica del bambino e
dell’adolescente) attualmente di Intervento psicologico sui gruppi (Corso di Laurea
Specialistica in Psicologia Clinica) e dal 2004 a tutt’oggi è docente di Sviluppo infantile
e dinamiche familiari.(Corso di Laurea triennale in Scienze Psicologiche dell’Intervento
Clinico).
VALENTINO GIOVAGNOLI laureatosi in Psicologia nel 2007 all’Università degli
Studi di Urbino “Carlo Bo”, ha maturato la sua esperienza nel campo della riabilitazione
psichiatrica lavorando come educatore di comunità. Da sempre interessato al rapporto
tra psicologia e malattie genetiche, ha approfondito il tema dei vissuti del malato grave
e le relazioni dinamiche che si generano nella famiglia con malattia rara. Collabora
attivamente alla cattedra di Biologia e Genetica del Comportamento dell’Istituto di
Psicologia dell’Università di Urbino.
LA PORTA CHIUSA di Giuseppe PARISI - 15 €. ISBN: ISBN 978-88-89209-80-6
GIUSEPPE PARISI, calabrese di nascita, vive a Roma. Ha svolto la sua attività lavorativa
nel sindacalismo agricolo con funzioni direttive in molte Regioni e Province italiane e all’estero in rappresentanza della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti. Ha collaborato, negli anni, a “Calabria Letteraria”, “La Gazzetta del Sud”, “La Tribuna del Mezzogiorno”, “Il
Corriere di Reggio”. È stato redattore de “Il Popolo” e Direttore di periodici “Il Coltivatore
Calabro” e “Agricoltura e Cooperazione”.
Ha fondato il periodico della Coldiretti Novarese “Agricoltura 2000” e curato le trasmissioni
televisive “Mezzogiorno Verde” a Napoli e “Salotto Verde” a Novara.
Ha pubblicato: “Il porto di Locri Epizefiri” (Roma, 2005 - essegraf srl) - “Palcoscenico”
Racconti (Roma, 2006 - essegraf srl) - “La forma delle nuvole” Racconti (Torino, 2007 Carta e Penna Editore) - Anche questo volume, per scelta dell’autore, sosterrà, con i
proventi derivanti dalla vendita, le iniziative della Federazione fra le Associazioni per
l’aiuto ai soggetti con sindrome di Prader Willi ed alle loro famiglie. Acquistando una
copia de “La Porta Chiusa” si concorrerà a sostenere l’impegno.
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I l S alotto degli A utori
FRAMMENTI DI VITA di Mariateresa BIASION MARTINELLI
ISBN: 978-88-89209-79-0 Prezzo: 15,00
Primo Premio Sezione Poesia a Tema Premio Letterario Internazionale Prader Willi
IV edizione
Dalla prefazione: “Il libro di Mariateresa Biasion Martinelli, costituito da racconti che sono
stati scritti nell’arco degli ultimi dieci, quindici anni, da quando cioè l’autrice ha cominciato a
cimentarsi anche nella scrittura in prosa, rappresenta, per questa ragione, l’evoluzione delle
sue capacità narrative. Noi infatti conosciamo Mariateresa Biasion Martinelli principalmente
come poetessa, e siamo abituati al suo personalissimo stile, capace di evocare emozioni,
immagini, sensazioni profonde, semplicemente usando le parole, poche parole, distribuite
come solo lei sa fare, in armoniosi versi, trasformandole in canto dell’anima. Il libro si apre e
si chiude proprio con una poesia, come se l’autrice avesse voluto aprire e chiudere una
parentesi, una sorta di inciso per raccontare di più, per esplicitare maggiormente i contenuti
del suo universo interiore che le sono sembrati irraggiungibili con la poesia, e quindi indescrivibili
in versi...
Voglio raccontarti una fiaba che possa accompagnarti per tutta la vita, augurandoti
sia lunga e ricca di ogni bene - di Gloria ESPOSITO e Gilberto GERMANI
Primo Premio Sezione Narrativa Premio Letterario Internazionale Prader Willi
IV edizione - ISBN: 978-88-89209-82-0 Prezzo: 8,00 euro
Gilberto Germani: il 12 Agosto del 2002 diventai nonno e decisi di scrivere una fiaba per la
mia prima nipotina Matilde affinché conservasse di me un ricordo particolare. Grazie alla mia
fantasia, all’aiuto di Gloria, Loredana e Isabella, la fiaba Matilde fu un dono gradito e ricevette i complimenti di diverse persone. Ovviamente, quando nel 2004 diventai nonno per la
seconda e terza volta, m’impegnai a inventare altre due fiabe, una per Leonardo e una per
Carolina.
Gloria Esposito: sono nata il 17 Agosto 1965 a Milano, dove vivo con Silvio, mio marito, e
i nostri quattro gatti: Brian, Bilbo, Nirvana e Stanislao. Sono volontaria nel settore animalista
e trascorro il mio tempo libero con libri, videogiochi, musica e lavori femminili. Il legame con
Gilberto, amico e collega di volontariato, mi coinvolse nella realizzazione della fiaba Matilde
e delle successive Leonardo e Carolina. Scoprii, così, anche il piacere e il divertimento di
scrivere ed ebbi l’idea di proseguire con lui la scrittura di fiabe “a quattro mani”.
I SOGNI DELL’INFORMATIVA - Intelligenza artificiale “Affascinante storia di meccanica onirica” di Ines Maria SALVO
ISBN: 978-88-89209-85-1 Prezzo: 12,00 euro
Il testo è un giro d’orizzonte sulla storia dell’Intelligenza Artificiale. Non dal punto di vista
dell’informatico o dell’ingegnere, ma da quello dell’uomo occidentale che per secoli ha sognato di poter esaudire il suo antichissimo desiderio demiurgico di costruire un essere senziente,
quello dei romanzieri che hanno contribuito ad accendere queste fantasie, dando una grossa
spinta alla ricerca, quello dei filosofi che hanno contribuito con il loro argomentare ad intravedere possibili vie di sviluppo per l’Intelligenza Artificiale e quello di grandi logici del passato, i cui concetti non finalizzati ad esigenze applicative, sono stati utilizzati per la costruzione
del computer. Nives Salvo trascina letteralmente i suoi lettori nell’antica Grecia dove fu
inventata la “logica” o fra le pagine de “La Repubblica” di Platone, del “Faust” di Goethe,
delle “Vite” di Plutarco.
Da Socrate in poi, la filosofia ha affrontato i fondamentali problemi dell’Uomo, quali la
formalizzazione della conoscenza e del comportamento intelligente.
IL FUGGIR DEL TEMPO di Enrico BERGAGLIO
ISBN: 978-88-89209-84-4 Prezzo: 13,00 euro
Amore e morte sono le luci e le ombre che attraversano il testo poetico di Enrico Bergaglio.
La commedia umana vista con occhiali addolcita dai ricordi d’infanzia. La tragedia sempre
cantata con tenerezza, quasi a limare la durezza del ferro. Tra le righe e i versi scoppiettano
qua e là gioiose luci di quell’infinito Carnevale che è il desiderio di bellezza o d’infinito. Pause
e riposo pagati a costo elevato che innalzano gli occhi al cielo e accendono la speranza nel
buio. E l’amore, poi, che gira la sua ruota come un mulino a vento. A volte cigola, si ferma per
poi riprendere, non senza scosse, il corso. La vita tutta è accostata con sentimento autentico
e malinconico, come un gioco rubato. La speranza è nel futuro, nei piccoli Andrea, Elena, Elisa
e Riccardo, fiori ancora in boccio che rallegrano con i loro colori l’autunno degli anni. Il fiume
ancora cammina, più lento, un poco più limaccioso, ma la tenebra non ha vinto ancora il sogno
racchiuso nei versi dorati. A presto Enrico, torna a scrivere di bianche nuvole sospese nell’azzurro di un cuore di poeta. A presto.
Vilma Viora
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E state 2008
TORINO È POESIA di Roberto BRUCIAPAGLIA - 15 euro Poesie che hanno improvvisamente preso vita dalle immagini di una Torino vista come in un sogno.
Fotografie di Fulvio Ferrero
Roberto Bruciapaglia, nato a Milano vive a Torino dove ha compiuto i suoi studi e si è
laureato in ingegneria elettronica presso il Politecnico. Ha fatto l’Assistente universitario,
quindi ha lavorato alla Fiat in vari settori strategici. Si è, in seguito, occupato di consulenza
aziendale presso diverse Aziende.
Nel tempo libero si è dedicato alla pittura e alla scultura partecipando a molte mostre collettive. Ultimamente è tornato al suo vecchio amore: la poesia ed i racconti e ha pubblicato il suo
primo volume I fiori del sole.
Ha partecipato ad alcuni concorsi letterari e le sue opere sono state premiate con importanti
riconoscimenti
Con Carta e Penna Editore ha pubblicato, nel 2005, le sillogi poetiche Un altro domani e
Lucciole nel 2006 e il romanzo Torino, un inverno anni ‘60.
BUONA SOPRAVVIVENZA di Fulvio FERRERO - 8 euro
In Buona sopravvivenza l’autore ferma attimi e luoghi in punta di penna e con immagini
suggestive e particolari... poesie e fotografie dedicate a una Torino da osservare con attenzione e un po’ più d’amore.
Fiabe antiche, d’antichi cantori.
Il Simbàal
Nelle mani, il valzer delle bacchette, “Solo per
dall’abisso indorato”.
“Kalinka”,
tre pesci d’oro
Miraggio d’un mare.
col profumo del viburno,
e la figlia del mare “.
echi di cavalli dalle steppe.
Il simbàl echeggia nel
Dedicata al rumeno che
passeggio svagato,
Non suona
suonava il Simbàl in via
la muffa del cuore.
per noi Sadkò,
Garibaldi.
nella via dei mercanti.
Ma la musica,
Sorride assorto
il sogno si libra dolce.
“Solo tre pesci, solo tre pesci
per la storia di qualcuno.
PAROLE DELL’ANIMA di Marzia CAROCCI - 12 euro Ho sempre pensato che la vita debba essere “ascoltata”,ogni istante è degno di attenzione,a
volte però ci troviamo a fare i conti con l’altra parte,quella che teniamo al riparo,quella che
nascondiamo spesso persino a noi stessi;l’ANIMA,ed è proprio la mia interiorità che in questo libro metto a nudo.
Leggendomi molti penseranno che sono pessimista nei confronti della vita,ma non è così,semmai
sono un’ osservatrice attenta e non perdo di vista la realtà,come si suole dire, rimango con i
piedi per terra.
Mi ritengo una persona felice e malinconica nello stesso tempo,riconosco la mia fortuna negli
affetti,ma non dimentico il fine della vita.
Nella mia esistenza ho avuto ed ho l’amore d’un uomo che ho conosciuto a quindici anni ,mi
ha sempre tenuto per mano,con lui non ho mai avuto paura, è l’ancora e la certezza della mia
vita,i miei figli sono l’aria che respiro,il terreno dove cammino, il cielo dove volo,l’energia del
mio vivere,i miei genitori un abbraccio costante,anche se il tempo mi ha rubato mio padre che
ancora m’avvolge l’anima con tenerezza...
NADIA ANJUMAN - POESIE SCELTE
Traduzione dal pharsi in italiano a cura di Pirooz EBRAHIMI e Cristina CONTILLI
Introduzione di Cristina Contilli - 3 euro
La poetessa afghana Nadia Anjuman, morta a soli venticinque anni il 5 novembre 2005, in
seguito alle percosse ricevute dal marito, ha continuato a “vivere” attraverso la diffusione su
internet di pochi significativi testi, tradotti dal persiano prima in inglese e successivamente in
tedesco e in italiano. A febbraio del 2006 è uscito con una casa editrice di Torino un libro
dedicato a Nadia, realizzato con la collaborazione della poetessa vicentina Ines Scarparolo
(“Elegia per Nadia Anjuman”, Carta e Penna editore) che conteneva i versi di quattordici
scrittrici italiane, versi di solidarietà, ma anche di protesta.
Questi versi, pubblicati insieme alla traduzione di quattro poesie di Nadia, nel sito del Centro
Studi Ettore Luccini di Padova e nel sito “Segniesensi”, dedicato da Alina Rizzi alla scrittura
al femminile, sono stati copiati da un blog all’altro ed hanno dimostrato sia l’interesse crescente verso la figura di questa poetessa sia l’inconsistenza del diritto d’autore nell’editoria
virtuale.
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I l S alotto degli A utori
SINFONIA CELESTE - silloge poetica - 10,00 euro
di Elio Profirio GASBARRO
Elio Porfirio Gasbarro, nato a L’Aquila risiede a Ciampino (Roma). Ha frequentato Licei
classici in Istituti religiosi. Dirigente importante Società Responsabile Abruzzo. Ha partecipato a molti Concorsi letterari Nazionali e Internazionali, riscuotendo sempre ed ovunque lusinghieri successi. Nomina a Membro Honoris causa a vita della Unione Pionieri della Cultura
Europea - CDAP - UPCE. Finalista in più Associazioni tra cui la Ibiskos di A. Ulivieri; Associazione Primavera Strianese; Associazione Il Simposio, Libera Associazione Poeti e Scrittori
ed altre. Pubblicazioni in diverse Antologie italiano/inglese - Editori vari. Premio letterario
Internazionale - ACSI Prato - Associazione culturale Amici dell’Umbria - A. Pensa.
IL GIARDINO DEI SOGNI di Paolo GRECCHI - 5 euro
PAOLO GRECCHI, nato a Codogno (Lodi) dove risiede tuttora, si è sempre dedicato alla
poesia solamente come hobby. Solo da qualche anno le sue opere sono uscite dall’ambito
famigliare e di una ristretta cerchia di amici, permettendo così ad una gamma sempre più vasta
di persone di conoscerle e di apprezzarle. Il valido livello delle poesie è confermato dai numerosi riconoscimenti ottenuti in diversi concorsi letterari nazionale. È stato pure inserito in
un’antologia della collana “Poeti d’oggi” che, tra l’altro, trovasi presso la Biblioteca Nazionale
di Roma e presso la Nobelstiftelsen di Stoccolma. Sono poesie profondamente umane e
realistiche dalle quali traspare una ricchezza di valori, una varietà di passioni, di sensazioni, il
tutto sempre espresso senza ricerche stilistiche o metriche, ma con estrema semplicità e solo
per il piacere di scrivere e di trasmettere emozioni.
THE DARK SIDE - VISION OF PAINFUL DEATH X di Simona MARINARO - 15 €.
MARINARO SIMONA è nata a Rivoli (To) il 17.03.1973, cresciuta a Grugliasco, cittadina
alle porte di Torino, dove vive con la figlia. Ha conseguito il diploma di Perito Aziendale
corrispondente in lingue estere, ama la lettura da quando era piccola; questa è la sua prima
opera narrativa.
The dark side - Le foto dalle scene del delitto sono ripetitive, con la stessa deprimente monotonia della trama si una soap opera o i disegni su un mazzo di carte: cuori, fiori, lingue che
sporgono fuori dalla bocca. Cinque lingue gonfie riverse sul terreno o sul cemento o sul legno
diventato grigio col passare delle stagioni e il tamburellare di piccoli piedi.
Vision of painful death
Giorgia stava sorseggiando il caffè, quando percepì una delle sue visioni arrivare: no, ti prego
non adesso! Tutto è coperto da una luce verde, come se ci fosse uno strato di gelatina sul
mondo. Avanza, fluttuando come un fantasma sopra i disegni tracciati sul cemento con i gessetti.
Il corpo della ragazza è adagiato mollemente sul pavimento di cemento...
PENSIERI BARBARI di Barbara PARUTTO - 8 euro BARBARA PARUTTO vive a Torino, dove è nata l’8 novembre 1980. È laureata in
Psicologia Clinica. Nel 2006 ha iniziato a scrivere poesie, partecipando al Premio
“Emozioni Sfumate” indetto dalla Città di San Gillio, classificandosi seconda con
“Sono una barca di legno”, riportata nella precedente silloge, Lacrime liriche, pubblicata nel 2007 con Carta e Penna. La stessa poesia le è valsa una segnalazione di merito
al Concorso degli Assi.
Nel 2008 ha partecipato al concorso Note d’autore, terza edizione del concorso letterario di San Gillio, classificandosi al secondo posto con l’opera Allietami all’alba,
pubblicata in questo volume.
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E state 2008
IL PORTO DI CALAIS: AMORI, COSPIRAZIONI E DUELLI NELLA FRANCIA
DEL 1804 di Cristina CONTILLI - 7 euro Nel 1804 viene scoperto un tentativo di colpo di stato contro Napoleone, che allora ricopriva
la carica di primo console. La responsabilità di aver organizzato la cospirazione viene attribuita a Luigi Antonio Enrico di Borbone, ultimo discendente della famiglia Condé e duca
D’Enghien, che viveva in esilio a Baden e che viene fatto rapire dai servizi segreti francesi
dell’epoca, per essere giudicato a Parigi da un tribunale militare, presieduto dal generale
Pierre Augustin Hulin. Il duca si dichiarerà sempre innocente, ma verrà lo stesso condannato
alla fucilazione, mentre degli altri 42 congiurati, finiti sotto processo, molti (tra cui il conte
Bouvet De Lozier che con la sua testimonianza aveva dato l’avvio alle indagini) verranno
assolti, molti verranno condannati a pene che variano dai 2 ai 9 anni di carcere ed uno si
suiciderà in carcere, prima della sentenza definitiva. Il Porto di Calais è una ricostruzione
dell’episodio, fatta da un insolito punto di vista, quello del conte Alain De Soissons, colonnello della Marina Francese e cugino del duca D’Enghien, che non verrà coinvolto direttamente
nel processo, ma che potrebbe aver avuto nella vicenda un ruolo più rilevante di quello che si
riteneva finora.
LE CRONACHE DEI TREI MONDI
- La medaglia d’argento e
Il castello sul lago
di Marco TAMBORRINO
l’autore è nato in Italia nel 1994. Ha cominciato a scrivere
libri all’età di 9 anni: la commedia di “Tappoman”, e il
fantasy “La guerra dei colori”. “Le cronache dei tre mondi - Il castello sul lago” è il suo secondo romanzo.
Le cronache dei tre mondi, la medaglia d’argento, è il primo episodio di una trilogia. Narra le pericolose vicende di
uno scienziato italiano. Fabio, residente in America, dei
suoi due figli (Luca e Marco) e del suo miglior amico Tom.
Senza volerlo, i quattro si troveranno immischiati in un’epica guerra tra il Bene e il Male.
MONICA FIORENTINO continua a donarci piccoli gioielli di narrativa, in formato tascabile con bellissime storie adatte ai bimbi
ma anche a chi sa ancora sognare.
LA STORIA DELL’AQUILA NANA: sin dalla Notte dei Tempi,
ogniqualvolta il cielo veniva attraversato da una stella cadente, non esisteva creatura che non si fermasse a ricordare la
storia dell’aquila Nana. La storia dell’aquila bianca della Foresta di Cento Foglie, nata con un paio di ali più piccole e goffe
rispetto a tutte quelle dei suoi simili, che aveva nel cuore un
grande sogno: raggiungere un giorno la vetta del Monte Astur,
inaccessibile alle sue ali nane, inadeguate ad affrontare dei voli
troppo lunghi. La storia dell’aquila capace di tutto, contro tutti
coloro i quali intravedevano nelle dimensioni ridotte delle sue
ali, un impedimento al naturale svolgersi del ciclo quotidiano
della sua vita.
Forte e tenace nelle sue convinzioni, pronta a qualsiasi sacrifi-
cio pur di poter riuscire a realizzare un giorno, il suo più grande
desiderio.
NUCCIO ILBURATTINO DI TERRAMARIS: narra un’antica
leggenda, che ancora oggi coloro che si trovano in visita nel
lontano Regno di Terramaris, possono ascoltare la storia di
Nuccio il burattino senza voce, narrata dagli anziani Cantastorie
del paese. La storia intensa e ricca di sentimento, intrisa di
coraggio e di forza, della marionetta commissionata dal Re Io in
persona, sovrano di Terramaris, al giovane Turi conosciuto da
tutti come il più bravo burattinaio del paese. Con l’ordine di
eseguirla senza alcuna feritoia sul viso adatta a fargli da bocca,
completamente muto per suo esclusivo diletto. La storia di un
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I l S alotto degli A utori
ricatto ordinato ma anche di un riscatto possibile, attraverso la
presa di coscienza di valori più intimi e di sentimenti più forti
delle apparenze talvolta troppo leggere e superficiali, che sembrano semplici da accettare ma che invece nel profondo non lo
sono affatto.
LALEGGENDADELDELFINOAZZURRO E DELLASTELLA DEI MARI: nei fondali dei mari più profondi e misteriosi,
giace la storia più bella mai raccontata. La storia scritta col blu
dei morbidi petali di una rosa, sbocciata dall’amore più puro di
una dolce stellina nei confronti del suo giovane Re...
La bella storia che ogni notte i delfini cantastorie, saltando dalle acque argentee dell’oceano, narrano al mondo intero col sonoro canto della loro voce più dolce. La
storia divenuta leggenda.
LA LEGGENDA DELLA FATA GRAZIA E DEL GOBLIN
STZAGATH II ‘LANCIADI FUOCO’DELLETERRE BRULLE: durante la Festa della Luna Nuova, tutte le creature del
mondo fatato cessino ogni genere di ostilità in atto.
Ed insieme streghe, maghi, druidi, fate, gnomi, draghi, unicorni
e qualsiasi altro genere di creatura ed animale fatato si incontrino per unirsi in una lunga notte di fastose danze, allegre risa,
divertenti giochi e gran buon bere fino al sorgere del nuovo
mattino.
Ed in quella Notte tutto diventa possibile: qualsiasi magia, qualunque desiderio, qualsivoglia incantesimo o inconfessato desiderio. Tutto, tutto...
Il dottor Manzo (poeta, filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale) ha curato questa versione letterale dal latino degli “Inni d’ogni
giorno” del grande poeta cristiano. Gli “Inni d’ogni giorno” di Prudenzio si distinguono
per fervore didascalico. Nondimeno un lirismo soffuso fa capolino, indugiando sulle
meraviglie della natura in relazione al Verbo salvifico.
Così in prosieguo di tempo viene dichiarato il dogma (“noi sempre confessando Dio
Padre/ in Te, Cristo, diremo uno/ e costantemente porteremo la tua croce/…/ Buon
Pastore, per questi doni/ quale servizio potrà mai ricompensarti?/Nessun voto di quanti
pregano risarcisce/il prezzo della salute”), ma pure è presente una delicata pittura non
priva di reminescenze classiche (“Qui non ho bottino di rose,/ nessun aroma manda
odore,/ma un liquido d’ambrosia penetra/ e sa di fede di nettare,/ effuso fin dal grembo
del Padre”).
La presente raccolta abbraccia le prime opere poetiche del dottor Manzo (filosofo,
teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale, vincitore del
Poetry Slam di Torino Poesia 2006, ha ottenuto la menzione d’onore nel 7° Concorso
Internazionale Poetico Musicale 2007).
Da esse emerge la sua copiosa vena e polimorfa attività.
Dalla prefazione: Definire poliedrico Alessio Manzo filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale) è poco: ha molte frecce al suo arco (la
religione, la politica, la moda); le sue poesie sono animate da gioiosità e giocosità, condite di molto sale e ruscellanti rime; la trovata veramente originale è la cifra del suo stile.
L’autore, fedele all’oraziana “aurea mediocritas”, tuttavia non disdegna il volo pindarico
come quando nel fulminante distico “Per il tuo eterno ritorno, Pippo, / meriterai un
mondo, non un cippo” mette in berlina l’attualità mondana.
In questo volume si propone la versione letterale dall’originale greco del quarto
Vangelo. Il Vangelo di San Giovanni contiene il germe della filosofia cristiana.
Gesù è l’Inviato del Padre: “ Non solo per questi prego, ma anche per i credenti in Me
con la loro parola, affinché tutti siano una cosa, come Tu, Padre in Me e Io in Te,
affinché anch’essi in Noi siano,affinché il mondo creda che Tu m’inviasti”.
Il Salvatore (“Giacché Dio non inviò il Figlio nel mondo affinché giudicasse il mondo,
ma affinché il mondo fosse salvato da Lui”) si rivela anche nei miracoli, tuttavia ammonisce Tommaso: “Poiché Mi hai visto hai creduto? Beati quanti non vedendo pure
credettero”.
E’ una caratteristica peculiare del libro sacro l’antitesi spirito-carne: “Quanto è generato dalla carne è carne, è quanto è generato dallo spirito è spirito… è lo Spirito che
vivifica, la carne non giova a niente; la dottrina che Io vi ho dato, è spirito ed è vita”.
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E state 2008
Quattro chiacchiere col Direttore
CRONACA DI UNA FIERA
IN TONO MINORE
Torino, ore 8,30, di giovedì 8
maggio 2008, ingresso riservato alla stampa della Fiera Internazionale del Libro di Torino;
un capannello di colleghi attende di potersi accreditare e accedere ai locali che ospiteranno l’inaugurazione che, per la
prima volta, è tenuta dal Presidente della Repubblica, onorevole Giorgio Napolitano. La presenza del capo dello stato è
dovuta alle polemiche suscitate dall’invito, da parte degli organizzatori, di Israele in qualità di paese ospite della manifestazione. Gli autori israeliani sono stati invitati, oltre che per far conoscere la cultura nazionale, anche per festeggiare i sessant’anni
della nascita dello Stato israeliano. Immediata la reazione dei
palestinesi e dei paesi arabi i quali hanno ribadito che, ai
festeggiamenti israeliani, si contrappongono le sofferenze delle popolazioni che, sessant’anni fa, abitavano quei territori.
Non voglio addentrarmi in argomenti ostici e piuttosto complicati che possono portarci lontano dall’argomento ma, a mio
avviso, la cultura dovrebbe pacificare e non fomentare polemiche o prestare il fianco a facili speculazioni.
Tardivo è stato l’invito agli scrittori arabi che hanno anche
dovuto fare i conti con i divieti dei propri governanti. Morale
della favola: primo giorno di accesso ad una Fiera del Libro
blindata che si contrappone al giorno precedente (dedicato
all’allestimentto degli stand) dove, a parte una fisiologica attesa (dovuta al fatto che la maggior parte degli editori era all’ingesso alla medesima ora) poteva entrare qualsiasi cosa poiché,
obiettivamente, è pressochè impossibile controllare camion,
furgoni o auto che trasportano i libri e allestimenti.
Per non tediare oltre il letttore racconto brevemente di esser
riuscita a entrare in fiera con la tessera da espositore e che ho
lasciato almeno una cinquantina di colleghi ad attendere l’apertura dell’ufficio degli accreditamenti della stampa e qualcuno
mormorava: alla faccia dei privilegi della casta!
Il tono minore della Fiera si è però palesemente manifestato
sabato 10 maggio: la manifestazione a favore della Palestina ha
scoraggiato il pubblico registrando un calo sia di presenza sia
di vendite da parte degli editori più visitati. Ed a proposito di
pubblico sottopongo ai lettori lo sfogo dell’autrice Giuseppina
Iannello Siccardo e inviato al Presidente della Repubblica:
“…sono l’autrice di un “libercolo” di poesie e racconti Le lacrime del sole, edito per la casa editrice Carta e Penna di
Torino. Scrivo con animo esacerbato, proprio di quelle autentiche donne italiane, che hanno il coraggio di non nascondere le
proprie lacrime. Sono stata il 10 maggio col mio consorte, alla
Fiera del Libro di Torino con l’intenzione di apprezzare i libri
degli altri, ma anche per poter vendere il mio volumetto con
accluso un altro mio libro in omaggio; anelavo, non già di farmi
conoscere, quanto di trasmettere al mio prossimo, specialmente ai giovani, emozioni e quanto la vita ci insegna. Forse, un
giorno... Fra trecento o, quattrocento anni, un ragazzino, o una
ragazzina troverà di certo, ancora nuovo, sulla spiaggia della
vita, il mio libro: lo sfoglierà, non più schifandosi, lo leggerà e
poi esclamerà: «Caspita, sono analoghe alle mie codeste emozioni… che cosa ha voluto insegnarmi l’autrice?» Ed è allora
che sentirà una voce, fievole quasi un sibilo pronunciare le
testuali parole: «Io? Ragazzo? Non ti ho insegnato proprio
nulla: ho inteso, soltanto, aprire il tuo cuore, non da sola, naturalmente, insieme a quanti ti amano; ci sono riuscita, ma sono
trascorsi trecento lunghissimi anni.» Ella, Illustre Presidente,
scuserà lo sfogo, ma voglio comunicare a tutti gli Italiani che
quella del 10 maggio 2008, è stata per me la giornata più triste e
più amara della mia vita. Il pubblico si guardava bene dall’avvicinarsi al banco dell’Associazione Culturale Carta e Penna dove
era esposto il mio libro, assieme a pregevoli opere di autori ed
autrici soci. Appena, io osavo invitare gli astanti a dare uno
sguardo ai libri, mi sentivo rispondere: «Non ho mai letto in vita
mia... Non ho un centesimo... Non amo le poesie, né i racconti...
Non acquisto nulla dagli sconosciuti...» Rispondevo con mezzo sorriso e con l’amaro in gola: «Va bene come non detto,
signori.» E intanto mi rivedevo bambina e mi ritornavano in
mente le raccomandazioni dei genitori e dei parenti: «Non si
prende nulla dagli sconosciuti...!» Sconosciuta... Non è tanto
codesta apostrofe che mi ha profondamente offesa, quanto il
disprezzo con cui tale termine veniva pronunciato! E pensare
invece che io amo e rispetto gli sconosciuti ed ho loro dedicato
tre poesie che fanno parte della mia raccolta. Io sono stata
trattata come una adescatrice! Chiedo scusa ancora per lo sfogo. Dopo l’ennesimo schiaffo morale, abbiamo fatto ritorno
verso casa e prima di chiudere in bellezza la giornata, abbiamo
fatto una tappa da un libraio, che aveva una copia in vendita; il
mio proposito era lasciargli qualche copia ancora, ma egli, molto cavallerescamente, mi prendeva per le spalle, e mi indicava la
porta. Un encomio voglio invece esprimere nei confronti del
Libraio bresciano di via Solferino, il quale si è dichiarato disposto a vendere le copie già in deposito, accettando, anche, altre
copie. Signor Presidente concludo la mia lettera, facendo a tutti
gli Italiani una solenne dichiarazione:
“Preferisco rimanere una piccola e sconosciuta scrittrice, piuttosto che recarmi nuovamente in una fiera ed essere trattata
come la sconosciuta della quale bisogna aver paura.” La prego
di voler accettare le mie “lacrime del sole”, che alludono emozione, generalmente di felicità provata dal sole, astro benefico,
nei confronti degli esseri umani, quando accade loro un lieto
evento. Peccato che questa volta, le lacrime sono amare: sono
le lacrime di Giuseppina, una sconosciuta.
Lo sfogo di Giuseppina, come avrete tutti compreso, è dovuto
all’atteggiamento di rifiuto che il (raro) lettore italiano ha nei
confronti degli scrittori sconosciuti e cioè non menzionati in
giornali, trasmissioni televisive (magari scandalistiche) ecc.
A parziale conforto di Giuseppina voglio raccontare un piccolo
episodio occorsomi prima della presentazione dei libri sulla
patologia di Niemann Pick e quello sulla Comunicazione
Aumentativa Alternativa (segnalato sul numero precedente).
Nei minuti precedenti la presentazione le persone che passavano davanti alla sala conferenze si fermavano per leggere il programma e, anche al fine di infoltire il pubblico, spiegavo che i
libri trattavano di malattie rare e che ci avrebbe fatto piacere la
loro partecipazione. Alcune persone si sono fermate, altre no
ma un uomo, in particolare, ha nettamente rifiutato che proseguissi nella spiegazione dell’evento dicendo: “Malattie rare…
per carità… alla larga” dato che non mi è mai mancata la prontezza ha risposto con un “Grazie per l’appoggio, ne avevamo
proprio bisogno… le auguro una buona giornata” e mi sono
-9-
I l S alotto degli A utori
rivolta ad una signora che sembrava più interessata. L’episodio si è concluso lì e la conferenza è iniziata… dopo circa un
quarto d’ora quel signore era tra il pubblico ed era anche piuttosto interessato… forse la mia risposta sarcastica ha smosso
un po’ l’indifferenza di quell’uomo, forse era solo curioso…
chissà!
Un buon successo di adesioni continua, invece, a ottenere
l’incontro del mercoledì al Circlo dei Lettori “Conversazioni
illetterate” tenuto da Albertina Zagami e Roberto Bruciapaglia
e che ad aprile ha ospitato lo scrittore Piero Soria che ha presentato il suo ultimo libro intitolato Il topo edito da La Stampa.
Come altri scrittori torinesi, ama raccontare la realtà attraverso
i nodi e gli sviluppi di una trama da libro giallo. La città fa da
sfondo a storie ambientate nel passato o nel presente: da Cavour
al Museo Egizio, sono tanti i luoghi e i personaggi sabaudi che
ritroviamo fra le sue pagine ammantati di mistero. Quando non
è in viaggio, scrive anche per la radio e per il cinema, collabora
con La Stampa e TuttoLibri.
Il topo è la rielaborazione di un lungo racconto che fu pubblicato a puntate su Stampa Sera, storico quotidiano torinese;
l’autore ha svolto un lavoro di revisione completo, ambientando l’intera vicenda nella Torino di oggi. L’avvincente storia
inizia col ritrovamento del cadavere di una donna bellissima,
prigioniera dei ghiacci della piscina dello Sporting, ed è un
susseguirsi inesauribile di delitti e di ricatti nella Torino inquietante del Triangolo magico: sono questi i fondali di un noir
travolgente dove realtà e fantasia si sovrappongono di continuo.
Gli incontri al Circolo dei Lettori riprenderanno da ottobre e nel
prossimo numero daremo ampio spazio alle varie attività ma
posso annunciare sin d’ora che una volta al mese sarà dato
spazio ad un autore per la presentazione di un proprio libro.
Ed a proposito di libri ringrazio coloro che hanno letto il mio e
mi hanno anche inviato la propria opinione che potete leggere
nelle pagine dedicate ai recensori.
Ringraziando tutti gli autori per la collaborazione auguro di
trascorrere delle belle vacanze estive... a “rileggerci” presto.
Donatella Garitta
Carissima Donatella,
grazie per le informazioni che ci hai dato nella scorsa Rivista n°
22, dove siamo stati messi al corrente della pubblicazione del
tuo romanzo “Il Rio racconta - Una storia del ‘600", per il quale
ti faccio i personali complimenti per la mole di lavoro che ha
comportato la ricerca storica. Un libro che ho letto con piacere
mentre mi son trovato a dover star fermo in casa per una
tallonite… ma questa mi ha permesso una attenta e appassionata lettura e di poter scrivere anche una breve recensione che
ti invierò.
Mi fa piacere che lo spot pubblicitario sulla sindrome di PraderWilli sia stato oggetto di attenzione da parte di Riviste e TV
private, soprattutto per gli impegni dietro le quinte richiesti da
questa iniziativa.
Complimenti anche alle autrici e autori che si sono classificati ai
primi posti del “Premio del Direttore” (da te organizzato) riguardante la sezione Articoli e la sezione Poesie, oltre ad un “grazie” a tutti coloro che scrivono sulla Rivista “Il salotto degli
autori”.
Considerevole anche tutto il lavoro editoriale, apprezzabile attraverso “la vetrina dei libri pubblicati dagli autori di Carta e
Penna”.
Per le iniziative in corso e future auguri di buon lavoro!
Giuseppe Dell’Anna (Torino)
Piero Soria e Albertina Zagami nel Salotto Verde del Circolo dei Lettori di Torino
- 10 -
E state 2008
Congratulazioni a...
CLAUDIO BENTIVEGNA: si è classificato (tra centinaia di partecipanti) al terzo posto al concorso internazionale di poesia, bandito dal Centro Giovani e Poesia di
Triuggio (MI).
GIUSEPPINA IANNELLO SICCARDO: al 12° Concorso di Pasqua “Andre da Pontedera” ha ricevuto il 5°
premio ex-aequo per la sezione Poesia singola a tema
religioso.
GILBERT PARASCHIVA: la Commissione giudicatrice del Premio Internazionale Città di Bellizzi, gli ha con-
ferito il Premio Speciale della Presidenza della Giuria per
la Sezione D - Narrativa con il libro “Ma ‘ndo vai… se la
banana non ce l’hai” un premio significativo ad un artista
che ha avuto il pregio di portare nel mondo la migliore immagine dell’arte nell’accezione più ampia, attraverso opere
di straordinario impatto emotivo e di vita vissuta, sostenuto
da una fede adamantina e indissolubile.
Al concorso poesia dialettare e in lingua italiana “Il valore
della vita” organizzato a Castello Tesino (TN) il podio è
stato conquistato da autori di Carta e Penna:
1° posto INES SCARPAROLO, 2° posto ROBERTO BRUCIAPAGLIA e 3° posto ALBERTINA
ZAGAMI.
CR
ONA
CA C
ON TES
Ta
CRONA
ONACA
CON
TEST
6-3-2008 - Veltroni promette semplificazioni in Italia, ma
Berlusconi (PDL) vanta un vantaggio del 10% sul PD e
si fanno sotto due outsider che si chiamano Bertinotti e
Casini. 16-3 - Dopo i cento morti di Lhasa, il Dalai Lama
denuncia stato di terrore e genocidio culturale, ma dice no
al boicottaggio delle Olimpiadi. 23-4 - Pasqua di sangue in
Iraq e vittime anche da noi: strada, ‘ndrangheta, ecc. 144 - Nonostante la campagna elettorale migliore, la sinistra
esce sconfitta, i comunisti perdono tutti i seggi e si ha un
travaso di voti verso il centro. 30-3 - Eletto ieri Schifani
presidente del Senato, oggi Fini presidente della Camera;
i loro discorsi hanno ricevuto vasto consenso; i deputati
del Pdl sono 175, quelli del Pd 117, 60 ne conta la Lega, 35
l’Udc e 29 l’Idv. 6-5 - Il ciclone Nargis causa forse
trentamila vittime in Myanmar. 8-5 - La fiaccola olimpica
portata in cima all’Everest. Formato il nuovo governo
Berlusconi, ecco alcuni ministri: Interni Maroni, Esteri
Frattini, Economia Tremonti, Difesa La Russa, Giustizia
Alfano. 13-5 - Saliranno a oltre cinquantamila le vittime
del terremoto nel Sichuan. Intanto si combatte a Tripoli
cura di Eugenio Borra
del Libano. 21-5 - A Napoli il primo Consiglio dei Ministri
del nuovo Governo vara misure per l’economia, la sicurezza e l’emergenza rifiuti. 31-5 - Frane e straripamenti
concludono un maggio senza sole. In Piemonte quattro
morti. 17-6 - Dopo la sconfitta con l’Olanda, gli azzurri
del calcio eliminano la Francia e passano ai quarti di finale. Speriamo, ma ci tocca la Spagna...
SOLUZIONE DEL DICIANNOVESIMO QUIZ:
L’albero a cui tendevi # la pargoletta mano, # il verde
melograno # dai bei vermigli fior...
VENTESIMO QUIZ
Riordinando le sillabe qui in ordine alfabetico, avremo
l’incipit d’un “romanzetto” che direi piuttosto noto.
- 11 -
A CA CHE CO DEL DI DI DUE GE
GIOR GO I IN LA MEZ MO MO
MON NE NIN NO NON QUEL RA
ROT TE TE TER TI TRA VOL ZO.
