Con ancora nel cuore la tanta gratitudine per la celebrazione dell
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Con ancora nel cuore la tanta gratitudine per la celebrazione dell
Foglio di informazione interno del Pontificio Seminario Campano Interregionale C on ancora nel cuore la tanta gratitudine per la celebrazione dell’anno centenario, scrivo a voi Ex-alunni, amici e benefattori del Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, introducendo il numero di Camminiamo insieme del corrente anno formativo, che, su invito del Santo Padre Benedetto XVI, celebriamo con la chiesa universale come anno della fede. Il Papa nel suo Porta fidei delinea anche un percorso che aiuti a comprendere «l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà». In quel contesto il Papa ricorda che «la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio» (Porta fidei, n. 10). Lasciandomi provocare dalle parole appena citate, vorrei proporne un’applicazione, che ci possa spingere sempre di più a fare la nostra parte, affinché il Signore renda il nostro cuore spazio sacro, suo «autentico sacrario». hi frequenta in Seminario lo studio del Rettore è abituato a vedere sulla mia scrivania una grande quantità di carte, libri e piccoli oggetti che, nella veloce sequenza di impegni giornalieri, si accumulano più o meno disordinatamente. C segue a pag. 3 Redazione Sommario Credi tu La fede che accomuna “al andar se hace el camino” ... Alla ricerca di Cristo servendo Oltre i confini Esperienze al Ghetto La speranza rinata dall’incontro “Gente rint’a quatt’mura” L’ agorà della speranza Nisida: scoprendo... “un mondo” La mia esperienza in El Salvador Una missione verso gli altri... Vecchio di anni ma non di cuore Nel solco del Concilio Ricordo di mons. Bruno Schettino Pastore Buono “Si, pronto” : risposta alla chiamata 1 4 6 7 7 7 8 9 9 9 10 11 12 14 Foglio di informazione interno del Pontificio Seminario Campano Interregionale Via Petrarca, 115 - 80122 Napoli Tel. 081.2466011 mail: [email protected] Redazione Mariano Signore (coordinatore), Giuseppe De Marco, Marco Montano, Antonio Mele. Grafica e Impaginazione Lorenzo Zambetta Stampa Promofactory Orta di Atella (Ce) - Tel. 081/5022079 Hanno collaborato a questo numero: P. Roberto Del Riccio s.j., don Armando Nugnes, Raffaele Farina, Carmine Passaro, Rolando Liguori, Marco Stolfi, Nicola De Sena, Giamluca Guarino, Ettore Cesta, Piercarlo Donatiello, Rocco Pezzullo, Alessandro Arnone, Pierangelo Sorvillo, Domenico Vitolo, Antonio Salvatore Macolino, Vincenzo Gallorano, p. Sergio Ferraro s.j. 15 Nota redazionale Q uesto primo numero del giornalino - ne è previsto un altro nel corso dell’anno - intende essere, come di consueto, un contributo, speriamo, utile per chiunque - e non solo per la “nostra comunità” - voglia accostarsi alle variegate attività formative proposte dal Seminario. Per motivi di spazio non possono essere presentate tutte, ma, attraverso quelle rientranti nello spazio di questo ‘foglio’, possiamo scorgere l’esperienza, tutt’altro che asettica, di chi ha vissuto sulla propria pelle il criterio fondamentale che le guida: “il servizio alla scuola del Maestro”. Non si tratta, pertanto, di parole, o meglio non solo di parole, ma prima di tutto di esperienze che, sostenute dalla testimonianza di persone che in quei “luoghi di confine” operano da una vita, divengono a loro volta testimonianza per noi che le leggiamo, continuando quella cinta di trasmissione che lega l’intera storia della Chiesa. Ci auguriamo che questo “piccolo giornale” possa divenire occasione sempre nuova, oltre che di semplice comunicazione, di condivisione. 22 continua da pag. 1 Anno della fede All’inizio di questo anno formativo ho, però, deciso di sgombrare la mia scrivania dalle tante cose accumulatesi, impegnandomi a mantenerla libera e in ordine. Appena messa in atto la mia decisione ho notato che molti, entrando nello studio, restavano colpiti soprattutto da una cosa: il piano vuoto della scrivania. Certo, un portapenne, un vaso di fiori, un contenitore con le chiavi, una fotografia sono soprammobili che ancora occupano una parte dello spazio, tuttavia il piano è vuoto, come in attesa che io vi appoggi qualcosa. Ora, però, su quel vuoto quanto è appoggiato acquista evidenza, appare come unico. Non è più un oggetto anonimo in mezzo a tanti altri. Non è una lettera, ma è quella particolare lettera. Non è un libro, è quel particolare libro. Non è un biglietto d’auguri, ma è quel particolare biglietto d’auguri. Il piano non serve, dunque, più soltanto ad appoggiare qualcosa, che, in mezzo a tanti altri oggetti, resta anonimo. Il piano è diventato, invece, lo spazio che mette in evidenza quanto vi si appoggia. Nella misura in cui è vuoto da ogni altra cosa, esso consente di percepire come unico ciò che in quel momento vi si trova. Penso che qualcosa di simile sia ciò di cui abbiamo bisogno, affinché Dio possa essere l’unico Signore delle nostre vite: fare vuoto nel nostro cuore. Fare vuoto, affinché quanto in quel momento stiamo incontrando possa acquistare la propria evidenza e apparire unico e così coglierlo come un dono dell’Unico, di quella realtà dalla quale ogni altra dipende. Noi battezzati, però, sappiamo che l’Unico, del quale tutto è dono, è preoccupato per noi, perché desidera donarci la vita e donarcela in abbondanza. Lo sappiamo, perché dopo aver «parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi […] per mezzo dei profeti» ad un popolo da lui scelto, infine, «ha parlato a noi per mezzo del Figlio», prima facendosi prossimo a noi