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Medicina di Frontiera 5
Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale - 70% DCB Perugia ISBN: 9788898371051 - ISNN: 2282-0183 Rivista Scientifica di MEDICINA- RICERCA- STANDARD DI QUALITA’-EUROPROGETTAZIONE Anno 4 Nr. 1 Ebola: l’epidemia raccontata da Medici Senza Frontiere Nostra Signora Malasanità: la certificazione di eccellenza per tutelarsi Chi trova un bando trova un tesoro... Ma lo saprà usare? Cosa è Cerifos Consulting Curcumina e quercitina: la ricetta Cerifos anticancro vola in Germania Viaggio di un comatoso lungo il confine tra vita e morte Medicina di Frontiera Iscrizione al Tribunale di Como N° 3/2011 SOMMARIO Un giro intorno agli studi metabolici Direttore responsabile Vera Paola Termali Ebola: il racconto di Medici Senza Frontiere Responsabile di redazione Stop ai farmaci a vita: la campagna di Cerifos per combattere le patologie tiroidee Federica Sciacca Redazione Andrea passi Giorgio romandini Federica Peci Le nuove frontiere della traumatologia: novità tecnologiche nell’osteosintesi di fratture complesse Samorindo Peci Nostra Signora Malasanità. La certificazione di Eccellenza, la via migliore per tutelarsi Direttore scientifico Collaboratori Allergostop: l’autovaccino made in Cerifos Fabrizia antonello concetto battiato carlo fidanza anna frisinghelli gabriele rossi Chi trova un bando trova un tesoro... Ma lo saprà usare? Cosa è Cerifos Consulting Il cuore in cassaforte: il progetto BANCOMheart Addetto stampa: [email protected] Editing - Grafica - Impaginazione: Cerifos Tel. 02 26416162 - Fax 02 89038641 Email: [email protected] sito: medicinadifrontiera.cerifos.it Flipping: ebook.cerifos.it Amministrazione: P.zza Carlo Schiavio 2 22020 Veleso Como Editore: Cerifos Stampa: Litograf editor srl Citta di Castello Pg Info pubblicità: [email protected] Sedimentest: tutto sul test del sedimento urinario Viaggio di un comatoso lungo il confine tra la vita e la morte Cucume: curcumina e quercitina. La ricetta anticancro di Cerifos Preservare la salute: questione di cibo e di stile di vita Seguici su... www.cerifos.it www.cerifos-consulting.eu Contatti www.facebook.com/Cerifos www.twitter.com/Cerifos [email protected] [email protected] Editoriale O tempora, o mores! Vera Paola Termali Tempi duri per tutte le professioni in questa società alla deriva morale! Avvocati corrotti, architetti-star che non sanno che sul vetro si scivola, ingegneri che collaudano strade che crollano dopo 15 giorni. Il cittadino, schifato dalla mancanza di competenza, che al di là di questi esempi da prima pagina, influisce sulla qualità della sua vita, punta il dito, querela, denuncia, salvo poi non trovare giustizia, a causa del troppo ampio margine interpretativo che la giurisprudenza lascia ai giudici. stero della Salute sulla medicina difensiva. Ma su quanto questo modus operandi nuoccia al cittadino, forse dobbiamo ancora soffermarci a riflettere. Il cittadino e la sua salute diventano strumento, cosa, mezzo per l’autotutela del medico. Non mi sembra una cosa tollerabile, soprattutto quando parliamo di esami radiografici, magari con isotopi radioattivi, invasivi anche come una “semplice” gastroscopia, della quale si sottovaluta l’impatto, farmaci a vita che instaurano reazioni a catena. Quando tutto questo si evidenzia nell’ambito della salute, la reazione diventa ancor più emotiva, perché il danno psico-fisico che il medico può arrecare ha ben altra valenza di qualsiasi altro danno materiale. Facile sarebbe il rimpianto verso i tempi in cui il rispetto verso i professionisti era quasi un timore reverenziale, tempi in cui il divario culturale fra i due interlocutori era tale da non poter essere colmato. Oggi tutti si credono istruiti e competenti, perché magari sanno andare su internet, hanno telefonini che fanno di tutto, anche scoprire dov’è Biella, conoscenza che la scuola non ha dato loro! Davanti al cittadino del nuovo secolo che tutto crede di sapere, il medico troppo spesso si trova con le spalle al muro e prescrive. Prescrive visite specialistiche, esami diagnostici, farmaci, ricoveri, pur di non trovarsi un domani calunniato, denunciato, indagato. Che a rimetterci sia, in soldoni, il SSN è risaputo ed è anche il risultato del rapporto del Mini- Certo, c’è anche il rovescio della medaglia: il cittadino che ancora chiede, pretende quasi e si sente rassicurato dall’ipermedicalizzazione, dalla soddisfazione di un diritto che lo Stato gli deve garantire, come se fosse il tagliando della macchina, poco o per nulla consapevole che la macchina funziona a lungo e bene in relazione all’attenzione che diamo alla nostra guida. Siamo così giunti al tema della prevenzione, per la quale Cerifos ha editato un opuscolo con semplici regole di sana alimentazione e alla campagna contro i farmaci a vita, che inizia dal focus sulle patologie tiroidee. Altri temi di questo numero: allergie, traumatologia, prevenzione delle malattie degenerative e oncologiche e un reportage in prima persona di Medici senza Frontiere, impegnati nella lotta all’ebola. Buona lettura! Un giro intorno agli studi metabolici Abbiamo chiesto al direttore scientifico di Cerifos di raccontarci le ultime novità nel campo della ricerca scientifica in Italia e fuori dai suoi confini di Federica Sciacca Il Metabolic Research Centre di Erlenbach è un’istituzione che esiste da più di 10 anni. A novembre 2014 però sono cambiati i vertici e alla sua guida scientifica è stato nominato il dottor Samorindo Peci, già conosciuto nel mondo della ricerca in Germania per la sua collaborazione portata avanti già da anni con la Forschung. Ma cosa succede all’interno di una delle istituzione di ricerca più rinomate in Europa? I progetti avviati in campo metabolico sono ambiziosi e molto probabilmente destinati a cambiare l’approccio terapeutico delle disfunzioni metaboliche. Ne parliamo con lui, e partiamo da una domanda forse banale: Cosa è il metabolismo? Non è affatto una domanda banale, anzi per la verità da qualche tempo mi sono accorto anche di quanto spesso i medici stessi non lo abbiano compreso del tutto. La prima cosa da dire è che ogni elemento che viene introdotto nel nostro organismo è oggetto di sintesi, cioè è metabolismo, che sia un metabolismo enzimatico, cellulare o genetico, e tutte le malattie generiche partono da un problema metabolico. Da questo è facile comprendere che la forbice delle disfunzioni è molto larga. Dentro le ri- cerche metaboliche c’è tutto un mondo. Il lavoro che porta avanti un centro di ricerche di studi sul metabolismo è quello di misurare gli effetti di una determinata molecola nel nostro organismo per supportare o azzerare gli effetti che si presume abbia. Precisamente lei di cosa si occupa? Io seguo i lavori e gli avanzamenti dei biologi che fanno ricerca e sperimentazione e li aiuto a risolvere i problemi che man mano la ricerca pone. Non sono direttamente io a fare le sperimentazioni ma dirigo i progetti. Questo mi consente di continuare il mio lavoro in Italia: sono un ricercatore emigrato solo parzialmente. Quali sono i progetti più importanti che al momento sta portando avanti ad Erlenbach ? Ce ne sono molti, ma i tre principali sono il lavoro sull’ossigenoterapia, la ricerca sul citoplasma e lo studio su molecole che conosciamo dall’origine dei tempi, come il selenio, lo zinco ed altre, le cui capacità terapeutiche però, ancora oggi, non sono ancora tutte esplorate. Ci parli dell’ossigenoterapia. Cosa s’intende? L’ossigeno sappiamo tutti ormai da tempo essere una grande risorsa: è un forte produttore di radicali libe- ri e ha un’importantissima azione rigenerativa. Ad oggi viene utilizzato infatti per avere diversi benefici sull’organismo, tuttavia, se usato in eccesso, apporta, come rovescio della medaglia, un’azione ossidativa ai tessuti che causa la produzione di barriere che non fanno penetrare di più i nutrimenti: come se fosse una specie di ruggine cellulare, per intenderci. Gli studi che stiamo portando avanti consistono quindi nel fare in modo di aumentare gli effetti benefici dell’ossigeno contro l’invecchiamento dei tessuti o a seguito di malattie croniche o prolungate, limitando allo stesso tempo quelli negativi, cioè appunto l’ossidazione. Stiamo sperimentando il modo di innescare l’aumento degli atomi di ossigeno, limitandone gli effetti collaterali che aumentano la sofferenza cellulare. In più la formulazione che stiamo studiando è su base iniettiva; questo per la semplice ragione che, quando iniettiamo sul torrente venoso una sostanza, questa non è intaccabile dai nostri sistemi e viene assorbita completamente, mentre ad esempio per os una parte viene sempre distrutta dai processi digestivi. L’applicazione dell’ossigeno, è bene specificare, non è propriamente terapeutica ma coadiuvante, aiuta cioè l’organismo a reggere di più dopo una terapia farmacologica prolungata o un danneggiamento cronico. E la terapia citoplasmatica? In cosa consiste? Per semplificare molto il concetto si tratta di una grande risorsa che consente di ottenere un nutrimento specifico per gli organi danneggiati. Ogni organo, infatti, è una complessa macchina, costituita da un determinato numero di vitamine, enzimi, aminoacidi e minerali. Oggi, però, in laboratorio siamo in grado di fare una mappatura per ogni organo per risalire al numero preciso di ogni componente che lo costituisce e di riprodurre lo stesso esatto mix di elementi. Iniettare questo specifico nutrimento significa quindi nutrire l’organo per supportarlo, se sotto bersaglio o defedato. In questo momento procediamo con la mappatura degli organi principali, come cuore, stomaco, intestino, ma ce ne restano ancora molti. Procederemo via via fino ai più piccoli come le membrane del