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Con ancora nel cuore la tanta gratitudine per la celebrazione dell
Foglio di informazione interno del Pontificio Seminario Campano Interregionale
C
on ancora nel cuore la tanta gratitudine per la celebrazione dell’anno centenario,
scrivo a voi Ex-alunni, amici e benefattori del Pontificio Seminario Campano
Interregionale di Posillipo, introducendo il numero di Camminiamo insieme del
corrente anno formativo, che, su invito del Santo Padre Benedetto XVI, celebriamo
con la chiesa universale come anno della fede. Il Papa nel suo Porta fidei delinea
anche un percorso che aiuti a comprendere «l’atto con cui decidiamo di affidarci
totalmente a Dio, in piena libertà». In quel contesto il Papa ricorda che «la
conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico
sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi
per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la
Parola di Dio» (Porta fidei, n. 10). Lasciandomi provocare dalle parole appena
citate, vorrei proporne un’applicazione, che ci possa spingere sempre di più a
fare la nostra parte, affinché il Signore renda il nostro cuore spazio sacro, suo
«autentico sacrario».
hi frequenta in Seminario lo studio del Rettore è abituato a vedere sulla
mia scrivania una grande quantità di carte, libri e piccoli oggetti che,
nella veloce sequenza di impegni giornalieri, si accumulano più o meno
disordinatamente.
C
segue a pag. 3
Redazione
Sommario
Credi tu
La fede che accomuna
“al andar se hace el camino”
... Alla ricerca di Cristo servendo
Oltre i confini
Esperienze al Ghetto
La speranza rinata dall’incontro
“Gente rint’a quatt’mura”
L’ agorà della speranza
Nisida: scoprendo... “un mondo”
La mia esperienza in El Salvador
Una missione verso gli altri...
Vecchio di anni ma non di cuore
Nel solco del Concilio
Ricordo di mons. Bruno Schettino
Pastore Buono
“Si, pronto” : risposta alla chiamata
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Foglio di informazione interno
del Pontificio Seminario Campano Interregionale
Via Petrarca, 115 - 80122 Napoli Tel. 081.2466011 mail: [email protected]
Redazione
Mariano Signore (coordinatore),
Giuseppe De Marco,
Marco Montano,
Antonio Mele.
Grafica e Impaginazione
Lorenzo Zambetta
Stampa
Promofactory
Orta di Atella (Ce) - Tel. 081/5022079
Hanno collaborato a questo numero:
P. Roberto Del Riccio s.j., don Armando Nugnes,
Raffaele Farina, Carmine Passaro, Rolando Liguori,
Marco Stolfi, Nicola De Sena, Giamluca Guarino,
Ettore Cesta, Piercarlo Donatiello, Rocco Pezzullo,
Alessandro Arnone, Pierangelo Sorvillo, Domenico
Vitolo, Antonio Salvatore Macolino, Vincenzo
Gallorano, p. Sergio Ferraro s.j.
15
Nota redazionale
Q
uesto primo numero del giornalino - ne è previsto un altro nel corso dell’anno - intende essere,
come di consueto, un contributo, speriamo, utile per chiunque - e non solo per la “nostra comunità”
- voglia accostarsi alle variegate attività formative proposte dal Seminario. Per motivi di spazio non
possono essere presentate tutte, ma, attraverso quelle rientranti nello spazio di questo ‘foglio’, possiamo
scorgere l’esperienza, tutt’altro che asettica, di chi ha vissuto sulla propria pelle il criterio fondamentale
che le guida: “il servizio alla scuola del Maestro”. Non si tratta, pertanto, di parole, o meglio non
solo di parole, ma prima di tutto di esperienze che, sostenute dalla testimonianza di persone che in quei
“luoghi di confine” operano da una vita, divengono a loro volta testimonianza per noi che le leggiamo,
continuando quella cinta di trasmissione che lega l’intera storia della Chiesa. Ci auguriamo che questo
“piccolo giornale” possa divenire occasione sempre nuova, oltre che di semplice comunicazione, di
condivisione.
22
continua da pag. 1
Anno della fede
All’inizio di questo anno formativo ho, però,
deciso di sgombrare la mia scrivania dalle tante
cose accumulatesi, impegnandomi a mantenerla
libera e in ordine. Appena messa in atto la mia
decisione ho notato che molti, entrando nello
studio, restavano colpiti soprattutto da una
cosa: il piano vuoto della scrivania. Certo, un
portapenne, un vaso di fiori, un contenitore con
le chiavi, una fotografia sono soprammobili che
ancora occupano una parte dello spazio, tuttavia
il piano è vuoto, come in attesa che io vi appoggi
qualcosa. Ora, però, su quel vuoto quanto è
appoggiato acquista evidenza, appare come unico.
Non è più un oggetto anonimo in mezzo a tanti
altri. Non è una lettera, ma è quella particolare
lettera. Non è un libro, è quel particolare libro.
Non è un biglietto d’auguri, ma è quel particolare
biglietto d’auguri. Il piano non serve, dunque,
più soltanto ad appoggiare qualcosa, che, in
mezzo a tanti altri oggetti, resta anonimo. Il
piano è diventato, invece, lo spazio che mette in
evidenza quanto vi si appoggia. Nella misura in
cui è vuoto da ogni altra cosa, esso consente di
percepire come unico ciò che in quel momento
vi si trova. Penso che qualcosa di simile sia ciò di
cui abbiamo bisogno, affinché Dio possa essere
l’unico Signore delle nostre vite: fare vuoto nel
nostro cuore. Fare vuoto, affinché quanto in quel
momento stiamo incontrando possa acquistare la
propria evidenza e apparire unico e così coglierlo
come un dono dell’Unico, di quella realtà dalla
quale ogni altra dipende. Noi battezzati, però,
sappiamo che l’Unico, del quale tutto è dono, è
preoccupato per noi, perché desidera donarci la
vita e donarcela in abbondanza. Lo sappiamo,
perché dopo aver «parlato nei tempi antichi
molte volte e in diversi modi […] per mezzo
dei profeti» ad un popolo da lui scelto, infine,
«ha parlato a noi per mezzo del Figlio», prima
facendosi prossimo a noi nell’uomo Gesù di
Nazareth, poi donandosi nel suo Santo Spirito.