nell’uomo Gesù di Nazareth, poi donandosi nel suo Santo Spirito. Allora, aprendoci a questa parola, il vuoto creato nel nostro cuore lo renderà non solo il luogo in cui ogni cosa e ogni persona emergeranno come uniche, ma gli consentirà anche di divenire luogo, in cui la parola dell’Unico potrà risuonare, spazio sacro, in cui si incontreranno Dio, il mondo e ciascuno di noi: «autentico sacrario». ’esperienza di profonda intimità, che Dio nella fede ci dona, rendendo il nostro cuore un «autentico sacrario», quando è autentica, però, ci destabilizza, ci fa vacillare, perché sposta il nostro centro di gravità da noi all’Unico. Un mio confratello, P. Jean-Paul Hernadez, ricordando che la fede è descritta nella Bibbia come un saper rischiare e che la si può paragonare «al passo in avanti di un corpo umano», scrive, «ogni passo è l’inizio di un precipitare. È una perdita di equilibrio, una possibile caduta. Il passo è uno squilibrio fra due brevi momenti di equilibrio. Si può dire che il passo è quel “sapere” che trasforma la caduta in uno spostamento in avanti. Ogni spostamento della gamba è un terribile rischio! Così è la fede. Essa non cancella l’instabilità umana, ma la trasforma in un progresso». Bisogna, però, correre il rischio di cadere, accettando che siamo instabili! i è spontaneo pensare che il Seminario è il luogo in cui si impara a viver sempre di più in prima persona questo rischio, per poter poi aiutare altri a fare altrettanto. In tal senso la celebrazione dell’anno centenario mi è parso ci abbia permesso di riconoscere che l’imparare a correre il rischio della fede è ciò che accomuna i tanti, seminaristi e formatori, che in cento anni hanno vissuto e continuano a vivere in questo luogo. Per noi attuali membri della comunità del seminario di Posillipo, in particolare, è stato il percepire la comunanza di questa esperienza radicale con i tanti che, vivi o defunti, ci hanno preceduto, a rendere speciale il giubileo del nostro Seminario. Anche loro come noi hanno cercato di imparare a vivere nella instabilità, che la fede trasforma in progresso d’amore, senza certezze e risposte precostituite se non quella, l’unica, che Gesù Cristo è il si definitivo di Dio, dell’Unico, a ciascuno di noi. L M p. Roberto Del Riccio s.j. 33 Anno della Fede La fede che accomuna La dimensione “ecclesiale” del credere a partire da Porta fidei « Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, ... Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani…» (Porta fidei, n. 13) un elenco lungo e ricco quello che Papa Benedetto XVI propone alla nostra attenzione in questi passaggi del motu proprio con il quale ha indetto l’Anno della Fede. Un elenco che prende le mosse dalla fede di Maria e dei discepoli per poi arrivare alla fede di ognuno di noi, che nella varietà dei carismi e dei ministeri formiamo l’unica Chiesa di Cristo. Sembra riecheggiare, in questo passo, la rievocazione quasi litanica della fede dei padri nella lettera agli Ebrei al capitolo 11: la narrazione di una storia intrisa di fede, che non sembra semplicemente consegnata al passato, ma che quasi viene ad interpellare ciascuno di noi chiedendo di poter proseguire grazie al nostro assenso. È dunque la fede l’unico filo che raccorda i personaggi, uomini e donne, così distanti nel tempo e diversi tra loro. È la fede quell’unico filo d’oro che si inserisce nella trama spesso controversa della storia. È quella stessa fede che fa da raccordo non solo con le distanze del passato e con le prospettive del futuro, ma con le diverse sensibilità che nel presente animano la comunità dei credenti. È 44 don Armando Nugnes Secondo questa presentazione del Papa, dunque, la Chiesa è essenzialmente comunità della fede, o meglio, come afferma il Concilio, «comunità di fede, di speranza e di carità» (Lumen gentium, n. 8). La fede è, dunque, quel dinamismo che anima dal di dentro la vita di tutta la Chiesa, la forza propulsiva che imprime lo slancio e, al tempo stesso, il fattore aggregante. Che rapporto c’è, allora, tra la nostra fede personale e la fede professata da tutta la comunità dei credenti? Così risponde Benedetto XVI: “Io credo” è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. “Noi crediamo” è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. “Io credo”: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire “Io credo”, “Noi crediamo”» (Porta fidei, n. 10). otremmo dire, parafrasando le parole del Papa, che l’Io credo e il Noi crediamo non sono affatto in opposizione tra di loro, né possono considerarsi due vie alternative. In effetti, nell’Io credo c’è già, in un certo senso, il Noi crediamo. La professione Io credo, infatti, apre da sé ad una dimensione più grande che va oltre lo stesso credere personale, facendo in modo che non si chiuda mai allo stretto campo dell’individuale, ma proietti ciascuno di noi in un orizzonte molto più vasto del nostro piccolo, “ristretto” mondo. È l’orizzonte della Chiesa, comunità di fede, in cui ciascuno è chiamato a riconoscersi pienamente, come parte integrante, facendo esperienza, al tempo stesso, della possibilità di rivedere la « P Anno della Fede propria storia, il proprio cammino in un contesto molto più grande, in una storia di salvezza che inizia prima di lui e che dopo di lui ha ancora tanti sentieri da percorrere. n questo senso, la Chiesa si fa compagna di viaggio e al tempo stesso “serva” dell’uomo in cammino, poiché «non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo» (Porta fidei, n. 10). ssere accomunati da un’unica fede, nella grande famiglia della Chiesa – “comunità di fede”, non significa, però, essere uniformati in uno stile che ingabbia le diversità e le rende incapaci di esprimersi. La professione dell’unica fede fa fiorire, invece, la varietà dei carismi, delle sensibilità e delle possibilità espressive. La chiave di volta sta nel considerare la fede non come semplice affermazione convinta di un certo contenuto, ma come adesione ad una verità, che coinvolge tutte le dimensioni della persona ed innesca un processo di trasformazione di tutta la vita di chi è ormai “credente”. Si tratta di una verità più grande di noi nella quale poter leggere la verità di tutta la nostra esistenza. È proprio questo il punto da cui prende le mosse il Papa nel motu proprio: «E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma» (Porta fidei, n.1). uesto richiamo al cuore che accoglie, ci ricorda in poche battute tutto il cammino dell’adesione della fede che nasce dall’ascolto (cfr. Rm 10,17), trafigge il cuore (cfr. At 2, 37) e chiede di essere visibile attraverso i nostri “arti” nel vivere quotidiano. Erri de Luca, in uno scritto di qualche anno fa, così sintetizza il I E Q coinvolgimento dei sensi nell’assenso di fede, a partire dall’ascolto: «l’udito è l’albero maestro dei sensi, al quale poi trasmette tutta l’energia del vento catturato» (Almeno 5, Feltrinelli, 37). Quest’idea dinamica del camminare, torna proprio nell’immagine della porta da varcare, che il Papa ci ha consegnato: «Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita» (Porta fidei, n.1). Qui c’è tutta la dimensione della progressione che la fede porta con sé, come caratteristica dell’uomo itinerante, del pellegrino proteso verso il conseguimento di una verità desiderata, mentre fa continua esperienza del proprio limite. iscoprire la dimensione ecclesiale, comunitaria, che l’esperienza di fede porta con sé, non potrà essere il pretesto per mascherare le proprie insicurezze dietro l’affermazione di un credo di una falange compatta che fa da scudo con la sua “forza” esteriore. Sarà, invece, l’occasione per ritrovare tutto il nostro mondo, con le sue contraddizioni e le sue potenzialità, in una nuova luce, capace di far verità ed incoraggiare, grazie all’invisibile azione dello Spirito e con la forza del sostegno di tanti uomini e donne, sentiti come fratelli e sorelle, impegnati, con la specificità delle storie personali di ciascuno, a rispondere con generosità alla chiamata a vivere in pienezza la propria vita. na visione della vita della Chiesa pensata così potrà aiutare a vivere al meglio l’Anno della fede anche la nostra comunità del Seminario, «esperienza originale della vita della Chiesa» (Pastores dabo vobis n. 60), comunità di giovani impegnati in una particolare esperienza di fede, che tutti accomuna e al tempo stesso rende “speciale” il cammino dei singoli. R U 55 Esperienze Estive “Al andar se hace el camino” Camminando si fa la strada L a comunità del I anno ha potuto intraprendere, quest’estate, dal 18 al 31 luglio, il cammino di Santiago de Compostela, esperienza già vissuta da altre comunità negli anni precedenti. Il nostro viaggio è incominciato ad Astorga, situata a circa 260 km da Santiago. Abbiamo incominciato il nostro cammino senza comprendere quali fossero le finalità e gli obiettivi di tale esperienza. Solo dopo aver terminato il cammino ci siamo resi conto dell’importanza dell’esperienza che avevamo avuto la fortuna di vivere. Non basta essere nel cammino quanto piuttosto essere il cammino”. Questa frase, di per sé molto evocativa, la si comprende totalmente man mano che si cammina verso Santiago: un camminare che non è semplice andare verso la tomba dell’Apostolo ma è dirigersi verso se stessi e rivivere il proprio rapporto personale con Dio: la meta principale da raggiungere siamo noi. l cammino geografico, che abbiamo realizzato a piedi o attraverso gli autostop per chi non riusciva a camminare, è stato metafora del nostro singolare cammino di vita che, seppur nella diversità, è caratterizzato da salite, discese, affanni, gioie, strade da scegliere e da percorrere. Si fa esperienza ogni giorno delle proprie debolezze, dei propri limiti e ciò fa sì che si diventi più umili e ci si renda consapevoli della propria finitudine; ma, al contempo, il ripartire e l’avanzare dà la consapevolezza che dentro ognuno è presente una forza a cui poter attingere nei momenti di sconforto e di difficoltà. In questo un grande sostegno è stato, senza ombra di dubbio, l’aiuto reciproco di ogni membro della comunità nell’affrontare i momenti di stanchezza, sperimentando quanto sia importante la relazione e il rapporto con l’altro. Questo affrontare all’estremo la quotidianità ha fatto emergere con ancora più chiarezza noi stessi nei nostri pregi e nei nostri difetti e ciò 66 Antonio Mele ha permesso una più forte coesione e senso di appartenenza alla comunità. n questa esperienza ti rendi conto che la tua vita, il tuo cammino, è come un viaggio nel quale bisogna avere la consapevolezza di sapere da dove si viene e dove si sta andando nel quotidiano e nel personale rapporto con il Signore. Esso diventa in tal modo una sintesi efficace del nostro autentico percorso di discernimento. La conchiglia ricevuta all’inizio del cammino ci ha ricordato, a tal proposito, che da Dio siamo generati e, ciascuno per la sua strada, a Lui torniamo. ul cammino, inoltre, avvengono incontri sorprendenti, inaspettati, ed è incredibile la facilità con cui dopo appena poche ore di cammino si possa instaurare un rapporto di amicizia con persone mai viste prima, persone provenienti da