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romanza da salotto

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romanza da salotto
L’Opera in Salotto - La Romanza da Camera nell’Ottocento
di Valter Carignano
con la partecipazione di Maria Cirstea, mezzosoprano; Paolo Audello, tenore;
Eva Carazzolo, pianoforte
Conferenza-concerto tenuta il 22 febbraio 2012 presso la Libreria La Feltrinelli
di via Roma 84, a Torino. La trascrizione è necessariamente parziale, in quanto
alcune delle cose dette prendevano direttamente lo spunto dai brani eseguiti o da
loro particolari interpretazioni vocali, ma abbiamo deciso di renderla disponibile
ugualmente nella speranza che chi legge trovi materiale interessante.
Durante la conferenza sono stati eseguiti brani di Bellini, Donizetti, Tosti.
Quello che sul conto dell'opera Armando il Gondoliero di Chiaromonte deve dirsi
innanzitutto, si è l'andar essa esente da quei difetti, di cui tanto abbondano d'ordinario
le opere de' compositori esordienti.
Vogliamo dire che non v'hanno lungaggini, che non v'hanno esuberanze di nessuna
sorta, che non v'hanno quelle puerili leccature di stile, che fanno tanto effetto nelle
canzonette per camera, e che annoiano tanto, applicate alle vaste proporzioni dell'opera.
La musica da camera è oggi assai coltivata in Roma, specialmente nelle due forme più
popolari, canto e piano e pianoforte solo.
Non vi è casa che non conti uno o più dilettanti; in tutte le società si canta e si suona; la
conversazione, tanto cara ai nostri nonni, ha ceduto il posto alla musica; appena venti
persone sono riunite in una sala, e subito si apre il pianoforte e s’improvvisa un
concerto.
In questi concerti (...) la parte vocale quasi sempre predomina.
Non c'è altro paese dove la musica vocale per camera sia tanto coltivata come qui in
Napoli.
Ho scelto d’iniziare questo incontro sulla musica vocale da camera
dell’Ottocento, con tre citazioni di giornali dell’epoca, e questo per diversi
motivi. Il principale dei quali è forse che per molti anni, più o meno dal 1920 al
1980 o quasi, tutto questo patrimonio musicale era o sconosciuto o liquidato dai
nostri musicologi con disprezzo, un tanto al quintale, considerato musica facile,
senza alcuna profondità, con melodie scontate e nessuna ricerca armonica.
Peggio di una brutta canzonetta, peggio di un tormentone estivo, verrebbe da
dire peggio anche di San Remo, essendo il festival appena concluso... E, fra gli
altri, proprio il peraltro esimio musicologo torinese Andrea della Corte era fra
coloro che giudicavano in modo particolarmente duro quest’intero genere,
salvando soltanto pochissimi fra i brani a lui noti.
Le ragioni per cui la romanza da camera di buona parte dell’Ottocento è stata
così odiata dagli ‘intellettuali della musica’ possono essere molte e certo non
abbiamo la speranza in questo nostro breve incontro di comprenderle o
spiegarle del tutto. Con ogni probabilità, ci azzardiamo a dire, c’era un certo
timore di essere considerati provinciali e volgarotti ad apprezzare la freschezza
e talvolta anche l’ingenuità di composizioni brevi, dalla melodia semplice e
orecchiabile, scritte mentre fuori d’Italia già stavano per nascere le avanguardie
e anche la musica vocale era vicina a sperimentare nuove strade. C’era il rischio
di sentirsi stupidi, sorpassati, insomma un po’ ridicoli.
Sicuramente, fra le migliaia di brani scritti e stampati all’epoca, alcuni avranno
avuto maggior valore di altri, alcuni saranno stati ‘arte’ e altri ‘basso artigianato
di consumo’, ma tutto ciò era assolutamente normale e connaturato a un
mercato che richiedeva ogni giorno composizioni nuove. Lo stesso discorso
d’altra parte vale anche per l’opera lirica: se noi andiamo a vedere i cartelloni
dei teatri di quegli anni, accanto ai titoli ancora oggi in repertorio sono presenti
una sterminata quantità di opere e autori oggi completamente dimenticati, o
anche lavori di autori molto noti come Bellini o Donizetti o Mascagni e
Leoncavallo (giusto per buttare lì qualche nome) che oggi non vengono
assolutamente più rappresentati, ma che all’epoca avevano ottenuto un buon
successo.
