trattamento conservativo nella patologia degenerativa
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trattamento conservativo nella patologia degenerativa
Università degli Studi di Genova Facoltà di Medicina e Chirurgia CORSO DI LAUREA IN FISIOTERAPIA Tesi di laurea TRATTAMENTO CONSERVATIVO NELLA PATOLOGIA DEGENERATIVA DELL’ARTICOLAZIONE TRAPEZIO METACARPALE Anno Accademico 2007/08 Candidato: Relatore: ANDREA PASSALACQUA dottor LORIS PEGOLI ………………………………………………………………………….. prof. PATRIZIA DEL CARRETTO ……........................................................................................................... Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno, e il mio maestro sorrise di tanto; e più d’onore ancora assai mi fenno, ch’è si mi fecer de la loro schiera, sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. Così andammo infino a la lumera, parlando cose che ‘l tacer è bello, sì com’era ‘l parlar colà dov’era. Dante Alighieri Inferno, canto IV vv. 97-102 2 INDICE 1 2 3 INTRODUZIONE FILOGENESI DELLA MANO ANATOMIA 3.1 La colonna osteo-articolare del pollice 3.2 I muscoli motore del pollice 3.3 Innervazione del pollice I MOVIMENTI DEL POLLICE E LE MODALITA’ DI PRENSIONE 4.1 Biomeccanica del I° raggio 4.2 Mezzi di unione dell’articolazione TM: legamenti e muscoli 4.3 I movimenti del pollice 4.4 Modalità di prensione RIZOARTROSI 5.1 Che cos’è? 5.2 Epidemiologia 5.3 Teorie etiogeniche 5.4 Sintomatologia 5.5 Diagnostica per immagini 5.6 Quadro radiografico – Classificazione di Eaton 5.7 Diagnosi differenziale TRATTAMENTO CONSERVATIVO 6.1 Gli obiettivi del trattamento conservativo 6.2 Gli strumenti del trattamento conservativo 6.3 Valutazione del paziente 6.4 Terapia occupazionale ed economia articolare 6.5 Tutorizzazione 6.6 Esercizio muscolare 6.7 Kinesio-taping 6.8 Tecniche di manipolazione 6.9 Massaggio 6.10 Termoterapia 6.11 Terapia fisica 6.12 Terapia farmacologia 4 5 9 9 11 14 16 16 23 28 29 33 33 33 34 36 41 42 43 44 45 46 46 51 62 69 75 77 78 83 84 85 7 PRESENTAZIONE DELLO STUDIO 89 8 RISULTATI 92 9 DISCUSSIONE 99 4 5 6 10 CONCLUSIONE 100 11 ALLEGATO 101 BIBLIOGRAFIA 108 3 1. INTRODUZIONE La chirurgia e la riabilitazione della mano stanno seguendo in questi decenni un percorso parallelo tra loro ed innovativo rispetto agli altri campi della medicina: l’aumentata domanda bio-psico-sociale della qualità della vita ha richiesto alla medicina riabilitativa di affrontare non solo più la gestione e gli esiti dei grossi traumi della mano ma anche una risposta efficace nei confronti delle patologie degenerative. Questi quadri clinici, che un tempo erano definiti come propri dell’età più avanzata, oggi rappresentano il campo di azione della chirurgia e della riabilitazione della mano: appare evidente come ogni gesto della vita quotidiana possa essere inficiato da deformazioni degenerative che incidono negativamente sull’autonomia e la qualità di vita del paziente. Deve anche essere tenuto in considerazione la minore tolleranza all’invecchiamento della società moderna ed all’accettazione dei problemi che esso comporta. A differenza degli altri distretti anatomici, la mano comporta un approccio ed una gestione del caso clinico molto impegnativo per via della dimensione delle sue componenti, della vicinanza tra loro e dal grande numero di strutture che insieme determinano una capacità funzionale illimitata. Proprio questa peculiarità richiede all’operatore sanitario, sia esso infermiere, fisioterapista o medico chirurgo un’intima conoscenza della mano: a tutt’oggi la formazione universitaria di base non prevede un adeguato approfondimento di tali argomenti, che devono necessariamente essere ampliati dall’operatore tramite percorsi formativi post-laurea o di specializzazione. 4 2. FILOGENESI DELLA MANO La mano ha consentito all’uomo di plasmare l’ambiente intorno a sé in modo più incisivo delle altre specie animali. La duttilità della mano è il risultato di migliaia di anni di evoluzione e contraddistingue l’uomo sia per le caratteristiche anatomiche sia per quelle funzionali. Il millenario percorso evolutivo si ripresenta durante la gestazione e raggiunge il suo apice dopo alcune settimane: - quinta settimana: si abbozzano gli arti, prima i superiori e poi gli inferiori, come piccole appendici provviste di una spatola terminale; - sesta settimana: l’abbozzo della mano è evidente per la comparsa di un solco circolare; - settima settimana: le solcature radiali diventano evidenti e preludono alla formazione delle dita; - ottava settimana: le dita si separano per il riassorbimento del tessuto tra i solchi. Tuttavia, l’anatomia comparata, dopo gli studi di Darwin (fine ‘800), ha messo in evidenza quanto lo sviluppo embrionale sia comune rispetto altri classi del mondo animale. È possibile infatti, evidenziare un piano morfogenetico comune a tutti gli arti per tetrapodi: nel caso delle ossa dell’arto anteriore, sia esso un braccio, un’ala, una pinna di foca o di un cetaceo, consistono di un omero prossimale, ulna e radio in posizione intermedia e di un complesso riconducibile al carpo in posizione più distale. Il vero punto di forza nell’incedere dello sviluppo e supremazia dell’uomo è legata alla simbiosi tra mano e corteccia telencefalica. L’interazione tra questi due organi è evidente se si pensa alla rappresentazione motoria e sensitiva della mano a livello corticale. Questa caratteristica è possibile solo grazie alla precoce simbiosi che si realizza già durante la gestazione del feto. Lo sviluppo integrato di corteccia e mano consente al feto di raccogliere numerose informazioni sul proprio corpo e lo spazio 5 circostante. Queste competenze motorie, per quanto elementari, permettono di trasmettere afferenze al sistema nervoso centrale (SNC). Ogni afferenza risulta significativa per la maturazione neuronale e consente un’evoluzione del movimento e della capacità sensoriale sempre più strutturata. La mano come strumento evolutivo della specie umana :struttura e particolarità Lo sviluppo del sistema SNC-mano ha permesso una dicotomia evolutiva tra l’uomo e le altre scimmie antropomorfe, che hanno condiviso solo una parte della linea evolutiva con l’uomo. La mano è, infatti, un sofisticato strumento messo a disposizione del cervello: questa esteriorizzazione gli offre la possibilità di investigare, plasmare, modificare o distruggere ciò che è al centro della sua attenzione. La possibilità di dei primati di avere, oltre una vita arboricola, anche una vita terricola, fa perdere alla mano la capacità di svolgere funzioni specializzate per divenire polivalente, grazie alla possibilità di un’ampia gamma di movimenti. Di conseguenza, il SNC necessita di uno sviluppo correlato alle nuove possibilità di movimento: compaiono nuove circonvoluzioni corticali ed aumentano le vie afferenti ed efferenti per le quali passano gli impulsi nervosi. La corteccia celebrale si sviluppa gradatamente, divenendo un organo di analisi fra i meccanismi di stimolo e meccanismi di risposta. L’arto superiore, nei diversi ordini e quindi diverse specie, si modifica adattandosi alle condizioni di vita ed ambientali in cui la specie si trova, privilegiando nel corso dei millenni soltanto alcune delle funzionalità possibili. L’acquisizione più importante è senza dubbio l’opponibilità del pollice. Esso consente alle scimmie di svolgere numerose funzioni, rendendo possibile la prensione e facilitando il movimento fra i rami. La possibilità di formare pinze bidigitali si è grandemente perfezionata dalle proscimmie fino all’uomo, attraverso tre passaggi fondamentali: 1. acquisizione dell’adduzione del primo dito al palmo della mano; 2. acquisizione di adduzione e anteposizione del pollice al palmo; 6 3. unione tra adduzione, anteposizione e pronazione l’ultima conquista consente di rivolgere il polpastrello del pollice a quello delle dita lunghe per effettuare pinze bidigitali. Questa capacità di movimento del primo dito deriva da una notevole differenziazione dell’articolazione trapezio-metacarpale e dei muscoli intrinseci della mano. La ricca innervazione propriocettiva di questi muscoli, permette al cervello un fine controllo, attraverso vaste zone di proiezione corticale. L’abilità nella manipolazione è la somma delle diverse capacità di base, determinate dall’evoluzione anatomica della mano e dalla possibilità di polivalenza della mano; tuttavia, non tutte queste hanno lasciato prove della loro effettiva esistenza nelle ere paleontologiche o archeologiche (fig. 1.1) Fig 1.1 – Ricostruzione della mano dello scimpanzè moderno, Homo habilis, Neanderthal, e una mano moderna. Mancano delle porzioni sia della mano dell’Homo habilis che del Neanderthal che sono state disegnate per completezza. Notare come la mano dell’uomo moderno sia dotata di ossa meno massicce e più affusolate rispetto ai suoi antenati Homo habilis e Neanderthal. A parte l’uomo, tutte le mani dei primati mostrano segni anatomici di specializzazione per due scopi: locomozione e prensione. L’uomo, adottando la posizione eretta, libera le sue mani da qualsiasi funzione locomotoria, il che determina notevoli cambiamenti anatomici e neurologici, aumentando e raffinando le capacità di presa. Le prese possono essere di forza o di precisione. Le prese di precisione non necessitano solo del movimento di opposizione del pollice, ma anche dell’inidpendenza di azione di ciascun dito. 7 Queste condizioni si realizzano nell’uomo, mentre nelle scimmie arboricole non si riscontra l’indipendenza di movimento delle dita, per cui la funzione principale è l’agganciamento durante la locomozione, cioè la presa con cui si appendono ai rami degli alberi. Osservando l’anatomia dei CERCOPITECIDI (babbuino) ed ANTROPOIDI (gorilla, scimpanzè, orango) si possono definire dotati di pollici relativamente opponibili e che consentono prese di forza e di precisione. Esse non sono necessariamente paragonabili a quelle dell’uomo. Infatti la presa di precisione delle scimmie differisceda quella dell’ujmo in quando si effettua tra il pollice e l’interfalangea prossimale delle dita lunghe. Questo tipo di presa dipende non solo da un minor sviluppo della muscolatura intrinseco della mano, ma anche dalla lunghezza totale del pollice che è assai più breve in rapporto alla lunghezza totale della mano. Nelle scimmie superiori la mano è notevolmente più lunga di quella umana; tuttavia, il pollice è assai corto e quindi, di scarsa utilità nei movimenti di presa. Inoltre, le dita sono in genere più lunghe del palmo e la mano nel suo insieme e più stretta in confronto a quella dell’uomo. In conclusione, appare evidente come le caratteristiche anatomiche abbiano indotto l’aumento delle dimensione delle aree cerebrali, che a loro volta hanno consentito uno straordinario grado di controllo della mano, che può essere definita come “esteriorizzazione del sistema nervoso centrale”. Questo ha consentito di raggiungere livelli di creatività sempre più alti nella manipolazione e nella progettazione di utensili o strumenti. Essa, inoltre, consente all’uomo di esplorare se stesso e gli altri, di comunicare e trasmettere emozioni, e plasmare il mondo circostante, a differenza delle altre specie che hanno dovuto adattare o arrestare il proprio sviluppo in base al loro habitat. 8 3. ANATOMIA DEL I° RAGGIO 3.1 La colonna osteo-articolare del pollice Essa comprende cinque parti ossee che costituiscono il raggio esterno della mano: • lo scafoide • il trapezio • il primo metacarpo • la falange prossimale (P1) • la falange distale (P2) Fig. 3.1 – Immagine radiografica standard di mano sinistra sul piano frontale. Lo scafoide è l’osso più radiale della prima filiera del carpo e si presenta a forma di chiglia di nave, da cui deriva il proprio nome. La sua faccia prossimale, convessa, si 9 articola con il radio; la faccia distale con il trapezio ed in parte con il trapezoide. La sua faccia volare è caratterizzata da un tubercolo molto prominente. Il trapezio ha forma cubica, di cui tre facce sono articolari. La faccia prossimale, concava, si articola con lo scafoide; la faccia distale ha forma di sella e si mette in giunzione con il 1° osso metacarpale; la faccia mediale è divisa da una cresta che si articola con il trapezoide e nella sua parte più distale con la base del 2° osso metacarpale. Il primo metacarpo presenta un corpo appiattito in senso antero-posteriore e più corto rispetto agli altri metacarpi delle dita lunghe. La base ha forma di sella mentre l’estremità distale è arrotondata e presenta una faccetta articolare asimmetrica (più alta sul lato ulnare) per la 1° falange delle dita. Le due falangi si differenziano solo per alcuni particolari: lunghezza e superfici articolari. Esse si articolano in un ginglimo angolare. L’articolazione trapezio-metacarpica (TM) presenta una capsula articolare che si inserisce sul contorno della superficie articolare. Essa è piuttosto lassa: questo consente un’ampia libertà di rotazione al metacarpo sul proprio asse longitudinale. Dalla capsula articolare si dipartono degli ispessimenti che danno luogo ai legamenti dell’articolazione TM (fig. 3.2). Essi sono: • legamento inter-metacarpico (LIM): particolarmente fibroso, spesso, corto; è teso tra la base del primo e del secondo metacarpo, nella porzione più alta della prima commissura; • legamento obliquo postero-interno (LOPI): bendelletta larga ma poco spessa, passa posteriormente all’articolazione, per portarsi medialmente alla base del primo metacarpo e dirigersi anteriormente; • legamento obliquo antero-interno (LOAI): teso tra la parte distale della cresta del trapezio e alla zona commisurale della base del primo metacarpo; esso incrocia la faccia anteriore dell’articolazione e si porta dorsalmente; 10 • legamento diritto antero-esterno (LDAE): si diparte dal trapezio alla base del primo metacarpo e sulla superficie antero-esterna dell’articolazione TM. Alcuni autori descrivono due porzioni di questo legamento: una superficiale ed una profonda (beak legament), particolarmente importante nello stabilizzare l’articolazione TM nei gradi di massimo movimento. Fig. 3.2 – I legamenti dell’articolazione TM visti anteriormente (A) e posteriormente (B). 3.2 MUSCOLI MOTORI DEL POLLICE Il pollice possiede nove muscoli motori (fig. 2.3). Questa ricchezza muscolare, maggiore rispetto a quella delle altre dita lunghe, giustifica la mobilità e la funzione essenziale di questo dito. Questi muscoli si dividono in due gruppi: • i muscoli estrinseci, o muscoli lunghi, in numero di quattro, alloggiati nell’avambraccio. Tre sono per movimenti di apertura della la presa, uno per la presa di forza; 11 Fig. 3.3 – A sinistra: superficie dorsale dell’avambraccio e della mano. Si notino i muscoli abduttore lungo, estensore lungo e breve del pollice. A destra: dopo la sezione dei piani superficiali, si espongono i muscoli flessore profondo delle dita lunghe e il flessore lungo del pollice. - ESTENSORE LUNGO DEL POLLICE: origina dal terzo medio della superficie posteriore dell’ulna e si inserisce sulla base della falange distale del pollice, sulla superficie dorsale. - ESTENSORE BREVE DEL POLLICE: origina dalla superficie posteriore della dialisi del radio e si inserisce sulla base di P1, sulla superficie dorsale. - ABDUTTORE LUNGO DEL POLLICE: origina dalla superficie posteriore della dialisi dell’ulna, dalla membrana interossea e dal terzo medio della diafisi del radio per inserirsi alla base del primo metacarpo, superficie radiale. - FLESSORE LUNGO DEL POLLICE: origina dalla superficie anteriore della diafisi del radio, dalla membrana interossea, dal processo coronoideo e dall’epicondilo mediale dell’omero. Si inserisce sulla base di P2, superficie palmare. 12 • i muscoli intrinseci in numero di cinque, contenuti nell’eminenza tenare, nel palmo e nel I° spazio interosseo. Essi sono necessari alla prensione ed all’opposizione. Questi non sono motori di potenza, ma, piuttosto di precisione. Fig. 3.3 – Muscoli intrinseci del pollice. Attraverso l’osservazione di quest’immagine è possibile notare le complesse strutture anatomiche che compongono la mano. Lo squilibrio di una o più componenti, può intaccare l’equilibrio funzionale della mano. - OPPONENTE DEL POLLICE: origina dal retinacolo dei muscoli flessori e dal tubercolo del trapezio, per inserirsi lungo l’asse longitudinale del primo metacarpo, sul lato radiale. - ABDUTTORE BREVE: origina dal retinacolo dei flessori e dai tubercoli di trapezio e scafoide; si inserisce alla base della falange prossimale del pollice, sul lato radiale. - FLESSORE BREVE: questo muscolo presenta un capo superficiale ed uno profondo. Il capo superficiale origina dal retinacolo dei flessori e dall’osso 13 trapezio; il capo profondo si diparte dall’osso trapezoide e dal capitato. L’inserzione è sulla base della falange prossimale del pollice, lato radiale. - ADDUTTORE: presenta fibre oblique e trasversali. Le prime originano dall’osso capitato e dalle basei del II° e III° metacarpo. Esso si inserisce sull’espansione degli estensori. Le fibre trasversali, invece, originano dalla superficie palmare del terzo osso metacarpale. Questo si inserisce sul lato ulnare della base della falange prossimale del pollice. - PRIMO INTEROSSEO DORSALE: presenta un capo laterale che origina dalla metà prossimale del margine ulnare del primo metacarpo. Il capo mediale si diparte dal margine radiale del secondo metacarpo. Essi si inseriscono sull’espansione degli estensori e sulla base della P1 del secondo dito. 3.3 INNERVAZIONE DEL POLLICE L’innervazione motoria del pollice è data dal nervo mediano e dal nervo ulnare. I muscoli di competenza del nervo mediano sono: • estensore lungo del pollice; • abduttore lungo del pollice; • estensore breve del pollice; • abduttore breve del pollice; • flessore breve del pollice; • capo superficiale del flessore breve del pollice; • opponente. Il nervo ulnare distribuisce rami motori a: • primo interosseo; • capo profondo del flessore breve del pollice; • adduttore del pollice. 14 La superficie palmare del pollice è innervata dal mediano. Dorsalmente l’innervazione è deputata al nervo radiale tranne la falange ungueale che appartiene al nervo mediano. Esiste la possibilità che nella superficie della tabacchiera anatomica sia presente un’anomalia della distribuzione nervosa a carico di un ramo del nervo radiale occasionale. Al di là delle considerazioni puramente anatomiche è importante considerare che la pelle della mano ha un apporto particolarmente prolifico di terminazioni nervose sensitive, che agiscono da recettori. La loro densità aumenta distalmente e in particolare sulle superfici di massimo contatto come nel caso del pollice. Il cervello riceve ed interpreta qualsiasi differenza tra gli impulsi generati dai recettori. È infatti importante che la sensibilità sia adeguata per rendere possibile l’esecuzione efficace dei movimenti. Qualsiasi deficit sensitivo ridurrà la performance così come qualsiasi difficoltà precoce nella performance motoria è probabile che riduca lo sviluppo della piena sensibilità. Fig. 3.4 – Innervazione di polso e mano. Legenda: nervo cutaneo mediale dell’avambraccio nervi cutaneo posteriore dell’avambraccio (dal nervo radiale) nervo cutaneo laterale dell’avambraccio (dal nervo muscolocutaneo) nervo ulnare nervo mediano 15 4. I MOVIMENTI DEL POLLICE E LE MODALITA’ DI PRENSIONE 4.1 BIOMECCANICA DEL I° RAGGIO Il pollice deve la sua peculiare funzionalità alle proprie caratteristiche anatomiche: esso è posizionato più prossimamente nel palmo rispetto alle altre dita e la sua composizione a 5 elementi, gli conferisce una lunghezza ottima per svolgere un’opposizione rapida, precisa e stabile. Esso, infatti, concilia agilità e stabilità indispensabili allo svolgimento di tutte le attività manuali che lo riguardano. La mobilità del pollice può essere paragonata a quella di un pendolo. Essa non si limita ad un movimento oscillatorio sul piano frontale, bensì è in grado di svolgere la sua azione su cinque piani di libertà, descrivendo così una traiettoria simile a quella di un’ellissi. Questa peculiare motilità è consentita dalle particolarità anatomiche dell’articolazione TM che, per questo motivo, è da sempre al centro di numerosi studi di biomeccanica. Nel corso dei decenni passati si sono susseguiti tentativi di descrizione: Fick e Fisher paragonano la superficie articolare del trapezio ad una sorta di carrucola su cui il metacarpo ha solo due possibilità di movimento estreme (fig. 4.1 A in alto e C in basso) ed una posizione intermedia (fig. 4.1 B) fig. 4.1 – Rappresentazione geometrica della teoria di Fick e Fisher; queste tre possibili posizioni non possono descrivere in modo esauriente l’ampia gamma di movimenti del pollice. In seguito Cornacchia propone di paragonare la porzione articolare del trapezio alla porzione di superficie di un corpo solido, simile ad un tronco di cono (fig. 4.2), su cui la base del primo metacarpo può scivolare, sia sulla faccia convessa, sia sulla faccia concava. 