tutte le parti del mondo. uanta gente, quanta diversità. Ognuno porta con sé il segreto del suo cammino, tutti diversamente credenti, tutti alla ricerca di qualcosa o Qualcuno. Qualunque sia il punto di partenza e la motivazione che spinge ad affrontare tale Cammino, sono profondamente convinto che tutti si incontrino con Dio o perlomeno con se stessi. I “ S I Q Esperienze Estive L …alla ricerca di Cristo servendo Raffaele Farina ’esperienza di volontariato insieme ad altri miei fratelli di comunità, dal 6 al 24 luglio presso il Cottolengo di Torino, è stata occasione di sintesi e autentico banco di prova alla fine del biennio di discernimento. Le due settimane nei reparti dell’ospedale sono state, infatti, un tempo di grazia, un tempo per vincere quella superbia di decidere io, ogni volta, il luogo dell’appuntamento con Cristo; il tempo per scoprirmi da Lui cercato e trovato in quel servizio inutile nei reparti di un ospedale dove Cristo è stato l’altro da imboccare, da accompagnare, con cui parlare, da vestire, da lavare…l’altro che con Cristo condivide la fatica della croce, la bellezza inconsapevole dell’essere deboli. A tre mesi di distanza non posso negare che ancora cerco di fare sintesi. Ancora penso a quella presunzione ingenua di partire per dare, con cui sono arrivato al Cottolengo, che difficoltosamente cede spazio alla disponibilità umile di chi si incammina per ricevere la speranza da chi visibilmente sembrerebbe senza speranze. Oltre i confini: unico servizio, unica missione L Carmine Passaro a partecipazione dei seminaristi al campo che la Lega Missionaria organizza annualmente a Sighetu Marmiatiei è ormai una tradizione consolidata del nostro seminario. Quest’anno sei seminaristi di Posillipo hanno prestato il loro servizio in questa attività, dal 7 al 22 luglio, dividendosi tra l’insegnamento della lingua inglese e il reparto psichiatrico dell’ospedale municipale di Sighet. Le attività iniziavano ogni mattina con la recita delle lodi e si chiudevano alla sera con la celebrazione della Santa Messa. Tuttavia, il momento più intenso del campo è stata senz’altro la visita al campo di sterminio di Auschwitz, in cui si può ancora respirare il clima di terrore in un luogo dove sono state scritte alcune tra le pagine più nere della storia dell’umanità. È un’esperienza che, ci auguriamo, continuerà ad essere proposta in questo seminario, dal momento che quella della missione è una sensibilità che nella formazione di futuri presbiteri non dovrebbe mai essere trascurata. Q Esperienze al ghetto: condivisione di storie Rolando Liguri, Marco Stolfi uest’anno abbiamo svolto la nostra esperienza estiva, dal 12 al 26 agosto, al ”GHETTO”: piccolo pezzo di terra, in provincia di Foggia, dove sorge abusivamente un villaggio, fatto di lamiere e cartone, popolato da circa ottocento braccianti agricoli, tutti provenienti dall’Africa dell’ovest. Solitamente si arrivava al ghetto verso le cinque del pomeriggio e con molta cura sistemavamo i tavoli e le sedie per la scuola di italiano; dopo un po’ tutti gli alunni arrivavano volenterosi per imparare la nostra lingu a . B en presto abbiamo capito che la nostra esperienza non era quella di insegnare l’italiano ma quella di stare con queste persone, condividere la vita con loro. In quindici giorni abbiamo vissuto storie di guerre e prostituzione, di fame e di fuga, ma allo stesso tempo abbiamo potuto sperimentare quanto il popolo africano sia speranzoso, quanto sia ricco di vita e, anche se in piena difficoltà, non smetta di credere che il domani potrà essere migliore. 77 Esperienze Estive La speranza rinata dall’incontro L uglio scorso è stato molto caldo! Fin dalle prime luci del mattino l’afa si è fatta sentire, il refrigerio è diventato una necessità fin dalla levata mattutina, dopo notti insonni per le strade delle nostre città …tipiche notti per evangelizzare i giovani! Il primo giorno di questo mese infuocato, la comunità del III anno, dopo aver caricato di vettovaglie le auto, pronta per la spedizione, punta verso Roma …quasi novelli conquistatori, nell’avvicinarsi all’Urbe abbiamo comunemente pensato: “Alea jacta est!” Ormai il dado è tratto! Non possiamo più tornare indietro, dobbiamo solo arrivare alla parrocchia di San Saba, il cui titolare è certamente un cardinale di santa Romana Chiesa, ma che sicuramente ne sono stabili dominatori i Gesuiti. Arrivati in quel sospirato luogo, conquistato finalmente il campo, entriamo e pensiamo: “Usciamo da un seminario gesuita e ci chiudiamo in un convento gesuita …Viva l’estate!”. In quelle due settimane – dal 1 al 14 luglio – Roma ci accoglie in tutta la sua calura e l’umidità ci fa sognare le spiagge più che la capitale della cristianità! Eppure noi siamo lì! Siamo chiamati a vivere un’esperienza di “accogliente solidarietà” verso coloro che, a causa del loro status di rifugiati politici, non hanno più radici, ma non trovano altra terra che li accolga: l’Italia accoglie, la burocrazia li espelle … in questo vortice spietato e, ahimè studiato a tavolino dalle nostre istituzioni (tutte con a capo uomini cattolici!) si inserisce il disegno della Provvidenza e scopri che i nostri buoni figli del padre Ignazio non sono solo curvati sui libri, ma si sporcano le mani nel nostro “perbenismo cattolico pietoso e triste”. Il “Centro Astalli”, 88 Nicola De Sena appunto, è un’organizzazione dei padri gesuiti che, pur assolvendo dei clichet comuni alle varie organizzazioni umanitarie, come il ticket per i pasti, i permessi di soggiorno, fa qualcosa in più: vede l’umanità mortificata e