Allora, aprendoci a questa parola, il vuoto creato
nel nostro cuore lo renderà non solo il luogo in
cui ogni cosa e ogni persona emergeranno come
uniche, ma gli consentirà anche di divenire luogo,
in cui la parola dell’Unico potrà risuonare, spazio
sacro, in cui si incontreranno Dio, il mondo e
ciascuno di noi: «autentico sacrario».
’esperienza di profonda intimità, che Dio
nella fede ci dona, rendendo il nostro cuore
un «autentico sacrario», quando è autentica,
però, ci destabilizza, ci fa vacillare, perché
sposta il nostro centro di gravità da noi
all’Unico. Un mio confratello, P. Jean-Paul
Hernadez, ricordando che la fede è descritta
nella Bibbia come un saper rischiare e che la
si può paragonare «al passo in avanti di un
corpo umano», scrive, «ogni passo è l’inizio di
un precipitare. È una perdita di equilibrio, una
possibile caduta. Il passo è uno squilibrio fra due
brevi momenti di equilibrio. Si può dire che il
passo è quel “sapere” che trasforma la caduta in
uno spostamento in avanti. Ogni spostamento
della gamba è un terribile rischio! Così è la
fede. Essa non cancella l’instabilità umana, ma
la trasforma in un progresso». Bisogna, però,
correre il rischio di cadere, accettando che siamo
instabili!
i è spontaneo pensare che il Seminario è
il luogo in cui si impara a viver sempre di
più in prima persona questo rischio, per poter
poi aiutare altri a fare altrettanto. In tal senso la
celebrazione dell’anno centenario mi è parso ci
abbia permesso di riconoscere che l’imparare a
correre il rischio della fede è ciò che accomuna
i tanti, seminaristi e formatori, che in cento anni
hanno vissuto e continuano a vivere in questo
luogo. Per noi attuali membri della comunità
del seminario di Posillipo, in particolare, è stato
il percepire la comunanza di questa esperienza
radicale con i tanti che, vivi o defunti, ci hanno
preceduto, a rendere speciale il giubileo del nostro
Seminario. Anche loro come noi hanno cercato
di imparare a vivere nella instabilità, che
la fede trasforma in progresso d’amore,
senza certezze e risposte precostituite se
non quella, l’unica, che Gesù Cristo è il si
definitivo di Dio, dell’Unico, a ciascuno di
noi.
L
M
p. Roberto Del Riccio s.j.
33
Anno della Fede
La fede che accomuna
La dimensione “ecclesiale” del credere a partire da Porta fidei
«
Per fede uomini e donne hanno
consacrato la loro vita a Cristo,
lasciando ogni cosa per vivere in semplicità
evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, ...
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di
tutte le età, il cui nome è
scritto nel Libro della vita
(cfr Ap 7,9; 13,8), hanno
confessato la bellezza di
seguire il Signore Gesù là
dove venivano chiamati
a dare testimonianza del
loro essere cristiani…»
(Porta fidei, n. 13)
un elenco lungo e ricco quello che Papa
Benedetto XVI propone alla nostra
attenzione in questi passaggi del motu proprio
con il quale ha indetto l’Anno della Fede. Un
elenco che prende le mosse dalla fede di Maria e
dei discepoli per poi arrivare alla fede di ognuno
di noi, che nella varietà dei carismi e dei ministeri
formiamo l’unica Chiesa di Cristo. Sembra
riecheggiare, in questo passo, la rievocazione
quasi litanica della fede dei padri nella lettera agli
Ebrei al capitolo 11: la narrazione di una storia
intrisa di fede, che non sembra semplicemente
consegnata al passato, ma che quasi
viene ad interpellare ciascuno di
noi chiedendo di poter proseguire
grazie al nostro assenso. È dunque
la fede l’unico filo che raccorda i
personaggi, uomini e donne, così
distanti nel tempo e diversi tra loro.
È la fede quell’unico filo d’oro che
si inserisce nella trama spesso
controversa della storia. È quella
stessa fede che fa da raccordo non
solo con le distanze del passato e con
le prospettive del futuro, ma con le
diverse sensibilità che nel presente
animano la comunità dei credenti.
È
44
don Armando Nugnes
Secondo questa presentazione del Papa, dunque,
la Chiesa è essenzialmente comunità della fede,
o meglio, come afferma il Concilio, «comunità
di fede, di speranza e di carità» (Lumen gentium,
n. 8). La fede è, dunque, quel dinamismo che
anima dal di dentro la vita di tutta la Chiesa,
la forza propulsiva che imprime lo slancio e, al
tempo stesso, il fattore aggregante. Che rapporto
c’è, allora, tra la nostra fede personale e la fede
professata da tutta la comunità dei credenti? Così
risponde Benedetto XVI:
“Io credo” è la fede della Chiesa professata
personalmente da ogni credente, soprattutto
al momento del Battesimo. “Noi crediamo” è la
fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti
in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea
liturgica dei fedeli. “Io credo”: è anche la Chiesa
nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede
e che ci insegna a dire “Io credo”, “Noi crediamo”»
(Porta fidei, n. 10).
otremmo dire, parafrasando le parole del
Papa, che l’Io credo e il Noi crediamo non sono
affatto in opposizione tra di loro, né possono
considerarsi due vie alternative. In effetti, nell’Io
credo c’è già, in un certo senso, il Noi crediamo.
La professione Io credo, infatti, apre da sé ad
una dimensione più grande
che va oltre lo stesso credere
personale, facendo in modo
che non si chiuda mai allo
stretto campo dell’individuale,
ma proietti ciascuno di noi in
un orizzonte molto più vasto
del nostro piccolo, “ristretto”
mondo. È l’orizzonte della
Chiesa, comunità di fede,
in cui ciascuno è chiamato
a riconoscersi pienamente,
come parte integrante, facendo
esperienza, al tempo stesso,
della possibilità di rivedere la
«
P
Anno della Fede
propria storia, il proprio cammino in un contesto
molto più grande, in una storia di salvezza che
inizia prima di lui e che dopo di lui ha ancora
tanti sentieri da percorrere.
n questo senso, la Chiesa si fa compagna di
viaggio e al tempo stesso “serva” dell’uomo in
cammino, poiché «non possiamo dimenticare che
nel nostro contesto culturale tante persone, pur
non riconoscendo in sé il dono della fede, sono
comunque in una sincera ricerca
del senso ultimo e della verità
definitiva sulla loro esistenza e sul
mondo» (Porta fidei, n. 10).
ssere accomunati da un’unica
fede, nella grande famiglia
della Chiesa – “comunità
di fede”, non significa, però,
essere uniformati in uno stile
che ingabbia le diversità e le
rende incapaci di esprimersi.