I l S alotto degli A utori
DANTE ALIGHIERI
LA DIVINA COMMEDIA
di Carlo Alberto CALCAGNO (Arenzano - Ge)
Non ci sono dati precisi circa le date di composizione.
Boccaccio nella sua Vita di Dante afferma che il poeta
avrebbe composto i primi sette canti dell’Inferno prima
dell’esilio e che questi, ritrovati tra le sue carte, gli sarebbero stati inviati in Lunigiana nel 1306-7 presso i
Malaspina. Questa forse è soltanto una leggenda, fra le
molte sorte intorno a Dante, subito dopo la sua morte.
Tuttavia è certo che dall’ottavo canto il linguaggio
dantesco si fa piú robusto e personale, si svincola dalle
artes dictandi, dalle locuzioni curiali e stilnovistiche.
E c’è poi il primo verso del canto ottavo: “Io dico, seguitando” : legamento che si trova soltanto qui, in tutto il
poema. Attualmente si ritiene che parti di un poema in
onore di Beatrice possano essergli stati inviati (v. al proposito per un indizio anche l’ultimo capitolo della Vita
nuova) ma non si sa quali parti.
Il poema così come noi lo possediamo, si può dire, in
sostanza, tutto composto nell’esilio. Di sicuro possiamo
affermare che l’Inferno era già conosciuto nel 1313, e ciò
vale, a partire dal 1319, anche per il Purgatorio, che secondo il Petrocchi sarebbe stato composto nel Casentino,
ossia in provincia di Arezzo (di qui i notevoli riferimenti
alla terra di Toscana)1.
L’opinione che alcuni dantisti sostennero in passato per
cui l’inizio del poema sarebbe da porre dopo la morte di
Arrigo VII (1313) - sicché Dante sarebbe stato muto sino
quasi ai 50 anni - non è oggi molto seguita.
Secondo gli antichi esegeti Dante avrebbe atteso alla
sua opera massima sino alla morte, infaticabilmente.
Cosicché il Paradiso (1316-1321) sembra portato a termine poco prima della morte dell’autore, anzi pochi giorni prima: ma qui è da cogliere una gentile leggenda, e
anche un poco patetica. Secondo il Boccaccio, anzi, gli
ultimi canti sembravano essersi smarriti: soltanto il figlio
Jacopo, in una visione, ebbe l’indicazione del luogo: e i
canti mancanti furono ritrovati. Circa l’ispirazione dell’opera bisogna distinguere tra precursori e fonti.
In primo luogo tra precursori pagani e precursori cristiani; tra i primi annoveriamo Omero (cap. XI
dell’Odissea: in particolare l’evocazione di Ulisse delle
ombre nel paese dei Cimmeri), i Misteri orfici, Platone,
Cicerone, Virgilio, Ovidio (che nelle sue Metamorfosi
descrive un viaggio agli inferi), Lucano, Stazio e Seneca.
Tra i precursori cristiani annoveriamo le scritture sacre:
l’Apocalisse, il libro di Enoc; alcune opere molto diffuse
nel Medioevo: la Navigatio S. Brandani, il Purgatorio di
S. Patrizio, la Visione di Tundalo, la Visione di frate
Alberico di Montecassino, la De Jerusalem celeste (per
le gioie paradisiache) e il De Babilonia civitati infernali
(per le pene infernali) entrambe di fra Giacomino di Verona, Il Libro delle Tre Scritture di Bonvesin della Riva.
Gli autori cristiani tuttavia non avvicinano nemmeno
lontanamente la spiritualità di Dante e sono solo la prova
di quanto il genere religioso fosse diffuso.
L’unica fonte letteraria certa fu l’Eneide (Dante la seppe «tutta quanta» Inf. XX, 114): in particolare D. fece
sicuramente riferimento al canto VI (discesa di Enea
all’Averno), al concetto di superiore finalità del compito
affidato ad Enea, alla struttura esteriore e alla figurazione
dei luoghi ed esseri mitologici del Mantovano, all’idea di
proiettare la vita nel regno della morte, di fondere la storia con la leggenda, il reale con il fantastico. Con tutta
probabilità il titolo di Commedia non è stato dato da
Dante al suo poema; la parola “Comedia” che si ritrova
in Inf. XVI 128 (e XXI, 2) è usata per riferirsi allo stile
del racconto in quei due luoghi2 ma non ha niente a che
vedere con il concetto dantesco di tragedia e di commedia (v. De Vulgari eloquentia II IV,5); per cui l’attribuzione che presto si diffuse non era in linea con le idee dell’autore.
La Commedia, infatti, appartiene al genere umile per
contenuto e per stile, cosí come esso è definito dalle retoriche medioevali e da Dante stesso nel suo Convivio: a
questo genere, tra descrittivo e satirico, si dava l’appellativo di comico3. Divina fu poi un’aggiunta dei posteri, a
cominciare dal Boccaccio, a dire cioè che il poema era
umile, ma trattava, ciò nonostante, di argomenti divini.
Solo nel 1555, a dire il vero, compare anche l’epiteto
Divina nell’edizione veneziana del Giolito a cura di
Lodovico Dolce. Il poema si compone di tre cantiche di
33 canti ciascuna più l’introduzione nell’Inferno: il tutto
quindi per un totale di 100 canti. Ciascun canto ha una
media di versi un poco inferiore a 150, e presenta una
lunghezza assai vicina a quella di tutti gli altri.
Il metro usato è la terzina dantesca a rima incatenata
(aba, bcb, cdc,...vzv, z), così definita perché da lui utilizzata per la prima volta e derivata forse dal sirventese incatenato di tre versi o piuttosto dalle terzine del sonetto.
Il poema è in terza rima: i poemi medioevali di intendimento descrittivo e didascalico, sono in terza e in nona
rima; verranno poi, con carattere narrativo, i poemi in
ottava rima. L’endecasillabo della Commedia è in generale fortemente ritmico, e piano4. Rari, ma rilevabili, gli
endecasillabi con l’accento spostato alla settima sillaba,
che compongono il giro lungo e fermo di un’immagine
eccezionale o di una sentenza perentoria.
La lingua utilizzata non è esattamente il volgare illustre
teorizzato nel De Vulgari eloquentia: specialmente nell’Inferno si usano molti dialettismi toscani, fiorentini e di
altre regioni; la materia da trattare era troppo vasta per
usare il volgare illustre; il Paradiso tuttavia è stato scritto
in una lingua superiore, nobile e dotta.
La lingua della Commedia può definirsi in generale il
volgare fiorentino (ma non quello municipale e plebeo);
tuttavia non si esaurisce in esso perché sono presenti molti
latinismi, forestierismi e vocaboli coniati appositamente
- 12 -
E state 2008
da Dante. Importante è sottolineare che con la Commedia la lingua volgare esce dall’imitazione. Il poema rappresenta la materia di un lungo sogno, o, come si diceva
allora, di una visione, anzi di una mirabile visione5.
Il viaggio nei tre regni dell’oltretomba si finge avvenuto nel 1300, l’anno del grande Giubileo romano, regnando sul trono di San Pietro l’odiatissimo papa Bonifacio
VIII. Piú esattamente avviene nell’equinozio di primavera, dunque tra il finire del marzo e il principiare dell’aprile. Il viaggio dura sette giorni, due (dall’8 aprile, sera, al
9 aprile alle ore 18/19) spesi nello scendere l’abisso infernale, tre (dal 10 aprile, notte inoltrata, al 13 aprile mercoledì) nel salire la santa montagna dell’espiazione, due
nel volare su attraverso le sfere celesti sino all’Empireo
(da mezzogiorno del 13 aprile, mercoledì, a mezzogiorno del 14 aprile, giovedì). Per la struttura dei tre regni
ultraterreni, Dante accoglie la visione geocentrica sostenuta da Tolomeo nell’Almagesto e accettata da San
Tommaso e dalla Scolastica, suoi costanti punti di riferimento filosofico.
Nella rappresentazione tolemaica, la Terra è una sfera
divisa in due emisferi, dei quali solo quello settentrionale
abitato. Al centro di questo, Dante pone Gerusalemme e
ai suoi antipodi la montagna del Purgatorio, sulla cui cima
si trova il Paradiso terrestre. La Terra è circondata da nove
sfere concentriche, ruotanti l’una dentro l’altra, tutte contenute da una decima, l’Empireo: esso è la dimora di Dio,
degli Angeli e dei beati, ed è, invece, immobile.
L’Inferno6 è una voragine a forma d’imbuto che si apre
sotto la superficie terrestre dell’ emisfero boreale, al cui
centro sta Gerusalemme. Superata la porta, si traversa
l’Antinferno, che è una vasta pianura ove corrono dietro
a una folle insegna i vili, che vissero senza assumersi responsabilità, senza aver partito o fazione, senza peccati e
senza virtù. Miracolosamente Virgilio e Dante varcano il
primo dei fiumi infernali l’Acheronte, oltre il quale sta il
primo cerchio o Limbo, il cerchio di coloro che, non per
loro colpa, morirono senza essere stati battezzati, pur essendo vissuti onestamente. Seguono i quattro cerchi degli
incontinenti, peccatori meno dannati, perché la loro colpa fu la smoderata passione, né ebbe per fine l’ingiuria o
la malizia.
Ecco dunque i lussuriosi (secondo cerchio), i golosi (terzo cerchio), gli avari e prodighi (quarto cerchio), gli
iracondi e gli accidiosi immersi nella palude Stige (quinto cerchio). Segue un canto di alta tragicità: i diavoli si
oppongono a che Dante entri nella città di Dite. Ma interviene l’Angelo e la porta della città si apre. I due poeti si
incontrano con gli eretici e gli atei (sesto cerchio); poi
calano giù per un burrato e percorrono il settimo cerchio
dei violenti che fecero ingiuria a Dio, o al prossimo o a se
stessi. Dall’estremo margine del settimo cerchio si cala
attraverso un baratro, che i poeti scendono sulle spalle del
mostro Gerione, sul piano dell’ottavo cerchio, o cerchio
dei fraudolenti, distribuiti in dieci fosse dette Malebolge.
Ed ecco i ruffiani, i seduttori, gli adulatori, i simoniaci, i
maghi e indovini, i barattieri, gli ipocriti, i ladri, i consiglieri di frode, gli scismatici, i falsari. Il pozzo dei giganti
introduce alla parte piú fonda, riservata ai traditori e chiusa dall’ immenso corpo di Lucifero, confitto nel centro
della terra. Qui la palude di Cocito è ghiacciata; vi stanno
conficcati i traditori dei congiunti, della patria, degli ospiti,
dei benefattori (nono cerchio). Nelle tre fauci di Lucifero
sono eternamente maciullati Giuda, traditore di Cristo, e
Bruto e Cassio, traditori di Giulio Cesare.
Sono essi tre i traditori della Chiesa e dell’Impero. Mai
come qui, in sede poetica, si esalta la concezione politico-morale di Dante: essere il genere umano ordinato provvidenzialmente da Dio su due grandi perenni istituzioni,
autonome l’una rispetto all’altra, rispettivamente responsabili dell’ordine spirituale e di quello temporale.
Il Purgatorio è un monte gigantesco che si leva sulle
acque dell’emisfero australe. Dalle foci del Tevere l’Angelo nocchiero trasporta le anime che sono destinate all’espiazione e alla redenzione sino alla spiaggia dell’isola, sulla quale si leva la mole del sacro monte.
Le prime balze costituiscono l’Antipurgatorio. Esse sono
occupate dagli scomunicati, dai tardi a pentirsi e dai principi giusti, ma negligenti nelle cure religiose.
Nelle sette cornici che sovrastano l’Antipurgatorio e cui
si accede attraverso la porta del Purgatorio, custodita dall’Angelo confessore, stanno rispettivamente: i superbi,
oppressi dai massi che domano la loro superba cervice;
gli invidiosi, che recano il cilicio e hanno gli occhi cuciti;
gli iracondi, il cui amore peccò per troppo di vigore, avvolti da un denso e acre fumo; gli accidiosi, rei di amore
difettoso per manco di vigore, costretti a correre affannosamente in atto di ansiosa sollecitudine; gli avari e i prodighi, uniti insieme e proni sulla nuda terra; i golosi, ridotti a estrema magrezza dall’insaziata fame e dall’
insaziata sete; i lussuriosi, rei di amore difettoso per male
obbietto, avvolti dalle fiamme, siano essi lussuriosi carnali, siano essi sodomiti.
Il contrappasso fra colpa e pena è evidente7. La topografia morale del Purgatorio è ragionata con sottigliezza
da Virgilio e poi ripresa e conclusa da Stazio. Guide di
Dante sono Virgilio e, dalla quinta cornice, Stazio, ma il
primo dilegua all’apparire di Beatrice, sul Paradiso terrestre. Cosi la ragione umana cede alla Verità rivelata.
Su ogni cornice, uno o più personaggi incontrano Dante e discorrono con lui. Fra i molti troviamo un papa,
Adriano V, e due re, Ugo Capeto e Manfredi. Ma ci sono
maestri di poesia, il Guinizelli e Arnaldo Daniello; amici
e poeti, da Casella a Bonaggiunta, da Belacqua a Forese
Donati. Su ogni cornice sono offerti in diverso modo per recitazione e grida e canti, per sculture, per visioni esempi di virtù e vizi. Ovunque Dante raccoglie preghiere, notizie, o profezie: ma per una terra distaccata, e a un
tempo presente come ineliminabile oggetto di passioni,
di riflessioni, di speranze. Il Paradiso terrestre, che occupa la cima della montagna, è una foresta spessa e viva:
corrisponde all’Eden biblico.
Qui vissero Adamo ed Eva prima del peccato originale; qui sarebbero vissuti gli uomini nelle generazioni e nel
tempo, se non fosse stato consumato il peccato originale.
Qui si svolge una grande processione allegorica, e qui
- 13 -
I l S alotto degli A utori
Beatrice scende, rimprovera Dante, e infine lo conforta e
conduce con sè. Qui, dopo che si è allontanata l’ultima
visione drammatica, quella della Chiesa schiava del re di
Francia, Dante, già purificato dal fiume Lete, può essere
immerso da Matelda nel fiume della virtuosa ricordanza,
l’Eunoè; e qui trovarsi, alla fine, “puro e disposto a salire
alle stelle”. E si conclude con il Paradiso. Secondo la
dottrina geocentrica di Tolomeo, le sfere o i cieli che
ruotano intorno alla terra immobile sono otto.
I sette pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte,
Giove, Saturno) sono, in questo ordine, incastonati nei
primi sette cieli, mentre le stelle fisse o costellazioni sono
raggruppate nell’ottavo cielo.
Il nono cielo e Primo Mobile è un cielo teologico, non
astronomico: esso riceve il movimento da Dio e lo comunica ai cieli sottostanti. Alle creature viventi sulla terra il
movimento, la vita vegetativa e le inclinazioni del temperamento sono comunicate dai cieli astronomici.
Le sfere ruotano intorno alla terra saldate in un solo e
compatto sistema rotatorio: perciò le sfere sono tanto più
veloci, quanto più sono ampie. Le intelligenze motrici si
raggruppano pure in nove ordini: ciascun ordine presiede
a un cielo. Ai nove cieli, a cominciare dalla Luna, corrispondono i nove ordini angelici e cioè gli Angeli, gli Arcangeli, i principati, le Podestà, le virtù, le Dominazioni,
i Troni, i Cherubini e i Serafini.
Gli spiriti beati risiedono nell’Empireo, ma si distribuiscono transitoriamente nei cieli per rendere sensibile a
Dante il loro diverso grado di beatitudine; quando il poeta sarà giunto alle soglie dell’Empireo, tutti gli spiriti ritorneranno alla loro sede. Essi sono, a cominciare dalla
Luna: le anime che non compirono i loro voti, gli spiriti
attivi che operarono il bene per conquistare fama terrena,
gli spiriti amanti, gli spiriti sapienti, gli spiriti militanti
per la fede, gli spiriti giusti, gli spiriti contemplativi, gli
spiriti trionfanti.
Il sistema delle sfere è compreso nell’Empireo, l’infinito che sta al di fuori di ogni tempo e di ogni spazio.
NOTE
alle soglie dell’Empireo, la visione di Dio.
L’itinerario della sua anima dall’innocenza all’espiazione alla
redenzione alla beatitudine è difficile, ed è rappresentato sensibilmente dal viaggio, giù fra i dannati del baratro infernale, su
fra gli espianti della dura montagna del Purgatorio.
L’ultimo rito espiatorio Dante lo sostiene sulla cima della
montagna, dove si distende il Paradiso terrestre, sotto l’incalzare spietato dell’inchiesta e della diagnosi implacabile di Beatrice.
Poi il trionfo della sapienza, della carità, della beatitudine
attraverso il linguaggio sensibile del Paradiso: che è linguaggio
di armonie musicali, di danze, di luce e di lumi.
Ma il poema è anche la storia universale della redenzione
umana. E non soltanto per una ragione estetica: e cioè perché
poeticamente la vicenda privata del poeta si fa universale, comunica a tutti gli uomini se stessa. Ma per una ragione costituzionale al poema dantesco. Perché Dante sente pulsare in se
stesso il sangue di tutti gli uomini. Le sue esperienze ripetono
quelle dell’uomo in assoluto: la subdola tentazione del peccato, lo scivolare dolce e impaurito verso di esso, la dura fatica a
conquistarsi di nuovo la libertà dal peccato, il procedimento e il
rito espiatorio fatto di lacrime e di sangue. Per questa
programmatica universalità, l’allegoria ha il suo vero, compiuto significato. Allegoria è solidarietà, fraternità umana. E’
caritas. Dante si porta sulle spalle, oltre alla croce dei suoi
peccati, la croce di tutti i peccati; e piange le lacrime dell’espiazione universale.
6 L’Inferno è la cantica della compenetrazione fra struttura
teologica e cultura sistematica da una parte, passione politica
dall’altra.
Fu la cantica che piacque piú ai lettori romantici e al De
Sanctis, critico di struttura romantica: vi lodavano le passioni
piú fiere, i personaggi piú patetici.
Ed è giusto rilievo. Ma è anche necessario richiamare l’Inferno all’ordine e allo slancio di tutto il poema.
Ed ecco rilevarsi allora i grandi paesaggi terribili o squallidi;
il ritmo narrativo ricco di passaggi, di estri, di vicende (Dante è
uno dei piú grandi narratori della letteratura universale); l’esercizio di Dante a vedere, ascoltare, reagire in chiave di pietà e
solidarietà o in chiave di sarcasmo, d’ ira, di vendetta; ecco
allora i grandi stilemi popolari, i grandi sberleffi verbali, e il
cosiddetto realismo linguistico di Dante entro la struttura
sintattica classica.
Ma soprattutto conta il senso del viaggio, che qui, in questa
cantica, si comincia; e proseguirà nelle due cantiche successive.
Entro il viaggio l’Inferno si colloca con una sua condizione
narrativa.
E Dante protagonista, infine, giudica nel baratro infernale
come giudicherà sulla montagna del Purgatorio e nelle sfere
celesti: seguendo una vocazione, anzi la sua vocazione.
7 Il Purgatorio si distingue però dall’Inferno per come i peccati, non valutati solo astrattamente, vengono considerati: nel
secondo la distinzione tra di essi è capillare e si rifà a testi
aristotelici e giuridici; nel primo D. si rifà ai testi della Chiesa,
seppure filtrati dalla dottrina tomistica; i dannati scontano infatti specifiche responsabilità (<<attuali>>) di cui non si sono
pentiti. Le anime purganti invece hanno cancellato con il pentimento e l’assoluzione il loro peccato (che quindi non necessita
di tante descrizioni) e scontano qui soltanto la loro inclinazione
al peccato. Mentre il dannato sconta poi nell’inferno la sua colpa più grave, i penitenti espiano nelle varie cornici tutte le loro
impurità.
1 Secondo alcuni nel 1308 l’Inferno era finito, e nel 1313 il
Purgatorio; nel 1318, a detta di Francesco da Barberino, ambedue le cantiche erano conosciute e divulgate.
2 Stile inferiore rispetto a quello che caratterizza l’alta tragedia dell’Eneide.
3 Nell’epistola a Cangrande della Scala (di non sicurissima
attribuzione), Dante afferma “Incipit Comedia Dantis Alagherii,
Florentini natione, non moribus” (Comincia la Commedia di
Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi), e spiega
il titolo: esso, secondo le leggi della retorica medievale, deve
rispondere sia all’argomento sia allo stile del poema, che comincia in modo triste e termina lietamente, e che è scritto in un
linguaggio remissus et humilis (dimesso e umile), come si addice appunto al genere “comico”.
4 Con l’accento tonico quindi sulla penultima sillaba.
5 E’ evidente che la Commedia è anche la storia interiore,
personale del poeta, dal tempo nel quale egli si sta perdendo e
dannando moralmente sino al tempo nel quale egli, libero dall’impedimento del peccato, muove naturalmente a Dio, cosí
come muovono a Lui le creature innocenti o redente, e ottiene,
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E state 2008
Raccontami una storia... d’amore
Rubrica a cura di Gennaro Battiloro
MERAVIGLIOSO
In questi circa due anni che collaboro con il giornale
“L’ATTUALITÀ”, nella rubrica: “Posta Aneddotica”, ho
preso sempre “spunto” da vicende “vere”, realmente vissute, che sono state molto apprezzate, come dimostrano
le telefonate e le lettere che ho ricevuto per complimentarsi con me per le toccanti storie raccontate; ne cito solo
alcune: “San Pietro, il vecchietto e l’uomo dal tronco di
legno” – “Buon compleanno, Valeria” – “Nello specchio
la madre morta” – “La fisarmonica” – “Un amore di altri
tempi” – e specialmente una delle ultime pubblicate: “L’ultima lettera a Lorena”...
Colgo questa occasione per ringraziare per i complimenti avuti nei miei riguardi. Non faccio nomi per motivi
di rispetto e riservatezza (tanto...loro sanno a chi mi rivolgo).
Desidero, ora, raccontarvi un’altra storia d’amore (di
quello con la “A” maiuscola), cogliendo la circostanza
dell’imminente Festa degli Innamorati, San Valentino, e
facendo seguito così alla mia poesia (molto apprezzata)
dello scorso anno e che aveva, appunto, il titolo: “A San
Valentino”.
Questa bella storia d’amore si svolge proprio come nella
canzone di Domenico Modugno: “Meraviglioso”, e le
similitudini tra la canzone di Modugno e la vicenda d’amo-
re che andiamo a raccontare sono davvero sorprendenti.
E proprio come nel testo della canzone di Modugno
“Meraviglioso”, il personaggio maschile, al quale daremo il nome di Giacomo, stava meditando di fare un gesto
insano, perché non sopportava più il peso della solitudine
e delle continue delusioni, amarezze, sofferenze; quando,
ad un tratto, come nella canzone di Modugno, un “angelo”, vestito da passante, intuendo il suo stato d’animo,
provò a rincuorarlo, dicendogli: “Ma, non vedi di come il
mondo sia meraviglioso?! ...Tu dici – non ho nulla – ma,
ti sembra “nulla” il sole, il mare, il cielo stellato, il volto
innocente di un bambino, l’amore di una donna che ama
solo te...” E così dicendo la sua mano scivolò a cercare la
mano di Giacomo che, a quel contatto, sentì una gioia
immensa entrare nel suo cuore, ed anche il suo dolore
appariva ora meraviglioso!
E fu subito amore (Amore con la “A” maiuscola), amore
sempre cercato e mai trovato, perché quell’angelo (vestito da passante) era sceso dal Cielo proprio per lui.
Si incamminarono (mano nella mano) per un lungo sentiero cosparso di fiori senza parlarsi, perché il linguaggio
dell’amore era nei loro occhi.
Qualcuno dirà che sembra una favola; e invece è una
storia vera, sintetizzata in un film, alla fine del quale non
c’è la scritta: The End.
Ciao, sono Chiara e ho tredici anni. Frquento la terza media. Mi è sempre piaciuto trasformare le mie emozioni in scrittura, ma da
poco tempo ho imparato a trasformarle in vere e proprie poesie, che spesso parlano d’amore, di paura e di dolore. Le mie poesie
sono ispirate alle mie esperienze di vita e ai miei rapporti personali, che considero il “vero carburante della vita”.
Con la poesia sottolineo gli episodi negativi e positivi della mia vita, delle persone e degli avvenimenti che toccano la mia
sensibilità. Per me scrivere è uno sfogo interiore di libertà, aiutato dalla fantasia che concretizza cose altrimenti impossibili. È la mia
anima racchiusa in mezzo alle righe. Credo che se tutti dedicassero più tempo a questa espressione artistica, forse nel mondo ci
sarebbe meno violenza e più tolleranza.
INNAMORATA
PAURA
Guardo te,
guardo quella persona che mi fa battere forte il cuore,
mi fa tremare,
mi fa provare sensazioni mai provate fino ad oggi,
mi da una ragione per sorridere,
per essere sempre di più...
LA VITA
Cosa sarebbe il mare
se non ci fossero le onde
cosa sarebbe il cielo
se non ci fossero le stelle
cosa sarebbe la vita
se non ci fosse l’amore
cosa sarebbe l’amore
se non ci fosse il dolore
cosa sarebbe il dolore
se non ci fossimo noi:
umani che non sanno la differenza
tra sofferenza e amore,
piangiamo, ci disperiamo,
e non ci rendiamo conto che alla fine andrà
tutto nel vuoto
nel vuoto eterno, che nessuno potrà mai colmare.
Ogni tanto abbiamo paura
ma non quella che hanno i bambini
ma quella paura che non si può mandar via
con una semplice fiaba
paura di restar da soli
paura di essere incompresi
paura che se sbagli non puoi essere perdonato
paura di discutere con le persone a cui vuoi bene
per fartela passare ci vuole ben altro di una fiaba
forse un qualcosa di più semplice
una parola un semplice ti voglio bene detto col cuore.
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I l S alotto degli A utori
STORIA DEL TEATRO
Rinascimento: la Commedia Italiana
- Quinta parte di Maria Francesca CHERUBINI (Perugia)
IL RUZZANTE
Angelo Beolco (Padova 1500 circa – 1542)
commediografo italiano, prese il nome d’arte di Ruzzante.
Pare fosse figlio illegittimo di un ricco medico, visse per
lo più a Padova, operando soprattutto nella campagna dove
amministrava i beni paterni e quelli di un suo amico e
produttore, Alvise Cornaro alla corte del quale riconobbe
le proprie qualità di uomo di Teatro. Alcune volte si improvvisava attore, altre invece scriveva opere teatrali di
tipo comico-rusticano.
Fu sempre in accordo con i suoi parenti e condusse una
vita piuttosto agiata. Per suo divertimento e di quanti lo
conoscevano il Ruzzante aveva creato un tipo, una specie
di “maschera” che andava presentando e ripresentando in
farse e commedie, e in situazioni piuttosto varie, che egli
stesso proponeva sulla scena. A questo punto non si sa
quanta parte ebbe il valore dell’attore accanto a quella
dell’autore nel ricavargli tutta la notorietà di cui godette;
ma è sicuro che il suo segreto fu quello della “naturalità”.
Si dice che il nome d’arte che assunse, “Ruzzante” rappresentava il contadino goloso, goffo, balordo e beffato
che si trova al centro di quasi tutte le sue commedie, derivi dal verbo “ruzzare, scherzare”, ma è anche vero che il
cognome fosse frequente nel contado padovano.
«Apparentemente, nella loro sostanza esteriore, le figure del Beolco non sono che personaggi comici, conforme a quella tradizione di farse villanesche, volte a presentare le sguaiataggini e la rozzezza dei villani, che erano proprie della tradizione “piovana”. Così questo
Ruzzante che torna dalla guerra, millantatore e
spaccamontagne, e tuttavia morto di fame e di paura nel
“Parlamento de Ruzante che jera vegnù da campo (dalla
guerra)”. Ma è difficile ridere ad una lettura attenta delle
pagine, tale è la serietà con cui i personaggi sono rappresentati, l’istintiva e scarna potenza con cui è ritratta la
loro psicologia elementare eppure drammatica, la forza
inoppugnabile delle loro osservazioni. Quanti villani nei
primi decenni di quel secolo, costretti dalla fame, dalla
disperazione, a darsi al mestiere di soldato, bravacci e
attaccabrighe a parole, ed invece poveri diavoli, sospinti
a quel mestiere sciagurato solo dal bisogno, dalla speranza di portare a casa un quattrino»1
Alcuni studiosi hanno voluto vedere nella figura del
Ruzzante un antesignano di una delle “maschere” della
Commedia dell’Arte, e in particolare di Arlecchino. Ma
in Arlecchino di contadinesco c’è ben poco, mentre questo Ruzzante è soprattutto un campagnolo, tratteggiato
nei suoi aspetti più comici, ridicoli e accompagnato dal
dileggio e dalla canzonatura verso la gente rustica che fin
dall’antichità era fonte di spasso per gli spettatori. «L’Autore, Angelo Beolco, colto e letterato, in certe commedie
come “La Piovana” e la “Vaccaria” (dove Ruzzante non
c’è) si è valso ancora degli schemi della Commedia
classicista, essenzialmente imitata dall’antico. Ma già nell’
“Anconitana”, sebbene ricalcata sugli stessi stampi, la
presenza della gaglioffa maschera paesana sembra portare un soffio d’aria autentica in un mondo di cartapesta.
Poi nella “Moschetta”, nella “Fiorina”, nel “Reduce” (e
altresì nel “Menego”, il cui protagonista è sempre lo stesso benché con altro nome) e nei “Dialoghi in lingua rustica” e in quella immensa congerie di materiale comico,
realistico e grottesco che è la “Betìa” (o “commedia senza titolo”), le strettoie si allentano le formule svaniscono,
la gente va e viene all’aria libera, dicendone di tutti i colori, con una veemenza, e a volte con una certa sconcezza,
che possono allarmare lo spettatore moderno, ma anche
con una foga, con un ardore, con un’autenticità, che nella
troppo fulgida scena italiana del gran secolo non si ritrovano facilmente. Un posto a parte nell’opera di Beolco
occupa “Bilora”, che è un frammetto veristico di tratti
brevi, e di potente conclusione tragica: una sorta di Verga
“ante-litteram”.
Naturalmente come in tutti gli autori del Cinquecento
sia colti che popolareschi, anche in Ruzzante c’è il piglio
eloquente, facondo, oratorio, il gusto della parola
assaporata con voluttà: era nell’aria, e nessuno in quel
secolo se ne liberò interamente mai.
La saldezza della costruzione, della macchina teatrale
di queste composizioni, alle volte può essere dubbia; ma
il manto delle parole sonore è sempre più o meno ostentato, fa sempre un po’ la coda del pavone.
Anche in quei momenti però si sente, più che il letterato, l’attore; si avverte lo schema predisposto per il ricamo
dei lazzi, verbali e mimici che gli daranno la seconda vita
a cui mirano: quella scenica.
Ed è qui l’annuncio dell’imminente Teatro, fatto non
più dagli autori, ma dagli attori: la “commedia improvvisa”».2
Angelo Beolco, Ruzzante, morì abbastanza giovane, a
42 anni, ma già le sue Commedie avevano risonanza ed
erano rappresentate anche fuori Padova. Egli era già famoso specialmente a Venezia.
Il Ruzzante scrisse soprattutto in dialetto “pavano”, ma
ogni personaggio, all’interno di ogni opera parla di linguaggio della classe sociale cui appartiene.
Così conclude il d’Amico: «Tirando le somme, possiamo concludere appunto questo: che il Teatro italiano del
Rinascimento – oltre a creare alcune opere di indubbia
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E state 2008
vivacità, o di gran classe letteraria, e anche a toccare
eccezionalmente il capolavoro – adempì, “come massa”,
soprattutto al pratico e prezioso compito di riprender l’antica materia, di riportarla in scena, di saggiarne ancora la
parte viva. Di che, come vedremo, i propagatori più efficaci divennero, oltre i nostri scrittori, anche e soprattutto
i nostri autori, specie dal seguente secolo XVII in poi. E
così della Commedia cinquecentesca italiana furono direttamente e indirettamente discepoli, come pure vedremo, non solo una gran folla di autori stranieri di second’ordine, ma anche i massimi drammaturghi europei: quelli
che nel Seicento dettero all’Europa il suo Teatro nuovo».
BIBLIOGRAFIA
Gianni, Balestrieri, Pasquali, Roberto Alone, Roberto Tessari
“Manuale di Storia del Teatro” UTET, Torino, Gennaio 2005
z Cesare Molinari “Storia del Teatro”, Ed Laterza, Bari, Marzo 2005 z Oscar G. Brockett “Storia del Teatro”, Ed Marsilio,
Venezia 1988 z D’Amico “Storia del Teatro”, Vol I, Parte I,
Aldo Garzanti, Ed 1960
z
NOTE
Gianni, Balestrieri, Pasquali “Antologia della letteratura italiana” vol II, parte I. Casa Editrice G. D’Anna - Firenze, Aprile
1964
2
D’Amico - “Storia del Teatro Drammatico” Vol I Parte I,
Aldo Garzanti Editore - 1960
1
ANABASI
di Mauro MONTACCHIESI (Roma)
Anabasi di un urlo agghiacciante
klimax che flebile nasce da
imi precordi d’ un labirinto plumbeo
urlo agghiacciante
che invade la mente
la mente
fiume abiotico velato di bruma
urlo agghiacciante
che rompe gli argini
che si aderge libero impetuoso
nell’etra priva di voci di suoni
nell’etra muta
urlo agghiacciante
finalmente libero dai limiti asfittici della materia
urlo agghiacciante
sinapsi tra
imi precordi d’ un labirinto plumbeo.
INFINITO NULLA
di Gianni FASSINA
(Costarainera - IM)
L’onda s’infrange sul solitario scoglio,
( minuscola isola)
creando effimere magie di spuma.
CAMINO
di Alda FORTINI (Villongo – BG)
Lento il silenzio nella sera
e cupo questo giardino
dalle lontane sfumature
e sento gli uccelli volare.
Ferma nel mio pensiero
un ricordo taciuto
e stretto nella sua fuga
mi incalza memorie passate.
Genziane fiorite nell’aiuola
e racconto la stagione avuta
sotto un tetto che gocciolava.
Cielo sereno e certo
dentro gli ulivi della collina
e narro di una storia voluta.
Odo il vento negli alberi
dove la strada è polverosa
e nelle nubi alte un gioco
fatto di allodole e tordi.
Scrivo brani confusi
e nella gronda un volo
dove il ritorno è segnato
da una lampada accesa
accanto al pendolo del camino.
Nell’ alba grigia
un grido rauco
rompe il silenzio:
sorpreso, il gabbiano,
s’invola spiegando le maestosi ali
verso l’orizzzonte del mare che sbianca.
Un’ altra onda...
... lo scoglio è paziente.
Al largo pescatori,
apostoli senza Gesù,
ritirano magre reti.
Persiane bianche di salsedine
si aprono all’avara luce del mattino.
Un’ altra, ancora un’altra onda...
Eterno gioco del mare.
Rassegnati, quotidiani gesti di uomini e donne.
Infinito nulla.
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I l S alotto degli A utori
IL PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ IN FISICA
di Enzo BONACCI* (Latina)
Nell’opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687) tra gli assiomi sul moto Newton enunciò
la Lex III: «Actioni contrariam semper & æqualem esse
reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo
semper esse æquales & in partes contrarias dirigi».
Sin da tale formulazione della terza legge
della dinamica, la coppia azione-reazione è
stata sempre implicitamente identificata con
causa-effetto, a mio
parere un’interpretazione non più ammissibile dopo che la fisica quantistica ha dimostrato l’esistenza
d’interazioni scevre
dal vincolo causo-effettuale.
La presenza in natura di alcuni fenomeni
acausali quali, ad esempio, la preaccelerazione elettronica ed il paradosso EPR, richiede una descrizione fisica
svincolata dal binomio causa-effetto a vantaggio di una
perfetta simmetria logica e reversibilità temporale.
Se causa ed effetto non sono più indispensabili, azione
e reazione possono essere considerate paritetiche; definiamo Principio di Reciprocità tale interpretazione estensiva della terza legge della dinamica di Newton. Esso si
estrinseca nella possibilità di permutare soggetto (causa)
e complemento oggetto (effetto) in una proposizione ben
formulata mantenendone invariata l’efficacia in termini
di descrizione fisica.
Una prima conseguenza interessante è l’interpretazione a doppio senso delle equazioni di campo di Einstein:
Gµν=kTµν per cui è altrettanto vero sia che una massa crea
uno spazio-tempo curvo intorno a sé sia, al contrario, che
uno spazio-tempo curvo crea massa al proprio interno in
modo che la materia sarebbe solo un’increspatura nel
continuum spazio-temporale. Dunque non c’è una causa
(il tensore sorgente Tµν ) ed un effetto (il tensore di Einstein Gµν) bensì le due entità sono intercambiabili nella
descrizione fisica.
Una seconda conseguenza interessante è
l’interpretazione a
doppio senso della
contrazione di Fitzgerald ∆x=∆x0/γ per cui
è altrettanto vero sia
che la velocità del corpo genera la contrazione della lunghezza nella direzione del moto,
sia, viceversa, che la
contrazione della lunghezza in una certa direzione generi la velocità del corpo.
Applicando il Principio di Reciprocità anche alla dilatazione temporale
∆t=γ∆t0, deve essere similmente vero che la velocità del
corpo genera la dilatazione del tempo nella direzione del
movimento esattamente come la dilatazione temporale in
una certa direzione genera la velocità del corpo. Ciò significa, necessariamente, che il tempo non può essere
scalare bensì deve essere orientato in un riferimento tridimensionale. Se il tempo non avesse tre dimensioni, la
seconda interpretazione del legame tra velocità e dilatazione temporale non sarebbe possibile; infatti, senza una
direzione che identifichi ∆t, ad una dilatazione temporale
non potrebbe essere associato alcun vettore velocità v.
Quindi la Reciprocità sostiene la recente ipotesi di uno
spazio-tempo esadimensionale con spazio e tempo entrambi a tre dimensioni.
Per concludere, il Principio di Reciprocità è l’estensione acausale della terza legge della dinamica ove azione e
reazione sono paritetiche; esso rende conto dei
fenomeni precausali evidenziati nella Meccanica Quantistica, corrobora l’ipotesi del tempo tridimensionale e l’interpretazione della materia
come increspatura spazio-temporale.
*) Membro del prestigioso Institute of
Physics, Enzo Bonacci ha enunciato il
Principio di Reciprocità, per la prima volta,
nel saggio “Relatività Assoluta” pubblicato
da Carta e Penna.
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E state 2008
LA DISCRIMINAZIONE DELLE CASALINGHE
inviato da Calogero ANDOLINA (Villalba – CL)
Illustrissimo Signor Direttore,
qualche giorno fa ho rivisto il film “La Bibbia” e come
mi succede con i film importanti, ogni volta che li rivedo,
colgo sempre un qualche particolare nuovo che le volte
precedenti mi è sfuggito, o per distrazione o per qualche
altro motivo. Quest’ennesima volta mi ha colpito particolarmente, la scena quando Dio scopre la disobbedienza di
Adamo ed Eva, cioè, quando hanno mangiato il frutto proibito. Il momento esatto è quando Dio dice ad Eva che per
colpa sua, anche Adamo ha disobbedito alle sue Leggi,
quindi, Lei è condannata a provare atroci dolori durante il
parto, inoltre, per questa sua colpa l’uomo sarà sempre il
suo signore e padrone. Il tempo, da quel tragico evento, è
trascorso in una successione illimitata di secondi, di minuti, di ore, di giorni, di mesi, di anni e di secoli, ma la donna,
secondo l’indiscutibile volere espresso da Dio, è sempre
vissuta in una condizione di sottomissione assoluta all’uomo. Per volere di Dio, tutto è possibile, tutto è accettabile.