timpano. È una tra le sfide più stimolanti. Basti pensare che la sola parte riproduttiva maschile è costituita da circa 900 proteine... Ha accennato alla riscoperta di selenio e zinco. Ce ne parla? L’importanza di questi elementi è conosciuta sin dai tempi più antichi, soprattutto per la permeabilità che permette di ottenere, ecco perchè in tutte le formulazioni vitaminiche non possono mancare, altrimenti difficilmente queste vengono assorbite dall’organismo. Eppure sembra che siano molte altre le potenzialità terapeutiche di selenio e zinco ancora inesplorate. Per ogni azione terapeutica infatti, c’è un bersaglio da colpire o una cellula da inibire e questi due elementi possono aprire nuove strade. La difficoltà della ricerca qui è data dal fatto che ognuno di noi li assorbe in modo diverso. Si tratta di capire fino a che punto si ottengono benefici e quando invece si sta sovraccaricando l’organismo. Quali altre novità in campo sperimentale ci può svelare? Ad esempio c’è la nuova formulazione di uno speciale tipo di farmaco che ha le stesse caratteristiche dei corticosteroidi, il quale presto potrà sostituire il vecchio cortisone, con il vantaggio di essere privo dei suoi tipici effetti collaterali sulla glicemia e sull’apparato osseo. Si tratta di una ricerca partita già 4 anni fa e che finora è stata sperimentata solo sui soggetti sani per vedere gli effetti collaterali, ma i risultati lasciano ben sperare. Adesso bisognerà vedere se anche la sperimentazione sui malati con patologie autoimmuni conferme- rà i buoni risultati ottenuti nella prima fase. La seconda fase della ricerca dovrebbe partire a breve, e al momento ovviamente le molecole da estrazione naturale sono coperte da brevetto. Prima di cantare vittoria quindi sarà necessario aspettare ancora. Sono lunghi i tempi della ricerca scientifica... Sì, ed è per questo probabilmente che la ricerca si fa più agevolmente all’estero. In Italia spesso si è incapaci di guardare a lungo termine: qui da noi si ha troppa fretta di vedere i risultati, cosa impossibile nella ricerca per sua stessa natura, fatta di sperimentazioni, prove, riprove, confutazioni e verifiche. Nel nostro Paese sembrano ancora avere più risonanza i lavori che danno risultati tangibili in tempi rapidi: si è come affetti da miopia, si guarda a breve distanza, per cui viva l’Italia in giro per il mondo! In ogni caso, è ovvio che i ricercatori italiani come me, in qualsiasi parte del mondo, portano con sè le peculiarità della cultura italiana e cercano anche di costruire ponti verso il nostro Paese. In che senso? Ad esempio un importante progetto che sto portando avanti in questo senso è l’apertura di una scuola metabolica italiana indirizzata ai medici stessi, proprio per tornare al punto di partenza della prima domanda. Essa avrà sede a Milano e a Cesena e proporrà un approfondimento sul metabolismo in tutte le sue sfaccettature. Sono già stati individuati i docenti in parte italiani, in parte tedeschi. Si prevedono aule da 15 a 20 professionisti massimo, provenienti da tutte le specialità mediche per formarli sui processi metabolici, sui vari campi di applicazione, le fasi della ricerca e tutte le informazioni cliniche necessarie a far capire come approcciarsi alle nuove conoscenze. Per informazioni sulla scuola di metabolismo [email protected] ATP LO FA! La vitamina B17, meglio conosciuta come Amigdalina, è indicata nelle terapie antitumorali. ATP GmbH è l’unica azienda a produrla per infusione [email protected] Per tutti gli esseri viventi lo zinco è un componente essenziale degli enzimi Lo zinco in infusione ATPGmbH lo fa! Per informazioni scientifche scrivi a [email protected] Le api ci hanno sempre aiutato, dal metabolismo degli zuccheri all’endotelio vascolare. Il miele per infusione ATPGmbH lo fa! [email protected] EBOLA Il racconto dell’EPIDEMIA che ha scosso il mondo, fatto da chi l’ha vissuta da vicino Cosa è l’ebola, come si è evoluta e cosa ha fatto la più grande organizzazione medicoumanitaria indipendente del mondo per combatterla. Il focus di un medico di MSF e il racconto di Luca dell’inizio dell’epidemia vista con i suoi occhi e sentita con la sua pelle: “il caldo, le poche ore di sonno, la paura ma anche il coraggio e la speranza di salvare vite umane in una corsa contro il tempo” di Gabriele Rossi L’epidemia di Ebola, esplosa nel 2014 in Africa Occidentale (Guinea, Liberia e Sierra Leone) e che ha lambito l’Europa e l’America, toccando le coscienze di alcuni e intaccando le certezze di tutti, ha rappresentato un fatto epocale. Per le sue caratteristiche e per le reazioni che ha suscitato nell’opinione pubblica mondiale (panico, impotenza e stigmatizzazione) l’epidemia è stata, con ragione, paragonata all’insorgenza dell’AIDS. Il mondo intero ha avuto paura; una paura dettata dal crollo di fiducia nelle istituzioni politiche e sanitarie mondiali che, inizialmente, avevano sottovalutato o addirittura negato il problema. Quando, il 31 marzo 2014, Medici Senza Frontiere descriveva con toni drammatici l’epidemia di Ebola come un fatto senza precedenti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità reagiva prontamente, screditando MSF e asserendo che l’epidemia era ancora relativamente piccola. Sarebbero passati più di tre mesi, prima che l’OMS dichiarasse Ebola un’emergenza di sanità pubblica di livello internazionale. E sarebbero passati ancora altri mesi prima che il mondo reagisse in forze contro la minaccia rappresentata dai primi casi di infezione in America e in Europa. Intanto migliaia di persone morivano in Guinea, Sierra Leone e Liberia. Era quello il momento in cui la malattia mostrava tutto il uso vigore con la registrazione di 100 nuovi casi al giorno, mentre i centri di trattamento Ebola di MSF dovevano rifiutare l’ammissione di nuovi pazienti per mancanza di posti letto. Il 2 settembre 2014, quasi quattro mesi dopo l’inizio dell’epidemia di Ebola, Joanne Liu Presidente di MSF, di fronte agli Stati membri delle Nazioni Unite, dichiarava: «Il mondo sta perdendo la battaglia per arginare la peggiore epidemia di Ebola nella storia. Gli Stati con le adeguate capacità hanno la responsabilità politica e umanitaria di farsi avanti e offrire una risposta concreta al disastro che si sta sviluppando sotto gli occhi di tutto il mondo. Invece di limitare la loro attenzione al potenziale arrivo di un paziente infetto nei loro paesi, dovrebbero salvare vite umane, dove è immediatamente necessario: ovvero in Africa occidentale».La voce di Medici Senza Frontiere non è rimasta inascoltata e oggi, grazie anche all’azione concertata di numerosi attori internazionali, la malattia vede ridurre la sua curva di crescita, lasciando intravvedere un po’ di ottimismo. La vigilanza resta d’obbligo. Quando si parla di Ebola, non si può dunque non pensare istintivamente all’azione pioneristica di MSF, alla sua attività medica di prima linea, ai suoi coraggiosi operatori umanitari - nazionali ed internazionali - e alla sua instancabile azione di advocacy (testimonianza) e lobbying per mobilitare le coscienze e le istituzioni politiche. L’Ebola è un’infezione virale ad altissima letalità ed estremamente contagiosa. Può uccidere fino al 90% delle persone che lo contraggono. Inizialmente, i sintomi sono aspecifici, rendendo molto difficile la diagnosi clinica. La malattia è spesso caratterizzata da un improvviso accesso di febbre, astenia, dolore muscolare, cefalea e mal di gola. Questi sintomi possono essere seguiti da vomito, diarrea, eritemi, funzione renale ed epatica compromesse e, in alcuni casi, fenomeni emorragici che includono sanguinamenti dal naso, vomito ematico, diarrea mista a sangue, emorragie interne e congiuntiviti emorragiche. I sintomi possono manifestarsi da 2 a 21 giorni dopo il contatto, con un picco tra il settimo e il quattordicesimo giorno dal contatto. L’ebola in numeri • L’epidemia è scoppiata in Africa Occidentale a Marzo 2014 • Medici Senza Frontiere è presente in Guinea, Liberia e Sierra Leone con 6 centri e 4.475 operatori sul campo • Le équipes di MSF hanno ricoverato più di 8.100 persone, di cui circa 4.960 sono risultate positive all’Ebola • Più di 2.300 sono guarite di tutti i letti disponibili per Ebola durante il picco di epidemia in agosto-settembre). All’interno di questi centri, ancora oggi, i pazienti devono essere curati in isolamento da staff competente e munito di indumenti protettivi, molto pesanti e difficile da mantenere per lungo tempo in un ambiente caldo e umido come quello africano. I casi sospetti, in attesa di essere confermati o meno, sono separati dai casi certi. MSF applica delle procedure estremamente rigorose per far si che nessun operatore sanitario sia esposto al virus senza protezioni. Gli operatori internazionali lavorano per un periodo massimo di 4-6 settimane, al fine di ridurre il rischio di errori dovuti ad eccessiva stanchezza. Nella zona ad alto rischio lo staff entra sempre in coppia, in modo tale da controllarsi a vicenda. Non esiste alcuna terapia specifica per curare questa malattia e pertanto la strategia si basa su quattro pilastri fondamentali, descritti nelle linee guida di MSF riconosciute a livello internazionale da tutti gli operatori sanitari: a) isolamento dei casi e relativo trattamento; b) tracing – ritrovare le persone che sono Non c’è terapia specifica per Ebola. Almeno due vaccini venute a contatto con il malato infetto; sono in fase di sperimentazione e saranno testati su circa c) sepolture del cadavere secondo protocolli che annullino il rischio di diffusione della malattia (la cremazione è stata la pratica più adottatata); d) promozione ed educazione dei corretti comportamenti da adottare per diminuire il rischio di contagio nella comunità. L’isolamento dei casi e il relativo trattamento ha rappresentato l’impegno più gravoso, in termini di sforzi logistici e medici. La necessità di isolamento ha comportato la riconversione di centri di salute esistenti in centri di trattamento dell’Ebola o la costruzione di nuove strutture che hanno consentito di mettere a disposizione fino a 700 posti letto (circa il 70% 30.000 volontari sani (includendo gli operatori sanitari) in Sierra Leone e Liberia. Altri tentativi terapeutici, che coinvolgono anche l’impegno diretto di MSF, prevedono l’utilizzo di emoderivati (sangue e plasma) di pazienti Ebola guariti e del farmaco antivirale favipiravir (Guéckédou, Guinea). Ma l’ebola non ha ucciso solo attraverso l’infezione, ci sono state, infatti, anche le morti indirette, legate all’impossibilità di curare altre malattie che si sono sviluppate a causa dei servizi sanitari collassati e dei tanti ospedali chiusi. La malaria è endemica in queste zone e rappresenta il killer numero uno, soprattutto per i bambini sotto i 5 anni di età. Per questo motivo, Medici Senza Frontiere ha iniziato la distribuzione di massa di antimalarici in Sierra Leone: più di 1,5 milioni di dosi di farmaci sono stati distribuiti e un secondo round di distribuzione è stato fatto all’inizio del 2015. I più a rischio sono stati i sanitari che hanno curato le persone infette o che si sono occupate di seppellire in maniera sicura e adeguata i morti. 