E fra questi, per esempio, quell’Armando il Gondoliero del compositore
Chiaromonte, di cui parla nel 1851 la rivista L’Italia Musicale, la nostra prima
citazione. Per inciso e per rendere l’idea, L’Italia Musicale era una rivista molto
importante e seguita non solo dagli appassionati, e l’editore Lucca di Milano
uno dei più attivi nella stampa e diffusione di brani da camera e d’Opera,
l’unico per molti anni a poter fare concorrenza alla casa editrice Ricordi.
La seconda citazione era invece tratta da Roma Musicale, di Giuseppe Zuliani,
del 1878; e la terza dalla Gazzetta Musicale di Napoli, nel 1857.
Milano, Roma, Napoli... anche in tempi in cui l’Italia unita non esisteva ancora,
sembra però che ci fosse una certa uniformità di gusti e consuetudini.
Rimaniamo quindi a Napoli, per iniziare a parlare del primo dei tre autori che
prenderemo in considerazioni oggi, e tramite loro parlare di alcuni aspetti della
vita sociale dell’epoca e della particolare forma musicale che è la romanza da
salotto.
L’autore è Vincenzo Bellini, catanese, che però compie i suoi interi studi a
Napoli. Sentiamo cosa dice di lui Francesco Florimo, compositore, intellettuale e
amico di molti musicisti napoletani fra cui Bellini stesso:
Ciò che sin da' prim’anni lo rendeva degno d'attenzione, era un frequente passare dalla
gioia alla tristezza, senza alcuna apparente ragione; e rimasta collo scorrer degli anni la
sola forza dell'indole, prese un'aria di dolce malinconia, argomento di finissima
sensibilità e squisito sentire.
(...)
Divenuto nel 1824 primo maestrino tra gli alunni, ebbe il privilegio di poter andare in
teatro nel giovedì e nella domenica di ogni settimana. Rappresentavano allora nel teatro
San Carlo quella colossale opera del Rossini ch'è la Semiramide (…)
Rimase Bellini nell'udirla talmente colpito, che nel ritirarsi in collegio dopo il teatro con
me e con altri compagni, a noi che disputavamo sulla maggior bellezza di questo o
quell'altro pezzo, egli ci rivolse tristi parole di sconforto, perché non gli pareva che si
potesse più scrivere buona musica dopo quella classica del Rossini.
(…)
Pure, stimolato dal pensiero della gloria che ogni dì più s'accendeva in lui, e dal proprio
genio che lo agitava, raddoppiò i suoi studi, e cominciò prima a scrivere una romanza
per contralto: Dolente immagine di Fille mia, che pubblicata per le stampe ebbe buona
accoglienza.
Secondo Florimo, il testo di questa sua romanza gli venne fornito da Maddalena
Fumaroli, ragazza di buona famiglia di cui era stato insegnante e di cui era
innamorato. I genitori della ragazza, tuttavia, non vedevano di buon occhio
l’unione della figlia con quello che allora non era altro che poco più di uno
studente, e interruppero quindi le lezioni di musica.
I due innamorati però continuarono a scriversi, e sembra che in una di queste
lettere fosse contenuto il testo del brano che ora ascolteremo.
Alcuni studiosi, in seguito, misero in dubbio le parole di Florimo, e attribuirono
invece questo testo ad un altro insegnante della ragazza, il maestro di lettere
Giulio Genonio. Certo che la cosa in questo modo diventa complicata: Genonio,
per motivi ignoti, scrive questa poesia per la ragazza, oppure la scrive a lei
direttamente (ne era forse innamorato anche lui? mistero!) al che Maddalena la
ricopia e la manda al giovane Vincenzo suo innamorato dicendo che l’ha scritta
lei stessa... oppure dicendo che l’ha scritta Genonio, e allora è Bellini che mente
all’amico Florimo dicendogli che l’ha scritta Maddalena per lui... mi sembra un
pasticcio inutile, tanto più che l’amore fra i due giovani in quel periodo era
palese e assolutamente indubitabile.
La paternità del testo comunque in questo caso non è così importante, specie
poi dato il fatto che anche altre composizioni da camera di Bellini sono di
autore ignoto. Importa invece analizzare brevemente questo brano e per suo
tramite definire alcune di quelle che erano e furono sempre le caratteristiche
della romanza da camera o ‘da salotto’, pur in tutte le sue diverse articolazioni,
periodi e denominazioni, fosse un ‘notturno’, una ‘barcarola’, una ‘canzone’,
una ‘melodia’ o altro ancora.
