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Medicina di Frontiera 5

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Medicina di Frontiera 5
Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale - 70% DCB Perugia
ISBN: 9788898371051 - ISNN: 2282-0183
Rivista Scientifica di MEDICINA- RICERCA- STANDARD DI QUALITA’-EUROPROGETTAZIONE Anno 4 Nr. 1
Ebola:
l’epidemia
raccontata da
Medici Senza
Frontiere
Nostra Signora
Malasanità: la
certificazione
di eccellenza
per tutelarsi
Chi trova un
bando trova un
tesoro... Ma lo
saprà usare?
Cosa è Cerifos
Consulting
Curcumina e
quercitina:
la ricetta
Cerifos
anticancro vola
in Germania
Viaggio di un
comatoso
lungo il confine
tra vita e morte
Medicina di Frontiera
Iscrizione al Tribunale di Como N° 3/2011
SOMMARIO
Un giro intorno agli studi metabolici
Direttore responsabile
Vera Paola Termali
Ebola: il racconto di Medici Senza Frontiere
Responsabile di redazione
Stop ai farmaci a vita: la campagna di Cerifos per
combattere le patologie tiroidee
Federica Sciacca
Redazione
Andrea passi
Giorgio romandini
Federica Peci
Le nuove frontiere della traumatologia: novità
tecnologiche nell’osteosintesi di fratture complesse
Samorindo Peci
Nostra Signora Malasanità. La certificazione di
Eccellenza, la via migliore per tutelarsi
Direttore scientifico
Collaboratori
Allergostop: l’autovaccino made in Cerifos
Fabrizia antonello
concetto battiato
carlo fidanza
anna frisinghelli
gabriele rossi
Chi trova un bando trova un tesoro... Ma lo saprà
usare? Cosa è Cerifos Consulting
Il cuore in cassaforte: il progetto BANCOMheart
Addetto stampa: [email protected]
Editing - Grafica - Impaginazione: Cerifos
Tel. 02 26416162 - Fax 02 89038641
Email: [email protected]
sito: medicinadifrontiera.cerifos.it
Flipping: ebook.cerifos.it
Amministrazione: P.zza Carlo Schiavio 2
22020 Veleso Como
Editore: Cerifos
Stampa: Litograf editor srl Citta di Castello Pg
Info pubblicità: [email protected]
Sedimentest: tutto sul test del sedimento urinario
Viaggio di un comatoso lungo il confine tra la vita
e la morte
Cucume: curcumina e quercitina.
La ricetta anticancro di Cerifos
Preservare la salute: questione di cibo e di stile di
vita
Seguici su...
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www.cerifos-consulting.eu
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Editoriale
O tempora, o mores!
Vera Paola Termali
Tempi duri per tutte le professioni in questa società alla deriva morale!
Avvocati corrotti, architetti-star che non sanno che sul vetro si scivola, ingegneri che collaudano strade che crollano dopo 15 giorni.
Il cittadino, schifato dalla mancanza di competenza, che al di là di questi esempi da prima pagina, influisce sulla qualità della sua vita, punta
il dito, querela, denuncia, salvo poi non trovare
giustizia, a causa del troppo ampio margine interpretativo che la giurisprudenza lascia ai giudici.
stero della Salute sulla medicina difensiva. Ma su
quanto questo modus operandi nuoccia al cittadino, forse dobbiamo ancora soffermarci a riflettere. Il cittadino e la sua salute diventano strumento, cosa, mezzo per l’autotutela del medico.
Non mi sembra una cosa tollerabile, soprattutto quando parliamo di esami radiografici, magari con isotopi radioattivi, invasivi anche come una “semplice”
gastroscopia, della quale si sottovaluta l’impatto,
farmaci a vita che instaurano reazioni a catena.
Quando tutto questo si evidenzia nell’ambito
della salute, la reazione diventa ancor più emotiva, perché il danno psico-fisico che il medico
può arrecare ha ben altra valenza di qualsiasi
altro danno materiale.
Facile sarebbe il rimpianto verso i tempi in cui
il rispetto verso i professionisti era quasi un timore reverenziale, tempi in cui il divario culturale fra i due interlocutori era tale da non poter essere colmato. Oggi tutti si credono istruiti
e competenti, perché magari sanno andare su
internet, hanno telefonini che fanno di tutto,
anche scoprire dov’è Biella, conoscenza che la
scuola non ha dato loro!
Davanti al cittadino del nuovo secolo che tutto
crede di sapere, il medico troppo spesso si trova con le spalle al muro e prescrive. Prescrive
visite specialistiche, esami diagnostici, farmaci,
ricoveri, pur di non trovarsi un domani calunniato, denunciato, indagato.
Che a rimetterci sia, in soldoni, il SSN è risaputo ed è anche il risultato del rapporto del Mini-
Certo, c’è anche il rovescio della medaglia: il
cittadino che ancora chiede, pretende quasi e si
sente rassicurato dall’ipermedicalizzazione, dalla soddisfazione di un diritto che lo Stato gli deve
garantire, come se fosse il tagliando della macchina, poco o per nulla consapevole che la macchina funziona a lungo e bene in relazione all’attenzione che diamo alla nostra guida.
Siamo così giunti al tema della prevenzione, per la quale Cerifos ha editato un opuscolo con semplici regole di sana alimentazione e alla campagna contro i farmaci a vita,
che inizia dal focus sulle patologie tiroidee.
Altri temi di questo numero: allergie, traumatologia, prevenzione delle malattie degenerative
e oncologiche e un reportage in prima persona
di Medici senza Frontiere, impegnati nella lotta
all’ebola.
Buona lettura!
Un giro intorno agli studi
metabolici
Abbiamo chiesto al direttore scientifico di Cerifos di raccontarci le ultime novità nel
campo della ricerca scientifica in Italia e fuori dai suoi confini
di Federica Sciacca
Il Metabolic Research Centre di Erlenbach è
un’istituzione che esiste da più di 10 anni. A novembre 2014 però sono cambiati i vertici e alla
sua guida scientifica è stato nominato il dottor
Samorindo Peci, già conosciuto nel mondo della ricerca in Germania per la sua collaborazione
portata avanti già da anni con la Forschung.