500 i morti in totale, tra cui anche 13 morti tra i nostri sanitari MSF. MSF non vuole dimenticarli, per questo, in questo spazio vogliamo elencarli tutti: Sono Momory Tolno, Lassana Mammey, Malikee Syron, Eric Tamba, Joseph Teah, Mohamed Kaikai, Ellie Morris, Issa Kargbo, Emmanuel Enssah, Finda Andrew, Manty Diawara, Mary Gboundu e Jeremiah Sengbe. Sono questi i nomi degli eroi che, insieme a tutti gli altri operatori umanitari (medici e non medici) hanno contribuito a salvare numerose vite, combattendo lo stigma e la paura della malattia e dando l’esempio di cosa vuol dire MSF: prossimità a colui che soffre, soprattutto quando è dimenticato La testimonianza di Luca, logista di MSF al rientro dalla missione in Sierra Leone durante l’inizio della epidemia che racconta cosa vuol dire lavorare per tentare di fermare Ebola Il caldo, le poche ore di sonno, la paura ma anche il coraggio e la speranza di salvare vite umane in una corsa contro il tempo “Appena arrivai in Sierra Leone la prima cosa che ricordo è la missione di esplorazione per conoscere il primo paziente. La prima persona a morire d’Ebola, seguita dai suoi amici, dalla sua famiglia. La malattia si diffondeva velocemente e a questi seguirono altri amici, altre famiglie. Così iniziò la nostra corsa contro il tempo per fermare questa malattia tanto subdola da uccidere chi si prende cura di chi sta male. MSF sin dall’iniziò impiegò centinaia di persone per gestire i pazienti e per convincere le persone dei villaggi della pericolosità della malattia, spiegando come proteggersi, ma i posti letto e le persone non erano sufficienti. Così quando la malattia arrivò a Bo, la seconda città del paese e a Freetown, la capitale mentre noi cercavamo di aiutare gli ospedali governativi che non riuscivano a gestire l’emergenza fu deciso di fare un altro sforzo e cominciò la costruzione del più grande ospedale del Paese. Dall’Europa ci arrivò tutto il necessario. Un’impresa locale ci aiutò con ruspe e bulldozer. Centinaia di persone accorsero dai villaggi per aiutarci, consapevoli e orgogliosi di poter fare qualcosa per contribuire a fermare la malattia. Lavoravamo dall’alba a mezzanotte, finché la struttura non fu pronta. Lasciammo da parte gli attrezzi per prendere spazzole e sapone. Le nostre mani si coprirono di guanti, gli occhi di maschere e occhiali, il corpo di una tuta gialla per il nuovo “lavoro”, anche se forse sarebbe più corretto dire per la nuova missione. E da lì partimmo, pronti alla battaglia con il nemico, in cui non era previsto nessun margine di errore. Ma avevo fiducia nell’éqipe. La mia vita era nelle loro mani, come la loro nelle mie”. S T O P A I FA R M ACI A V I TA LA CAMPAGNA DI CERIFOS Per le patologie tiroidee la soluzione è prendere in carico la malattia a 360 gradi Si trova nella parte anteriore del collo, davanti e intorno alla trachea e ha la forma di una farfalla, una “farfalla” molto preziosa per noi, visto che la tiroide è una ghiandola endocrina che svolge la sua azione in tutto l’organismo, producendo ormoni che regolano l’attività di ogni cellula. Ecco perché in presenza di alterazioni nelle sue funzioni è tutto il metabolismo a pagarne le spese. Spesso queste disfunzioni sono difficili da individuare: sovrappeso, dolori articolari, debolezza muscolare, crampi, nervosismo, depressione, sono infatti tutti sintomi che possono nascondere una disfunzione alla tiroide, ma che difficilmente indirizzano verso la giusta diagnosi. Non a caso, attualmente oltre il 50% delle persone che soffrono di disturbi alla tiroide non è consapevole della propria condizione patologica. Le conseguenze del ritardo nella diagnosi e, di conseguenza, del trattamento terapeutico sono una gestione della malattia più difficile e il rischio di maggiori effetti collaterali. Ma non solo. Una volta individuata, anche la gestione della patologia oggi è inadeguata, come chiarisce il dottor Samorindo Peci, endocrinologo e direttore del Centro di Ricerca e Formazione scientifica Cerifos, la cui attività di ricerca è da sempre incentrata anche sulla cura della tiroide: «Nella maggior parte dei casi la cura ai pazienti si limita alla prescrizione di un farmaco, l’Eutirox, da assumere a vita, che diventa così una schiavitù da cui si è strettamente dipendenti. Cerifos per ripristinare la fisiologia della tiroide punta invece ad attuare su ogni paziente un approccio individualizzato e integrato che prevede, oltre alla cura farmacologica, un adeguato supporto nutrizionale e la presa in carico a 360 gradi anche degli aspetti conflittuali che sono a monte delle patologie tiroidee. «Oggi sappiamo bene quanto gli stili di vita incidono e predispongono alla malattia, per questo è impensabile approcciarsi alla malattia senza tener conto di questi aspetti. Lo stress, ad esempio è anche un sintomo di determinate carenze di minerali e vitamine, cioè sintomo di malnutrizione. Se i meccanismi naturali difensivi rispondono alle necessità di ogni individuo, le funzioni della tiroide rispondono ai fabbisogni energetici dei momenti stressanti, ma se al contrario la produzione di energia è insufficiente, lo stress imposto alle stesse ghiandole per lungo tempo le esaurisce: queste diventano carenti croniche e tendono a non funzionare più». Anche l’alimentazione gioca un ruolo di primo piano. «Se già per ognuno di noi la dieta dovrebbe essere messa a punto in modo individualizzato, a seconda del fabbisogno e delle caratteristiche metaboliche, a maggior ragione chi soffre di patologie tiroidee ha bisogno di un esperto al fianco che, come un sarto, elabori una dieta alimentare su misura». Oggi nel nostro Paese le patologie tiroidee colpiscono circa 6 milioni di persone, di cui la maggior parte donne e che, secondo le più recenti stime, è destinato ad aumentare visto che entro le fine del 2015 le previsioni parlano di circa 6 italiani su 10 che si ammaleranno di tiroide. «Alla luce di questi dati Cerifos già in passato, in diverse occasioni, ha lanciato delle campagne sulla prevenzione delle patologie tiroidee, ma oggi puntiamo oltre: a sensibilizzare, cioè, sull’importanza di un approccio multidisciplinare. Focalizzarsi su un solo aspetto della malattia e limitarsi alla prescrizione di un farmaco da assumere a vita, per noi non significa curare la malattia. Quindi, dopo aver effettuato sui pazienti valutazione endocrinologica ed endocrinochirurgica con esami di laboratorio e strumentali (ecografia tiroidea ed esami laboratoristici del TSH) e in caso di patologia tiroidea, in una sola giornata, seduta stante offriamo il consulto del floriterapeuta, del nutrizionista e un colloquio con un esperto del nostro staff per iniziare il percorso analitico necessario per affrontare gli aspetti conflittuali alla base del disturbo. Gli appuntamenti vengono prenotati nella stessa giornata perché conosciamo bene il valore del tempo e rispettiamo anche questo aspetto fondamentale della vita dei nostri pazienti». di Vera Paola Termali Il Centro di Formazione Scientifica Cerifos si trova in via Paisiello 24, Milano via Lambertenghi 21, Como Per informazioni [email protected] tel. 02. 