La professione dell’unica fede
fa fiorire, invece, la varietà dei
carismi, delle sensibilità e delle
possibilità espressive. La chiave
di volta sta nel considerare la fede
non come semplice affermazione
convinta di un certo contenuto, ma come
adesione ad una verità, che coinvolge tutte le
dimensioni della persona ed innesca un processo
di trasformazione di tutta la vita di chi è ormai
“credente”. Si tratta di una verità più grande di
noi nella quale poter leggere la verità di tutta la
nostra esistenza. È proprio questo il punto da
cui prende le mosse il Papa nel motu proprio:
«E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la
Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia
plasmare dalla grazia che trasforma» (Porta fidei,
n.1).
uesto richiamo al cuore che accoglie, ci
ricorda in poche battute tutto il cammino
dell’adesione della fede che nasce dall’ascolto
(cfr. Rm 10,17), trafigge il cuore (cfr. At 2, 37)
e chiede di essere visibile attraverso i nostri
“arti” nel vivere quotidiano. Erri de Luca, in
uno scritto di qualche anno fa, così sintetizza il
I
E
Q
coinvolgimento dei sensi nell’assenso di fede, a
partire dall’ascolto: «l’udito è l’albero maestro dei
sensi, al quale poi trasmette tutta l’energia del vento
catturato» (Almeno 5, Feltrinelli, 37). Quest’idea
dinamica del camminare, torna proprio
nell’immagine della porta da varcare, che il Papa
ci ha consegnato: «Attraversare quella porta
comporta immettersi in un cammino che dura
tutta la vita» (Porta fidei, n.1). Qui c’è tutta
la dimensione della progressione
che la fede porta con sé,
come caratteristica dell’uomo
itinerante, del pellegrino proteso
verso il conseguimento di una
verità desiderata, mentre fa
continua esperienza del proprio
limite.
iscoprire la dimensione
ecclesiale, comunitaria, che
l’esperienza di fede porta con sé,
non potrà essere il pretesto per
mascherare le proprie insicurezze
dietro l’affermazione di un credo
di una falange compatta che
fa da scudo con la sua “forza”
esteriore. Sarà, invece, l’occasione
per ritrovare tutto il nostro mondo, con le sue
contraddizioni e le sue potenzialità, in una nuova
luce, capace di far verità ed incoraggiare, grazie
all’invisibile azione dello Spirito e con la forza del
sostegno di tanti uomini e donne, sentiti come
fratelli e sorelle, impegnati, con la specificità
delle storie personali di ciascuno, a rispondere
con generosità alla chiamata a vivere in pienezza
la propria vita.
na visione della vita della Chiesa pensata
così potrà aiutare a vivere al meglio
l’Anno della fede anche la nostra comunità
del Seminario, «esperienza originale della vita
della Chiesa» (Pastores dabo vobis n.
60), comunità di giovani impegnati in
una particolare esperienza di fede, che
tutti accomuna e al tempo stesso rende
“speciale” il cammino dei singoli.
R
U
55
Esperienze Estive
“Al andar se hace el camino”
Camminando si fa la strada
L
a comunità del I anno ha potuto
intraprendere, quest’estate, dal 18
al 31 luglio, il cammino di Santiago de
Compostela, esperienza già vissuta da altre
comunità negli anni precedenti. Il nostro viaggio
è incominciato ad Astorga, situata a circa 260
km da Santiago. Abbiamo incominciato il nostro
cammino senza comprendere quali fossero le
finalità e gli obiettivi di tale esperienza. Solo dopo
aver terminato il cammino ci siamo resi conto
dell’importanza dell’esperienza che avevamo
avuto la fortuna di vivere.
Non basta essere nel cammino quanto piuttosto
essere il cammino”. Questa frase, di per sé
molto evocativa, la si comprende totalmente
man mano che si cammina verso Santiago: un
camminare che non è semplice andare verso la
tomba dell’Apostolo ma è dirigersi verso se stessi
e rivivere il proprio rapporto personale con Dio:
la meta principale da raggiungere siamo noi.
l cammino geografico, che abbiamo realizzato
a piedi o attraverso gli autostop per chi non
riusciva a camminare, è stato metafora del
nostro singolare cammino di vita che, seppur
nella diversità, è caratterizzato da salite, discese,
affanni, gioie, strade da scegliere e da percorrere.
Si fa esperienza ogni giorno delle proprie
debolezze, dei propri limiti e ciò fa sì che si
diventi più umili e ci si renda consapevoli della
propria finitudine; ma, al contempo, il ripartire
e l’avanzare dà la consapevolezza che dentro
ognuno è presente una forza a cui poter attingere
nei momenti di sconforto e di difficoltà. In questo
un grande sostegno è stato, senza ombra di
dubbio, l’aiuto reciproco di ogni membro
della comunità nell’affrontare i momenti
di stanchezza, sperimentando quanto sia
importante la relazione e il rapporto con l’altro.
Questo affrontare all’estremo la quotidianità
ha fatto emergere con ancora più chiarezza noi
stessi nei nostri pregi e nei nostri difetti e ciò
66
Antonio Mele
ha permesso una più forte coesione e senso di
appartenenza alla comunità.
n questa esperienza ti rendi conto che la
tua vita, il tuo cammino, è come un viaggio
nel quale bisogna avere la consapevolezza di
sapere da dove si viene e dove si sta andando
nel quotidiano e nel personale rapporto con il
Signore. Esso diventa in tal modo una sintesi
efficace del nostro autentico percorso di
discernimento. La conchiglia ricevuta all’inizio
del cammino ci ha ricordato, a tal proposito,
che da Dio siamo generati e, ciascuno per la sua
strada, a Lui torniamo.
ul cammino, inoltre, avvengono incontri
sorprendenti, inaspettati, ed è incredibile
la facilità con cui dopo appena poche ore di
cammino si possa instaurare un rapporto di
amicizia con persone mai viste prima, persone
provenienti da tutte le parti del mondo.
uanta gente, quanta diversità. Ognuno
porta con sé il segreto del suo cammino,
tutti diversamente credenti, tutti alla ricerca di
qualcosa o Qualcuno. Qualunque sia il punto di
partenza e la motivazione che spinge ad affrontare
tale Cammino, sono profondamente convinto
che tutti si incontrino con Dio o perlomeno con
se stessi.