Ma cosa succede all’interno di una delle istituzione di ricerca più rinomate in Europa? I
progetti avviati in campo metabolico sono ambiziosi e molto probabilmente destinati a cambiare l’approccio terapeutico
delle disfunzioni metaboliche.
Ne
parliamo
con lui, e partiamo da una
domanda forse
banale:
Cosa è il metabolismo?
Non è affatto
una domanda
banale,
anzi
per la verità da
qualche tempo
mi sono accorto
anche di quanto spesso i medici stessi non lo
abbiano compreso del tutto. La prima cosa da
dire è che ogni elemento che viene introdotto
nel nostro organismo è oggetto di sintesi, cioè
è metabolismo, che sia un metabolismo enzimatico, cellulare o genetico, e tutte le malattie
generiche partono da un problema metabolico.
Da questo è facile comprendere che la forbice
delle disfunzioni è molto larga. Dentro le ri-
cerche metaboliche c’è tutto un mondo. Il lavoro che
porta avanti un centro di ricerche di studi sul metabolismo è quello di misurare gli effetti di una determinata molecola nel nostro organismo per supportare o azzerare gli effetti che si presume abbia.
Precisamente lei di cosa si occupa?
Io seguo i lavori e gli avanzamenti dei biologi che
fanno ricerca e sperimentazione e li aiuto a risolvere i
problemi che man mano la ricerca pone. Non sono direttamente io a fare le sperimentazioni ma dirigo i progetti. Questo mi
consente
di
continuare
il
mio lavoro in
Italia:
sono
un ricercatore
emigrato solo
parzialmente.
Quali sono i
progetti più
importanti che
al momento
sta portando
avanti ad Erlenbach ?
Ce ne sono
molti, ma i
tre principali sono il lavoro sull’ossigenoterapia, la
ricerca sul citoplasma e lo studio su molecole che
conosciamo dall’origine dei tempi, come il selenio, lo zinco ed altre, le cui capacità terapeutiche
però, ancora oggi, non sono ancora tutte esplorate.
Ci parli dell’ossigenoterapia. Cosa s’intende?
L’ossigeno sappiamo tutti ormai da tempo essere una
grande risorsa: è un forte produttore di radicali libe-
ri e ha un’importantissima azione rigenerativa. Ad
oggi viene utilizzato infatti per avere diversi benefici
sull’organismo, tuttavia, se usato in eccesso, apporta, come rovescio della medaglia, un’azione ossidativa ai tessuti che causa la produzione di barriere
che non fanno penetrare di più i nutrimenti: come se
fosse una specie di ruggine cellulare, per intenderci.
Gli studi che stiamo portando avanti consistono quindi
nel fare in modo di aumentare gli effetti benefici dell’ossigeno contro l’invecchiamento dei tessuti o a seguito
di malattie croniche o prolungate, limitando allo stesso tempo quelli negativi, cioè appunto l’ossidazione.
Stiamo sperimentando il modo di innescare l’aumento degli atomi di ossigeno, limitandone gli effetti collaterali che aumentano la sofferenza cellulare.
In più la formulazione che stiamo studiando è su base
iniettiva; questo per la semplice ragione che, quando
iniettiamo sul torrente venoso una sostanza, questa
non è intaccabile dai nostri sistemi e viene assorbita
completamente, mentre ad esempio per os una parte
viene sempre distrutta dai processi digestivi. L’applicazione dell’ossigeno, è bene specificare, non è
propriamente terapeutica ma coadiuvante, aiuta cioè
l’organismo a reggere di più dopo una terapia farmacologica prolungata o un danneggiamento cronico.
E la terapia citoplasmatica? In cosa consiste?
Per semplificare molto il concetto si tratta di una grande risorsa che consente di ottenere un nutrimento specifico per gli organi danneggiati. Ogni organo, infatti,
è una complessa macchina, costituita da un determinato numero di vitamine, enzimi, aminoacidi e minerali.
Oggi, però, in laboratorio siamo in grado di fare
una mappatura per ogni organo per risalire al numero preciso di ogni componente che lo costituisce e di riprodurre lo stesso esatto mix di elementi.
Iniettare
questo
specifico
nutrimento
significa quindi nutrire l’organo per supportarlo,
se
sotto
bersaglio
o
defedato.
In questo momento procediamo con la mappatura degli
organi principali, come cuore, stomaco, intestino, ma
ce ne restano ancora molti. Procederemo via via fino ai
più piccoli come le membrane del timpano. È una tra le
sfide più stimolanti. Basti pensare che la sola parte riproduttiva maschile è costituita da circa 900 proteine...
Ha accennato alla riscoperta di selenio e zinco. Ce
ne parla?
L’importanza di questi elementi è conosciuta sin
dai tempi più antichi, soprattutto per la permeabilità che permette di ottenere, ecco perchè in
tutte le formulazioni vitaminiche non possono
mancare, altrimenti difficilmente queste vengono assorbite dall’organismo. Eppure sembra
che siano molte altre le potenzialità terapeutiche
di selenio e zinco ancora inesplorate. Per ogni
azione terapeutica infatti, c’è un bersaglio da
colpire o una cellula da inibire e questi due elementi possono aprire nuove strade. La difficoltà
della ricerca qui è data dal fatto che ognuno di
noi li assorbe in modo diverso. Si tratta di capire fino a che punto si ottengono benefici e quando invece si sta sovraccaricando l’organismo.
Quali altre novità in campo sperimentale ci
può svelare?
Ad esempio c’è la nuova formulazione di uno
speciale tipo di farmaco che ha le stesse caratteristiche dei corticosteroidi, il quale presto
potrà sostituire il vecchio cortisone, con il vantaggio di essere privo dei suoi tipici effetti collaterali sulla glicemia e sull’apparato osseo.