26416162 tel. 031.267535 COLLABORA CON NOI Sei un ricercatore? Sottoponici il tuo progetto! Vuoi scrivere un articolo su ricerca, scienza e medicina? Mandalo a [email protected]! Vuoi un partner per la ricerca? Scrivi a [email protected]! Vuoi condividere un’idea sulla salute? Informaci! Le nuove frontiere della traumatologia Il dottor Concetto Battiato, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia di Ascoli Piceno e capo del Dipartimento Chirurgico della stessa Azienda Ospedaliera, è il protagonista di importanti innovazioni tecnologiche nel campo dell’osteosintesi di fratture complesse. Ve le facciamo conoscere L’intervista al dottor Battiato (Tratta da Il Sole 24 ore) “Indigando la trasmissione dei carichi all’osso fratturato dopo l’applicazione di un mezzo di sintesi, mi sono accorto che i mezzi di sintesi in commercio avevano un comportamento che si modificava nel tempo in maniera non controllata, legata alle proprietà meccaniche del mezzo impiantato. Questo è in disaccordo con la biologia del callo osseo ripartivo, che sperimentalmente ha bisogno di diversi ‘momenti meccanici’ per ogni fase del processo di guarigione. Il mezzo di sintesi non poteva adattarsi alla biologia che richiede fasi di stabilità assoluta (silenzio meccanico) e fasi di compressione guidata lungo l’asse di carico per assicurare un miglior processo di guarigione. Così ho pensato di modificare il costrutto delle classiche placche a stabilità angolare, rendendole dinamizzabili grazie al loro inserimento in slitte particolari, che possono venir bloccate e sbloccate in relazione alle fasi del processo ripartivo e alle esigenze biomeccaniche del focolaio: i risultati ottenuti in questi 6 anni sono entusiasmanti”. OSTEOSINTESI CON NUOVA PLACCA A STABILITA’ ANGOLARE DINAMIZZABILE (DIF) Concetto Battiato, MD*; Andrea Angelini, MD;# *Clinica Ortopedica e Traumatologica, Asur Marche Area Vasta 5, Ascoli Piceno, Italia #II Clinica Ortopedica, Università di Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italia. Conflitto di interesse: Nessuno Corresponding Author: Concetto Battiato, MD Clinica Ortopedica e Traumatologica, Asur Marche Area Vasta 5 Ascoli Piceno, Italia Coautor: Andrea Angelini, MD Università di Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli II Clinica Ortopedica Via Pupilli, 1; 40136, Bologna, Italia INTRODUZIONE Lo scopo dello studio è quello di presentare i risultati preliminari nel trattamento di osteosintesi di fratture del femore con una nuova placca a stabilità angolare dinamizzabile chiamata “Dynamic Internal Fixator (DIF ® Intrauma S.r.l., Rivoli (TO), Italia). Figura 1 Questo sistema innovativo di osteosintesi fa parte della famiglia dei fissatori interni, ma presenta caratteristiche ibride che unificano i vantaggi delle placche a stabilità angolare con la possibilità di dinamizzare il sistema quando necessario. Infatti questo sistema permette di modulare la compressione in corrispondenza del sito di frattura, in analogia con i fissatori esterni ma senza gli svantaggi tecnici e clinici degli stessi. Sono inoltre riportate le caratteristiche biomeccaniche del sistema ed i risultati clinici/ radiografici preliminari in una casistica omogenea di fratture di femore. MATERIALI E METODI Dal 2009 al 2013 sono state effettuate 13 osteosintesi per fratture di femore con DIF presso il nostro Istituto. Sono stati esclusi dallo studio un paziente perso al follow-up e due pazienti con follow-up insufficiente (inferiore a 6 mesi). Sono stati quindi analizzati 10 pazienti (5 maschi e 5 femmine) con frattura di femore, trattati ad un’età media di 61 anni (range 26-85 anni). Le fratture, classificate secondo i principi dell’AO erano di tipo 33A3 in 3 casi, 31A3 e 32C2 in 2 casi ciascuno e 32A1 in un caso. Un paziente ha riportato una frattura periprotesica di tipo B1 secondo la classificazione di Vancouver [1]. Italia). In tutti i casi è stata eseguita una osteosintesi con DIF utilizzando viti di bloccaggio diafisarie su due piani differenti e vite di bloccaggio del sistema di dinamizzazione. In 6 casi è stato associato all’impianto un cerchiaggio a basso contatto con monofilamento da 1,5 mm e spaziatori (Batbridge ® Intrauma S.r.l., Rivoli (TO), Quando possibile la tecnica è stata effettuata con approccio mininvasivo “MIPO”. I pazienti sono stati seguiti con un follow-up clinico-radiografico mensile fino alla completa guarigione della frattura. Figura 2 RISULTATI Il follow-up medio è stato di 11 mesi (range 6-20 mesi). La dinamizzazione dell’impianto è stata effettuata mediamente a 52 giorni (range 40 – 62 giorni) dall’intervento in relazione alla valutazione radiografica al primo controllo postoperatorio. Il tempo medio di formazione del callo osseo valutato radiograficamente è stato infatti di 58 giorni (range 41 – 99 giorni) ed il tempo medio di fusione ossea è stato di 4,6 mesi (2,4 – 12,5 mesi). Il primo paziente della nostra casistica trattato con questa tecnica innovativa per una frattura 33C2, ha riportato un ritardo di consolidazione ed è stato rioperato dopo 4 mesi di follow-up con inchiodamento endomidollare. Un paziente con frattura 33A3 ha sviluppato una pseudoartrosi ed è stato rioperato a 10 mesi di follow-up con rimozione dell’impianto, inchiodamento retrogrado ed innesti ossei autologhi prelevati con “Reamer Irrigation Aspirator” (RIA). La fusione è stata finalmente ottenuta a 12,5 mesi dalla frattura. Un paziente ha riportato rottura del cerchiaggio senza implicazioni cliniche. DISCUSSIONE Alla fine del secolo scorso e nei primi anni del 2000 si sono affacciati sul mercato un nuovo gruppo di mezzi di osteosintesi chiamati fissatori interni, per analogia con i fissatori esterni e per le loro caratteristiche che li differenziavano dalle placche convenzionali. In vero già nel 1974 in Polonia il Polfix di W. Ramotowski utilizzava un sistema di bloccaggio a stabilità angolare delle viti sulla placca [2]. Questi nuovi mezzi di sintesi permettevano la realizzazione di un costrutto osteosintetico molto resistente, che ha permesso di ottenere risultati molto soddisfacenti anche nell’osso osteoporotico [3-5]. Con il diffondersi di tali metodiche di sintesi si sono però anche evidenziati i limiti strutturali dei sistemi a stabilità angolare e sono comparsi i primi lavori sugli insuccessi [6]. Queste complicanze sarebbero dovute alla rigidità del sistema che non consente nel tempo di modificare le sue caratteristiche meccaniche. Studi recenti [7] hanno infatti evidenziato come sia utile la stimolazione meccanica del focolaio di frattura per accelerare il processo di guarigione dopo un periodo di silenzio meccanico Nel 2008 veniva impiantata presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine, la prima placca a stabilità angolare che rispondeva alla necessità biomeccanica del focolaio di frattura di modificare le sollecitazioni meccaniche durante il processo di guarigione. A tale placca venne dato il nome di DIF (Dynamic Internal Fixator) perché costituita da una placca a stabilità angolare classica inserita su una slitta di scivolamento (analoga alla placca di Medoff [9] con un sistema di bloccaggio e sbloccaggio tra la placca e la slitta). Tale sistema appartiene al mondo dei cosiddetti fissatori interni (cioè placche a stabilità angolare) che però sono state modificate in modo da poter essere dinamizzate all’occorrenza. Tale sistema consente quindi di modulare la compressione o meno del focolaio di frattura durante il postoperatorio e durante il carico, in analogia a quanto possibile con i fissatori esterni. Tra le caratteristiche biomeccaniche innovative, la possibiltà di scivolamento della placca scarica le forze angolari di flessione (momento flettente) trasformandole in “sliding”, esercitando quindi una compressione assiale. Inoltre un trattamento combinato, utilizzando impianti moderni associati anche a tecnologie relativamente semplici come il cerchiaggio [10], permette di ottenere buoni risultati anche in fratture complesse (sempre più frequenti in relazione all’età avanzata ed ai traumi maggiori) come le pluriframmentarie e periprotesiche femorali. CONCLUSIONI La DIF conferisce una osteosintesi con stabilità angolare associata alla possibilità di aumentare la compressione del sito di frattura durante il processo di guarigione. La casistica presentata riflette la complessità di alcuni quadri clinici e dai risultati preliminari emerge come questa nuova placca sia un impianto moderno dinamizzabile che contribuirà in futuro al miglioramento del trattamento di queste fratture. Nostra Signora Malasanità di Fabrizia Antonello Basta gettarla in pasto nei motori di ricerca per avere in pochi secondi pagine e pagine di articoli. Interventi sbagliati, imprecisioni sui protocolli, distrazioni, negligenze, errori fatali, carenze di posti letto, tutto in un unico calderone, come se anche queste fossero colpe dei medici. Ed ecco che, appena il tempo di scorrere il titolo con gli occhi, si torna a puntare il dito contro quell’esercito di professionisti o presunti tali, che svolge con tanta imperizia il proprio mestiere. Incompetenti, sfaticati, scontrosi, incomprensibili. Criminali. E l’immagine di quella moltitudine di professionisti che nel silenzio, nella fatica, giorno dopo giorno combatte per strappare alla morte la vita di chi è nelle loro mani, scivola via, come inghiottita. Il percorso che porta un medico a diventare tale, si sa bene, richiede circa 10 anni di studio tra banchi universitari e tirocini in corsia così, ogni tanto, potrebbe anche assalire il vago dubbio che, in fondo, nessuno di loro, se non altro per amor proprio, nutra davvero l’idea di sbagliare, di ferire, uccidere. L’errore va pagato, certo, ma qual è il prezzo che tutti i professionisti della sanità pagano, anche quando non sbagliano? Secondo l’Agenas altissimo. Dalla ricerca recentemente condotta in Lombardia, Marche, Sicilia e Umbria i dati che riguardano la medicina difensiva rimandano infatti un quadro inequivocabile che costringe a qualche riflessione in più: si parla di un costo di circa 10 miliardi l’anno, pari al 10,5% della spesa sanitaria. Dieci miliardi l’anno. (www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=8034421. pdf Per leggere il documento completo). L’Agenas fa sapere che il 58% dei medici dichiara apertamente di praticare medicina difensiva e che il 93% del campione ritiene che siano anche numeri destinati ad aumentare. I motivi sono ovvi: una legislazione sfavorevole per il medico, la paura di essere citati in giudizio e il timore di uno sbilanciamento del rapporto con il paziente. Il tutto in un momento in cui, lo stipendio in busta paga non ha il peso di un tempo, i turni sono sempre più pesanti, la burocrazia più assillante. Con sentenza, depositata il 31 gennaio 2013, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, in linea con l’articolo 3 della legge Balduzzi, ha depenalizzato la colpa lieve del medico: così, da allora l’esercente la professione medica