I
“
S
I
Q
Esperienze Estive
L
…alla ricerca di Cristo servendo
Raffaele Farina
’esperienza di volontariato insieme ad altri miei fratelli di comunità, dal 6 al 24 luglio presso il
Cottolengo di Torino, è stata occasione di sintesi e autentico banco di prova alla fine del biennio di
discernimento. Le due settimane nei reparti dell’ospedale sono state, infatti, un tempo di grazia, un
tempo per vincere quella superbia di decidere io, ogni volta, il luogo dell’appuntamento con Cristo;
il tempo per scoprirmi da Lui cercato e trovato in quel servizio inutile nei reparti di un ospedale dove
Cristo è stato l’altro da imboccare, da accompagnare, con cui parlare, da vestire, da lavare…l’altro che con
Cristo condivide la fatica della croce, la bellezza inconsapevole dell’essere deboli. A tre mesi di distanza
non posso negare che ancora cerco di fare sintesi. Ancora penso a quella presunzione ingenua di partire
per dare, con cui sono arrivato al Cottolengo, che difficoltosamente cede spazio alla disponibilità umile
di chi si incammina per ricevere la speranza da chi visibilmente sembrerebbe senza speranze.
Oltre i confini:
unico servizio, unica missione
L
Carmine Passaro
a partecipazione dei seminaristi al campo che
la Lega Missionaria organizza annualmente
a Sighetu Marmiatiei è ormai una tradizione
consolidata del nostro seminario. Quest’anno
sei seminaristi di Posillipo hanno prestato il
loro servizio in questa attività, dal 7 al 22 luglio,
dividendosi tra l’insegnamento della lingua inglese
e il reparto psichiatrico dell’ospedale municipale
di Sighet. Le attività iniziavano ogni mattina con
la recita delle lodi e si chiudevano alla sera con
la celebrazione della Santa Messa. Tuttavia, il
momento più intenso del campo è stata senz’altro
la visita al campo
di sterminio di
Auschwitz,
in
cui si può ancora
respirare il clima
di terrore in un
luogo dove sono
state scritte alcune
tra le pagine più nere della storia dell’umanità. È
un’esperienza che, ci auguriamo, continuerà ad
essere proposta in questo seminario, dal momento
che quella della missione è una sensibilità che
nella formazione di futuri presbiteri non dovrebbe
mai essere trascurata.
Q
Esperienze al ghetto:
condivisione di storie
Rolando Liguri, Marco Stolfi
uest’anno abbiamo svolto la nostra esperienza
estiva, dal 12 al 26 agosto, al ”GHETTO”:
piccolo pezzo di terra, in provincia di Foggia, dove
sorge abusivamente un villaggio, fatto di lamiere
e cartone, popolato da circa ottocento braccianti
agricoli, tutti provenienti dall’Africa dell’ovest.
Solitamente si arrivava al ghetto verso le cinque
del pomeriggio e con molta cura sistemavamo i
tavoli e le sedie
per la scuola di
italiano;
dopo
un po’ tutti gli
alunni arrivavano
volenterosi
per
imparare la nostra
lingu a .
B en
presto abbiamo capito che la nostra esperienza
non era quella di insegnare l’italiano ma quella
di stare con queste persone, condividere la vita
con loro. In quindici giorni abbiamo vissuto
storie di guerre e prostituzione, di fame e di
fuga, ma allo stesso tempo abbiamo potuto
sperimentare quanto il popolo africano sia
speranzoso, quanto sia ricco di vita e, anche
se in piena difficoltà, non smetta di credere
che il domani potrà essere migliore.
77
Esperienze Estive
La speranza rinata dall’incontro
L
uglio scorso è stato molto caldo! Fin
dalle prime luci del mattino l’afa si è
fatta sentire, il refrigerio è diventato una
necessità fin dalla levata mattutina, dopo notti
insonni per le strade delle nostre città …tipiche
notti per evangelizzare i giovani! Il primo giorno
di questo mese infuocato, la comunità del III
anno, dopo aver caricato di vettovaglie le auto,
pronta per la spedizione, punta verso Roma
…quasi novelli conquistatori, nell’avvicinarsi
all’Urbe abbiamo comunemente
pensato: “Alea jacta est!” Ormai il
dado è tratto! Non possiamo più
tornare indietro, dobbiamo solo
arrivare alla parrocchia di San
Saba, il cui titolare è certamente
un cardinale di santa Romana
Chiesa, ma che sicuramente ne
sono stabili dominatori i Gesuiti.
Arrivati in quel sospirato luogo,
conquistato finalmente il campo,
entriamo e pensiamo: “Usciamo
da un seminario gesuita e ci
chiudiamo in un convento gesuita
…Viva l’estate!”. In quelle due
settimane – dal 1 al 14 luglio –
Roma ci accoglie in tutta la sua calura e l’umidità
ci fa sognare le spiagge più che la capitale
della cristianità! Eppure noi siamo lì! Siamo
chiamati a vivere un’esperienza di “accogliente
solidarietà” verso coloro che, a causa del loro
status di rifugiati politici, non hanno più radici,
ma non trovano altra terra che li accolga: l’Italia
accoglie, la burocrazia li espelle … in questo
vortice spietato e, ahimè studiato a tavolino
dalle nostre istituzioni (tutte con a capo
uomini cattolici!) si inserisce il disegno della
Provvidenza e scopri che i nostri buoni figli del
padre Ignazio non sono solo curvati sui libri,
ma si sporcano le mani nel nostro “perbenismo
cattolico pietoso e triste”. Il “Centro Astalli”,
88
Nicola De Sena
appunto, è un’organizzazione dei padri gesuiti
che, pur assolvendo dei clichet comuni alle varie
organizzazioni umanitarie, come il ticket per
i pasti, i permessi di soggiorno, fa qualcosa in
più: vede l’umanità mortificata e cosificata, quasi
fossero uomini di serie B e si spende con tutte le
loro energie per ri-donare la dignità di persona a
questa gente, donare il calore di una famiglia che
li accolga e che ascolti le loro storie, che guarisca
le loro ferite, che asciughi le loro lacrime.
a non solo l’Astalli è stato il
nostro “campo di battaglia”.