Si tratta di una ricerca partita già 4 anni fa e
che finora è stata sperimentata solo sui soggetti sani per vedere gli effetti collaterali, ma
i risultati lasciano ben sperare. Adesso bisognerà vedere se anche la sperimentazione sui
malati con patologie autoimmuni conferme-
rà i buoni risultati ottenuti nella prima fase.
La seconda fase della ricerca dovrebbe partire a breve, e al momento ovviamente le
molecole da estrazione naturale sono coperte da brevetto. Prima di cantare vittoria quindi sarà necessario aspettare ancora.
Sono lunghi i tempi della ricerca scientifica...
Sì, ed è per questo probabilmente che la ricerca
si fa più agevolmente all’estero. In Italia spesso
si è incapaci di guardare a lungo termine: qui
da noi si ha troppa fretta di vedere i risultati,
cosa impossibile nella ricerca per sua stessa
natura, fatta di sperimentazioni, prove, riprove, confutazioni e verifiche. Nel nostro Paese
sembrano ancora avere più risonanza i lavori
che danno risultati tangibili in tempi rapidi: si
è come affetti da miopia, si guarda a breve distanza, per cui viva l’Italia in giro per il mondo!
In ogni caso, è ovvio che i ricercatori italiani
come me, in qualsiasi parte del mondo, portano
con sè le peculiarità della cultura italiana e cercano anche di costruire ponti verso il nostro Paese.
In che senso?
Ad esempio un importante progetto che sto
portando avanti in questo senso è l’apertura di
una scuola metabolica italiana indirizzata ai
medici stessi, proprio per tornare al punto di
partenza della prima domanda. Essa avrà sede
a Milano e a Cesena e proporrà un approfondimento sul metabolismo in tutte le sue sfaccettature. Sono già stati individuati i docenti in
parte italiani, in parte tedeschi. Si prevedono
aule da 15 a 20 professionisti massimo, provenienti da tutte le specialità mediche per formarli sui processi metabolici, sui vari campi
di applicazione, le fasi della ricerca e tutte le
informazioni cliniche necessarie a far capire come approcciarsi alle nuove conoscenze.
Per informazioni
sulla scuola di
metabolismo
[email protected]
ATP LO FA!
La vitamina B17,
meglio conosciuta
come Amigdalina,
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terapie antitumorali.
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sempre aiutato, dal
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EBOLA
Il racconto dell’EPIDEMIA
che ha scosso il mondo,
fatto da chi l’ha vissuta
da vicino
Cosa è l’ebola, come si è evoluta e cosa ha fatto la più grande organizzazione medicoumanitaria indipendente del mondo per combatterla. Il focus di un medico di MSF e il
racconto di Luca dell’inizio dell’epidemia vista con i suoi occhi e sentita con la sua pelle:
“il caldo, le poche ore di sonno, la paura ma anche il coraggio e la speranza di salvare vite
umane in una corsa contro il tempo”
di Gabriele Rossi
L’epidemia di Ebola, esplosa
nel 2014 in Africa Occidentale
(Guinea, Liberia e Sierra Leone)
e che ha lambito l’Europa e
l’America, toccando le coscienze
di alcuni e intaccando le certezze
di
tutti,
ha
rappresentato un
fatto epocale.
Per
le
sue
caratteristiche
e
per le reazioni
che ha suscitato
nell’opinione
pubblica mondiale
(panico, impotenza
e stigmatizzazione)
l’epidemia
è
stata, con ragione, paragonata
all’insorgenza
dell’AIDS.
Il
mondo intero ha avuto paura; una
paura dettata dal crollo di fiducia
nelle istituzioni politiche e sanitarie
mondiali
che,
inizialmente,
avevano sottovalutato o addirittura
negato il problema.
Quando, il 31 marzo 2014, Medici
Senza Frontiere descriveva con
toni
drammatici
l’epidemia
di Ebola come un fatto senza
precedenti,
l’Organizzazione
Mondiale della Sanità reagiva
prontamente, screditando MSF
e asserendo che l’epidemia era
ancora relativamente piccola.
Sarebbero passati più di tre mesi,
prima che l’OMS dichiarasse Ebola
un’emergenza di sanità pubblica di
livello internazionale. E sarebbero
passati ancora altri mesi prima che
il mondo reagisse in forze contro
la minaccia rappresentata dai primi
casi di infezione in America e in
Europa. Intanto migliaia di persone
morivano in Guinea, Sierra Leone
e Liberia. Era quello il momento
in cui la malattia mostrava tutto
il uso vigore con la registrazione
di 100 nuovi casi al giorno,
mentre i centri di trattamento
Ebola di MSF dovevano rifiutare
l’ammissione di nuovi pazienti
per mancanza di posti letto.
Il 2 settembre 2014, quasi quattro
mesi dopo l’inizio dell’epidemia
di Ebola, Joanne Liu Presidente di
MSF, di fronte agli Stati membri
delle
Nazioni
Unite, dichiarava:
«Il mondo
sta
perdendo
la
battaglia
per
arginare
la
peggiore epidemia
di Ebola nella
storia. Gli Stati
con le adeguate
capacità
hanno
la responsabilità
politica e umanitaria di farsi
avanti e offrire una risposta
concreta al disastro che si sta
sviluppando sotto gli occhi di tutto
il mondo. Invece di limitare la loro
attenzione al potenziale arrivo di
un paziente infetto nei loro paesi,
dovrebbero salvare vite umane,
dove è immediatamente necessario:
ovvero in Africa occidentale».La
voce di Medici Senza Frontiere
non è rimasta inascoltata e oggi,
grazie anche all’azione concertata
di numerosi attori internazionali,
la malattia vede ridurre la sua curva di crescita,
lasciando intravvedere un po’ di ottimismo. La
vigilanza resta d’obbligo.
Quando si parla di Ebola, non si può dunque non
pensare istintivamente all’azione pioneristica di
MSF, alla sua attività medica di prima linea, ai
suoi coraggiosi operatori umanitari - nazionali ed
internazionali - e alla sua instancabile azione di
advocacy (testimonianza) e lobbying per mobilitare
le coscienze e le istituzioni politiche.