Ora da circa mezzo secolo, almeno nelle Società così
dette evolute, noi donne abbiamo conquistato un grande
spazio in qualsiasi settore della vita sociale.
Oggi, nella Società dei consumi, ricopriamo ruoli sempre più importanti, sia nella vita pubblica che in quella privata. L’uomo finalmente e contrariamente a quanto ha
decretato Dio, come sempre del resto, riconosce alla donna parità di diritti e di doveri, nonostante che Dio avesse
deciso diversamente.
Io sono profondamente convinta, che sia giusta la scelta dell’uomo. Si dice che a volte la donna esagera con le
sue richieste, le sue pretese, ma forse l’uomo ha esagerato meno? Ma l’uomo, non ha esagerato fin dalla sua nascita? Tutto questo mi richiama alla mente un concetto,
che mi frulla nella testa ormai da parecchi anni. Prendo
ad esempio il nostro Paese, anche perché non conosco i
modi e i termini di come lo stesso problema viene trattato
in altri Paesi che vantano un grado di civiltà come il nostro. Nel nostro Paese, dove credo che le casalinghe siamo la maggioranza delle donne, ma di sicuro siamo una
parte consistente della popolazione attiva, lo Stato finanzia opere di qualsiasi natura, elargisce somme più o meno
giustificabili a milioni di soggetti diversi, si sprecano miliardi in ogni angolo del Paese che ormai non si contano
più, ma mai nessun Parlamento a prevalenza maschile, ha
preso in considerazione il fatto, che la donna-casalingamamma, svolge un lavoro. Un lavoro che è molto più importante di tantissimi altri, un lavoro che torna utile alla
comunità intera e quindi allo Stato, un lavoro che dura una
vita, ma che non viene retribuito nemmeno con una simbolica somma.
Io credo che sarebbe un atto di giustizia sociale se, chi
ha il compito di gestire il Potere, rivedesse la politica generale sulla famiglia, ma soprattutto sulla condizione della
donna-casalinga-mamma. Io ritengo che essa può bene
vantare quel diritto inalienabile che tutti i cittadini di questo Paese, a torto o a ragione, rivendicano: avere corrisposto un mensile, anche minimo, affinché questa donna
che da un contributo determinante allo sviluppo della società, possa disporre di un suo reddito personale di cui non
deve rendere conto a nessuno, ma che soprattutto gli deve
servire per soddisfare quelle sue più intime esigenze, che
spesso non può soddisfare per mille motivi legati magari
ad una situazione ambientale o familiare difficile, che non
gli consente di soddisfare quelle piccole necessità che sono
tipiche della donna di oggi. ( Parrucchiere, cosmetici, un
capo di abbigliamento o di biancheria intima ai quale tiene
particolarmente o mille altre piccole cose).
Visto che ogni cittadino fa di tutto per aggrapparsi a
questo seno cosi produttivo, di uno Stato cosi munifico nei
confronti di tutti, non vedo perché la donna impegnata
nelle numerose attività della casa, non debba avere, anche Lei, questa possibilità, anzi, direi proprio questo diritto.
Sarebbe un atto di giustizia sociale che in qualche modo
metterebbe questa categoria di donne, in una condizione
di parità sociale, con quelle che sono state più fortunate,
in quanto hanno avuto la possibilità di scegliere un futuro
per la loro vita, più vicino alle loro aspettative.
Visto che gli sprechi sono talmente tanti e tali da portare
il Paese ad un indebitamento alto come una montagna,
non sarà certo questa spesa che porterà il Paese alla totale rovina. Comunque, io desidero approfittare del suo giornale per mandare un appello a tutte le donne che svolgono attività di casalinghe. Visto che nel Paese siamo in
numero consistente e visto che, ma è una mia personale
opinione, sicuramente da tempo abbiamo ottenuto il perdono di Dio per quel peccato compiuto da quella
progenitrice di Eva, di organizzarci politicamente in modo
che alle prossime elezioni possiamo proporre le nostre
candidate, a qualsiasi livello amministrativo, affinché possiamo portare avanti le nostre battaglie, con in testa, la
rivendicazione di un giusto salario. Auguri.
È pur dolce l’immagine / delle donne di casa: / le
muse son, son gli angeli / del domestico cielo.
Albasicana 05/1995
Sit non doctissima coniux.
Tua moglie non sia troppo dotta.
Emilio Praga, Sospiri all’inverno
Marziale, Epigrammi, II, 90, 7
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I l S alotto degli A utori
IL RICORDO DI UNA GRANDE ATTRICE:
ANNA MAGNANI
di Gilbert PARASCHIVA (Trappitello - ME)
Mi piace ricordare, come hanno fatti tanti giornali e
tante trasmissioni televisive, che l’attrice più amata del
Cinema Italiano, Anna Magnani, quest’anno (il 7 Marzo
per l’esattezza) avrebbe compiuto cent’anni! Annaré va
ricordata, oltre che per le varie pellicole cinematografiche anche per l’interpretazioni di tante belle canzoni come
“’O surdato ‘nnamurato”, “Arrivederci Roma” e gli
stornelli del film “Mamma
Roma”.
La stessa, a differenza di
quanti
la
credono
romana…de’ Roma, invece,
così come il poeta Giuseppe
Ungaretti ed il sottoscritto era
nata ad Alessandria d’Egitto, proprio lo stesso anno in
cui nacque mia madre
(1908), la pianista Severina
Di Bella.
Non starò qui, in questo
mio modesto ricordo, a ricordare tutti i film da lei girati
dalla Magnani ma, tutt’al
più, le canzoni da lei cantate
che vanno da “Canta se la
vuoi cantar” dal film “Abbasso la ricchezza” del 1947
a “’O cunto ‘e Maria Rosa”,
dal film “Assunta Spina”, del
1948, oppure “Comm’è bello fa’ l’ammore quann’è
sera” dal film “Siamo donne” a “Le rose rosse” (non quelle di Massimo Ranieri)
tratta da una fiction girata per la TV dal titolo “La
sciantosa”. Nonostante l’interpretazione di tutte queste
canzoni, Anna Magnani ha inciso un solo disco a 78 giri
con due bellissime canzoni napoletane che interpretavo
anch’io e precisamente “Aggio perduto ‘o suonno” e
“Scapricciatiello”; quest’ultima molti la ricorderanno per
l’interpretazione del mio amico e collega Aurelio Fierro,
il quale - come i nostri lettori ricorderanno - per un certo
periodo della sua vita - era stato soprannominato appunto
“Mister Scapricciatiello”.
Penso che gli Italiani, in particolare gli amanti della canzone e della poesia, abbiano senz’altro gradito il rientro
di questi italo-egiziani in Patria, tipo la Magnani,
l’Ungaretti o il sottoscritto, dal
momento che abbiamo dimostrato coi nostri lavori ma, soprattutto, col nostro comportamento, di avere amato l’Italia
(assieme alla maggior parte
degli italiani nati o residenti all’estero), più di tanti altri che
vi sono nati, cresciuti
e…pasciuti i quali, poverini,
non si può dare loro torto, perché, probabilmente, per le tante cose ingiuste, i tanti torti subiti, le tante nefandezze viste,
hanno fatto un po’ di “indigestione di Patria” tanto da esserne nauseati e far cantare a
qualche italiano verace “Mi
vergogno d’essere italiano”! I
lettori avranno capito che intendo parlare del grande Giorgio
Gaber, un altro amico che, cinque anni fa, ci ha lasciato! E
dire che, nel lustro scorso, le
cose non erano ancora precipitate al punto tale da farci nauseare, come al giorno d’oggi, non solo la politica ma, forse, la nostra stessa Patria, se
non addirittura il Mondo intero! Agli amici Aurelio Fierro
e Giorgio Gaber, nonché alla mia indimenticabile concittadina Anna Magnani dico:”Per come stanno procedendo le cose, al giorno d’oggi, su questo Pianeta, chi sta
meglio fra Voi o noi, questi sicuramente siete Voi!”
IL MULINO LETTERARIO
Periodico di notizie, arte e cultura
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Austria; Giovanni Li Volti Guzzardi, Anna Sarrocco, Australia; Marco Zilony, Patricia Kowaleki,
Canada. Ai sostenitori (30 euro) verrà pubblicata ogni mese una poesia gratis. Contributi liberi per la
sottoscrizione vanno inviati ad: Antonio Pesciaioli, Hofstrasse, 10. C.a.P. 77787 Nordrach (Germania).
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E state 2008
A SPELLO, IL SEME DELLA FRATERNITÀ UNIVERSALE
OMAGGIO A FRATEL CARLO CARRETTO A 20 ANNI DALLA SUA SCOMPARSA
di Franco PIGNOTTI (Petritoli - AP)
Il 4 ottobre 2008 saranno passati venti anni esatti dalla
scomparsa di fratel Carlo Carretto, senza dubbio una delle figure più significative del panorama ecclesiale e culturale italiano del dopo guerra. Non è stato un ‘caso’ che
la sua avventura umana si sia conclusa la notte del 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, il santo di cui era
innamorato e che sentiva talmente suo da scriverne una
splendida biografia dal titolo emblematico: Io Francesco. Egli amava ripetere spesso che il ‘caso’ non esiste.
Carlo era nato ad Alessandria il 2 aprile del 1910, da una
numerosa e povera famiglia contadina costretta ad emigrare ben presto nella cintura torinese. Nella Torino delle
grandi contraddizioni sociali ma anche delle grandi opportunità umane, Carlo Carretto cresce a contatto con un
‘oratorio salesiano’, dove riceverà una solida formazione
umana e cristiana che ne farà ben presto un leader giovanile dell’Azione Cattolica, unica aggregazione indipendente cui era permesso ‘sopravvivere’ in quegli anni, dal
regime fascista. Maestro elementare a 18 anni, consegue
contemporaneamente la laurea in Storia e in Filosofia e
nel 1940 vince un concorso per Direttore Didattico. E’
però già inviso al regime, e viene mandato in questa veste
dapprima in uno sperduto paesino della Sardegna e poi
cacciato anche da qui con l’accusa di attività antifascista,
messo al confine ed infine rimandato in Piemonte.
Appena terminata la guerra, nel 1945 viene chiamato a
Roma a dirigere l’Associazione dei Maestri Cattolici e
l’anno successivo, nel 1946 diventa presidente nazionale
dell’Azione Cattolica Giovani. Ritrovatosi doti di grande
organizzatore, per la celebrazione dell’80mo anniversario della fondazione dell’Azione Cattolica porta a Roma
oltre 300.000 giovani, i cosiddetti “baschi verdi”, il primo raduno di massa stile “papa boys”. Testimonianza della
sua attività di questo periodo all’interno del mondo giovanile, è il suo primo libro: Famiglia Piccola Chiesa nel
qual anticipa di quasi venti anni alcuni temi che saranno
del Concilio Vaticano II. Quelli erano anche anni di grandi fermenti all’interno del mondo cattolico per quanto
riguarda il rapporto con la politica: era nata la grande balena bianca, la Democrazia Cristiana, al cui interno si ritrovavano le diverse anime del cattolicesimo politico. Vista
la grande capacità organizzativa di Carlo Carretto, ai vertici della Chiesa ci furono pressioni affinché mettesse
queste sue doti da grande leader sull’agone politico. Ma
la vocazione del giovane attivista piemontese era un’altra
e soprattutto gli era invisa la tendenza di larga parte del
mondo politico cattolico di allora di guardare verso la
Destra. Sarebbe potuto diventare uno dei notabili DC dei
successivi cinquant’anni; scelse una strada completamente
diversa: quella del deserto. Abbandonò tutto e si fece ‘piccolo fratello’1. Trascorse ben dieci anni nel deserto del-
l’Algeria sulle orme di fratel Charles De Foucauld, vissuto e morto da solo, nel 1916, tra le popolazioni Tuareg di
fede islamica, per testimoniare nella semplicità della vita
condivisa con i poveri, la fraternità universale di un vangelo vissuto intensamente nel silenzio, nel lavoro, nella
preghiera e nella sottomissione a tutti, sull’esempio di
Gesù durante la sua vita nascosta di Nazareth.
Carretto, “uomo di azione”, diventa, in questi dieci anni
di deserto, “maestro di contemplazione”; il libro che pubblicherà alla fine di questa ‘traversata spirituale’, nel 1964,
Lettere dal deserto, divenne subito un best seller e resterà
una pietra miliare nella storia della spiritualità cristiana
del XX secolo. In esso fratel Carlo racconta la sua esperienza di fede, esperienza che lo porta ad affermare con
passione che Dio è per lui una evidenza, l’acqua stessa in
cui il pesce nuota, l’aria che il vivente respira. Una fede
che fa un tutt’uno con la pasta stessa della vita e della
storia, che dona una certezza assoluta nella presenza di
Dio nelle piccole cose di ogni giorno, una fede sostanziata
dall’amore per tutte le creature e non dalle strutture religiose. Tornato in Italia, fratel Carlo sceglie un vecchio
convento francescano abbandonato nei pressi del cimitero di Spello, il San Girolamo, e qui si dedica all’accoglienza e alla contemplazione, nella consapevolezza che
occorre riscoprire Il deserto nella città (titolo di un altro
suo libro successivo). Nasce a metà degli anni sessanta
“la fraternità di Spello” e in pochi anni essa diventa un
centro dove migliaia di giovani e meno giovani saranno
accolti e potranno trovare uno spazio dove condurre la
propria ricerca spirituale senza essere giudicati e in grande libertà interiore; invitati al silenzio e alla contemplazione. Anno dopo anno, fratel Carlo si impose come uno
dei riferimenti essenziali in Italia e nel mondo (i suoi libri
vengono tradotti nelle principali lingue), per una ricerca
religiosa e mistica estremamente aperta, ecumenica, davvero evangelica. La fraternità di Spello, dalla fine degli
anni sessanta fino alla fine degli anni ottanta, è stata un
crocevia di ricerca spirituale ed umana di cui oggi sarebbe impossibile tracciare le coordinate; un luogo di incontro fra generazioni, fra credenti e non credenti, fra uomini
e donne, fra l’uomo e Dio. Un luogo dove le parole d’ordine erano: lavoro, silenzio, preghiera, fraternità, accoglienza; e queste, offerte con semplicità, senza ‘strutture
religiose’ o ‘mura di cinta’, da vivere sparsi negli eremi
immersi negli uliveti del Subasio, divenuto quasi una novella Tebaide2.
Sono stato guidato a Spello dal libro che Carlo aveva
pubblicato all’inizio del 1983, Ho cercato e ho trovato,
libro che mi entusiasmò subito e mi costrinse a ‘cercare’ e
a ‘trovare’ chi lo avesse scritto. In esso fratel Carlo raccontava ancora una volta la sua ‘esperienza’ di Dio3, e
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I l S alotto degli A utori
incoraggiava alla fede: “Non chiedetevi più se credete o
non credete in Dio, chiedetevi se amate o non amate. E
se amate, non pensate ad altro, amate. E amate sempre
di più fino alla follia, quella vera e che porta alla beatitudine: la follia della Croce, che è cosciente dono di sé e
che possiede la più esplosiva forza di liberazione per l’uomo”. Ciò che conta è amare, sarà infatti il titolo di un
altro suo libro di successo. Carretto è autore di molti libri
di spiritualità, libri che nascevano dalle sue meditazioni,
dalla sua preghiera, dal suo silenzio e dai suoi incontri. In
genere in ogni nuovo libro condensava la riflessione dell’intero anno precedente, portata avanti con tutte le persone che venivano a condividere con lui la vita di fraternità.
Nell’anno in cui sono stato presente, il filo che guidava
tutto era la sofferenza ed essa nasceva immediatamente
dalla sua situazione fisica, si sentiva vecchio e malato,
per raggiungere nella preghiera e nella meditazione la situazione del mondo, il cuore di Dio e il grido di Giobbe.
Diceva spesso: questo libro lo scriverò sulla carta o nella
mia carne. Lo scrisse sulla carta e l’anno successivo pubblicò Perché Signore? Il dolore: segreto nascosto nei
secoli. In esso c’erano anche le nostre fatiche e le nostre
domande. Sono così nati alla stessa maniera, oltre ai testi
già citati, anche altri volumetti di successo come Innamorato di Dio, L’utopia che ha il potere di salvarti, Al
di là delle cose, Beata Te che hai creduto, e altri.
Sono vissuto in fraternità a Spello dal settembre 1983
al maggio 1984. La Fraternità del S. Girolamo era in quegli anni un porto di mare. L’accoglienza estiva era costituita soprattutto da tanti gruppi organizzati provenienti
dalle parrocchie, che venivano per vivere la classica ‘settimana’, con le sue belle liturgie animate dalle meditazioni di fratel Carlo, dalle lezioni bibliche di Giuseppe Florio
e dai canti al pozzo di Pierangelo Comi. Fare accoglienza
nei mesi autunnali, invernali e primaverili significava invece una cosa diversa. Venivano persone che si fermavano per periodi lunghi, persone al di fuori del contesto
lavorativo normale o che si erano posti momentaneamente
fuori degli schemi; persone in ricerca che si erano date un
tempo per riflettere e magari per ricominciare. Un tempo
‘sabbatico’, come il ‘settimo anno’ dell’antico popolo
ebraico, nel quale anche la terra doveva riposare e l’uomo doveva vivere di quello che la terra spontaneamente
donava a tutti indistintamente. Ho vissuto Spello principalmente come “incontro”: un incontro con Dio oltre la
legge, fuori delle mura, ma per questo più intimo e vero; e
un incontro con tante persone che, pur nella loro casualità,
sono diventate significative, con le quali ho costruito un
rapporto di amicizia forte, duraturo; oppure che sono rimaste impresse nella mia memoria in maniera indelebile.
Torno a Spello quasi ogni anno, come una sorta di pellegrinaggio personale. Mi reco al San Girolamo, ora di
nuovo semplicemente “il cimitero di Spello” dopo il terremoto del 1997, quando a causa delle lesioni al convento, ha avuto termine anche ciò che era rimasto in vita di
tutto il movimento dei decenni precedenti. Che cosa cerco dunque oggi in quel luogo, un tempo ricco di spiritua-
lità e di presenze, ma ora di nuovo ‘deserto’? Nel piccolo
orto adiacente alla cappellina e antistante al cimitero cittadino, dove eravamo soliti coltivare ortaggi da usare in
cucina, riposano ora due ‘piccoli fratelli’: fratel Carlo e
fartel Ermete, gli unici rimasti. Ma grazie a loro, la
Fraternità è ancora lì, nella forma del seme che caduto in
terra, muore ma porta molto frutto, come dice il Vangelo.
Oggi certamente ci sono tanti altri punti di riferimento
per i giovani (ma ci sono davvero?), eppure quando guardo i miei figli, penso con tristezza che sono meno fortunati di me; sento la mancanza per i giovani di oggi di un
luogo come la Spello che fu. Per questo sentivo che il
ricordo di Carlo, nel ventesimo del suo passaggio al Padre, non poteva restare nel silenzio.
[email protected]
NOTE
1
I ‘piccoli fratelli’ costituiscono una sorta di network di
fraternità religiose iniziate da René Voillaume, su ispirazione e in base alle regole per fraternità scritte dallo stesso Charles de Foucauld, che invece visse e morì da solo
pur sognando queste fraternità.
2
Gli ‘eremi’ di Spello erano case coloniche abbandonate che Carlo Carretto aveva chiesto ed ottenuto in uso
dai proprietari per utilizzarle come spazi di accoglienza e
di preghiera per le persone che intendevano trascorrere
un tempo accanto alla sua fraternità. All’inizio degli anni
ottanta erano circa trenta. Oggi solo uno di questi eremi
funziona ancora, il Beni Abbes, dove vivono tutt’ora alcuni ‘piccoli fratelli’. La ‘Tebaide’ era la regione dell’antico Egitto dove sorsero le prime forme eremitiche di
monachesimo cristiano.
3
Il titolo riprendeva, per rovesciarlo, quello di un altro
libro sulla fede scritto dal famoso giornalista non credente che si firmava Ricciardetto sul Corriere della Sera e
che aveva appunto intitolato: “Quesiti et non inveni”, ‘ho
cercato e non ho trovato’.
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POESIA
di Corrado ALESSANDRINI
(Recanati – MC)
Quell’angolo di luna
per una siringa
d’un giovane argenteo
con pieno luccichio
di fango sociale
naviga assente
fra paradisi di mari,
in solitudine squallida,
ignaro degli ori
della sua giovinezza.
E state 2008
SOTTO QUELLA LUNA
CHE DORME
Era il tempo
di Fosca Andraghetti (Bologna)
di Bernadette BACK
(Casapesenna - CE)
Erano giorni di lacrime e rabbia,
di solitudine e d’abbandono.
Erano gorghi di fiumi in piena
quei giorni sepolti di paura.
Erano vortici pieni di poltiglia,
ciarpame, grigiore e nebbia.
Sogno di luna
su un velo d’aria,
carezza in solitudine,
sospiri profumati,
estasi magica
in una notte candida,
quando l’anima spogliata
incontra Colui che ama…
Riflessi di stelle
nell’eterna presenza,
armonia celeste,
vestita di silenzi,
domanda tremante
sulle labbra dell’Amante,
sorriso di luce
che il cuore brucia…
E’ tenerezza di cielo,
vissuta insieme,
nascosta in un sogno
sotto quella luna che dorme…
Dentro l’acqua gli alberi
spogli avevano perso
il vigore dell’alba
del mezzogiorno
dell’autunno.
Ero io dentro l’acqua
a sentirmi sporca
per un amore finito.
Un amore importante.
Ero niente, un fallimento.
In quel mio tempo strano
stavo aggrappata all’orlo
di un pozzo, stringevo
le dita per non cadere, chiudevo
gli occhi per non vedere.
Avevo cancellato il cuore
per non morire.
Erano i giorni di lacrime e rabbia
rivisti in moviola adesso
che il tormento
è diventato oblio.
È NATO UN FIORE
di Calogero ANDOLINA
(Villalba – CL)
Tempo fa è nato un fiore,
che tra i fiori era il più bello,
ancora oggi ha il candore,
della Desdemona di Otello.
Il profumo ha della rosa,
la purezza ha del giglio,
come il Sole è luminosa,
dell’orchidea ha il meglio.
E’ cresciuta senza amore,
nonostante il desiderio,
non si sa chi fu l’autore,
che la privò di quel delirio.
REQUIEM PER UN BOCCIOLO DI ROSA
di Leila GAMBARUTO (Chieri – To)
Il suo cuore no di certo,
anzi, durante la Primavera,
sognava ad occhi aperti,
che arrivasse prima di sera,
Bambina mia, quanta pena infinita
quando soffrivi gemendo in quel letto,
e si spegneva così la tua vita,
mentre stringevi una bambola al petto.
su di un bel cavallo alato,
un cavalier servente,
più che di spada armato,
di amore sempre ardente.
Io, lacrimando, imploravo ai dottori
ciò che soltanto il destino può offrire,
e tu, sconfitta, tra spasmi e dolori,
chiedevi se fa più male morire.
Ma il tempo inesorabile,
il segno suo ha lasciato,
seppur sul viso è percepibile,
é bello più di quando è nato.
Fiore innocente, falciato dal male,
verso le stelle lassù sei volata,
ma io ripenso a quel bianco ospedale
ed il mio mondo è una porta bloccata.
Fino a quando batte il cuore,
il desiderio è sempre vivo,
e il ricordo di quel fiore
sarà sempre suggestivo.
Il tempo passa, lo sai, tiro avanti,
son diventata una vecchia marmotta,
parlo di te col Signore e coi santi,
ed accarezzo una bambola rotta.
Suggestivo e spirituale,
per il cuore e per la mente,
come un’anima immortale,
sarà in me sempre presente.
- 23 -
I l S alotto degli A utori
IL SIGNIFICATO DELLA RELATIVITÀ ASSOLUTA
di Enzo BONACCI* (Latina)
La Relatività Assoluta prevede l’applicazione letterale
del principio di Relatività Ristretta di Einstein, per cui
tutti i sistemi di riferimento inerziali devono essere
indistinguibili a prescindere dalla loro velocità (ivi compreso il caso limite v=c) ed indipendentemente da eventuali conseguenze paradossali. Pertanto le interazioni scevre da
causalità ammissibili, in generale,
nei sistemi di riferimento inerziali
alla velocità della luce in virtù della condizione di atemporalità e,
nello specifico, per le onde elettromagnetiche, devono essere
riscontrabili anche negli ordinari sistemi di riferimento inerziali a velocità subluminale.
Ciò rende sia conto delle
correlazioni
acausali
già
evidenziate nella Meccanica
Quantistica sia possibile l’ipotesi
che l’energia radiante, richiusa ad
elica per autointerazione, generi
carica elettrica o magnetica a seconda che si ripieghi, rispettivamente, lungo il proprio versante
elettrico o magnetico. A suffragare
l’efficacia di tale modello, aderente alla descrizione spinoriale delle
particelle, v’è la spiegazione della
quantizzazione delle masse stabili,
della conservazione della carica e
della sua indipendenza dalla massa cui è associata, della neutralità
di talune particelle, della natura dello spin, del meccanismo di scambio tra massa ed energia radiante,
dell’irraggiungibilità sia della velocità c sia dello stato di
quiete per la massa e dell’assenza di monopoli magnetici.
Il Principio di Minima Energia favorisce solo quelle strutture che minimizzino l’energia complessiva e l’elica elettromagnetica lo rispetta in pieno, presentando un campo
interno inferiore a quello sulla superficie laterale. Si noti
come ciò getti luce su un aspetto mai esplorato sin dalla
scoperta dell’equivalenza massa-energia: il perché la radiazione debba convertirsi in una struttura energeticamente
concentrata come la massa, e, ancora più arduo a credersi, come mai alcune particelle siano stabili.
Assumendo il doppio segno per le soluzioni delle equazioni di Maxwell, si ottiene una spiegazione coerente della preponderanza di materia ordinaria rispetto
all’antimateria, che crescerebbe lungo l’asse temporale
mentre risulterebbe invertita andando a ritroso nel tempo.
Nella congettura, infine, che i fotoni possano interagire
fra loro, è plausibile l’esistenza di un’induzione, che porterebbe più onde elettromagnetiche a comportarsi in modo
simile per mutua influenza tipo effetto domino.
La violazione del principio di causalità permette una
riformulazione della terza legge di Newton che contempli
la reciprocità.
Il principio consiste nella possibilità di invertire sogget-
to (causa) e complemento oggetto (effetto) in una proposizione ben formulata mantenedone invariata l’efficacia
in termini di descrizione fisica. La conseguenza più interessante risiede in un’interpretazione a doppio senso delle equazioni di campo di Einstein Gµν=kTµν , in cui è vero
sia che una massa deformi lo spazio-tempo sia, al contrario, che una
curvatura dello spazio-tempo generi massa al suo interno. Inoltre, applicata allo spazio-tempo, la reciprocità suffraga la natura tridimensionale del tempo e la necessità di un
tensore sorgente 6x6.
La Relatività Assoluta non solo
rende possibile una descrizione unitaria della realtà basata sull’unico
campo elettromagnetico nella sua
duplice morfologia lineare a v=c ed
elicoidale a v<c, ma apre anche la
prospettiva su scenari attualmente
sconosciuti, in cui la materia sia
l’anello intermedio d’una lunga, o
addirittura illimitata, catena di successive eliche di campi di forza.
Lo stesso campo elettromagnetico potrebbe essere, a sua volta,
l’estrinsecazione elicoidale di un
precedente campo tachionico in base
all’ipotesi del ricoprimento: la
ricorsione
ad
infinitum
dell’avvolgimento elicoidale
ogniqualvolta si superino soglie discrete d’energia.
Alle probabili obiezioni che il modello proposto sia troppo semplicistico, non contemplando la possibilità
d’interazioni diverse da quelle elettromagnetiche o
gravitazionali (ad esempio le forze di colore), e che lo
spazio-tempo a 6d sia stato solo accennato, si rimanda al
saggio Estensione della Relatività Generale (Carta e Penna Editore, 2006). In esso viene dimostrata la
tridimensionalità del tempo, attraverso un esperimento
ideale diodo-fotodiodo, e proposta una nuova
supersimmetria spazio-temporale, di modo che la molteplicità delle interazioni percepite non dipenda da numerose sorgenti di campo, bensì dall’estrinsecazione del medesimo tensore energetico 6x6 in una cornice
esadimensionale.
All’eventuale accusa d’aver trascurato il problema del
neutrino, di non aver menzionato la massa mancante o di
aver dato per scontata la freccia del tempo, si ricorda che
tali tematiche sono state approfondite nel saggio Estensione della Relatività Ristretta (Carta e Penna Editore,
2006).
*) Membro del prestigioso Institute of Physics, Enzo Bonacci
ha pubblicato con Carta e Penna il saggio “Relatività
Assoluta” di cui quest’articolo rappresenta un estratto con
finalità divulgativa.
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E state 2008
LUCREZIO: POETA E NON FILOSOFO
di Giulia DEL GIUDICE (Genova)
Mi è capitato durante quest’anno scolastico di far
imbattere i miei alunni in Lucrezio e con piacere li ho
fatti inciampare in alcuni passi del suo De rerum natura,
affinché potessero anche loro provare stupore di fronte
alla Bellezza che ci circonda.
Lucrezio è sicuramente uno degli autori più complessi
e geniali della latinità classica, a parer mio un vero e proprio unicum, per quanto era innamorato della FILOSOFIA EPICUREA, per come ha perseguito tenacemente
l’ideale della ataraxìa, senza però essere con essa coerente, ma vivendo un’esistenza avvolta dal tormento e
dalla passione. La sua voce, così razionale in tanti passi,
lascia spazio alla lettura di un animo colmo di angoscia e
disperazione, lui che avvertì come purtroppo insanabile
lo iato inevitabile che prende piede nell’animo umano tra
aspirazione all’ infinito e finitezza e limite di tutte le cose.
Tutto ciò portò lentamente Lucrezio alla disperazione,
probabilmente al suicidio addirittura. Questa natura tanto lo affascinava e tanto lo incantava, quanto lo spaventava per la gioia di fronte al suo infinito, alla sua infinita
bellezza, e successiva alla contemplazione della
eudaimonìa segue subito un senso di phòbos, al punto
che his ibi me rebus quaedam divina voluptas/ percipit
atque horror (III, 28-29: “Qui, di fronte a queste cose mi
coglie un’oscura divina ebbrezza che mi fa paura”). Sentiva bene Lucrezio dentro e intorno a sé quel “male di
vivere” così caro al nostro Novecento, sapeva bene che
nulla lo avrebbe mai soddisfatto a pieno e che sempre
invano avrebbe cercato la gioia, perché medio de fonte
leporum/ surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat
(IV, 1133-1134: “Nel cuore stesso della gioia nasce un
non so che di amaro capace di angosciarti anche tra i
fiori”)…lo capite? Anche in mezzo ai fiori, che sono
metafora della felicità, scaturisce qualcosa di amaro, una
nota stonata, un senso di mistero, inspiegabile per
Lucrezio, di certo un’angoscia (l’etimo angat non è certo
casuale) che tormenterà sempre e comunque. Che cosa
significava per Lucrezio “essere felici”? Forse vivere senza
dolore, senza ansie, senza provare alcun brivido, senza
palpiti…significava non soffrire, ma anche non gioire,
non farsi turbare da alcuna emozione, non tremare di paura, non agitarsi…stare lì, sulla riva – come dice lui – a
guardare gli altri che si affannano, che corrono e compiacersi di saper restare sereni, senza essere toccati da ambizioni, da desideri. In un’unica parola il segreto è l’imperturbabilità, l’ataraxìa per l’appunto. Ci crede, il nostro
Lucrezio, in tutto questo, ci crede con una caparbietà spaventosa e vuole convincere il suo lettore che seguendo
Epicuro questa serenità davvero è realizzabile sulla terra:
bandire la politica, l’amore, allontanare da sé il pensiero
degli dei, ogni forma stupida di superstizione, dimenticarsi perfino della morte. L’imperativo categorico è “rag-
giungere l’imperturbabilità”, afferrare a piene mani quella divina indifferenza montaliana e solo così salvarsi dal
male di vivere. Ma, ahimè, che impresa impossibile!
Quanto si sente solo Lucrezio dinanzi a questo obiettivo,
quanta solitudine avverte il lettore nello sforzo del poeta
che tenta invano di parlare di felicità, ma sembra patire
l’esistenza come un passaggio doloroso tra il nulla da cui
proveniamo ed il nulla in cui precipiteremo. Bisognerà
aspettare S. Agostino per comprendere che questo oscuro
malessere che portò Lucrezio alla morte non è altro che
un bisogno di infinito avvertito dalla creatura umana,
poiché inquietum est cor meum - afferma Agostino –
donec requiescat in te, Domine (“inquieto è il mio cuore,
finchè, o Signore, non riposa in te”).
Lucrezio si guardava intorno e vedeva solo uomini che
si distruggevano nelle sofferenze, alcuni avvertendo una
insopportabile febbre di vivere, altri tormentati dall’angoscia di morire, nessuno in grado di raggiungere un distacco da sé stesso. Solo quegli dèi lontani e avvolti
dall’iperuranio possono essere indifferenti. Lui, inconsapevole “cercatore di Dio”, lui che sognava di diventare
come loro, indifferente e distaccato dalle passioni e dalla
gioia stessa, perché non est pura voluptas (IV, 1081: “nessun piacere è puro”), è l’unico poeta antico veramente
tormentato dal bisogno del divino e dell’assoluto. Lontanissimo tutto ciò dalla mente di Epicuro! Ed allora? Allora è un fallimento la filosofia lucreziana, un fallimento la
sua opera che non raggiunge l’obiettivo che si era prefisso. Un fallimento la vita stessa di Lucrezio, conclusasi
forse col suicidio…ma, c’è sempre un “ma”, quanta immensa, straordinaria poesia nasce da questa contraddizione. Non c’è poesia più autonoma dalle intenzioni che
l’autore desiderava indicare al lettore: Lucrezio, che credeva di avere sotto i piedi la via della serenità epicurea, fu
egli stesso incapace di perseguirla, torcendosi in una sofferenza che trasuda da buona parte dei suoi esametri. La
filosofia poco per volta lascia spazio alla poesia, fino a
culminare in quella visione apocalittica della peste di Atene, dove il dolore umano prende forma e si fa concreto,
diventa materia, diventa un’ossimorica pesantezza del
vuoto, del nulla sul quale si affaccia l’esistenza umana.
Unica consolazione a questo nulla, a questo vuoto rimane la POESIA. E qui, paradossalmente, Lucrezio sembra
affermare la superiorità della poesia sulla filosofia proprio come remedium al male di vivere. Strana è la vita:
cerchi di indicare una strada seguendo una dottrina filosofica e ti ritrovi a dire a Memmio che forse l’unico sentiero da calcare è l’aspra via della poesia, perché è col
canto, più che con la ratio che il dolore è sopportabile,
quel dolore che ha una voce sola ed accomuna gli uomini
tutti.
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I l S alotto degli A utori
IL VECCHIO E LA CITTÀ
di Gian Franco MICHELETTI (Orbassano - TO)
Sono fredde correnti oggi i segnali della città, c’è
distacco e passa inosservata l’immoralità all’indirizzo
della storia.
Si corre sul filo dell’arroganza e della superficialità percorrendo le strade senza uno sguardo degno di
rispetto.
Piazze, cortili e selciati celanti barbarie lontane,
accantonate nell’indifferenza.
Forse fa paura tanto clamore emanato dalle mura,
embrione di un’eredità che si insinua nelle vie ignoranti le matrici e le gesta ed un capitello passa alfine
come un oggetto di ingombro.
Il sole fa capolino dai bastioni di “Palazzo Madama” e un distinto signore si sofferma quasi smarrito
ad accarezzare la città nelle sue nebulose metamorfosi, dalle cupole alle torri ai campanili osannanti i capolavori e le ambizioni che ne derivano dalla storia.
Il campanile di San Lorenzo batte cadenzati rintocchi, quasi a voler interrompere quel silenzio cercato, e una smorfia controllata sfugge all’eleganza
dello sconosciuto dal passo claudicante, ma dal por-
tamento retto.
Dallo sfarzo del palazzo le mura sembrano cogliere commozione agli occhi di attempata signorilità,
le quali rughe profonde segnano un composto
aplomb, vagante ancora oggi fra affreschi e mistero
di una città dal fascino di una romantica signora.
I suoi occhi cadono sulle antiche volte dagli affreschi dorati e un’atmosfera surreale vive nel morbido
di geometrie che del silenzio dei secoli conserva la
grazia e la cultura, interpreti della ricchezza di una
città dall’aria intrigante.
Il vecchio si abbandona ad un lungo sospiro, ed il
bastone dalla ricca impugnatura segna il passo incerto dell’età, ma non sminuisce la signorilità che
gli anni non hanno per nulla intaccato, e la figura
prima di dileguarsi nelle folate di un caldissimo inverno, si volta a salutare con nostalgia questa “città
amica” dalla quale ha molto ottenuto, ma che molto
è riuscito a darle.
Grazie vecchio amico!
(all’Avvocato, con nostalgia!!)
MORTE DELLA CREATIVITÀ?
di Matilde CISCOGNETTI (Napoli)
È inutile attendersi cambiamenti di tendenza notevoli dalle periodiche statistiche sull’argomento: esse
continuano ad attestare la scarsa propensione alla
lettura da parte degli Italiani, superati in questo anche da Paesi con tradizioni storiche e civili più recenti e perciò meno corpose delle nostre. Preferite
in assoluto tutte le attività che non richiedano grossa
fatica mentale, quali la televisione (con il minimo di
impegno fisico dell’esercizio delle dita sul telecomando), con una scarsa attenzione anche verso le
letture cosiddette “di passatempo” quali ‘gialli’ e riviste di disimpegno.
La cosa assume un aspetto anche ridicolo quando
si pensa a coloro (e sono veramente tanti), che non
leggono neanche le varie pubblicazioni a cui sono
abbonati, considerando il versamento della quota già
di per sé un’attestazione del proprio impegno culturale. Un lato però triste, direi, di questa assuefazione
al disimpegno mentale, riguarda purtroppo coloro
che sono preposti, e quindi pagati, alla lettura di quei
testi che, dopo, dovrebbero essere offerti, editi al
pubblico. Una pigrizia culturale che, se spegne la
creatività e uccide i talenti, produce prodotti
prestabiliti e preconfezionati alla cui base non vi è
un giudizio critico che opera una scelta di qualità,
ma è al servizio di mere esigenze editoriali tese a
privilegiare autori (spesso creati dalla lottizzazione)
pedine di possibili successi di cassetta. Spesso gi stessi membri di giuria di concorsi letterari, neanche sanno di cosa parla il testo prescelto e, in caso di concorsi importanti (nel senso di famosi), il premio diventa talvolta mero effetto di una raccomandazione
dorata attribuita a turno alle solite tre, due, (forse
una sola) grosse case editrici. Mancando una seria
valutazione di scelta, all’enorme numero di autori in
circolazione resta solo l’auto-promozione: spedizioni, concorsi, spazi acquistati (spesso con laute donazioni) su bollettini associativi, in attesa di qualcosa.
Forse di nuovo Leo Longanesi che ‘divorava’ qualunque testo o anche breve verso, fiero di annunciare al mondo la nascita di un vero, nuovo autore.