Altri seminaristi ancora sono
stati nei centri della Caritas della
Diocesi di Roma, e lì scopri una
dura verità …i volti che vedi
non sono quelli baciati dal sole
africano o medio-orientale; ospiti
ai tavoli delle mense trovi i nostri
connazionali, uomini divorziati
che sono prosciugati dal vitalizio
per le mogli, imprenditori ridotti
al fallimento dal vortice della crisi,
pensionati che a metà mese hanno
finito già la pensione e chiedono
solo un sostentamento e un volto
che non svilisca la loro dignità con sguardi
accusatori. In queste esperienze ci accorgiamo
sempre più che prima di soddisfare un bisogno
materiale, ciò che aiuta queste persone è un
incontro! La condivisione di sguardi, il sorriso
e l’ascolto fanno percepire all’altro che qualcuno
li ama, anche se abbandonati da tutti, senza
affetti e senza terra, hanno un Dio fatto uomo
che comprende le loro amarezze e trasforma
l’incontro in una possibilità di ripartire,
affidandosi a chi il Signore gli ha messo affianco,
perché basta un bicchiere d’acqua dato nel nome
del Cristo, per realizzare in pienezza la nostra
vocazione ed essere beati nel Regno di Dio.
M
Esperienze Estive
“Gente rint’a quatt’ mura”
C
Gianluca Guarino
entro Penitenziario di Secondigliano.
1-8 luglio 2012. Laboratorio di pastorale
carceraria. Progetto pastorale “Evasione…
spirituale”. Obiettivo: piegare le sbarre di una
ragione co-stretta con la forza della fede, per
condurre il “cuore detenuto” fuori dal carcere delle
proprie convinzioni. Strategia d’intervento: parlare
al cuore con il cuore. Destinatari: “gente rint’a
quatt’ mura”. Gente disperata. Gente ammalata.
Gente abbandonata... No, abbandonata da Dio no.
La nostra missione dietro le sbarre è stata proprio
quella di annunciare a quella povera gente l’amore
misericordioso di un Dio Padre che non abbandona
nemmeno l’ultimo dei suoi figli, il più disgraziato,
il più sventurato (cfr. Lc 15,4-7), ma che si è fatto
uomo in Gesù Cristo per liberare l’uomo da ogni
schiavitù. «O’ Siggnore è lungariello, ma nunn’è
scurdariello!», ha difatti confermato uno di loro
sulla scorta della sua esperienza di fede. In mezzo
a tanta sofferenza tatuata sulla pelle, abbiamo
allora cercato di cancellare la disperazione con il
laser della grazia di Dio… Ci abbiamo creduto. Ci
hanno ascoltato. E le corde intime del loro cuore
hanno vibrato…
L’ agorà della speranza
L
Ettore Cesta
’esperienza vissuta la scorsa estate, dal 1 al 15
luglio 2012, presso la parrocchia Madonna delle
Grazie in San Giovanni a Teduccio, nel cuore del
degrado umano ed architettonico di Napoli, ci
ha offerto la possibilità di avvicinare uno dei
tanti segni di speranza che contraddistingue il
nostro territorio: l’Associazione O.N.L.U.S. “Figli
in Famiglia” guidata da Don Gaetano Romano
e da una laica consacrata, Carmela Manco. Le
iniziative sono molteplici, e tra queste spicca
un asilo nido detto “casa di Pippi: casa di un ex
camorrista” e un teatro al centro di una grande
Agorà, punto di riferimento per il quartiere
intero. Ascoltare le loro storie e commuoversi per
i tanti piccoli miracoli quotidiani ci ha aiutati ad
accogliere le disperazioni e le gioie che l’Uomo
vive e vivrà,
ma che non
possono
tog lier l a
speranza
che viene dal
Cristo morto
e risorto.
Nisida: scoprendo... “un mondo”
A
Piercarlo Donatiello
bbiamo scelto di vivere quest’esperienza,
presso il carcere di Nisida dal 1 al 7 luglio,
incentrandola sul perdono: e sono proprio i ragazzi
che di volta in volta si aprono raccontandoci la
difficile situazione vissuta. C’è bisogno di qualche
giorno - soprattutto dopo un liberante pomeriggio di giochi nel campetto di basket - per conquistare
un po’ di fiducia e così aprire un dialogo che gradualmente si spinge sempre più in profondità.
Ci salutiamo con la promessa di tornare a far loro visita, ma soprattutto con la certezza che degli
adolescenti, pur con un passato difficile, avrebbero tante ricchezze da valorizzare, se una volta
usciti da questo “mondo” che è il carcere, potessero guardare (e vivere) con occhi diversi (e senza
condizionamenti del proprio ambiente di origine) il mondo che li aspetta fuori!
99
Esperienze Estive
N
LA MIA ESPERIENZA IN EL SALVADOR:
STORIA DI DONAZIONE E DI CONDIVISIONE
el periodo tra il 29 luglio ed il 30
agosto ho avuto la possibilità di
vivere un’esperienza in El Salvador, nella
città di Arcatao, provincia di Chalatenango.
In queste poche battute proverò a consegnarvi
tre considerazioni che porto ancora nel cuore.
a storia de El Salvador è stata particolarmente
tormentata. Quella nazione è stata, infatti,
teatro di grandi massacri e lotte, soprattutto nel
periodo tra il 1979 e il 1994, anni in cui la guerra
civile ha distrutto ogni
cosa ed ha ammazzato
migliaia di persone. Tra
queste annoveriamo, tra
gli altri, mons. Oscar
Arnulfo Romero, vescovo
di San Salvador e,
successivamente,
quello
di sei gesuiti, docenti
alla UCA (Università del
Centro America). Credo
che il contributo più grande offerto dalla Chiesa
sia stato quello di condurre i suoi fedeli ad un
cambiamento di mentalità: da una fede che
chiedeva di subire la vita, ad una che, piuttosto,
induceva a impegnarsi perché quella stessa
vita potesse essere degnamente vissuta. Ecco il
motivo per cui la religione cristiana da “oppio
per il popolo” si trasforma in fermento della
rivoluzione. La fede della gente era già salda, ma
la parola di Dio era stata mal compresa fino a quel
momento; e questo, Monsignor Romero lo aveva
capito. C’era da purificare un concetto religioso
che, fino ad allora, serviva solo ad addolcire la
sopportazione dei soprusi e delle ingiustizie,
per passare a credere in un Dio che ci chiede
di lavorare adesso perché, nei luoghi che
abitiamo, possa trovare dimora la giustizia e la
pace. Ecco allora il primo insegnamento che ho
tratto da questa esperienza e lo esprimo facendo
mie le parole del sacerdote della diocesi di Aversa,
L
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10
Rocco Pezzullo
don Peppino Diana: “Passare da una concezione
di Dio, ad una vita con Dio”.