16 fig. 4.2 – Possibilità do movimento secondo la teoria di Cornacchia. La superficie convessa è descritta dall’asse fisso x-x’ del trapezio, mentre, la faccia concava, si trova alla base del metacarpo. Inoltre, l’autore descrive la rotazione (a,b,c) intorno all’asse longitudinale del metacarpo. Secondo questo schema, il metacarpo, spostandosi sulla faccia convessa del tronco di cono, descrive in tutte e tre le posizioni una figura conoide a base superiore, anche se con diametri differenti. Questo è possibile perché l’asse longitudinale del metacarpo conserva sempre alcuni gradi di obliquità rispetto all’asse fisso x-x’. Inoltre, ne consegue che lungo il corso dello scivolamento dei capi articolari, la base del pollice, e quindi anche il resto del primo raggio, passi da una posizione di anteposizione ad una opposta di retroposizione rispetto al palmo. Questi movimenti sono funzionalmente integrati alla rotazione del pollice: all’anteposizione si associa la pronazione, mentre, alla retroposizione si combina la supinazione. In conclusione, secondo Cornacchia, la TM è un’articolazione “a sella” con due assi di movimento, di cui uno fisso verticale passante per il trapezio sul quale avvengono il movimento di flessione ed estensione (ante e retroposizione), ai quali si accompagna sempre un movimento di rotazione spaziale rispettivamente nel senso della pronazione nell’anteposizione e della supinazione nel senso della retroposizione, ed un asse mobile passante per la base del metacarpo intorno al quale avvengono il movimento di abduzione ed adduzione ai quali però non si accompagna nessuna rotazione spaziale del metacarpo. Una successiva descrizione delle superfici articolari è stata presentata da Kuczynski nel 1974. Dall’osservazione diretta dell’articolazione TM egli descrive la superficie del trapezio concava in direzione antero-dorsale e convessa nel senso trasversale; la superficie metacarpica è inversamente conformata. Applicata sulla superficie a sella del trapezio, quella del metacarpo deborda alle estremità. Inoltre, viste di taglio, le superfici non si presentano totalmente concordanti. Tuttavia, la 17 coaptazione,risultante da un fermo contatto delle due superfici articolari l’uno contro l’altra, non permette alcuna rotazione sull’asse longitudinale del primo metacarpo, sempre secondo Kuczynski. L’autore compara l’articolazione TM ad una sella molle posta sul dorso di un cavallo scoliotico, con un angolo pari a 90°; questo spiega la rotazione del primo metacarpo sul suo asse longitudinale durante l’opposizione. Kapandji, negli anni immediatamente successivi, confuta l’analisi biomeccanica di Kuczynski perché ciò comporterebbe una lussazione completa dell’articolazione in un senso o in un altro, anche nel caso di una traslazione parziale. Egli propone la definizione di articolazione a sella: due superfici contrapposte ad incastro reciproco ma sempre con soli due assi principali di movimento ed uno complementare in rotazione. Fig. 4.3 – B: il cardano è composto da due segmenti che si articolano su due piani. A, C: rappresentazione dell’articolazione TM sul modello del cardano. A differenza del modello meccanico, la TM consente un basculamento maggiore delle superfici articolari. La rappresentazione di superfici sellari consente di descrivere una curvatura negativa. In altre parole, essendo le superfici articolari convesse in un senso, e concave nell’altro, non possono fermarsi su se stesse, come avviene per una sfera (esempio di curvatura positiva). Inoltre, le superfici sono definite appartenenti ad un toroide negativo che possiede due assi principali ortogonali e, di conseguenza, due gradi di libertà. Questa definizione è paragonabile al modello meccanico del cardano, articolazione a due assi perpendicolari che autorizzano movimenti in due piani ortogonali tra loro. Lo studio della meccanica del cardano mostra che le articolazioni a due assi possiedono una possibilità di movimento supplementare: la rotazione automatica del segmento mobile sul suo asse longitudine. Essa, in effetti, avviene per il primo metacarpo rispetto all’asse ortogonale passante per il trapezio. 18 Nell’articolazione TM si trovano due assi di movimento: • Un’asse sagittale perpendicolare al piano frontale del trapezio (1-2 nella fig. 4.4); • Un’asse trasversale perpendicolare al piano sagittale del trapezio (3-4 nella fig. 4.4); fig. 4.4 – Mantenendo fisso il segmento più basso, la porzione superiore può essere mobilizzata attorno i due assi del cardano:l’asse 1-2 di inclinazione laterale e 3-4 di flesso estensione. Dato questo modello ci sono tre possibili combinazioni di movimento relativi agli descritti: 1. Eseguendo un movimento attorno all’asse 1-2, senza che ci sia stato un preliminare movimento lungo l’asse 34, il segmento mobile guarda sempre nella stessa direzione. Questa è una rotazione piana; 19 2. Compiendo preliminarmente al segmento mobile una flessione inferiore ai 90° sull’asse 34, la rotazione attorno all’asse 1-2 modifica l’orientamento del segmento mobile. Questo cambiamento avviene automaticamente nel corso di una rotazione conica lungo l’asse longitudinale del segmento mobile; 3. Operando una flessione sull’asse 3-4 pari a 90°, la successiva rotazione attorno all’asse 1-2 comporta un cambiamento d’orientamento grado per grado del segmento mobile. Nell’articolazione cardanica sono rappresentati tutti i valori intermedi di rotazione automatica (2) che sono compresi in un range tra il valore zero della rotazione piana (1) e quelli massimi della rotazione cilindrica (3). È possibile ritrovare questa rotazione cilindrica se tre segmenti sono articolati al cardano per un asse 3-4, parallelo esso stesso ad altri due 5-6 e 7-8. La flessione a 90° sull’asse 3-4 può essere distribuito su tre assi paralleli, ciò rende il segmento più distale parallelo all’asse 1-2 che è alla base della colonna. 20 Fig. 4.8 – rappresentazione meccanica della sinergia biomeccanica dei segmenti articolari del pollice. La composizione a cinque elementi rende il pollice più agile e funzionale: nella flessione, indispensabile per la prensione, tutti gli elementi agiscono simultaneamente rendendo meno gravoso il lavoro per una singola articolazione. Ne risulta un ottimo esempio di ergonomia articolare. Si vede così che la rotazione automatica aumentare dal primo all’ultimo segmento per raggiungere un valore massimo a livello del segmento distale. Questo modello è equivalente alla colonna del pollice articolata alla sua base da un cardano (articolazione TM). La seconda falange subisce una rotazione automatica senza che intervenga l’articolazione TM. È grazie all’azione coordinata e ripartita dalle tre articolazioni TM, MF ed IF che la colonna del pollice compie una rotazione indispensabile per l’opposizione rispetto alle dita lunghe e che al tempo stesso rende il pollice solidale al polso nel movimento di prono-supinazione attorno all’asse longitudinale dell’avambraccio. Bonola, Caroli e Celli, con la collaborazione dell’ingegner G. Galli, in occasione della stesura della monografia “La mano” (Ed. Piccin, 1981), non completamente convinti dai risultati degli studi eseguiti dagli altri Autori, hanno ripreso l’argomento della TM impostandolo su basi più realistiche affermando che per poter effettuare uno studio biomeccanico di un’articolazione, è indispensabile acquisire le cognizioni più fedeli possibili sulla configurazione morfologica delle superfici articolari della stessa, in quanto esse svolgono un ruolo di primaria importanza nel determinare il movimento dei capi ossei. Non avendo trovato in letteratura uno studio reale e convincente circa la morfologia della TM, hanno voluto svolgere una ricerca in tale direzione. Per raggiungere questo obiettivo hanno riprodotto fedelmente al pantografo tridimensionale in scala 5:1 le superfici articolari della TM, realizzando due modelli in resina dura che sono stati successivamente studiati 21 attraverso una sezione in piani paralleli distanti tra loro 10 mm, corrispondenti a 2 mm del pezzo anatomico campione. Fig. 4.9- In alto la base del primo metacarpo, in bassa superficie articolare distale del trapezio. È evidente la differenza rispetto alle superfici toriche regolari ad incastro reciproco come sostenuto da Kapandji. Da queste procedure è emerso che la superficie articolare del trapezio (fig. 4.9 in basso) si presenta a contorno triangolare con ampi raccordi ai due angoli dorsali, rispettivamente ulnare e radiale, mentre l’angolo volare è caratterizzato da un’ampiezza minore. La porzione dorsale è approssimativamente convessa mentre nella restante porzione volare passa da concave a convesse. La pozione radiale è concava, quella centrale piana e quella ulnare caratterizzata da una depressione. La superficie articolare della base del primo metacarpo (fig. 4.9 in alto) ha forma irregolarmente quadrangolare, con una concavità centrale che tende a trasformarsi in convessità nei bordi dorsale e volare. In senso ulno-radiale è da considerarsi approssimativamente convesse, pur presentando un processo stiloideo alquanto appiattito ed arrotondato che trova la sua sede nell’incisura del versante ulnare della porzione volare del trapezio nel movimento di massima opposizione del pollice. Fig. 4.10 – Superficie tridimensionale del trapezio (sx) e base del primo metacarpo (dx). 22 4.2 MEZZI DI UNIONE DELL’ARTICOLAZIONE TM: LEGAMENTI E MUSCOLI La coaptazione attiva è esercitata congiuntamente da legamenti e muscoli; non svolge questa funzione la capsula dell’articolazione TM che essendo lassa ha poco rilevante. I due sistemi in precedenza citati si distinguono dal tipo di supporto offerto all’articolazione: i legamenti agiscono in modo costante, mentre i muscoli alternano la loro funzione in base al movimento che deve essere portato a termine. La tensione dei legamenti varia, principalmente, in relazione ai movimenti di ante/retroposizione e di flesso/estensione: - in anteposizione si tende il LOAI e si detende il LDAE cosicché dorsalmente si tende il LOPI (fig. 4.11 A). Il LIM è teso con l’effetto di trazionare la base del primo metacarpo verso il secondo ; - in retroposizione si tende il LDAE e si detende LOAI, mentre si rilascia LOPI (fig. 4.11 B). Il LIM è teso diminuendo la sublussazione della base del primo metacarpo sul trapezio; Fig. 4.11 – Ante (A) e retroposizione (B): tensione la relativa all’aumento della distanza delle inserzioni legamentose con il è segno segnata +. diminuzione dall’accorciamento La data è espressa dal segno -. 23 Nel corso di flesso/estensione: - nell’estensione si tendono i legamenti anteriori (LDAE e LOAI), mentre il LOPI si detensiona (fig. 4.12 B); - nella flessione si rilassa il LDAE ed il LOAI, mentre si tende LOPI (fig. 4.12 A). Fig 4.12 – Atteggiamento dei legamenti in flessione (A) e in estensione (B). Nel corso del movimento complesso dell’opposizione, che associa flessione ed anteposizione, tutti i legamenti sono tesi tranne il LDAE poiché questo è parallelo ai muscoli agonisti in questo movimento (abduttore breve del pollice, opponente, flessore breve del pollice). È da sottolineare che il più teso è il LOPI che assicura stabilità all’articolazione nella sua porzione dorsale. L’opposizione risulta essere la “close packed position”: questa è, dunque, la posizione in cui le superfici articolari sono molto applicate l’una contro l’altra a cui si aggiunge la stabilità offerta dalla tensione dei due legamenti obliqui (LOAI e LOPI), che impediscono la rotazione sull’asse longitudinale del primo metacarpo, consentita dal gioco meccanico consentito dalle superfici articolari. Come illustrato da Kapandji, questa articolazione lavora in compressione come un giunto. I muscoli tenari consentono di orientare il primo metacarpo in tutte le direzioni dello spazio, quale fosse un pilone cui si può cambiare l’orientamento modificando la tensione dei cavi. Sempre secondo questo autore le componenti muscolari offrono supporto alla coaptazione articolare in tutte le posizioni, risultante dalla sinergia risultante dall’attivazione di muscoli agonisti ed antagonisti 24 La forza motrice del pollice è data da nove muscoli motori. Fig. 4.13 - I muscoli motori del pollice. Funzione ed innervazione sono spiegate nella tabella. N° Muscolo Inn. Funzione 1 Abduttore lungo R Abduce radialmente e consente la deviazione e flessione del polso. 2 Estensore breve R Estende MCF del pollice ed interviene nell’estensione di CMC. 3 Estensore lungo R 4 Flessore lungo U 5 Flessore breve M Flette la MCF ed interviene nell’abduzione e intrarotazione. 6 Opponente M Ruota il pollice in pronazione. 7 Abduttore breve M 8 Adduttore U Adduce il pollice a livello CMC 9 I° interosseo palmare U Oltre a flettere MCF ed estendere IF, chiudono la prima commissura. Estende IF ed interviene nell’estensione di MCF, CMC e del polso, adduce ed extraruota il pollice in supinazione. Flette IF e aiuta la flessione MCF e del polso. In assenza dell’adduttore si associa all’estensore lungo per produrre adduzione. Produce l’abduzione palmare a livello di CMC. Interviene nell’estensione IF ed agisce come forte stabilizzatore del pollice. 25 Questi muscoli possono essere divisi in estrinseci ed intrinseci. I muscoli estrinseci originano dall’avambraccio. Essi hanno una funzione sia a livello del polso sia del pollice: questo deve essere tenuto in considerazione, quando si ricerca un movimento selettivo per testare l’efficacia degli stessi sul pollice. Questo gruppo muscolare comprende: il flessore lungo del pollice (FLP) ed il gruppo dei muscoli estensori. Il muscolo FLP svolge la sua azione sulle articolazioni MF ed IF; la forza sviluppata è trasmessa principalmente a livello della IF, assicurandole un ruolo determinante nella presa terminale. Al contrario i muscoli estensori (fig. 4.14) sono utilizzati per rilasciare la presa. Fig 4.14 - Il gruppo dei muscoli estensori. Sono stati rappresentati in rosso l’abduttore lungo (1), in blu l’estensore breve (2) ed in giallo il muscolo estensore lungo del pollice (3). Bisogna però considerare che se il nome di estensori è meritato per la loro azione a livello delle articolazioni IF o MF (nel caso dell’estensore lungo o del breve) in realtà essi svolgono un’azione supplementare molto differente sulla prima commisura: infatti l’e. breve(2) ha funzione di abduttore, portando, a livello della TM, ad una retropulsione associata all’estensione. Al contrario l’e. lungo(3) chiude il primo spazio espletando in questo modo una funzione adduttoria oltre che antagonista rispetto all’e. breve. Si può dunque considerare questi due muscoli come sinergici nell’estensione del pollice ma antagonisti per l’azione che svolgono a livello del primo spazio. L’abduttore lungo (1) consente la deviazione radiale del primo metacarpo rispetto alle dita lunghe; inoltre, se il polso è flesso, l’abd. lungo porta alla retroposizione del metacarpo. 26 Viceversa, quando il polso è in estensione, questo muscolo permette di anteporre il primo metacarpo, in modo che esso sia tenuto il più prossimale possibile al secondo dito. Questa caratteristica biomeccanica, quindi, garantisce un notevole vantaggio funzionale nella prensione, nonostante la posizione assunta dal polso. Inoltre, disporre il primo metacarpo in abduzione è di fondamentale importanza nella contropposizione, movimento contrario all’opposizione, che consente di rilasciare la presa dell’oggetto. I muscoli intrinseci contenuti nell’eminenza tenare e nel primo spazio interosseo, svolgono un ruolo di precisione e coordinazione durante le differenti prese e l’opposizione. La muscolatura tenare può essere divisa anatomicamente in un gruppo esterno ed uno interno. Questa distinzione ha un significato funzionale: • gruppo esterno: è composto da tre muscoli. Essi hanno direzione obliqua, quasi parallela, rispetto al primo metacarpo. La funzione sinergica di questi muscoli è l’opposizione del primo dito: essa è assicurata dall’azione del muscolo opponente, a cui si aggiungono l’abduttore ed il flessore breve del pollice. Il primo di questi, aumenta la distanza tra il pollice ed il secondo metacarpo mentre, il flessore, ha una notevole azione adduttoria, poiché porta il polpastrello del pollice in opposizione con le ultime due dita; • gruppo interno: è rappresentato dai muscoli adduttore e primo interosseo palmare. Hanno una direzione trasversale, quasi perpendicolare all’asse longitudinale del metacarpo. Sono fondamentali per la presa/tenuta degli oggetti, perché svolgono la loro azione anche sulla MF ed IF (flessione della prima ed estensione della seconda), rendendo maggiormente efficace la presa di opposizione con il secondo dito. Fig. 4.15 – L’opposizione conta due parti: la prima di anteposizione, per azione dell’ abd. breve ed opponente. Essa è seguita dall’adduzione, per azione dell’abd. breve, flessore breve ed adduttore del pollice. 27 4.3 I MOVIMENTI DEL POLLICE Il pollice non è un dito qualsiasi, perchè la sua possibilità di movimento non si limita alla flesso-estensione di una o più delle articolazioni che lo compongono, e all’abduzioneadduzione rispetto al secondo dito. Fig. 4.16 – A sinistra: flesso-estensione del pollice. A destra: abduzione palmare e radiale. Il pollice, infatti, ha la facoltà di portare il suo polpastrello a contatto con quello di uno delle altre dita, per dar luogo ad una pinza pollici-digitale. Questa peculiarità è la conseguenza dell’opposizione che, fatto ancor più straordinario, non è un movimento fisso: esiste, infatti, una gamma di opposizioni, che realizzano una grande varietà di prese e di azioni secondo il numero delle dita coinvolte e della loro modalità di associazione. L’opposizione è un complesso di movimenti che associa, a gradi diversi, tre componenti: 1. anteposizione: eseguita prevalentemente dalla TM; 2. flessione: porta tutta la colonna del pollice verso il palmo; 3. pronazione: essenziale perché pone i polpastrelli l’uno contro l’altro definendo l’atteggiamento della falange distale i base al grado di rotazione di questa. La rotazione sull’asse longitudinale è il risultato del movimento dell’intera colonna del pollice. Fig. 4.17 – A sinistra: anteposizione e retroposizione sono movimenti opposti, ma, ugualmente importanti perché consento di serrare e/o aprire la presa. A destra: le tre componenti dell’opposizione. 