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E state 2008
FABIO CLERICI nasce a Milano nel 1961, ove vive. Dopo aver conseguito il
diploma di Maturità Turistica, viene assunto nell’amministrazione pubblica locale. Da
oltre vent’anni, inoltre, svolge attività di volontariato presso la Croce Bianca Milano
Centro. Amante della montagna e viaggiatore appassionato, l’autore nel corso degli
anni passati ha partecipato con successo a numerosi concorsi letterari fra i quali,
nell’anno 2006, al Concorso “International Police Association” dove, con la lirica
“Nevica” si è classificato 2° ed ultimo in ordine cronologico, al Concorso Letterario
Internazionale “Città di Castellana Grotte 2007 Vittorio Sabatelli” dove si è classificato 9° con la lirica “Foglie al vento”. Numerose sue poesie sono presenti in altrettante
pubblicazioni antologiche. Fabio Clerici è Socio del Cenacolo Europeo “Poeti nella
Società” e Socio Autore dell’Associazione culturale “Carta e Penna”.
KIMERIK EDIZIONI
ISBN: 978-88-6096-202-7
Prezzo: € 10,00
Categoria: Poesie
Anno 2008, Pagine: 60
Le poesie di Fabio Clerici sono una serie di ritmate ed emozionanti canzoni; versi
musicali, intrecciati e contrapposti, scandiscono armoniosamente le liriche che compongono questa raccolta, risultato ultimo di studio e costruzione in ogni verso e parola.
Clerici dipinge immagini piene di passione e coinvolgimento, costruisce metafore colte e di evidente bellezza, in un crescendo di poesie che man mano divengono sempre
più raffinate nei contenuti e nella forma.
“I fiori della libertà” di BRUNA MURGIA stampato da Giuntina, Firenze;
il libro è stato presentato presso il Centro Sociale della Comunità Ebraica di Torino il
22 giugno 2006, relatore Prof. David Sorani.
Il libro racconta la storia di una famiglia di ebrei come tante, vittime della esecrabile
azione dell’uomo concretizzatasi nelle leggi razziali.
L’autrice indaga in modo sensibile e delicato l’animo dei protagonisti e ne evidenzia
i tratti più caratterizzanti degli anni dell’esilio, vissuti nella quotidianità delle regole
imposte dalla Terra ospitante, consapevoli e grati di essere riusciti a sfuggire ad una
morte certa.
Grati per esseri vivi, ma consci della propria impotenza di fronte agli avvenimenti, a
quella moltitudine di voci spezzate dalla disperazione di tutti quegli uomini, donne e
bambini che non sono riusciti a fuggire.
Una storia vera scritta per esaudire il desiderio dell’unico protagonista ancora vivente per raccontare ai figli dei figli
una parte della sua adolescenza che lo ha segnato in modo significativo, per lasciare quegli anni agli uomini di domani.
Nato grazie al ritrovamento della documentazione originale, il racconto è uno strumento per ricordare le azioni degli
uomini e quanto possono essere ignobili, ma anche per conservare la consapevolezza che nel futuro i fiori della libertà
resteranno vivi se ogni uomo farà cadere su di essi un filo d’acqua ogni giorno.
IL RICAVATO DELLA VENDITA DEL LIBRO SARÀ INTERAMENTE DEVOLUTO ALLA
FEDERAZIONE TRA LE ASSOCIAZIONI PRADER WILLI - Prezzo di copertina: 12,00 euro L’UMO DELLA NOTTE… racconta di GILBERT PARASCHIVA.
Siamo certi che molti lettori del nostro giornale, che si avvicinano o hanno superato
da poco la cinquantina, si ricorderanno de “L’UOMO DELLA NOTTE”, la trasmissione radiofonica che, negli anni ‘80 (stando ad una indagine della Doxa) aveva ottenuto il più alto indice di gradimento e d’ascolto per la bravura del suo conduttore che
deliziava seralmente centinaia e centinaia di ascoltatrici appassionate alla musica dolce e alla poesia ma anche all’umorismo e all’erotismo.
In questo libro Gilbert Paraschiva ha raccolto i ricordi degli ultimi suoi trent’anni di
vita e carriera raggruppando fotografie, ritaglia di giornale, spartiti musicali, dediche…
vi sono foto di grandi personaggi che hanno fatto epoca, come Marisa Del Frate,
Angela Luce, I Cugini di Campagna, Il Giardino dei Semplici, I Beans, Massimo
Troisi, nonché tutti i migliori poeti partenopei dell’epoca. Le foto, tutte a colori
sono accompagnate dalle poesie scritte da Gilbert. Il volume non ha prezzo di copertina per cui verrà inviato soltanto
a coloro che lo richiederanno direttamente al suo autore che si pregerà di inviarlo in OMAGGIO assieme, però, ad
un Modulo di Conto Corrente Postale con la scritta: “Offerta a piacere per adozioni a distanza bambini eritrei” –
Per ulteriori informazioni contattare direttamente l’autore al n. 392/8689755.
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I l S alotto degli A utori
EFFETTO SERRA
di Giuseppe DELL’ANNA (Torino)
Uno dei “doni” derivati dall’utilizzo dei combustibili fossili è la “libertà”: libertà di andare dove vogliamo, di acquistare ciò che vogliamo, di vivere come vogliamo.
Con il ritmo di emissione di anidride carbonica (CO2)
dall’inizio del terzo millennio, il giornalista e ambientalista
George Monbiot, nel suo libro CALORE ed.Longanesi,
ipotizza che nel 2030 si raggiungerà un riscaldamento di
2°C superiori ai valori preindustriali, punto oltre il quale
i principali ecosistemi inizieranno a collassare.
Pensate alla frase iniziale: “libertà di andare, acquistare
e vivere come vogliamo”… Attenzione! Questa non è una libertà acquisita e quindi divenuta
“legittima” come molti di
noi forse penseranno, è
solo il frutto di un progresso che ha bruciato
tappe e tempi illudendoci
della forza e del potere
dell’uomo su tutto, ma il
nostro mondo diviene
sempre più piccolo e noi
diventeremo
titani
schiacciasassi inesorabili
se non rifletteremo di invertire questo processo limitando l’uso dei combustibili
fossili e trovando nuove risorse adeguate a “sostenere” e
non distruggere gli ecosistemi, anche se, in questo campo,
nulla è come appare, prendiamo ad esempio il bioetanolo
spacciato per il futuro combustibile, derivato da materie
prime alimentari (come il mais) trasformate in biocarburanti
che hanno soltanto causato la scalata dei prezzi alimentari
di prima necessità, facendo precipitare milioni di persone
nella fame con l’aumento insostenibile dei cereali (cfr
Dichiarazione del relatore ONU per il Diritto all’Alimentazione Jean Ziegler).
L’energia eolica non è promettente come sembra in
quanto se i venti sono deboli e non costanti non si può
sostenere la domanda di energia elettrica di routine e nemmeno si ha possibilità di stoccaggio.
Lo stesso Idrogeno si comporta in modo abbastanza
simile ai combustibili fossili (cfr G.Monbiot) per il fatto che brucia rapidamente e nella stratosfera accelera l’impoverimento dell’Ozono, oltre a rilasciare in
troposfera vapore acqueo triplicato rispetto ad un
aeroplano a kerosene, producendo quindi un ulteriore disastro ambientale.
Estrarre e interrare CO2 dall’atmosfera richiede costi
molto elevati, allo stesso tempo far assorbire CO2 nelle
profondità oceaniche dal fitoplancton stimolerebbe la produzione di metano che, oltre a distruggere l’ecosistema
degli oceani, causerebbe più riscaldamento globale di quanto ne si voglia far assorbire.
L’energia solare rimane, a tuttoggi, quella più compatibile rispetto ad emissioni di scorie, anche se sembra non
sia del tutto autosufficiente e via sia ancora bisogno di
ricorrere ai fossili, ma, come si esprime il prof. Carlo
Rubbia al riguardo, si può iniziare a ridurre del 20% entro il 2020 il livello di emissioni inquinanti in Europa
attraverso la costruzione di “Impianti Solari
Termodinamici” in particolare nelle Regioni dove vi sono
giornate con più presenza di sole.
z Come funziona: L’impianto solare termodinamico è
costituito da collettori
parabolici lineari, collegati in serie. Ogni collettore è costituito da un riflettore di forma
parabolica, un semplice
specchio di vetro, in grado di concentrare i raggi solari su un tubo ricevitore. Tramite un fluido
viene alimentata una stazione di potenza che si
trova all’interno del
campo solare.
z Il calore: Il calore
prodotto viene trasformato in vapore acqueo per generare elettricità. La temperatura di operazione varia dai 390° ai 550°, a seconda
delle dimensioni dell’impianto. A differenza del sistema
fotovoltaico e dell’eolico, questo sistema consente di immagazzinare il calore e renderlo disponibile secondo necessità, eliminando la variante intrinseca della sorgente
solare tradizionale e del vento.
Concludendo, in merito al tema dell’effetto serra, non
crediamo che sempre qualcun altro farà al nostro posto.
Siamo chiamati in prima persona a modificare, anche di
poco, le nostre abitudini, perché siamo semplicemente troppo comodi e abbiamo troppo da perdere. Non possiamo
cambiare questa situazione senza abbandonare le nostre
sedie. Azione significa muovere le gambe usando meno i
combustibili.
Dall’Aprile 2005 all’Aprile 2008, personalmente ho
percorso 4500 Km in bici che, se percorsi in auto, avrebbero prodotto circa 170gr di CO2 a Km. Non mi voglio
nascondere dietro un dito: uso anche io l’auto per lunghi
tragitti o bisogni inderogabili, ma so di aver modificato
di almeno un poco le mie abitudini di spostamento.
FONTI:
z Calore (ed. Longanesi) di Gorge Monbiot – Aprile 2007.
z Riviste: “Automobile” Febbraio 2007, Settembre 2007 e Aprile 2008.
z Giornali: “Il Corriere della Sera” 4.12.2007 “City” 15.12.2006;
20.02.2007; 28.02.2007; 20.06.2007; 4.12.2007; 20.04.2008.
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E state 2008
L’Europa e l’anidride carbonica:
i responsabili danno i numeri!
Fonte: Commissione Europea 2004
AUTO PRIVATE
Le emissioni dei
mezzi di trasporto
privati nella UE
incidono poco sul
totale; negli ultimi
anni sono state
ridotte del 13%
nonostante la
crescita del 16%
della percorrenza
media annua.
TRASPORTO PESANTE, AEREO E
MARITTIMO
La globalizzazione del commercio
comporta grandi spostamenti di
merci da una parte all’altra del
pianeta. Aerei, camion e navi inquinano più della circolazione delle auto
private sulle strade.
INDUSTRIA
La produzione industriale,
in costante aumento, è
tra i principali
respondabili dell’emissione di CO2 nell’ambiente.
Ma anche uno dei settori
dove si sta intervenendo
maggiormente.
RISCALDAMENTO
DOMESTICO
Per scaldare le nostre case bruciamo molto combustibile, con grandi
emissioni. Su questo comparto
occorre lavorare molto per ridurre le
emissioni di CO2
PRODUZIONE
DI ENERGIA
Petrolio, carbone e olio
combustibile: la dipendenza
dell’Europa da queste fonti
energetiche poco compatibili con l’ambiente è ancora
elevata. Occorre intervenire,
spingendo
sull’ecosostenibilità e sul
rinnovabile.
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I l S alotto degli A utori
POTENTE UOMO
di Fabio CLERICI (Milano)
2012: LA FINE DEL MONDO?
di Giovanni REVERSO (Torino)
Guarda attraverso quella porta,
Scendi dallo scranno
Della tua saccenza
E vivi il dolore
Che umilia strade e città
Accogli i lamenti degli ultimi,
Dona un attimo alla loro disperazione;
Pietosi fantasmi che ci lasciano
Portando con sé
Rabbia e dolore,
Di un pasto mancato
O di un gesto negato;
Nell’ultimo atto,
Del gelido riposo,
Su quella panchina
Sognano umano interesse,
E pietoso calore;
Tu che mi giudichi,
Scendi dallo scranno e sappi
Che ho vissuto in mezzo a loro.
Così secondo i Maya e l’astrofisica.
I Maya erano formidabili osservatori
delle stelle. Di loro è rimasto poco
dopo le distruzioni sistematiche effettuate
dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma da
quel poco uno scienziato americano
è riuscito a mettere d’accordo il
distacco dello scettico che ha bisogno
di prove, con le certezze di chi ha
fede in un disegno sovrannaturale
scritto nel cielo, stabilendo da profonde
osservazioni che nel 2012 ci saranno
allineamenti planetari, anomala attività
del Sole, nubi interstellari, tutti eventi
uniti da strane coincidenze.
Secondo James Lovelock, l’inventore
della teoria di Gaia, la Terra Vivente,
se l’energia in circolo diventa eccessiva,
Madre Terra provvede a raffreddare il sistema
come successe 74 mila anni fa con le
esplosioni di supervulcani come quello del
lago Toba a Sumatra, che con la sua
coltre di ceneri provocò un lungo inverno
riducendo la popolazione umana a
poche migliaia di esseri. Con la fisica
moderna tornare a cercare nel cielo
il nostro destino non è tanto irrazionale.
Nel 2012 ci sarà un allineamento dei pianeti
con lacerazione del campo magnetico terrestre
e provocazione di disastri a catena.
Che fare? Che dire? Non ci resta che aspettare.
Chi vivrà vedrà se l’Apocalisse 2012 ci sarà.
2012: se la fine avverrà, i Maya soppressi
sarà come risorgessero, e soli resteranno
a godersi un mondo nuovo rinato per essi.
DIO È AMORE
di Velia GOZZOLINO
(Acqui Terme - AL)
Dio è amore ed io lo sento
nel mio cuore vivo e palpitante,
come un’amante.
Le mie ferite nella vita
mi hanno portato verso il
Suo Costato sanguinante
al confronto leniva il mio
dolore con il Suo Sangue.
Ringraziando il mio soffrire dicendo:
“Dio, è sempre poco quello
che mi dai”.
Pensando il calvario che hai
sopportato per i nostri peccati.
Con umile preghiera
chiedo misericordia per l’umanità
per chi non ama la fede e l’amore
verso il nostro Signore.
PALCOSCENICO
di Gennaro BATTILORO
(Sesto Fiorentino - FI)
Si accendono le luci della ribalta.
Scroscianti applausi accolgono il tuo ingresso sul palcoscenico.
Il pubblico ti tributa vibranti acclamazioni.
La scena è tua, e tu sei felice...
Infine, cala il sipario... si spengono le luci...
il teatro si svuota...
In fondo alla sala, in penombra, resta solo uno spettatore,
ma tu non te ne sei nemmeno accorta...
Ed ora, come ogni sera, ripiombi nella quotidiana solitudine...
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E state 2008
TUTTO SEI TU PER ME
di Santi ZAGAMI (TO)
GENTE INTELLIGENTE
di Giovanni D’ANDREA
(Acqui Terme)
Se tu sei qui con me, Amore mio,
io scordo tutto quanto il mondo intero.
Tu sei la luce che rallegra l’anima,
sei sogno e sei certezza che non muta,
sei sole, luna, stelle, sei splendore
che mi sostiene e avvince sempre più.
Amore, tu lo sai quanto ti amo…
Tutto tu sei per me!
Mi colmi sempre di felicità.
Ti stringo sul mio cuore
Perché, con te tra le mie braccia,
io vivo ognora palpiti d’amore,
dimentico il dolore di questo mondo strano,
che si dibatte invano
tra egoismi sordi
e tante atrocità senza confini.
Meraviglioso il mondo
se la gente che lo vive
fosse, così, per natura,
gentile e intelligente!
Che miracolo, davvero,
se tutte le persone
capissero l’evidenza di
nessuna differenza.
Parlare in libertà di
gioie e di problemi,
capirsi tutti quanti
con le stesse parole.
La gente, nel mondo,
tutta si somiglia,
ha le stese esigenze e
le stesse speranze.
Prega lo stesso Dio e
non ha complesse teorie,
esprime lo stesso amore
e desidera poter fare.
Purtroppo è utopia
che questo si avvererà,
ma si può, solo, sperare
che ognuno lo capirà.
Si sa, soltanto, che
l’ipocrisia, nascosta,
si da un gran da fare per
confondere l’ingenuità.
Potrà essere la fine
di tutti i prepotenti,
se la gente capirà che
può cambiare il mondo!
REBECCA di Riccardo FEDELI
(Villamagna - PI)
Rebecca ha un lungo scialle
su spalle di velluto,
profumo di gelsomino
e lacrime di resina,
sentiero di bosco
senso di avventura,
visioni di occhi di cerbiatto
cacciatori in fuga.
Il sorriso che le crea
come impeto d’artista,
una piccola ruga,
solco di giorno di pioggia
su terra fertile
di frutti golosi.
Ammiro nella sua bellezza
il fragore del tuono,
il tratto luminoso
della folgore,
che acceca giusto
l’attimo
che precede il suo passaggio.
TRA I MURI
(a Pavese)
di Maria Cristina SACCHETTI
(Riva di Chieri – TO)
Tra i muri dell’antica casa
Ancor aleggia il tuo respiro
Greve di malinconia,
pregno di rimpianti
per ciò che non è stato
per ciò che hai perduto.
Il tempo ha vissuto per te,
lo stesso ha narrato di te
tra i muri… dell’antica casa!
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I l S alotto degli A utori
TI HO ATTESO...
di Mariateresa BIASION
(Orbassano - TO)
A Gabriel
Ti ho atteso
in silenzio,
socchiudendo
appena la porta,
perché filtrasse
uno spiraglio di luce,
ad indicarti il cammino.
Ti ho atteso
come si attende
lo sbocciare di una rosa,
il volo di un airone,
una goccia di pioggia,
nel caldo torrido dell’estate.
Ti ho atteso,
trepidante,
all’ombra di un eucalipto,
ai margini del tempo,
alle origini della vita.
Ti ho atteso...
e
sei arrivato,
come un sorriso,
che irrompe
nella monotonia
dei giorni,
come un raggio di sole,
che squarcia le nubi,
come un colibrì,
che si posa leggero,
sul suo nido di foglie,
come rugiada,
di lucente madreperla.
E,
all’improvviso,
l’attesa è diventata presenza,
tingendo d’azzurro e d’oro
ogni nostro domani,
piccolo cuore,
che porti il nome
dell’arcangelo
che diede il grande annuncio:
Gabriel,
splendente arcobaleno
di felicità.
LA MAPPA di Caterina ODDENINO (Torino)
Sono un frammento della vita
una parte integrante di questo universo
una infinita divisione di opposti.
Ho tracciato una mappa del dolore,
e ho segnato ogni strada e sentiero
e ne ascolto il mormorìo
e l’ indolenzimento non cessa con il pensiero;
è un’onda senza fine
e il canto del gallo
e il suono della campana hanno uno strano effetto:
scaturiscono dal silenzio, attraversano il cuore
e se ne vanno di eternità in eternità.
MEDITERRANEO
di Walter MILONE
(Druento – TO)
Quante volte ancora
mi dovrai stupire,
quante volte ancora
mi dovrò commuovere
davanti a te.
Con i tuoi colori,
con i tuoi profumi
quante volte ancora
risveglierai il ragazzo antico
che vive dentro di me;
che da te viene
e a te ritorna.
La tua voce vibra
nelle mie fibre più vere,
di fronte a te
non finirò d’innamorarmi mai,
di fronte a te
non invecchierà la mia anima,
di fronte a te
non esiste morire.
Anni son trascorsi,
ricordi lontani quelli della gioventù,
sulle tue sponde ho giocato
e amato.
Lontani…
Ma tu ancora sai sorprendermi,
sai farmi sentire parte di te,
del tuo respiro.
Profondamente,
sempre tu,
Mediterraneo .
Perché da te vengo,
e a te ritorno.
Nonna Mariateresa
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E state 2008
FIABE E STORIE ALBANESI
di Bruna TAMBURRINI
Seconda parte
Il racconto, non a caso, inizia così: “Ascoltate ora, ragazzi, il racconto della giovane Omer, della figlia bella e
tenera di un vecchio pieno d’anni. Questa ragazza diede
onore a tutto il suo paese, come prima di lei gli aveva
dato onore il prode tra i prodi Gjergj Elez Alia. Per questo tutti gli albanesi cantano il suo valore e la sua bellezza, la additano come esempio alle generazioni future”.
In sostanza si narra di un vecchio che un tempo era forte
e giovane, gli rimase solo la sua figlia bella e buona, ma
incapace di combattere, perchè le donne usano solo “fuso
e conocchia”. La ragazza venne data in sposa ad un giovane e si doveva sposare. Purtroppo dal mare arrivò un
grande principe nemico, arrogante e saccheggiatore. Il
principe scrisse al vecchio sfidandolo, altrimenti gli avrebbe preso tutto compresa la figlia. Il vecchio, tra le lacrime, raccontò il fatto alla figlia e questa gli suggerì di invocare aiuto tra i giovani del posto. Il vecchio decise di
riferire in un’assemblea il fatto per farsi aiutare. Andò dal
signore della città e, molto cortesemente, lo pregò di convocare in assemblea i trenta signori della città. Raccontò
il fatto, ma i signori subito non risposero, allora lui tirò
fuori i soldi, ma nessuno li toccò, poi, quando se ne andò
si accorse che gli altri lo deridevano. Decise così di affrontare da solo il principe nero. Raccontò tutto alla figlia
la quale decise di andargli in soccorso, armandosi e combattendo lei per lui. Si travestì da uomo e andò nella
Kulla (con questo nome si intende la casa) del suo
fidanzato per riposare, ma questi non la riconobbe. Si
fece chiamare “Il giovane Omer”. Arrivò l’incontro con il
principe nero e lei riuscì ad ucciderlo. Rimase solo il suo
cavallo “superbo e dalla testa alta”. Alla fine la ragazza
ritornò con il corpo del principe morto nella casa del suo
“amico” fidanzato e insieme festeggiarono, dopo aver
buttato il corpo in un burrone. Ritornò poi a casa da suo
padre, pronto ad abbracciarla e a baciarla e tutto il paese
festeggiò l’evento. Alla fine giunse il giorno delle nozze
della ragazza, ma il fidanzato non vide l’amico Omer che
aveva ucciso il mostro e gli aveva promesso che sarebbe
tornato per il suo matrimonio. A questo punto la ragazza
rivelò al fidanzato di essere lei il giovane Omer che egli
aveva conosciuto. E così la festa continuò. La storia termina con queste parole:
“Il racconto è finito. Statemi bene, voi che avete ascoltato. Statemi bene e permettetemi di gridare ancora una
volta: salve giovinezza! Che tu possa essere felice! Perché tu vinci gli uragani con l’impeto del tuo spirito e del
tuo braccio, distruggi il male ed esalti il bene, rendi possibile l’impossibile”.
Come già si è potuto notare, nelle storie si ripetono sempre delle parole fondamentali come Kulla (la famiglia, la
casa) BESA (è la parola data). Un eroe mantiene sempre
la parola data. C’è sempre un eroe che non difende solo
se stesso, ma anche tutto il paese, difende l’onore di un’intera comunità. Gli eroi, comunque, si distinguono l’uno
dall’altro, perché sono diversi anche fisicamente, ma tutti
hanno insito il concetto dell’onore. Per esempio Mujo è
un uomo prudente, calmo, Halil è svelto, coraggioso, Dizdar
Osman Age è invidioso, individualista e così via. Nelle
storie ci sono anche esseri soprannaturali come le ZANE,
le BIANCHE ORE, esse sono come le donne di montagna dell’Albania: hanno figli in kulla, hanno un corpo che
si può toccare e non è insensibile al dolore. Sono una
idealizzazione della donna, della donna di montagna, piena di saggezza e di amore per il bene, per il giusto, per le
persone che prendono generosamente gli altri sotto la loro
protezione e li aiutano a raggiungere il loro scopo.
E’ il caso di ritornare ora sulle parti descrittive della
natura, perché nelle storie la natura stessa sembra partecipare. Per esempio nella storia di Mujo e Behur essa viene descritta in tanti modi, ecco per esempio una poesia
inserita nel testo:
“Cadde la rugiada prima dell’aurora”
Non aver fretta, o cara luna!
L’acqua è molto fresca,
molto dolce spira il venticello…
Manda la tua luce ai rami biforcuti,
manda il tuo occhio fra quelle rocce,
e fretta non avere di tramontare!”
In seguito c’è questa bella descrizione narrativa:
“Il sole, che si era fermato un momento sulle cime dei
monti, rotolò ora dietro le montagne. Uscì la bianca luna
oltre i faggi e illuminò la strada che attraversava i monti,
accompagnava un gruppo di paraninfi a cavallo….”
All’interno dei racconti ci sono i canti degli eroi, delle
fanciulle. Ecco nella storia “ Il matrimonio di Halil” il
canto dell’eroe Halil che canta la lingua dei suoi antenati
e che risalta come un grido di guerra:
E’ così giunto per me il giorno estremo!
Assente il sole e assenti le montagne!
Dov’è, o sole, la protezione tua?
Dov’è, o Zana, la protezione tua?
E’ dunque questa la besa vostra?
Non mi rispondi, sole?
Ti scongiuro per la luce che ti fiammeggia in fronte!
Lasciarti voglio una parola estrema!
Cerca i miei monti,
roccia dopo roccia!
Anche in questo canto la natura è personificata.
Il lamento, potremmo definirlo anche canto, di Rina
(della storia omonima) è abbastanza commovente in quanto narra di una giovane che, alla vista di una nave che
trasporta vestiti di seta, lei vi entra dentro per comperarne
alcuni in occasione del matrimonio della cognata, ma i
marinai che sono pirati, cominciano a manovrare i remi e
- 33 -
I l S alotto degli A utori
a portare più in là la nave e quando Rina se ne accorge
inizia a gridare:
“O cani di marinai! Fate andare più adagio la nave, in
modo che io possa almeno raccomandare a mia cognata
di avere cura del mio bambino. Quando lo mette nella
culla pianga la mia sorte e dica: - Buono figliolo, figliolo
mio! Bambino, bambino mio, dov’è andata la tua mamma? - Mia madre si trova nel paese dei Turchi
- E a te chi darà del latte? O bambino, bambino
mio! Il suo onore e la sua bellezza sono ora in mano dei
malvagi! Ma tu stai buono, Bambino mio! Buono, buono e dormi! Le guance della tua mamma diventeranno
fiori per l’altare. Del petto suo bello faranno uno specchio per specchiarsi. Ah, ora l’onore e la bellezza della
tua mamma si trovano in grande pericolo…” (op.cit.
p.180).
Le Zane cantano così:
Zane siamo, che Zane possiamo restare!
Besa a besa e parola a parola.
Sposa e paraninfi noi ti ridiamo!
………………
Zane siamo, che Zane possiamo restare!
Besa a besa e parola a parola,
La donna è donna ed è Zana la Zana,
in sole la Zana, la donna una luna… (op.cit.58)
Cantano anche le Bianche ore, sentiamo:
“Ascoltate, Mujo e Halil:
Fratelli siete, fratelli possiate restare!
Non uscite mai in spedizioni l’uno senza l’altro,
perché infelice è il cuore che non ha un fratello!”(p. 70)
Anche gli animali fanno parte integrante delle storie. Si
parla spesso di cavallo nero e di cavallo bianco:
“Allora Halil dice al fratello: - O Mujo, dammi subito
il tuo cavallo bianco, perché vado a prendere Tanusha,
la figlia del re” (p.75).
E ancora in un’altra storia: “Allora porterò il mio cavallo nero per i prati, lo lascerò libero di brucare erba e
fiori per qualche giorno, poi lo riprenderò, lo sellerò, lo
monterò e correrò a Jutbina” (p. 142).
Altri animali sono le capre della montagna e gli uccelli
“Aspettate un po’ o uccelli della montagna. Voi non avete altro da fare che cantare..”. “Oh Dio! Parla forse la
capra delle montagne?? Sì, ha parlato la capra delle
montagne!E che cosa ha detto la capra delle montagne?
Ecco – Finché sarà giorno, sarà il sole a proteggere
Halil; di notte lo proteggerà la luna; La Zana custodirà
le armi al suo fianco”. (p.75).
C’è anche il serpente nero come un corvo: “Quand’ecco, passata la mezzanotte, entrare nella stanza un grande serpente, nero come un corvo, e si avvicina sibilando
a Hysen per leccargli le ferite e versarvi il suo veleno.
Ma la sposa è lì pronta: gli taglia la testa con le forbici e
la getta in un angolo della stanza: poi si china di nuovo
sul capo di Hysen: gli asciuga la fronte sudata, gli bagna le labbra aride, lo guarda con i suoi occhi pieni di
luce. Dopo un po’, ecco un altro serpente, più grande,
rosso come il sangue…Ed ecco entrare un altro terzo
serpente, ancora più grande, bianco come la neve…...” .
(p.136)
Ma c’è anche un grillo che “ nel silenzio…canta dolcemente”.
Vorrei concludere sottolineando che questo lavoro è solo
un’analisi delle origini di un popolo che è entrato nella
nostra cultura e che ha alla base sentimenti nobili e positivi. Ogni cultura, infatti, può essere scoperta e apprezzata. Non dobbiamo certo fermarci ad eventuali frange estremiste e violente che a volte sono presenti nel nostro paese
e che dobbiamo sicuramente bloccare per evitare che
contaminino ciò che di buono può esserci in un rapporto
culturale e umano. C’è da dire, inoltre, che attualmente
gli albanesi vedono l’Italia e i paesi occidentali come un
esempio di democrazia, di liberismo ed anche di lusso,
infatti, attraverso la televisione, arrivano nelle loro case,
notizie e messaggi che evidenziano opulenza e ricchezza.
Dal punto di vista economico l’Italia, in questi ultimi
anni, si è anche impegnata ad aiutare l’Albania per un
costruttivo sviluppo economico e già si sono notati sensibili miglioramenti in diversi settori.
Principali testi di riferimento:
Mitrush Tuteli (a cura), Fiabe e leggende albanesi, Rusconi,
Milano, 1993
Luana Carbonini, Storia dell’Albania, www.olografix. org
www.wikipedia.org
Rosselli Alberto, Viaggio nel paese delle aquile,
www.storico.org
Monumento equestre a Giorgio Castriota Scanderbeg - 1403/
1468, nella piazza centrale di Tirana
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E state 2008
IL RAGGIUNGIBILE
di Giovanni REVERSO (Torino)
When there is a will there is a way (Quando c’è la determinazione vi è sempre una strada per raggiungere i propri
obiettivi). D’accordo, la determinazione è la spinta più
potente per andare avanti, per non fermarsi di fronte a
nulla, quindi ben decisi ad arrivare dove si voleva arrivare e ad ottenere ciò che si voleva ottenere. Comunque per
qualsiasi problema da risolvere, prima di passare alla determinazione, che può portare a notevoli sforzi di proseguimento, occorre stabilire se la cosa è fattibile, se la si
può realizzare, in sostanza se lo scopo è raggiungibile.
ogni cosa ha un punto che può essere raggiungibile o
irraggiungibile. Il raggiungibile è sinonimo indubbiamente
di possibile. Ma, non tutto quello che sembra possibile a
prima vista o di primo acchito, lo è per davvero. Cammin
facendo, cioè col proseguire degli sforzi, col proseguire
delle conoscenze, molto di quello che sembrava impossibile può diventare possibile. La stessa cosa può accadere
per quello che, subito, sembra facile, possibile e attuabile.
Nella sua attuazione possono sorgere difficoltà
insormontabili tali da renderlo, magari anche solo momentaneamente, impossibile da attuare. Il raggiungibile
ha, quindi, una sua aleatorietà.
Non è detto che una cosa sia raggiungibile o
irraggiungibile con i dati conosciuti al momento iniziale
della richiesta. Resta il fatto che possiamo sempre cambiare il corso delle cose.
Mi piace quando ha detto la scrittrice inglese Jeanette
Winterson:
“l’uomo si costruisce sempre le sue prigioni da solo.
Anche quando inventa qualcosa di utile, come la tecnologia, riesce comunque a trasformarla in qualcosa di punitivo. Siamo tutti lì a invocare la libertà e non facciamo
altro che negarla. L’arte può aiutarci attraverso l’immaginazione che costruisce spazi, luoghi, vite. E sa renderci
liberi. La lettura è un atto privato incontrollabile. Ci sei tu
e c’è il libro, nessuno può sapere cosa accade dentro di te.
E forse è questa l’unica vera libertà”.
Penso abbia ragione, il raggiungibile, qualunque esso
sia, è ormai ostacolato da troppi condizionamenti. Troppe leggi che si sovrappongono una sull’atra, ostacolano e
rendono difficile anche il più piccolo movimento. Ogni
azione è condizionata da altre che, a volte finiscono per
renderla inutile annullandola. E’ vero che quello che uno
fa, cambia quello che vede, ma è tutto racchiuso in limiti
troppo ristretti perché le modifiche possano farsi sentire
ampiamente e contare davvero. Diceva Socrate: “C’è un
solo bene, il sapere, e un solo male, l’ignoranza”.
Ma oggi come oggi, il sapere si è così ampliato, in parte certo inutilmente per conoscenze inutili o dannose, che
anche l’ignoranza ha subito la stessa sorte. Non si è più
semplicemente ignoranti, ma si è fuori dal gioco tagliati
nel proseguire, fermati anche verso il raggiungibile, figuriamoci nel tentare l’irraggiungibile. La troppa conoscen-
za sta creando problemi su problemi, che richiedono altre
conoscenze, col risultato di creare una confusione tale che
ferma la vera conoscenza, quella che dovrebbe permetterci di vivere la nostra vita senza troppi affanni, senza
troppe fermate, senza troppi timori, ma con più certezze
e maggiore serenità.
Arrivati a questo punto, facciamo una bella risata con
G.B.Shaw:
“L’uomo ragionevole si adatta al mondo. Quello irragionevole persiste nel cercare di far adattare il mondo a
se stesso. Quindi, il progresso, qualunque esso sia, dipende dall’uomo irragionevole”.
Anche se abbiamo riso di fronte a questa irrazionalità,
dobbiamo in tanti casi dare ragione a G.B.Shaw, che con
i suoi aforismi azzecca la verità: infatti sembra un paradosso, eppure è vero che i nostri errori sono sovente la
nostra guida, almeno quando li riconosciamo come tali.
Il genere umano si distingue in tre categorie: “Quelli
che fanno accadere le cose; quelli che guardano le cose
accadere; quelli che non sanno cosa accade”. Soltanto per
i primi si pone il problema del raggiungibile.
I secondi accettano quello che accade. I terzi vivono nel
nulla, non rendendosi conto del perché delle cose, come
per coloro che mentre fanno jogging, corrono, corrono
per non andare da nessuna parte.
Volete anche sapere perché è sempre più difficile raggiungere il raggiungibile? Perché come ha detto Mafalda,
la geniale bambina dei fumetti ideata da Quino: “A questo mondo c’è sempre più gente e meno persone”.
Ma, non bisogna mai disperare perché: “Finché sogni,
c’è sempre una via d’uscita”.
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PASSATO, PRESENTE, FUTURO
di Baldassarre TURCO (Genova)
Non so che dire. Si vive il mattino
con l’anima sospesa, anzi talvolta
ancora addormentati o ci si bea
dei sogni d’oro fatti lungo il sonno.
E volano quelle ore in un momento.
Son state belle? Chi lo sa. Può darsi.
Non ci si bada allora, tutti intenti
all’avventura del giorno presente
o al gioco al nascondino dell’amore
o al gioco dell’azzardo della vita.
Nel tardo pomeriggio ci si ferma.
Si nota, ahimé, che ben presto la sera
ci verrà addosso piena d’ombre oscure
e misteriose, a volte senza stelle
o con le stelle mute e silenziose.
In quel presente che più non ci incanta,
ci si rifugia nel passato e spesso
ci appare bello al confronto. Forse
si tratta, ahimé, soltanto d’illusione;
ma che ci aiuta a vincere la notte.
I l S alotto degli A utori
NARRATIVA
Down o no
di Rosanna Balocco Bassetti (Savona)
Margherita tornò a casa con la morte nel cuore. Pensava a come
era trepidante, quella mattina, ancora nell’attesa dell’ecografia
che le avrebbe probabilmente svelato se quell’esserino che cominciava a sentir muovere da pochi giorni dentro di lei, era un
maschietto od una femminuccia. Aveva cercato di convincersi
che in ogni caso sarebbe stata la stessa cosa e non aveva il
coraggio di confessarsi che, se avesse saputo di attendere un
bambino, sarebbe stata più contenta. Aveva quasi paura di quel
pensiero che ogni tanto si affacciava alla mente e che ogni volta
scacciava con stizza. Non poteva permettersi preferenze, non
dopo tutti quegli anni d’attesa e dopo tutti quei tentativi finiti in
nulla; non dopo tutte le delusioni patite.
Il responso dell’ecografia aveva esaudito la sua speranza:
«E’ senza dubbio un maschietto» aveva detto il ginecologo
«però…»
Quel “però” era rimasto sospeso nell’aria, quasi come una spada sopra la sua testa. Non le pareva di pensare ad altro mentre
il dottore le consigliava l’amniocentesi. «Magari è solo un’impressione, un mio errore, ma certe misure non sono proprio…
corrispondenti, ecco. Le consiglierei quest’esame. Oltretutto,
alla sua età è gratuito.» Era stato gentile. Aveva detto “misure
non corrispondenti” anziché anormali, ma lei aveva capito. Era
uscita assicurando che avrebbe telefonato e preso l’appuntamento. Adesso pensava al ritorno di Piero e a come gliel’avrebbe
comunicato, perché lei lo sentiva che il suo bambino non era
normale. Se ne era accorta prima che il ginecologo si pronunciasse.
Bene, avrebbe fatto l’amniocentesi e poi? Forse Piero non sarebbe stato d’accordo, magari avrebbe rifiutato quell’esame.
Le avrebbe detto: «Sia come sia. E’ nostro figlio e lo terremo!»
E lei avrebbe subito accettato perché voleva questo bambino,
che fosse down o no.
Invece Piero, dopo il primo momento di delusione e di smarrimento, disse subito che l’amniocentesi andava fatta, che era
necessario sapere.
«E poi?» chiese Margherita col fiato sospeso.
«Poi vedremo.» fu la secca risposta.
***
Dopo l’esame, l’attesa per Margherita diventava ogni giorno
più estenuante. Sapeva già il responso; lo sentiva. Aveva capito
che non sarebbe stata così fortunata da sentirsi dire - perché le
avevano promesso di telefonarle - che si trattava di un maschio
sano. Ciò che la preoccupava maggiormente era la reazione di
Piero di fronte a quella scelta: tenere ugualmente il bambino
oppure decidere di abortire e buttarlo via così, come fosse stato spazzatura.
La tanto attesa risposta giunse per posta. Non si erano sentiti
di dirglielo a voce che il suo bambino, quell’esserino che ora
muoveva nella sua pancia e le tirava calci a più non posso, era
un bambino down. Margherita pianse tutte le sue lacrime e non
perchè non si aspettasse quella notizia, ma perché sapeva già
cosa le avrebbe chiesto Piero. E sapeva anche che mai sarebbe
riuscita a convincerlo del contrario. Lui era fatto così: era buo-
no, gentile, tenero, onesto, ma aborriva le imperfezioni. Non
avrebbe mai accettato un figlio “anormale”.
Margherita ascoltò tutte le argomentazioni del marito con rassegnazione e senza replicare, disse solo: «Domani telefono per
prendere l’appuntamento per l’aborto.» Lo disse così, in modo
piatto e senza inflessione alcuna, come se avesse annunciato
che sarebbe andata al cinema.