na seconda riflessione è maturata quando
ho conosciuto Julia, la donna che per tutto
il periodo della mia permanenza in El Salvador,
mi ha ospitato e, per me, ha messo a disposizione
tutto quello che poteva. Stando lì mi tornò in
mente la storia di quella donna della quale Gesù
parla nel Vangelo che, pur avendo offerto davvero
poco, nella logica di Dio era da apprezzare perché
aveva dato tutto quello che
poteva. Quell’ospitalità gratuita
mi faceva riflettere: chi invece
non possiede granché, senza
chiedere nessun tornaconto, ti
dona quello che è, ti apre il cuore
e ti rende destinatario di doni
incommensurabili, senza che tu
faccia niente per meritarli.
n’ultima riflessione salta
fuori da un momento
concreto vissuto qualche giorno dopo il mio
arrivo in quella terra: andammo a celebrare Messa
su un monte che, durante la guerra, divenne un
rifugio per tutta la popolazione, al confine tra El
Salvador e le Honduras. Dopo la celebrazione
era previsto un banchetto: ognuno portava
quello che poteva così che tutti avrebbero potuto
pranzare. Confesso che, quando seppi di questa
cosa, non credevo che tutti si sarebbero sfamati.
Ma, ricordate la moltiplicazione dei pani e dei
pesci operata da Gesù? Quel passo si conclude
così: «Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via
i pezzi avanzati: dodici ceste piene».(Mt 14,20)
osso dire di aver vissuto una situazione
analoga: ognuno aveva con sé solo “cinque
pani e due pesci”, eppure avanzò del cibo. Questa
è la straordinarietà di chi sa di non avere nulla,
ma è consapevole che condividendo quel poco, si
può ottenere davvero tanto. Ed è semplicemente
questa la logica di Dio.
U
U
P
Esperienze Estive
Una Missione verso gli altri e dentro sé
Q
uest’anno, per certi versi, abbiamo superato
noi stessi: siamo stati a circa 6000 Km di
distanza e a circa dodici ore di viaggio dalla
nostra quotidianità, dalle nostre abitudini, dalle
nostre comodità… Vi chiederete dove? Siamo
stati in Burundi, dal 29 giugno al 21 luglio, in
un piccolo villaggio, a tre ore di macchina dalla
capitale Bujumbura. Qui i missionari Saveriani e,
in particolare p. Angelo Gutturiello, originario di
Sparanise, operano da molti anni. Ci soffermiamo,
innanzitutto, sulla vitalità e dinamicità della
fede, celebrata dal popolo africano in maniera
viva e profonda. Abbiamo, inoltre, potuto
riscontrare nella gente
un senso profondo
dell’accoglienza,
della
bellezza, della gioia
dell’essere
cristiani,
facendo esperienza viva
di una fede non tiepida
ma incandescente, capace
di riscaldare anche il
freddo cuore indurito
dell’uomo.
Abbiamo
fatto esperienza del nulla:
non avevano nulla, ma
erano ricchi dell’amore di Cristo la cui presenza
era tangibile in ogni momento della giornata;
un esempio concreto di cosa significhi vivere un
forte e vero rapporto di fiducioso abbandono.
Basta ricordare il forte legame con Cristo
nell’Eucarestia, durante la Santa Messa che durava
anche 2-3 ore, attraverso canti e danze, e poter
notare il fatto che non erano mai stanchi, mai
tristi di essere lì e di vivere quell’incontro, anche
dopo un viaggio di ore a piedi tra le montagne.
La nostra giornata iniziava di buon mattino, alle
6.30 veniva celebrata l’Eucarestia che dava il via a
tutta la nostra giornata: questo era un momento
molto bello e intenso dove si percepiva tutta la
fede della gente. Visitavamo, poi, le famiglie del
Alessandro Arnone, Pierangelo Sorvillo
villaggio, gli ammalati presenti nelle case, negli
ospedali e nel dispensario, dove le malattie e
la malaria non risparmia nessuno. Vedere,
nonostante tutto, i bambini con quei volti
mai stanchi di lottare, di sorridere, di amare;
gli occhi di chi sa vivere fino in fondo, come
quelli delle madri che li stringevano tra le braccia
sapendo che forse presto non avrebbero più
potuto farlo, rendersi conto che questo non le
scoraggiava, non le faceva venir meno sotto quel
peso grande della Croce: il sorriso, il coraggio,
la dignità non li dimenticheremo mai. I giovani,
speranza di quella terra, così forti e pieni di
vigore, si adoperavano
per la famiglia e il lavoro,
dediti nel partecipare alla
preparazione della vita
sacramentaria. Abbiamo
portato circa 10 Kg di
caramelle dall’Italia
che non consumavano
subito, ma a piccole dosi,
le succhiavano per un
po’ e poi la richiudevano
e la conservavano per un
altro giorno, per gustarla
di più. Ci è venuto, quindi, spontaneo pensare
ai nostri bambini iper viziati e agli sprechi che
ne scaturiscono, interrogandoci soprattutto sul
modo di educarci e di educare il nostro futuro
… Abbiamo riscoperto il senso dello stupore,
del meravigliarsi per le piccole cose, quelle a cui
noi non presteremmo neanche un pizzico del
nostro prezioso tempo. Che Dio li benedica e li
assista tutti … Vi auguriamo di cuore di poter
sperimentare tutto questo, in particolare
l’Amore di Dio nella quotidianità e
nelle piccole cose che la vita ci dona …
Vi salutiamo con la formula usata dai
cristiani del luogo: Jambo (Ciao) Amahoro
(Pace).