cosificata, quasi fossero uomini di serie B e si spende con tutte le loro energie per ri-donare la dignità di persona a questa gente, donare il calore di una famiglia che li accolga e che ascolti le loro storie, che guarisca le loro ferite, che asciughi le loro lacrime. a non solo l’Astalli è stato il nostro “campo di battaglia”. Altri seminaristi ancora sono stati nei centri della Caritas della Diocesi di Roma, e lì scopri una dura verità …i volti che vedi non sono quelli baciati dal sole africano o medio-orientale; ospiti ai tavoli delle mense trovi i nostri connazionali, uomini divorziati che sono prosciugati dal vitalizio per le mogli, imprenditori ridotti al fallimento dal vortice della crisi, pensionati che a metà mese hanno finito già la pensione e chiedono solo un sostentamento e un volto che non svilisca la loro dignità con sguardi accusatori. In queste esperienze ci accorgiamo sempre più che prima di soddisfare un bisogno materiale, ciò che aiuta queste persone è un incontro! La condivisione di sguardi, il sorriso e l’ascolto fanno percepire all’altro che qualcuno li ama, anche se abbandonati da tutti, senza affetti e senza terra, hanno un Dio fatto uomo che comprende le loro amarezze e trasforma l’incontro in una possibilità di ripartire, affidandosi a chi il Signore gli ha messo affianco, perché basta un bicchiere d’acqua dato nel nome del Cristo, per realizzare in pienezza la nostra vocazione ed essere beati nel Regno di Dio. M Esperienze Estive “Gente rint’a quatt’ mura” C Gianluca Guarino entro Penitenziario di Secondigliano. 1-8 luglio 2012. Laboratorio di pastorale carceraria. Progetto pastorale “Evasione… spirituale”. Obiettivo: piegare le sbarre di una ragione co-stretta con la forza della fede, per condurre il “cuore detenuto” fuori dal carcere delle proprie convinzioni. Strategia d’intervento: parlare al cuore con il cuore. Destinatari: “gente rint’a quatt’ mura”. Gente disperata. Gente ammalata. Gente abbandonata... No, abbandonata da Dio no. La nostra missione dietro le sbarre è stata proprio quella di annunciare a quella povera gente l’amore misericordioso di un Dio Padre che non abbandona nemmeno l’ultimo dei suoi figli, il più disgraziato, il più sventurato (cfr. Lc 15,4-7), ma che si è fatto uomo in Gesù Cristo per liberare l’uomo da ogni schiavitù. «O’ Siggnore è lungariello, ma nunn’è scurdariello!», ha difatti confermato uno di loro sulla scorta della sua esperienza di fede. In mezzo a tanta sofferenza tatuata sulla pelle, abbiamo allora cercato di cancellare la disperazione con il laser della grazia di Dio… Ci abbiamo creduto. Ci hanno ascoltato. E le corde intime del loro cuore hanno vibrato… L’ agorà della speranza L Ettore Cesta ’esperienza vissuta la scorsa estate, dal 1 al 15 luglio 2012, presso la parrocchia Madonna delle Grazie in San Giovanni a Teduccio, nel cuore del degrado umano ed architettonico di Napoli, ci ha offerto la possibilità di avvicinare uno dei tanti segni di speranza che contraddistingue il nostro territorio: l’Associazione O.N.L.U.S. “Figli in Famiglia” guidata da Don Gaetano Romano e da una laica consacrata, Carmela Manco. Le iniziative sono molteplici, e tra queste spicca un asilo nido detto “casa di Pippi: casa di un ex camorrista” e un teatro al centro di una grande Agorà, punto di riferimento per il quartiere intero. Ascoltare le loro storie e commuoversi per i tanti piccoli miracoli quotidiani ci ha aiutati ad accogliere le disperazioni e le gioie che l’Uomo vive e vivrà, ma che non possono tog lier l a speranza che viene dal Cristo morto e risorto. Nisida: scoprendo... “un mondo” A Piercarlo Donatiello bbiamo scelto di vivere quest’esperienza, presso il carcere di Nisida dal 1 al 7 luglio, incentrandola sul perdono: e sono proprio i ragazzi che di volta in volta si aprono raccontandoci la difficile situazione vissuta. C’è bisogno di qualche giorno - soprattutto dopo un liberante pomeriggio di giochi nel campetto di basket - per conquistare un po’ di fiducia e così aprire un dialogo che gradualmente si spinge sempre più in profondità. Ci salutiamo con la promessa di tornare a far loro visita, ma soprattutto con la certezza che degli adolescenti, pur con un passato difficile, avrebbero tante ricchezze da valorizzare, se una volta usciti da questo “mondo” che è il carcere, potessero guardare (e vivere) con occhi diversi (e senza condizionamenti del proprio ambiente di origine) il mondo che li aspetta fuori! 99 Esperienze Estive N LA MIA ESPERIENZA IN EL SALVADOR: STORIA DI DONAZIONE E DI CONDIVISIONE el periodo tra il 29 luglio ed il 30 agosto ho avuto la possibilità di vivere un’esperienza in El Salvador, nella città di Arcatao, provincia di Chalatenango. In queste poche battute proverò a consegnarvi tre considerazioni che porto ancora nel cuore. a storia de El Salvador è stata particolarmente tormentata. Quella nazione è stata, infatti, teatro di grandi massacri e lotte, soprattutto nel periodo tra il 1979 e il 1994, anni in cui la guerra civile ha distrutto ogni cosa ed ha ammazzato migliaia di persone. Tra queste annoveriamo, tra gli altri, mons. Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador e, successivamente, quello di sei gesuiti, docenti alla UCA (Università del Centro America). Credo che il contributo più grande offerto dalla Chiesa sia stato quello di condurre i suoi fedeli ad un cambiamento di mentalità: da una fede che chiedeva di subire la vita, ad una che, piuttosto, induceva a impegnarsi perché quella stessa vita potesse essere degnamente vissuta. Ecco il motivo per cui la religione cristiana da “oppio per il popolo” si trasforma in fermento della rivoluzione. La fede della gente era già salda, ma la parola di Dio era stata mal compresa fino a quel momento; e questo, Monsignor Romero lo aveva capito. C’era da purificare un concetto religioso che, fino ad allora, serviva solo ad addolcire la sopportazione dei soprusi e delle ingiustizie, per passare a credere in un Dio che ci chiede di lavorare adesso perché, nei luoghi che abitiamo, possa trovare dimora la giustizia e la pace. Ecco allora il primo insegnamento che ho tratto da questa esperienza e lo esprimo facendo mie le parole del sacerdote della diocesi di Aversa, L 10 10 Rocco Pezzullo don Peppino Diana: “Passare da una concezione di Dio, ad una vita con Dio”. na seconda riflessione è maturata quando ho conosciuto Julia, la donna che per tutto il periodo della mia permanenza in El Salvador, mi ha ospitato e, per me, ha messo a disposizione tutto quello che poteva. Stando lì mi tornò in mente la storia di quella donna della quale Gesù parla nel Vangelo che, pur avendo offerto davvero poco, nella logica di Dio era da apprezzare perché aveva dato tutto quello che poteva. Quell’ospitalità gratuita mi faceva riflettere: chi invece non possiede granché, senza chiedere nessun tornaconto, ti dona quello che è, ti apre il cuore e ti rende destinatario di doni incommensurabili, senza che tu faccia niente per meritarli. n’ultima riflessione salta fuori da un momento concreto vissuto qualche giorno dopo il mio arrivo in quella terra: andammo a celebrare Messa su un monte che, durante la guerra, divenne un rifugio per tutta la popolazione, al confine tra El Salvador e le Honduras. Dopo la celebrazione era previsto un banchetto: ognuno portava quello che poteva così che tutti avrebbero potuto pranzare. Confesso che, quando seppi di questa cosa, non credevo che tutti si sarebbero sfamati. Ma, ricordate la moltiplicazione dei pani e dei pesci operata da Gesù? Quel passo si conclude così: «Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene».(Mt 14,20) osso dire di aver vissuto una situazione analoga: ognuno aveva con sé solo “cinque pani e due pesci”, eppure avanzò del cibo. Questa è la straordinarietà di chi sa di non avere nulla, ma è consapevole che condividendo quel poco, si può ottenere davvero tanto. Ed è semplicemente questa la logica di Dio. U U P Esperienze Estive Una Missione verso gli altri e dentro sé Q uest’anno, per certi versi, abbiamo superato noi stessi: siamo stati a circa 6000 Km di distanza e a circa dodici ore di viaggio dalla nostra quotidianità, dalle nostre abitudini, dalle nostre comodità… Vi chiederete dove? Siamo stati in Burundi, dal 29 giugno al 21 luglio, in un piccolo villaggio, a tre ore di macchina dalla capitale Bujumbura. Qui i missionari Saveriani e, in particolare p. Angelo Gutturiello, originario di Sparanise, operano da molti anni. Ci soffermiamo, innanzitutto, sulla vitalità e dinamicità della fede, celebrata dal popolo africano in maniera viva e profonda. Abbiamo, inoltre, potuto riscontrare nella gente un senso profondo dell’accoglienza, della bellezza, della gioia dell’essere cristiani, facendo esperienza viva di una fede non tiepida ma incandescente, capace di riscaldare anche il freddo cuore indurito dell’uomo. Abbiamo fatto esperienza del nulla: non avevano nulla, ma erano ricchi dell’amore di Cristo la cui presenza era tangibile in ogni momento della giornata; un esempio concreto di cosa significhi vivere un forte e vero rapporto di fiducioso abbandono. Basta ricordare il forte legame con Cristo nell’Eucarestia, durante la Santa Messa che durava anche 2-3 ore, attraverso canti e danze, e poter notare il fatto che non erano mai stanchi, mai tristi di essere lì e di vivere quell’incontro, anche dopo un viaggio di ore a piedi tra le montagne. La nostra giornata iniziava di buon mattino, alle 6.30 veniva celebrata l’Eucarestia che dava il via a tutta la nostra giornata: questo era un momento molto bello e intenso dove si percepiva tutta la fede della gente. Visitavamo, poi, le famiglie del Alessandro Arnone, Pierangelo Sorvillo villaggio, gli ammalati presenti nelle case, negli ospedali e nel dispensario, dove le malattie e la malaria non risparmia nessuno. Vedere, nonostante tutto, i bambini con quei volti mai stanchi di lottare, di sorridere, di amare; gli occhi di chi sa vivere fino in fondo, come quelli delle madri che li stringevano tra le braccia sapendo che forse presto non avrebbero più potuto farlo, rendersi conto che questo non le scoraggiava, non le faceva venir meno sotto quel peso grande della Croce: il sorriso, il coraggio, la dignità non li dimenticheremo mai. I giovani, speranza di quella terra, così forti e pieni di vigore, si adoperavano per la famiglia e il lavoro, dediti nel partecipare alla preparazione della vita sacramentaria. Abbiamo portato circa 10 Kg di caramelle dall’Italia che non consumavano subito, ma a piccole dosi, le succhiavano per un po’ e poi la richiudevano e la conservavano per un altro giorno, per gustarla di più. Ci è venuto, quindi, spontaneo pensare ai nostri bambini iper viziati e agli sprechi che ne scaturiscono, interrogandoci soprattutto sul modo di educarci e di educare il nostro futuro … Abbiamo riscoperto il senso dello stupore, del meravigliarsi per le piccole cose, quelle a cui noi non presteremmo neanche un pizzico del nostro prezioso tempo. Che Dio li benedica e li assista tutti … Vi auguriamo di cuore di poter sperimentare tutto questo, in particolare l’Amore di Dio nella quotidianità e nelle piccole cose che la vita ci dona … Vi salutiamo con la formula usata dai cristiani del luogo: Jambo (Ciao) Amahoro (Pace). 