28 4.4 MODALITA’ DI PRENSIONE La presa può essere classificata secondo tre caratteri diversi: le prese digitali, le prese palmari e le prese centrali. La presa digitale comprende quella bi-digitale e la pluri-digitale. Le prese bi-digitali danno luogo alla classica pinza tra pollice ed indice; se ne possono distinguere tre tipi: terminale, sub-terminale e sub-termino laterale. Fig. 4.18 Fig. 4.19 Fig. 4.20 La prensione con opposizione terminale (fig. 4.18) è la più fine e la più precisa perché consente di tenere saldamente un oggetto di piccolo calibro o di raccogliere un oggetto molto sottile. Il pollice si oppone con l’estremità del polpastrello alla superficie ungueale dell’indice. Bisogna tenere presente che una lesione anche minima che danneggia questi distretti articolari può compromettere questa pinza: è necessaria infatti la completa articolarità passiva dell’IF distale del secondo dito e la stabilità del flessore profondo e dall’attivazione sinergica del flessore lungo del pollice. La prensione sub-terminale( fig. 4.19) è quella più ricorrente, poiché consente la gestione di oggetti di calibro medio/grosso come una matita o di un foglio di carta. In questa modalità di prensione, pollice ed indice si oppongono con la faccia palmare del polpastrello. Lo stato del polpastrello è naturalmente importante così come la mobilità 29 dell’articolazione IF distale può essere costretta in estensione o anche bloccata in semiflessione da un’artrodesi. . Il test per valutare l’efficacia di questa pinza consiste nel trattenere un foglio, mentre l’esaminatore cerca di sfilarlo: questa prova, può rivelare la presenza di un deficit della presa (definito come segno di Froment), apprezza la potenza dell’adduttore e la funzionalità del nervo ulnare stesso. In questa presa sono sinergici all’adduttore anche i muscoli tenari flessori della prima falange del pollice: flessore breve, primo interosseo palmare, abduttore breve. La prensione subtermino-laterale (fig. 4.20) è quella meno fine e potente rispetto alle precedenti. La faccia palmare del polpastrello del pollice si appoggia sulla faccia esterna della prima falange dell’indice. I muscoli che stabilizzano la presa sono il primo interosseo dorsale, con azione sull’indice, sul flessore breve, il primo interosseo palmare e l’adduttore del pollice. Nelle prese pluri-digitali intervengono, due o più dita: si realizza così una prensione più solida rispetto alla bi-digitale. Nelle prese che interessano pollice-indice-medio, dita maggiormente utilizzate in questo tipo di presa, il pollice oppone il suo polpastrello a quello dell’indice e del medio in rapporto all’oggetto. Fig. 4.21 Fig. 4.22 Scrivere con una matita (Fig. 4.21) necessita di una presa tridigitale, con i polpastrelli di indice e pollice opposti, e lateralmente la terza falange del medio che offre supporto alla prima commissura. L’azione di svitare un tappo da una bottiglia(Fig. 4.22) è una presa tridigitale in cui il pollice è posizionato lateralmente, mentre la seconda falange del medio si oppone al primo 30 dito; il polpastrello per l’indice blocca l’oggetto dal terzo lato. Il ruolo di contrapposizione del medio al pollice è rinforzato dall’appoggio che il terzo dito ottiene dal quarto e quinto dito. Il pollice applica fortemente il tappo sul medio per contrazione dei muscoli tenari; lo sviamento è iniziato dal flessore lungo delle dita e concluso dall’indice sotto l’azione dei suoi flessori superficiali. Fig. 4.23 Nella presa di una tazza con le tre dita (Fig. 4.23) si utilizza il peso dell’oggetto perché la sua circonferenza è sostenuta dalla presa formata da pollice e medio ed un gancio costituito dall’indice. Questa presa richiede di un’eccellente stabilità del pollice e del medio ed in più dell’integrità del flessore profondo dell’indice. L’adduttore del pollice è indispensabile in questa presa. Le prese palmari fanno intervenire oltre alle dita anche il palmo della mano. Solo in alcune il pollice è interessato. Sono definite a pieno palmo, ed utilizzate per gli oggetti pesanti e relativamente voluminosi (Fig 4.24). Fig. 4.24 L’asse degli oggetti prende la stessa direzione dell’asse della curvatura palmare cioè obliqua dalla base dell’eminenza ipotenare alla base dell’indice. Il ruolo del pollice è direttamente collegato alle dimensioni dell’oggetto: è salda, quando la circonferenza 31 dell’impugnatura permette al pollice di venire a contatto con l’indice. Nel caso in cui il pollice è a contatto tramite la superficie del polpastrello sulla faccia laterale della falange intermedia, la presa è concentrata nella prima commissura; nel caso in cui non ci dovesse essere questo contatto la presa sarà più equamente ripartita nell’ambito del palmo. I muscoli essenziali per questo tipo di prensione sono i flessori e soprattutto gli interossei per la flessione della prima falange delle dita mentre i muscoli dell’eminenza tenare e il flessore lungo del pollice che chiude la presa. È necessario tenere inoltre in considerazione, che la prensione è coordinata da strutture neuro-sensitive periferiche, capaci di informare i centri superiori delle caratteristiche degli oggetti con i quali la mano viene a contatto. Il riconoscimento degli oggetti avviene, quando si ha l’integrazione e l’elaborazione corticale degli impulsi giunti dalla periferia. Le terminazioni sensitive esistenti nella cute della mano sono peculiari per ciascuna sensibilità (ad oggi, questa teoria oggi è criticata dalla maggior parte degli autori, poiché recenti ricerche hanno dimostrato che esistono numerosi tipi morfologici di terminazioni sensitive, certamente superiori rispetto alle varie specie di sensibilità cutanee. Inoltre si è accertato che da una fibra nervosa possono fare capo più corpuscoli sensitivi di diversa natura.). Agli esterocettori si aggiungono i propriocettori, i quali permettono di informare i centri superiori della posizione della mano nello spazio e di regolare i movimenti della prensione, mediante meccanismi di eccitazione o inibizione muscolare, i propriocettori muscolotendinei sono il fuso neuromuscolare e il corpuscolo tendineo di Golgi. Nella prensione esistono tre momenti fondamentali: 1. comando 2. informazione 3. reazione Il momento del comando si realizza, quando si vuole prendere un oggetto, una volta localizzata la sua posizione nello spazio con la vista. Dopo il contatto, si passa automaticamente alla raccolta delle informazioni. Questa è fornita dagli impulsi delle terminazioni nervose sia estero si propriocettiva, che informano i centri delle caratteristiche dell’oggetto. Questo procedimento consente di integrare a livello corticale tutte le 32 sensazioni esterocettive e propriocettive che permettono di riconoscere un oggetto e nello stesso tempo di valutare la forza necessaria per poterlo prendere. Da questa elaborazione consegue una risposta motoria che è la reazione. Essa è caratterizzata dall’attività dei muscoli agonisti ed antagonisti destinati alla presa e la loro coordinazione motorie è possibile, mediante la contrazione proporzionale della massa attiva muscolare. Tale contrazione è spiegabile se si considera il muscolo quale unione di più unità motrici. Da questa definizione è possibile concepire la contrazione proporzionale secondo il numero di unità motrici che entrano in azione in un determinato movimento di presa. Volendo prendere un foglio di carta o un libro, dobbiamo contrarre i muscoli preposti a questa presa, in modo proporzionale con entità di forze differenti fra loro. La reazione, ultimo momento della presa, non è altro che un complesso meccanismo muscolare, volontario o automatico, proporzionato all’oggetto che si vuole afferrare. 33 5.RIZOARTROSI 5.1 CHE COS’E’? La rizoartrosi è l’artrosi dell’articolazione trapezio-metacarpica. Il termine rizoartrosi ha etimologia greca: “rhizos” significa radice e di fatto questa è l’articolazione che sta alla radice del pollice. Fig. 5.1 – Comparazione tra un’articolazione sana (a sinistra) rispetto ad una TM interessata dal processo degenerativo artrosico (a destra). 5.2 EPIDEMIOLOGIA La rizoartrosi costituisce il 10% delle localizzazioni artrosiche e colpisce soprattutto le donne. Il paziente che più comunemente presenta l’interessamento dell’articolazione basale del pollice, è una donna, di età compresa tra i 50 e i 70 anni, con dolore sulla porzione radiale della mano o del pollice a insorgenza insidiosa; la durata varia da alcuni mesi a svariati anni. L’analisi della superficie articolare della TM mostra che uomini e donne sottopongono i capi articolari alle stesse forze durante le attività di vita quotidiana. Le donne però, hanno una TM più piccola e con superfici articolari meno congruenti, e di conseguenza essa è sottoposta ad una pressione di contatto più ampia. Questo pone le donne in una condizione di rischio maggiore per la rizoartrosi. L’autore ha anche notato che l’erosione articolare avviene soprattutto sul trapezio. 33 5.3 TEORIE ETIOGENICHE Sono state formulate differenti teorie etiogeniche. Morfologica ossea: La teoria si basa principalmente sull’incongruenza delle due ossa che compongono la TM, dando luogo ad una probabilità maggiore rispetto alle altre ossa di sviluppare un quadro artrosico. Lassità legamentosa: Un’altra teoria si basa sull’instabilità dovuta a una maggiore range di movimento. Non è possibile assegnare ai diversi legamenti un grado di importanza; tuttavia, in questa teoria ha grossa rilevanza il legamento palmare, che limita l’iperestensione del metacarpo e soprattutto il legamento tra la base del 1° e 2° metacarpo ( chiamato in vario modo: ulnare, interosseo, beak ligament) che si oppone alla sublussazione della base del 1° metacarpo in senso radiale, pur non limitando gli altri movimenti. La lassità o la degenerazione di questo legamento consente movimenti anormali della TM, con incongruenza delle superfici articolari che scatenano rapidamente un quadro degenerativo. Condropatia primitiva: Una terza teoria meno plausibile ipotizza una come un danno primario al tessuto cartilagineo possa essere la causa della rizoartrosi. È probabile che l’importante perdita cartilaginea sia dovuta ad un’alterazione della cinematica del pollice che provoca un’eccessiva sollecitazione sulla cartilagine. Ipoplasia\Displasia: Queste teorie considerano l’influenza patogenetica dell’ipoplasia del trapezio, malformazione che coinvolge anche le unità motorie neuromuscolari. L’ipoplasia del trapezio favorisce sia l’incongruenza articolare sia la sublussazione della base del metacarpo e la conseguente artrosi. Stress ripetuti (over use): Essa è tra le teorie più concrete: la TM è sottoposta ad un carico di lavoro notevole, essendo coinvolta in oltre il 50% delle azioni della mano. Si possono distinguere alcune attività e gesti abitudinari che favoriscono il deterioramento delle superfici articolari: azioni (quali la prensione di oggetti fini, come una chiave o sollevare una tazzina di caffé, o svitare il tappo di una bottiglia) trasmettono una forza lussante sul metacarpo moltiplicata per 12-120 volte. Inoltre, la forza lussante trasmette una sollecitazione in senso radiale che non consente di mantenere la base del metacarpo a 34 contatto con la superficie articolare del trapezio. La manipolazione di oggetti a maggiore diametro (come una bottiglia), obbligano ad aprire la prima commisura che si traduce in una maggiore congruenza tra le due superfici articolari. Fig. 5.2 –Gli oggetti di calibro maggiore, come una bottiglia di acqua (foto sinistra), consentono una posizione di massima stabilità della TM. Inoltre, le forze di presa si distribuiscono su di una circonferenza e quindi, nessun punto o superficie è sottoposta ad un carico meccanico maggiore rispetto alle altre. A destra: la presa errata di un oggetto di piccole dimensioni impegna maggiormente l’articolazione TM. Le forze non si scaricano più in un cerchio, bensì su di una superficie triangolare. Muscolare: Uno scorretto utilizzo del pollice, nelle prese di opposizione del pollice alle altre dita, sollecita enormemente l’articolazione TM. Le forze dei tendini estrinseci durante la presa e la pinza sono 4 o 5 volte superiori alle forze esterne. La maggior parte di esse è trasmessa all’articolazione TM, in direzione dorsoradiale. A questa sollecitazione sublussante, si oppone la forza sviluppata dalla muscolatura intrinseca che è pari a 1.5-3 delle forze esterne applicate. Il ruolo della muscolatura è importante, perché, svolge un ruolo di stabilizzazione attiva dell’articolazione, essenziale per la motilità dell’intera colonna del pollice, e contemporaneamente garantisce forza nella prensione. Una presa a pinza di 1 kg alla punta del pollice equivale a 3.68 kg per l’IF, a 6.61 kg alla MF e fino a 13 kg all’articolazione TM. Nella presa di potenza, il pollice deve resistere alle 35 forze delle altre quattro dita: nel corso di queste azioni le sollecitazioni meccaniche a carico della TM possono raggiungere un valore pari ai 20 kg. Questa ipotesi ha riscontro se si paragona il differente ruolo biomeccanico tra la muscolatura intrinseca ed estrinseca del pollice. Tutti i muscoli intrinseci si contraggono per stabilizzare le articolazioni TM e MF durante la presa in modo tale da consentire una migliore trasmissione della forza del flessore lungo del pollice a livello dell’IF. Inoltre, questi muscoli hanno un braccio di leva molto lungo sulla TM che li rende potentemente efficienti. I muscoli antagonisti sono estrinseci, con un vantaggio meccanico inferiore. Questi originano dall’avambraccio, e svolgono un’azione primaria nell’estensione delle articolazioni più distali, e secondariamente, agiscono sull’estensione della TM. I muscoli estrinseci sono relativamente inefficienti come estensori ed abduttori della TM, al contrario dell’efficacia dei muscoli intrinseci, che sono primariamente flessori/adduttori della TM. In conclusione, le due componenti muscolari sono sbilanciate in favore della flessione; infatti, tre dei quattro muscoli intrinseci del pollice, flettono il primo metacarpo nel palmo. La rilevanza di questa teoria è accentuata dalla progressione della rizoatrosi. In uno stadio più conclamato, la capsula articolare della TM ed il back ligament perdono la capacità di stabilizzare l’articolazione. In questo contesto, le forze muscolari dovrebbero essere le uniche in grado d garantire un’adeguata igiene articolare. Tuttavia, i muscoli tenari si presentano ipotrofici o accorciati e non possono provvedere alla stabilità richiesta; l’impotenza funzionale della muscolatura è causata dell’assunzione di una postura flessoria antalgica o di una gestualità errata, che non è stata corretta negli anni prima dello scatenarsi della sintomatologia algica e dei differenti deficit funzionali. 5.4 SINTOMATOLOGIA Il sintomo guida è il dolore: esso, infatti, spinge il paziente alla visita medica. E’ molto difficile tradurre l’intensità del dolore riferito dal paziente in un’oggettiva valutazione della condizione articolare. 36 Spesso, infatti, quadri clinici molto compromessi al controllo radiografico hanno un bassissimo impatto sull’attività del paziente, mentre, in altri casi, stadi iniziali possono essere estremamente fastidiosi e causa di severi deficit funzionali. Generalmente, la dolorabilità è riferita nell’esecuzione di alcuni movimenti attivi (prese, pinze) e/o passivi (rotazione, opposizione, digitopressione). Il paziente si rivolge al medico perché riferisce dolore alla base del pollice oltre che una difficoltà crescente nello svolgere attività della vita quotidiana quali lo svitare tappi di bottiglia o scatolame, girare la maniglia o chiavi nella toppa, scrivere con una penna sottile o anche abbottonarsi una maglia. Attività come cucire, fare i nodi devono essere scoraggiate nel paziente colpito da rizoartrosi perché queste sono responsabili di un impegno notevole già per una TM sana, e quindi eccessivo per un’articolazione patologica. Nelle fasi più avanzate il dolore è spontaneo ed associato a crepitio. I segni clinici più importanti sono: • I raggio in adduzione (più comune negli stadi avanzati) • limitazione abduzione radiale ed opposizione (da valutare rispetto al controlaterale) • tumefazione base I metacarpo (causata dalla combinazione tra la lussazione, infiammazione dell’articolazione e formazioni osteofitiche) • dolore alla palpazione • test compressione assiale o “Grind test” positivo: il carico assiale sul trapezio assieme alla rotazione del metacarpo scatenano dolore alla base del pollice. La distrazione dell’articolazione TM con o senza la rotazione causa un allungamento della capsula che se infiammata sarà dolente (fig. 5.3 a destra) Fig. 5.3 – A sinistra, deformità del pollice. Esso si presenta addotto al palmo. A destra, illustrazione del test di compressione assiale. 37 Nelle fasi più conclamate il pollice presenta (fig. 5.4, fig .5.5): • iperestensione o sublussazione della MF; • flessione della IF; • severa contrattura in adduzione del I spazio Fig. 5.4 Fig. 5.5 L’individuo usa male il pollice per evitare il dolore: questo, con il tempo, provoca debolezza muscolare nell’apparato stabilizzatore della TM. In questo modo, il metacarpo perde la capacità di scorrere sul trapezio lungo l’asse di adduzione-abduzione. A questo, si aggiunge uno shift della base del metacarpo in direzione radiale. La perdita di congruenza tra i capi ossei inficia la stabilità meccanica dell’articolazione: essa esita in una lussazione, con conseguente diminuzione dell’ampiezza dei movimenti. Il soggetto, inoltre, è incapace di disporre la mano totalmente piana sopra ad una superficie d’appoggio: infatti, essa rimarrà concava per l’impossibilità di spianare l’arco traverso (che si estende dal pollice alla base del V° dito). Nello spianare il palmo, il soggetto avverte dolore. Questo deficit è legato all’alterata disposizione anatomica dei piani ossei, alla tumefazione dei tessuti circostanti (capsula) ed all’alterata lunghezza muscolare. I muscoli più retratti sono l’adduttore ed il flessore breve che pertanto, impediscono un adeguato appiattimento del palmo. 38 L’accorciamento di questi muscoli comporta un deficit funzionale: è difficile realizzare una corretta abduzione del pollice e quindi, impugnare oggetti di medio-grosso calibro, come una bottiglia. Queste prese sono dolorose: infatti, durante i movimenti di abduzione, la capsula articolare viene stirata. Alcune fibre capsulari sono indebolite e consentono alla base del metacarpo, di sublussarsi dorsalmente; così, quando i muscoli adduttore e flessore breve del pollice si contraggono, trazionano la parte distale del metacarpo verso il palmo. Il risultato è uno scatto (“tilt” nella letteratura inglese) della superficie articolare alla base del metacarpo sulla sella del trapezio. È questo spostamento, seppur impercettibile, che causa dolore (fig. 5.6) Fig. 5.6 – Impugnare e girare una chiave, sollevare una tazza o scrivere sono azioni che provocano dolore: esse infatti, seppur con movimenti di scarsa articolarità, pongono sotto stress l’articolazione TM ed i mezzi di unione della stessa. Inoltre, una scorretta postura a carico della TM, da luogo a problemi secondari alle articolazioni solidali ad essa nei movimenti. La sublussazione della TM provoca una deviazione radiale della MF del pollice per la contrattura in adduzione del primo metacarpo. Può anche presentarsi una deformazione in iper estensione della MF che si sviluppa come un atteggiamento in flessione/adduzione del primo metacarpo. Questa postura conferisce all’estensore breve e lungo del pollice una risultante di trazione più corta. La conseguente flessione dell’IF provoca l’atteggiamento a Z del pollice (fig. 5.7). Fig. 5.7 - Il pollice a Z è espressione dei quadri più compromessi di rizoartrosi: oltre all’articolazione TM, sono coinvolte la MF (iperestesia) e l’IF (flessione). 39 Come detto in precedenza, molti degli stress della TM sono conseguenza di un carico meccanico elevato. Lo stress è già considerevole, quando l’articolazione è impiegata in modo corretto (fig.5.8). Fig. 5.8 – Il corretto utilizzo della presa terminoterminale consente di trasferire le forze applicate su di una circonferenza. In questo modo, nessun segmento articolare, subisce un carico meccanico maggiore rispetto alle altre articolazioni impegnate. Tuttavia, scorrette abitudini o atteggiamenti antalgici è poco economica per l’utilizzo della muscolatura intrinseca ed arreca una sollecitazione meccanica eccessiva sulla TM. Fig. 5.9 – L’oggetto è stretto tra due superficie ad esso parallele. Questo provoca una minore solidità della presa. Essa è alla base di un triangolo la cui base, scarica le forze nella direzione più instabile ovvero, quella dorsoradiale che è debole per la lassità della capsula articolare e del beak ligament. 40 5.5 DIAGNOSTICA PER IMMAGINI La malattia dell’articolazione basale può essere diagnosticata con un elevato grado di certezza con un attento esame obiettivo. Le radiografie del pollice nei tre piani e la particolare proiezione in sollecitazione dell’articolazione basale sono utili per confermare la diagnosi. Le proiezioni standard escluderanno altre anomalie ossee e aree di artrosi. La proiezione per l’articolazione basale in sollecitazione, quando eseguita correttamente, fornisce un’immagine eccellente delle articolazioni basali ed è utile nella valutazione del grado di sublussazione della articolazione TM. Questa proiezione obliqua posteroanteriore a 30 gradi è centrata su entrambi i pollici e dovrebbe includere l’area dal metacarpo alla punta delle dita. Mentre è eseguita la radiografia, al paziente è chiesto di comprimere le punte dei pollici una contro l’altra. È importante ricordare che molti casi di artrosi dell’articolazione basale evidenti radiograficamente sono asintomatici; pertanto, le radiografie positive andrebbero interpretate soltanto in un contesto di sintomi rilevanti e di reperti fisici. Nella valutazione di routine della malattia dell’articolazione basale non vi è indicazione per la risonanza magnetica, per la tomografia o l’ecografia. 5.6 QUADRO RADIOGRAFICO - CLASSIFICAZIONE DI EATON Eaton e Glickel hanno descritto un metodo per classificare le modificazioni patologiche nell’articolazione basale in base all’aspetto nelle proiezioni radiografiche standard e in quella sotto sollecitazione. Si deve tenere in considerazione che il sistema di classificazione radiografico è utile per la pianificazione preoperatoria e nell’istruzione del paziente. Ci sono quattro stadi di malattia dell’articolazione basale che non contemplano il pollice asintomatico ma con lassità eccessiva. La classificazione radiografica è utile per l’istruzione del paziente e per la valutazione prognostica. Un’articolazione basale agli stadi iniziali dell’artrosi (I e II stadio) può essere a rischio di progredire al III e IV stadio, ma il rischio esatto e il tasso di progressione non possono essere delineati con precisione per la mancanza di studi longitudinali. 