L’Ebola è un’infezione virale ad altissima letalità
ed estremamente contagiosa. Può uccidere fino al
90% delle persone che lo contraggono. Inizialmente,
i sintomi sono aspecifici, rendendo molto difficile la
diagnosi clinica. La malattia è spesso caratterizzata
da un improvviso accesso di febbre, astenia, dolore
muscolare, cefalea e mal di gola. Questi sintomi
possono essere seguiti da vomito, diarrea, eritemi,
funzione renale ed epatica compromesse e, in
alcuni casi, fenomeni emorragici che includono
sanguinamenti dal naso, vomito ematico, diarrea
mista a sangue, emorragie interne e congiuntiviti
emorragiche. I sintomi possono manifestarsi da
2 a 21 giorni dopo il contatto, con un picco tra il
settimo e il quattordicesimo giorno dal contatto.
L’ebola in numeri
• L’epidemia è scoppiata in Africa
Occidentale a Marzo 2014
• Medici Senza Frontiere è
presente in Guinea, Liberia e
Sierra Leone con 6 centri e 4.475
operatori sul campo
• Le équipes di MSF hanno
ricoverato più di 8.100 persone,
di cui circa 4.960 sono risultate
positive all’Ebola
• Più di 2.300 sono guarite
di tutti i letti disponibili per Ebola durante il picco di
epidemia in agosto-settembre). All’interno di questi
centri, ancora oggi, i pazienti devono essere curati in
isolamento da staff competente e munito di indumenti
protettivi, molto pesanti e difficile da mantenere per
lungo tempo in un ambiente caldo e umido come quello
africano. I casi sospetti, in attesa di essere confermati
o meno, sono separati dai casi certi. MSF applica delle
procedure estremamente rigorose per far si che nessun
operatore sanitario sia esposto al virus senza protezioni.
Gli operatori internazionali lavorano per un periodo
massimo di 4-6 settimane, al fine di ridurre il rischio di
errori dovuti ad eccessiva stanchezza. Nella zona ad alto
rischio lo staff entra sempre in coppia, in modo tale da
controllarsi a vicenda.
Non esiste alcuna terapia specifica per curare
questa malattia e pertanto la strategia si basa
su quattro pilastri fondamentali, descritti
nelle linee guida di MSF riconosciute a livello
internazionale da tutti gli operatori sanitari:
a) isolamento dei casi e relativo trattamento;
b) tracing – ritrovare le persone che sono Non c’è terapia specifica per Ebola. Almeno due vaccini
venute a contatto con il malato infetto; sono in fase di sperimentazione e saranno testati su circa
c) sepolture del cadavere secondo protocolli
che annullino il rischio di diffusione
della malattia (la cremazione è
stata la pratica più adottatata); d)
promozione ed educazione dei
corretti comportamenti da adottare
per diminuire il rischio di contagio
nella comunità.
L’isolamento dei casi e il relativo
trattamento ha rappresentato l’impegno
più gravoso, in termini di sforzi logistici
e medici. La necessità di isolamento
ha comportato la riconversione di
centri di salute esistenti in centri di
trattamento dell’Ebola o la costruzione
di nuove strutture che hanno
consentito di mettere a disposizione
fino a 700 posti letto (circa il 70%
30.000 volontari sani (includendo gli operatori
sanitari) in Sierra Leone e Liberia. Altri tentativi
terapeutici, che coinvolgono anche l’impegno
diretto di MSF, prevedono l’utilizzo di emoderivati
(sangue e plasma) di pazienti Ebola guariti e del
farmaco antivirale favipiravir (Guéckédou,
Guinea).
Ma l’ebola non ha ucciso solo attraverso l’infezione,
ci sono state, infatti, anche le morti indirette,
legate all’impossibilità di curare altre malattie
che si sono sviluppate a causa dei servizi sanitari
collassati e dei tanti ospedali chiusi. La malaria
è endemica in queste zone e rappresenta il killer
numero uno, soprattutto per i bambini sotto i 5 anni
di età. Per questo motivo, Medici Senza Frontiere
ha iniziato la distribuzione di massa di antimalarici
in Sierra Leone: più di 1,5 milioni di dosi di
farmaci sono stati distribuiti e un secondo round
di distribuzione è stato fatto all’inizio del 2015.
I più a rischio sono stati i sanitari che hanno curato le
persone infette o che si sono occupate di seppellire in
maniera sicura e adeguata i morti. 500 i morti in totale,
tra cui anche 13 morti tra i nostri sanitari MSF.
MSF non vuole dimenticarli, per questo,
in questo spazio vogliamo elencarli tutti:
Sono Momory Tolno, Lassana Mammey,
Malikee Syron, Eric Tamba, Joseph Teah,
Mohamed Kaikai, Ellie Morris, Issa Kargbo,
Emmanuel Enssah, Finda Andrew, Manty
Diawara, Mary Gboundu e Jeremiah Sengbe.
Sono questi i nomi degli eroi che, insieme a
tutti gli altri operatori umanitari (medici e non
medici) hanno contribuito a salvare numerose vite,
combattendo lo stigma e la paura della malattia e
dando l’esempio di cosa vuol dire MSF: prossimità
a colui che soffre, soprattutto quando è dimenticato
La testimonianza di Luca, logista di MSF
al rientro dalla missione in Sierra Leone
durante l’inizio della epidemia che racconta
cosa vuol dire lavorare per tentare di
fermare Ebola
Il caldo, le poche ore di sonno, la paura ma
anche il coraggio e la speranza di salvare vite
umane in una corsa contro il tempo
“Appena arrivai in Sierra Leone la prima cosa che
ricordo è la missione di esplorazione per conoscere il
primo paziente. La prima persona a morire d’Ebola,
seguita dai suoi amici, dalla sua famiglia. La malattia
si diffondeva velocemente e a questi seguirono altri
amici, altre famiglie.