che, nello svolgimento della propria attività, si attiene a linee guida e, come recita la legge, alle “buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica” non risponde penalmente per colpa lieve. Uno spiraglio, forse. Ma non certo una porta aperta. Quali soluzioni dunque in questo contesto, se non continuare a svolgere la propria professione in un costante lavoro di perfezionamento, dimostrando fattivamente la volontà a volersi migliorare, confrontare e sottoporsi, senza alcun obbligo, ma solo per spirito di ambizione al miglioramento, nella pratica medica e nell’immagine che si ha di se stessi? È per questo che oggi i servizi di certificazione, spesso con una forza maggiore di qualsiasi cartella clinica, possono rappresentare la reale, sicura e preziosa garanzia alla professione, offrendo protezione all’operato del medico e attestando la sua volontà di garantire ai pazienti il più elevato livello professionale. Quanto meno la sua volontà. L’errore, certo, quello è umano come ci ricordano i latini e non inammissibile. I servizi di certificazione però non sono tutti uguali. Perché una certificazione di eccellenza possa dirsi realmente efficace sono infatti imprescindibili alcuni parametri: che si tratti di un ente che ha sviluppato standard rigidi conformi a quelli internazionali, che abbia valore oltre i confini nazionali e che possa garantire un ruolo di inter pares. Tutte caratteristiche di HCI, sigla che sta per Health Certification and Insurance, un marchio europeo di proprietà di Atp GmbH, partner di Cerifos. La certificazione HCI offre la garanzia di essere valutati da un ente terzo, credibile sul piano internazionale. I requisiti per la certificazione HCI sono studiati per ridurre ai minimi termini le possibilità di rischio per i pazienti e gli standard per le diverse specialità certificate sono elaborati a misura alla professione stessa. Certificarsi HCI vuol dire inoltre raggiungere standard elevati che facilitano l’accesso a polizze assicurative vantaggiose. CONTATTI [email protected] tel. 02.26416162 Per maggiori informazioni chiedi l’opuscolo sulla Certificazione in ambito sanitario L’autovaccino per combattere le allergie è tra le pratiche più diffuse in Germania. In Italia ad effettuarlo è solo un Centro: CERIFOS Pollinosi, dermatiti allergiche, asma bronchiale. Alle porte della primavera le affezioni tipiche di questo periodo tornano puntualmente in primo piano, quando si torna a fare i conti con naso che cola, starnuti e solletico in gola. Tuttavia, per un gran numero di persone, il problema non è legato alla stagione, ma cronico. Secondo le ricerche Cerifos, la soluzione per questi pazienti è l’autovaccino, specialmente nel caso di allergie e di patologie per le quali esista anche soltanto il sospetto di una reazione autoimmune. «Noi medici sappiamo bene quanto le affezioni croniche siano invalidanti per il paziente, difficili da trattare, e quanto soprattutto i più anziani mal sopportino il carico collaterale che le cure tradizionali portano con sé» spiega il dottor Samorindo Peci, direttore scientifico di Cerifos. «Per questo la terapia che promuoviamo è quella dell’autovaccino, una pratica che, ad esempio, nel mondo germanico ha una lunga tradizione alle spalle, sia per quello che riguarda le malattie croniche, sia per impedire il ripresentarsi continuo di recidive o di infezioni diverse». L’autovaccino è una preparazione farmaceutica che si può produrre partendo dal materiale biologico di ogni individuo, e che, attraverso la liberazione di citochine, è capace di migliorare le difese immunitarie delle mucose e di svolgere un effetto immunomodulante. È prodotto in fiale iniettabili o inalabili, e in gocce per l’assunzione orale e la durata della cura è rapportata all’intensità delle reazioni e dal tempo di sofferenza di questa patologia, quindi, ad esempio, in pazienti che hanno sofferto di queste malattie per molti anni generalmente si prevede anche un richiamo di un paio di mesi, dopo un anno dal primo trattamento. Quando fare trattamento il Per preparare un autovaccino ematico il medico preleva del sangue al paziente e lo spedisce al laboratorio con apposito conservante. In caso di malattie acute il momento migliore per fare il prelievo è quello dell’apice sintomatico, proprio perchè presenta un alto titolo di anticorpi patogeni. Mentre nel caso si rendesse necessario un intervento urgente con immunosoppressivi, il prelievo deve essere fatto prima della prima somministrazione. Nelle malattie croniche il momento migliore per il prelievo è quello della poussé acuta. Se il paziente è sotto terapia cortisonica, essa dovrebbe essere ridotta a 2,5-5 milligrammi al giorno, prima di effettuare il prelievo. Dopo 30-40 giorni il medico riceve i flaconi, di cui uno contiene la matrice e gli altri le diluizioni. Il medicinale può essere iniettato con modalità intracutanea, sub-cutanea, intramuscolare, o per via orale, sostituendo i tappi perforabili in gomma con gli erogatori di gocce con una pinzetta sterile. Per la posologia e la somministrazione bisogna, però, seguire le indicazioni del medico. L’intervallo fra un’iniezione e l’altra non deve superare i 4 giorni. Mentre nei bambini e in pazienti adulti particolarmente refrattari alle iniezioni, il trattamento può essere effettuato anche per aerosol. Cosa succede con l’assunzione Gli antigeni arrivano negli strati subepiteliali della mucosa, dove si ha una migrazione di linfociti che si differenziano nel linfonodo mesenterico e raggiungono, attraverso il dotto toracico e il flusso sanguigno, la mucosa del tratto respiratorio, urogenitale e gastrointestinale. Qui poi, avviene la formazione di anticorpi attraverso il nuovo contatto con gli antigeni. L’attivazione dei linfociti viene affiancata, sempre nel subepitelio, da un’attivazione dei fagociti e da una liberazione di citochine, che aumentano le risposte immunitarie. L’assunzione di autovaccini, infatti, stabilizza la funzione di trasporto della mucosa, regola le reazioni del sistema, dovute ad un incremento di allergeni, aumenta la capacità di far barriera della mucosa attraverso la secrezione di IgA e rafforza la microflora fisiologica. I vantaggi dell’autovaccino I vantaggi di questa terapia sono moltissimi. Prima di tutto per procedere non è necessario conoscere l’antigene e l’allergene, né fare un test allergologico. In più, non ci sono effetti collaterali né limti di età. L’inizio della terapia è possibile anche in fase acuta e per tutti quei pazienti con allergie multiple. Durata della terapia La durata dipende dall’intensità delle reazioni e dal tempo di sofferenza di questa patologia. In pazienti con allergie stagionali e asma bronchiale si produce un ciclo di terapie all’anno. Il primo anno il periodo d’inizio della terapia non ha importanza. L’anno successivo conviene iniziare prima della stagione delle allergie. Mentre, in pazienti multiallergici occorre prelevare il sangue più volte in corrispondenza con le manifestazioni dei sintomi e richiedere al laboratorio un cocktail di controsensibilizzazione che verrà usato l’anno successivo, anch’esso prima della stagione delle allergie. Infine, in pazienti cronicamente allergici, sofferenti di asma bronchiale o malattie autoimmuni, si possono ordinare 2-3 cicli a partire dalla stessa matrice, facendo attenzione alle date di scadenza. Come conservare il vaccino Il vaccino si conserva in frigorifero a temperature fra i 4 e gli 8 gradi e non deve essere congelato. La matrice si conserva per due anni dalla data di preparazione, le diluizioni per sei mesi. di Vera Paola Termali Chi trova un bando trova un tesoro: ma lo saprà usare? di Carlo Fidanza In tempi di crisi e strette sul credito è proprio vero: chi trova un bando trova un tesoro. tempo con progetti di nessuna fattibilità e elaborati con tecniche di redazione sbagliate. I bandi di Horizon 2020, pacchetto comunitario da 80 miliardi per la ricerca e l’innovazione, non possono non allettare enti pubblici, aziende e ricercatori che si muovono sempre più affannosamente nel cercare di elaborare progetti convincenti e orientarsi nella giungla dei fondi diretti erogati dalla commissione o di quelli indiretti, gestiti da autorità nazionali e regionali. Ma cercare bandi e scrivere progetti europei è alla portata di chiunque? No. La sentenza è presto detta, basta leggere l’ammontare dei fondi che in Italia restano inutilizzati per mancanza di competenze. D’altronde, per affrontare gli standard elevati della Commissione Europea serve padronanza nelle tecniche di redazione della proposta di progetto, competenza nella delicata fase di gestione e rendicontazione, una buona conoscenza del contesto istituzionale e sociale di riferimento. Cerifos Consulting, costola di Cerifos, è proprio questo: una società di consulenza e servizi per le imprese attiva nel campo della progettazione presso le istituzioni europee, nazionali, regionali e locali. Affidarsi a chi possiede queste competenze permette dunque di evitare di perdere «Potendo contare su una fitta rete di re- mentare europeo tra le fila del gruppo Cerifos. «Seguiamo i progetti dei clienti in ogni fase: dapprima con una prevalutazione del progetto e con lo studio di fattibilità, poi con la sua redazione e presentazione, in più, grazie alla rete di conoscenze di cui disponiamo, possiamo effettuare anche la ricerca partner, qualora il bando lo richiedesse. Ci occupiamo, infine, della gestione e supervisione amministrativo-contabile, operando un monitoraggio permanente delle varie fasi operative del progetto, step intermedi indispensabili all’erogazione delle successive tranches di finanziamento. lazioni istituzionali di primo livello in ambito europeo e nazionale offriamo consulenza sui finanziamenti europei, assistenza