41 STADIO RADIOGRAFIA SEGNI CLINICI La sublussazione della TM è inferiore ad 1/3. La sclerosi subcondrale inizia ad essere I manifesta insieme ad una iniziale distasi dei capi articolari. Il dolore ha insorgenza insidiosa; sono assenti crepiti e limitazione funzionale. La sublussazione è maggiore di 1/3. La capsula inizia ad essere piuttosto lassa. Compiono anche i primi osteofiti di 2 dimensioni superiori ai 2 mm. Il dolore è più intenso e frequente. La limitazione funzionale diventa più impegnativa per il paziente. Lo spazio articolare risulta notevolmente ridotto così come la sclerosi che è sempre più evidente. Sono sempre presenti gli 3 osteofiti. Il paziente generalmente lamenta dolore costante, rigidità, crepitio alla palpazione della base del pollice con più o meno evidenti deformità associate. In questo stadi il quadro clinico è decisamente 4 conclamato: oltre alla panartrosi (artrosi diffusa a tutta la mano) si presentano gravi alterazioni anatomiche che danno lungo ad impotenza funzionale. 42 5.7 DIAGNOSI DIFFERENZIALE La rizoartrosi può essere confusa con l’artrosi scafo-trapezio-trapezoide (STT), il morbo di De Quervain, sinoviti del carpo, cisti occulta a livello della tabacchiera anatomica oppure con una frattura di scafoide. L’artrosi STT è una rara condizione clinica che colpisce all’incirca il 2-16% delle donne in post menopausa. Proprio per questo dato anamnestico comune alla rizoartrosi, essa può esser trascurata o scambiata per l’artrosi alla base del pollice. Il quadro clinico è caratterizzato da un dolore più distale e ulnare rispetto all’articolazione TM e da un importante deficit di forza nella presa. Molto spesso la paziente si presenta con una diminuzione del ROM attivo associato alla deviazione radiale in estensione del primo dito. La rizoartrosi può solitamente essere distinta dal morbo di De Quervain in base alla distribuzione della dolorabilità. Nei pazienti con rizoartrosi, la dolorabilità è collocata lungo la linea radicolare della TM mentre nel De Quervain sulla punta dello stiloide radiale e lungo il primo compartimento estensorio. Il test di Finkelstein causa dolore sul lato radiale del polso nel De Quervain e può causare dolore sul dorso del pollice nei pazienti con rizoartrosi; queste due posizioni dovrebbero essere distinguibili. La sinovite del carpo, una cisti gangliare occulta nella tabacchiera anatomica ed una frattura di scafoide possono tutte causare una salienza morbida alla palpazione nella tabacchiera anatomica, che è immediatamente adiacente all’articolazione TM. Nonostante ciò, queste due collocazioni anatomiche sono sufficientemente distinte da non dar adito a dubbi. In aggiunta, la manipolazione passiva della TM non dovrebbe esacerbare il dolore. Una frattura del polo distale dello scafoide potrebbe causare morbidezza vicino alla linea dell’articolazione trapezio-metacarpale. Una frattura del polo distale, in ogni caso, può essere correlata ad uno specifico episodio traumatico. Qualsiasi confusione tra le due possibilità, potrebbe essere risolta con appropriate radiografie. Pazienti con la sindrome del tunnel carpale possono avere dolore alla base del pollice ed all’eminenza tenare. Il dolore è solitamente associato con gli altri sintomi tipici della sindrome del tunnel carpale. In aggiunta, la dolenzia localizzata a livello dell’articolazione basale non è una caratteristica della sindrome del tunnel carpale. La tenosinovite del flessore radiale del carpo può essere caratterizzata da dolore e morbidezza nell’area della cresta del tubercolo del trapezio, attraverso la quale il tendine scorre verso la sua inserzione sulla base volare del secondo metacarpo. Questa tende ad 43 essere leggermente più ulnare della morbidezza della TM della rizoartrosi. E’ anche presente dolore con resistenza alla flessione del carpo, che non dovrebbe essere tipica dell’artrosi trapezio-metacarpale. 44 6. TRATTAMENTO CONSERVATIVO Il trattamento conservativo è fondamentale nella gestione del paziente artrosico, e questo è particolarmente utile per una articolazione quale la trapeziometacrapica sottoposta ad una carico di lavoro maggiore rispetto ad altre articolazioni della mano. Il trattamento conservativo deve essere il primo step di trattamento prima di un eventuale indicazione chirurgica. Quest’ultima infatti rappresenta sempre solo un atto aggressivo di salvataggio per l’articolazione che deve essere preso in considerazione solo dopo il fallimento di tutte le terapie conservative. Il trattamento conservativo necessita di un inquadramento precoce del processo degenerativo perchè è riconosciuto efficace nell’affrontare la rizoartrosi, soprattutto, quando questa è valutata negli stadi I° o II° secondo la classificazione di Eaton. Non bisogna, però, considerare inappropriata questa scelta terapeutica per i livelli più compromessi (III° e IV° stadio), infatti, il chirurgo deve sempre tenere presenti le necessità ed i sintomi del paziente. L’analisi della letteratura riguardante il trattamento conservativo per l’artrosi trapeziometacarpica non ha evidenziato l’utilizzo di un unico protocollo, ma sono stati proposti ben pochi lavori, al contrario di quanto è stato scritto per le tecniche chirurgiche. Ramella (2004) riporta che su 71 pazienti trattati conservativamente tra il gennaio 1997 e il febbraio 2003 oltre il 60% dei pazienti ha ottenuto un risultato positivo. Un ottimo risultato è stato descritto anche da Berggren (2000): da questo studio emerge che oltre il 70% dei 33 pazienti, in attesa di intervento chirurgico (seguiti tra il 1988-89), dopo aver seguito un protocollo individuale con un terapista della mano non voleva più sottoporsi all’intervento. I pazienti erano edotti sul corretto utilizzo dell’articolazione alla base del pollice nel corso delle attività quotidiane: inoltre, i pazienti hanno beneficiato dell’utilizzo di tutori statici e funzionali. 44 Dai risultati emerge che i pazienti di età superiore ai 60 anni avevano scelto di evitare l’intervento chirurgico; al contrario i pazienti più giovani, quindi con esigenze di funzionalità maggiori, hanno scelto di sottoporsi all’intervento. 6.1 GLI OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO CONSERVATIVO Gli obiettivi del trattamento conservativo sono: • Ridurre il dolore riferito alla base del primo dito, sia a riposo sia durante lo svolgimento delle comuni attività quotidiane (AVQ); • Evitare di sovraccaricare l’articolazione TM, insegnando corrette modalità di prensione al paziente. Sarà necessario spiegare i principi biomeccanici per la protezione dell’articolazione ed in seguito, consentire al paziente di sperimentare, anche più volte, le nozioni acquisite; • Garantire stabilità all’articolazione TM durante lo svolgimento delle AVQ. È necessario mantenere aperta il più possibile la prima commisura, mantenendo l’articolazione TM in una posizione di massima congruenza tra i capi ossei. L’obiettivo è ridurre la sublussazione radiale del metacarpo che scatena dolore; • Mantenere un trofismo adeguato per la muscolatura del pollice. Le componenti muscolari devono essere recuperate in elasticità e forza poiché dovranno garantire stabilità all’articolazione TM ed una solida presa a livello delle MF ed IF ; • Prevenire o ritardare la deformità a Z del pollice. È importante evitare deformità a carico delle altre articolazioni della mano, dato che queste, sono strettamente correlate per struttura e funzione. La distruzione e/o la deformità di una si ripercuoterà inevitabilmente sulle altre; • Valutare costantemente la mano e l’articolazione TM controlaterale. Tale procedura consente di inquadrare precocemente infiammazioni o processi degenerativi, scatenati dall’aumento di sollecitazioni alla mano sana nel tentativo di risparmiare quella già in trattamento. 45 6.2 GLI STRUMENTI DEL TRATTAMENTO CONSERVATIVO Il trattamento conservativo si avvale di numerosi strumenti: • Valutazione ergonomica atta a riconoscere ed evitare le prese e le abitudini scorrette, responsabili del sovraccarico dell’articolazione TM. L’obiettivo è risparmiare l’articolazione TM e la muscolatura deficitaria; • Tutori confezionati su misura per ogni paziente; • Esercizi di rinforzo e stretching della muscolatura del pollice e polso; • Somministrazione di terapia farmacologia; • Terapia fisica locale e termoterapia. 6.3 VALUTAZIONE DEL PAZIENTE Un’attenta valutazione del paziente è la prima ed essenziale fase nella corretta gestione di ogni trattamento riabilitativo. Due pazienti, con diagnosi simili, possono avere complicanze o risposte al trattamento molto diverse. La valutazione si realizza attraverso: a) Ascolto del paziente: il colloquio preliminare è utile per comprendere rapidamente la personalità del paziente. Se egli ascolta attentamente il fisioterapista, potrà chiarire i propri dubbi riguardo al suo quadro clinico ed essere più compliante al trattamento, mentre, un paziente agitato o scarsamente convinto delle scelte terapeutiche del fisioterapista sarà poco collaborante ed interessato al progetto riabilitativo in atto. b) Osservazione della mano e dei suoi movimenti: è possibile ricavare molte informazioni tramite l’osservazione dell’atteggiamento spontaneo della mano. Un bravo fisioterapista sa osservare il paziente già durante le attività che questo compie all’inizio del colloquio/presentazione: vestirsi o spostare una sedia sono gesti spontanei che forniscono impressioni sia riguardo la gravità del quadro clinico, sia sul tentativo del paziente di salvaguardare o utilizzare parzialmente la mano. In alcuni casi, queste, possono anche offrire un’indicazione sulla motivazione del paziente aiutando il terapista ad impostare il trattamento. c) Effettuazione e registrazioni delle misurazioni: le rilevazioni cliniche, per quanto evidenti all’occhio del fisioterapista, devono essere sempre confermate da adeguate misurazioni che siano riproducibili da altri operatori. È in ogni caso consigliabile, 46 confrontare i dati ottenuti con la mano controlaterale, per escludere un problema bilaterale o una caratteristica congenita. La valutazione della rizoartrosi comporta la stima delle deformità e dell’utilizzo del pollice: essa si ottiene per mezzo di una parte oggettiva che consiste nella misurazione dell’articolarità del pollice, della forza muscolare e di una valutazione soggettiva del dolore da parte del paziente (scheda DASH, VAS). Nei pazienti con rizoartrosi, la deformità è espressione di danno scheletrico e squilibrio muscolare. Il danno scheletrico è visibile attraverso reperti radiografici, diversamente, lo squilibrio muscolare è valutato sia a riposo sia durante l’esecuzione di un’attività spontanea o richiesta, dal chirurgo o dal fisioterapista. Le seguenti immagini (fig. 6.1. A,B,C) presentano caratteristiche peculiari dell’aspetto ed utilizzo della mano con rizoartrosi. La figura a lato (fig. 6.1, A) mostra un’evidente tumefazione alla base del primo raggio. Il pollice inoltre, si presenta in adduzione, con la MF in parziale flessione e l’IF in iperestensione di compenso. L’eminenza tenar sembra essere conservata: in realtà, è un rigonfiamento dato dallo spostamento del primo metacarpo. Dalla valutazione clinica del paziente si evince che la muscolatura si trova in una condizione di severa ipotrofia, che non consente nemmeno a riposo, la stabilizzazione dell’articolazione TM. L’utilizzo del pollice deve essere studiato durante lo svolgimento delle AVQ. Spesso, nello svolgimento di attività semplici, come scrivere o leggere, la colonna del pollice è mantenuta in estensione (fig. 6.1, B), non consentendo uno scarico omogeneo delle forze sulle superfici articolari. Questo atteggiamento non si presenta solo al pollice della mano dominante, ma, anche in quella controlaterale. 47 Inoltre, il mantenimento di questa posizione non è economico per la muscolatura. Infatti, questo atteggiamento non è necessario per l’attività svolta: il lavoro muscolare richiesto è di scarso significato funzionale e dispendioso per la muscolatura estensoria. Essa facilmente esita in una contrattura. Mantenere il primo raggio in adduzione (fig. 6.1, C), non offre stabilità alla base del pollice. Il mantenimento di questa posizione provoca dolore e contrattura del muscolo adduttore. Questo atteggiamento ha anche l’effetto di scaricare le forze proprio sulla TM e quindi, scatenare il dolore tipicamente riferito dai pazienti. La contrattura dell’adduttore può raggiungere diversi gradi: in ognuno di questi però, si presenta difficoltà nell’apertura del primo spazio interdigitale. Le misurazioni oggettive a disposizione del fisioterapista sono: • misurazione dell’articolarità attiva (AROM) del pollice. Essa può essere riportata in una semplice tabella (tab. 6.1). ARTICOLAZIONE DESTRO MF E0°, F60-70° IF E5-10°, F75-80° ABD RADIALE (pollice) 80-85° SINISTRO Tab. 6.1 – Nella colonna “destro” sono riportate le ampiezze fisiologiche di movimento per le articolazioni del pollice. Le misurazioni sono segnalate secondo il sistema SFTR (acronimo dei piani di movimento sagittale – frontale – trasversale – rotazione). Il valore assoluto non è importante quanto la differenza tra il pollice artrosico e quello sano. Il dato importante, a livello della MF, è il grado di iperestensione attiva e passiva durante l’azione di pinza del pollice. È importante tenere presente che esiste un’estrema variabilità individuale per l’articolarità delle MF già nel soggetto sano. 48 • articolarità del pollice secondo Kapandji (1992): è una misurazione pratica dell’opposizione del pollice, basata sulla semplice osservazione; è una tecnica di facile apprendimento e riproducibile intraoperatore. Per valutare l’opposizione Kapandji ha definito 11 stadi/ posizioni del pollice rispetto alle altre dita. I primi tre stadi valutano la pinza laterale, non l’opposizione. La sequenza degli stadi è la seguente: 0) Punta del pollice sulla porzione laterale della falange prossimale dell’indice; 1) Punta del pollice sulla porzione laterale della falange intermedia dell’indice; 2) Punta del pollice sulla porzione laterale della falange distale dell’indice; 3) Punta del pollice sul polpastrello dell’indice; questo è il primo ed il più piccolo stadio di opposizione. Dopo questo stadio si ha l’opposizione vera e propria del pollice: 4) Punta del pollice sulla punta del medio; 5) Punta del pollice sulla punta dell’anulare; 6) Punta del pollice sulla punta del mignolo; 7) Punta del pollice sulla linea articolare interfalangea distale del mignolo; 8) Punta del pollice sulla linea articolare interfalangea prossimale del mignolo; 9) Punta del pollice sulla linea prossimale alla base del mignolo, sulla base della falange prossimale; 10) Punta del pollice sulla plica palmare distale del mignolo, sull’articolazione MCF. Per essere valido, la posizione tra il pollice e l’altro dito deve consentire il passaggio di un oggetto cilindrico attraverso l’arco di opposizione; se il pollice rimane piatto nel palmo, il movimento è di flessione e non di opposizione. • Test muscolari: devono essere eseguiti per i muscoli del polso e del pollice per la valutazione è utilizzata la scala di Oxford. La forza muscolare è classificata pari a 9 0 : nessuna contrazione osservata o percepita; 9 1 : il tendine diventa turgido. Si avverte una debole contrazione; 9 2 : movimento attraverso un range di escursione completo; 9 3 : si muove attraverso il range di escursione contro gravità; 9 4 : mantiene la posizione del test contro una pressione moderata; 9 5 : mantiene la posizione del test contro una forte pressione. 49 • Pinch: la forza di presa è misurata da dinamometro, fornito di lancetta, che rimane nella posizione di massima pressione per facilitare la lettura e la registrazione del risultato da parte dell’operatore. Il paziente è sottoposto a tre ripetizioni da entrambi i lati; è consigliabile un breve recupero tra ogni misurazione perché è valido solamente il picco di forza per un’unica pressione esercitata. Il paziente deve essere seduto comodamente, con il braccio addotto al torace ed in posizione intermedia di rotazione, gomito flesso a 90°, polso in posizione intermedia. Il paziente deve eseguire una pinza subtermino-terminale (fig. 6.2, sinistra); • Jamar: misura la presa cilindrica. Le metodiche e la postura del paziente sono le stesse elencate nella valutazione del pinch test. In questo caso, il paziente deve sostenere il dinamometro, impugnandolo il pollice opposto alle quattro dita lunghe (fig. 6.2, destra). Fig. 6.2 – A sinistra: rilevazione con PINCH. A destra: dinamometro JAMAR. La valutazione soggettiva del dolore è valutata attraverso la scala VAS (visual analogue scale). Largamente utilizzato è il questionario DASH, che fornisce un punteggio relativo al grado di disabilità riferito del paziente nelle attività di vita quotidiana e lavorativa (vedi ALLEGATO). Fig. 6.3 – Scala VAS del dolore. È necessario che il paziente sia edotto sulla modalità di valutazione del dolore, ma, in alcun modo, deve essere influenzato nell’assegnare un valore. 50 6.4 TERAPIA OCCUPAZIONALE ED ECONOMIA ARTICOLARE L’obiettivo della terapia occupazionale (T.O.) è migliorare le abilità del paziente nel portare a termine le attività quotidiane (a casa, nel tempo libero o sul posto di lavoro), nel facilitare le modificazioni dello stile di vita e prevenire la perdita di funzioni. Il terapista occupazionale lavora insieme al paziente per raggiungere un equilibrio occupazionale nel rispetto del background della patologia del paziente e della disabilità che questa comporta. Tra i numerosi interventi possibili, deve essere prestata particolare attenzione, al mantenimento della funzionalità delle mani, visto che, sono utilizzate in quasi tutte le azioni quotidiane. Il ruolo del T.O. nella gestione della mano artrosica e della rizoartrosi, è fondamentale: basta pensare che nella popolazione over 65 (oltre un terzo della popolazione dei paesi più ricchi), almeno il 43% ha difficoltà nelle faccende domestiche, ed il 33% nelle altre attività ricreative. E’ possibile utilizzare la T.O. nella mano colpita da pollice artrosico, nonostante la maggior parte degli studi presenti in letteratura si occupi della gestione e dell’efficacia della T.O. nel paziente reumatoide (AR). I pazienti con rizoartrosi, così come quelli affetti da AR, presentano dolore, perdita della forza nelle prese o nelle pinze che conducono progressivamente ad un aumento di problemi nella funzionalità globale della mano. Bisogna, infatti, considerare che le persone sofferenti a causa di patologie degenerative, sono costrette a rinunciare alla maggior parte delle proprie attività, sia lavorative sia ludiche, e a spendere più tempo per la cura di se stessi e a trascorrere periodi di riposo obbligato. L’insoddisfazione che deriva da questo stile di vita forzato, richiede un trattamento complessivo che assicuri al paziente la possibilità di svolgere ruoli ed attività, influenzando positivamente il suo stato biologico di salute, sia nel breve sia nel lungo termine. Sarà così più probabile riuscire a migliorare la qualità della vita e ridurre il bisogno avvertito di assistenza, oltre che i costi sociali. La terapia occupazionale mira a: 1. diminuire il dolore; 2. aumentare la possibilità di movimento attivo; 51 3. migliorare la destrezza nelle attività; 4. mantenere/accrescere la funzionalità della mano. Nella maggior parte delle attività quotidianamente svolte, il paziente con rizoartrosi utilizza in modo scorretto l’articolazione TM. Questo uso improprio è spesso bilaterale: il dolore alla base del primo raggio si presenta bilaterale in quasi il 50% dei pazienti. Se la causa della rizoartrosi è identificabile in un comportamento motorio inadeguato, la terapia occupazionale si pone l’obiettivo di modificare la gestualità errata per ridurre la sintomatologia dolorosa e ritardare la progressione del processo degenerativo. Ogni gesto motorio è rappresentato in più aree corticali, sia per la fase di progettazione (area pre-motoria) sia durante l’esecuzione vera e propria (area motoria). Dato che la mano ricopre una superficie telencefalica superiore a ogni altro segmento corporeo, si suppone che un elevato numero di sinapsi non mature possa assorbire plasticamente l’influenza esercitata dall’apprendimento di nuovi schemi motori forniti dal terapista occupazionale. Le più recenti teorie neurofisiologiche sull’apprendimento del SNC dimostrano che la plasticità è una caratteristica permanente della corteccia telencefalica: di conseguenza non stupisce che una persona affetta da rizoartrosi, età media di 65 anni, impari