Così iniziò la nostra corsa contro il tempo per
fermare questa malattia tanto subdola da uccidere chi
si prende cura di chi sta male.
MSF sin dall’iniziò impiegò centinaia di persone
per gestire i pazienti e per convincere le persone dei
villaggi della pericolosità della malattia, spiegando
come proteggersi, ma i posti letto e le persone non
erano sufficienti. Così quando la malattia arrivò
a Bo, la seconda città del paese e a Freetown, la
capitale mentre noi cercavamo di aiutare gli ospedali
governativi che non riuscivano a gestire l’emergenza
fu deciso di fare un altro sforzo e cominciò la
costruzione del più grande ospedale del Paese.
Dall’Europa ci arrivò tutto il necessario. Un’impresa
locale ci aiutò con ruspe e bulldozer. Centinaia
di persone accorsero dai villaggi per aiutarci,
consapevoli e orgogliosi di poter fare qualcosa per
contribuire a fermare la malattia.
Lavoravamo dall’alba a mezzanotte, finché
la struttura non fu pronta. Lasciammo da
parte gli attrezzi per prendere spazzole
e sapone. Le nostre mani si coprirono di
guanti, gli occhi di maschere e occhiali,
il corpo di una tuta gialla per il nuovo
“lavoro”, anche se forse sarebbe più
corretto dire per la nuova missione. E da
lì partimmo, pronti alla battaglia con il
nemico, in cui non era previsto nessun
margine di errore. Ma avevo fiducia
nell’éqipe. La mia vita era nelle loro mani,
come la loro nelle mie”.
S T O P A I FA R M
ACI A
V I TA
LA CAMPAGNA DI CERIFOS
Per le patologie tiroidee la soluzione è prendere
in carico la malattia a 360 gradi
Si trova nella parte anteriore del collo, davanti e intorno alla trachea e ha la forma di una farfalla, una “farfalla” molto preziosa per noi, visto
che la tiroide è una ghiandola endocrina che svolge la sua azione in tutto l’organismo, producendo ormoni che regolano l’attività di ogni cellula.
Ecco perché in presenza di alterazioni nelle sue
funzioni è tutto il metabolismo a pagarne le spese.
Spesso queste disfunzioni
sono
difficili da individuare: sovrappeso,
dolori
articolari,
debolezza muscolare, crampi, nervosismo, depressione,
sono infatti tutti
sintomi che possono
nascondere
una
disfunzione
alla tiroide, ma
che
difficilmente
indirizzano verso
la giusta diagnosi.
Non a caso, attualmente oltre il 50% delle persone
che soffrono di disturbi alla tiroide non è consapevole della propria condizione patologica. Le conseguenze del ritardo nella diagnosi e, di conseguenza, del
trattamento terapeutico sono una gestione della malattia più difficile e il rischio di maggiori effetti collaterali.
Ma non solo. Una volta individuata, anche la gestione della patologia oggi è inadeguata, come chiarisce il dottor Samorindo Peci, endocrinologo e direttore del Centro di Ricerca e Formazione scientifica
Cerifos, la cui attività di ricerca è da sempre incentrata anche sulla cura della tiroide: «Nella maggior parte
dei casi la cura ai pazienti si limita alla prescrizione di
un farmaco, l’Eutirox, da assumere a vita, che diventa
così una schiavitù da cui si è strettamente dipendenti.
Cerifos per ripristinare la fisiologia della tiroide punta
invece ad attuare su ogni paziente un approccio individualizzato e integrato che prevede, oltre alla cura
farmacologica, un adeguato supporto nutrizionale
e la presa in carico a 360 gradi anche degli aspetti
conflittuali che sono a monte delle patologie tiroidee.
«Oggi sappiamo bene quanto gli stili di vita incidono e predispongono alla malattia, per questo è
impensabile
approcciarsi alla malattia senza tener conto di questi aspetti.
Lo stress, ad esempio è
anche un sintomo di determinate carenze di minerali e vitamine, cioè
sintomo di malnutrizione.
Se i meccanismi naturali difensivi rispondono
alle necessità di ogni individuo, le funzioni della tiroide rispondono ai
fabbisogni energetici dei
momenti stressanti, ma
se al contrario la produzione di energia è insufficiente, lo stress imposto alle stesse ghiandole per
lungo tempo le esaurisce: queste diventano carenti croniche e tendono a non funzionare più».
Anche l’alimentazione gioca un ruolo di primo piano.
«Se già per ognuno di noi la dieta dovrebbe essere
messa a punto in modo individualizzato, a seconda del fabbisogno e delle caratteristiche metaboliche, a maggior ragione chi soffre di patologie tiroidee ha bisogno di un esperto al fianco che, come
un sarto, elabori una dieta alimentare su misura».
Oggi nel nostro Paese le patologie tiroidee colpiscono circa 6 milioni di persone, di cui la maggior parte
donne e che, secondo le più recenti stime, è destinato
ad aumentare
visto che entro
le fine del 2015
le previsioni
parlano di circa 6 italiani
su 10 che si
ammaleranno di tiroide.
«Alla luce di
questi dati Cerifos già in
passato, in diverse occasioni, ha lanciato
delle campagne
sulla
prevenzione delle patologie tiroidee, ma oggi
puntiamo oltre: a sensibilizzare, cioè, sull’importanza di un approccio multidisciplinare.
Focalizzarsi su un solo aspetto della malattia e limitarsi alla prescrizione di un farmaco da assumere a vita, per noi non significa curare la malattia.
Quindi, dopo aver effettuato sui pazienti valutazione endocrinologica ed endocrinochirurgica con esami di laboratorio e strumentali (ecografia tiroidea ed
esami laboratoristici del TSH) e in caso di patologia
tiroidea, in una sola giornata, seduta stante offriamo
il consulto del floriterapeuta, del nutrizionista e
un colloquio con un esperto del nostro staff per iniziare il percorso analitico necessario per affrontare gli aspetti conflittuali alla base del disturbo.