***
Solo pochi giorni la separavano da quello fatidico in cui avrebbe dovuto dire addio al suo bimbo e Margherita s’inventava
occupazioni diverse per cercare di non pensare. Quando non
aveva più nulla da fare in casa, leggeva e vedeva la TV.
Quella mattina girò casualmente su un canale che non seguiva
quasi mai, perché trasmetteva prevalentemente televendite. Invece, proprio quella mattina, vi era una trasmissione diversa.
Vi si soffermò per pura curiosità e, quando vide chi erano gli
ospiti e capì di che trasmissione si trattava, fu tentata di cambiare subito canale. Poi decise che era stupido nascondere la
testa nella sabbia come gli struzzi.
Ascoltò sempre più interessata le argomentazioni di genitori di
ragazzi nati con la sindrome di down. Il programma era così
coinvolgente che decise di registrarlo. Si argomentava sul possibile recupero dei ragazzi, sui loro progressi, sulle loro capacità di apprendimento. Infine il presentatore cominciò ad intervistare i giovani down. Qualcuno rispondeva con fatica, altri riuscivano a reggere il discorso e a rispondere a tono.
Arianna parlò per ultima.
Esordì con una dichiarazione che pareva avere dell’incredibile:
dichiarò di essere una ragazza felice e, alla richiesta del presentatore di spiegare questa sua felicità nonostante l’handicap che
l’aveva colpita, rispose di aver avuto la fortuna di essere figlia
di due genitori intelligenti, che avevano creduto il lei e nelle sue
capacità, che l’avevano aiutata standole vicini ma soprattutto
donandole tutto l’amore di cui erano capaci. Arianna disse di
aver terminato gli studi superiori ed aver conseguito il diploma
magistrale e, infine, di aver trovato un’occupazione presso la
biblioteca civica della sua città.
«Chi è più fortunato di me?» concluse, fra gli applausi del pubblico e le calde lacrime di Margherita.
Attese l’arrivo di Piero sempre più trepidante. Il marito giunse
con la solita faccia scura che aveva messo su da quando aveva
saputo del bambino.
«Devo farti vedere un programma televisivo che ho registrato
stamattina, ma vorrei che tu lo seguissi fino alla fine, con pazienza, senza parlare o interromperti. Dopo ne discuteremo
solo se vorrai. Se deciderai di non fare commenti, accetterò la
tua decisione. Vuoi farmi questo regalo?»
Con un senso di angoscia, anche se a malincuore, Piero decise
di accettare. Visionò la cassetta senza dire una parola, come lei
gli aveva chiesto, e senza mostrare alcun turbamento, mentre
sua moglie sentiva il cuore batterle sempre più forte in petto.
Sperava in un miracolo, lo sapeva.
Quando il programma finì, Piero si prese il viso fra le mani e
rimase seduto fermo sul divano per un tempo interminabile.
Lei sapeva che suo marito era giunto ad un bivio: aveva due
strade dinanzi a sé e doveva decidere quale fosse quella giusta.
Rimase immobile così a lungo che Margherita stava per andarsene, quando lui la fermò prendendole la mano:
«Se sapessimo che diventerà così…» iniziò.
«Dipenderà da noi.» Rispose lei.
«E… e se non diventasse, voglio dire, se non fosse…»
«Tesoro» lo interruppe la moglie, abbracciandolo «sarà quel
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E state 2008
che Dio vorrà! Non possiamo sapere, dobbiamo solo tentare,
se… lo vuoi anche tu»
«Tu lo vorresti vero?»
«Sì. Sì, lo vorrei questo bambino che è cresciuto dentro di me,
che sento muovere ogni giorno, vitale, come tutti gli altri bambini. Se questo è il mio destino, io l’ho già accettato, Piero.»
Il marito la osservò a lungo, poi prese il suo viso fra le mani e le
posò un leggero bacio sulle labbra.
«Vieni» la fece alzare e la condusse vicino al telefono. Compose il numero e disse: «Vorrei disdire un appuntamento…»
Un manovale ad hoc di Guido Bava
(Biella)
Restiamo nel cantiere di Via Monte di Pietà per descrivere personaggi che ne hanno fatto la storia, mi hanno arricchito di
emozioni, mi hanno aiutato insegnandomi segrete malizie da
impiegarsi nel nostro genere di lavoro.
Certo che la ripresa delle cornici barocche dei soffitti del piano
direzione non sarebbe stata una cosa facile, ci voleva uno che
lo sapesse fare, che sapesse prepararsi le sagome e fosse così
attentamente delicato da rispettare il resto degli arredi ancorché
abbastanza ben protetto. Ci voleva uno stuccatore come era
stato, a suo tempo, Cagliero che aveva lavorato con l’Ing.
Lange e con me tante volte prima di affrontare gli stucchi del
Caffè San Carlo. Dovetti arrangiarmi chiedendo uno stuccatore capace all’impresario e, proprio a lui venne in mente un vecchio artista dello stucco al quale, in pensione nella sua casa di
San Mauro, avrebbe provato a rivolgersi.. Riuscì a convincerlo
e mi fece mille raccomandazioni sul come comportarmi nei suoi
riguardi perché “a l’e an poch sufflìn” , promisi e il signor Giacùn
arrivò in cantiere di buon’ora attendendo nervosamente il mio
arrivo. Appena sorpassata la guardiola fui fermato dalla guardia di turno che, ridendo, mi annunciò che ero atteso da una
persona che già si era lamentata del mio ritardo.
In mezzo al cortile, appoggiato al bancone del ferraiolo, stava
un omone “in carne” in salopette chiara su una maglia marrone, portava in testa un basco grigio e teneva in mano una cazzuola che ora stava agitando verso di me. “ Signor Giacone ! “
dissi dirigendomi verso di lui con la mano tesa e rimasi di sasso
alla sua risposta: “ l Signor a l’e an cel e nui suma sì che
spetoma…..” Adottai anch’io il dialetto : “Ch’a scusa ma, mè
orari a l’e col dla banca …., anlora andoma dzora” e mi avviai
con lui al seguito. Giunti nei locali dove avrebbe dovuto operare, alzò appena gli occhi poi sentenziò : “ Travai facil per un
parei ed mi, ma longh per la difficoltà da fè ij pont …….ma, col
lì, a l’e ‘n problema so … “ e rise. Il modo di fare di quell’elemento stava dandomi fastidio quindi tagliai corto : “ Adess ij
mando al cap con ij carpentiè., ch’a disa a lor lon ch’a l’an da
fé.” Scesi in cortile e passai la patata bollente al capo operaio
con un sorrisetto ironico: “ Adess, Bola, ch’a vada an poch
chiel a divertise con monsù Giacùn, mi vado a piè an cafè” .. e,
allontanandomi udii un mormorato : “A sarìja mej na canamìa
…….”
Stavo terminando il giro dei lavori in corso quando, attraversando il cortile, incontrai un Bolla particolarmente nervoso che
stava minacciando di andarsene dal cantiere: “O chiel, o mi”
borbottava e, da ciò compresi che l’incontro con lo stuccatore
era stato peggiore del mio. “ Cosa a jje ? “ gli chiesi ridendo, “a
ije che col lì a l’e mat, adess a veul che mi ij presenta tuti i
manovaj per serne el mej …”. Riuscii a rappacificarlo e anche a
farlo ridere e ridevamo ancora quando, con la solita cazzuola
pendente in mano, ci raggiunse lo stuccatore. Lo affrontai decisamente : “anlora ij l’aj sentì ch’a l’a decidu da lasène, peccato però perché costì a l’e an cantiè alegher andòa as travaja, ma
as ne tuti amis e gnun a fa peisè gradi e importansa…, gnanca
l’ingegnè. Ij manovaj a son tuti bravi fieui ad bon comand e a
son tuti ocupà meno un quindi, se chiel a peul rangesse con cul
lì, bin se ‘d no, ch’a vada pura…….” Ci fu un attimo di silenzio
durante il quale il capo operaio mi guardava preoccupato , io
cercavo di mantenere un fare sereno e deciso e lo stuccatore se
ne stava immobile a fissarmi . Poi mi rivolsi a Bolla e gli chiesi
di chiamare Sinatra, cosa che egli fece immediatamente. Ci raggiunse il manovale siciliano lontanissimo parente del cantante
americano, un uomo gentile e sempre sorridente con baffetti
scuri sul viso abbronzato da uomo del sud. Era nato contadino
diventando manovale a Torino dove sperava di mettersi a posto definitivamente, era obbediente e si adattava a tutte le incombenze del cantiere senza discutere ed io ero sicuro che, se
il diavolo non ci avesse messo la coda, sarebbe riuscito gradito
anche al capriccioso stuccatore. Li presentai dicendo chiaramente a quest’ultimo “ Questo o nessun altro, Sinatra non ha
mai visto gesso e scagliola, sta a te insegnargli tutto senza fartelo scappare “, e congedai ambedue poi trattenni Bolla : “
Piasute el mè discors ? “ “A l’e stait fantastic e Giacùn sensa
parole. lon a l’e stait el mej !”…
Diplomazia, decisione, chissà ma, dopo una settimana Giacùn
e Sinatra erano una coppia indivisibile che portò a termine il
lavoro degli stucchi in modo perfetto e poi si dedicò anche ad
altri lavori meno nobili come la platriatura di pareti e soffitti ed
era uno spettacolo il vederli apparire, all’ora del pranzo, con i
vestiti e le parti di pelle scoperte completamente bianchi ma.
soprattutto, sorridenti.
Passò il tempo, il lavoro terminò e gli operai si dispersero poi,
un giorno, incontrai Sinatra
per via, un uomo diverso dall’operaio di anni prima che mi
annunciò trionfante che si era comprato un alloggio e aveva
fatto il platrio alle pareti e ornamenti di stucco ai soffitti, Aveva
avuto da Giacone in regalo i ferri del mestiere che aveva intrapreso lui stesso grazie a quanto lui gli aveva insegnato e alla
mia decisione di accoppiarli, quel giorno di tanti anni prima.
Quattro donne
di Franco Calandrini
-Breve raccolta di racconti Perché il tempo è poco, e l’acqua si sta alzando
(Raymond Carver)
IO NON SONO COMPETITIVA
Non sono una donna competitiva, non lo sono mai stata. Ma
neanche remissiva. E non mi piace nemmeno perdere a priori.
Mi soddisfa però essere sconfitta da un degno antagonista.
Voglio lasciare il campo di battaglia vinta sì, ma con onore.
Voglio avere, di qualsiasi cosa si tratti, la possibilità di confrontarmi con qualcuno che reputo degno del mio rispetto e
magari, se serve, lasciarlo anche vincere; anche là dove potrei
avere notevoli probabilità di vittoria.
Come nel sesso, ad esempio.
Avendo già passato la trentina ed avendo iniziato a praticarlo
- 37 -
I l S alotto degli A utori
molto presto, come è facile immaginare, mi è capitato un po’ di Ogni estate inizio Le Onde di Virginia Woolf - sono ormai cintutto (come a tutte, credo): ragazzi che pensavano di essere dei que estati consecutive - o Berlin Alexanderplaz, o l’ Ulisse, e
tori da monta che crollavano dopo il secondo orgasmo, altri addirittura, quando proprio voglio farmi del male, La ricerca
eiaculatori precoci che non facevano neppure in tempo a sfilar- del tempo perduto. Mi piace essere sconfitta da giganti simili,
mi il body ed erano già venuti, altri a cui non avresti invece mi fa pensare alla vastità della mente umana e a quanto siamo
magari dato un euro che si rivelavano amanti perfetti.
ridicoli quando ci mettiamo in competizione col mondo; solo
Ora, dovete capire che, a una donna di 30 anni, per far che poi, arrivare a pensare che l’unica competizione che puoi
pensare ad un uomo che è un vero stallone o un inetto, basta vincere, la puoi vincere solo se trovi qualcuno più debole di
davvero poco. Ed è per questo che quando trovo un uomo che te, non dà poi così tanta soddisfazione.
amo, che amo davvero, faccio di tutto perché lui si senta - Comunque intanto sentite questo:
realmente - un “vero uomo”. E m’impegno talmente tanto da “Parte Prima: una specie d’introduzione (giro pagina) 1. Dal
crederci anch’io, e finisce addirittura che, da donna frigida quale quale, eccezionalmente, non si ricava nulla. (vado a capo).
posso sembrare ad uno che mi cavalca per ore senza farmi Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione
venire, divento multiorgasmica; e vengo, vengo a ripetizione, orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e
finché alla fine quasi svengo.
non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo
E l’uomo che amo si sente un vero uomo.
spostandosi verso nord. Le isoterme e le isotere si comportaChiusa la parentesi sessuale, che era solo per attirare la vostra vano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto norattenzione, passo ad elaborare il concetto iniziale.
male con la temperatura media annua, con la temperatura del
Non sono una donna competitiva, dicevo, ma neanche remis- mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con
siva.
l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare
Quando ho iniziato a scrivere ero certa che avrei scritto qual- del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello
cosa che avrebbe lasciato una traccia importante.
di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano
Avevo appena vent’ anni, ma mi sentivo già in buona compa- conformi alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore
gnia. A ventuno anni Brecht riscriveva per la quarta volta il acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atquinto atto di Tamburi nella notte, Bob Dylan consegnava alla mosferica era scarsa. Insomma, con una frase che, quantunstoria Blowin’ in the wind e Like a rolling stone, Mozart a que un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella
quell’età ormai aveva cambiato in modo irreversibile il flusso giornata d’agosto dell’anno 1913".
della musica. Adesso toccava a me, ma sentivo che dovevo fare
in fretta, che avevo poco tempo, non so nemmeno io perché.
Questo era l’inizio - solo l’inizio - de L’uomo senza qualità di
E’ pur vero che Luchino Visconti rinnovava il cinema italiano a Robert Musil.
quarant’anni e passa, Alfieri riusciva a far sentire il suo urlo Ora ditemi voi se questo non è un (altro) genio!
solo qualche anno prima, De Sica raggiungeva la propria con- Cosa si può fare se non accettare una sconfitta definitiva?
sacrazione come attore ormai in piena senilità; ma quella era Scrivo ancora ovviamente - non saprei fare altro -, ma niente
più romanzi; qualche racconto si, qualche poesia, qualche sagtutta gente di cui, in ogni caso, non avevo alcuna stima.
Prestissimo avevo iniziato a vincere premi letterari e già per gio, ma soprattutto faccio con grande piacere traduzioni di
me si prefigurava un futuro ricco di successi. Non avevo com- altri autori e devo dire che sono diventata talmente brava che
piuto ancora 24 anni che già il mio primo romanzo era stato adesso anche gli editori più importanti mi cercano quando
venduto oltre ogni aspettativa e tradotto in tre lingue. Mi rieditano qualche grande classico.
invitavano ovunque, mi facevano parlare e mi chiedevano pa- Pensate che questa credibilità me la sono guadagnata quando
reri su ogni cosa, mi presentavano persone veramente famose il mio editore, dopo avermi rifiutato la pubblicazione dell’ennesimo romanzo (assai mediocre, e di questo gliene sono ane interessanti, e anche di realmente interessanti.
che grata) mi mise alla prova, quasi per scherzo, chiedendomi
Questo per un paio d’anni.
Poi, il nulla, sempre meno cose da dire, sempre meno inviti da di tradurre un brano di Mrs. Dalloway (in realtà una frase, una
rifiutare cortesemente, nessun’altra storia meritevole di essere sola frase).
raccontata; un aridimento totale e che, ora lo posso dire ma Dei romanzi di Virginia Woolf esistevano già traduzioni stupende ma lui era convinto che io avrei potuto fare di meglio.
allora mi sembrava impossibile, si rivelò definitivo.
Adesso avevo altri compagni, come John Osborne di Ricorda Non so perché, ma comunque dubito che il fatto che io l’abbia
con Rabbia, Philip Ridley con Riflessi sulla pelle o Marcel fatto sentire un vero uomo abbia potuto condizionare la sua
Montecino con La grande occasione, e dovevo farmene una scelta; non sono certo io il tipo di donna che va a letto con
qualcuno, meno che mai con il proprio editore, per garantirsi
ragione.
Ciclicamente, quasi un paio di volte l’anno, torno all’idea del qualche vantaggio. No, di lui mi ero quasi innamorata e se avegrande romanzo. A volte ho tutto in testa: gli ambienti, i per- te ben letto la parte precedente, capite di cosa sto parlando.
sonaggi, la struttura, ho tanti inizi e tanti finali meravigliosi, Il libro, come ho già detto, era Mrs. Dalloway e la frase era
tutto insomma, ma alla fine mi arrendo e non so nemmeno più quella del celeberrimo incipit: “La signora Dalloway disse che
perché - non so più perché ci provo e non so più perché mi avrebbe comprato lei i fiori”/ “La signora Dalloway disse che
i fiori li avrebbe comprati lei.”/ “La signora Dalloway disse
arrendo.
C’è da dire che questo periodo di aridità mi aveva lasciato molto che i fiori sarebbe andata a comprarli lei.”
tempo per leggere - anche se poi leggendo i capolavori del Inutile dire che la mia traduzione si rivelò la migliore (e adesso
passato, neanche tanto remoto, mi deprimevo ancora di più. sta a voi scoprire quale sia - perché io non sono una donna
Ma va bene, va bene così, mi dico. Ci sono infatti molti libri, al competitiva!!) e che da allora ho trovato un nuovo lavoro. Un
pari degli amanti di cui sopra, da cui mi piace essere sconfitta; lavoro magnifico direi, che mi mette in competizione con altri
traduttori - ma questo è il minimo e l’ho messo in conto - ma
menti supreme che mi lasciano spossata, vinta e disorientata.
- 38 -
E state 2008
mi solleva dall’imbarazzo di dover confrontare i miei sempre più
miseri tentativi letterari con i grandi capolavori della letteratura.
Per tornare al discorso uomini, qui invece col tempo ho imparato a mediare; perché quando ti rendi conto di quello che sei,
di quello che sei diventata e ti accorgi di avere nei loro
confronti un vantaggio schiacciante, se non hai più rispetto di
te stessa, che rispetto potresti mai avere per un tuo subalterno? E allora da quel momento, per potere accettare il fatto che
il tuo uomo valga qualcosa, spesso devi imparare a fingere,
soprattutto con te stessa, devi dirti che invece quello è un uomo
speciale, che sei stata fortunata e che sei tu che ti devi ridimensionare.
E così passano gli anni e tu ti accontenti di quello che capita,
traducendo libri magnifici, scrivendo saggi e poesie, sognando
la seconda occasione e aspettando un amore decente.
L’incidente di Grazia Fassio Surace
(Moncalieri)
“C’è una casa ferma
in cima alla collina.
Ha mattoni rossi,
le finestre piccole,
e un cortile aperto
sulla valle.
Crescono il verde, e i fiori,
i pensieri d’infanzia,
le lontane attese,
e gli amori,
e il babbo stanco si aggira
a coltivarli.”
Agosto di nuovo in collina.
Ma mio padre pare assente, stanco, triste, tormentato da problemi di cui non vuole parlare.
Se mi avvicino per abbracciarlo fa un sorriso distratto, compiacente, e ricambia appena l’abbraccio.
Se lo chiamo “papalotto” il suo “bella gioia” di rimando è strappato, non sentito col cuore.
Non sta ai giochi, agli scherzi che ci hanno da sempre legato
come allegri complici.
Non riesco a riconoscerlo.
Penso persino che non mi ami più, perché non prende l’iniziativa per una carezza, un abbraccio, una confidenza, e sembra
subire i miei approcci. Non s’incontra neanche con gli amici.
La nostra casa d’improvviso è diventata vuota e triste, e mio
padre vecchio di cent’anni.
La mamma, da sempre l’ombra felice del babbo, è ora un’ombra mesta, disorientata, che, come me, non capisce che cosa sia
successo.
Se gli domandiamo che cosa ha, lui dice nulla, e sfugge il dialogo.
Un giorno che mangiamo sotto il pergolato guardando la valle
macchiata dal bianco di un piccolo cimitero in fondo al pendìo,
dice: “Quando sarò morto, non ci sarà bisogno del funerale,
datemi una spinta e arriverò a destinazione”.
Lo esclama in dialetto, come una battuta, e ride, per farci capire che sta scherzando.
Ma non riesco più a sognare.
Né ad essere felice.
Sento un gelo al cuore.
Ho brutti presentimenti.
Sono i primi di settembre.
Siamo di nuovo a Torino.
Questa volta il babbo mi abbraccia e bacia, e mi dice due o tre
volte “bella gioia”.
Sono lieta che mi dimostri ancora il suo affetto, ma non posso
fare a meno di domandargli: “Vuoi fuggire lontano che mi dai
tanti baci?”
Sta uscendo per andare al lavoro.
“La mia sciocchina” esclama, ridendo.
E’ ritornato ad essere il mio papà.
Sono felice.
Sono ancora felice un paio di ore dopo, quando odo squillare il
telefono.
Ho dimenticato la tristezza e i presentimenti che mi hanno accompagnata per un mese intero.
Sto curando le piante sul terrazzino.
Ali bianche di nubi dipingono un cielo azzurro lacca.
Penso ad un ragazzo che ha appena telefonato.
Mille sogni allegri mi frullano in testa.
“Pronto”
“Chi parla?” La voce dell’uomo è triste e compassata.
Dico il cognome e poi “Ma chi è?”
La voce è sempre triste, raggelante. “Vorrei parlare con la signora”.
“La mamma non c’è. E’ uscita per la spesa. Può dire a me?”
“E’ il pronto soccorso dell’Ospedale Molinette”. Fa una pausa
in cui mi sembra che deglutisca per prendere tempo.
Poi dice il nome del babbo chiedendomi “E’ suo padre?”
Mentre sto tremando, riesco a dire “Sì”.
“Ha una Giulietta targata TO…”
“Sì. Ma che cosa è successo?”
“Ha avuto un incidente…” Come faccio a non svenire? “Ma
come è accaduto? E’ grave?”
“E’ uscito di strada con l’auto. E’ molto grave. Venite subito”.
Poso il ricevitore e scappo pensando a mio padre che sta soffrendo e forse morendo e a come dirlo a mia madre che troverò
a fare spesa dal verduriere all’angolo.
I mostri nel giardino
di Gianfranco Gremo (San Gillio - To)
Per il poliziotto che da quattro ore piantonava quella stanza
d’ospedale era arrivata l’ora del cambio. La consegna era di stare nel corridoio davanti alla porta aperta della stanza n. 7 e non
farvi entrare nessuno tranne, ovviamente, i medici e le infermiere
assegnati a quel paziente. La stanza era occupata da lui solo, si
trattava a tutti gli effetti di un vero e proprio prigioniero. Il magistrato aveva stabilito di tenerlo sotto custodia in quanto era accusato di molestie ad una minorenne. La precauzione di tenerlo
sotto controllo era una mera formalità, quell’uomo era stato riempito di botte, quasi linciato da una folla inferocita. Era stato salvato in extremis da due vigili urbani e da una pattuglia di poliziotti. In quelle condizioni, anche lo avesse voluto, non sarebbe
stato in grado di fuggire dall’ospedale.
In fondo al corridoio apparve il collega destinato a dare il cambio.
- È dura, eh? - disse quello montante.
- Almeno qui non c’è da patire il freddo. A me l’ospedale, tutto
questo bianco, mi mette sonno, fatico a tenere gli occhi aperti.
Non è stanchezza, è monotonia, noia - rispose l’altro.
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I l S alotto degli A utori
- Di che si tratta stavolta?
- Un brutto caso, di quelli sporchi. Pare che ‘sto tizio abbia
cercato di allungare le mani su una bimba di otto o nove anni,
non so l’età precisa.
- Perché è in ospedale? - incalzò l’altro.
- Quando la madre si è accorta delle molestie si è messa ad
urlare e subito un gruppo di persone, richiamate dagli strilli, si
sono avventate sul porco. Botte da orbi.
- Quindi adesso è lì dentro a disposizione del giudice?
- Sì, ma il dottore ha detto che devono operarlo, pare sia conciato male.
- Ben gli sta. Riesco ancora a capire un ladro che magari ha
fame. Ma questi zozzoni…. - sentenziò il poliziotto salutando
il collega dopo aver preso le consegne.
Nella sala dove si radunavano le infermiere prima di prendere
servizio l’argomento era quello. Del resto era accaduto di fresco. Quando si trattava di pedofili e guardoni gli animi erano
più accesi del solito.
L’infermiera più anziana si era presa l’incombenza di narrare
alle giovani gli eventi. Intorno a lei il silenzio era totale, nessuna avrebbe osato interrompere il flusso delle sue parole.
re perché è conciato male. Non auguro la morte a nessuno, ma
se quello resta sotto i ferri certo non piangerò.
Le infermiere annuirono, chi per convinzione chi per convenienza. Alla “capa” è sempre meglio dare ragione.
Nella stanza n. 7 Antonio non riusciva a convogliare i suoi pensieri in uno schema che avesse una qualche logica. Tra i calmanti che gli avevano somministrato ed il torpore conseguente
alle botte prese faceva fatica a connettere. Cercò di raccogliere
le idee, di ricostruire gli ultimi eventi. Ma la sua mente non
riusciva a fermarsi al giorno precedente, andava molto più indietro nel tempo. Ad un tempo ben più doloroso di questo.
Perché ieri erano state botte fisiche e facevano certo male ma
mai come le ferite inferte all’anima. I suoi ricordi fecero un
balzo di tre anni e si soffermarono dolorosamente a quando la
moglie gli aveva detto che tra di loro era finita e che non ne
voleva più sapere di lui. Roberta era determinata ed aveva subito iniziato le pratiche per la separazione. Suo scopo primario
era quello di sottrargli la figlia Germana di cinque anni. La voleva allontanare da un uomo, a suo dire, inaffidabile, pericoloso, incapace di amare e educare la figlia. Era pura cattiveria la
sua, era evidente che padre e figlia erano molto uniti. Il volerli
separare rappresentava una gratuita crudeltà.
- Come sapete - esordì - da tempo correva voce che nei giardi- Ma come spesso accade, il giudice, donna, sentenziò che le
ni di Via Verdi si aggiravano strani individui. Barba lunga, responsabilità erano primariamente del padre, stabilì la somma
malvestiti, dei mezzi barboni. Si dice che attirino le bambine mensile da corrispondere per il sostentamento di madre e fioffrendo loro caramelle, poi cerchino di toccarle, addirittura di glia. Stabilì infine il diritto del padre di vedere la figlia una volta
baciarle. Le mamme sono in apprensione e cercano di non per- la settimana a giorno fisso per un pomeriggio.
dere di vista le figlie. La polizia, anche in borghese, organizza Antonio accolse con disperazione la sentenza ma si aggrappò a
degli appostamenti.
quelle poche ore a sua disposizione. Nonostante risultasse eviDopo le premesse, il racconto proseguì.
dente la sofferenza di Germana, la madre volle incrudelire ulte- Ieri pomeriggio una madre si era distratta un attimo e la figlia riormente il tutto. Decise, dopo qualche mese, di trasferirsi con
di sette anni le era sparita da sotto gli occhi. Forse si era tratta- la figlia ad ottocento chilometri di distanza, al sud, presso dei
to di più di un attimo ma queste distrazioni si pagano care. parenti. Il clima era migliore, diceva, avrebbe giovato alla saluAffannosamente si era messa a cercare tra gli alberi e le siepi te della piccola. In realtà non era che un pretesto per allontacon nient’altro in mente che quel vestitino rosa. I giardini era- narla dal padre.
no affollati, difficile individuare la figlia in mezzo a quella con- Divenne così sempre più difficile per Antonio vedere la figlia. Il
fusione. Un tuffo al cuore. In lontananza aveva scorto un’om- viaggio era lungo e costoso e lui non se lo poteva permettere
bra rosa seduta su una panchina in fondo al parco. Un altro che una volta al mese. Il suo stipendio era pesantemente
tuffo al cuore più angoscioso del primo: accanto ad Ornella, decurtato dall’assegno che mensilmente doveva versare all’ex
seduto vicino a lei, troppo vicino, un uomo dimesso e trasan- moglie.
dato. Si avvicinava sempre di più alla figlia, la toccava, sì, la Così Antonio si lasciò andare. Tra la disperazione ed i ridotti
toccava! Un urlo le scaturì dalla gola, si precipitò verso la pan- introiti divenne sempre meno curato nella persona: barba lunchina e si mise a gridare aiuto per richiamare la folla.
ga, abiti stazzonati. Quando partiva per vedere la figlia, guarQui l’infermiera prese fiato, si guardò intorno per verificare dandosi allo specchio, quasi si vergognava.
l’effetto delle sue parole sull’uditorio, e proseguì.
I pensieri rivolti al passato si interruppero e si fiondarono bru- Nello spazio di qualche secondo, attirati dalle urla, erano scamente al giorno precedente: così poche ore erano trascoraccorsi in molti e mentre lei si precipitava a strappare la figlia se? Non riusciva a focalizzare la mente sull’entità del tempo
dalle grinfie del porco un gruppo di persone circondavano la che scorreva. Si sforzò a concentrarsi sugli eventi del giorno
panchina e cominciavano a picchiare sistematicamente prima.
l’individuo che, a questo punto, cercava di ripararsi dalla Sì, era al parco, ai giardinetti di Via Verdi, e vagabondava come
gragnola di colpi rannicchiandosi sulla panchina. Partecipavano al solito per cercare un po’ di conforto all’ansia che lo accomal pestaggio due in tuta da jogging, un pensionato, tre madri pagnava come un’ombra. Sapeva bene cosa l’avrebbe conforinfuriate, un gelataio ed un venditore di palloncini che con una tato, stare in compagnia della figlia, lì, al parco e comprarle un
mano li teneva saldamente in pugno, con l’altra menava gelato, o i palloncini dalle buffe sagome e contare con lei i
all’impazzata. Il provvidenziale intervento di due vigili urbani e pesciolini rossi nella vasca della fontana principale. Gli tornò
di una pattuglia di poliziotti aveva sottratto il malcapitato alla alla mente, vagando nel giardino, quel vestitino rosa che aveva
furia popolare. Qualche minuto ancora ed il linciaggio avrebbe regalato alla figlia l’anno prima. Aveva preteso che la madre
ottenuto l’esito auspicato, ammazzare di botte il guardone da glielo facesse indossare tutte le volte che la bimba si fosse intempo ricercato.
contrata con lui. Era successo una volta soltanto, l’ex moglie
L’infermiera riprese fiato, si guardò ancora una volta intorno era stata capace di mettere in atto queste meschine cattiverie
con soddisfazione: tutte stavano a bocca aperta ad ascoltarla. pur di frustrarlo ed umiliarlo.
- Adesso il porco è nella stanza n. 7, presto lo dovranno opera- C’era una bimba seduta là, sulla panchina, bionda e vestita di
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E state 2008
rosa. Germana! Sì, era lei. No, non poteva essere, la bimba era
centinaia di chilometri lontana… Si avvicinò cercando di rassettarsi e le chiese se poteva sedersi lì. Innocentemente la
bimbetta disse di sì, non aveva ragione di temere quel signore,
anche se la mamma le aveva detto di stare attenta agli sconosciuti. Scambiarono qualche parola, fu lei a chiedergli il nome e
lui fece altrettanto. Antonio stava discosto da lei, gli bastava
poter stare ad un metro da una bimbetta che gli ricordava
Germana. Non aveva caramelle con sé, né intendeva avvicinarsi a lei più di tanto. Gli bastava ammirare la sua figurina aggraziata e sentirla parlare con la sua vocina che voleva apparire
quella di un’adulta.
Improvvisamente si levò un grido, laggiù, verso quella macchia di alberi. Una donna urlava parole a lui incomprensibili.
Restò come pietrificato. In un baleno gli furono addosso in
tanti, lo circondarono: chi lo teneva, chi lo picchiava. Si rannicchiò nell’incavo della panchina. Vide la bimbetta in braccio ad
una donna urlante, isterica. Poi tutto gli precipitò addosso.
Il piantone di guardia alla porta della stanza n. 7 si fece da
parte. Una barella, due infermieri ed un medico si infilarono
nella stanza.
- Sala operatoria, urgente.
Il poliziotto captò solo queste poche parole. Per ora il suo compito era finito. Avrebbe atteso disposizioni.
L’uomo fu depositato sulla barella, cercò di dire qualcosa ma si
accorse che, mentre il pensiero era vivido, le parole erano confinate in fondo alla gola.
Come in un sogno i suoi occhi seguivano il tragitto nei corridoi,
nell’ascensore. E mentre questo scendeva lui ebbe la sensazione
di salire. Salire. Salire dove? Verso cosa? Che strano, se si sale
ci si avvicina alla luce, pensò. Cos’è allora questo buio? Cos’è
questo buio? Buio profondo, tenebra…. Ed ora, ed ora…. Cos’è
questa luce?
tengo io.»
Da allora in poi, la signorina in questione, dal nome dolcissimo
Graziella, ma in netto contrasto con il temperamento burbero,
aggressivo e vendicativo si proponeva di non affidare alcuna
recita scolastica alla piccola “Giugia”. Dovete sapere, che in
quei tempi la figura dell’insegnate di scuola materna era molto
autorevole; se le maestre avevano l’autorità di insegnare la buona
educazione ai fanciulli, a saper leggere e scrivere, alla maestra
d’asilo competevano tutte le attività manuali e ricreative dei
bimbi, anche di quelli che frequentavano le elementari. Al vertice della gerarchia scolastica, nella scuola della mia infanzia,
era un direttore residente nella scuola del paese; seguivano:
due maestre che molto amabilmente, svolgevano la loro opera,
una bidella e una cuoca che ci preparava deliziosi piattoni di
patate e zucchine con il sugo.
Per ben cinque anni, io Iginia, chiamata dai miei affettuosamente Giugia, non fui mai chiamata a partecipare alle recite
scolastiche, che si tenevano ogni anno nel mese di maggio.
Ogni anno, mi illudevo che la signorina Graziella si ravvedesse
e mi chiamasse per recitare, perché la speranza, nel cuore di
una bambina, è l’ultima a morire ed io ci tenevo a far sentire la
mia voce, non so per qual motivo.
Arrivò, pure, l’ultimo anno di scuola. Questa volta mi dicevo,
G. dovrà farmi recitare: ella sa che sto soffrendo, che da parecchio tempo, anelo a far parte anch’io della compagnia dei piccoli attori.
Confidavo, intanto a mia madre il mio disagio, la mia vergogna, la mia amarezza per non essere mai chiamata.
Nell’ultimo anno mia madre che non sopportava più di vedermi silenziosa e sofferente, affrontò la signorina Graziella e così
le disse: «Signorina, la mia bambina, non è poi, così timida,
come lei pensa: per l’ultima volta, dia una particina non lasci
che diventata grande, la mia figliola abbia un brutto ricor-do
di lei.» La signorina guardò un attimo mia madre, poi sempre
sfoggiando il suo grande sorriso le disse: «La bambina è timida, come io penso: comunque, le farò un piccolo esame e in
base a quello deciderò se quest’anno è idonea per la recita.»
(dall’autobiografia di Iginia “era il maggio odoroso”) Ebbene, quell’esame non fu mai fatto: era stato solo un’invenzione di Graziella ed io, Iginia, non fui mai un’attrice.
Nel mese di maggio la scuola era tutta festosa perché si pensava al teatrino, che avrebbe avuto luogo a conclusione dell’anno
Erano gli anni ’60 ed io, Iginia, avevo cinque anni. Un bel matscolastico; i maschietti mandavano in ferie il pallone, le
tino, entrò dal cancelletto, percorse il vialetto fiorito e bussò
femminucce fra le quali anch’io mandavamo in libertà la “palla
alla casa dei miei genitori una donna, sui 45anni, in apparenza
prigioniera”.
simpatica: grande mole, colorito bruno, lo sguardo vivace, caEra, quindi il “maggio odoroso” per usare il verso di G.Leopardi,
pelli sulle spalle, bocca molto larga e doppio mento, tutti elenella poesia “A Silvia”... E mentre la giovanissima Silvia, nei
menti che in genere caratterizzano la figura bonacciona, semomenti di tregua, dal suo mal sottile, evitava la compagnia
condo una impressione popolare, ma, a mio avviso, errata. Busdelle coetanee, non partecipando a quelle poche gioie che la
sando, chiamò la mamma: «Signora Giseldi, apra, la signorinatura dona in genere ai ragazzi, così...
na Graziella, sono!» La signora Giuseppina apriva di buon
Una piccola Giugia, preferiva starsene in un luogo solitario del
grado e faceva accomodare la donna che conosceva soltanto di
giardino della scuola pur amando la scuola, pur amando la
nome e per la professione che svolgeva: maestra d’asilo.
materna maestra della propria classe, che nessuna voce in capiE veniamo al dunque, mia madre chiedeva a Graziella: «A che
tolo, aveva però, riguardo alle attività ricreative. La piccola
cosa devo la sua visita?» E quella facendo un enorme sorriso,
Giugia non era affetta dal mal sottile, ma di un’incurabile marispondeva: «Vengo a raccoglier bambini, signora carissima:
lattia che le avevano affibbiato: la timidezza.
mi servono per formare un discreto numero di allievi.» Mia
Durante le prove, Iginia rimaneva spesso nell’aula vuota: le
madre rispondeva: «La mia bambina mi è di grande compainsegnanti conversavano nel corridoio, mentre, Graziella, in
gnia; tuttavia, se l’iscrizione di mia figlia, è indispensabile,
un’aula tutta sua, intratteneva i bambini: spiegava loro cosa
per raggiungere il numero richiesto, farò in modo di iscriverdovevano fare, e poi... Dava il via. Qualche volta io Iginia avela.» Indignata la signorina rispondeva: «Io di bimbi ne ho quanti
vo, assistito alle prove, da astante e spettatrice invisibile perché
ne voglio! Era solo per fare un favore a lei.» Di rimando la
nessuno si curava dei sentimenti che una bimba può provare.
mamma: «Bene, allora si tenga i suoi bimbi, che la mia me la
E per avermi sempre esclusa io, Graziella, ti ho detestata in
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Quando qualcuno c’imprigiona
di Giuseppina Iannello (Brescia)
I l S alotto degli A utori
silenzio.
Si era giunti alla fine definitiva della scuola elementare: fra un
giorno avrebbe avuto luogo il teatro con i piccoli protagonisti
raggianti e tutti i genitori invitati. La mattina del fatidico giorno,
mi alzai di buon’ora: mi mia madre chiamò, mi abbracciò, mi
diede un bacio sui lunghi capelli. «Iginia», mi disse: «sei proprio
sicura di voler andare a scuola?» «Sì, mamma», risposi.
E così ero andata: la sala profumava di rose in onore alla Vergine, profumava di pasticcini alla mandorla, di confetti... Accettai qualche pasticcino vinta dalla golosità, ma poi... Continuai a
guardare per parecchio tempo con sguardo accusatore la signorina Graziella e le sue assistenti assunte da poco per il grande lavoro. Non ero abituata a far esplodere la mia ira, ma ad un
certo punto, raggiunsi la mia aula la cui porta sulla sommità
recava la scritta “5a elementare”. Sedetti all’ultimo posto, dando intanto, uno sguardo ai compiti dei miei quaderni e per ogni
compito un voto, siglato dalla maestra, si trattava sempre di
nove o dieci.
“Fra poco sarò una signorina” pensai, “presumibilmente sarò
anche brava perché saprò svolgere i temi, saprò mettere in
sintesi un discorso o saprò analizzarlo... A che cosa vale?