a manipolare gli oggetti in una maniera più corretta in breve tempo. La plasticità neuronale è, infatti, età-indipendente e consente al paziente di apprendere una nuova gestualità per mezzo degli esempi forniti dal terapista occupazionale. Il paziente inoltre sarà più consapevole del minore impatto esercitato sull’articolazione, del risparmio energetico e della maggiore efficienza nell’utilizzo della forza dei nuovi gesti. La prova è facilmente ottenibile dal paziente. Comunemente, si utilizza una presa terminoterminale scorretta, durante la quale il primo dito è esteso, mentre il secondo è tenuto in flessione o estensione. Studi di biomeccanica dimostrano che le forze di presa sono scaricate con un basso impatto articolare solo quando il pollice e l’indice sono mantenuti in flessione, realizzando una circonferenza (fig. 6.4). Nel caso in cui pollice ed indice siano mantenuti in estensione, 52 scaricano le forze su di un triangolo immaginario, il cui vertice ipotetico si trova tra il primo ed il secondo metacarpo, con una risultante che spinge la base del primo metacarpo in direzione del radio (Fig. 6.5). Fig. 6.4 Fig. 6.5 Questa presa, rafforzata da anni di inconsapevole utilizzo, comporta un carico eccessivo sulla TM ed un impiego scorretto della muscolatura tenarica. In questo modo anche le forze muscolari lavorano in maniera inefficiente, sprecando energia. La muscolatura tenarica ha il compito di stabilizzare l’articolazione TM, ma in questo modo esercita anatomicamente una trazione nel senso dell’adduzione che comporta uno slittamento della base del metacarpo sul trapezio che da origine a dolore. Questo assetto in adduzione comporta un lavoro svantaggioso per la muscolatura che perde forza ed elasticità. Una dimostrazione economica si può ottenere testando la capacità di mantenere un foglio di carta con la presa termino-terminale, resistendo ad una trazione nel senso opposto esercitata dal terapista (equivalente al test per il segno di Froment): solo la presa più corretta a livello biomeccanico consente di trattenere il foglio proprio perché i due semicerchi scaricano la loro pressione a livello delle superfici distali delle dita senza scatenare dolore. L’assenza di dolore offre al sistema nervoso centrale (SNC) un input positivo, che favorisce una più alta probabilità di acquisizione del programma motorio a livello corticale. È inappropriato pensare che una semplice prova e/o esecuzione possa essere uno stimolo sufficiente a perdurare nel tempo. Il terapista occupazionale ha a disposizioni diverse strategie per facilitare l’apprendimento al paziente. Nel corso della stessa seduta, il terapista 53 cerca di convogliare l’informazione attraverso più canali sensoriali, in modo da offrire al SNC un messaggio significativo. I canali a disposizione del terapista sono: • visivo; • uditivo; • tattile – propriocettivo; • rinforzo positivo dato dall’esecuzione (soddisfazione). E’ consigliabile che il paziente ripeta più volte l’azione, per rinforzare l’afferenza al SNC. Un’informazione più intensa si ottiene richiedendo al paziente di compiere differenti prese, modificando la posizione del polso e/o dell’avambraccio. In questo modo il paziente non focalizza più l’attenzione esclusivamente sulla presa termino-terminale, e torna ad eseguire il vecchio e consolidato schema di prensione perché reclutando anche altri segmenti corporei, il SNC torna ad utilizzare uno schema che non è stato analizzato e rielaborato insieme al terapista. La scorretta gestualità in questi pazienti non si limita, infatti, ai segmenti più distali: essi hanno dimenticato la possibilità di utilizzare tutti i movimenti del polso o dell’avambraccio perché hanno dovuto intensificare l’impiego di una presa molto stretta, dovuta al primo raggio in adduzione, cui è solidale l’avambraccio in pronazione. Sarà pertanto sufficiente richiedere al paziente una presa con l’avambraccio in supinazione per metterlo in difficoltà: la spalla, utilizzata raramente in extrarotazione, è compensata dall’inclinazione del tronco; avambraccio e polso sono rigidi, o nel peggiore dei casi il paziente non riesce a formulare uno schema motorio che consenta di reclutare spalla-gomito-polso in modo efficiente, data l’abitudine del SNC a facilitare l’impiego di posture o movimenti a significato antalgico. In conclusione, la terapia occupazionale è uno strumento efficace a disposizione del terapista, ma soprattutto per il paziente, per salvaguardare la propria vita quotidiana. Il ruolo del paziente è importante perché se non motivato, o non ancora pronto al cambiamento può portare al fallimento del lavoro del T.O. L’economia articolare è un concetto che normalmente è proposto al paziente affetto da artrite reumatoide. Tuttavia l’utilità di questo trattamento non-stop, è stato applicato anche 54 per l’osteoartrosi in modo da ridurre i microtraumi a livello articolare, sia per la cartilagine sia per l’osso subcondrale. Le tecniche di protezione articolare e di conservazione dell’energia hanno lo scopo di: • mantenere l’integrità articolare; • mantenere la forza muscolare; • ridurre il dolore diminuendo gli stress meccanici che provocano l’infiammazione; • ridurre la fatica; in modo che il paziente possa continuare ad avere una funzione a un livello ottimale di indipendenza. Cordery nel 1965 sottolineava che “clinicamente la protezione articolare è l’istruzione del paziente su come eseguire le attività di vita quotidiane (avq) con un’entità di minimo sforzo per le articolazioni interessare per ridurre il dolore, preservare le strutture articolari e conservare le risorse fisiche (l’energia). Teoricamente, la protezione articolare è l’integrazione delle implicazioni della patologia, dell’anatomia e della chinesiologia con il modo di vita del paziente in modo che lo stato fisico e la capacità funzionale possa essere preservata al meglio”. Per i pazienti modificare il modo in cui viene svolta un’attività richiede non solo la comprensione, ma anche delle motivazioni per farlo. Molti pazienti necessiteranno di consigli, di informazioni e di tempo. L’uso delle tecniche di protezione articolare è molto impegnativo soprattutto nei confronti della mano dato che è lo strumento principe per esplorare e manipolare l’ambiente circostante. I principi di protezione articolare insegnati più comunemente sono: 1. il rispetto del dolore; 2. equilibrio tra riposo e lavoro; 3. mantenimento della forza muscolare e dell’articolarità; 4. riduzione dello sforzo; 5. evitare posizioni e azioni favorenti le deformità; 6. ripartire la sollecitazione su molte articolazioni o su una grande; 55 7. evitare una posizione statica; 8. utilizzare attrezzature coadiuvanti e tutori. 1. RISPETTARE IL DOLORE. Il paziente deve essere edotto sulle caratteristiche anatomiche e fisiologiche della propria articolazione TM così da saper localizzare la fonte del dolore. Questo consente al paziente di poter gestire in modo più adeguato lo stress portato all’articolazione sofferente. L’attività deve essere portata a termine soltanto fino al punto di affaticamento o disagio e interrompendola prima che inizi il dolore. Tempo e fatica spesi per l’attività dovrebbero essere ridotti se si manifesta dolore. È essenziale rivedere le attività comunemente esagerate come il giardinaggio, lavori di casa, fare la maglia. 2. EQUILIBRIO TRA LAVORO E RIPOSO. Il riposo consente di migliorare la resistenza dei gruppi muscolari più coinvolti nelle diverse attività, pertanto il suo verificarsi non deve essere sottovalutato. Il riposo per brevi periodi durante un’attività, prima di provare fatica o dolore, migliorerà in modo significativo la resistenza generale per quella stessa attività. 3. MANTENIMENTO DELLA FORZA MUSCOLARE E DELL’ARTICOLARITA’. Si può ottenere con l’attività funzionale e l’esercizio specifico. Nei casi in cui la flogosi fosse particolarmente accentuata è sufficiente mantenere l’articolarità con esercizi passivi. 4. RIDUZIONE DELLO STRESS. La maggioranza dei compiti può essere semplificata in modo che sia necessario un minore sforzo, riducendo così il dolore e lo stiramento articolare. L’utilizzo di un dispositivo adatto può ridurre la sollecitazione richiesta. 5. EVITARE POSIZIONI FAVORENTI LE DEFORMITA’. La sollecitazione intraarticolare deriva dalle forze compressive dei muscoli e la trazione dei tendini. Questa pressione è una forza deformante sull’articolazione infiammata e non dovrebbe essere esacerbata da un’eccessiva e scorretta gestione della mano. 6. RIPARTIRE LO SFORZO SU PIU’ ARTICOLAZIONI. Il paziente non dovrebbe eseguire prese che implicano uno sforzo eccessivo ed esclusivo della TM, ma cercare di coinvolgere le altre dita e il palmo; 56 7. EVITARE UNA POSIZIONE STATICA. I muscoli faticano, se costretti ad una contrazione isometrica prolungata. Essi, quindi, trasmettono la sollecitazione di posizione ai legamenti ed alle articolazioni sottostanti. 8. UTILIZZO DI ATTREZZATURE COADIUVANTI E TUTORI. Si dovrebbe considerare l’utilizzo di attrezzature coadiuvanti, in particolare quelle che aumentano l’azione di leva e quelle per ingrandire il diametro delle impugnature. ¾ SVITARE UN BARATTOLO Utilizzare un “ferma barattolo” consente di usare le due mani senza sovraccaricare le articolazioni; le due mani possono essere adoperate anche una sopra l’altra con le dita incrociate per fare più forza. Un’ulteriore possibilità può essere quella di tenere il barattolo fermo tra le gambe e utilizzare entrambe le mani per aprire il barattolo, utilizzando il peso del corpo. ¾ SCRIVERE Scrivere non è un atto traumatizzante se la penna è ingrossata. In questo modo si aumenta il calibro dell’oggetto e la TM di assume un atteggiamento il più vicino possibile alla closed packed position. Una penna comune ha una circonferenza di 2 cm circa. Utilizzando un’imbottitura si può arrivare ad una circonferenza di quasi 10 cm. 57 ¾ GIRARE LA CHIAVE NELLA TOPPA Le chiavi sono oggetti comuni persone, a tutte di le piccole dimensioni e che sono utilizzate più volte al giorno. Queste sottopongono la TM ad uno lavoro importante a cui si somma la difficoltà necessaria alla rotazione della chiave nella toppa, che sitmola ulteriormente l’articolazione. È sufficiente imbottire la presa della chiave per allargare la prima commisura e impegnare meno la TM durante questa AVQ. ¾ APRIRE IL TAPPO DI UNA BOTTIGLIA E’ possibile tenere la bottiglia tra le ginocchia ed utilizzare le dita lunghe (presa interdigitale). È sempre più frequente l’utilizzo di appositi strumenti che facilitano l’azione della mano sul tappo della bottiglia: in questa immagine la parte avvolgente dell’apri-bottiglia consente una leva più lunga e quindi richiede un minor lavoro muscolare. Ci si può aiutare anche con uno schiaccianoci qualsiasi. ¾ BERE DA UNA TAZZA Questa semplice ADL impegna molto la TM. E’ consigliabile l’impiego di una tazza a due manici, od una scodella che permetta una presa 58 in apertura della prima commissura, o ancora di tenere il manico della tazza con le dita lunghe. ¾ TAGLIARE Utilizzo di coltello per tagliare la carne con manico verticale per garantire una presa più grande e una minor spinta sull’adduzione del pollice. ¾ SBUCCIARE Nella vita quotidiana l’impiego di forchetta e coltello molto sono diffusi, perlomeno nel mondo occidentale. Tuttavia questi comportano un notevole lavoro per la mano artrosica, soprattutto per il pollice che è impiegato in maniera scorretta. Nella foto a sinistra è evidente che il ruolo del pollice della mano che adopera il coltello ha una funzione scarsa nonostante sia soggetto ad un intenso lavoro muscolare per rimanere in estensione. L’impiego di un 2pelapatata” anche se non comunemente utilizzato, può garantire una corretta postura ed impiego della colonna del pollice. Questo utensile può tornare utile per le diverse attività di cucina svolte dal paziente nel corso della vita quotidiana. 59 ¾ SOLLEVARE UNA PILA DI PIATTI Sollevare e sostenere una pila di piatti comporta uno sforzo importante per l’intero arto superiore (AS). Inoltre, anche se il pollice non svolge un’’attività fondamentale per questa ADL, spesso è atteggiato in estensione. È consigliato ripartire il peso sugli avambracci, per facilitare questo gesto e diminuire lo stress sul pollice e l’intero AS. ¾ SOLLEVARE UNA PENTOLA Anche una pentola vuota può sottoporre a un lavoro dannoso il pollice e la mano. Bisogna prestare attenzione all’impiego del pollice: meglio un pollice piegato verso il palmo a chiudere la presa a pieno palmo, perché questa non ha alcun significato funzionale. A pentola colma d’acqua, sfruttare gli avambracci risulta fondamentale: una mano sostiene la pentola dalla base mentre l’altra può impugnare il manico o abbracciare la pentola. È possibile sostenere la pentola con entrambe le mani: queste sono chiuse al palmo ed il pollice è posto sopra l’indice. ¾ TAGLIARE CON LE FORBICI Tagliare con le forbici tradizionali stimola le articolazioni TM e costringe il pollice 60 ad un lavoro isometrico in estensione. L’impiego di forbici “Stirex” (a destra) permettono di effettuare l’attività utilizzando la muscolatura tenare della mano e non l’ interfalangea del pollice (come nella foto a sinistra). ¾ CUCIRE Cucire a mano richiede una pinza termino-terminale concentrata su di una superficie, quella del filo o dell’ago, molto piccola. Uno scorretto impiego di questa pinza comporta una presa errata e uno stress importante sull’articolazione TM. L’ utilizzo di una pinza per non sovraccaricare la TM, soprattutto per estrarre l’ago dal tessuto, azione che richiede più forza in base alla consistenza del tessuto che si sta cucendo. Inoltre, per lo svolgimento di questa attività è consigliato l’utilizzo di un tutore funzionale che mantenga aperta la prima commissura ¾ TOGLIERE UNA PRESA ELETTRICA L’impiego in cucina di numerosi elettrodomestici comporta la gestione delle prese elettriche. Una spina qualsiasi presenta piccole dimensioni e predispone ad una corretta prensione. L’impiego di un adattatore, anche se non necessario ai fini elettrici, consente di ampliare la superficie di presa e di renderla più adeguata ad una prensione circolare. Insegnare al paziente la protezione articolare non è compito semplice. Il paziente si aspetta spesso un trattamento classico, fatto di pura manualità o supportato da terapie fisiche. Può 61 destare qualche perplessità trovarsi di fronte ad un fisioterapista che, dopo aver valutato la mano e posto diverse domande sul suo utilizzo, impiega il tempo della seduta fisioterapia per indicare quali siano i movimenti corretti dell’arto e come dovranno cambiare le abitudini gestuali. Dopo aver spiegato al paziente i principi appena illustrati, è importante insegnare le applicazioni nella vita quotidiana. Durante le sedute dovranno essere utilizzati dal paziente vari oggetti di uso quotidiano, così da sperimentare le prese corrette. Una brocca, un piatto, un barattolo col tappo, possono servire a questo scopo: il paziente potrà constatare che mantenere l’asse avambraccio mano senza deviazioni radio-ulnari durante le prese, è protettivo verso le articolazioni, ma è anche sensibilmente meno doloroso. Allo stesso modo il paziente potrà verificare che è certamente più corretto utilizzare le due mani per prendere gli oggetti, così da evitare dolori, utilizzare le grandi articolazioni e lavorare vicino al corpo. Occorrerà ricordare che la soglia del dolore va rispettata, rimanendo un preciso segnale di stress articolare. Se la rizoartrosi coinvolge principalmente il pollice, la rieducazione è rivolta alla mano che si risolve nella ricerca di un costante equilibrio tra l’esigenza di garantire una buona mobilità articolare e muscolare e l’attenzione a non sovraccaricare l’articolazione stessa. Oggetti ergonomici. Sono oggetti studiati per diminuire lo sforzo e quindi ridurre il carico articolare. Possono avere una superficie maggiorata e/o sdrucciolevole che diminuisce la pressione necessaria alle prese. Hanno impugnature che economizzano la forza e un braccio di leva più lungo. 6.5 TUTORIZZAZIONE I tutori rappresentano un valido strumento a disposizione del paziente e del fisioterapista. Oggi, la presenza sul mercato di materiali termoplastici modificabili con il calore, consentono un’ampia gamma di possibilità nella progettazione e realizzazione dei tutori per 62 avvicinarsi il più possibile alle richieste del paziente, in termini di funzionalità ma anche di efficacia terapeutica. Il primo passo per la scelta ed il confezionamento del tutore, è il posizionamento dell’articolazione in base all’attività durante la quale si indossa lo splint: tuttavia, in letteratura, non esiste uno studio che possa affermare la superiorità di un tutore rispetto ad un altro, nemmeno considerando i diversi gradi di gravità della patologia. 6.5.1. TUTORE STATICO Questo tipo di tutore è definito di riposo perché mette in scarico l’articolazione TM. Il mantenimento della posizione consente di ridurre il carico che grava sull’articolazione con conseguente diminuzione dell’infiammazione e del processo degenerativo. Nel corso delle 7-9 ore di riposo notturno, l’articolazione interessata subisce in maniera meno aggressiva il tutore perché la muscolatura ha un tono minore e non contrasta la posizione imposta al pollice. Un ulteriore beneficio è dato dal mantenimento di una posizione corretta per molto tempo. In letteratura è ancora irrisolto il problema riguardo il numero di articolazioni necessarie per scaricare al meglio la TM. Presso l’unità operativa di Chirurgia e Riabilitazione della mano (Multimedica Holding S.p.A, Sesto San Giovanni – Milano) il tutore è così confezionato: 63 - il tutore si estende dal 1/3 medio dell’avambraccio sino alla falange prossimale del pollice (antibrachiometacarpale); - le dita lunghe non sono comprese; il materiale termina a livello delle teste metacarpali sia sul palmo che sul dorso della mano; - il polso può essere in posizione zero o in leggera estensione; - il pollice viene mantenuto in opposizione. Durante il confezionamento viene richiesto al paziente di portare il pollice in opposizione rispetto al secondo o terzo dito. In questo modo il tutore è confezionato in una posizione più simile all’opposizione. Inoltre, è importante evitare l’estensione dell’IF del pollice durante l’opposizione; - la chiusura è più indicata sul dorso della mano per evitare la deviazione ulnare che è un atteggiamento frequente in questi pazienti. I velcri, infatti, assicurano una trazione in senso radiale stabilizzando globalmente il polso. 6.5.2 TUTORI FUNZIONALI TUTORE FUNZIONALE IN NEOPRENE Questo tipo di tutore è rapido da confezionare, e di facile vestizione per il paziente.. Lo scopo del tutore è di imprimere al metacarpo due forze opposte ma stabilizzanti. Il tutore è composto da un’unica fascia di neoprene: da questa è possibile ricavare un effetto in trazione duplice seconda la disposizione. Il tutore constra di una componente distale, che si trova sulla falange prossimale, dove si realizza l’incrocio tra le due estremità della fascia. In basso, continuano le due estremità, che si incrociano proprio in corrispondenza dell’articolazione TM. Questo incorcio si ottiene applicando sulla cute, l’estremità nella direzione dell’opposizione, mentre, l’altra è posta superficialmente e nel senso dell’abduzione. Le due estremità sono mantenute in posizione da un semplice pezzo di velcro e che consente al paziente di chiudere il tutore come se si trattase di un orologio. Questa disposizione rispecchia le forze muscolari che assicurano la stabilità del pollice. 