Gli appuntamenti vengono prenotati nella stessa giornata perché conosciamo bene il valore del tempo e rispettiamo anche questo aspetto fondamentale della vita dei nostri pazienti».
di Vera Paola Termali
Il Centro di Formazione Scientifica
Cerifos si trova
in via Paisiello 24, Milano
via Lambertenghi 21, Como
Per informazioni [email protected]
tel. 02. 26416162
tel. 031.267535
COLLABORA CON NOI
Sei un ricercatore?
Sottoponici il tuo progetto!
Vuoi scrivere un articolo su ricerca,
scienza e medicina?
Mandalo a [email protected]!
Vuoi un partner per la ricerca?
Scrivi a [email protected]!
Vuoi condividere un’idea sulla salute?
Informaci!
Le nuove frontiere della traumatologia
Il dottor Concetto Battiato, direttore dell’Unità Operativa Complessa
di Ortopedia e Traumatologia di Ascoli Piceno e capo del Dipartimento
Chirurgico della stessa Azienda Ospedaliera, è il protagonista di importanti innovazioni tecnologiche nel campo dell’osteosintesi di fratture
complesse. Ve le facciamo conoscere
L’intervista al dottor Battiato
(Tratta da Il Sole 24 ore)
“Indigando la trasmissione dei carichi
all’osso fratturato dopo l’applicazione di
un mezzo di sintesi, mi sono accorto che i
mezzi di sintesi in commercio avevano un
comportamento che si modificava nel tempo
in maniera non controllata, legata alle
proprietà meccaniche del mezzo impiantato.
Questo è in disaccordo con la biologia del
callo osseo ripartivo, che sperimentalmente
ha bisogno di diversi ‘momenti meccanici’
per ogni fase del processo di guarigione.
Il mezzo di sintesi non poteva adattarsi alla
biologia che richiede fasi di stabilità assoluta
(silenzio meccanico) e fasi di compressione
guidata lungo l’asse di carico per assicurare un
miglior processo di guarigione. Così ho pensato
di modificare il costrutto delle classiche placche
a stabilità angolare, rendendole dinamizzabili
grazie al loro inserimento in slitte particolari,
che possono venir bloccate e sbloccate in
relazione alle fasi del processo ripartivo e alle
esigenze biomeccaniche del focolaio: i risultati
ottenuti in questi 6 anni sono entusiasmanti”.
OSTEOSINTESI CON NUOVA
PLACCA A STABILITA’ ANGOLARE
DINAMIZZABILE (DIF)
Concetto Battiato, MD*; Andrea Angelini, MD;#
*Clinica Ortopedica e Traumatologica, Asur Marche
Area Vasta 5, Ascoli Piceno, Italia
#II Clinica Ortopedica, Università di Bologna,
Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italia.
Conflitto di interesse: Nessuno
Corresponding Author:
Concetto Battiato, MD
Clinica Ortopedica e Traumatologica,
Asur Marche Area Vasta 5
Ascoli Piceno, Italia
Coautor:
Andrea Angelini, MD
Università di Bologna,
Istituto Ortopedico Rizzoli
II Clinica Ortopedica
Via Pupilli, 1; 40136, Bologna, Italia
INTRODUZIONE
Lo scopo dello studio è quello di presentare i
risultati preliminari nel trattamento di osteosintesi
di fratture del femore con una nuova placca
a stabilità angolare dinamizzabile chiamata
“Dynamic Internal Fixator (DIF ® Intrauma
S.r.l., Rivoli (TO), Italia). Figura 1
Questo sistema innovativo di osteosintesi fa parte
della famiglia dei fissatori interni, ma presenta
caratteristiche ibride che unificano i vantaggi
delle placche a stabilità angolare con la possibilità
di dinamizzare il sistema quando necessario.
Infatti questo sistema permette di modulare la
compressione in corrispondenza
del sito di frattura, in analogia
con i fissatori esterni ma senza gli
svantaggi tecnici e clinici degli
stessi. Sono inoltre riportate le
caratteristiche
biomeccaniche
del sistema ed i risultati clinici/
radiografici preliminari in una
casistica omogenea di fratture di
femore.
MATERIALI E METODI
Dal 2009 al 2013 sono state
effettuate 13 osteosintesi per
fratture di femore con DIF presso
il nostro Istituto. Sono stati esclusi
dallo studio un paziente perso
al follow-up e due pazienti con
follow-up insufficiente (inferiore
a 6 mesi). Sono stati quindi analizzati 10 pazienti (5
maschi e 5 femmine) con frattura di femore, trattati
ad un’età media di 61 anni (range 26-85 anni).
Le fratture, classificate secondo i principi dell’AO
erano di tipo 33A3 in 3 casi, 31A3 e 32C2 in 2 casi
ciascuno e 32A1 in un caso. Un paziente ha riportato
una frattura periprotesica di tipo B1 secondo la
classificazione
di
Vancouver [1].
Italia).
In tutti i casi è
stata eseguita una
osteosintesi con DIF
utilizzando viti di
bloccaggio diafisarie
su due piani differenti
e vite di bloccaggio
del
sistema
di
dinamizzazione.
In 6 casi è stato
associato all’impianto
un cerchiaggio a
basso contatto con
monofilamento
da
1,5 mm e spaziatori
(Batbridge ® Intrauma
S.r.l., Rivoli (TO),
Quando possibile la tecnica è stata effettuata con
approccio mininvasivo “MIPO”. I pazienti sono stati
seguiti con un follow-up clinico-radiografico mensile
fino alla completa guarigione della frattura. Figura 2
RISULTATI
Il follow-up medio è stato di 11 mesi (range
6-20 mesi). La dinamizzazione dell’impianto è
stata effettuata mediamente a 52 giorni (range
40 – 62 giorni) dall’intervento in relazione alla
valutazione radiografica al primo controllo
postoperatorio. Il tempo medio di formazione
del callo osseo valutato radiograficamente è stato
infatti di 58 giorni (range 41 – 99 giorni) ed il
tempo medio di fusione ossea è stato di 4,6 mesi
(2,4 – 12,5 mesi). Il primo paziente della nostra
casistica trattato con questa tecnica innovativa
per una frattura 33C2, ha riportato un ritardo di
consolidazione ed è stato rioperato dopo 4 mesi
di follow-up con inchiodamento endomidollare.