Tu, signorina Graziella, mi hai affibbiato una malattia della
quale non soffro; con il tuo saper fare hai influenzato l’ambiente che mi circonda: io continuerò ad essere una timida
per molti anni ancora, sarò forse ciò che tu e quelli che ragionano come te vorrete che io sia... Ma stai attenta: perdonare è
da saggi, dimenticare è da vili. Quando deciderò di scrivere
la mia autobiografia, forse ti avrò già perdonata, ma non dimenticherò che tu mi hai posta dentro un contenitore.”
Improvvisamente si aprì la porta dell’aula, entrò la maestra; si
accorse che stavo piangendo, le guance dentro le mani...
«Che cos’hai, perché piangi?» mi chiese premurosa. La guardai, un attimo, ma intensamente poi scossi il capo, chiusi gli
occhi e risposi: «Io! Niente».
“Solo, che fare da solo?” mi chiedevo, mentre con una mano
reggevo la mia schiena e con l’altra asciugavo grosse, persistenti lacrime. Era un pianto inconsolabile, frutto insensato di
insensata morte.”Che faccio, che farò? Non so dove andare”
pensavo e invocavo con la voce dell’anima lei “Madre, madre
mia, dove sei”. Ricaddi, camminavo carponi,le gambe non mi
reggevano, ma andavo, né so perchè e dove: movimento istintivo, nulla di più. Ero così formica tra le formiche, e formica
trovai un pezzetto di galletta, mollica di nutrimento”.
“Buon giorno, professoressa”. Un allievo mi saluta, sono arrivata a scuola, mentre sono ancora in compagnia di mio padre
formica.
L’ambiente caldo e illuminato, pieno di vita, mi riporta alla realtà: firma di presenza, registro di classe, personale, banali battute di convenienza con i colleghi che man mano incontro e
veloce, come al solito, salgo le scale che mi conducono al piano superiore.
Ma oggi non è come gli altri giorni, non posso far quadrare il
cerchio: il padre formica è impresso nella mia mente, davanti ai
miei occhi il fuoco del braciere è vivo, non vuole diventare
cenere. Guardo attonita le pareti, i banchi, i miei allievi, creature pulsanti di vitalità; “quale futuro,” penso, “preparo, per loro,
forse un futuro di uomini-formica da pestare con il tacco di un
pesante stivale, manovrato da un grande piede?”
“Buon giorno, ragazzi,oggi è un giorno speciale”. Roberto,
pensando che io alludessi alle condizioni meteorologiche, risponde: “Sì, è un giorno speciale, non si era mai vista tanta
nebbia a Palermo, per noi l’azzurro del cielo è quasi una condizione abituale, ma oggi Palermo è come Milano”.
“Va bene, va bene, oggi è un giorno speciale perché c’è la nebbia, ma è speciale anche perché non faremo una normale lezione: come la natura mescola cielo e terra, così noi mescoleremo
passato e presente, per proiettarli nel futuro”.
Roberto sempre attento a tutto ciò che io dico, chiede: “ Ma
che significa, prof ?”
“Tra poco capirai. Mentre venivo a scuola, forse a causa di
queste condizioni climatiche per noi eccezionali, mi sono immersa nei ricordi, nel mio lontano passato, quando in una giornata buia e nebbiosa come questa, mio padre mi raccontava del
suo passato, dei tristi eventi vissuti in Libia,
“Che brutta giornata oggi, neanche un raggio di sole!”
La nebbia occulta la vista e solo a stento è possibile evitare le durante la Seconda guerra mondiale. Mi raccontava che dopo
macchine che sembrano evanescenti sagome, appena intuibili la caduta di Tobruch, egli era l’unico sopravvissuto della sua
attraverso le luci dei fanali, rosse come fuoco di braciere, che compagnia e, dopo tanto errabondare, fu preso prigioniero dagli
emerge improvviso dal vapore consistente. Anch’io mi sento Alleati , ma lui non si accorse di questo perchè gli Americani lo
vaporosa essenza nell’abbraccio solidale di cielo e terra, umido caricarono privo di sensi su una camionetta, quando ormai era
vapore, nell’abbraccio memoriale che mi lega a quel braciere. arrivato ai margini del deserto. Appena si svegliò, sentì parlare
“Papà, papà racconta ancora, è presto per andare a letto, il americano, perciò capì subito che era in trappola. Egli parlava
un po’ la loro lingua, perché gliel’aveva insegnata suo padre
fuoco è ancora vivo, riscalda ancora”.
che nei primi del Novecento era stato emigrato negli Stati Uni“Quando ci fu la presa di Tobruch, le bombe cadevano dal cieti, pertanto cercò nei limiti del possibile di familiarizzare con i
lo, altre sbucavano dalla terra, quali demoni scatenati, sanguinari.
suoi carcerieri, che fiduciosi in lui alla fine, lo sorvegliavano
Noi ballavamo una tragica e strana tarantola tra le angosciose
sempre meno e mostravano amicizia nei suoi confronti, dandosmorfie e le urla di paura e di dolore. Non so poi cosa accadde, gli anche abbondanti porzioni di cibo.
non so, semplicemente so che ad un tratto mi svegliai, con la Tuttavia la preoccupazione per il suo futuro non abbandonava
schiena dolorante per l’insolito peso: erano i miei compagni, mio padre.”Sono pur sempre un prigioniero,” pensava,”cosa
morti, che fungevano da scudo impermeabile al mio corpo in- mi aspetta appena arriveremo al campo?” Questo semplice
dolenzito, alla mia mente straniata.”Dove sono” mi chiedevo, pensiero lo indusse a profittare del buio della notte per scaval“che cosa è successo”. Solo dopo capii l’accaduto: gli alleati care il parapetto del camion e buttarsi giù, tra la morbida sabavevano preso Tobruch.
bia. Era libero! Ma era in mezzo al deserto, né poteva seguire
Non c’era più nessuno, il forte era deserto, non c’era anima le impronte lasciate dalle ruote della camionetta, perché questo
viva, solo fuochi residui, fumi densi, intensi, maleodoranti, cor- lo avrebbe riportato in mano ai nemici. Che fare? Si mosse in
pi straziati, occhi atterriti,carni bruciate .
direzione opposta, ma ben presto, muovendosi tra le dune per- 42 -
Lezione di Francesca Luzzio
(Palermo)
E state 2008
se ogni direzione. Ormai era l’alba, per fortuna stava spuntando il sole e sarebbe finito quel freddo che ormai cominciava a
farlo ulteriormente soffrire. Luce abbagliante, silenzio infinito,
spazi infiniti, dune su dune. Il sole era ormai alto sull’orizzonte
e un caldo afoso, infernale era subentrato al freddo che sino a
poche ore prima l’escursione termica aveva reso altrettanto
insopportabile; il sudore gli grondava in ogni parte del corpo,
le gambe erano diventate pesanti, a stento assecondavano la
volontà di camminare. Che sete! Le labbra a poco a poco si
gonfiavano, si spaccavano: mio padre raccolse tra le mani le
sue urine e si bagnò le labbra. Sopravvisse così quel giorno e
l’altro ancora, quando sentì lontano un rombo di
motore.”Meglio prigioniero come prima che morto” pensò e
cominciò a chiedere aiuto, per quel tanto che la sua gola secca
gli permetteva di fare. Il rombo si faceva sempre più vicino,”
sono salvo,” pensò”sono salvo!” e si lasciò andare, ormai del
tutto privo di forze. Appena rinvenne si trovo in un ospedale da
campo: parlavano italiano, era salvo! Guardo per caso l’orologio e mi accorgo che parte dell’ora è volata via, allora mi
affretto a concludere dicendo: “Va bene ragazzi, mi fermo qui,
ho tolto un bel po’ di tempo alla lezione; un altro giorno, quando studierete la Seconda guerra mondiale faremo una lezione
in compresenza con l’insegnante di Storia e vi racconterò altre
vicende vissute da mio padre in guerra, anzi vi porterò anche
delle fotografie. Adesso mi pare più opportuno leggervi un testo poetico di Quasimodo, Uomo del mio tempo, diverso,come
constatate dal titolo, da quello che avevamo programmato di
analizzare oggi, ma sicuramente inseribile anche nel percorso
storico. I ragazzi ormai totalmente coinvolti nella narrazione
aprono di malavoglia il manuale di letteratura, ma presto si
lasciano prendere anche dalla mia pur modesta
recitazione:”…..T’ho visto: eri tu /con la tua scienza esatta
persuasa allo sterminio,/senza amore, senza Cristo. Hai ucciso
ancora/come sempre,come uccisero i padri,…/…Dimenticate,
o figli, le nuvole di sangue/ salite alla terra, dimenticate i padri:/
le loro tombe affondano nella cenere,/gli uccelli neri, il vento,
coprono il loro cuore”.
Il suono della campana cade come una mannaia sulla lettura
dell’ultimo verso, ma gli allievi, diversamente dal solito, restano seduti in religioso silenzio. “Hanno capito, hanno connesso
letteratura e vita, vita passata e presente, vorrei tanto che le
proiettassero nel futuro!”. Raccogliendo frettolosa penne, registro e libri, ero immersa in queste considerazioni, quando si
accosta Susanna e con sguardo malinconico e dubbioso,
dice:”Professoressa, mi ha coinvolto molto il suo racconto e i
versi che ha letto, ma noi giovani riusciremo a creare un mondo migliore?”
sollievo. Il calore continuava a serpeggiare soffocante dappertutto. Nemmeno le estese zone boschive e la miriade di laghi e
di laghetti, di cui era costellata quella regione, riuscivano a stemperare la grande ondata di caldo che si era abbattuta su tutta
l’Europa Centrale e che durava, implacabile, da ormai più di
due settimane.
Le serate, in quei luoghi, anche quelle di piena estate, si impregnavano normalmente di attesi e benvenuti frescori che salivano copiosi dalla natura. Ora pareva invece di essere in piena
savana. Erano ormai passate le ventitrè da un bel pezzo. La
grande casa di campagna, alle spalle di Serena, sonnecchiava
nella radura circondata dai boschi, come un grosso animale
mansueto, accovacciato nel buio rassicurante della natura.
Serena se ne stava tranquillamente seduta su una comoda sedia
da giardino, posta nel bel mezzo dell’esteso prato rettangolare
che si apriva sul lato solare della casa, curato fino nei minimi
particolari,
Di dormire, in quel caldo stringente e avvolgente, neppure a
parlarne. Preferì perciò rimanere all’aperto, nonostante l’ora
ormai tarda, in compagnia dei suoi pensieri e dell’immenso cielo stellato che pareva volerla assorbire nella sua pulsante luce
bianca.
Aveva ormai perso il ricordo di un cielo simile: sfarzoso,
fantasmagorico, entusiasmante. L’oscurità che gravava sulla
natura faceva assumere al cielo, per contrapposizione, plasticità
e profondità inusuali.
La piatta e sbiadita uniformità del cielo cittadino, al quale era
abituata, faceva risaltare ancora di più il pulsante mistero di
quel cielo aperto, immenso, profondo.
Il suo pensiero, fermentato da quel maestoso spettacolo, prese
ad arricciarsi in un’infinità di domande. L’idea che l’immensa
spirale della Via Lattea, nella quale siamo immersi, anche se in
uno dei lembi esterni, potesse contenere qualcosa come duecento miliardi di stelle, cioè di soli ( aveva appena letto qualche
giorno prima un interessante e approfondito articolo in merito
), di cui il nostro è soltanto una ( e neppure tanto grande ) di
queste luminosissime lucciole astrali, la lasciava attonita e stordita.
Il pensare poi che di galassie, più o meno grandi come la nostra
Via Lattea, che misura in diametro all’incirca centomila anni
luce, ce ne fossero a miliardi, finì per confondere la logica
predisposizione dei meccanismi della sua mente.
Miliardi di soli, miliardi di galassie, miliardi di anni luce …
Cos’era l’uomo davanti a queste cifre, a queste realtà
inimmaginabili? Che significato aveva la vita, quella umana in
particolare, in questa smisurata e inesauribile realtà? Perché
l’energia, la capacità attiva della materia, andava diluendosi in
continuazione ed era destinata a sparire? Perché, in tutto quel
costante e inarrestabile livellamento dell’energia verso valori
sempre più bassi, c’era una valenza che andava contro questa
Serena alzò il capo verso l’immensa cupola del cielo stellato e globale corsa verso la morte: la vita? La vita che unica indirizza
il suo respiro quasi s’arrestò. Davanti ai suoi occhi sgranati le cose dal basso verso l’alto, dal disordine all’ordine, dal meno
s’estendeva uno scenario scintillante e sfarzoso. Lo spicchio di al più?
cielo, sopra e intorno a lei, illuminato a giorno dalla densa e Il suo pensiero ripiegò, pian piano, esausto, su sé stesso. Altre
palpitante massa di milioni di stelle, condensate nella fulgente possibilità di conoscenza, di coscienza, di pensiero sarebbero
spirale della Via Lattea, brulicava festoso sopra le velate diste- occorse per poter afferrare il senso di tutta quella immensa e
se dei boschi e dei prati, i cui profili s’intravvedevano appena in aggrovigliata realtà, per poter penetrare in quei terribili e affaquel singolare paesaggio notturno, non disturbato da luminose scinanti misteri.
sorgenti artificiali.
Ogni tanto un leggero alito di vento muoveva l’aria calda e
Era una tarda serata di pieno agosto. Un caldo eccezionale stagnante, dando l’impressione di una debole frescura. Ma era
avvolgeva la natura e ne riempiva ogni cellula vitale. Neppure soltanto un’illusione. L’aria tornava subito a farsi densa, imil sopraggiungere della notte era riuscito a portare un qualche mobile, avvolgente.
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Serena di Giovanni Tavèar (Trieste)
I l S alotto degli A utori
Certo, tutta quella immensità baluginante, spalancata davanto riali, e stordito dalla sequela di interrogativi e di misteri che si
al suo sguardo,
aprivano davanti ai suoi occhi spirituali.
faceva apparire l’umana quotidianità come un piccolo gioco Poche volte nella sua vita Serena aveva avuto la possibilità (
insignificante. I problemi, che ancora poche ore prima l’aveva- lei, figlia della città, del rumore riprodotto in continuazione,
no tormentata e innervosita, sembravano ora delle foglie sec- della luce perennemente accesa ) di porsi in ascolto, nel silenche, prematuramente avvizzite.
zio, nella solitudine, nel buio profondo, delle voci materiali e
“ Come mai “ pensò “ tutta questa magnificenza, questa dila- spirituali che arrivavano dal creato e che accendevano nella
gante immensità, questo sontuoso splendore, se poi non c’è cassa armonica del corpo e della mente, risonanze impensate,
nessuno che possa abbracciare, neppure con il pensiero, tutte echi inimmaginati, onde mai percepite.
queste incommensurabili dimensioni? Un palcoscenico impo- Pian piano tutto il suo essere, anima e corpo, mente e pensiero,
nente, rigurgitante di azione e di conseguenze, per una picco- gorgogliò, rivitalizzato, cristallizzandosi in un linguaggio
lissima sala, desolatamente vuota e silenziosa? E’ mai possibile semantico nuovo, densamente poetico e musicale: la preghieche questo palcoscenico di smisurate dimensioni fosse stato ra.
allestito per l’uomo, questo minuscolo, sbiadito e insignifican- E nel fervore di quella muta preghiera, antagonista della dispete spettatore? “
razione e del nulla, la sua coscienza si illuminò di un bagliore
C’era qualcosa che non combaciava in quei rapporti sproposi- più denso del creato che la illuminava, più profondo del pensietati e Serena ne intuiva l’incongruenza. E’ se l’universo fosse ro che la fermentava, più lucente della preghiera che la permestato veramente costruito per l’uomo, perchè tutte quelle smi- ava.
surate grandezze, quelle profondità abissali, quegli spazi infini- Serena si sentì d’improvviso come una delle infinite stelle che
ti, apparentemente senza confini?
illuminavano quelle profondità senza confini.
Se l’uomo doveva accontentarsi di vivere su questi piccolo granello sabbioso, chiamato Terra, disperso nelle profondità dello
spazio, senza avere il potere di poterlo veramente abbandonare, che senso poteva avere quella mostruosa grandiosità che lo
attorniava?
Domande che solo una notte simile poteva suscitare. Il pensie- E’ un piacere parlare con zio Giovanni quando fa le sue acute
ro di Serena, come rinvigorito improvvisamente dal suo stesso osservazioni sulle ultime mode della nostra odierna società. A
lavorìo, balzò su vette ancora più audaci e riempì lo schermo proposito dei telefonini cellulari (che in verità sono ormai in
della sua mente ionizzata: esplosioni di soli, dilatazioni di gas, voga da qualche decennio,tanto che il loro uso, sempre più
sibilare di materia in continua espansione, fughe di onde sono- sofisticato, è divenuta un’abitudine diffusissima o meglio un
re, magnetismi perforanti, sfregolii incandescenti, comete in bisogno irrinunciabile di noi tutti esseri viventi del terzo millenebollizione, supernove in implosione, particelle in rotta di col- nio), così mi ha intrattenuto.
lisione, dissolvenze di nubi infrastellari, radiazioni spiralidose, “Vuoi sentire” mi dice invitandomi con interesse ad ascoltarlo
rotazioni inanelanti …
“un episodio a cui ho assistito questa estate?”
La fucina dell’universo la frastornò con l’inaudita violenza del- “Certamente” rispondo, sicuro che l’episodio sarà divertente
le sue leggi fisiche. Incominciò a sentirsi a disagio sulla sua “sono tutto orecchie!” “Ecco” comincia lo zio “me ne stavo
sedia posta in mezzo al prato. Si mosse più volte, come se tranquillo sulla spiaggia ad abbronzarmi al sole, cosa ancora
qualcosa di fastidioso la tormentasse.
possibile ad uno come me che non disdegna sdraiarsi su uno di
Improvvisamente un nuovo pensiero la illuminò. Il pensiero quei lidi abbandonati, che offrono un posto non più grande di
che forse l’uomo era soltanto una particella temporanea del un fazzoletto, quand’ecco la suoneria d’un cellulare dare setempo e dello spazio e che proprio in questa dimensione tem- gno squillante di chiamata”.
porale avesse assorbito tutte le inquietudini viscerali che lo “Oh, sì” approvo io, immaginandomi quella scena su una delle
tormentavano e lo divoravano in continuazione. Anche lei, pur poche minuscole spiagge non a pagamento del nostro bel mare
così apparentemente calma e serena, come il nome stesso por- italiano “ormai i cellulari squillano dappertutto, anche nei posti
tava a suggerire, era spesso rosa dal tarlo dell’inquietudine. più impensati: per la strada, nelle sale di attesa, sui bus, sui
Qualcosa in lei la spingeva costantemente a valicare i confini treni, allo stadio, nei negozi, nelle stazioni, ed, ahimé, talvolta
del tempo, a uscire dalle sue spire avvolgenti,. Lo spazio, poi, anche in luoghi dove la delicatezza e il buon senso dettano che
le appariva come un’armatura pesante che la appiattiva e fasti- dovrebbero essere spenti, come nelle chiese, nei teatri...”
diosamente la delimitava.
“Proprio così” continua lo zio “Ebbene, allo squillo, ecco quatLa mente le suggeriva che da qualche parte doveva esserci un “ tro o cinque persone, sdraiate vicine a me, agitarsi alla ricerca
buco nero “ che inghiottiva e divorava la dimensione dello spa- affannosa del telefonino, nascosto chissà dove tra tutte quelle
zio e del tempo, per proiettarli in una dimensione nuova, borse, asciugamani, stuoie; ma, fu un giovanotto a pronunziare
atemporale, afisica: la dimensione dello spirito. Una dimensio- il fatidico: Pronto!”
ne intessuta di luce, di serenità, di amore.
“E allora?” chiedo io “Finì lì la cosa, o no?”
Non poteva esserci altra ragionevole soluzione, altrimenti l’uo- “No” rispose lo zio “Tutti i presenti su quella spiaggia fummo
mo sarebbe stato e rimasto un “ non senso “, un figlio del caso, costretti a vivere una squallida storia d’amore, dato che il gioun’avventura senza speranza.
vane, non curante di noi, dopo quel ‘pronto’, asserì ridendo
Lo spirito di Serena rifiutava, per sua stessa natura, il disordi- trionfante “Con Giulia”, da cui tutti arguimmo che dall’altra
ne, le soluzioni senza speranza, il caos, l’aridità, il caso cieco e parte gli fosse stato chiesto: ‘Con chi sei?’
insondabile.
“Interessante” commento “si sa come sono i giovani...”
Il suo animo era, nello stesso tempo, abbagliato dalla magnifi- “E no” ribatte lo zio “perché, vedi, nessuno dei tanti presenti
cenza che palpitava viva e lucente davanti ai suoi occhi mate- voleva sapere della vita di quel giovane, ma visto che non c’era
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Il millantatore di Baldassarre Turco
(Genova)
E state 2008
nessuna Giulia in mezzo a noi, pensammo che forse la ragazza
fosse in mare a fare un bagno”.
“Beh, sì, succede tra molte coppiette di bagnanti che uno prediliga prendere il sole e il partner o la partner invece farsi delle
nuotatine...”
“Certamente” approvò lo zio “ma, sta il fatto che quel giovane
continuò a raccontare sempre con voce di vanto d’una Giulia
sdraiata accanto a lui...”
“Ho capito: quella tale Giulia invece non c’era”.
“Hai colto nel segno” dice lo zio “E non solo tutti notammo
che Giulia non era presente, ma che forse non esisteva proprio
e che evidentemente quel giovane si fosse inventato quel nome
per fare ingelosire una sua amante”.
“Beh, sì” approvo ancora “mi sembra una tattica antica”.
“Senz’altro” risponde lo zio “ma, io voglio dirti ben altro”.
“Bene” dico subito come scusandomi “parla pure”.
“Ecco: una volta tali storie d’amore, belle o squallide, le venivamo a sapere attraverso il cinema o, ultimamente, attraverso
la televisione, ora invece, a causa o grazie all’invenzione dei
telefonini, tutto il mondo è divenuto un teatro a scena aperta:
quando meno te l’aspetti, qualcuno si mette a recitare a voce
alta le sue cose al telefonino!”
“Zio” dico “come sempre devo darti ragione: è proprio come
tu affermi; ma cosa
possiamo farci?”
“Nulla” risponde “è come sempre l’altra faccia della medaglia
d’ogni cosa positiva:
al beneficio dell’invenzione dei telefonini che ci permette una
svelta e spesso
utilissima corrispondenza, dobbiamo munirci di pazienza per
dovere ascoltare
storie, purtroppo non sempre gradevoli, e di essere resi partecipi di notizie che
non vorremmo sentire da parte di chi ha il cattivo gusto di
gridare forte le sue cose al cellulare!”
“Zio Giovanni” dissi io a questo punto “posso dirti un’impressione da me spesso
avuta quando assisto a comunicazioni a voce alta che durano a
non finire, fatte con
questi benedetti, ma costosi cellulari?”
“Ti ascolto”.
“Penso che molti fingano di telefonare per darsi delle arie”.
“Credo” approvò lo zio “che senz’altro non siano pochi i maniaci di quella sorta;
però sono senz’altro convinto che siano tanti i millantatori che
approfittano del
telefonino per farci sapere di prodezze spesso inventate di sana
pianta!”
PER UNA CULTURA NON CONSUMISTICA
La pubblicazione dell’opuscolo "LE SABBIE NEL
DESERTO" di Rino Piotto va in controtendenza rispetto
ai canali di informazione dominanti nei media della società attuale. Una società che non è azzardato definire
"consumistica" ed egemone nel nostro pianeta. Si tratta
dell’egemonia di una minoranza di umanità che "consuma" le risorse del pianeta sfruttando una tecnologia avanzata senza porsi il questito di rispettare la maggioranza di
quell’umanità che vive nel terzo (o quarto) mondo.
Ma perché questo libricciolo "Le Sabbie nel deserto"
va in controtendenza?
Innanzitutto perché non si tratta propriamente di un libro edito. E’ stato stampato da una tipografia senza il prezzo di copertina e senza costi per l’autore. Sembra dire:
"gratuitamente mi è stato pubblicato e gratuitamente ve
ne faccio omaggio. Così come i suoi messaggi gratuitamente mi sono stati dati dal Creatore e gratuitamente ve
ne faccio dono".
Il libro, o meglio il racconto, trae ispirazione dai filò
invernali, durante i quali "nella grande stalla fra il calore
di tutta la famiglia umana ed anche di quella domestica"
il nonno dell’autore narrava al nipotino la sua esperienza
nella guerra di Libia. Una cosa orribile accaduta nel 191112 ad un pacifico contadino, che viveva nel verde della
campagna di Fontaniva fra l’abbondanza di acque del
Brenta, brutalmente mandato (perché così gli è stato comandato contro la sua coscienza) a combattere nel deserto.
Oltre ai prevalenti valori della famiglia, del saper ascoltare, del ruolo del nonno che oggigiorno va recuperato,
della creatività "del bambino che è sempre in noi", della
"fede che salva" l’uomo, soprattutto nei momenti più
drammatici della sua vita, questo racconto lancia frecciate
stringate e pungenti al dilagante consumismo che ci rende schiavi del cosiddetto "benessere".
Eccone qualche spaccato: "Mi ritengo fortunato per
avere avuto un nonno che, raccontandomi la sua storia
vera, storia di guerra, di sacrifici e di fame, mi ha regalato
quei semi che, stimolando la mia creatività, hanno fatto
germogliare i miei sogni".
"Purtroppo i bambini di oggi si ritrovano spesso con
nonni moderni e vinti da quel consumismo che dissolve
in fretta gli innaturali capricci dei nipotini prigionieri nelle bancherelle degli altrui desideri; nonni che comprano
per loro ciò che appare necessario, indispensabile, inevitabile, ma che si rivela subito dopo superfluo, vano, vuoto, da buttare. Beni materiali privi di certezze, imbevuti
dalla pubblicità dell’usa e getta. Vacua apparenza che non
nutre, ma distrugge il bambino (ed il suo mondo creativo) per farne un precoce consumatore di massa".
Ed ancora: "Il deserto è il luogo della purificazione dalle distrazioni esterne per scoprire le proprie risorse interiori, la propria originalità ed unicità, il proprio mondo
troppe volte dimenticato". "E’ il luogo ideale e più naturale per ritrovare se stessi, la fiducia nei propri talenti più
autentici oscurati dai media, l’autostima e la creatività del
bambino che è sempre in noi, anche se demoni immondi
lo vorrebbero soffocare".
- 45 -
I l S alotto degli A utori
ANDARE
di Gianclaudio VASSAROTTO
(Lombriasco)
Lasciare i tumulti del tempo,
le sorde gelate corse dell’Io
e andare dove il mondo
è una foresta di ulivo,
dove libera vola
la colomba dello Spirito.
Dove, al suono dell’arpa incantata,
danzano le perle dell’amore
e i silenzi, le voci luminose
s’innalzano tra gli arcobaleni del sole.
Andare dove non impera più
il delirio della materia
e il vampiro del secolo
non succhia il sangue dei miseri.
Andare dove l’ostia sacra del pane
si spezza per tutti i viventi,
dove spariscono i funebri sguardi
e pura, gioiosa canta
la vita.
Andare dove la rugiada dell’incanto
stilla in tutte le anime,
dove il fiume dolce della poesia
irriga tutti gli istanti.
Andare dove i fumi e le nebbie
non appaiono più sul cammino del
cuore.
dove nell’Eden del mondo
sboccia il giglio dell’orazione.
TRIANGOLO
di Annamaria VEZIO (FI)
RISERVA
di Franca MARIANNI
(Novara)
Attorno a una riserva di nidi,
immobili come frecce
stanche di scoccare –
la sua stessa stanchezza –
di più si fa somigliante
(fino a quando?)
quella soffice immagine
d’infanzia
sorpresa a dondolare
su rami spogli
dallo schermo di vetri
fioriti a stelle di ghiaccio.
Allora era questo
il segno d’esistere indenni
al riparo del nido
tra volute di fumo
e le sue esterne versioni –
forma forse non lieta
ma plausibile,
come slancio bambino di volo
oltre i confini.
Guardo un film alla tivvù
il triangolo è evidente,
per far spazio
all’uomo pazzo
che d’un’altra si innamora,
muore una figura,
di certo ingombra
Io mi chiedo, se l’amore
è davvero un folle gesto,
o più semplicemente
un desiderio sano
di una vita vista in due
fra gli abbracci ed i sorrisi,
perché il sole scalda i corpi
senza fare un’ombra sola
che insieme son più forti
d’ogni cielo illuminato
Ché è sta’ storia
che per stare bene insieme
devi uccidere la moglie
o il marito che frappone
tra te e l’innamorato
un corpo disamato
Se proprio Cupido sbaglia
e le frecce sue scompiglia
colpendo te e lei
e un’altra lei ancora
che bisogno c’è
di darle il sonno antico
e perenne della morte
Sant’Iddio,
dille ch’è finita
e con l’altra vai a nozze!
LA PRIMAVERA
di Giancarlo PETRELLA (Roma)
MARIA, MARIA
di Anna PRESUTTI (Sulmona - AQ)
Hilary metro armonioso dai crini,
effluvio soave di cure, dei venti
quiete, fremiti vezzosi di fini
steli, miri con occhi divi attenti.
rit. Maria sei luce, sei pace
dei cuor, avvolgi i tuoi figli
con dolcezza e amor
Tu madre del mondo sei
l’esempio vivente di chi ha
creduto nella grandezza del Signor
rit. ..................................................
Tu stella dei cieli
inondi di luce chi in te
si rifugia e in te ha fiducia
rit. ..................................................
Tu con grazia divina ascolti
e sostieni i figli tuoi afflitti
da ogni dolor...
rit. ..................................................
Nei verzieri di achillee, di alti pini
gentili, che davano ombre presenti,
penseri ne l’etra gian repentini:
i corsi del tempo avaro son lenti.
Hilary parli con detti dei cieli
e d’amore. Ti veggio ed amo i segni
che crei nel tuo andar, mentre con i veli
de la fortunata veste disegni
infiniti arcani vezzi, li steli
de li astri divengon laidi ed indegni.
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E state 2008
LE RECENSIONI DI...
MARIA GRAZIA CAPONNETTO
M. FRANCESCA CHERUBINI
te “humanitas” a tutto tondo ed è in siffatto modo che
esse giungono a sfiorare, anche con il soffio più lieve della
sua Voce di Poeta, persino i più ascosi punti del nostro
cuore, facendo avvertire l’Autrice come un nostro “Alter
Ego”, come parte integrante del nostro stesso “Io”.
La purezza divina dei suoi versi è “ sorriso dell’anima “
è “ musica del cuore” che scivola rapida come fulgido
ruscello che riesce a trascinare via le brutture del mondo e a fugare le sofferenze della vita, fino al
raggiungimento della “ Catarsi “, della “ Purificazione
interiore”. Vi è, infatti, nelle sue parole un che di angelico, di splendore aurorale, di luce primordiale;
alcune rare volte anche un che di semplice, ma che altro
non è che “ semplicità dell’inaudita grandezza e dell’immenso”. Il “Grande” si manifesta spesso tramite la
“parvenza del semplice”.
Le liriche dell’Artista Tina Piccolo sono “uniche” perché
rispecchiano l’impeto generoso e passionale del suo cuore
“ unico”. Nelle poesie di questa grande poetessa ritroviamo l’amore che alberga nel suo animo fin dalla nascita: Amore che è nato con lei quale dono concesso da Dio,
come tocco delle sua dita divine.
Lei stessa è infatti “ Amore”.
Ed è “Amore” perché nel suo animo da sempre vibra e si
manifesta appunto, lo sfavillìo di un’incommensurabile
scintilla dell’ “Amore di Dio”.
Amore verso tutto e verso tutti.
Amore per il Creato e per gli esseri umani.
Amore per tutto ciò che esiste.
Il segreto, il mistero, la magia, lo stregante fascino che
attrae e seduce di questa eccezionale Artista. Tina Piccolo, sono dunque qui… racchiusi nella “semplice – immensa” parola … “ Amore”.
Senza tema di cadere in errore, ritengo che l’Arte di Tina
Piccolo, raggiunga vertici talmente alti e ineguagliabili
da far configurare questa somma Artista quale massima voce poetica dell’orizzonte letterario del nostro territorio nazionale; ritengo altresì che ella rappresenti una
delle vette poetiche di maggior spicco sia in campo Europeo che Internazionale.
LA MAGIA DELLA POESIA
DI TINA PICCOLO
L’ARTISTA ROBERTO DI ROBERTO
GIOVANNI ALLEVI - LA MUSICA IN TESTA
Giovanni Allevi pianista, compositore e filosofo “timido” dei nostri giorni, ha inciso quattro raccolte di sue
composizioni per solo pianoforte: “13 Dita” (1997),
“Composizioni” (2003), “No Concept” (2005) e “Joy”
(2006) che hanno raggiunto strepitosi successi con oltre
250.000 copie vendute. Le sue tournée, in giro per il mondo, registrano il tutto esaurito.
Allevi incontra il pianoforte in tenera età. In casa sua c’è
un Bachstein ma non può toccarlo perché è riservato
esclusivamente alla sorella maggiore. Un giorno supera
il divieto e il “suo appuntamento quotidiano con la trasgressione” lo porta ad incontrare la musica, o meglio la “Strega capricciosa”, come lui ama definirla. Tale “Strega” gli
permette di dar voce ed espressione al suo mondo interiore, “monopolizza” la sua vita e lo impegna con “dedizione assoluta”. Si sa, “non si raggiungono mai grandi risultati se non si soffre un po’”.
La sua musica contemporanea ha riferimenti a stilemi
classici e lo porta a “sorvolare più volte gli oceani, a sfidare i
giudizi e le delusioni, ad avere la forza di non dare nulla per
scontato e a credere nei sogni e nelle idee”.
Durante i suoi concerti è solito intrattenere gli spettatori
raccontando le cause, l’iter e i sentimenti che stanno dietro alle sue composizioni. Oggi, i ricordi e gli aneddoti,
convergono nel libro “La musica in testa” in cui Allevi
parla di sé e della sua carriera professionale coinvolgendo i lettori con idee e sentimenti e trasmettendo l’amore
profondo per la musica.
Il testo non è un’autobiografia ma una “cura per lenire
l’ansia” esprimendo che “non bisogna mai aver paura di
rompere le regole se è il nostro cuore a chiederlo. Mai temere di
destabilizzare un sistema: è nella sua natura la necessità di
cambiare ma soprattutto bisogna sempre trovare il coraggio di
esporsi, di osare, di mettersi in gioco: è un dovere dell’artista”.
Vita e filosofia parlano al cuore di tutti.
Il lirismo di questa grandissima poetessa sgorga potente e naturale dai più riposti meandri della sua immensa
anima. L’ultimo libro delle creazioni dell’Artista ci viene presentato insieme alle Poesie del Poeta napoletano
Roberto Di Roberto ed ha per titolo:
“Me piace ammore – Poesie in napoletano e in lingua”.
Il testo della inimitabile Artista Tina Piccolo si presenta
a noi, anche questa volta, con liriche di altissima qualità
e musicalità e di incredibile scorrevolezza.
Poesie che profumano di innocenza e fulgida purezza
che emanano profonda spiritualità,
ma parimenti toccano tutte le infinite sfaccettature dell’esistenza (anche negative) e tutte le corde dei sentimenti umani più profondi. Le creazioni di questa strepitosa e incredibile Artista sono pervase da stupefacen-
Autentica voce napoletana, schietta, genuina, immediata, dalle accese e bellissime coloriture tipicamente
partenopee.
Il lirismo, autenticamente sentito e vissuto da questo
Artista, sgorga con grande spontaneità dai suoi versi,
mescolandosi a peculiari immagini di vita campana,
ricche di fascino e di suggestione.
Lo splendore della lingua napoletana, ricchissima già in
se’ stessa di espressioni dalle tinte forti, smaglianti,
suasive e magnetiche, si rinvigorisce e si avvalora, accentuando così la sua seduzione e malìa, tramite l’abilissima penna di questo “verace” poeta partenopeo che
sa cogliere con sottile acume e destrezza, vicende e sentimenti che rivelano il genuino “vigore e sentire napole-
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I l S alotto degli A utori
tano” attraendo fortemente, in tal modo, il lettore.
Molte sue liriche sono “liriche d’amore”: un amore molto delicato, soffuso e gentile e nello stesso tempo velato
da sottile amarezza scaturente dalle circostanze che
spesso, purtroppo, la vita impone.
Un amore cantato con dolcezza e nello stesso tempo con
malinconia, come si conviene ad un vero ed autentico
Poeta. Un bell’esempio di questa tipologia può essere
costituito dalle seguenti poesie: In “Vommero sulitario”
il poeta dice: “Cu ’e mmane dint’ ’e mmane / e ’o ffuoco
c’abbruciava dint’ ’e vvène, / vulava ’o tiempo e se faceva tarde, /
affatturate ’a sta passione ardente…. / È mezzanotte, mamma sta’
mpenziero. / Famme saglì, num me fa fà cchiù tarde. / E i’ te
lassavo, ammore mio carnale, / purtànneme ’int’ ’e panne e dint’ ’o
core / ’o prufumo che tu tenive ncuollo. / E cchello me faceva
cumpagnia / strata facenno, mentre riturnavo, / cuntento e malinconico, /- casa addò nun ce truvavo a tte”
Molto profondi e malinconici sono anche i versi della
poesia “L’Anema mia”: “Ce si’ turnata, ncopp’ ’a stessa strata
/ sulagna e cchiena d’albere spugliate, / addò sti core nuoste,
cammenanno / facevano unu core”… “Chesti llacreme asciute ’a
dint’ ’o core / me diceno ca si’ rimasta sola: / E invece no, nun t’hê
’a senti maie sola: / ll’anema mia stà sempe affianco a tte”.
Il Poemetto “O Signurino” è invece un vero bozzetto
napoletano in cui spicca tutto l’incanto della lingua
partenopea. In esso si parla della ragazza “Mmaculata”
della quale era innamorato (“faceva ll’uocchio ’e trèglia”)
il Signurino, cioè un nobile altolocato, istruito, ben vestito (“culletto ’a diplomatico e ’o gilè scozzese, ultima
moda, e ’o bastoncino”) che però aveva una sposina.
Ma alla madre Mariannina diceva: “Non v’arrabbiate,
chè la signorina, se vedovo sarò, la sposo apposta”. Lo
diceva per scherzo, questo è certo, ma a volte il destino
ha più fantasia di noi e la sposina, dando alla luce un
bimbo, morì e lo lasciò vedovo. E il Signorino tenne fede
alla sua promessa: e passato un anno sposò Mmaculata.
Molto toccante è anche la lirica “Figlia ’a nisciuno”. È
una storia dell’Ottocento in cui si parla di tormenti interiori passati da una ragazza-madre prima di decidersi a lasciare la sua creatura “dint’ ’a rota d’ ’a Nunziata e
sparette ‘int’ ’o niro d’ ’a nuttata” Lasciò la sua creatura
alle suore di clausura e sparì nella nera nottata.
Notevoli sono anche le poesie “Comm’era bella”,
“Chiove!”, “L’ora d’ ’a cuntrora”.
La lirica “Primmavera” è al suo inizio descrittiva e illustra quindi tutto l’incanto della primavera che torna
portando la sua dolce aria, il cielo chiaro, il suono delle
campane, il volo delle rondini. Ma la strofa di chiusura
di questa poesia è davvero di grande sentimento.”E
comme ’a Primmavera è nenna mia: / sempre cu na viuletta int’ ’e
capille / e ’o pizzo a rriso ca m’allarga ’o core. / Ah ! Nun sia maie,
nu juorno me lassasse ! / ’A Primmavera nun turnasse cchiù / e
sarrìa sempre notte attuorno a mme !”