Innanzitutto una melodia semplice e orecchiabile, derivante da un’idea
musicale chiara. La melodia che abbiamo appena ascoltato lo era davvero
molto, semplice - si tratta di poco più di un arpeggio di mi minore - ma bisogna
dire che quasi tutte le melodie di Bellini, anche quelle delle opere, tendono a
questo tipo di semplicità: per i suoi estimatori è aurea, mentre per i suoi
detrattori è semplicemente indice di mancanza di fantasia. E tuttavia non si può
negare che questo brano scorra piacevolmente, nonostante l’estrema povertà dei
mezzi utlizzati.
Intorno all’idea musicale si costruisce l’intero brano, oppure se ne aggiunge
un’altra - più melodica - in funzione di ritornello. La romanza di norma è
breve, massimo tre o quattro minuti, o anche meno come per esempio
quest’altro brano, sempre di Bellini.
Anche il testo delle romanze deve essere semplice e immediato, specie nella
prima metà del secolo, anche se in più di qualche caso per noi oggi risulta un
poco stereotipato e con qualche luogo comune.
Una canzone di qualche anno fa diceva dammi tre parole: sole cuore amore, e nel
1877 il critico Filippo Filippi - che peraltro apprezza molto la romanza da
camera in generale - si lamenta che nelle romanze italiane laguna continui
immancabilmente a fare rima con luna... corsi e ricorsi della storia!
Ma prima di continuare e vedere perché il parallelo fra i brani degli autori
Ottocenteschi e una canzone pop del nostro tempo non sia così folle come si
potrebbe pensare, ascoltiamo un brano del secondo fra gli autori di oggi,
Gaetano Donizetti. Abbiamo parlato di luna e laguna, e allora chi meglio di un
marinaio...?
Magari a qualcuno ha dato un po’ fastidio che accennassi al paragone fra le
nostre ‘canzonette’ e la romanza da salotto. Voglio cercare di spiegarmi bene:
ricordiamo allora le citazioni con cui abbiamo iniziato, in cui si accennava a una
certa diffusione della pratica di ‘intrattenimenti da salotto’, cioè al fatto che
fosse assolutamente normale che durante gli incontri mondani qualcuno degli
invitati o gli stessi padroni di casa si ponessero al piano o al flauto traverso
(altro strumento molto popolare all’epoca) o ancora cantassero per gli altri
convenuti e ospiti.
Questi incontri in genere si svolgevano in giorni fissi della settimana in ognuno
dei diversi salotti della media e alta borghesia e anche della nobiltà. Per
esempio, a Roma c’erano appuntamenti nelle residenze della principessa
Pignatelli, dei duchi Caetani di Sermoneta e di molti altri; non si trattava di veri
e propri ricevimenti o feste, ma di occasioni di incontro in un certo senso quasi
informali - certo, per quello che poteva esserlo un pomeriggio a casa di una
principessa... - ai quali erano invitati e cui partecipavano volentieri anche artisti
come il pianista Franz Liszt o i famosi cantanti Adelaide Ristori, Rubini o
ancora compositori: Verdi, Donizetti, Sgambati, Costa e via dicendo.
Vi erano poi anche concerti più ‘ufficiali’, nelle stesse residenze o organizzati da
ambasciatori, ministri, compositori e concertisti stessi, i quali poi amavano
organizzare nei loro stessi salotti incontri che potremmo definire fra il mondano
e il musicale. Fra questi, per esempio, Gioachino Rossini che a Parigi spopola
con le sue Soirèes Musicales cui tutti vorrebbero partecipare, e nelle quali si
esegue musica sua scritta appositamente (e quindi in seguito pubblicata,
essendo Rossini sempre stato molto attento al lato economico e commerciale
della sua produzione). Oppure, in Italia, il salotto di Francesco Paolo Tosti, di
cui parleremo come terzo autore di oggi, cui partecipavano anche poeti e
intellettuali del calibro di Gabriele D’Annunzio.
E poi, ancora, i salotti e le case dell’alta e media borghesia nei quali - pure con
ovvio minore sfarzo e profluvio di mezzi - si svolgevano gli stessi riti sociali,
anche favoriti dall’invenzione e soprattutto dalla produzione e
commercializzazione in grandi quantità - proprio in quegli anni - del pianoforte
verticale, che rispetto a quello a coda occupava meno spazio e sopratutto
costava molto meno.
La musica e il canto erano inoltre considerati importanti non solo come svago
ma anche - letteralmente - come esercizio di benessere quotidiano. La Gazzetta
Musicale di Napoli, in un altro articolo, dice infatti chiaramente come le romanze
da camera siano un ottimo esercizio per lo spirito ma anche per il fisico, per
tenere in esercizio la voce, e come tutto ciò contribuisca alla salute generale
della persona. Insomma, si potrebbe dire che cantare non era da meno che oggi - andare a fare jogging in un parco cittadino.