Un paziente con frattura
33A3
ha
sviluppato
una
pseudoartrosi
ed
è stato rioperato a 10
mesi di follow-up con
rimozione dell’impianto,
inchiodamento retrogrado
ed innesti ossei autologhi
prelevati con “Reamer
Irrigation
Aspirator”
(RIA). La fusione è stata
finalmente ottenuta a 12,5
mesi dalla frattura. Un
paziente ha riportato rottura
del cerchiaggio senza
implicazioni cliniche.
DISCUSSIONE
Alla fine del secolo scorso
e nei primi anni del 2000 si sono affacciati sul
mercato un nuovo gruppo di mezzi di osteosintesi
chiamati fissatori interni, per analogia con i
fissatori esterni e per le loro caratteristiche che
li differenziavano dalle placche convenzionali.
In vero già nel 1974 in Polonia il Polfix di W.
Ramotowski utilizzava un sistema di bloccaggio
a stabilità angolare delle viti sulla placca [2].
Questi nuovi mezzi di sintesi permettevano
la realizzazione di un costrutto osteosintetico
molto resistente, che ha permesso di ottenere
risultati molto soddisfacenti anche nell’osso
osteoporotico [3-5]. Con il diffondersi di tali
metodiche di sintesi si sono però anche evidenziati
i limiti strutturali dei sistemi a stabilità angolare
e sono comparsi i primi lavori sugli insuccessi
[6]. Queste complicanze sarebbero dovute alla
rigidità del sistema che non consente nel tempo
di modificare le sue caratteristiche meccaniche.
Studi recenti [7] hanno infatti evidenziato
come sia utile la stimolazione meccanica del
focolaio di frattura per accelerare il processo di
guarigione dopo un periodo di silenzio meccanico
Nel 2008 veniva impiantata presso l’Azienda
Ospedaliero-Universitaria di Udine, la prima placca
a stabilità angolare che rispondeva alla necessità
biomeccanica del focolaio di frattura di modificare
le sollecitazioni meccaniche durante il processo di
guarigione. A tale placca venne dato il nome di DIF
(Dynamic Internal Fixator) perché costituita da una
placca a stabilità angolare classica inserita su una
slitta di scivolamento (analoga alla placca di Medoff
[9] con un sistema di bloccaggio e sbloccaggio tra la
placca e la slitta). Tale sistema appartiene al mondo dei
cosiddetti fissatori interni (cioè
placche a stabilità angolare)
che però sono state modificate
in modo da poter essere
dinamizzate
all’occorrenza.
Tale sistema consente quindi
di modulare la compressione
o meno del focolaio di frattura
durante il postoperatorio e
durante il carico, in analogia a
quanto possibile con i fissatori
esterni. Tra le caratteristiche
biomeccaniche
innovative,
la possibiltà di scivolamento
della placca scarica le forze
angolari di flessione (momento
flettente) trasformandole in
“sliding”, esercitando quindi
una compressione assiale.
Inoltre un trattamento combinato, utilizzando impianti
moderni associati anche a tecnologie relativamente
semplici come il cerchiaggio [10], permette di
ottenere buoni risultati anche in fratture complesse
(sempre più frequenti in relazione all’età avanzata
ed ai traumi maggiori) come le pluriframmentarie e
periprotesiche femorali.
CONCLUSIONI
La DIF conferisce una osteosintesi con stabilità
angolare associata alla possibilità di aumentare la
compressione del sito di frattura durante il processo
di guarigione. La casistica presentata riflette la
complessità di alcuni quadri clinici e dai risultati
preliminari emerge come questa nuova placca sia
un impianto moderno dinamizzabile che contribuirà
in futuro al miglioramento del trattamento di queste
fratture.
Nostra Signora Malasanità
di Fabrizia Antonello
Basta gettarla in
pasto nei motori di ricerca per
avere in pochi secondi pagine e pagine di articoli.
Interventi sbagliati, imprecisioni sui
protocolli, distrazioni, negligenze,
errori fatali, carenze
di posti letto, tutto
in un unico calderone, come se anche
queste fossero colpe dei medici.
Ed ecco che, appena il tempo di scorrere il titolo con gli occhi, si torna a
puntare il dito contro quell’esercito di professionisti o
presunti tali, che svolge con tanta imperizia il proprio
mestiere. Incompetenti, sfaticati, scontrosi, incomprensibili. Criminali. E l’immagine di quella moltitudine
di professionisti che nel silenzio, nella fatica, giorno
dopo giorno combatte per strappare alla morte la vita
di chi è nelle loro mani, scivola via, come inghiottita.
Il percorso che porta un medico a diventare tale, si sa
bene, richiede circa 10 anni di studio tra banchi universitari e tirocini in corsia così, ogni tanto, potrebbe
anche assalire il vago dubbio che, in fondo, nessuno
di loro, se non altro per amor proprio, nutra davvero
l’idea di sbagliare, di ferire, uccidere. L’errore va pagato, certo, ma qual è il prezzo che tutti i professionisti della sanità pagano, anche quando non sbagliano?
Secondo l’Agenas altissimo. Dalla ricerca recentemente condotta in Lombardia, Marche, Sicilia e Umbria i dati che riguardano la medicina difensiva rimandano infatti un quadro inequivocabile che costringe
a qualche riflessione in più: si parla di un costo di
circa 10 miliardi l’anno, pari al 10,5% della spesa sanitaria. Dieci miliardi l’anno. (www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=8034421.
pdf Per leggere il documento completo).
L’Agenas fa sapere che il 58% dei medici dichiara apertamente di praticare medicina difensiva e che
il 93% del campione ritiene che siano anche numeri
destinati ad aumentare. I motivi sono ovvi: una
legislazione sfavorevole per il medico, la paura di essere citati in giudizio e il timore di uno
sbilanciamento del rapporto con il paziente. Il
tutto in un momento in cui, lo stipendio in busta paga non ha il peso di un tempo, i turni sono
sempre più pesanti, la burocrazia più assillante.