Segue la singolare poesia “Vase e carocchie” in cui si
parla di gelosia e il poeta la termina con questi versi
molto toccanti:
“Ll’ammore chesto vò: vase e carocchie / e ce pò fà lassà surtanto
‘a Morte”. Nella poesia “Comm’à Ddoie Gocce” l’Artista
immagina che lui e la sua amata siano come gocce d’acqua che scivolano sui vetri durante una tempesta e dice:
<< Ddoie gocce mo se so’ ncuntrate / e se so’ fuse nzieme
/comme nuie ce ‘ncuntraìmo / p’addeventà na goccia
sulamente”. Sono frasi d’amore dettate dal cuore e che
rivelano un grande sentire interiore. Vi sono poi dei veri
e godibilissimi bozzetti partenopei che solo un verace
animo napoletano riesce a descrivere in tutta la loro
veridicità mescolata a malinconia della vita, come ad
esempio “ ’O stesso mestiere”, “ ’O Sabato ’e na vota”,
“Na vecchia e tre canille”, “ ’O Filosofo nzurato”.
Nella poesia “Nu cunziglio” l’Artista offre il suo consiglio a chi pone tanti fiori sulle tombe dei parenti morti.
“Sentite a mme” egli dice “E’ bello chistu gesto, / ma
inutile” …. “Iate a truvà nu povero malato / dint’ ‘o
spitale, o meglio nu pezzente / dint’ a nu vascio stritto e
sgarrupato / addò se more ogne ora mmiez’ ‘e stiente”…
“‘E muorte - embè, comme ve l’aggia di’ - / nun vonno
scucciature, ma durmì!”
L’Artista Roberto Di Roberto, a mio avviso, non è il solito poeta che scrive solo vicende o bozzetti tipicamente
napoletani, ma il suo profondo sentire, sa parlare, in
modo assai raffinato e seducente, di amore e di vita e di
morte al lettore che lo ascolta con emozione e pieno di
coinvolgimento. Al suo parlare poetico, è sottesa, infatti, tutta la complessità della vita e della morte che egli sa
tratteggiare con estrema delicatezza e levità, presentandosi così a chi lo ascolta, non solo come notevolissimo Artista, ma anche e soprattutto come profondo e
grande Filosofo della esistenza. Non ho avuto il piacere
di conoscere personalmente l’Artista Roberto Di Roberto, ma conosco le sue bellissime Poesie e tramite la lettura di esse posso affermare con sicurezza che egli è un
vero grande Artista, in altre parole, come diremmo noi,
“Un autentico Poeta di razza”.
CRISTINA CONTILLI
FRAMMENTI DI VITA raccolta di racconti di
Mariateresa BIASION MARTINELLI - Carta e
Penna Editore, 2008, pp. 115, euro 15.00.
La scrittrice torinese Mariateresa Biasion Martinelli, finora conosciuta per le sue pubblicazioni nell’ambito della poesia, si presenta questa volta ai lettori con un
corposo libro di racconti, intitolato “Frammenti di vita”
e pubblicato dalle edizioni Carta e Penna di Torino, in
quanto vincitore del premio letterario internazionale
Prader Willi, quarta edizione (la sindrome di Prader
Willi è una malattia genetica rara e il premio organizzato annualmente da Carta e Penna intende
sensibilizzare le persone su questa malattia ancora poco
conosciuta).
Il volume costituisce un interessante sperimento
stilistico, perché, come spiega la stessa Biasion, nell’introduzione: “la narrativa rappresenta per me una sorta di esperimento, un tentativo di raccontare, in prosa,
ciò che la poesia, per stile e carattere, non può contenere.
Ogni mio scritto sia esso un racconto, l’itinerario di un
viaggio, un ricordo vissuto o sentito da altri, contiene
una parte di me, ed è questo il mio limite ed anche un po’
la mia forza interiore, sia positiva, o negativa, per quanto riguarda lo stile ed i contenuti: non riuscire ad essere
distaccata dalla narrazione, neppure se si tratta della
cronaca di un avvenimento, di una favola inventata, di
una storia che non è mai accaduta. Sempre, ed in ogni
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caso, spunta, qua e là, un cenno autobiografico, un luogo
del cuore, un sentimento, un’ispirazione tratta dal mio
vissuto, dai ricordi… dalla mia anima, insomma.”
Il libro è diviso in sei sezioni, intitolate rispettivamente:
“Celeste, Anna e le altre”, “I miei gatti”, “Favole”, “Altre
storie”, “Fra cronaca e storia (i luoghi della vita)”, “Lettere”.
Tra le varie sezioni le più riuscite mi sembrano la prima, che contiene una serie di racconti ambientati tra gli
anni ’20 e la seconda guerra mondiale (che la Biasion ha
scritto attingendo alle esperienze e ai racconti della nonna) e la quinta, che contiene la descrizione dei luoghi
dell’infanzia dell’autrice e in particolare del suo paese
d’origine e delle sue amate montagne del Trentino.
Il libro è stato dedicato dall’autrice alla nonna (la donna
ritratta nella copertina del libro in una foto in bianco e
nero): “una donna speciale, che mi ha insegnato ad amare
la lettura e la scrittura, guidando i miei piccoli passi
verso la passione per i libri, la mia dolce nonna materna
dal nome insolito come lei: Alceste”.
GIUSEPPE DELL’ANNA
IL RIO RACCONTA UNA STORIA DEL ‘600 - Romanzo di Donatella Garitta Saracino - NEOS Edizioni - €
11,00.
Il RIO RACCONTA è un romanzo alquanto avvincente
ambientato nel 1600, con basi storiche certe con le quali
l’autrice ha voluto tesserne le fondamenta, fondamenta
frutto di una appassionata ricerca storica dalla quale se
ne apprende la profonda drammaticità degli eventi,
quali: le guerre tra la Francia e la Savoia, alternate da
deboli alleanze; la peste a Torino e in altre parti d’Italia
nel 1630; l’assedio di Torino, nel 1640, da parte di Spagnoli e Francesi alla conquista del Piemonte…
La vita di un giovane protagonista del romanzo,
Sebastiano Barbero, si interseca nelle vicende storiche
con sequenze che ripropongono i drammi dell’Epoca
dove il personaggio, con il suo talento ed il suo valore,
affronta le insidie della peste, dei briganti, della battaglia contro i Francesi sul Monte dei Cappuccini e nella
stessa Torino dove rimase ferito alla gamba destra. Gli
amori che Sebastiano incontra sul suo cammino sono
connotati da forte passionalità ma, rimangono anch’essi, permeati da quella instabilità, inquietudine e
precarietà che avvolgono il tempo storico di riferimento, fatto di intrighi nei Palazzi, di instabilità regnante,
di miseria, di storie individuali intrise di maltrattamenti
e inganni, ma anche di nobiltà, così come appare la figura francese del caporale Berger che, dopo l’assedio di
Torino, passando in rassegna i feriti, celerà per sempre
nel cuore uno struggente segreto, per salvaguardare la
vita del figlio mai conosciuto.
Il “Rio Racconta” si suddivide in due parti: nella prima
parte si sviluppa il romanzo sulle basi storiche dell’Epoca, mentre nella seconda parte si sviluppa una documentazione storica molto precisa che fornisce al lettore
un aiuto concreto nel ritrovare i giusti riferimenti epocali
ed ambientali, in un contesto storico dove i grandi Regni di Francia e Spagna cercarono ripetutamente di contendersi il Piemonte governato dalla Casa Savoia che
annoverò Duchi che, con compromessi e battaglie, sbar-
rarono costantemente l’occupazione delle principali forze militari europee. Inoltre il buon governo di alcuni
tra i duchi di Casa Savoia permise lo sviluppo sociale
della vita di quell’epoca con interventi di tipo economico, come l’abbassamento del valore della lira d’argento,
operata da Vittorio Amedeo, mirante a ristabilire i giusti equilibri monetari che si erano impennati con l’avvento della peste; inoltre interventi sulle norme riguardanti le varie mansioni di arti e mestieri, sulla suddivisione dell’esercito e su molte altre norme riguardanti
l’amministrazione statale e della giustizia, norme che
certamente apriranno la strada verso i nostri tempi
moderni.
Complimenti a Donatella Garitta per il grande lavoro di
recupero storico, attraverso il quale, l’autrice sviluppa
il suo romanzo offrendo al lettore effetti scenici di forte
intensità emotiva e visiva che, meritatamente, appassionano la lettura fino al termine del libro.
CINTHIA DE LUCA
“UOMINI
E
DONNE
SOLI”
DI
GIANFRANCO GREMO - Carta e Penna Editore Gianfranco Gremo nasce a Torino il 17 Ottobre 1947.
Appassionato alla letteratura fin da ragazzo, ed in particolari ai racconti, ottiene ottimi risultati in concorsi
nazionali ed internazionali. Accanto al crescente impegno come scrittore - pubblica infatti una Guida sulla
Francia - nasce una passione altrettanto sentita per la
Fotografia e, più tardi, per il Teatro, che gli regala grandi
soddisfazioni; la sua commedia a sfondo psicologico
“Nostalgia per il presente” va in scena il 21 Ottobre
2006 al Teatro di Caselette e promette in futuro numerose repliche.
Il volume che Gianfranco Gremo ci propone “Uomini e
donne soli”(Carte e Penna Editore) si rivela molto interessante, quasi sorprendente con la sua analisi profonda e disincantata della realtà. Siamo tutti uomini e donne soli, in una società che ci divora, uccidendo i sogni,
impedendo di metterci a confronto con la parte più profonda di noi stessi. Il messaggio ci giunge chiaramente
da questo autore profondo e poliedrico e attraverso un
linguaggio colto ed attuale, con uno stile chiaro e preciso, egli delinea mirabilmente ritratti di vite vissute solo
parzialmente, a causa di un destino poco generoso, sofferte fino in fondo, esistenze mai banali, ma giocate sulle
note della solitudine, che ora è rassegnazione, ora reazione. Ogni essere umano, e qualcuno più di altri, porta
dentro di sé una propria personale solitudine, intessuta
in silenzio, come filo dal colore inconfondibile, nella trama della vita. Non è facile “captare” questo silenzio,
comprenderlo, raccontarlo con tanta lucidità, nei suoi
aspetti più reconditi ed imprevedibili, con sensibilità e
capacità di cogliere le più sottili sfumature, ma
Gianfranco Gremo “percorre mille vite”, vivendone fino
in fondo ciascuna…
L’esistenza senza luce di Valerio, celata dietro una perpetua rappresentazione teatrale, per non avere il coraggio di guardare il proprio volto, disprezzato, allo specchio, strumento di verità, che inevitabilmente gli riman-
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I l S alotto degli A utori
derebbe crudamente un’immagine mai accettata…
La bimbetta dai capelli castani, prigioniera di un abisso
di indifferenza, che si accontenta, per sopravvivere, di
briciole d’affetto a basso prezzo, trangugiate tra un orfanotrofio e l’altro, prima di giungere in un nido “meno
peggiore” degli altri, in cui c’è anche una torta di compleanno, anche se di legno…la bimbetta infelice che un
giorno tutto il mondo avrebbe conosciuto come Marylin
Monroe… perché la solitudine, come un male invisibile
ed imparziale, non risparmia nessuno, ma segna in
modo indelebile.
E’ emblematica la storia di Sergio, che salva per lavoro,
per passione, dal suicidio i suoi simili infelici, uomini
soli, la cui coscienza offuscata in un momento di disperazione, conduce al desiderio di porre fine alla propria
interiore agonia… e lui è lì, a lenire quelle sofferenze
indicibili, a tendere una mano, a salvare… ma poi è la
sua coscienza, quella di Sergio, a dilatarsi improvvisamente a dismisura, fino ad intuire la verità, la realtà
della vita senza scampo, che ci attanaglia, che lo
attanaglia, fino a fargli compiere quell’ultimo, estremo
atto liberatorio…
E ancora la vicenda di Marcella, che si rifiuta di vivere, isolandosi
dal mondo, ibernandosi in un guscio di “cristallo”, da cui non c’è
via d’uscita… nascondersi per non affrontare una realtà che fa
paura, per non rischiare la delusione, il rifiuto (I giorni passavano, rigidi, uguali, perfettamente calibrati nella loro ferrea organizzazione. Non si po’ tuttavia vivere così, come
automi, anche s e la paura è grande.)
E Marcella, prigioniera di una solitudine senza speranza, sceglie ancora la vita, con tutte le sue attrattive, i
suoi richiami, i suoi rischi; è la vita a chiamarla ancora
una volta e Marcella risponde.
E molto bello, per chiudere la panoramica dei racconti, è
l’accenno al bimbetto, innocente ed infelice, che la madre non riesce ad amare, a cui ella si rivolge con tono
impaziente ed irato, quasi fosse colpevole di essere al
mondo ed in cui l’autore rivede un altro bimbetto, lontano nel tempo e nello spazio, che porterà sempre dentro di sé, carico ancora di un fardello difficile da deporre,
impossibile da dimenticare… E’ il bimbo non cresciuto,
sofferente, ignorato, che resta dentro di noi, uomini e
donne soli di domani, a condizionare delle vite “con rabbie e livori non risolti”.
Il resto del libro, di profondo interesse letterario ed artistico, il lettore lo scoprirà da sé, pagina dopo pagina…
PURCHÈ NASCA QUALCOSA di Giovanni
TAVCAR
nei riguardi della figura di un Dio Padre, ma paradossalmente distante ed è una distanza, arcaica e futura,
che non riesce in nessun modo ad essere colmata.
Resta l’indubbio valore di questa ricerca esistenziale, effettuata con umani, effimeri passi, nella quale ciascuno o
perlomeno molto noi possono identificarsi sullo sfondo
di un tempo / fato, che scorre indifferente ed imperturbabile, giorno dopo giorno senza risposte, trascinando
con sé in un ingannevole turbine sogni ed umane illusioni che solo la Fede, seppure sofferta e tormentata, può
placare.
La Fede non muore mai, non può morire nel percorso
così prezioso di questo sensibile poeta, e le domande
per cui non v’è risposta costituiscono certamente non un
abbandono di essa, ma una sete mai saziata di figlio, un
desiderio profondo ed imperituro di lasciarsi comunque
e sempre catturare dalla mano di Dio.
Ciò si può chiaramente dedurre dalla dedica di apertura del
libro “Nulla è fuori / dalla mia coscienza, / né l’universo
/ né Dio”, frase che può essere senz’altro considerata riassuntiva di tutto l’iter esistenziale dell’autore ed espressione della
sua stessa essenza.
Ed il fascino più profondo di quest’opera consiste poi nell’essere Vangelo vivo, forte, senza ipocrisie, senza formalismi; nel
porsi autenticamente nel suo sentire, senza timori e con profonda convinzione, per cui al raro e indiscutibile valore poetico
si aggiunge un valore di testimonianza, che fa di Tavcar quasi
un “profeta del moderno” in un mondo torturato dalla sofferenza e soffocato nella confusione. ( Il profeta… è colui che
scruta attento / il presente / e lo confronta con la parola /
di Dio / che è l’unico e vero futuro / del mondo ).
Il poeta-profeta non si stanca di annunziare al mondo la tenerezza, la bontà di Dio ( La tenerezza / è l’atteggiamento / di
Dio / verso la sua creatura…); la Pace vera non come imposizione, ma come atto d’Amore, seme che porterà frutto; la
Speranza attraverso la convinzione che nella vita, e soprattutto nela vita del cristiano, nulla è per sempre e tutto può essere
trasformato e sanato, nell’ottica del Regno di Dio, che non è
rassegnazione, ma fiducia nell’ amore del Padre, che fluisce
risanando; e non si stanca di annunziare l’Uomo stesso, la cui
dignità egli non cessa mai di sottolineare ( senza / la presenza dell’uomo / nel creato / neppure Dio / avrebbe una
voce ) e la cui povertà ed emarginazione non è disgusto agli
occhi di Giovanni Tavcar, ma ricchezza, come lo è agli occhi
immensi di Dio.
È dunque un poeta-profeta coraggioso, inesorabile, che
grida il suo scandalo, il suo orrore di giusto contro la
guerra, la forza, la violenza, contro ogni sorta di sopraffazione, baluardo nei secoli dell’ umana potenza; nella
realtà segno definitivo e vergognoso dei sconfitta dell’uomo.
Concludo con un commento alla bellissima lirica “ Purché nasca qualcosa” che dà il nome all’intero volume:
Dio è un seminatore folle, generoso, pronto a sprecare
tutta la semente possibile, pronto all’incontro con l’umano senza riserve, purché nasca qualcosa; ed è questa
fertile, generosa semente che Giovanni Tavcar raccoglie, andando per le strade del mondo, le strade di Dio, e
diffonde con amore, con profondo amore. Un libro prezioso dunque, assolutamente da non perdere.
Stupenda e particolarmente avvolgente è l’opera del
grande poeta trilingue, narratore e saggista, Giovanni
Tavcar, dal cui complesso mondo interiore traspare una
visione esistenziale ed un intenso sentire poetico.
Una poesia profondissima, impalpabile e nello stesso
tempo molto forte, che scava nelle coscienze.
Si nota un innegabile contrasto tra la sua fede, meravigliosa, autentica, vissuta e la visione di un’esistenza immutabile ed in qualche modo “perduta”; assolutamente disincantata e sofferta ( Dov’è il Tuo Regno, o Signore? / Perché continua a non venire? / Perché tutte queste spietate guerre, tutti / questi
morti innocentii, / tutte queste orribili torture? )
Sorgono interrogatori enormi, trascendenti, irrisolvibili
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E state 2008
ALDO DI GIOIA
ALICE…E LE TUE MERAVIGLIE? di Albertina
ZAGAMI Carta e Penna Editore
Mi auguro una notte, di visitare “i sogni e gli incubi notturni” di Albertina Zagami, per farla svegliare con una
fragorosa risata liberatoria.
Forse, svegliandosi di soprassalto, mi manderà a quel
paese, ma sarà tutto a fin di bene e perché no, magari
spunto per un suo racconto “strano”.
Per altro, dalla conoscenza diretta non avremmo potuto
asserire che Albertina Zagami, l’Autrice di “Alice … e le
tue meraviglie?”, fosse avvolta da questi malinconici
pensieri fin dall’”Alba”.
Lei, presidio “Slow Food” per Carta e Penna ed il Salotto degli Autori nella prestigiosa cornice del Circolo dei
Lettori di via Bogino, a Torino, vorrebbe essere invisibile, e raccontarci storie restando dietro un muro di “nebbia pallida”.
E’ soprattutto scrittrice da fiaba, e lo evidenzia già nella
quarta di copertina con il suo “piccina”, per rimarcarlo in
diverse composizioni, “ho allungato la mano per sfiorare/
il mantello dell’arcobaleno”, o ancora: “nubi di zucchero
filato/ si consumano/ nella penombra del tramonto”.
Ci spiace dover rimarcare questa sua vena così pessimista, a volte quasi autolesionista delle sue poesie, tanto
da desiderare di annullarsi nel vento per essere lì sepolta, così in contrapposizione al suo mondo di filastrocche
e fiabe che ce la fanno apparire così eterea, (anche per
costituzione) e spensierata.
Questo concetto è ben espresso dall’Autrice che, avvolta
nel suo “Scialle rosso” e assillata da dubbi amletici cita:
“Quando il sole si addormenta/ vorrei correre con il fiume/ nell’eterno conflitto/ di luce e di ombra,/ all’infinito”.
Come già detto, il suo mondo incantato ritorna anche
nelle sue odi per rimarcare però, con passaggi di lirica
bellezza (“Ultimi giochi di sole/ creano ombre cinesi/ sui
muri accaldati e stanchi), il suo voler essere invisibile “Il
cuore trema/ e si rannicchia per non farsi sentire”.
Vorremmo rilevare, in una nota che per un attimo stemperi la pressione di questo cielo grigio, che nella poesia
“Pioggia”, il concetto “la pioggia si confonde/ con le lacrime” è stato anche espresso da Fabrizio De Andrè: “C’è
anche chi aspetta la pioggia/ per non piangere da solo”.
Quindi l’Autrice è in buona compagnia, resta il dubbio,
che si aggiunge a quelli di Albertina, di sapere chi avrà
l’imprimatur della primogenitura.
E non se ne dolga la poetessa, anche in presenza di questo testo molto amaro, a cominciare dalla bella immagine di copertina, noi, abbiamo colto il suo profumo.
IL RIO RACCONTA di Donatella GARITTA Neos Edizioni (Dicembre 2007)
da lungo tempo, con meticolosa preparazione, prova ne
siano le sue “Note” e la sua pressante e puntigliosa “Cronologia” e “Bibliografia”, oltreché la parte di ricerca storica “Che cosa accadde in Piemonte nel 1600?” che fa da
corollario al romanzo.
Alla fine con la Neos Edizioni, ha stappato la sua bottiglia di “Barolo”, invecchiato col tempo nella cantina del
suo cuore dove sono stati smussati gli angoli per esaltarne la rotondità del sapore.
De visu, non avremmo potuto affermare che l’Autrice
era già presente sul territorio nel 1630, ci pareva, bocciolo di rosa nel mese di maggio, ma tant’è, questo ci rivela
già dalle prime descrizioni di quegli anni, appunto.
Fin dai primi vagiti il nuovo nato ci è apparso tenace e
puntiglioso, “il canale, snodandosi per più di settecento
trabucchi, era il simbolo della tenacia dei paesani che,
lottando caparbiamente, erano riusciti a ottener ragione
sui paesi vicini”.
La sua determinazione ci è subito riproposta in un passaggio cruciale del libro, che tiene vivo il racconto:
Sebastiano, “svegliatosi alla frescura della sera, sconvolto per la perdita della famiglia e della casa, si ripromise
di non arrendersi”.
Da qui in poi il racconto è pressante ed elaborato e trova
spunti anche per riflessioni puntigliose, belle
contrapposizioni, attimi devoluti agli affetti parentali: “e
la vista di una corona del rosario lo fece trasalire: era
quella di sua madre, i grani di legno li aveva intagliati
lui” e, “il magone gli strinse la gola, gli occhi gli si riempirono di lacrime; la rabbia s’impossessò di lui come la
marea montante s’impossessa della spiaggia”.
L’Autrice, nel racconto ci regala anche delicatezze: “il
pallido incarnato del volto, incorniciato dai capelli setosi”
o “la bellezza di quella donna dal profilo di cammeo”,
ma ci viene da dubitare che per l’antica dottrina della
metempsicosi, in un’altra vita sia già stata additata per
stregoneria: “cercando di dare sollievo al malato, i dottori avevano somministrato diverse bevande medicinali
preparate con la polvere di perle tritate, i fiori di borragine
e di croco con l’aggiunta di miele di castagno e vino consacrato”. Ed è sull’onda di parole dette e non dette, sul
lasciare intuire cose a seconda della fantasia e della sensibilità del lettore, che Donatella Garitta ci prende per
mano e ci accompagna nel gossip che ha resistito nel tempo fino ai giorni nostri: “Non bisogna dimenticare che la
moglie è francese, forse sarà possibile qualche alleanza
con i cugini d’oltralpe, ma…chi lo sa…? L’umore dei Savoia è mutevole”. Notevole è anche l’abilità della Scrittrice di attrarre la curiosità del lettore, portandolo a spasso
per i capitoli del suo libro, senza svelargli fino all’ultimo
l’arcano: “aveva notato, buttati sotto un portico, sopra
uno dei carri del fieno, alcuni sacchi e, non visto, ne aveva aperto uno: conteneva grano; deluso ne aprì un altro,
uno degli ultimi, ben pigiato tra gli altri e sorrise: aveva
trovato quello che cercava”.
Ora, non chiedeteci cosa stava cercando Sebastiano (il
protagonista), sarebbe come svelare un segreto che neanche sotto tortura ci lasceremmo sfuggire, ma il racconto è fluido ed articolato, un buon viatico per proseguire il cammino che si snocciola anche tra percorsi a
luci rosse: “la lingua esperta di lei s’insinuava dolce-
È decisa, impetuosa, determinata, Donatella Garitta
quando si prefigge di attuare un suo progetto, e quando
decide di dare alla luce un figlio, si documenta, prende
in considerazione ogni minimo particolare, ne sviscera
l’intima costituzione, per far si che alla resa dei conti,
questo progetto possa essere il migliore possibile.
“Il rio racconta”, è il figlio inespresso che Donatella
Garitta teneva nel cassetto, lavorando alla sua nascita
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I l S alotto degli A utori
mente nei punti più intimi del corpo” o, “Quando lei si
pose a cavalcioni…”,che tendono una trappola
accattivante e pruriginosa al lettore.
Lasciateci passare come ciliegina sulla torta il racconto
che Francesca e Stefano hanno snocciolato tra “guerre
tra Savoia, francesi e spagnoli, (che) aveva sfiorato appena il paese sul rio”, racconto fatto per interposta persona
lasciando l’Autrice per un attimo in disparte, come seduta in un’aula d’università in un giorno d’esami, ad ascoltare attentamente “il professore, (che) accarezzandosi la
barba ben curata e puntando gli occhi nel viso
(dell’esaminanda, chiese): mi esponga la situazione socio economica dei domini Sabaudi nel XVII secolo.
Francesca iniziò:
I domini sabaudi nei primi anni del XVII secolo”…bla
bla bla.
Stefano e i lettori, sorrisero.
RAFFAELE DI VIRGILIO
LA POESIA DI ALDA FORTINI - La privacy lirica della Fortini
- affidata sinora a quattro sillogi poetiche : Il primo verso,
ed. Il Conventino, 1978; Scritti sciolti, Soc. ed. Vannini,
1991; Ideali di cristallo, Venilia ed., 1994; Tempo sconfinato,
Lorenzo ed., 1997 - è molto difficile da visitare, od anche
da spiare, perché non ha ‘finestre’: è il respiro fiabesco
(ed eroico) di un’anima che non conosce cedimenti («non
è di me arrendermi», Battitura finale 1978) e che non ha
occhi per le sorti passate presenti future del mondo. Non
è un caso che nei momenti di grazia di questa poesia i
normali e realistici rapporti di successione temporale si
dissolvano e si trasfigurino da un lato in nostalgica o
aborrente memorizzazione del domani e dall’altro in
profetico preannuncio di eventi già inchiodati nella morsa implacabile di un passato senza ritorno. Il «taccuino»
aristocraticissimo di donna Alda, una schiva ventenne
che ha letto da gran signora per altri due ventennî il libro
della vita (o, meglio, di una singolarissima vita
‘iperurania’), è un «diario» - uso vocaboli suoi - che anche quando registra date e luoghi affida la sua forza
evocativa ad un ‘cronotopo’ esistenziale le cui leggi segrete fanno tutt’uno con quelle che presiedono alla vita
silente di un’umanissima polis senza ‘dove’ e senza ‘quando’; vorrei anche dire: senza ‘chi’, dato che le rarissime
apostrofi della poetessa ad un ‘tu’ o ad un ‘lui’ sempre
enigmatici e senza volto - incastonate quasi sempre in
infinitesimali frammenti di vita, come ad esempio la
‘coincidenza’ che annulla con finezza conturbante la distinzione io-lui nella lirica Il pomeriggio del silenzio 1997:
«mi coincide l’amico» - confermano, non che smentire,
la strenua espansione ‘implosiva’ della fantasia
fortiniana, che conquista il lettore additandogli un Eden
che si lascia vagheggiare nella sua luminosa dimensione umanizzante proprio in grazia della perentoria e sistematica rimozione di qualsivoglia aggancio ai motivi
ricorrenti della grande poesia universale, dal sogno di
una cosmopoli ideale (penso a Virgilio) alla tessitura di
esperienze ‘corpuscolari’ di sodalità - pur sempre altamente coivolgenti - come ad esempio l’amore (penso a
Catullo). Chiedere a questa donna dal seducente profilo
interiore le ragioni di tale macroscopica estromissione
sarebbe non solo violare il sacro perimetro del suo nido
esistenziale, ma sarebbe addirittura un insulto alla sua
fiera, ed insieme accattivante perché inerme, dignità
intellettuale ed umana.
La Fortini proviene da esperienze di studio e di scuola
sostanzialmente estranee all’area e alla routine del classicismo tradizionale, ma il suo umanesimo esistenziale è
pur sempre ‘mediterraneo’ e non ha nulla di nebuloso:
negli anni della sua maturazione ‘efebica’ ella ha imparato soprattutto dalla scuola ad osservare da vicino e a
(ri)vivere il bello figurativo dell’arte greca antica, donde
la nitidezza solare dei suoi fantasmi poetici, sublimata
da un amore autentico e squisitamente aristocratico, per
la natura agreste, sentimento che forse appartiene ad un
DNA ancestrale, trasmesso in eredità a donna Alda da
una secolare e domiciliare frequentazione feudataria della
campagna.
La solarità delle fantasie fortiniane è classica ed insieme classicistica perché da un lato è espressione di una
luminosa ‘mediterraneità’ nativa, dall’altro è figlia dell’arte plastica ellenica (ut sculptura poçsis!»), della quale
la poetessa di Villongo ha colto genialmente la tensione
ideale verso la conquista dell’eternità, di quel tempo sconfinato che ella ha insediato a futura memoria nel
frontespizio dell’ultima raccolta delle sue liriche e vede
racchiuso nella durata impercettibile ed insieme sconfinata dell’attimo. E’ secondo questa prospettiva che vanno storicizzati i ‘debiti’ della Fortini nei confronti della
tradizione letteraria, soprattutto di quella otto/
novecentesca, contattata pudenter et raro e arricchita con
l’apporto inedito di stimolanti suggestioni filosofiche e
scientifiche tradotte in squisiti ed apparentemente elementari mitemi, come ad esempio la laicissima idea/immagine - risalente ai primordi biologici dello strutturalismo - secondo cui il «tutto esiste in una sola parte» (Zingaro 1978), o la folgorazione nichilista di Gorgia il
relativista siceliota («Nulla esiste», Reale contro infinito
1978), o il rinvio ai cosiddetti ‘buchi neri’, che sono un
dono sconvolgente della relatività einsteiniana («Cammino verso una meta / che la mia rapidità nasconde», Il
lago 1994: una velocità non reale ma infinita, concepita e
mitizzata su basi scientifiche come superiore a quella della
luce, sottrae la meta al campo visivo dell’osservatrice,
arretrandola alle sue spalle e rendendogliela appunto
invisibile). Vedremo qui di séguito che la poesia della
Fortini è una lotta sofferta ma vittoriosa contro una «crudele barriera» che si lascia interpretare come scacco inflitto dal tempo reale all’homo humanus (La casa popolare
1994) e una chiosa eloquente dei due versi testè trascritti
si può leggere in una successiva lirica di Tempo sconfinato,
dal titolo significativo Il limite (1997), nella quale la poetessa orienta simpaticamente il lettore nella giusta direzione esegetica dichiarando di porsi «a discutere isolata
di grandi teorie» per poi scolpire questo lapidario
apogftegma altrimenti oscuro ed astruso: «Impossibile
giungere dove il ricordo / ha già annunciato la sua venuta». Qui il cronotopo si muove (più propriamente: si è
mosso) lungo l’asse einsteiniano del tempo, donde il paradosso (apparente) del «ricordo» che anticipa il suo
oggetto, cioè l’equivalente della «meta» del viaggio
spaziale di cui sopra; e in tale contesto esoterico va inquadrata l’immagine del «tempo che barrica le porte»,
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cioè si blocca ed immobilizza lo spazio (Il cancello chiuso
1997; un’utile ‘didascalia’ è offerta al lettore dal «vuoto /
di un cancello chiuso» in Fatti di sempre 1997).
Non sfugga la natura (ri)creativa - o, se si vuole,
(re)inventiva - di certe immagini fortiniane che rinviano
a modelli facilmente riconoscibili e che appunto in forza
dell’esibizione di tale dipendenza rivendicano una originalità provocatoria grazie a contestuali variazioni
‘rigeneranti’: si pensi alla riproposizione di un tema
‘iconico’ come quello del «muro d’orto» assunto da Eugenio Montale come sema del limite invalicabile che inchioda l’uomo nella irreversibilità della sua amechanía.
Orbene, nel riproporre il tema montaliano del muro Alda
Fortini lo atteggia in modi diversi e con variazioni
sinonimiche (a parte le lessie «barriera», «limite», «cancello chiuso», che già conosciamo): «muro rosso» (Tu e
l’infinito 1978), «muro dei cocci» (La ruota1994), «muro
di cinta» (titolo omonimo 1994), «muro diroccato» (Il
casolare 1994), «muraglia» (Il porto 1994 e La meta prefissa
1997); fra le denominazioni sostitutive del muro merita
una menzione speciale la ‘leopardiana’ «siepe», riservata dalla Fortini all’ultima (e pienamente matura) raccolta delle sue liriche (1997: Lungo le mura, Il violino del vicolo, L’oasi) insieme con la parola chiave «confine», che fa
da contrappunto antitetico al titolo della silloge in Non
confondiamo, L’oasi, Incontro nonché in La clessidra, che è
diversa dall’odicina omonima di Scritti sciolti (1991) e in
cui alla voce «confini» fa da preludio una più rara parola
chiave: «margine». Ciò che più conta è però la funzione
(pur sussidiaria) di trampolino che quel tema
centralissimo adempie nella prospettiva immediata di
un atto salvifico che la poetessa compie da sola affidando il successo del proprio messaggio al superamento
contestuale di quel limite. L’esito di quel superamento che riscatta l’homo humanus dall’impasse registrata e sofferta ma non superata da Montale - è in effetti uno sconfinamento dell’istante ‘atomico’ (cronotopo dato dalla
coincidenza del punctum temporale col punctum spaziale)
nell’espansione illimitata (un po’ leopardiana ed assolutamente laica) dell’attimo/kosmos eterno; e per
familiarizzare con siffatto sconfinamento che fa coincidere l’akariaîon con l’ápeiron (cioè l’«infinitamente piccolo» con l’«infinitamente grande») si può meditare sulla
«festa/incontro» che in 21 marzo (1997) fa tutt’uno con la
mozzafiato «ultima riga / di una breve nota».
Altrettanto e forse più significativa è la chiusa della
lirica Lasciami vedere (1994): «Allontanati vi è un ramo /
che batte contro il vetro / della finestra». Questa
apostrofe, che va letta con l’occhio rivolto alla lirica I
portali 1994 («La prima neve cade [... ] sui vetri della finestra aperta»), richiama d’obbligo alla mente (grazie ad
un contrasto costruito provocatoriamente - cioè
fortinianamente - su una evidente analogia) il finale di
una delle migliori prove poetiche di Giosuè Carducci,
Nevicata, in cui sono «uccelli raminghi» a battere col
becco contro i «vetri appannati» della finestra (ovviamente chiusa, mentre la «finestra» fortiniana è ‘irragionevolmente’ «aperta») chiamando il poeta, il quale risponde al richiamo col dire che presto raggiungerà quegli amici defunti, venuti a bussare alla sua finestra. La
grande forza di suggestione dell’apostrofe fortiniana sta
non tanto nella sostituzione di un muto ed inquietante
ramo ai piccoli pennuti carducciani, quanto nella drammatica oggettivazione del netto rifiuto che la poetessa
oppone al ‘messaggio/richiamo’ implicito nel movimento
del ramo che ‘bussa’ alla finestra: diversamente dal
Carducci, che dice «giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò», donna Alda si dissocia per e con indifferenza
da questo coinvolgimento e non intende affatto trasferirsi presso i suoi defunti, perché la tragedia di quella
finestra non ha bisogno di un Ade che la ospiti: è una
‘morte’ altra, cioè una vita (laicamente) eterna come perenne uscita dal tempo; e coerentemente, nella silloge
poetica successiva a quella del 1994, la poetessa, con la
consueta tensione provocatoria che contraddistingue
la sua poetica dell’intertestualità, dà questo preannuncio: «Seppellirò i miei morti / sotto un alto pioppo / dove
il tempo durerà in eterno» (Il vecchio quartiere 1997), fornendoci una chiosa finissima di Lasciami vedere, non necessariamente mirata, che fa pensare ai lucidi fantasmi
del sogno, poetico e no, a cui nulla sfugge di ciò che è
vitale.
Da quanto qui esposto emerge con evidenza la squisitezza selettiva dei rapporti che la poetessa di Villongo
intrattiene con la tradizione: i riscontri testuali che ella
esperisce esibiscono quanto basta perché il lettore riconosca il ‘modello’, ma si configurano sempre come variazioni intese a superarlo. Per quel che concerne il
Carducci risulta emblematica una lirica fortiniana nella
quale la vendemmia intona una canzone poeticissima,
che relega nell’angolo della pedestre prosaicità il «ribollir dei tini» della carducciana lirica San Martino (il cui pur
suggestivo finale è, all’insaputa di tutti, la scopiazzatura
di un pensiero del Buddha): «Dai filari di uva matura / la
vendemmia canta nei tini» (La vendemmia 1994).
Questa selettività aristocratica della poesia fortiniana si
manifesta prepotentemente anche nella scelta dei ‘modelli’. E’ sufficiente una ricognizione a volo d’uccello per
constatare che la Fortini privilegia nettamente i maggiori: oltre al Carducci (e al Pascoli, il cui «gelsomino notturno» è snobbato in La maschera greca 1994: «Fioriranno
i gelsomini al sole») spiccano con prevalenza assoluta il
già citato Montale, Quasimodo, Ungaretti, nonché Pavese
(«Verrà il tuo giorno / ma non avrà più / i suoi occhi / ed
i miei / saranno bendati alla luce [...]. Verrà la morte / ma
tu non ci sarai ...», E pensare che domani 1978), tutti evocati con perentorietà emulativa, argutamente mimetica.
Un lungo discorso a parte meriterebbe la silloge poetica Scritti scioltii (1991), che senza mia premeditazione è
rimasta quasi del tutto fuori campo nel corso di questa
ricognizione critica. Il motivo di tale elusione involontaria sta nella diversità della poetica che presiede a detta
silloge e che costituisce un a sé anche in grazia della metrica, contraddistinta da un ritmo più disteso e cantante,
modulato in margine ad una temporanea sympatheia dell’autrice con se stessa e con il mondo. A questa ‘maniera’
descrittiva e un po’ scanzonata - si pensi alla duplicazione
sistematica degli aggettivi (non dei verbi, che sono gli
‘arieti’ di ogni vera rivoluzione culturale) - ha fatto séguito,
tre anni dopo, il rientro adulto nella carreggiata del sentiero che ha portato la ribelle Fortini a riprendere con
nuova lena il promettente cammino interrotto e a svoltare con risolutezza liberatoria ad un bivio, «quello in fon-
- 53 -
I l S alotto degli A utori
do» (Punto e virgola di una preghiera, 1994), che finalmente
le ha restituito le «pietre dorate» dei suoi anni verdi
(Momenti di solitudine 1978).
PUEBLO NERUDA
Ecco una recensione d’Autore un po’ particolare, direi
anomala, recensione di “una persona” nella sua interezza
sviluppata attraverso la conoscenza diretta dell’autore
che nel caso specifico è:
ALDO DI GIOIA
E’ difficile introdurre un autore come Aldo Di Gioia, non
poeta, il poetare lui afferma essere “cosa nobile” e quando qualcuno gli attribuisce questo titolo, si schernisce,
nascondendosi dietro il dito per mascherare il rossore
che gli imperla le gote.
Il suo essere saltimbanco della penna, per la versatilità
con cui cambia sovente e volentieri argomento e lingua,
almeno nel senso della lingua volgare, lo rende quasi inafferrabile, anche se i suoi concetti base, tendono ad essere
sempre adamantini.