64 La componente più profonda è sinergica alla muscolatura tenare, quella superficiale nel senso dell’estensione: l’effetto biomeccanico si svolge sulla base del primo metacarpo che viene riposizionato sulla sella del trapezio per effetto di una spinta in senso ulnare, opposta quindi, a quella della sublussazione. Inoltre la fascia superficiale si oppone all’iper attività dell’adduttore del pollice: si ottiene un doppio effetto di allungamento di un muscolo retratto e apertura della prima commisura. Fig. 6.6 – Tutore funzionale in neoprene: lo scopo del tutore è di stabilizzare l’articolazione TM durante lo svolgimento delle avq. Fig. 6.7 – Differenza nella presa di un oggetto di piccolo calibro con o senza tutore funzionale. È evidente la riduzione della componente lussante in senso radiale. TUTORE STABILIZZATORE Questo modello controlla l’articolazione TM e MF del pollice, nella posizione di prensione. Lo scopo è quello di ridurre le sollecitazioni meccaniche sulle articolazioni durante le avq e 65 modificare la posizione utilizzata per la presa, in modo che la postura che causa dolore sia evitata anche senza vestire il tutore. Il tutore si confeziona da un pezzo di materiale termoplastico a forma di“C”. La parte convessa deve ricoprire la superficie della muscolatura tenarica, mentre la porzione concava abbraccia da entrambi i lati, la prima falange. È importante limitare l’orlo superiore del tutore a livello della plica di flessione dell’articolazione IF, mentre quello distale deve rispettare la plica palmare superiore per rendere il tutore confortevole durante le diverse azioni. A differenza degli altri tutori di questo capitolo, il modello il neoprene ha principalmente un compito di chiusura che, date le caratteristiche elastiche del materiale, è sfruttato per dirigere l’intero pollice nel senso dell’opposizione. Durante l’attività sarà impossibile la sublussazione del metacarpo con la relativa iperestensione della P1 e la flessione della P2. TUTORE A SELLA Questo tutore consta di una porzione di posizionamento ed una di fissaggio di materiale elastico. La parte di posizionamento è realizzata da un cerchio di materiale termoplastico che una volta scaldato, è modellato sulla prima commissura. Il materiale non deve estendersi oltre alla prima falange mentre sul secondo dito non deve impedire la flessione dell’articolazione metacarpofalangea. 66 Il polso non è compreso nel materiale termoplastico: questo consente di collocare liberamente la mano nei diversi piani dello spazio, facilitando anche una migliore associazione motoria tra i diversi segmenti dell’arto superiore. La parte di fissaggio del tutore è un braccialetto di velcro posizionato sotto la plica di flessione del polso: la sua funzione è di offrire un aggancio ad una o più fasce di neoprene. Questo tipo di tutore può essere molto utile nel trattare una prima commissura con una scarsa mobilità passiva. La sellina di posizione può essere modificata più volte dando luogo ad una serie di tutori mobilizzanti che sono aggiustati per aumentare l’apertura del primo spazio ogni due o tre giorni. La progressione viene mantenuta fino a quanto la misurazione passiva dell’abduzione eguaglia quella del pollice controlaterale o rimane invariata per tre o quattro modifiche consecutive del tutore. E’ possibile completare il tutore con l’aggiunta di bendelette in neoprene. Il concetto di partenza è sempre quello di mantenere il più possibile aperta la prima commissura attraverso l’impiego della sellina, ma quello che lo differenzia, è l’applicazione della fascia di neoprene. In questo modo il tutore può essere realmente personalizzato in base al quadro clinico ma soprattutto in base alle richieste funzionali del paziente. Sarà, infatti, sufficiente avere una o più fasce di neoprene e tagliarla/e nel modo da assicurare il maggior vantaggio biomeccanico al paziente. Fig. 6.8 – Sulla sinistra è riportato il materiale necessario per il confezionamento. A desta è presentata una possibile trazione data dai velcri. 67 Questo tipo di tutore è molto funzionale, poiché permette al paziente di svolgere le proprie attività con maggiore facilità, data la presenza dei tiranti in neoprene. Esso consente la mobilità del polso necessaria all’esecuzione delle comuni attività mentre la sellina limita il range di movimento della TM, che rappresenta il vero fine terapeutico dello splint. La costrizione offerta dal tutore, rende sensibile il soggetto della modalità di prensione corretta, corrispondente a quella imposta dal tutore. La fase successiva è la corticalizzazione della presa che è ottenuta attraverso un graduale svezzamento. Il fisioterapista non indica al paziente una data per la rimozione del tutore: è il paziente a decidere la posologia, in base alle proprie necessità o al grado di apprendimento da lui valutato. Fig. 6.9 – applicazione del tutore nelle AVQ. La sellina non consente la sublussazione del metacarpo. TUTORE DI OPPOSIZIONE CORTO Questo modello, descritto da Coditz(2000), è definito corto perché esclude l’articolazione MF del pollice ed il polso. L’unica limitazione di funzione data si ha, quando è necessario spianare il palmo. Questo tutore ha la funzione di prevenire la lussazione del primo metacarpo verso il lato radiale della mano durante la presa. Qualora fosse necessario evitare l’iperestensione della MF è possibile aggiungere materiale dorsalmente all’articolazione, che impedisce il compenso della MF. 68 Fig. 6.10 – Tutore di Colditz: la finalità del tutore si ottiene dalla posizione in opposizione data al pollice: la TM è bloccata e la forza di flessione è trasmessa distalmente, mentre la componente derivata dai muscoli intrinseci stabilizza il primo metacarpo. La necessità di bloccare parzialmente l’estensione della MF è legata ai problemi secondari che la rizoartrosi comporta sulle articolazioni distali ad essa. Generalmente se si riesce ad ottenere una stabilizzazione della TM attraverso l’uso di uno splint, si riescono a mantenere i normali meccanismi della MF. Qualora lo squilibrio fosse già presente un’estensione dello splint a livello dorsale oltre la MF, blocca questa in semi-flessione controllando l’esecuzione della presa e rallentando l’instaurarsi di una probabile deformità. E’ necessario essere accurati nel confezionare questo splint di piccole dimensioni. L’efficace stabilizzazione della TM dipende dall’accurata disposizione dell’articolazione e dal modellamento del materiale che deve supportare il primo metacarpo, garantendo il massimo confort. In letteratura non esiste un’indicazione sulla posologia più adeguata. Nelle prime settimane è consigliabile indossarlo per la maggior parte della giornata. A partire dalla quarta settimana, lo splint può essere indossato per prevenire l’infiammazione dell’articolazione quando il pollice viene utilizzato per attività ripetitive o comunque stressanti. 6.6 ESERCIZIO MUSCOLARE Un’articolazione interessata da una degenerazione artrosica richiede un programma di esercizi specifici. Dato che il pollice interviene nel 40-50% delle attività della mano, appare evidente che questo dito richiede un adeguato training per migliorare la stabilità extra-articolare, indispensabile per evitare l’avanzamento del processo patologico e l’instaurarsi di deformità muscolo-scheletriche difficilmente reversibili. 69 L’attivazione corretta della muscolatura del pollice scongiura la diminuzione dell’arco di movimento (ROM) garantendo un’adeguata funzionalità della mano al paziente e contribuendo a ritardare la progressione dei sintomi. L’obiettivo del rinforzo muscolare è una presa salda e stabile e la diminuzione della rigidità. Un’articolazione più stabile e ben allenata, avverte meno dolore. Gli esercizi non devono assolutamente scatenare dolore, ma, sollecitare una muscolatura scarsamente allenata. Gli esercizi da svolgere sono: 1. compiere la pinza termino-terminale con il secondo dito mantenendo lo spazio interdigitale e la flessione corretta dell’IF del pollice, realizzando in questo modo una “O”. Fig.6.11– Si noti l’atteggiamento in estensione (sinistra). Esso privo è di significato funzionale al fine dell’esercizio. Questo esercizio è importante perché induce la contrazione sinergica tra i muscoli flessori del pollice e l’adduttore e compiere una pinza termino-terminale corretta. La ripetizione dell’esercizio assicura il miglioramento del trofismo muscolare e facilita l’apprendimento di questa corretta modalità di prensione nel corso delle ADL. L’esercizio fornisce la possibilità ai tendini estensori del pollice di essere trazionati, eseguendo così un blando stretching che si oppone al consueto accorciamento. È possibile incrementare la forza allenanente con l’utilizzo di un elastico. Posizionando un elestatico attorno a pollice e mignolo, si aumenta la forza opposta al movimento richiesto. Si possono utilizzare inoltre plastiline o elastici, che, tirati dalla mano controlaterale favoriscono la stabilizzazione della presa controresistenza. L’obiettivo è mantenere gli oggetti all’interno della presa. 70 2. eseguire una trazione e rotazione secondo l’asse longitudinale del metacarpo. L’obiettivo è separare le superfici articolari. L’operatore afferra il primo dito e lo traziona lungo l’asse longitudinale in senso prossimo-distale; in seguito, eseguendo rptazioni sia in senso orario sia antiorario del dito, si cerca di posizionare allineati i capi ossei. Bisogna in ogni caso porre attenzione a questa manovra, soprattutto negli stadi in cui l’osteofitosi è importante o prossima alla linea di azione di tale manipolazione. Fig.6.12 – Questa serie di esercizi è importante per movimento il interno all’articolazione. La infatti, degenerazione, influisce negativamente tanto sulle ossa quanto per la raccolta di liquido intrarticolare di tipo infiammatorio. L’obiettivo di questo esercizio è di favorire un turn-over dei liquidi all’interno dell’articolazione e di aumentare lo spazio tra le superfici articolari. Infatti, una delle caratteristiche dell’artrosi è l’assottigliamento della rima articolare che causa un maggior contatto tra i capi ossei stimolando l’osso subcondrale che è innervato, anziché l’osso corticale. La manipolazione mira ad aumentare, per quanto possibile, lo spazio fisico presente tra i due segmenti ossei, in modo che, il movimento non determini un’ulteriore erosione delle superfici articolari. È importante un’adeguata valutazione dell’aspetto radiografico prima di affidare al paziente la manipolazione dell’articolazione: nel caso di un paziente affetto da osteoporosi è sconsigliato l’utilizzo di queta manovra a domicilio. 71 3. proiettare prima in avanti e poi in senso longitudinale, come se le dita stessero crescendo, sia il primo sia il secondo raggio prestando molta attenzione all’allineamento dei capi ossei. Fig. 6.13 È infatti importante evitare l’iperestensione dell’articolazione IF o una posizione di partenza in adduzione del primo spazio interosseo; 4. aprire attivamente il primo spazio interdigitale mantenendo la mano piana sopra al tavolo, senza caricare il peso sul palmo e stabilizzando il polso in pronazione con l’aiuto della mano controlaterale. Il movimento deve essere eseguito dall’articolazione TM in modo da far lavorare il muscolo estensore breve e lungo e l’abduttore lungo del pollice, evitando che si verifichi l’iperestensione dell’articolazione MCF e IF del pollice. La posizione finale, infatti, deve simulare la lettera “L”. Fig.6.14 – L’esericizio è importante per recuperare AROM nei movimenti di abduzione. Questo esercizio oltre a rinforzare la muscolatura sopraccitata, esegue uno stretching al muscolo adduttore, opponendosi al suo patologico atteggiamento. La ripetizione migliora l’estensibilità muscolare, diminuendo l’atteggiamento in adduzione sia a riposo che durante lo svolgiemento delle ADL. 72 5. prendere piccoli oggetti attraverso l’impiego di una pinza con le altre dita lunghe (una per volta), controllando l’apertura della prima commisura e la flessione dell’IF del pollice nel corso dell’azione. Fig.6.15 – L’esercizio mostra la presa di un piccolo oggetto: un ditale per cucito. Nei casi più compromessi si può iniziare con oggetti di maggiore calibro. Sul lato destro dell’immagine, sono riportate le prese dell’oggetto con ciascun dito. Anche questo esercizio è focalizzato sulla corretta disposizione della pinza terminoterminale. È importante assicurarsi che il pollice e il dito opposto formino una circonferenza per consentire un corretto carico biomeccanico a tutte le articolazioni coinvolte, in particolare alla TM. L’esercizio costante consente di migliorare il trofismo dei muscoli flessori del pollice, ma anche quelli delle dita lunghe(soprattutto il flessore profondo). Nei pazienti con rizoartrosi è possibile notare difficoltà iniziali nel completare questo esercizio: i problemi maggiori sono dati dall’opposizione rispetto al IV e V dito. Essi, infatti, sono raramente protagonisti di prese termino-terminali con il pollice. Tuttavia, è possibile allungare l’apparato muscolo-tendineo delle dita lunghe proprio perché raramente utilizzate o coinvolte in maniera corretta. 6. distendere l’articolazione TM in due tempi sfruttando la mobilizzazione attiva del polso. Con la mano a pugno e il pollice serrato dalle dita lunghe, deviare ulnarmente il polso. Questa posizione deve essere mantenuta per almeno 5-15 secondi per poi ritornare alla posizione di partenza; l’esercizio è eseguito lentamente e raggiungendo progressivamente la posizione più efficace, corrispondente alla massima trazione sopportabile. Essa non deve scatenare vivo dolore, ma dare la sensazione di stirare, nel suo insieme, la colonna del pollice. 73 Fig.6.16 –E’ importante ai fini dell’esercizio che il pollice sia incluso nella presa delle dita lunghe. Questo esercizio imprime un allungamento ai tessuti molli, soprattutto ai muscoli che spesso, sono contratti. Infatti, attraverso questa manovra sono stimolati in allungamento tutti i tessuti molli e muscolari che sono coinvolti nel processo artrosico. Bisogna ricordare che la degenerazione non provoca unicamente una processo patologico a carico dell’osso, ma anche una serie di deficit a carico delle strutture circostanti. I tessuti molli sono infarciti dai fattori infiammatori soprattutto nel corso delle fasi acute della patologia; le masse muscolari sono ipotrofiche per lo scarso o scorretto utilizzo nel corso delle ADL e spesso risultano accorciate. Con questo esercizio si ricerca l’allungamento dei gruppi tendinei estensori del pollice (la sensazione si avverte sia alla base del pollice che presso la tabacchiera anatomica) ed anche della capsula articolare della TM. 7. esercizio del “cavatappi”: il paziente deve immaginare dsi dover sfilare la punta del suo pollice incastrata nel collo di una bottiglia. Il movimento richiesto sarà quindi a carico maggiormente delle articolazioni TM a MF ed IF mantenute in flessione Fig.6.17 – Mantenendo MF ed IF flesse: lavoro di mobilizzazione e di stabilizzazione per la TM. La coattivazione della muscolatura flessoria ed estensori consente di ricercare il fine equilibrio muscolare che stabilizza e allnea l’articolazione TM. è infatti possibile apprezzare 74 come un “gradino” esistente tra trapezio e metacarpo in posizione iniziale; esso scompare mentre il paziente raggiunge la posizione finale dell’esercizio. 8. esercizio del “bibliotecario”: con la mano appoggiata su di una superficie, immaginare di dover sfilare un libro, di medie dimensioni, da un pila di libri. Oltre al rinforzo muscolare del muscolo opponente del pollice, si esegue un esercizio rivolto alla stabilizzazione e allineamento della colonna del pollice sul suo asse longitudinale. Fig.6.18 – Il movimento di opposizione deve essere simile ad un’ellisse. In generale, soprattutto nei casi in cui l’intera mano è coinvolta dal processo artrosico, sarà opportuno seguire un programma che coinvolga anche le dita lunghe ed il polso: 1. formare il pugno (chiusura delle dita che coinvolge le articolazioni MCF, IFP, IFD). 2. completa estensione delle articolazioni MCF, IFP, IFD (sollevando le dita). 3. rafforzare i muscoli intrinseci tenendo le dita tese, portarle in basso sempre estese come se si dovesse fare un tetto. Con i polpastrelli raggiungere il palmo della mano. 4. esercizi di deviazione sia radiale che ulnare per le articolazioni MCF. 5. esercizi di flesso-estensione del polso al fine di mantenere la corretta lunghezza dei tendini della muscolatura estrinseca della mano e che ha il compito di stabilizzare il polso consentendo alla muscolatura intrinseca di lavorare nel modo più ergonomico possibile. 6.6 KINESIO TAPING Kinesio Taping, originariamente sviluppato in Giappone più di 25 anni fa dal Dr.Kenzo Kase, è una tecnica basata sull’applicazione sulla cute di una benda adesiva-elastica. Questa 75 è una stoffa di cotone molto sottile, porosa, con una componente acrilica-adesiva; è priva di sostanze farmacologiche. Essa è usata in molteplici aree della riabilitazione come supporto ad altri metodi ed approcci riabilitativi, potenziando effetti e risultati, come dimostra il crescente utilizzo di questa risorsa. La sua efficacia si concretizza attraverso l'attivazione dei sistemi neurologici e circolatori. L’azione Kinesio Taping ha, infatti, quattro principali effetti fisiologici: 1. Corregge la funzione muscolare. Kinesio Taping è efficace nel ripristinare la giusta tensione muscolare: facilita o inibisce la contrazione muscolare (a seconda della modalità di applicazione); 2. Aumenta la circolazione del sangue/linfa. Kinesio Taping aiuta ad eliminare l'eccesso di edema e/o raccolte ematiche tra la pelle ed il muscolo; 3. Riduce il dolore. La soppressione neurologica del dolore avviene dall'applicazione del Kinesio Taping sulla zona colpita; 4. Assiste nella correzione dell’allineamento dell’articolazione. La dislocazione di un'articolazione, dovuta alla tensione muscolare anormale, può essere corretta dal Kinesio Taping tramite il recupero della funzione e della fascia muscolare. È necessario stirare la pelle e i muscoli prima dell’applicazione del KINESIO TAPING in modo da ottenere l’effetto “convoluzione” che avviene quando sulla pelle è utilizzato il KINESIO TAPING. Tale proprietà è legata sia alle caratteristiche strutturali del tape sia alle modalità di applicazione. Quando sul segmento interessato viene applicata la benda si producono immediatamente degli effetti sul microcircolo locale quali miglioramento dell’ossigenazione dei tessuti ed aumentato riassorbimento dell’edema. Tutto questo si ripercuote sull’apparato nocicettivo con diminuzione della stimolazione dei recettori locali del dolore. Per ogni affezione muscolo-scheletrica o patologia sono possibili diverse applicazioni. Nel caso della rizoartrosi, è possibile applicare il tape 76 (fig. 6.19) - Nella tecnica della “stella” si pone il centro della stella in corrispondenza dell’articolazione TM. (fig.6.20) - Nella tecnica “hole” (buco) si utilizza la stella unita al foro che viene posizionato al centro dell’articolazione TM. (fig. 6.21) - La terza tecnica si effettua con un nastro largo 5 cm della lunghezza di 10 cm. Il primo dito è mantenuto in massima opposizione rispetto al palmo, si posiziona il nastro con la tecnica dello spazio in corrispondenza dell’articolazione. Successivamente si adagia il nastro senza trazione con il primo dito in massima abduzione. 6.8 TECNICHE DI MANIPOLAZIONE DELL’ARTICOLAZIONE TM Tali procedure prevedono un lavoro di stetching lineare, stretching trasversale, profonde pressioni, trazioni, e/o separazione delle inserzioni muscolari. Queste manovre possono precedere una tecnica in thrust oppure si possono utilizzare per il loro effetto meccanico, circolatorio (favoriscono il ritorno venoso e linfatico con effetto decongestionante sui tessuti), neurologico (azione sui propriocettori, meccanocettori, nocicettori di muscoli, cute e fasce). 77 È possibile manipolare l’articolazione alla ricerca di movimenti accessori: attraverso movimenti di rotolamento e scivolamento si ricerca una posizione più simmetrica dell’articolazione. Essi, oltre a consentire un maggiore allineamento, permettono lo svuotamento della capsula articolare così da ridurre la compressione avvertita sui mezzi di unione dell’articolazione. Questa tecnica ha come controindicazione la presenza di un’importante osteofitosi. 6.9 MASSAGGIO Il massaggio è spesso sottovalutato e poco impiegato come strategia terapeutica. Una sua corretta esecuzione può essere, tuttavia, molto efficace nel trattamento delle affezioni muscolo-scheletriche. Gli scopi del massaggio sono: • ripristino della circolazione. • azione sui muscoli e sulla fascia. Il corretto afflusso ematico è di estrema importanza perché consente ai tessuti un’adeguata respirazione cellulare. È dimostrato come un’alterazione dell’apporto di ossigeno ai tessuti provoca una sofferenza sia a livello microscopico sia macroscopico: la sintomatologia dolorosa muscolare è spesso provocata da contratture che comprimono i vasi intramuscolari determinando una dolorosa ischemia. Al contrario, una corretta lunghezza muscolare ed irrorazione sono garanti di un appropriato apporto di ossigeno, metaboliti e dalla rimozione di cataboliti. Una scorretta circolazione è responsabile di stati edematosi; l’imbibizione dei tessuti è data da un’alterazione del ritorno venoso, accompagnato da una crescente difficoltà del sistema linfatico a drenare il liquido interstiziale dai tessuti. L’infarcimento del tessuto muscolare può provocare una riduzione delle caratteristiche proprie del muscolo, quali viscosità ed elasticità, riducendo quindi la mobilità del segmento interessato che potrà facilmente andare incontro a rigidità. Il mantenimento della completa mobilità passiva e del movimento attivo sono strumenti indispensabili per scongiurare la cronicizzazione della rigidità. 