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Diario del Centenario
VECCHIO DI ANNI MA NON DI CUORE
C
ANCORA AUGURI SEMINARIO!
on le meravigliose parole del Cantico
del Magnificat, sgorgate dal cuore della
Beata Vergine (Lc 1,49), il nostro Pontificio
Seminario di Posillipo aveva dato inizio, nell’anno
precedente, al suo Centenario di fondazione
(1912-2012). Eh sì, i suoi primi cent’anni di vita!
L’età, a volte, gioca anche degli scherzi, ma per il
nostro seminario, per così dire, solo delle crepe
(di vecchiaia s’intende).
roprio così, allora, i 15
vescovi firmatari della
convenzione stipulata con
la Compagnia di Gesù, il 19
settembre 2011 indicevano
lo speciale anno giubilare
da aprirsi il 19 ottobre
2011 e chiudersi con la
festa del dies natalis del
Seminario il 28 aprile 2012.
L’intento e la motivazione di tali celebrazioni
erano di permettere alla nostra memoria il
lodare e ringraziare il Padrone della messe, il
Buon Pastore, per il dono di tante vite donate per
l’annuncio e la testimonianza del Regno. Tutto
vissuto nella straordinarietà del nostro vivere
quotidiano, fatto di relazioni, di incontri, di
impegni, di studio, di gioie, di dubbi, di preghiera
e di condivisioni.
utto è cominciato, quindi, con la solenne
concelebrazione di apertura presieduta
dal card. Crescenzio Sepe, Arcivescovo
Metropolita di Napoli. Con lui presenti i Vescovi
firmatari e il padre Carlo Casalone, Provinciale
d’Italia della Compagnia di Gesù. In tale
celebrazione, il Cardinale invitava tutti ad
assumere l’atteggiamento di condivisione
e di gratitudine per tutto ciò che ci è donato,
e di assumere sempre più lo stile di persone
innamorate di Cristo, sapendo farsi carico delle
situazioni di limite e di crisi delle nuove povertà
P
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Domenico Vitolo
non solo materiali ma, soprattutto, di quelle
spirituali.
l cammino di ringraziamento per lo speciale
anno di grazia per il Centenario del Seminario
è continuato nella quotidianità. Per le varie
celebrazioni intercomunitarie del giovedì sono
stati invitati ex-alunni ed ex-formatori che hanno
trascorso un loro pezzo di strada, fondamentale
per il loro ministero
sacerdotale, tra i corridoi
e le stanze del Seminario
raccontandoci, pieni di
emozione e di gratitudine,
le loro esperienze di vita
e di sequela dietro al
Maestro. Inoltre, sono stati
preparati degli incontri
per ex-alunni in alcuni
seminari per riflettere
sull’esperienza vissuta nel Seminario di Posillipo.
ilievo centrale, tra i vari eventi del Centenario
di fondazione, ha avuto l’udienza speciale
con il successore di Pietro, Sua Santità Papa
Benedetto XVI, lo scorso 26 gennaio 2012. Con
tanta emozione nel meraviglioso salone della Sala
Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano,
insieme al seminario regionale calabro e al
seminario regionale umbro, siamo stati ricevuti
con alcuni vescovi firmatari e alcuni vescovi exalunni, unitisi per ascoltare le parole del Santo
Padre e vivere con noi quel momento ricco di
grazia.
elle parole del successore di Pietro ci
giungeva l’invito ad essere «pronti sempre a
rispondere a chiunque ci domandi ragione della
speranza che è in noi» (1Pt 3,15), e a saper gustare
interiormente e vivere il particolare progetto che
Dio ha scelto per ognuno di noi: essere testimoni
credibili del Vangelo di salvezza. Il Santo Padre,
inoltre, ci invitava a riscoprire la santità «come
I
R
N
Diario del Centenario
misura alta della vita cristiana ordinaria» in
piena configurazione al modello di Gesù Cristo.
Ancora, il Papa lodava l’esperienza, tuttora valida,
dei seminari come fari di genuina formazione
spirituale e teologica nel saper educare ad una
vita di comunione con Dio e con i fratelli. A
conclusione della giornata
nella città di Pietro, ci siamo
ritrovati per una Celebrazione
Eucaristica, nella Chiesa del
Gesù, presieduta dal Delegato
dei
Vescovi
Firmatari
della Convenzione, mons.
Francesco Marino, Vescovo
della Diocesi di Avellino,
che affidava noi tutti sotto il
manto della Beata Vergine
Maria venerata col titolo di
Madre del Cammino.
el Centenario di fondazione sono state
ricordate anche le due figure-modello,
seppur di diversi periodi di tempo e di ruolo,
del nostro Seminario: il Beato Giustino Maria
Russolillo della Santissima Trinità, uno dei primi
seminaristi del nascente Seminario, fondatore
dei Padri Vocazionisti e don Giuseppe (Peppino)
Diana, Presbitero del Clero della Diocesi di
Aversa, ucciso dalla camorra nel giorno del suo
onomastico il 19 marzo 1994 mentre si preparava
per celebrare la Santa Messa, entrambi ex-alunni
del nostro Seminario. Queste due figure sono
state ricordate non solo come modelli di santità
ma soprattutto perchè nella loro ordinarietà e
semplicità hanno saputo vivere la loro vocazione:
il primo a servire la Chiesa per le vocazioni
e il secondo per aver denunciato la spinosa
realtà della camorra presente nei territori del
napoletano e del casertano.
noltre, il Centenario di fondazione ha avuto il
suo culmine nella festa degli ex-alunni, il 28
aprile 2012, giorno nel quale, per concessione
pontificia, il Seminario festeggia il suo patrono,
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Giorni di
preparazione si sono avvicendati, l’intera
comunità del seminario insieme con l’équipe
N
I
formativa, ha lavorato per rendere bello il dies
natalis del proprio Seminario. La festa è iniziata
nei Primi Vespri della solennità del Santo Patrono
presieduti dal card. Zenon Grocholewski, Prefetto
della Congregazione per l’Educazione Cattolica e
i Seminari, culminata con la giornata, nella quale,
circa 300 ex-alunni tra
vescovi e sacerdoti di tutte
le età hanno partecipato
ai vari eventi preparati.