a PMI, Università, Centri di ricerca, enti pubblici e privati nei più diversi settori: sanità, ricerca e innovazione, fino a ambiente ed anergia, agricoltura, turismo, riqualificazione territoriale, sviluppo locale e cooperazione internazionale» spiega Carlo Fidanza, ex parla- Per le aziende o gli enti, pubblici o privati avere a disposizione un’interfaccia con l’Europa che conosce bene il contesto europeo con cui interagisce e, allo stesso tempo, padroneggia il progetto dall’interno equivale certamente ad un notevole risparmio di tempo e ad una maggiore efficacia nell’ottenimento dei risultati». Sai cosa finanzia l’Europa? Ecco i cosiddetti tre pilastri all’interno dei quali devono collocarsi i progetti in cerca di finanziamento. I bandi escono ogni due anni, ma non occorre rimandare: quando uscirà quello giusto per il vostro progetto, esso dovrà già essere ben delineato. L’obiettivo, a grandi linee, del nuovo programma di finanziamento della Commissione Europea, è ottenere risultati tangibili che creino impatto sociale ed economico a beneficio dei cittadini europei. www.cerifos-consulting.eu [email protected] Tel. +39 02.26416162 L’iniziativa Metti il cuore in cassaforte Da un’iniziativa ANMCO, il progetto BANCOMHeart: la banca del cuore che semplifica ai cittadini la gestione della propria salute e aiuta il lavoro dei medici C’è un modo nuovo per tutelare la salute del nostro cuore: metterlo al sicuro in banca. Nel 2015, grazie all’impegno di ANMCO - Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri e di Fondazione “per il Tuo cuore” HCF Onlus, nasce infatti la Banca del Cuore: un’iniziativa, diffusa su tutto il territorio nazionale attraverso la rete delle Cardiologie ANMCO, per offrire a ogni cittadino la possibilità di prendersi cura del proprio cuore, anche lontano da casa, in viaggio o quando non è possibile raggiungere il proprio medico. Si tratta di una cassaforte virtuale che custodisce l’elettrocardiogramma, i valori della pressione arteriosa e i principali dati clinico-anamnestici, ad esempio, la presenza o meno di diabete, di pregresso infarto miocardico, di fibrillazione atriale, di ipertensione, e li rende disponibili sempre, grazie al BancomHeart”, una card riportante le credenziali individuali, cioè User Id (il codice fiscale) e password personale conosciuta solo dal cittadino/utent, e ad un computer, tablet e smartphone che sia. È sufficiente essere connessi a Internet per potere, accedere ai propri ECG e ai dati clinici inseriti, e consultarli, scaricarli o stamparli. COME ADERIRE Aderire è semplice e non costa nulla: l’elenco delle cardiologie che fanno parte della rete della Banca del Cuore è disponibile su www.anmco.it o su www.bancadelcuore.it: il cittadino farà riferimento alla struttura a lui più vicina. In queste strutture è possibile effettuare l’elettrocardiogramma (la modalità di prenotazione sono differenti per le diverse strutture, e sono riportate sul sito). Al termine della visita, l’ECG viene caricato in formato pdf sul server della Banca del Cuore e contestualmente viene consegnata la card BancomHeart con le credenziali personali. Collegandosi al sito e attivando la card sarà possibile consultare, da soli o con il proprio medico di famiglia o specialista, e in qualsiasi contesto (ad esempio, in occasione di un accesso in Pronto Soccorso in un ospedale lontano da casa) il proprio elettrocardiogramma e i propri dati clinici, visionarli e/o scaricarli. Ogni cardiologo, ma anche ogni medico non specialista, conosce bene l’importanza di poter comparare un ECG appena eseguito a un eventuale precedente tracciato di base, insieme al dato pressorio abituale del paziente e alle principali affezioni cardiologiche eventualmente associate. Novità assoluta nel panorama sanitario, La Banca del Cuore è dunque un enorme registro elettronico, senza limiti temporali né data di scadenza, in grado di raccogliere i dati sanitari (anamnesi cardiologica, ECG e pressione arteriosa) potenzialmente di ogni cittadino italiano. Un progetto per ora unico al mondo che permetterà al cittadino di consultare personalmente o di mettere a disposizione del medico che lo ha in cura informazioni che, in alcuni casi, possono rivestire un’importanza vitale: una vera e propria rivoluzione in grado di semplificare la gestione della propria salute ai cittadini e il lavoro ai medici. Grazie a questo sistema i dati relativi alla propria salute cardiovascolare saranno al sicuro, disponibili anche in caso di smarrimento della documentazione cartacea e accessibili in qualunque momento, anche dall’estero. Inoltre, la creazione di un mega archivio ECG consentirà anche lo screening aritmologico di condizioni misconosciute e potenzialmente pericolose. Anna Frisinghelli Cardiologia riabilitativa “G. Salvini”, Garbagnate Milanese SEDIMENTEST La scoperta MADE IN CERIFOS per valutare la funzionalità del nostro organismo si conferma come uno degli strumenti più preziosi nell’individuazione dei disturbi intestinali e nella diagnosi di disbiosi di Vera Paola Termali Il SedimenTest, o nella sua versione non abbreviata “test del sedimento urinario”, ideato dal dottor Samorindo Peci, è l’esame che ha dimostrato essere uno dei migliori alleati nella valutazione della funzionalità dell’organismo, in modo di gran lunga superiore agli altri approcci esistenti. Il test facile, poco costoso e per nulla invasivo, parte da una semplice premessa: «Una cattiva digestione di carboidrati, proteine e grassi, comporta sempre la presenza di vari sedimenti nelle urine e, attraverso il SedimenTest si evidenziano queste sostanze - spiega il dottor Peci-. Ogni macronutriente ha, infatti, un suo specifico segmento: la presenza di fosfato di calcio nel sedimento urinario si ricollega al malassorbimento dei carboidrati, l’acido urico è il residuo del malassorbimento delle proteine, e l’ossalato di calcio è il residuo del malassorbimento dei grassi. Così, a seconda dei risultati che il test rivela è possibile capire cosa l’organismo assimila e cosa no». Solo attraverso questi dati è, infatti, possibile capire qual è il miglior regime alimentare da fare seguire al paziente o nel caso di disturbi più complessi, quali sono gli interventi nutrizionali e terapeutici più adatti. «Nella mia esperienza di medico endocrinologo si è sempre rivelato il più utile in fase diagnostica, sia per la facilità di esecuzione sia per l’esattezza scientifica; e anche i pazienti sembrano apprezzare, visto che è stato sempre più richiesto. Una scelta facilmente spiegabile – continua il dottor Peci- se si pensa che invece di sottoporsi ai mille esami per le intolleranze alimentari, con un’analisi delle urine si possono avere gli stessi risultati. La forza di questo strumento è il fatto di essere semplice, rapido, economico e accessibile universalmente». Il SedimenTest attraverso lo studio dei cataboliti urinari e della loro concentrazione, permette di valutare la sindrome da intestino irritibile, l’insufficienza pancreatica, la disbiosi, ma anche di rilevare gli eventuali danni causati da una dieta non appropriata. «Questo esame è utile anche quando non si è in presenza di una patologia, ma si vuole semplicemente stabilire qual è il migliore regime alimentare da seguire dando indicazioni su cosa ciascuno digerisce senza problemi e cosa no - aggiunge il suo ideatore, il dottor Samorindo Peci -. Infatti - spiega - una dieta, per funzionare, deve essere necessariamente personalizzata sulle caratteristiche e sui bisogni del paziente. Non esistono alimenti che fanno bene o male in assoluto, tutto dipende dalle caratteristiche fisiche e metaboliche di ciascuno di noi. Un’evidenza che tuttavia oggi, con il proliferare di diete che si professano come “miracolose per tutti”, è bene ribadire». In più, in una fase successiva, lo stesso Sedimentest permette anche di monitorare l’andamento della dieta stessa, visto che quando si intraprende un regime alimentare diverso è fondamentale tenere sempre sotto controllo le inevitabili modificazioni del metabolismo. Al test possono sottoporsi tutti. Unica avvertenza è quella di fare l’esame delle urine al mattino e a stomaco vuoto. Infatti, gli alimenti potrebbero intereferire con i risultati degli esami. «Per fare un esempio, alti livelli di ossalati di calcio possono anche essere il risultato di un consumo elevato di caffè, tè, cioccolato o vitamina C. Mentre un’alimentazione troppo ricca di carboidrati o zuccheri raffinati (detta anche “junk diet” o “dieta spazzatura”) può causare una perdita di calcio attraverso le urine». Infine, per avere un quadro clinico completo e per verificare i dati risultati dal test, è possibile sottoporsi ad altri tipi di esami: «Grazie al test del peso specifico delle urine possono essere individuati p r o b l e m i di disidratazione, disfunzioni renali e diabete - spiega il dottor Peci -. Il test del calcio dà indicazioni sull’acidità dello stomaco: infatti, se i livelli di calcio nelle urine sono alti, ciò è probabilmente dovuto a un’alimentazione troppo ricca di grassi e zuccheri raffinati, mentre livelli bassi di calcio nelle urine sono associati a problemi che vanno dal cattivo assorbimento delle proteine, alla celiachia, al l’ip opa r at i roid ismo, all’insufficienza di vitamina D. Inoltre, un altro esame con cui è possibile verificare le indicazioni date dal test del sedimento urinario, è il test della tossicità intestinale, detto test di Obermeyer, grazie al quale è possibile rilevare la presenza di composti tossici fenolici dovuti a problemi dell’intestino. Infine- conclude il direttore scientifico di Cerifos-, ma non ultimo in ordine di importanza, va citato il test dello stress surrenalico che misura il livello di cloro nelle urine, che è correlato al