11 11 Diario del Centenario VECCHIO DI ANNI MA NON DI CUORE C ANCORA AUGURI SEMINARIO! on le meravigliose parole del Cantico del Magnificat, sgorgate dal cuore della Beata Vergine (Lc 1,49), il nostro Pontificio Seminario di Posillipo aveva dato inizio, nell’anno precedente, al suo Centenario di fondazione (1912-2012). Eh sì, i suoi primi cent’anni di vita! L’età, a volte, gioca anche degli scherzi, ma per il nostro seminario, per così dire, solo delle crepe (di vecchiaia s’intende). roprio così, allora, i 15 vescovi firmatari della convenzione stipulata con la Compagnia di Gesù, il 19 settembre 2011 indicevano lo speciale anno giubilare da aprirsi il 19 ottobre 2011 e chiudersi con la festa del dies natalis del Seminario il 28 aprile 2012. L’intento e la motivazione di tali celebrazioni erano di permettere alla nostra memoria il lodare e ringraziare il Padrone della messe, il Buon Pastore, per il dono di tante vite donate per l’annuncio e la testimonianza del Regno. Tutto vissuto nella straordinarietà del nostro vivere quotidiano, fatto di relazioni, di incontri, di impegni, di studio, di gioie, di dubbi, di preghiera e di condivisioni. utto è cominciato, quindi, con la solenne concelebrazione di apertura presieduta dal card. Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli. Con lui presenti i Vescovi firmatari e il padre Carlo Casalone, Provinciale d’Italia della Compagnia di Gesù. In tale celebrazione, il Cardinale invitava tutti ad assumere l’atteggiamento di condivisione e di gratitudine per tutto ciò che ci è donato, e di assumere sempre più lo stile di persone innamorate di Cristo, sapendo farsi carico delle situazioni di limite e di crisi delle nuove povertà P T 12 12 Domenico Vitolo non solo materiali ma, soprattutto, di quelle spirituali. l cammino di ringraziamento per lo speciale anno di grazia per il Centenario del Seminario è continuato nella quotidianità. Per le varie celebrazioni intercomunitarie del giovedì sono stati invitati ex-alunni ed ex-formatori che hanno trascorso un loro pezzo di strada, fondamentale per il loro ministero sacerdotale, tra i corridoi e le stanze del Seminario raccontandoci, pieni di emozione e di gratitudine, le loro esperienze di vita e di sequela dietro al Maestro. Inoltre, sono stati preparati degli incontri per ex-alunni in alcuni seminari per riflettere sull’esperienza vissuta nel Seminario di Posillipo. ilievo centrale, tra i vari eventi del Centenario di fondazione, ha avuto l’udienza speciale con il successore di Pietro, Sua Santità Papa Benedetto XVI, lo scorso 26 gennaio 2012. Con tanta emozione nel meraviglioso salone della Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, insieme al seminario regionale calabro e al seminario regionale umbro, siamo stati ricevuti con alcuni vescovi firmatari e alcuni vescovi exalunni, unitisi per ascoltare le parole del Santo Padre e vivere con noi quel momento ricco di grazia. elle parole del successore di Pietro ci giungeva l’invito ad essere «pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi» (1Pt 3,15), e a saper gustare interiormente e vivere il particolare progetto che Dio ha scelto per ognuno di noi: essere testimoni credibili del Vangelo di salvezza. Il Santo Padre, inoltre, ci invitava a riscoprire la santità «come I R N Diario del Centenario misura alta della vita cristiana ordinaria» in piena configurazione al modello di Gesù Cristo. Ancora, il Papa lodava l’esperienza, tuttora valida, dei seminari come fari di genuina formazione spirituale e teologica nel saper educare ad una vita di comunione con Dio e con i fratelli. A conclusione della giornata nella città di Pietro, ci siamo ritrovati per una Celebrazione Eucaristica, nella Chiesa del Gesù, presieduta dal Delegato dei Vescovi Firmatari della Convenzione, mons. Francesco Marino, Vescovo della Diocesi di Avellino, che affidava noi tutti sotto il manto della Beata Vergine Maria venerata col titolo di Madre del Cammino. el Centenario di fondazione sono state ricordate anche le due figure-modello, seppur di diversi periodi di tempo e di ruolo, del nostro Seminario: il Beato Giustino Maria Russolillo della Santissima Trinità, uno dei primi seminaristi del nascente Seminario, fondatore dei Padri Vocazionisti e don Giuseppe (Peppino) Diana, Presbitero del Clero della Diocesi di Aversa, ucciso dalla camorra nel giorno del suo onomastico il 19 marzo 1994 mentre si preparava per celebrare la Santa Messa, entrambi ex-alunni del nostro Seminario. Queste due figure sono state ricordate non solo come modelli di santità ma soprattutto perchè nella loro ordinarietà e semplicità hanno saputo vivere la loro vocazione: il primo a servire la Chiesa per le vocazioni e il secondo per aver denunciato la spinosa realtà della camorra presente nei territori del napoletano e del casertano. noltre, il Centenario di fondazione ha avuto il suo culmine nella festa degli ex-alunni, il 28 aprile 2012, giorno nel quale, per concessione pontificia, il Seminario festeggia il suo patrono, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Giorni di preparazione si sono avvicendati, l’intera comunità del seminario insieme con l’équipe N I formativa, ha lavorato per rendere bello il dies natalis del proprio Seminario. La festa è iniziata nei Primi Vespri della solennità del Santo Patrono presieduti dal card. Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica e i Seminari, culminata con la giornata, nella quale, circa 300 ex-alunni tra vescovi e sacerdoti di tutte le età hanno partecipato ai vari eventi preparati. In tale occasione il nostro Rettore, padre Roberto del Riccio S.I., ha presentato all’intera comunità il nuovo progetto formativo del Seminario Secondo il suo cuore. Cuore della giornata la concelebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Prefetto. A tutti esortava di seguire l’esempio del Patrono Sant’Alfonso Maria De’ Liguori, il quale ha saputo vivere la preghiera, l’azione pastorale e lo studio con umiltà e semplicità. Ancora, il Presule esortava l’intera comunità a saper incarnare nella vita quotidiana uno stile di preghiera e di servizio sul modello di Cristo, Bel Pastore. ueste poche righe non hanno la pretesa di presentare alcuni momenti nei quali l’intera comunità del Pontificio Seminario ha sperimentato la grazia di essere appartenenti ad una grande famiglia, inserita in una storia fatta da eventi e da persone, ma vogliono essere note armoniose di una grande famiglia, che è la Chiesa di Cristo, che è in cammino verso «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,1) vivendo nel mondo con quell’ardore e quell’amore che il Maestro, il Signore Gesù ci ha comandato: «anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). llora sì che ogni nuovo giorno potremo dire: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Ancora auguri Seminario! Q A 13 13 Approfondimenti NEL SOLCO DEL CONCILIO: LA FEDE “RINNOVATA” E LE SFIDE CONTEMPORANEE « Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore […] Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo» (cfr. GS 1-2). Con queste parole, tratte dalla costituzione pastorale Gaudium et spes, potremmo sintetizzare un po’ l’evento del Concilio Vaticano II, ciò che è stato, ciò su cui ha voluto riflettere, ciò che ha desiderato donare al mondo contemporaneo. Esso è un momento storicamente imprescindibile per poter comprendere oggi la Chiesa e con tutta la sua portata “rivoluzionaria” invita a misurarci con le sfide che la cultura circostante ci pone per essere in essa Chiesa, segno e presenza del Regno di Dio. In questa direzione quest’anno i Padri Gesuiti di Villa San Luigi hanno proposto una serie di incontri approfittando anche della ricorrenza del 50° dall’inizio del concilio. Tali incontri sono stati come sempre l’occasione per riflettere e interrogarsi su quanto cammino la Chiesa ha fatto in questo cinquantennio, quanto 14 14 Antonio Salvatore Macolino ha compreso di essa stessa, di quanto cammino deve ancora intraprendere per portare a tutti la Buona Notizia. Come sempre, gli incontri hanno avuto un taglio testimoniale e contestuale. Infatti hanno preso la parola delle persone che hanno “incarnato” quell’idea di Chiesa, così come il concilio la propone, nel loro stato di vita e nel contesto nel quale vivono e operano: pensiamo alla prof. Donatella Abignente, docente di Teologia Morale presso la nostra sezione, a p. Fabrizio Valletti, gesuita operante nella difficile realtà di Scampia, a don Pino Di Santo, presbitero diocesano formatosi nel nostro Seminario Campano alla luce del rinnovamento conciliare della formazione sacerdotale, a p. Bartolomeo Sorge sostenitore di una politica cristianamente illuminata. Questi incontri assumono un significato diverso anche all’inizio dell’Anno della Fede, indetto dal Papa proprio nell’occasione del 50° dal Concilio: l’esperienza di questi uomini diventa incentivo al nostro cammino di Chiesa del Sud Italia nel XXI secolo, ci interroga e ci invita a seguire il Cristo vivendo le sfide e le domande della contemporaneità. «Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l’azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell’amore del Padre celeste» (cfr. GS 93). Approfondimenti Ricordo di mons. Bruno Schettino Pastore buono Eppure in autunno le foglie sembrano volerci preparare al loro volo: perdono colore, appassiscono (diventano quasi più belle). Tu invece l’hai fatto senza preavviso. Sei morto dormendo: forse sognando il volto della Madre, o gemendo per il peso della nostra trave? Ora capisco perché mi dicevi che l’essere vescovo nasconde il martirio, perché tu sei morto martire. Il tuo è il sangue del povero, dell’indifeso, di chi viaggia in cerca di un senso di chi non ne ha più da versare ma tu gli hai donato il tuo sangue. Non sapevo che la morte gioca questi scherzi; è più vuota la mia vita senza te, triste il volto ma non il cuore. Tu ci sei vicino buon pastore. Vincenzo Gallorano “Si, pronto”: risposta alla chiamata N Mariano Signore ello scrivere questa breve memoria ho pensato, nel titolarla, alle iniziali parole che mons. Schettino utilizzava nell’introdurre il suo interlocutore al dialogo telefonico: “si, pronto”. Sono semplici parole che, però, dicevano e dicono - a noi che oggi lo ricordiamo - della sua immancabile disponibilità ad ascoltare e ad accogliere qualsiasi necessità o richiesta. O meglio, non erano solo parole ma testimonianza di una vita giammai lontana dalle persone che il Signore aveva a lui affidato: ricchi o poveri, bianchi o neri non faceva differenza. Eppure amava ciascuno di noi con la sua individualità, con la sua storia, con i suoi sogni più profondi, con la sofferenza che si portava dentro. “Eccellenza cosa avrà risposto alla sua ‘ultima chiamata’, in quel primo mattino che ha scombussolato la vita di tutti coloro che tante volte Le hanno mostrato affetto?”. Io lo so - e con questo credo di poter esprimere un sentimento comune - perché Lei amava la Vita, quella vera, che non passa: “Si, Pronto!”. 15 15 Vignette 16 16 a cura di p. Sergio Ferraro