In tale occasione il nostro
Rettore, padre Roberto del
Riccio S.I., ha presentato
all’intera comunità il nuovo
progetto formativo del
Seminario Secondo il suo
cuore. Cuore della giornata la
concelebrazione eucaristica
presieduta dal Cardinale
Prefetto. A tutti esortava di seguire l’esempio
del Patrono Sant’Alfonso Maria De’ Liguori,
il quale ha saputo vivere la preghiera, l’azione
pastorale e lo studio con umiltà e semplicità.
Ancora, il Presule esortava l’intera comunità a
saper incarnare nella vita quotidiana uno stile di
preghiera e di servizio sul modello di Cristo, Bel
Pastore.
ueste poche righe non hanno la pretesa
di presentare alcuni momenti nei quali
l’intera comunità del Pontificio Seminario ha
sperimentato la grazia di essere appartenenti ad
una grande famiglia, inserita in una storia fatta
da eventi e da persone, ma vogliono essere note
armoniose di una grande famiglia, che è la Chiesa
di Cristo, che è in cammino verso «un cielo nuovo
e una terra nuova» (Ap 21,1) vivendo nel mondo
con quell’ardore e quell’amore che il Maestro,
il Signore Gesù ci ha comandato: «anche voi
facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15).
llora sì che ogni nuovo giorno
potremo dire: «Grandi cose ha fatto
per me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Ancora
auguri Seminario!
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A
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Approfondimenti
NEL SOLCO DEL CONCILIO:
LA FEDE “RINNOVATA” E LE SFIDE CONTEMPORANEE
«
Le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce degli uomini d’oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro che soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e
le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di
genuinamente umano che
non trovi eco nel loro cuore
[…] Per questo il Concilio
Vaticano
II,
avendo
penetrato più a fondo il
mistero della Chiesa, non
esita ora a rivolgere la sua
parola non più ai soli figli
della Chiesa e a tutti coloro
che invocano il nome di
Cristo, ma a tutti gli uomini.
A tutti vuol esporre come
esso intende la presenza
e l’azione della Chiesa nel
mondo
contemporaneo»
(cfr. GS 1-2). Con queste
parole, tratte dalla
costituzione pastorale
Gaudium et spes, potremmo
sintetizzare un po’ l’evento
del Concilio Vaticano II,
ciò che è stato, ciò su cui
ha voluto riflettere, ciò che ha desiderato donare
al mondo contemporaneo. Esso è un momento
storicamente
imprescindibile
per
poter
comprendere oggi la Chiesa e con tutta la sua
portata “rivoluzionaria” invita a misurarci con le
sfide che la cultura circostante ci pone per essere
in essa Chiesa, segno e presenza del Regno di
Dio. In questa direzione quest’anno i Padri
Gesuiti di Villa San Luigi hanno proposto
una serie di incontri approfittando anche della
ricorrenza del 50° dall’inizio del concilio. Tali
incontri sono stati come sempre l’occasione per
riflettere e interrogarsi su quanto cammino la
Chiesa ha fatto in questo cinquantennio, quanto
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Antonio Salvatore Macolino
ha compreso di essa stessa, di quanto cammino
deve ancora intraprendere per portare a tutti la
Buona Notizia. Come sempre, gli incontri hanno
avuto un taglio testimoniale e contestuale. Infatti
hanno preso la parola delle persone che hanno
“incarnato”
quell’idea
di Chiesa, così come il
concilio la propone, nel
loro stato di vita e nel
contesto nel quale vivono
e operano: pensiamo alla
prof. Donatella Abignente,
docente di Teologia Morale
presso la nostra sezione, a
p. Fabrizio Valletti, gesuita
operante nella difficile
realtà di Scampia, a don
Pino Di Santo, presbitero
diocesano formatosi nel
nostro Seminario Campano
alla luce del rinnovamento
conciliare della formazione
sacerdotale, a p. Bartolomeo
Sorge sostenitore di una
politica cristianamente
illuminata. Questi incontri
assumono un significato
diverso anche all’inizio dell’Anno della Fede,
indetto dal Papa proprio nell’occasione del 50° dal
Concilio: l’esperienza di questi uomini diventa
incentivo al nostro cammino di Chiesa del Sud
Italia nel XXI secolo, ci interroga e ci invita a
seguire il Cristo vivendo le sfide e le domande
della contemporaneità. «Perché la volontà del
Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo
ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la
parola e con l’azione, rendendo così testimonianza
alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero
dell’amore del Padre celeste» (cfr. GS 93).
Approfondimenti
Ricordo di mons. Bruno Schettino
Pastore buono
Eppure in autunno le foglie sembrano
volerci preparare al loro volo:
perdono colore, appassiscono
(diventano quasi più belle).
Tu invece l’hai fatto senza preavviso.
Sei morto dormendo:
forse sognando il volto della Madre,
o gemendo per il peso della nostra trave?
Ora capisco perché mi dicevi
che l’essere vescovo nasconde il martirio,
perché tu sei morto martire.
Il tuo è il sangue del povero, dell’indifeso,
di chi viaggia in cerca di un senso
di chi non ne ha più da versare
ma tu gli hai donato il tuo sangue.
Non sapevo che la morte gioca questi scherzi;
è più vuota la mia vita senza te,
triste il volto ma non il cuore.
Tu ci sei vicino buon pastore.
Vincenzo Gallorano
“Si, pronto”: risposta alla chiamata
N
Mariano Signore
ello scrivere questa breve memoria ho pensato, nel titolarla, alle iniziali parole che mons. Schettino
utilizzava nell’introdurre il suo interlocutore al dialogo telefonico: “si, pronto”. Sono semplici parole
che, però, dicevano e dicono - a noi che oggi lo ricordiamo - della sua immancabile disponibilità ad
ascoltare e ad accogliere qualsiasi necessità o richiesta. O meglio, non erano solo parole ma testimonianza
di una vita giammai lontana dalle persone che il Signore aveva a lui affidato: ricchi o poveri, bianchi o
neri non faceva differenza. Eppure amava ciascuno di noi con la sua individualità, con la sua storia,
con i suoi sogni più profondi, con la sofferenza che si portava dentro.
“Eccellenza cosa avrà risposto alla sua ‘ultima chiamata’, in quel primo mattino che ha
scombussolato la vita di tutti coloro che tante volte Le hanno mostrato affetto?”. Io lo so - e con
questo credo di poter esprimere un sentimento comune - perché Lei amava la Vita, quella vera,
che non passa: “Si, Pronto!”.
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a cura di p. Sergio Ferraro
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