funzionamento della ghiandola surrenalica». L’intervista all’esperto La dottoressa Tiziana D’Amico, biologa nutrizionista di Cerifos, chiarisce il ruolo dell’alimentazione per il nostro benessere Esistono delle diete che vanno bene per tutti? “Assolutamente no. È inutile affidarsi a quelle che si professano valide per chiunque: una dieta, per funzionare, deve essere personalizzata sulle caratteristiche e sui bisogni del paziente. L’elaborazione di un piano nutrizionale corretto è un lavoro sartoriale che, anche una volta messo in atto, va monitorato nel tempo visto che l’organismo reagisce ai nuovi regimi alimentari modificando man mano il metabolismo. Ad esempio, pensiamo alla frutta: si tratta indubbiamente di un elemento nutrizionale che apporta vitamine indispensabili all’organismo, eppure la sua assimilazione, a volte, può anche provocare gonfiore e disturbi intestinali di vario genere”. Quindi a maggior ragione in presenza di patologie, il ruolo giocato dall’alimentazione assume ancora più importanza… “Certamente. Ad esempio oggi si sa che fino a circa il 70% dei casi di Alzheimer potrebbero essere prevenuti modificando la dieta. Studi epidemiologici hanno dimostrato, infatti, che una dieta ricca di frutta e verdura può riuscire a ridurre il rischio di Alzheimer in modo decisivo e a rallentare la sua evoluzione, grazie alle proprietà dei composti bioattivi presenti in questi alimenti. Tra questi i nutrienti come la vitamina C, contenuta soprattutto negli agrumi, la vitamina E, che si trova in abbondanza nell’olio extravergine di oliva e nei semi oleosi, la vitamina D, di acqua e latte, e l’acido folico presente nei cereali integrali”. Viaggio di un comatoso lungo il confine tra la Vita e la Morte Dalla Lega nazionale contro la predazione di organi riceviamo e trasmettiamo un contrbuto editoriale, convinti che non si possa continuare a tacere su questo tema. Lo spazio al dibattito resterà aperto nei prossimi numeri La persona dichiarata in “morte cerebrale” viene definita dai testi legislativi “morta”, ma il percorso di questo morto che sta per essere espiantato, rispetto al cadavere “tradizionale” è decisamente anomalo. All’interno degli ospedali ci sono infatti due tipi di sale: la sala operatoria e la sala incisoria (obitorio). La prima riservata alle operazioni di chirurgia, la seconda alle autopsie. Perché allora quello che la legge chiama “morto” finisce in sala operatoria e non in quella incisoria? Ho pensato che i lettori saranno forse interessati a seguire un po’ più da vicino il percorso che il comatoso compie dal trauma cranico alla pseudoautopsia, che maschera l’espianto. Il paziente respira, comunque per il trasporto viene intubato. Questa manualità rianimatoria (incannulazione laringo-tracheale) segna il destino del comatoso che viene assistito con la ventilazione automatica. Infatti 1’intubazione - o respirazione ausiliata - è obbligatoria per poter eseguire l’espianto degli organi. Un mantice azionato da un motore elettrico (la spina!) ausilia gli atti respiratori. Se dopo due o tre giorni - gli organi si deteriorano con il tempo - i parametri clinici stabiliti da protocolli variabili, confermano una perdita di coscienza, cioè un sonno più o meno irreversibile, allora si riunisce la Commissione: un anestesista-rianimatore, un neurofisiopatologo, un medico legale decretano l’artificioso momento della “morte neurologica”. Commissione composta solo da specialisti di settore in cui spicca per la sua assenza la figura del “clinico medico e chirurgo” (visione globale del paziente). Il comatoso che respira, il cui sangue scorre rutilante nel circolo artero-venoso, i cui spermatozoi sono vivi e se prelevati possono concepire, il cui feto, se presente una gravidanza, potrà svilupparsi e venire alla luce, è dichiarato morto. Dopo sei ore di osservazione, durante le quali si somministrano farmaci atti a tenerlo in vita, il morto che respira, con la firma di parenti spesso sottilmente ingannati, viene sottoposto ad un procedimento impropriamente definito “autopsia” per essere espiantato, cioè per il prelievo dei suoi organi. È tutto legale? No. Infatti l’autopsia non viene praticata nella sala incisoria, come il profano giustamente pensa, dove lavorano periti settori e medici legali (tecnici che svolgono il loro lavoro “autoptico” di diagnosi anatomopatologica in un ambiente non asettico). Al contrario la “pseudoautopsia” avviene in una “sala operatoria” asettica ed altamente sofisticata, con un tavolo operatorio al quale viene legato il “morto” che potrebbe muoversi, con un anestesista che somministra farmaci paralizzanti o anestetici e profonde ossigeno affinché gli organi siano bene irrorati: un vero e proprio rito di Alta Chirurgia. Diverse équipes di chirurghi specializzati in prelievo di organi si alternano al tavolo operatorio, mentre pressione e polso aumentano al primo contatto del bisturi. Strano morto. Strana autopsia. Fegato, pancreas, reni, blocco enterico, polmoni e cuore entrano nei contenitori ghiacciati. Lo stesso senso di glaciazione deve provare l’anestesista quando, ultimato il lavoro, stacca la spina. Il comatoso è finalmente un “cadavere” svuotato dei suoi organi vivi che andranno a lavorare per un altro essere umano e saranno sottoposti all’azione di farmaci poderosi che ne controlleranno il rigetto, cioè il rifiuto da parte del trapiantato di organi che non hanno ricevuto il soffio vitale che ha dato inizio alla sua propria vita. Lui, il Comatoso, ha terminato il suo viaggio in “Camera operatoria” sull’altare dell’alta chirurgia trapiantistica. L’inumazione è ora possibile, la morte non necessita altri appellativi. Prof. Dott. Massimo Bondì Patologo e Chirurgo Generale-L.D. Univ. La Sapienza-Roma Presidente Comitato Medico-Scientifico Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi www.antipredazione.org Aula per conferenze, corsi o seminari a Milano? Centrale e ottimamente collegato, Metro Loreto, con garage a ore sottostante, affittiamo bella sala luminosissima per le vostre necessità di comunicazione su Milano. 25 posti con banchi + 15 senza, non adatto per tecniche a terra, dotato di proiettore e filodiffusione PER INFORMAZIONI TEL. 02.26 41 61 62 CUCUME: Curcumina e Quercitina per la prevenzione delle malattie oncologiche Sembrano quasi uno scioglilingua a dirsi insieme, ma a braccetto queste due droghe danno vita a una formulazione titolata per purezza al 99% chiamata Cucume che costituisce oggi il nuovo protocollo di prevenzione delle malattie oncologiche, messo a punto da Cerifos, in partnership con ricercatori tedeschi. Le proprietà della curcumina sono note già da secoli se si pensa che in India, questa droga è utilizzata almeno da 6000 anni come medicina, cosmetico, oltre che spezia e colorante e anche la medicina ayurvedica le attribuisce numerose proprietà, oggi confermate dalla scienza moderna (la Food and Drug Administration la classifica sostanza GRAS ovvero “Generalmente Riconosciuta Sicura”). Si tratta, infatti, del principale componente biologicamente attivo del Turmerico (che appartiene alla famiglia delle Zingiberacee, di cui fanno parte anche lo zenzero e il cardamomo). L’estratto standardizzato contiene il 95% di curcuminoidi che, a differenza di molti altri antiossidanti sono in grado sia di prevenire la formazione di radicali liberi, sia di neutralizzare i radicali liberi già esistenti, per cui, a causa di questa duplice attività, sono considerati efficaci bioprotettori. «La proprietà antiossidante della Curcumina è 300 volte superiore a quella della vitamina E» spiega il dottor Samorindo Peci, endocrinologo, direttore scientifico di Cerifos e padre del nuovo protocollo di prevenzione oncologica tedesco. «Ma non solo: la curcumina ha mostrato anche di possedere proprietà anticoagulante, antitrombotica, antipertensiva, antinfiammatoria, antidiabetogena, ipocolesterolemizzante, antivirale ed epatoprotettiva e soprattutto si è dimostrata capace di inibire in vitro le cellule tumorali» chiarisce. La curcumina, infatti, è in grado di impedire la replicazione e la diffusione delle cellule tumorali, come già rese evidente negli anni ’80 lo studio del Prof Bharat Aggarwal. «Da allora sono stati condotti centinaia di studi e secondo la comunità scientifica la curcumina è utile almeno in 8 tumori: polmoni, bocca, colon, fegato, rene, pelle (melanoma), mammella e leucemia, ma la sua azione difensiva si è evidenziata in tutte le forme tumorali conosciute e, in associazione alle terapie oncologiche classiche, potenzia l’azione dei chemioterapici normalmente utilizzati». L’APPROFONDIMENTO Studi sull’azione della Curcumina contro il cancro Cancro alla bocca Uno studio è stato condotto a Srikakulam, nel distretto dell’Andhra Pradesh, su donne che praticano il “reverse smoking” (fumare tenendo in bocca la parte accesa della sigaretta), che provoca un’ alta percentuale di tumore della bocca. La spennellatura di curcuma nelle guance si è dimostrata un’ efficace prevenzione del tumore. Cancro del colon L’effetto positivo della curcumina su questo tumore è stato dimostrato da studi di laboratorio. Recentemente si è visto che la curcumina ha un’azione specifica sulla neurotensina, ormone gastrointestinale strettamente legato alla produzione di una proteina infiammatoria coinvolta nella genesi e nella metastatizzazione del carcinoma del colon. Circa un terzo dei tumori del colon hanno recettori per questo ormone. Secondo i ricercatori, la curcumina potrebbe essere un valida ausilio nella prevenzione e nella cura di questa forma tumorale. Cancro al colon È il tipo di tumore su cui la curcumina sembra essere più efficace. L’ipotesi si basa sull’osservazione che questa sostanza riduce i livelli di un enzima chiamato cicloossigenasi-2 (COX-2), responsabile della produzione di molecole che provocano l’infiammazione (l’aspirina e i celebri antinfiammatori Celebrex e Vioxx sono degli inibitori di questo enzima). Questa proprietà potrebbe avere un effetto benefico sul cancro al colon, infatti studi realizzati finora indicano che questi antinfiammatori potrebbero ridurne la frequenza. A questo proposito, un recente studio sugli effetti della somministrazione per via orale della curcumina mostra una riduzione notevole delle molecole infiammatorie liberate dalla COX-2 nel sangue dei soggetti osservati. Questo effetto è estremamente interessante, soprattutto alla luce dei recenti risultati che mostrano come gli antinfiammatori sintetici svolgano effetti secondari che potrebbero limitare il loro utilizzo futuro ai fini della prevenzione del cancro al colon. Cancro del pancreas Sulla base degli studi condotti in laboratorio, i ricercatori sono convinti che la curcumina potrebbe essere d’aiuto nella prevenzione e forse anche nella cura di questo temibile tumore, verso il quale la medicina è totalmente disarmata. Melanoma Studi di laboratorio hanno dimostrato che la curcumina provoca l’apoptosi delle cellule del melanoma. Cancro della cervice Un ricercatore del “Institute of Cytology and Preventive Oncology (ICPO)” indiano ha recentemente scoperto che la curcumina protegge dai virus del papilloma (HPV), che possono causare il tumore della cervice dell’utero. I virus HPV necessitano di alcune proteine virali prodotte delle cellule del corpo per potere agire rapidamente. La curcumina impedisce il legame di queste proteine epiteliali con il virus. Alcuni studi clinici sono in corso sulle donne. Cancro della prostata L’India è il Paese dove si consuma e si produce più curcuma al mondo ed è anche quello con la più bassa incidenza di tumore alla prostata. Secondo quanto si legge sulla rivista “Cancer Research” la curcuma ha un notevole importanza nella prevenzione e nel trattamento dei tumori della prostata. L’effetto protettivo sarebbe altresì evidente quando essa è associata al fenetil isotiocianato (PEITC), una sostanza presente in alcune verdure come i broccoli, il crescione, i cavoletti di Bruxelles, la rapa, il cavolfiore, il cavolo comune e il cavolo rapa. Cancro esofageo La curcuma, avrebbe potere anti-cangerogeni contro le cellule tumorali del cancro all’esofago. Questo è quanto emerge da una ricerca di laboratorio condotta presso il Cork Cancer Research Centre, a cura della prof. Sharon McKenna e pubblicata sul British Journal of Cancer. Infatti le radici polverizzate giallo-ocra della curcuma, l’ingrediente principale del curry, possiedono proprietà antiossidanti e fluidificanti del sangue. Inoltre la curcuma effettua una buona azione antinfiammatoria sul tubo digerente oltre a svolgere la funzione di antispasmodico dei muscoli dell’apparato gastrointestinale. La quercitina, invece, appartiene alla famiglia dei bioflavonoidi, componenti di molti frutti e verdure, più noti come vitamina C2, vitamina P, flavoni. Questa sostanza ha un’attività antivirale, antiinfiammatoria, con azione antispasmodica e immunomodulante. «È particolarmente utile nella prevenzione di perdite di sangue frequenti dovute a vasi sanguigni indeboliti tanto che viene usata nel trattamento delle vene varicose, delle emorroidi, dei crampi notturni ed altri problemi circolatori» chiarisce il dottor Samorindo Peci. «Numerosi studi hanno dimostrato che i bioflavonoidi possono essere usati con successo per un certo numero di problemi ginecologici: possono sostituire efficacemente gli ormoni nelle terapie per curare l’irregolarità dei cicli, i dolori mestruali non causati da danni anatomici, possono prevenire emorragie e aborti, ma soprattutto- spiega- la quercitina è considerata un inibitore naturale di vari enzimi intracellulari. Per tali proprietà è stata estensivamente studiata in campo oncologico sperimentale, nella delucidazione dei meccanismi di proliferazione cellulare e della cancerogenesi ed è oggi impiegata nella terapia delle leucemie». Come attesta una ricerca dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino (Isa-Cnr), pubblicata dal British Journal of Cancer la quercetina appartiene a quell’ampio gruppo di molecole di origine vegetale (fitochimici) con attività chemio-preventiva: la molecola, cioè, è capace di bloccare il processo di trasformazione di una cellula normale in tumorale, oppure di invertirlo se esso è già in atto. «È stato dimostrato che la quercitina è efficace in cellule tumorali di pazienti affetti da leucemia linfocitica cronica (LLC). In tali pazienti, la molecola è in grado di rendere vulnerabili al trattamento LA QUERCITINA NEGLI ALIMENTI farmacologico con chemioterapici cellule isolate Ecco dove si trova dal paziente che prima non lo erano» commenta il dottor Peci. «La quantità di quercetina assunta *uva rossa e vino rosso giornalmente con la dieta (25-30 milligrammi) però è molto lontana dal poter svolgere una qual- *capperi (ne sono gli alimenti più sivoglia attività biologica. Anche dopo un pasto ricchi) ricco di alimenti contenenti la molecola, le con*cipolla rossa centrazioni ematiche sono troppo basse per giu*the verde stificare l’attività antitumorale, che, invece, è as*mirtilli sociabile all’assunzione di altri farmaci naturali». curiosità Il protocollo per la prevenzione oncologica messo a punto da Cerifos ha quindi unito le preziose proprietà di queste due sostanze per arrivare ad una formulazione titolata per purezza al 99%, chiamata Cucume, oggi ricetta anticancro sempre più diffusa in Germania. di Federica Sciacca *mele *propoli Per richiederlo scrivi a [email protected] Tel. +39 02.26416162 VUOI DIRE LA TUA? SCRIVICI! Lo spazio è aperto! Medicina di Frontiera è un trimestrale nato per parlare apertamente, senza reticenze né asservimenti, non solo di ricerca e scienza ma anche di quei temi “di frontiera” che possono contribuire a stimolare la riflessione ma che troppo spesso non finiscono sotto i riflettori della cronaca. Se vuoi mandare un contributo redazionale e aiutarci a diffondere informazioni preziosi sulla salute “di frontiera”, scrivi a [email protected]. La conoscenza va condivisa, altrimenti ha valore solo a metà Preservare la salute: questione di CIBO e STILE DI VITA Sul sito di CERIFOS è disponibile l’opuscolo informativo sulla buona nutrizione Mangia il cibo che tua bisnonna riconoscerebbe come tale; pratica il buon senso nelle porzioni; leggi le etichette; evita la soia, un cibo che non fa parte della nostra cultura ed è dannosa sul piano neurometabolico; evita ciò che l’industria alimentare spaccia per cibo ma aumenta solo il senso di dipendenza e considera che non esistono cibi proibiti ma solo suggerimenti e raccomandazioni, perché non è il prodotto che fa male ma la quantità e la qualità. I principi che hanno dettato la stesura del nuovo opuscolo sulla nutrizione, redatto dal dottor Samorindo Peci, direttore scientifico del Centro di Ricerca e Formazione scientifica Cerifos, prendono le mosse da assiomi semplici, da verità praticamente indiscutibili, perfino da proverbi dialettali, quelli in cui si trova tutta la vera saggezza popolare, l’esperienza e la tradizione di tutte le varie regioni di Italia. L’opuscolo, che è scaricabile gratuitamente all’indirizzo http:// ebook.cerifos.it/nutrizione/ in modalità flipping, esamina infatti in modo semplice e chiaro, classe per classe, tutti gli alimenti della piramide: partendo dalle preziosità di frutta e verdura, per continuare con la carne, il pesce, formaggi e latticini, uova, acqua e vino. Per ogni gruppo alimentare vengono illustrate le informazioni che bastano ad orientarsi nella scelta e nelle porzioni, a seconda delle esigenze di partenza, il tutto con la praticità anglosassone che sostituisce la misurazione di calorie con il concetto più semplice di porzione: la dieta così diventa a misura di uomo e ognuno diventa l’unità di misura di se stesso, utilizzando pizzichi, cucchiai e tazze. Ogni capitolo è arricchito poi da piccoli consigli di incoraggiamento, raccomandazioni e specchietti di approfondimento, nati con l’obiettivo di fare ancora di più chiarezza ai lettori: ad esempio su come valutare il fabbisogno energetico, come migliorare lo stato di salute, l’importanza dello stile di vita e come poter fare uno spuntino senza appesantirsi. «Ci sono pochi numeri, per non costringere chi vuole pra- ticare una buona alimentazione a mangiare con la calcolatrice accanto; poco dettaglio e molta sintesi, perché chi vuole mangiare bene non deve diventare un dietologo; nessun diktat, perché non esistono alimenti vietati in assoluto e la tavola non dovrebbe diventare un luogo di battaglia, imposizioni e frustrazioni e soprattutto ci sono schemi semplici e fattibili, perché la quotidianità di ognuno è fatta di molti impegni fissi e non sempre ci si può permettere di stravolgere completamente la routine»: spiega il dottor Samorindo Peci, autore dell’opuscolo. SCARICA L’OPUSCOLO http://medicinadifrontiera.cerifos.it «Sono stati questi i principi guida che mi hanno orientato nella composizione di questo testo, e speriamo davvero di avere fatto una cosa utile per i nostri lettori e per tutti coloro che vogliono imparare a mangiare bene, senza essere costretti a diventare degli esperti». L’opuscolo è gratiuto e scaricabile da chiunque perché la stella guida di Cerifos, è rendere l’informazione scientifica alla portata di tutti, nei fatti e non solo a parole. Vuoi ricevere tutti gli aggiornamenti sulle campagne, le iniziative e gli eventi targati Cerifos? Clicca mi piace sulla nostra pagina Facebook www.facebook.com/Cerifos Centro di Ricerche e Formazione Scientifica NON PERDIAMOCI DI VISTA ! 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