Altrimenti neanche lui riuscirebbe più a decifrarli.
A parte questo volgare e questo saltabeccare, lo scrivere
lo entusiasma, è come se una radice del suo cervello equino, che lui a volte scambia per nobile cavallo, subisse
crisi epilettiche che ne alterano la continuità inficiandone
la qualità.
Nella realtà l’autore è molto più simile ad un mulo, per
resistenza, cocciutaggine, caparbietà, e in alcuni casi,
quando non affronta gli argomenti con la giusta inclinazione emotiva, si trasforma in asino.
Gli piace scalciare l’aria e ragliare alla luna, e questa, non
è cosa troppo normale.
Quando scrive, i suoi “barbarismi” a volte fanno sorridere, ma nulla più.
E questo suo continuo rapportarsi con il “tecnicismo” in
contrapposizione con la maieutica e con l’arte umanistica,
sembra un continuo lavoro di sfinimento, più simile all’arte della lavandaia che dell’artista scrittore.
Lo scrivere di qualità appartiene ad altri, ed è questo il
motivo per cui ho accettato di buon grado di ritrarre un
suo contorno, di cui il secondo, inteso in senso culinario
del termine, sono io.
NEVIO NIGRO
INNI D’OGNI GIORNO di Alessio Manzo - Carta e
Penna Editore - 5 euro L’autore, dotto grecista e latinista, ha tradotto questi inni
che scrisse, secoli fa, il grande Prudenzio. Non si creda
trattarsi di mera e sola traduzione, ma di un “rifacimento”, una “invenzione” nuova da parte del nostro A. moderno, che appunto A.Manzo. Infatti egli introduce con
una sua poesia personale e con un suo scritto gli inni e le
scritture poetiche dell’autore latino. Inoltre, come ad es.
fa Quasimodo ed altri, la “traduzione” è farina a alta
poesia del traduttore, da’ una musica, corpo, vena, fascino personale che unisce a quello del poeta antico tradotto. Se per es. parliamo di lirici greci, non è creazione
nuova quella del suddetto p. Nobel? E non c’è alcuno che,
nel commentare, non consideri originali di Quasimodo
le traduzioni. Ma “de hoc satis”, perché chi legge gli inni
di Prudenzio nella riscrittura poetica originale di Manzo, resta colpito, affascinato, e sogna con il nostro cosiddetto traduttore sulle sue note (sì, note!) e sue moderne
traduzioni. In cui si apprezza il fascino del poeta antico
e del poeta moderno che è Alessio Manzo.
E questo avviene anche per chi non crede, in questo tempo in cui poetare così non è tanto comune, purtroppo.
GIOVANNI REVERSO
IL RIO RACCONTA di Donatella GARITTA
SARACINO – Neos Edizioni di Rivoli (TO) 2007
– 11,00 euro.
Cimentarsi in letteratura come “opera prima” con un
romanzo storico da ambientare a ragion veduta e documentata per non correre il rischio di inesattezze controproducenti, penso non sia stato troppo facile. Eppure la
anche giornalista Donatella Garitta Saracino ci è lodevolmente riuscita. Il titolo è accattivante “Il rio racconta” una storia del ‘600. Un rio il cui scrosciare di acque
impetuose teneva un tempo lontano compagnia, ma che
poi ha finito col disturbare la crescita umana che l’ha
imbrigliato. Ma la natura non assecondata, finisce sempre per avere, prima o poi, la rivincita, ed ecco che una
forte alluvione ha ridato forza al rio e la sua voce impetuosa si è risentita. L’allagamento di una biblioteca ha
portato alla luce documenti antichi che hanno parlato
per bocca del rio. La storia raccontata è viva e incentrata su un personaggio, Sebastiano, che non ha nulla da
invidiare a un suo pari moderno. È provato fin dalla
giovane età, dalla vita che, con la peste, gli porta via i
famigliari. Ma l’esistenza, se da una parte toglie, dall’altra dà. Entra in possesso di denaro in parte rubato ai
suoi, e incontra una donna: Margherita… “Mai aveva
visto una donna tanto bella!” Purtroppo Margherita lo
considererà “solo una bella preda da catturare, domare
ed esibire”. Però non riuscirà tanto a domarlo neanche
con la somministrazione di una polverina che non doveva soltanto eccitarlo, ma ridurlo alla sua mercé (avrà
sbagliato la dose?). Avendo capito il genere di donna che
era, Sebastiano la lascerà. Altra botta negativa della vita:
resta abbindolato da Monsù Chiabotto, un affarista senza
scrupoli a cui consegna tutto il suo avere. Ne segue comunque una positiva: salva da un’aggressione una brava ragazza, Rebecca, che gli procurerà un buon lavoro
all’Albergo delle Virtù che, sorto come ospizio e ospedale, diventa in seguito officina per forgiare nuovi artigiani, come diventerà poi Sebastiano. Sebastiano sposerà
Rebecca (figura ben costruita anche sul piano psicologico) avrà un figlio e diventerà un imprenditore della seta.
Monsù Chiabotto riconosciuto contrabbandiere, truffatore e usuraio, sarà impiccato (la giustizia allora funzionava ancora). Non vado oltre, ma posso dire che questo romanzo è ben costruito, ben ponderato, ogni azione è giustificata tale da rendere il romanzo storico avvincente come uno moderno.
Non manca nulla, ci sono pagine in cui la bellezza si
sposa con la sessualità che muove l’intelligenza per raffinarla. L’esordio di Donatella Garitta Saracino non poteva essere migliore.
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E state 2008
PACIFICO TOPA
FESTIVITÀ poesia di Giuseppina IANNELLO
SICCARDO - pubb. su questa rivista, n°22 p. 19
Una originale quanto opportuna composizione quella
in cui Giuseppina Ianello Siccardo focalizza la validità
del periodo festivo del quale oggi molti abusano. Lei ne
ha sviscerato le significazioni più comuni, denunciando
anche le negatività che sovente accompagnano le feste.
Così esordisce l’autrice: “Festività/ forse i tuoi intenti/
sono buoni ma molta gente fa baloria/ di capire il tuo
messaggio/ non se ne parla.”.
E’ la pura verità! Molta gente trascorre il periodo di vacanza abbandonandosi a bagordi d’ogni genere, obliando
il vero significato del iposo. Eppure: “Uno schiocco di
dita/ un batter di ciglia/ ed è già Natale/ che meraviglia!”.
Questa è la festività forse più cara a tutti; è il momento in
cui ci si ritrova, si rinverdiscono affetti ed amicizie. E’ la
festa dei più piccoli, giorno in cui vengono organizzati
cene e pranzi succulenti, ma, prosegue l’autrice, è anche
il giorno in cui i vecchi soli sentono di più l’abbandono,
lo stesso dicasi di chi è ricoverato in ospedale, per costoro il Natale è angosciante. Nella notte di Natale si elevano canti e nenie, si accendono mille luci e la gioiosità/
“Forse si ferma su un monte/ forse su un vicolo buio/ è il
canto gonfio di pianto/ del viandante, o semplicemente/
dello straniero?”. E’ questo l’interrogativo che si pone
Giuseppina Ianello. Lei stessa è imbarazzata e aggiunge:
“Cosa dire di più?”. Anche la notte di Natale c’è qualcuno che piange in pieno contrasto con la gioiosità di alcuni. Una acuta osservazione fa poi l’autrice: “E’ Natale; le
chiese sono gremite/ di gente che andata per “pregare”/
ma anche per fermarsi/ a parlare del più e del meno”. La
chiesa sfavilla di luci risuona di canti: “però c’è un angolo discreto/ vi sta raccolto il perdente/ cercando un dialogo con Dio.”.
Lei rivela con acume che c’è qualcuno che , forse angosciato dai rimorsi, e dal peso dei suoi peccati, è alla affannosa ricerca del perdono che solo Dio gli può dare.
NOTE D’ARPA poesia di Barbara PARUTTO
pubb. su questa rivista, n°22 pag. 34
Con una simbolizzazione quanto mai originale Barbara
Parutto fa l’esaltazione dell’arpa, evidenziandone le virtù che questo strumento, piuttosto raro, ma sempre gradevole ad ascoltarsi, ha per l’armoniosità del suo suono.
“Senza questa voce/ esile come un raggio di luna”; delicata la similitudine, ma basta un nonnulla per disperdere la musicalità. L’autrice fa delle comparazioni dell’arpa
e s’immedesima in questo suono celestiale: “Come acqua sgorgherei/ confondendomi fra i flutti/ senza più
coscienza dei confini.” oppure: “Sarei solo una scintilla/
caduta cometa/ traccia dell’arcobaleno/ che svanisce.” Il
suono di questo strumento si disperde facilmente alla
stessa maniera con cui l’arcobaleno, che si distende dopo
un temporale, svanisce celermente, lasciando solo il ricordo dei colori dell’iride che si disintegrano nell’aria.
Nell’estasi esaltatoria delle sensazioni che in lei suscita
questo suono dell’arpa la Parutto sente la necessità di
elevare una lode al creato, una lode che dice ben poco
per la sua pochezza, ma riesce a far vibrare l’animo su-
scitando lacrime che coinvolgono l’autrice, accompagnandola con “un sommesso pianto”. La composizione
riesce a scuotere l’intimità suscitando ammirazione per
uno strumento musicale che, per l’armoniosità delle sue
note, sa anche suscitare il pianto di un’intima commozione.
LA CAREZZA DELLA LUNA poesia di Maria Cristina SACCHETTI pubb. su questa rivista, n°22
La calura estiva spesso stimola a trasgredire ad ogni forma i pudore per cui Maria Cristina Sacchetti descrive alcuni momenti della sua intimità giustificandoli con la
torrida estate in cui il corpo ha bisogno di liberarsi da
qualsiasi forma di costrizione. Nella notte afosa dell’estate, lei se ne sta tranquillamente distesa sul suo letto
discinta, senza reticenza alcuna ed espone “i bianchi seni/
alla carezza della luna” che sembra goda di questa nudità; una scena intuibile anche se può sembrare un poco
osé, l’afa richiede spesso il superamento di ogni reticenza, specie quando si è nella più sola intimità. Anche la
luna viene coinvolta e assume il ruolo di galeotta nel carezzare, con la sua pallida luce, quella scena. In questa
atmosfera di relax: “Ali metto ai miei pensieri/ e percorro filigrana di giorni/ consumati di tempo.”. Si ricordano
gli eventi del passato, quelli degli anni verdi e allora
riemergono incontri galeotti, scappatelle notturne alla
luce delle stelle, scampagnate in montagna, situazioni
emozionanti, perfino: “promesse e giuramenti
spudorati.”. Questo è ricordare la gioiosità e la spensieratezza della gioventù, vissuta nel pieno senso della parola, senza limiti. Ma, questa rimembranza è di breve
durata “Un sospiro profondo/ torno al presente, rientro
nel corpo/ sul letto disfatto.”; si ripropone la realtà in
tutta la sua crudezza, ma c’è sempre l’atmosfera galeotta,
perché: “L’incantevole luna/ la stessa di allora/ tende i
suoi raggi/ lambisce il mio cuore.”. Quella luna, complice di momenti emozionanti, sembra ammiccare
furbescamente prima di andare ad eclissarsi “oltre il
muro”. Quello che potremmo definire un sogno è scomparso con i raggi stessi della luna.
UNA FOTOGRAFIA poesia di Gaetano
PIZZUTO pubb. su questa rivista, n°22 pag. 26
la composizione di Gaetano Pizzuto vuole essere un tuffo nel passato favorito da una vecchia fotografia. E’ sufficiente questa, seppure ingiallita, a far riaffiorare alla
mente tanti ricordi. “Una parte tappezzata/ a fiorellini
rosa/ trascurata dalla luce del giorno”. L’ambientazione
è quanto mai realistica, una parete dislocata nella penombra. “Una fotografia appesa/ ingiallita come l’erba d’agosto/ incorniciata da un tenero ricordo”. Una fotografia
scattata molti anni fa che, alla sola vista, evoca piacevoli
rimembranze, infatti: “Il tuo sorriso disegnato/ dolcemente sinuoso/ i tuoi capelli carezzati dal vento/ negli occhi
misteriosi bagliori.”. Queste poche righe descrivono la
persona riproposta nella foto. Si ha la sensazione che
questa foto sia stata scattata da poco. La sola vista risveglia vecchi ricordi: “Ogni giorno ti penso/ ti penso
ora, ovunque sei/ forse sarai poco lontana.”. Allora l’autore da’ libero sfogo all’immaginazione, rivive il luogo
ed il tempo in cui venne scattata e ciò suscita “la nostal-
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I l S alotto degli A utori
gia di te” una nostalgia delicata come: “un foulard di
seta/ che m’avvolge l’anima/ quando scende la sera.”. E’
l’atmosfera più adatta per rievocare il passato, quella
della sera che scende per portare la serenità negli animi.
Mattutina luce, poesia di Silvia SPALLONE
pubb. su questa rivista, n°22 pag. 26
L’alba è certamente uno dei momenti più suggestivi della giornata, dopo l’incubo del buio notturno appaiono i
primi bagliori della “mattutina luce”, che riportano una
certa serenità negli animi. Silvia Spallone ha ben
focalizzato questo momento con una versificazione snella
e assai efficace. “Taglia l’ombra/ della notte, a fette/ tra
gli antichi/ e moderni palazzi/ ornati di viali alberati/ e
piazze in fiore.”. Questo fa la luce del mattino diffondendosi ovunque, lei la definisce: “calda e tiepida” per
sottolineare l’affettuosità con la quale viene accolta. Il
panorama circostante si rivitalizza, perfino le “acque
verdastre dei fiumi” mandano strani riflessi. in questo
cromatico risveglio mattutino anche la “dolce e cara Torino” si sveglia sotto una fitta nebbiolina che Silvia
Spallone chiama “grigio mantello”. E’ un clima freddo,
uggioso, ma non resta che attendere che: “il vento di primavera” disperda questo grigiore definito “foschia d’inverno”. I primi raggi ravvivano con la loro luce “le piante della/ profumata primavera.”. Tutta la composizione
è caratterizzata da questo clima albeggiante in cui le cose,
dopo il sonno notturno, tornano ad assumere la loro solita veste impreziosita dalla “mattutina luce”.
ARCO poesia di Alda FORTINI pubb. su questa
rivista, n°22 pag. 39
In un clima idilliaco Alda Fortini descrive un ambiente
naturale in cui tutta la scena ha un suo ruolo ben definito, utile a sottolineare la validità di una realtà ricca di
suggestioni. “Giorni assurdi nell’estate/ calda e afosa dove
il richiamo/ degli uccelli è vago/ e sotto questa siepe/ un
nuovo pomeriggio trascorre.”. Ottimamente descritto
questo ambiente. Siamo in un afoso pomeriggio estivo,
è il momento adatto per approfittare del silenzio che regna attorno per evocare le lontane giornate collegate a
tanti ricordi. la scena si fa agreste: “Guardo il grano maturo/ nella distesa alta/ dove il papavero è sparso/ e la
mia stagione traduce/ giorni alterni e certi/ sotto gli ulivi maturi”. Si sta facendo sera, mentre voci lontane vanno perdendosi nel semibuio che avanza. L’autrice fa entrare in scena: “un passante/ con la bisaccia a tracolla”,
questo per dare un tono di naturalità; contemporaneamente “la fontana all’angolo/ zampilla acqua fresca.”.
Da ultimo ecco: “il vento nella sera” che, col suo leggero
soffio, trascina le foglie accartocciate, mentre “sotto l’arco di questa casa/ un nido di passeri alto.”. Tutta la composizione assume una tonalità di puro realismo, proposto con una versificazione scorrevole, di immediata
acquisizione, il che la rende più gradevole.
cui agiscono due unici personaggi: Lombrantil ed il custode della biblioteca. Una prima impressione che si
desume dalla lettura è che l’autore descrive, dettaglia,
particolareggia, evidenzia aspetti, talvolta secondari, ai
quali egli da’ una certa importanza, perché agevolano la
conoscenza in cui si svolgono i colloqui e gli atteggiamenti. Un tal signor Lombrantil si reca presso l’edificio
che ospita la grossa biblioteca alla ricerca, per consultazione, di un raro e importante volume edito nel ‘500 e
del quale ha urgente bisogno. La ricerca si svolge nell’ambito di una intera giornata con la collaborazione del
bibliotecario, ma risulterà del tutto vana: il volume non
si trova. Fra i due si svolgono sintetici colloqui che
evidenziano le diverse caratterologie, specie del bibliotecario, che inizialmente mostra scetticismo nei confronti di Lombrantil, immaginandolo un perditempo, un fannullone, ma quando questi si qualifica per Dottore allora
la musica cambia, il bibliotecario diviene assai disponibile e guida il cliente nella dettagliata ricerca del volume
attraverso le sontuose sale di un ex palazzo gentilizio,
passato poi in mano a un ordine religioso, che lo ha tenuto fino alla data dell’esproprio. Molto dettagliato è il
commento sul valore architettonico delle sale che si susseguono, piene di reperti culturali e storici, contraddistinti
da muffe e polvere, elementi sottolineano lo scarso utilizzo che si fa della biblioteca. Il rinvenimento di una stanza assai riservata nel cui scaffale vengono trovate alcune
scarpe, una parrucca, il tutto fra ragnatele e muffe, confermerebbe l’esistenza di un tesoro nascosto che sarebbe
appartenuto a personaggi ivi abitanti molti anni addietro; tutto questo vivacizza il racconto e chiama in causa
una vecchia diceria secondo la quale nella stanza si sarebbe nascosto un tesoro. Ma, la diceria non ha alcuna
convalida. Si prosegue nella ricerca, vengono ricontrollati
gli schedari, ma del volume nessuna traccia.
Alla fine di questa laboriosa e stressante ricerca risultata
vana, essendo già buio, lombrantil decide di rinviare al
giorno dopo la prosecuzione della “ricerca fino a quando......”.
QUASI UN PRELUDIO di Franco FAVATÀ –
Monte dit. – Melegnano (MI) 2008
“Quasi un preludio” è il titolo emblematico di un racconto che Franco Favatà ha ambientato in una biblioteca. Lo si potrebbe definire uno spaccato di vita reale in
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E state 2008
P R E M I
L E T T E R A R I
Sui siti Internet dell’associazione è disponibile un servizio gratuito di inserimento automatico dei bandi.
CENTRO ARTISTICO CULTURALE ARTE
CITTÀ AMICA - TORINO
5a edizione (2008) Premio Nazionale di Arti Letterarie
Art. 1- Possono partecipare al concorso autori italiani e stranieri con elaborati in lingua italiana a tema libero.
Art. 2 - Il concorso si articola in 4 sezioni:
z poesia singola
z volume di poesie
z romanzo edito
z racconto inedito.
Art. 3 - Gli elaborati partecipanti al premio non saranno restituiti.
Art. 4- Il giudizio della giuria è insindacabile e inappellabile.
Art. 5- Le opere partecipanti dovranno essere inviate alla
segreteria del premio, presso il Centro Culturale Arte Città
Amica di Via Rubiana, 15 - Torino, entro e non oltre il 31 luglio
2008. Allegare copia del bollettino di pagamento.
Art. 6- La quota di partecipazione è fissata, in € 20 per una
sola sezione.
Ogni sezione in più, comporta una maggiorazione di € 5.
La quota potrà essere versata sul conto corrente postale numero 51814473 intestato:
Arte Città Amica Centro Culturale, via Rubiana, 15 - 10139
Torino oppure con assegno, vaglia postale o versata direttamente alla segreteria del Centro nel termine indicato.
E’ importante indicare nella causale di versamento: “Premio
Nazionale d’Arti Letterarie”.
Art. 7- I premi dovranno essere ritirati al momento della cerimonia conclusiva. Non saranno spediti per posta.
Art. 8- In base al D.L.vo n. 196/03 e successive modificazioni
i dati dei partecipanti saranno utilizzati esclusivamente per il
premio letterario.
Art. 9- Non si accettano copie non dattiloscritte. Eventuali
copie scritte a mano annulleranno la partecipazione al premio
Art.10- I vincitori del concorso saranno avvisati con lettera.
I risultati verranno pubblicati sul sito web: www.artecittaamica.it
Art.11- Con l’adesione al concorso il concorrente accetta il
presente regolamento.
Art.12- La premiazione avverrà il 4 ottobre 2008 presso la
GAM di Torino. Tutti i vincitori saranno avvisati.
Art.13- Per informazioni: segreteria del premio tel. 011/
7768845 - 011/7717471 consultare il sito www.artecittaamica.it
- E-mail: [email protected]
SEZIONI
z poesia singola: Il concorrente dovrà inviare un massimo di 3
z poesie dattiloscritte, a tema libero. Occorre inviare 4 copie
per ogni poesia, di cui solo una recante nome, indirizzo e numero di telefono.
z volume di poesia Dovrà essere stato pubblicato negli ultimi 5
anni. Occorre inviarne 4 copie di cui una sola recante nome,
indirizzo e numero di telefono.
z romanzo edito Dovrà essere stato pubblicato negli ultimi 5
anni. Occorre inviarne 4 copie di cui una sola recante nome,
indirizzo e numero di telefono.
z racconto inedito. È prevista la partecipazione con un massimo
di 3 racconti dattiloscritti, a tema libero, non superiore alle 10
cartelle con 1.800 battute per cartella. Occorre inviarne 4 copie
di cui solo una recante nome, indirizzo e numero di telefono.
PREMI - (per ogni sezione)
1° classificato: trofeo, diploma d’onore e opera d’arte
2° classificato: targa d’argento , diploma d’onore e opera d’arte
3° classificato: targa d’argento , diploma d’onore e opera d’arte
4° classificato: medaglia d’argento, diploma d’onore.
5° classificato: medaglia , d’argento diploma d’onore.
Saranno assegnati altri premi comprendenti coppe, medaglie e
segnalazioni con diploma d’onore.
L’ASSOCIAZIONE CULTURALE NOIALTRI
organizza il Terzo Premio Internazionale
“NOIALTRI/POESIA”
REGOLAMENTO
Art.1) Il concorso è aperto a tutti, senza distinzione di età
anagrafica e di nazionalità.
Art.2) Si partecipa con una sola poesia, non superiore ai 20
(venti) versi (pena, l’esclusione dal concorso), a tema libero, in
lingua italiana, in vernacolo o lingua straniera (per il vernacolo
e la lingua straniera è necessaria la traduzione in italiano).
Art.3) La poesia deve essere inedita, mai pubblicata su riviste
del settore o antologie e mai premiata in altri concorsi.
Art.4) Di ogni poesia è richiesta una sola copia con firma e
indirizzo dell’autore.
Art.5) Per le spese di segreteria è richiesto un contributo di €
10,00 da versare sul c.c.p. 13420914 intestato a: Andrea
Trimarchi via C. Colombo, 11/A – 98040 Pellegrino (ME).
Essendo il concorso legato alla promozione libraria, il concorrente, per la quota versata, ha diritto a ricevere un libro della
NoialtriEdizioni.
Art.6) Tutto il materiale dovrà pervenire in redazione entro, e
non oltre, il 20 luglio 2008 al seguente indirizzo: NOIALTRI
via C. Colombo, 11/A – 98040 Pellegrino (ME).
MODALITÀ DI VINCITA
Art.7) Tutte le poesie pervenute verranno pubblicate sulla rivista NOIALTRI di settembre/ottobre 2008 in forma anonima,
cioè, prive in calce del nome e cognome dell’autore. La rivista
verrà inviata, oltre ai partecipanti, ai lettori e collaboratori, alle
associazioni, biblioteche, giornalisti e critici letterari, i quali,
con il loro voto decreteranno la classifica dei vincitori.
Art.8) Ogni votante potrà esprimere fino a 10 (dieci) preferenze, indicando nella scheda/voto allegata il titolo della poesia, la
pagina e il numero cronologico corrispondente. La scheda/voto
dovrà pervenire in redazione entro il 20 ottobre 2008.
Art.9) Dai punteggi ricavati verrà stilata la classifica dei vincitori e pubblicata sul numero di novembre/dicembre di NOIALTRI.
Art.10) Al primo classificato, verrà assegnata una prestigiosa
targa personalizzata, con sopra incisa la poesia vincitrice; al
secondo e al terzo classificati, una targa personalizzata; al quarto
e al quinto classificati, un diploma, più regali in libri.
Art.11) Tutto il materiale giunto in redazione non verrà restituito.
Art.12) La partecipazione al concorso implica l’accettazione
del presente regolamento.
INFORMAZIONI: Cell.: 339-7383485
E-mail: [email protected]
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I l S alotto degli A utori
SECONDA EDIZIONE DEL CONCORSO SAN MODULO d’iscrizione apposito (anche fotocopiato o scritto
BENEDETTO NEL CUORE
in proprio) pubblicato anche su www.club.it e www.literary.it
Il concorso si articola in tre sezioni per inediti di autori maggiorenni
A ) Poesia uno o due componimenti a tema libero, in 9 copie.
Lunghezza tassativa massima 35 versi.(formato 12)
B ) Narrativa un racconto breve a tema libero in 9 copie max. 4
cartelle;
C ) Narrativa a tema un racconto breve, in 9 copie nel cui
canovaccio narrativo sia contemplato l’universo femminile: la
donna, le sue emozioni, le sue lotte. Max 4 cartelle.
A tutti i finalisti ovvero vincitori, segnalati, menzionati,ed eventuali Premi Speciali. Un Vincitore Assoluto Primo classificato
della quartina finalista per ogni sezione,verrà premiato con
targa personalizzata, artistico-fotografica.
Ai tre rimanenti sarà assegnato a pari merito il Secondo Posto e
saranno consegnate pergamene, libri, elaborazioni artistico-fotografica Tutti i finalisti saranno premiati con Attestati di
Merito,Segnalazioni, premi speciali; con volumi di narrativa o
saggi, ed eventuali plaquettes con i testi vincitori a uso interno.
Quota di partecipazione: euro 5 PER SEZIONE da inoltrarsi
direttamente in contanti ben occultati all’interno del plico o
con vaglia postale al referente acc. Daniela Bruni Curzi all’indirizzo sottoindicato.Uno stesso autore, potrà con lo stesso
invio, concorrere ad ognuna delle tre sezioni con opere dissimili ma con buste ben separate contenenti le tre quote e il
Gli elaboratidovranno essere inoltrati solo a mezzo Posta
Prioritaria a: “Premio Letterario DANIELA BRUNI Via LAUREATI n° 89 –63039 – SAN BENEDETTO DEL TRONTO
(AP). I testi devono essere anonimi All’interno del plico si
allegherà: componimenti, quota , una busta anonima chiusa
(riportando nella parte esterna solo l’indicazione della Sezione
prescelta); il modulo di iscrizione. Per la sola Narrativa è necessario che l’opera-e venga riprodotta in floppy-disk o CD. Gli
elaborati non rispondenti alle caratteristiche indicate non saranno presi in considerazione.
L’organizzazione non risponde di disguidi postali, plagi ecc.
SCADENZA: 30 NOVEMBRE 2008
La Data della Premiazione sarà comunicata ai SOLI finalisti e a
chi, desiderando essere informato sulla cerimonia, pur non
risultando tra i finalisti,allegherà anche un francobollo e una
busta con il proprio indirizzo. I premiati devono ritirare di persona i riconoscimenti Le opere presentate non saranno restituite. Per tutto quanto non previsto dal bando varrà la deliberazione ultima del Presidente di Giuria.
Gli interessati dovranno richiedere il bando integrale per prendere visione di tutti i dettagli; contattare a tal fine la Presidente
di Giuria acc. Daniela Bruni oppure telefonare SOLO dalle ore
19 alle ore 20 allo 348 470 35 88 oppure RICHIEDERE per
MAIL a: [email protected]
GRADUATORIA FINALE DEL CONCORSO LETTERARIO
INTERNAZIONALE PROFUMO D’ANTAN
La giuria presieduta da Salvatore Saracino, fondatore e presidente di Carta e Penna e composta da: per la narrativa Albertina
Zagami e Federica Goria - per la poesia Roberto Bruciapaglia e Rosalba Fano ha stilato la seguente graduatoria:
Sezione narrativa
1° posto: Dina Marika Riccardini (Marotta Mondolfo – PV)
2° posto: Stefano Borghi (Cassina de Pecchi – MI) e Gaia
Conventi (Copparo - FE)
3° posto: Sabina Bordone (Genova)
4° posto: Fulvia Massini (Lastra a Signa – FI)
5° posto: Gianfranco Gremo (San Gillio – TO)
6° posto: Katia Brentani (Bologna)
7° posto: Maria D’Anna (Acerra – NA)
8° posto: Patrizia De Padova (Pavia)
9° posto: Giacomo Di Blasi (Nicolosi – CT)
10° posto: Vittorio Sartarelli (Trapani)
11° posto: Anna Francesca Basso (Bassano del Grappa – VI)
12° posto: Alessandro Gattuso (Roncello – MI)
13° posto: Lina Palmieri (Torino)
14° posto: Rosanna Bonoldi (Castel Goffredo – MN)
15° posto: Liana Berti (Rimini)
12° posto: Guido Bava (Biella)
13° posto: Amelia Valentini (Pescara)
14° posto: Achille Caropreso (Modena)
15° posto: Fulvio Ferrero (Torino)
CLASSIFICAGIOVANISSIMI:
Sezione Poesia:
1° posto ex æquo: Federica Alamia (Bagheria – PA), Letizia Di
Rosa (Torino) e Luce Santato (Lendinara – RO)
Sezione Narrativa:
1° posto ex æquo: Tiziana Napoli (Bagheria – PA) e Silvia
Samoggia (Casalecchio di Reno – BO)
CLASSIFICAGIOVANI:
Sezione Poesia
1° posto: Anastasia Bullo (Lendinara)
2° posto: Riccardo Vecellio Segate (Cavalcaselle di Castelnuovo
del Garda - VR)
3° posto: Tiziana Sercia (Bagheria - PA)
4° posto: Francesca Caramanna (Delia – PA))
5° posto: Chiara Pucci (Calenzano - FI)
6° posto: Mirijam Paci (Delia - PA)
7° posto: Federica Parise (Roseto C.S. - CS)
Sezione Poesia
1° posto: Vincenza Cinzia Ricco (Margherita di Savoia – FG)
2° posto: Enzo di Ganci (Lombriasco – TO)
3° posto: Umberto Muller (Torino)
4° posto: Santi Zagami (Torino)
5° posto: Maria De Luca Pistoresi (Messina)
6° posto: Roberto Mestrone (Volvera)
7° posto: Laura Chiozza Puglia (Parma)
Sezione Narrativa
8° posto: Gabriella Maddalena Macidi (Mali – VI)
1° posto: Valentina Cavallaro (Torino)
9° posto: Enrico Di Rosa (Torino)
2° posto: Sergio Giuliana (Bagheria – PA)
3° posto: Susanna Trino (Cortale – CZ)
10° posto: Vita Bellacicco (Alpignano)
4° posto: Anastasia Bullo (Lendinara – RO)
11° posto: Annunziata Scarponi (Roma)
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E state 2008
Carisssima Donatella,
per troppo tempo ritengo di aver usurpato l’attribuzione di “critico” mentre, a ragion veduta, il mio impegno era
quello di esprimere delle opinioni personali (e quindi da “opinionista”) sulle opere sottopostemi. L’antipatica diatriba
con De Simone non ha solamente rubato spazio al giornale, ma mi ha anche indotto a riflettere ed a maturare questa
decisione.: Togli quindi il mio nominativo dall’elenco dei “critici”ed io, se vorrai, , ma come opinionista, esprimerò
liberamente le mie considerazioni sulle opere che tu mi invierai o che gli autori vorranno inviarmi direttamente ma
sempre previo accordo con Te. Mi riservo però naturalmente, la libertà di scelta.
Guido
I
CRITICI
LETTERARI
Gli associati a Carta e Penna hanno diritto annualmente ad una recensione gratuita di un libro edito che sarà
pubblicata sulla rivista e sul sito Internet nella pagina personale - Inviare i libri direttamente ai critici letterari
con lettera di accompagnamento contenente indirizzo, numero di telefono, breve curriculum e numero della
tessera associativa a Carta e Penna. z Gli autori che non sono associati a Carta e Penna e richiedono una
recensione dovranno versare un contributo economico variabile a seconda del tipo di libro e quindi dovranno
contattare la Segreteria dell’Associazione telefonando allo 011.434.68.13 oppure al 339.25.43.034 oppure
scrivendo a Carta e Penna, Servizio Recensioni - Via Susa 37 - 10138 Torino o all’indirizzo e-mail
[email protected]. z Il materiale inviato non viene restituito
z
PACIFICO TOPA
Via S. Paterniano, 10
62011 Cingoli (MC)
OPINIONISTA:
GUIDO BAVA
via Dante 9 13900 Biella
[email protected]
(Inviare solo libri di poesia editi)
DE LUCA Cinthia
Via Badia di Cava, 62
00142 - Roma
e-mail: [email protected]
TESTATE CHE COLLABORANO CON
CARTA E PENNA E IL SALOTTO DEGLI AUTORI
Per l’inserimento contattare la redazione - Si richiede e si offre la disponibilità all’inserimento di estratti
dei bandi di concorso e/o iniziative culturali intraprese T e sta ta
In d irizzo
R e sp o n sa b ile
D ib a ttito D e m o c ra tic o
P ia z z a S a n F ra n c e sc o , 6 0 - 5 1 1 0 0 Pis toia
E n z o C a b ella
G li A rtis ti de l gio rn o
V ia S a n P ietr o , 8 - 1 2 0 1 2 B o v e s ( C N )
C a rlo D i B e n e d etto
Il C on v iv io
V . Pie tra m a rin a -V e rze lla 6 6 - 9 5 0 1 2 C a s tiglio n e d i S icilia
E n z a C o n ti
Il L a b o r a to rio d el S e g n alib ro
V ia U g o d e C a rolis , 7 0 – 0 0 1 3 6 R o m a
B ru n o Fo n ta n a
Il M u lin o le tte ra rio
H o fs tras s e ,1 0 7 7 7 8 7 N o rd ra c h (G e rm a nia )
A n to n io P e s ciaio li
L a G rinta
V ia P a cin o tti, 1 6 - 1 3 1 0 0 V e rc elli
S te fa n o D i T a n o
L e N u v o le
V ia E n e a , 4 7 - 8 0 1 2 4 N a p o li
M a r ia Pia D e M a rtin o
L e V oc i
C .P . 1 2 4 - 8 0 0 3 8 P o m iglia n o d ’A rc o ( N A )
C la u dio P e rillo
N o ia ltri
V ia C . C olo m b o , 1 1 /a – 9 8 0 4 0 – P e lleg rin o (M E )
A n d re a T r im a rc hi
P o e ti n ella S o cie tà
V ia P a rrillo , 7 - 8 0 1 4 6 N a p oli
P a s q u a le F ra n cisc h e tti
P re s e n z a
V ia P a lm a , 5 9 - 8 0 0 4 0 S tria n o ( N A )
L u igi P u m b o
R n o te s di R u b e ttin o E dito re
V ia A . V o lta , 1 6 - 8 7 0 3 0 R e nd e ( C S )
F u lvio M a z z a
S c o rpio n e L e tte r ar io
C a s e lla p o s tale , 7 4 0 - P a d o v a
A n to n ia A rsla n
S ila rus
V ia B . B u o z zi, 4 7 - 8 4 0 9 1 B attip a glia (S A )
P ie tro R o c c o
V e rs o il fu tu ro
C a s e lla P o s tale 8 0 - 8 3 1 0 0 A v ellin o
N u n z io M e n n a
- 59 -
I l S alotto degli A utori
L’associazione culturale CARTA e PENNA bandisce la terza edizione del Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa
Il Concorso degli
«ASSI»
POTRANNO
La cadenza del concorso è biennale e PO
TRANNO
ISCRIVERSI SOLO AUTRICI E AUT
ORI
CHE
SI
SIANO
AUTORI
CLASSIFICA
TI AI PRIMI TRE POSTI IN UN CONCORCLASSIFICATI
SO LETTERARIO - È necessario allegare fotocopia della
lettera di comunicazione del piazzamento ottenuto
oppure copia dell’articolo di una rivista letteraria che
dia esauriente resoconto della manifestazione con i
nominativi dei vincitori, o copia del diploma - Le opere presentate dovranno essere tassativamente le stesse
che hanno avuto un piazzamento nei primi tre posti
dei concorsi nazionali e internazionali.
Le opere devono pervenire dattiloscritte o chiaramente
compilate in stampatello in tre copie di cui due anonime e una con indirizzo, telefono e dati anagrafici
dell’Autore. Si prega di allegare il file di testo con Cd,
floppy disk o inviarlo con e-mail a
[email protected] (Il supporto sarà utilizzato per la realizzazione dell’antologia - Le opere
mancanti non saranno inserite)
Gli elaborati dovranno essere inviati entro e non oltre
il 31 dicembre 2008 al seguente indirizzo: Associazione Culturale CARTA e PENNA - Via Susa 37 - 10138
Torino Farà fede il timbro postale.
Per partecipare al Concorso sono state fissate le seguenti quote:
Sez. 1 - POESIA: 10 euro per l’invio di una sola poesia
12 euro per l’invio di due poesie; 15 euro per l’invio di
tre poesie.
TIVA: 10 euro per l’invio di un racconSez. 2 - NARRA
NARRATIVA:
to, 12 euro per due racconti; 15 euro per tre racconti.
Gli associati di Carta e PPenna
enna hanno diritto a uno
sconto di 5 euro su tutte le sezioni.
Le quote dovranno pervenire tramite:
-bollettino di versamento sul c.c. postale n, 43279447
(CAB 01000 - ABI 07601) intestato a Carta e Penna;
-contanti;
-assegno non trasferibile intestato a Carta e Penna;
Allegare inoltre un breve curriculum, entro un massimo di 5 righe.
zione al Concorso costituisce espressa autorizzazione
a un’eventuale pubblicazione e non darà diritto ad
alcun compenso per i diritti d’autore. La premiazione
avverrà in data da destinarsi che sarà comunicata tempestivamente ai vincitori. Ai partecipanti saranno comunicati l’esito, la data e il luogo della Premiazione,
durante la quale saranno lette le opere vincitrici. I
vincitori che non potranno ritirare il premio assegnato potranno delegare
una persona di fiducia o, su richiesta, riceverlo a casa
con spese a carico del destinatario.
Il Comitato organizzatore potrà apportare, al presente regolamento, le opportune modifiche per il buon
esito della manifestazione.
PREMI:
Primo Premio: pubblicazione di un libro di 56 pagine
con omaggio di 100 copie all’autore;
Secondo Premio: pubblicazione di un libro di 56 pagine con omaggio di 75 copie all’autore;
Terzo Premio: pubblicazione di un libro di 56 pagine
con omaggio di 50 copie all’autore.
I libri saranno muniti di codice ISBN, stampati su carta avorio, copertina a colori, con dimensione 15 x 21
circa.
Medaglia ricordo e attestato per 5 menzioni d’onore
e per 5 segnalazioni di merito per ogni sezione. Saranno inoltre predisposte pagine internet per segnalati e menzionati al sito www.cartaepenna.it
Gli organizzatori si riservano la facoltà di pubblicare
un’antologia delle opere partecipanti al premio; sarà
cura della Segreteria avvisare i concorrenti interessati.
I dati personali saranno trattati in ottemperanza alla
legge sulla privacy. Per ogni altra informazione:
www.cartaepenna.it [email protected] Le opere inviate non saranno restituite. La partecipa- Tel. 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034
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