E’ in questo senso, nel senso di pratica condivisa da diverse classi sociali, di
presenza costante e importante nella vita sociale e personale degli uomini e
delle donne dell’epoca, che la romanza da salotto e dei suoi autori può essere
paragonabile alle ‘nostre’ canzoni e alla notorietà dei ‘nostri’ cantanti di musica
moderna. Un fatto sociale, oltre che musicale.
Al di là del valore artistico - ognuno giudichi in base ai propri gusti, e chissà fra
i brani che oggi passano in radio quanti saranno ancora ascoltati fra cent’anni la principale differenza è che oggi quasi tutti si limitano ad ascoltare, ad essere
spettatori, mentre all’epoca si era quasi sempre protagonisti, anche se solo in un
salotto. A mio modesto parere, non è un gran miglioramento.
Questo brano era di Francesco Paolo Tosti, compositore che nasce nel 1846.
Vincenzo Bellini muore undici anni prima, Donizetti a quell’epoca era già quasi
completamente pazzo, e sarebbe morto nel 1848.
Tosti è quindi un compositore successivo, e la ragione per la quale ne parliamo
oggi non è quindi cronologica. Infatti, insieme e oltre a Bellini e Donizetti
c’erano infatti altri grandi e noti compositori d’Opera che scrivevano romanze
da camera: il già citato Rossini, Mercadante, Verdi, e molti altri oggi dimenticati
o quasi, alcuni di loro ricordati per un brano solo, come Enrico Toselli con
Rimpianto o Luigi Arditi con Il Bacio o Stanislao Gastaldon, nato a Torino, con
Musica Proibita, che per il loro alto livello meriterebbero trattazioni più
approfondite. Ma quello che c’interessa oggi è dare uno sguardo d’insieme a
un’epoca e a un genere musicale, e forse ci saranno occasioni successive per
approfondirlo.
Con Tosti, si può dire che la romanza da salotto italiana arriva alla fine della sua
storia, e per molti anche al suo massimo compimento; dopo di lui, morto nel
1916, ne verranno scritte poche e si comincerà ad andare verso altri generi, più
vicini alle nuove esigenze radiofoniche e cinematografiche: è l’epoca del Trio
Lescano, di Bixio e delle sue canzoni (Il Tango delle Capinere, Mamma), di Gino
Bechi e di Beniamino Gigli.
Ma non è una fine ingloriosa o sottotono, quella della romanza da salotto. Le
centinaia di composizioni scritte da Tosti lo rendono famoso e riverito in tutta
Europa, lui che non ha mai scritto se non per voce e pianoforte - senza nessuna
‘incursione’ nel mondo dell’Opera - è noto al pari di Puccini, le sue melodie
vengono cantate per molti anni e alcune di esse saranno apprezzate anche da
quei critici - l’abbiamo accennato all’inizio - che ritenevano la romanza da
salotto un momento imbarazzante della storia musicale italiana.
Collabora con grandi poeti, come appunto il già citato Gabriele D’Annunzio,
ma anche con autori molto meno noti. Ascoltiamo ancora un brano di Tosti e
D’Annunzio, come il precedente, e poi parleremo un poco del rapporto fra
musica e poesia nella romanza da salotto.
In effetti, il rapporto fra la poesia e la musica, in Italia e in questo periodo, è
diverso rispetto ad altri paesi europei: in Francia e nei paesi di lingua tedesca è
normale per i compositori utilizzare Baudelaire o Goethe o Heine, cioè i
maggiori poeti contemporanei, mentre in Italia in pratica nessuno mette in
musica Manzoni, Foscolo, Leopardi, e anzi spesso ci si rivolge a poeti meno
noti, a volte anche nomi che sarebbero a noi rimasti sconosciuti se il loro testo
non fosse stato musicato.
Nella bibliografia suggerirò alcuni testi che cercano di chiarire questo punto,
per chi fosse interessato: per ora basti dire che la forma e la metrica per esempio
del verso libero leopardiano rendevano difficile comporre melodie che fossero,
come abbiamo detto, semplici e immediate (il che non vuol dire banali o
scontate) e quindi si preferivano soluzioni più tradizionali e legate alla
consuetudine del libretto operistico.