78 I muscoli, infatti, necessitano di una corretta lunghezza per svolgere efficacemente la loro funzione. La regola di Frank – Starling è una delle basi della fisiologia muscolare. Tutti i muscoli del corpo possiedono una ben definita relazione tensione lunghezza che dimostra l’esistenza di una lunghezza ottimale del muscolo alla quale la forza di contrazione risulta massima che è approssimativamente la normale distanza tra i punti di inserzione del muscolo in considerazione. Una modifica della disposizione delle masse muscolari provoca un’alterazione delle forze e predispone a compensi che si cronicizzano in breve tempo. Essi ostacolano il fisioterapista nella rieducazione muscolare poiché è molto difficile rieducare il SNC ed il muscolo a lavorare in una maniera che risulta inusuale. Il massaggio ha effetto anche sulle fasce. Le componenti fasciali possono essere descritte come costituite da tre strati. La fascia superficiale è inserita sulla superficie interna della cute ed è a componente prevalentemente lassa. La fascia profonda è dura, tesa e compatta. Essa divide l’organismo in vari comparti: avvolge e separa i muscoli, circoconda e divide gli organi. La fascia fornisce sostegno ai vasi e ai nervi di tutto l’organismo e la sua struttura tripartita permette stabilità e definizione alle componenti anatomiche. L’importanza della fascia è data anche dalla presenza dei corpuscoli di Paccini presenti sulla porzione superficiale: questi recettori nervosi periferici forniscno informazioni utili ai riflessi del sistema neuromuscolare. La stretta connessione esistente tra la fascia e i muscoli permette di compiere contrazione e rilassamenti. Nel caso del paziente affetto da rizoartrosi è utile massaggiare il muscolo adduttore del pollice; è consigliabile sfruttare la maggiore elasticità ottenuta con il massaggio per eseguire successivamente uno stretchinig muscolare al fine di mantenere il rilasciamento dei tessuti molli. È necessario conoscere l’anatomia per applicare il massaggio data anche la difficoltà di poter raggiungere selettivamente i muscoli del pollice, così prossimi e sovrapposti tra loro. Possono essere utilizzate diverse tecniche per eseguire il massaggio: 79 Il massaggio di sfioramento: è dato dallo scivolamento della mano lungo la superficie della zona interessata. È consigliabile scorrere in direzione centripeta, in direzione del ritorno venoso e linfatico. È eseguito con il palmo della mano che si adatta al contorno della regione anatomica soggetta al trattamento. È anche possibile sfruttare l’eminenza tenar per eseguire una maggiore pressione sulla superficie cutanea e muscolare. La tecnica di sfioramento è consigliata per preparare i tessuti molli prima di procedere ad un massaggio più energico e profondo. Frizione: si differenzia dallo sfioramento perché la mano esercita una maggiore pressione e provoca uno spostamento dei piani superficiali sui tessuti sottostanti. Infatti, non è solo la mano che scivola sui piani profondi ma anche la cute che scivola sui piani profondi. Per ottenere ciò è necessario che la pressione esercitata dalla mano del massaggiatore trovi un piano di resistenza o di contropressione su cui agire: esso è costituito negli arti dalla fascia aponeurotica muscolare. Lo scopo ed effetto principale della frizione è quello di mobilizzare tessuti aderenti per processi processi infiammatori o chirurgici, favorire il riassorbiemtn odi depositi patologici. Impastamento: si effettua agendo sull'asse trasversale del muscolo con movimenti alternati. Con questa manovra è possibile arrivare in profondità spremendo i tessuti molli, favorire il torrente ematico e, contemporaneamente, stimolare una vasta superficie dell'epidermide attraverso l’azione sui meccanocettori cutanei. È praticato soprattutto nelle zone del corpo dotate di una massa muscolare voluminosa come nelle cosce, nei fianchi e nei glutei. Vibrazione: è una manovra indirizzata particolarmente a combattere i dolori artrosici. Esse agiscono attenuando la sensibilità delle terminazioni nervose; l’effetto analgesico si ottiene con vibrazioni di frequenza ed ampiezza media; se troppo forti, esse irritano i collaterali sensitivi, provocando un aumento del dolore riferito dal paziente. Sono possibili due varietà di applicazione: - verticale: si ottiene da una rapida alternanza di pressione e rilasciamento esercitate perpendicolarmente sulla pelle, sempre nella stessa sede e senza staccare le dita dalla cute stessa. Essa si trasmette nei piani profondi come treni di impulsi; 80 - trasversale: è provocata spostando in senso longitudinale le parti molli sui piani profondi. Il massaggio trasverso profondo (MPT): è il risultato degli studi del dottor Cyriax che introdusse un concetto estremamente valido per l’intera medicina riabilitativa. Egli sosteneva che ogni sintomo è provocato da una lesione: pertanto ogni trattamento deve raggiungere e svolgere il proprio effetto sull’area lesionata. Il MPT permette la mobilizzazione del tessuto nella sede della lesione ed esplica i seguenti effetti: • riduzione delle aderenze cicatriziali che sono il risultato del processo infiammatorio; • iperemia che favorisce la rimozione delle sostanze infiammatorie e aumenta la degradazione della sostanza P, neurotrasmettitrice del dolore al SNC; • stimolazione diretta sui meccanocettori con l’effetto di ridurre la stimolazione del recettore grazie all’aumento della soglia di attivazione dello stesso (abituazione allo stimolo) • a differenza delle altre tecniche di massaggio, è in grado di agire sulle fibre-fibrille muscolari. Il processo infiammatorio non consente un regolare scorrimento tra le fibre: il risultato è una maggiore adesione tra le componenti muscolari che determina un minor ricambio ematico e quindi la permanenza dei cataboliti. La predisposizione all’attaccamento è contrastata con il movimento imposto dal massaggio, la mobilizzazione articolare e, dove possibile, una più corretta gestione nello svolgimento delle ADL. Rilasciamento mio fasciale: questa tecnica consiste in un gentile stretching e massaggio al fine di curare ed alleviare il dolore. Questa tecnica è parte del bagaglio terapeutico dell’osteopata e si pone l’obiettivo di diminuire la pressione a carico della fascia fibrosa del tessuto connettivo che riveste completamente i muscoli di tutto il corpo. Le guaine di questo tessuto connettivo denso ed elastico formano un’intricata rete tridimensionale che sostiene gli organi e le articolazioni e agisce come shok-absorbe. Inoltre, una ricca componente di meccanocettori rende particolarmente sensibile questo tessuto alle alterazioni di pressione o carico esercitata su di esso. 81 Proprio i traumi a cui è sottoposta la fascia sono causa di una cicatrizzazione o riorganizzazione di questa rete di tessuto connettivo: lo squilibrio che ne consegue è la principale causa di dolore e di impedimento al movimento. Fig. 6.22 – L’aponeurosi palmare è una robusta membrana fibrosa, posta nel sottocutaneo, tra le eminenze tenar ed ipotenar. Ha forma triangolare con la vase disatale e l’apice prossimale. La faccia superficiale è unita alla cute mentre la profnda si unisce al legamento trasverso del carpo, più in basso ricopre i tendini dei muscoli flessori, i lombricali e i vasi dell’arcata arteriosa palmare. Nella mano esistono cinque fasce: una per l’emineza tenar, ipotenar, la fascia palmare profonda e le fasce dorsali superficiale e profonda. Quella per l’eminenza tenar ricopre i sottostanti muscoli; lateralmente si fissa al margine laterale del 1°metacarpalee medialmente prosegue nell’aponeurosi palmare. Tale terapia è basata sul concetto che una postura scorretta, un trauma fisico, una malattia o uno stress di qualsiasi tipo possa generare una disfunzione che si ripercuote necessariamente sull’intricata rete delle fasce. Gli effetti della disfunzione sul tessuto miofasciale si traducono in una difficoltà di scorrimento dei tessuti tra di loro; questa condizione da luogo nel tempo alla formazione di aderenze che limitano ulteriormente la mobilità delle fibre muscolari. Gli stiramenti leggeri eseguiti dall’operatore hanno lo scopo di alleviare queste disarmonie, sciogliendo o “rilasciando” le aderenze o le anomalie della fascia. Il rilasciamento miofasciale è una forma gentile di terapia, anche se l’organo bersaglio è un tessuto resiliente e pertanto, necessita di uno stimolo intenso e prolungato per essere modificato. L’applicazione di una pressione continua agisce sulle aderenze, ammorbidendo e allungando la fascia. Il rilascio miofasciale ha effetto anche sulle restrizioni microscopiche 82 che alterano l’afflusso ematico e la motilità delle formazioni nervose, migliorando così la circolazione e la trasmissione del sistema nervoso, dando luogo ad un processo auto curativo essenziale per la riabilitazione del distretto anatomico interessato. Nessuna di queste tecniche è stata accettata come superiore rispetto ad altre. Infatti, poco o nulla è stato pubblicato sull’efficacia del massaggio nelle alterazioni degenerative della TM. Xu ed altri hanno portato a termine uno studio sull’utilità del massaggio alla muscolatura tenare nel recupero della forza. Questo ha mostrato che non serve a nulla o meglio che è equivalente al riposo. La tecnica impiegata, l’area di applicazione, direzione e durata del massaggio devono essere conformate alla disfunzione del tessuto molle, alla tolleranza del paziente e all'obiettivo che si vuole raggiungere a fine seduta. Il massaggio di stiramento è una procedura essenziale nel trattamento correttivo dei muscoli e della fascia accorciati da difetti posturali perduranti da molto tempo o dall'immobilizzazione. Il paziente spesso riferisce di avvertire "un dolore piacevole" e che i muscoli tesi vengono "sciolti" da uno stretching efficace. 5.8 TERMOTERAPIA Ghiaccio Il freddo ha una lunga storia nell’uso medico ed è stato applicato per alleviare il dolore per migliaia di anni (Licht, 1984). Oggi il ghiaccio è il metodo più comune per l’applicazione del freddo al corpo e viene utilizzato frequentemente sia in ambito ospedaliero sia casalingo. I due effetti fisiologici prodotti dal freddo, che hanno l’effetto maggiore sul dolore, sono l’effetto sulla circolazione locale e sul SNC. Il raffreddamento locale di un’articolazione interessata produce vasocostrizione e vasodilatazione alternate; tale effetto rimuove le sostanze prodotte dall’infiammazione dall’area riducendo il dolore. L’applicazione del ghiaccio alla cute normoinnervata produce uno stimolo molto potente, che si dimostra utile nell’attenuare lo spasmo muscolare associato all’infiammazione; l’eliminazione dello spasmo consente ai vasi ematici precedentemente compressi di portare il sangue ai muscoli (Palastanga, 1994). Questa 83 tecnica è particolarmente appropriata quando le articolazioni sono infiammate in modo acuto, e su di esse può essere utilizzata almeno due volte al giorno, se necessario. Calore L’applicazione del calore a un’articolazione infiammata è controindicata, poiché può aumentare l’infiammazione. L’utilizzo del calore è tuttavia utile, durante la remissione e per l’infiammazione cronica. I suoi effetti sono di alleviamento del dolore associato allo spasmo muscolare e sedativo sulle terminazioni nervose sensitive (Low e Reed, 1990). Il calore viene spesso utilizzato prima degli esercizi, poiché l’estensibilità del collagene aumenta a temperature elevate (Lehmann et al., 1970). Il calore può essere applicato in molti modi. A casa utilizzando una bottiglia di acqua calda o una borsa; in ospedale viene applicato con una lampada a raggi infrarossi, bagni di paraffina o placche riscaldate elettricamente. 5.9 TERAPIE FISICHE ONDE D’URTO A scopo antalgico, il medico prescrive le onde d’urto. Quest’ultime agiscono come analgesico attraverso: - una vibrazione interna e prolungata che modifica la permeabilità delle membrane cellulari poste sul fuoco terapeutico determinando una iperstimolazione neurogena con effetto analgesico; - inibizione della depolarizzazione delle membrane dei nocicettori; - produzione di endorfine. L'intero ciclo di onda d'urto è composto da 5 sedute a frequenza settimanale o, in alcuni casi, bi-settimanale della durata di circa 20 minuti (non serve effettuare più di 5 sedute). TECARTERAPIA (Dispositivo di trasmissione energetico per diatermia) Questo apparato di terapia fisica è indicato per la cura di tutte le patologie acute e croniche in ortopedia e traumatologia, in particolare quella sportiva (ad es. lesioni muscolaritendiniti) e l'artrosi. 84 L'apparato si avvale di un sofisticato meccanismo di erogazione energetica tramite elettrodo (capacitivo e resistivo) che permette una potente biostimolazione cellulare con conseguente: aumento della riossigenazione dei tessuti, accelerazione del drenaggio linfatico e rivascolarizzazione delle aree ischemiche soggette a danno biologico. In genere si effettuano 6-8 sedute della durata di almeno 40 minuti a frequenza bi/trisettimanale. ULTRASUONI Sono vibrazioni sonore con frequenza oltre i 16.000 cicli/sec. Per cui non risultano percettibili all’orecchio umano. Si ottengono sfruttando l’effetto piezoelttrico del quarzo. Hanno un triplice effetto: meccanico (micromassaggio tissutale), termico (fenomeni di attrito), chimico (alterazioni micromolecolari). Ciclo terapeutico di 10 applicazioni della durata di 7´-10´ ciascuna. Trattamento a contatto diretto e mobile, trattamento a contatto indiretto in mezzo idrico, particolarmente indicato per segmenti corporei irregolari, (gomito, malleolo, mani, etc.). Indicazioni in traumatologia dello sport: trovano impiego nei postumi di tutte quelle lesioni nelle quali si siano verificati dei depositi di sali di calcio (microcalcificazioni) e calcificazioni in sede inserzionale.,. ematomi muscolari 5.9 TERAPIA FARMACOLOGICA Le possibili strategie farmacologiche non rappresentano una cura vera e propria perchè il processo degenerativo di tipo artrosico, una volta instaurato, non può essere interroto in modo definitivo. Esistono, tuttavia, trattamenti in grado di migliorare la qualità di vita del malato. I farmaci attualmente disponibili in commercio sono in grado di: • alleviare il dolore; • mantenere e/o facilitare il movimento delle articolazioni; • rallentare la progressione della degenerazione ossea. Le vie di somministrazione possono essere diverse in rapporto alle caratteristiche del farmaco e del paziente: • per bocca (os); 85 • attraverso iniezioni intramuscolari, endovenose e sottocutanee; • con infiltrazioni nelle articolazioni colpite mediante supposte con cerotti, gel, pomate da applicare sulla parte dolorante. 5.9.1 FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS) I FANS rappresentano uno strumento comune nel trattamento sintomatico dell’artrosi. Oltre all’attività antinfiammatoria, essi esplicano un’azione analgesica ed antipiretica. L’effetto analgesico è il più rapido a manifestarsi, ma, scompare altrettanto rapidamente alla cessazione della somministrazione. L’azione antipiretica è assicurata da questi farmaci, ma, è variabile da un prodotto all’altro. I FANS devono essere somministrati per un periodo di breve durata (1 settimana circa) e se non sortiscono alcun effetto, devono essere sostituiti con i cortisonici. Spesso possono essere associati a cortisonici o a miorilassanti o, ancora, ad analgesici. Gli effetti collaterali più frequenti si verificano soprattutto a carico dell’apparato gastrointestinale. I sintomi vanno da nausea, vomito e dispepsia (alterazione delle funzioni digestive), a quadri più gravi di erosioni e ulcerazioni. Tutti i FANS sono prescritti con la massima cautela ai pazienti con un’anamnesi di ulcera peptica ed in genere non andrebbero prescritti nei soggetti portatori di ulcera attiva. Particolare attenzione va attribuita all’interazioni farmacologiche dei FANS con altre classi di farmaci. La prescrizione di un FANS richiede particolare prudenza nei pazienti in terapia con antidiabetici o con anticoagulanti per via orale e negli anziani spesso affetti da altre patologie a carattere cronico, e perciò costretti ad assumere vari farmaci indispensabili per la vita. I FANS più frequentemente prescritti ed utilizzati sono: • acido acetilsalicilico (ASA); • nimesulide; • ibuprofene; • diclofenac. Da circa due anni sono in vendita anche in Italia i cosiddetti “Coxib”, che sono FANS a tutti gli effetti, ma hanno la capacità di attenuare il dolore senza causare disturbi allo stomaco e ai reni. I nuovi farmaci (celecoxib e rofecoxib), infatti, agiscono bloccando uno specifico 86 enzima che provoca la liberazione di sostanze responsabili dell’infiammazione e del dolore, la ciclossigenasi 2 (Cox 2). In tal modo, bloccano o riducono l’infiammazione e il dolore. Al contrario dei comuni FANS che non riescono a distinguere tra i diversi enzimi, non bloccano invece la ciclossigenasi 1 (Cox 1), una sostanza simile alla Cox 2 ma che, oltre a stimolare la produzione delle sostanze responsabili del dolore, agisce favorendo la liberazione di altre sostanze che proteggono lo stomaco. 5.9.2.ANALGESICI Nella terapia sintomatica dell’artrosi sono normalmente prescritti gli analgesici minori, farmaci molto diversi fra loro per struttura chimica, meccanismo d’azione ed effetti terapeutici. Alcune di queste sostanze sono dotate anche di proprietà antipiretiche e antiinfiammatorie, altre sono esclusivamente analgesici. I FANS esprimono un’attività analgesica a dosi inferiori rispetto a quelle richieste per l’effetto antiinfiammatorio; sulla base di tale peculiarità, alcuni FANS vengono proposti in commercio in formulazioni a dosi unitarie ridotte o “antalgiche” (acido acetilsalicilico, ibuprofene, ketoprofene).. 5.9.3.TERAPIA INTRARTICOLARE Questo tipo di terapia, effettuata con iniezioni nell’articolazione interessata, ha lo scopo di ottenere un potenziamento in loco dell’azione farmacologica, attraverso l’aumento della concentrazione del farmaco nella zona colpita e di conseguenza diminuire gli effetti generali indesiderati. Le articolazioni “facili” da infiltrare sono rappresentate dal ginocchio, dalla spalla e dalle articolazioni delle dita. Una maggiore difficoltà presentano il polso, la caviglia e il gomito, mentre ancora più difficili risultano le articolazioni del piede, quelle temporo-mandibolari e soprattutto le coxo-femorali. Tra i farmaci utilizzati per via intra-articolare nel trattamento dell’artrosi, ricordiamo i corticosteroidi (cortisonici), gli anestetici, alcuni FANS e l’acido ialuronico. 87 5.9.4. GLUCOSAMINA SOLFATO La glucosamina solfato è impiegata da molti anni come terapia di fondo dell’artrosi; è un antiartrosico ad azione lenta in grado di rallentare anche il processo di degradazione della cartilagine. Essa si rivela particolarmente efficace nel trattamento delle fasi iniziali o moderate, quando i danni a carico della cartilagine non sono ancora molto estesi. Questo farmaco è ben tollerato dallo stomaco e da tutto l’organismo e non sono stati evidenziati effetti indesiderati su cuore, circolazione e sistema nervoso. 88 7. PRESENTAZIONE DELLO STUDIO 7.1 OBIETTIVO DELLO STUDIO L’obiettivo di questo studio è descrivere il protocollo riabilitativo conservativo nella gestione del paziente affetto da rizoartrosi e valutare l’efficacia del trattamento. Questo lavoro è il frutto del tirocinio presso il reparto di Chirurgia e Riabilitazione della Mano presso il centro IRCSS Multimedica Holding, Cattedra Chirurgia Plastica Università di Milano, nel periodo compreso tra il Giugno e Settembre 2008. 7.2 MATERIALI E METODI 7.2.1 SOGGETTI Lo studio comprende i pazienti trattati nel periodo compreso tra il giugno ed il settembre 2008. 40 pazienti sono stati sottoposti al trattamento; i pazienti sono pervenuti in fisioterapia su indicazione del chirurgo della mano, dopo visita specialistica. I pazienti trattati erano 13 maschi e 27 femmine di età compresa tra i 34 e gli 80 anni (età media 61,6 anni). La localizzazione della rizoartrosi era di 27 a destra e 13 a sinistra. Nel corso della visita medica, lo specialista valuta la radiografia del paziente inquadrandola in uno dei quattro stadi della classificazione di Eaton. In questo studio sono presenti 10 pazienti al primo stadio, 23 al secondo, 7 al terzo e nessuno al quarto. 7.2.2 PROCEDURA Per ciascun paziente sono stati confezionati due tutori: lo statico notturno ed il funzionale diurno (fascetta in neoprene), come descritti precedentemente, che i pazienti hanno indossato almeno per 2 mesi quotidianamente. Sono state date istruzioni di economia articolare. I pazienti sono stati valutati per mezzo di questionario DASH e MAYO modificato (vedi allegato) al momento del confezionamento dei tutori ed al controllo a due mesi di distanza. 