A inizio ottocento e fin verso il 1830 venivano ancora utilizzate con una certa
frequenza le poesie di Metastasio, musicate decine e decine di volte sin dalla
metà del Settecento, o loro copie. Questi testi avevano il vantaggio di essere
brevi, di estrema regolarità nel verso - cosa che aiutava il compositore nella
divisione in frasi e in battute - ed erano inoltre al tempo stesso chiari ma anche
sufficientemente vaghi da essere adatti un po’ a ogni occasione.
Per esempio:
Chi vive amante
sai che delira,
spesso si lagna,
sempre sospira
né d'altro parla
che di morir.
oppure
La fede degli amanti
è come l'araba fenice:
che vi sia ciascuno lo dice,
dove sia nessuno lo sa.
Qualche volta si utilizzano anche poeti importanti, come fa il compositore Luigi
Cherubini con Torquato Tasso, ma sono casi rari. Piuttosto, si sfrutta anche la
poesia dialettale o popolaresca, molto spesso il dialetto napoletano sia per
consuetudine (in molte opere buffe vi sono personaggi che parlano in
napoletano, essendo l’opera buffa nata a Napoli) sia perché, come abbiamo
visto all’inizio, a Napoli la romanza da salotto era molto coltivata e questo
forniva un ampio mercato per compositori ed editori.
Autore di questo brano era Gaetano Donizetti, che in una lettera ad un amico
diceva che poteva scrivere diversi di queste romanze nel tempo che ci metteva
per cuocere il riso... Ora, anche immaginando che il riso fosse integrale, e che ci
mettesse una quarantina di minuti a cuocere, rimangono poco più di dieci
minuti per brano; per un autore che scrisse l’intero Elisir d’Amore in tre o quattro
giorni, in effetti poteva non essere un lavoro impossibile.
D’altra parte, come abbiamo detto, era necessario che i brani da salotto fossero
melodicamente ben definiti e gradevoli ma anche semplici, dal punto di vista
musicale, e questo favoriva i compositore che possedevano una buona vena
melodica. Semplici, tuttavia, non significa necessariamente facili da cantare e
credo meriti spendere qualche parola a questo riguardo.
Abbiamo visto come fosse ritenuto importante ‘tenere in esercizio la voce’, e
d’altra parte la musica era un momento fondamentale dell’educazione di ogni
ragazzo e specialmente ragazza di buona famiglia o nobile. La carriera come
cantante era certo vista come disdicevole e non adatta né ad un borghese né
tantomeno ad un nobile, ma questo non significava che non si desiderasse di
ottenere buoni risultati tecnici, non fosse altro che per mettersi in mostra nel
salotto, appunto, magari cantando anche le arie che si erano ascoltate il giorno
prima al teatro dell’Opera e quindi di una certa difficoltà. Saper cantare bene
era importante anche dal punto di vista delle relazioni sociali.
Se Donizetti era velocissimo nello scrivere, chi invece componeva molto
lentamente, era Bellini. Il quale, fra l’altro, pretendeva di esser pagato il doppio
o anche più rispetto agli altri compositori, anche del suo amico-rivale Donizetti
stesso, dicendo appunto che visto che lui ci metteva dieci volte il tempo degli
altri a scrivere un’Opera, allora doveva ricevere più denaro... beh, qualche volta
ebbe fortuna, con questo ragionamento - che definirei interessante, specie in
momenti come quelli attuali in cui si discute molto di mercato del lavoro qualche volta un po’ meno, Certo è che i soldi non gli mancarono, una volta
divenuto famoso.
La romanza è il breve racconto di un amore, per lo più sventurato.
Questa una descrizione dell’epoca, lapidaria ma in effetti accurata, se andiamo
ad analizzare la grande quantità di brani che parlano, appunto, di amori infelici
rispetto a quelli, invece, che narrano di altri argomenti o addirittura di amori
felici!
E allora terminiamo con un amore infelice, con un’innamorata lontana
dall’amato (anche se il finale sembra far pensare a un ricongiungimento) scritto
da Donizetti forse bevendo un caffè, o magari in una pausa in teatro... chissà?
Bibliografia
- Francesco Florimo - Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli. Tipografia di Lorenzo Rocco, 1871
- L’Italia Musicale. Lucca Editore.
- La rivista Europea. 1871
- Metastasio - Opere
- Filippo Cicconetti - Vita di Gaetano Donizetti. Tipografia Tiberina, 1864
- Gaetano Donizetti - Lettere
- Corrado Ambiveri - Operisti minori dell’Ottocento. Gremese, 1988
- Lorenzo Bianconi - Il teatro d’Opera in Italia. Il Mulino, 1993
- Aa.Vv. - La romanza Italiana da Salotto. EDT, 2002
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