89 7.2.3 SCALE DI VALUTAZIONE I parametri di valutazione si basano fondamentalmente su due scale di valutazione: il questionario DASH (Disability of the Arm, Shoulder and Hand) e il MAYO modificato per l’artrosi trapeziometacarpale ( allegato). Il questionario DASH è tra le scale più utilizzate per valutare la disabilità dell’arto superiore. Esso è un questionario auto compilato, composto da 30 items, destinato a misurare la funzione e i sintomi in pazienti con problemi muscolo scheletrici agli arti superiori. Il questionario è stato realizzato per meglio descrivere la disabilità vissuta da è un questionario che compila il singolo paziente e che indaga sulla difficoltà del paziente nell’eseguire alcune attività che implicano l’utilizzo dell’arto superiore. Inoltre, è utilizzata per monitorare gli eventuali cambiamenti dei sintomi e delle funzioni nel corso del trattamento. Il questionario contiene all’interno un modulo opzionale con quattro items dedicati alla valutazione dei sintomi e della funzione in atleti, artisti o lavoratori il cui impiego necessita di speciali abilità fisiche; queste persone, infatti, possono avere problemi solo ad alti livelli di performance non compresi nelle trenta prove convenzionalmente somministrate. Per poter calcolare il risultato finale occorre rispondere ad almeno 27 delle 30 domande; ogni risposta è valutabile con un punteggio da 1 a 5. 1 = nessuna difficoltà; 2 = lieve impaccio motorio; 3 = moderata difficoltà: 4 = forte difficoltà; 5 = impossibilità nello svolgere l’azione descritta. La formula da utilizzare per ottenere un punteggio in centesimi è: [(punteggio di n risposte/n) - 1] x 25 in cui n è il numero delle risposte fornite dal paziente. Più alto è il punteggio, maggiore è la disabilità riferita soggettivamente dal paziente. 90 Il MAYO è una scala di valutazione che compila il terapista della riabilitazione misurando: la forza di pinza (North Coast Hydraulic Pinch Gauge); la forza di presa con il dinamometro (North Coast Hydraulic Hand Dynamometer); il Kapandji; l’abduzione radiale; il dolore (VAS). La scheda MAYO modificata valuta: l’intensità del dolore (da nessuno ad intollerabile); la capacità funzionale (dal recupero dell’attività all’impossibilità allo svolgimento a causa del dolore); il ROM dell’articolazione interessata rispetto alla controlaterale sana; la forza rispetto al controlaterale sano. I punteggi del MAYO corrispondono alle seguenti diciture: 90-100: eccellente; 80-90: buono; 60-80: soddisfacente; <60 : scarso. 91 8. RISULTATI I risultati sono stati quantificati sui valori rilevati per mezzo di una valutazione soggettiva data dal paziente (DASH) rispetto ad una oggettiva (MAYO). 8.1 VALUTAZIONE DASH Durante la seduta dedicata al confezionamento dei tutori, il paziente è stato invitato a compilare il questionario. Alla fine della seduta una copia del questionario è stata consegnata al paziente affinché la compilasse solamente alcuni giorni prima di ripresentarsi al fisioterapista per il controllo (a due mesi circa di distanza). Il grafico mostra come i valori medi ottenuti dai questionari sono stati per la prima seduta pari a 34.4 punti, mentre per la seconda si attestano a 33.2. 50 40 30 PRE POST 20 10 0 DASH Grafico 1 Il confronto dei valori medi dei punteggi delle auto valutazioni dei pazienti, indica che il trattamento conservativo ha una efficacia limitata nella diminuzione delle difficoltà motorie durante lo svolgimento delle attività di vita quotidiana. È possibile studiare i punteggi ottenuti dividendo in due gruppi i risultati. Il primo è composto dai soli pazienti che hanno riportato un punteggio inferiore nel secondo 92 questionario. Nel secondo vengono raggruppati tutti i pazienti con un punteggio uguale o superiore al primo questionario compilato. I pazienti con una diminuzione del punteggio sono 27, ed in media hanno fatto registrare una differenza di circa 10 punti. Nel secondo gruppo, l’aumento del punteggio medio è di circa 14 punti. 16 14 12 10 PZ MIGLIORATI PZ PEGGIORATI 8 6 4 2 0 VARIAZIONI PERCENTUALI Grafico 2 8.2 VALUTAZIONE MAYO I risultati dei questionari del MAYO modificato sono stati identificati con quattro parametri di giudizio: Tra 90-100 eccellente 80-90 buono 60-80 soddisfacente <60 scarso In base ai quattro parametri descritti i pazienti ad inizio trattamento erano così raggruppati: • 14 scarsi; • 20 soddisfacenti; • 3 buoni; • 3 eccellenti. 93 20 20 14 15 10 5 3 3 0 scarso soddisfacente buono eccellente Grafico 3 Il confronto dei dati delle due valutazioni dimostra come l'analisi oggettiva MAYO metta in risalto una maggiore risposta al trattamento rispetto a quanto emerso dalla valutazione soggettiva della DASH. i risultati finali si possono così riassumere: 2 pazienti pari al 5% hanno ottenuto un risultato eccellente, 6 pazienti pari al 15% (+7.5 rispetto alla valutazione precedente al trattamento) hanno avuto un risultato buono, 31 pazienti pari al 77.5% (+27%) riferiscono un risultato soddisfacente, 1 paziente pari al 2.5% ha avuto un risultato scarso (-32% di casi classificabili come scarsi). 35 31 30 25 20 20 15 14 10 5 6 3 1 3 2 0 scarso soddisfacente buono eccellente Grafico 4 94 È interessante analizzare il parametro dolore riferito dal paziente, in quanto importante indicatore della possibilità funzionale della mano del paziente. Una valutazione numerica è quantificabile per mezzo della scala VAS (visual analogue scale) che rientra nella scheda MAYO modificata. Il valore medio iniziale per i pazienti era pari 5.5 rispetto al 3.9 riferito nelle valutazioni di controllo. 10 8 6 5,5 3,9 4 PRE POST 2 0 VAS Grafico 5 DASH DASH DASH A 2 MESI Differenza di punteggio P.M. 16.38 38.46 36.79 G.P. 33.33 35.00 1.67 P.A. 83.93 65.52 18.41 B.I. 39.17 29.17 10.00 D.R. 20.83 18.33 2.50 I.G. 62.96 69 6.04 Z.L. 64.13 59.26 4.87 95 D.P. 5.36 1.72 3.63 C.E. 47.50 68.00 20.50 G.I. 39.29 36.61 2.68 G.S. 59.17 71.17 11.99 G.E. 23.21 12.93 10.28 M.I. 33.00 15.18 17.82 G.R. 23.33 34.48 11.15 R.A. 60.71 55.17 5.54 L.A. 7.50 7.76 0.26 P.S. 17.50 1.50 5.00 V.D. 36.61 17.86 18.75 M.M. 17.50 30.17 12.67 Z.K. 37.50 54.17 16.67 C.M. 39.17 24.14 15.03 P.F. 27.78 33.82 6.05 A.R. 37.50 25.96 11.54 R.M. 6.90 15.00 8.10 M.U. 48.75 32.29 16.46 B.S. 3.33 12.04 8.70 R.V. 28.33 27.08 1.25 P.S. 43.10 37.93 5.17 V.M. 5.43 4.17 1.27 C.M. 56.67 88.00 31.33 S.R. 41.07 20.00 21.07 D.A. 48.33 66.96 18.63 F.R. 56.00 50.00 6.00 G.G. 60.34 55.21 5.13 96 P.L. 34.21 13.51 50.70 I.M. 46.88 43.94 2.94 R.A. 48.44 33.62 14.82 M.E 58.33 50.00 8.33 R.T. 50.81 25.93 24.88 M.G. 39.71 14.42 25.24 MAYO MAYO MAYO A DUE MESI P.M. Soddisfacente Soddisfacente G.P. Eccellente Buono P.A. Scarso Soddisfacente B.I. Soddisfacente Soddisfacente D.R. Soddisfacente buono I.G. Soddisfacente Soddisfacente Z.L. scarso Soddisfacente D.P. Scarso Soddisfacente C.E. Scarso Soddisfacente G.I. scarso Soddisfacente G.S. Soddisfacente Soddisfacente G.E. Soddisfacente Buono M.I. Soddisfacente Soddisfacente G.R. Scarso Soddisfacente R.A. Scarso Soddisfacente L.A. Eccellente Eccellente P.S. Soddisfacente Soddisfacente 97 V.D. Soddisfacente Soddisfacente M.M. Soddisfacente Buono Z.K. Buono Buono C.M. Buono Buono P.F. Scarso Soddisfacente A.R. Soddisfacente Soddisfacente R.M. Soddisfacente Soddisfacente M.U. Soddisfacente Soddisfacente B.S. Eccellente Eccellente R.V. Soddisfacente Soddisfacente P.S. Soddisfacente Soddisfacente V.M. Soddisfacente Soddisfacente C.M. Soddisfacente Soddisfacente S.R. Soddisfacente Soddisfacente D.A. Soddisfacente Scarso F.R. Scarso Soddisfacente G.G. Scarsa Soddisfacente P.L. Scarso Soddisfacente I.M. Scarso Soddisfacente R.A. Soddisfacente Soddisfacente M.E Soddisfacente Buono R.T. Scarso Soddisfacente M.G. Scarso Soddisfacente 98 9. DISCUSSIONE Dai dati emersi dallo studio possiamo affermare che il trattamento conservativo è un valido strumento per affrontare la rizoartrosi. Il punteggio dell’auto valutazione soggettiva (DASH) è al di sotto di un punto percentuale, mentre con il questionario MAYO il miglioramento è più evidente. Anche la sintomatologia dolorosa è generalmente diminuita tra la prima seduta e quella di controllo (decremento pari a due punti percentuali). I dati consentono di affermare che i pazienti trovano giovamento dal trattamento in termini di forza e di utilizzo della mano nelle attività di vita quotidiana. Infatti sono stati registrati sia un aumento medio della forza della mano, sia un generale miglioramento dell’articolarità del pollice. Il risultato si apprezza dall’aumento dei punteggi nel test di Kapandji. Tale miglioramento è imputabile ad una maggiore destrezza da parte del paziente, derivata dalla terapia occupazionale e da una più equilibrata gestione del pollice secondo i principi dell’economia articolare. I risultati dello studio dimostrano come il trattamento sia di maggiore efficacia per i pazienti allo stadio 1° o 2° secondo la classificazione di Eaton. Un miglioramento della condizione clinica è riscontrato anche nei pazienti con una rizoartrosi di stadio 3°. Tuttavia, l’avanzato quadro clinico non è suscettibile di una modificazione consistente dello stato generale dell’articolazione. È pertanto possibile considerare il trattamento come un mezzo utile per procrastinare l’intervento chirurgico e per scaricare i tessuti molli, secondariamente interessati dal processo degenerativo. Nello studio non figurano pazienti classificati al 4° stadio secondo Eaton per due motivi: - l'imponente degenerazione articolare può non essere causa di vivo dolore o di una severa impotenza funzionale tanto che il paziente non si rivolge al medico; - il processo degenerativo evidenziato dall'esame radiografico è in uno stadio di avanzamento tale da sconsigliare un approccio conservativo. 99 10. CONCLUSIONE La letteratura scientifica riguardante il trattamento conservativo della rizoartrosi non è esaustiva al pari della riabilitazione post-chirurgica della stessa. Le prospettive future non escludono ulteriori evoluzioni e modifiche delle tecniche di trattamento. Il campo della riabilitazione è in continuo progresso ed infatti molte delle proposte terapeutiche analizzate non sono ad oggi validate da studi scientifici o valutazioni con follow up. E' importante che il terapista sia a conoscenza delle diverse metodiche terapeutiche applicabili, mantenendo i principi di scientificità e criticità al fine di raggiungere gli obiettivi perseguiti. E' possibile affermare dai dati raccolti che il trattamento proposto è efficace nell’affrontare i primi stadi della patologia, offrendo un’ottima risposta in termine di forza e mobilità nelle attività quotidiane. Ad essa si associa una diminuzione significativa del dolore riferito dal paziente. I risultati del trattamento sono più contrastanti per il 3° stadio. Esso risponde in modo meno evidente al trattamento, confermando che non sempre l'indicazione al trattamento conservativo è un'opzione valida al contenimento della degenerazione articolare in uno stadio avanzato. Tuttavia il trattamento conservativo deve sempre essere proposto al paziente anche quando la soluzione chirurgica si presenta come il trattamento di elezione. Quest’ultima infatti rappresenta sempre solo un atto aggressivo di salvataggio per l’articolazione che deve essere preso in considerazione solo dopo il fallimento di tutte le terapie conservative. 100 10. BIBLIOGRAFIA Introduzione bonola libro berio 2. anatomia Balboni Kapandji Netter Kendal 3. biomeccanica Bonola Kapandji 4. patologia Rovetta Libro reumatologia “Basal joint arthritis of the thumb”, Barron OA, Glickel SZ, Eaton RG, J Am Acad Orthop Surg, 2000 Sep; 8 (5): 314-23; “Clinical Assestment of the thumb trapeziometacarpal joint”, Glickel SZ, Hand Clin, 2001 May; 17 (2): 185-95; 12° corso base, patologie degeneratice C.Parolo “presentation and managment of arthritis affecting the trapezio-metacarpal joint”, Pai, Sumedh, Hayton, Acta Prthop. Belg, 2006, 72, 3-10 5. trattamento conservativo Libro lisa Kendal “reduction in the need for operation after conservative treatment of osteoarthritis of the first carpometacarpal joint: a seven year prospective study”, Berggren, Davidsson, Lindstrand, Nylander and Povlsen, Scan J Plast Hand Surg 35: 415-417, 2001 “What is the role of the occupational therapist?”, Alison Hammond, Best Practice & Research Clinical Rheumatology, 2004 vol. 18, no. 4, pp 491-505 “Rehabilitation in musculoskeletal diseases”, Alison Hammond, Best Practice & Research Clinical Rheumatology, 2008 vol. 22, no. 3, pp. 435-449 “Joint protection and home hand exercises improve hand function in patients with hand osteoarthritis: a randomized controlled trial”, Stamm TA, Machold KP, Smolen JS, Fischer S., Redlich K., Graninger W, Ebner W., Eriacher L., Arthritis Reum, 2002 Feb; 47 (1): 449; “il trattamento conservative per l’artrosi trapeziometacarpica: revisione dei casi clinici”, Ramella, Martorana, Pajardi, Riv Chir Mano – Vol. 41 (2) 2004 “The biomechanics of a thumb carpometacarpal immobilization splint: design and fitting”, judy C. Colditz, OTR/L, CHT, FAOTA, Journal of hand therapy 13:228-235, JulySeptember 2000 “splinting the degenerative basal joint: custom made or prefabricated neoprene?”, Weiss, LaStayo, Mills, Bramlet, J of hand therapy; Oct-Dec 2004: 17,4, g 401 “no difference between two splint and exercice regimens for people with oseorartrhritis of the thumb: a randomised ontrolled trial”; Wajon, Ada, Australian J of Physioterapy 2005, vol 51 “Splinting for osteoarthritis of the carpometacarpal joint: a review of the evidence.”, Egan MY, Brousseau L., Am J Occupational Therapy, 2007 Jan-Feb; 61 (1): 70-8; “orthoses as enablers of occupation: client-centred splinting for better outcomes”, McKee, Rivard, The Canadian J of Occupational Therapy; Dec 2004; 71, 5 Principi di medicina manuale, Philip E. Greenman, 2001 Tesi Francesco Nigro ALLEGATO 1 Paziente Data Diagnosi QUESTIONARIO DASH – ARTO SUPERIORE Questionario tradotto dal GLOBE (Gruppo di Lavoro Ortopedia Basata sulle prove di Efficacia – riconosciuto SIOT) con autorizzazione dell’Outcomes Research Commitee dell’AAOS. La presente versione non è ancora stata validata e la diffusione deve essere limitata ed autorizzata perché da ritenersi strettamente inerente alla fase sperimentale. 101 ALLEGATO 1 Questionario DASH (Disability of the Arm, Shoulder and Hand) Istruzioni: Il presente questionario riguarda i Suoi sintomi e la Sua capacità di eseguire alcune attività. Per cortesia compili ogni domanda facendo riferimento alle Sue condizioni durante l'ultima settimana cerchiando la risposta appropriata. Se non ha avuto l'opportunità di eseguire una delle attività proposta nelle domande durante l'ultima settimana, risponda alla domanda presupponendo come avreste potuto eseguirla. Non importa che mano o spalla usa per eseguire l'attività; risponda in base alla Sua capacità senza tenere conto di come Lei esegua l'azione. Valuti la sua capacità di eseguire le seguenti attività durante la settimana passata indicando il numero corrispondente alla risposta appropriata Nessuna Lieve Moderata Forte Impossibilità 1. Svitare il coperchio di un barattolo duro o nuovo. 1 2 3 4 5 2. Scrivere 1 2 3 4 5 3. Girare una chiave 1 2 3 4 5 4. Cucinare un pasto 1 2 3 4 5 5. Aprire una porta pesante 1 2 3 4 5 6. Posare un oggetto su uno scaffale posta al di sopra della sua testa 1 2 3 4 5 7. Fare lavori domestici pesanti (es. lavare il pavimento o i vetri) 1 2 3 4 5 8. Fare lavori di giardinaggio 1 2 3 4 5 9. Rifare il letto 1 2 3 4 5 10. Portare la borsa della spesa o una ventiquattrore 1 2 3 4 5 11. Portare un oggetto pesante (oltre 5 Kg) 1 2 3 4 5 102 ALLEGATO 1 12. Cambiare una lampadina posta al di sopra della propria testa 1 2 3 4 5 Nessuna Lieve Moderata Forte Impossibilità 13. Lavarsi o asciugarsi i capelli 1 2 3 4 5 14. Lavarsi la schiena 1 2 3 4 5 15. Infilarsi un maglione 1 2 3 4 5 16. Usare il coltello per tagliare del cibo 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 20. Muoversi con i mezzi di trasporto senza difficoltà 1 2 3 4 5 21. Attività sessuale 1 2 3 4 5 Per nulla Molto poco Un po' Molto Moltissimo 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 17. Attività ricreative che richiedono uno sforzo modesto (giocare a carte, lavorare a maglia) 18. Attività ricreative che richiedono una certa forza o che prevedono dei colpi sul braccio, la spalla o la mano (usare il martello, giocare a tennis) 19. Attività di ricreazione che richiedono un movimento libero del braccio (lanciare una palla, giocare a ping pong) 22. Durante la settimana passata in che maniera il suo problema al braccio, alla spalla o alla mano ha influito nelle normali attività sociali? ( famiglia, amici, conoscenti) (Cerchia il numero) 23. Durante la settimana passata è stato limitato nel lavoro o nelle comuni attività quotidiane dal suo problema al braccio, alla spalla o alla mano ? (Indichi il numero) 103 ALLEGATO 1 Valuti la gravità dei seguenti sintomi durante la settimana passata (indichi il numero) Nessuno Lieve Moderato Forte Molto Forte 24. Dolore al braccio, alla spalla o alla mano 1 2 3 4 5 25. Dolore al braccio, alla spalla o alla mano durante qualsiasi attività 1 2 3 4 5 26. Formicolio (sensazione di punture di spillo) al braccio, alla spalla o alla mano 1 2 3 4 5 27. Debolezza al braccio, alla spalla o alla mano 1 2 3 4 5 28. Rigidità al braccio, alla spalla o alla mano 1 2 3 4 5 Nessuna Lieve Moderata Forte Non ho potuto dormire 1 2 3 4 5 Non sono assolutament e d'accordo Non sono d'accordo Non saprei Sono d'accordo Sono assolutament e d'accordo 1 2 3 4 5 29. Durante l'ultima settimana quanta difficoltà ha incontrato nel dormire a causa del dolore al braccio, alla spalla o alla mano (indichi il numero) 30. Mi sono sentito meno capace, meno fiducioso o meno utile a causa del mio problema al braccio, alla spalla o alla mano (indichi il numero) 104 ALLEGATO 1 Le seguenti domande riguardano l’impatto che il Suo problema al braccio, alla spalla o alla mano esercita nel suonare uno strumento musicale o nel praticare lo sport, o in entrambe le attività. Se pratica più di uno sport o suona più di uno strumento (o faccia entrambe le cose) è pregato di rispondere facendo riferimento all’attività che è più importante per lei. Indichi quale sport o strumento è il più importante per lei: _________________________________ Indichi il numero che meglio descrive la sua capacità fisica durante la settimana passata. Ha avuto difficoltà: Nessuna Lieve Moderata Forte Impossibilità 1. A Utilizzare la solita tecnica per suonare lo strumento o praticare lo sport? 1 2 3 4 5 2. A Suonare lo strumento o a praticare lo sport a causa del dolore al braccio, alla spalla o alla mano? 1 2 3 4 5 3. A Suonare lo strumento o a praticare lo sport così come le piace? 1 2 3 4 5 4. A dedicare allo strumento o allo sport la consueta quantità di tempo? 1 2 3 4 5 Le seguenti domande riguardano l'impatto che il suo problema al braccio, alla spalla o alla mano ha esercitato nel lavoro. Indichi il numero che meglio descrive la sua capacità fisica durante la settimana passata. Ha avuto difficoltà: Nessuna Lieve Moderata Forte Impossibilità 1. A utilizzare la solita tecnica per lavorare? 1 2 3 4 5 2. A fare il solito lavoro a causa del dolore al braccio, alla spalla o alla mano? 1 2 3 4 5 3. A fare il lavoro così come le piace? 1 2 3 4 5 4. A dedicare al lavoro la consueta quantità di tempo? 1 2 3 4 5 105 ALLEGATO 1 Sesso: Femmina Maschio Quanto è alto ? __ __ __ cm Quanto pesa ? __ __ __ Kg Data di nascita: __ __/ __ __ /__ __ Data di Compilazione: ___ / ___ / _______ Il Suo livello di istruzione: (indichi il più alto livello portato a termine) 1 Nessuna scuola 2 Scuola media superiore 5 Qualificazione post-laurea 1 Scuola elementare 1 Scuola media inferiore 3 Corso parauniversitario 4 Università 6 Altro (specificare)____________________________________ Il Suo stato civile: 5 Celibe o nubile 1 Sposato/a 3 Separato/a o divorziato/a 4 Vedovo/a 2 Convivente con persona affettivamente significativa Convive con qualcuno che si può prendere cura di Lei? Sì No Quali categorie descrivono la Sua attuale situazione lavorativa? (Indichi tutte quelle che La riguardano) 1 Sto lavorando 2-3 Sono in attesa di occupazione 3 Lavoro a casa Sono libero professionista Faccio un lavoro sedentario Faccio un lavoro leggero 8 Altro (specificare)____________________ 6 Sono in pensione Sono impiegato/dipendente Faccio un lavoro pesante Ha ottenuto o richiesto un risarcimento/riconoscimento per la Sua patologia ortopedica? Sì No 106 ALLEGATO 1 MAYO PAZIENTE TM DATA: pre op. conservativo DX SX NOTE JAMAR 2 KAPANDJI ABD RADIALE DOLORE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 PINCH DWA sì no 107