Con sentenza, depositata il 31 gennaio 2013, la
IV sezione penale della Corte di Cassazione, in
linea con l’articolo 3 della legge Balduzzi, ha depenalizzato la colpa lieve del medico: così, da allora l’esercente la professione medica che, nello svolgimento della propria attività, si attiene
a linee guida e, come recita la legge, alle “buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica”
non risponde penalmente per colpa lieve. Uno
spiraglio, forse. Ma non certo una porta aperta.
Quali soluzioni dunque in questo contesto, se non
continuare a svolgere la propria professione in un
costante lavoro di perfezionamento, dimostrando
fattivamente la volontà a volersi migliorare, confrontare e sottoporsi, senza alcun obbligo, ma solo
per spirito di ambizione al miglioramento, nella pratica medica e nell’immagine che si ha di se stessi?
È per questo che oggi i servizi di certificazione,
spesso con una forza maggiore di qualsiasi cartella
clinica, possono rappresentare la reale,
sicura e preziosa garanzia alla professione, offrendo protezione all’operato del
medico e attestando la
sua volontà di garantire ai pazienti il più elevato livello professionale.
Quanto meno la sua volontà. L’errore, certo, quello
è umano come ci ricordano i latini e non inammissibile.
I servizi di certificazione però non sono tutti uguali. Perché una certificazione di eccellenza possa
dirsi realmente efficace sono infatti imprescindibili
alcuni parametri: che si tratti di un ente che ha sviluppato standard rigidi conformi a quelli internazionali, che abbia valore oltre i confini nazionali
e che possa garantire un ruolo di inter pares. Tutte
caratteristiche di HCI, sigla che sta per Health
Certification and Insurance, un marchio europeo
di proprietà di Atp GmbH, partner di Cerifos.
La certificazione HCI offre la garanzia di essere
valutati da un ente terzo, credibile sul piano internazionale. I requisiti per la certificazione HCI sono
studiati per ridurre ai minimi termini le possibilità
di rischio per i pazienti e gli standard per le diverse specialità certificate sono elaborati a misura alla
professione stessa. Certificarsi HCI vuol dire inoltre raggiungere standard elevati che facilitano l’accesso a polizze assicurative vantaggiose.
CONTATTI
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tel. 02.26416162
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sulla Certificazione in ambito sanitario
L’autovaccino per combattere le allergie è tra le pratiche più diffuse
in Germania. In Italia ad effettuarlo è solo un Centro: CERIFOS
Pollinosi, dermatiti allergiche, asma bronchiale.
Alle porte della primavera le affezioni tipiche
di questo periodo tornano puntualmente in
primo piano, quando si torna a fare i conti
con naso che cola, starnuti e solletico in gola.
Tuttavia, per un gran numero di persone, il
problema non è legato alla stagione, ma cronico.
Secondo le ricerche Cerifos, la soluzione per questi
pazienti è l’autovaccino, specialmente nel caso
di allergie e di
patologie
per
le
quali esista anche
soltanto il sospetto
di
una
reazione
autoimmune.
«Noi
medici
sappiamo bene quanto
le affezioni croniche
siano invalidanti per
il paziente, difficili
da trattare, e quanto
soprattutto i più anziani mal sopportino il carico
collaterale che le cure tradizionali portano con sé»
spiega il dottor Samorindo Peci, direttore scientifico
di Cerifos. «Per questo la terapia che promuoviamo è
quella dell’autovaccino, una pratica che, ad esempio,
nel mondo germanico ha una lunga tradizione alle
spalle, sia per quello che riguarda le malattie croniche,
sia per impedire il ripresentarsi continuo di recidive o
di infezioni diverse».
L’autovaccino è una preparazione farmaceutica che si
può produrre partendo dal materiale biologico di ogni
individuo, e che, attraverso la liberazione di citochine,
è capace di migliorare le difese immunitarie delle
mucose e di svolgere un effetto immunomodulante. È
prodotto in fiale iniettabili o inalabili, e in gocce per
l’assunzione orale e la durata della cura è rapportata
all’intensità delle reazioni e dal tempo di sofferenza
di questa patologia, quindi, ad esempio, in pazienti
che hanno sofferto di queste malattie per molti anni
generalmente si prevede anche un richiamo di un paio
di mesi, dopo un anno dal primo trattamento.
Quando
fare
trattamento
il
Per
preparare
un
autovaccino
ematico
il medico preleva del
sangue al paziente
e
lo
spedisce
al
laboratorio con apposito
conservante. In caso
di malattie acute il
momento migliore per
fare il prelievo è quello
dell’apice sintomatico,
proprio perchè presenta un alto titolo di anticorpi
patogeni. Mentre nel caso si rendesse necessario un
intervento urgente con immunosoppressivi, il prelievo
deve essere fatto prima della prima somministrazione.
Nelle malattie croniche il momento migliore per il
prelievo è quello della poussé acuta. Se il paziente è
sotto terapia cortisonica, essa dovrebbe essere ridotta
a 2,5-5 milligrammi al giorno, prima di effettuare
il prelievo. Dopo 30-40 giorni il medico riceve i
flaconi, di cui uno contiene la matrice e gli altri le
diluizioni. Il medicinale può essere iniettato con
modalità intracutanea, sub-cutanea, intramuscolare,
o per via orale, sostituendo i tappi perforabili in
gomma con gli erogatori
di gocce con una pinzetta
sterile. Per la posologia
e la somministrazione
bisogna, però, seguire
le
indicazioni
del
medico.
L’intervallo
fra un’iniezione e l’altra
non deve superare i
4 giorni. Mentre nei
bambini e in pazienti
adulti
particolarmente
refrattari alle iniezioni,
il trattamento può essere
effettuato anche per aerosol.
Cosa succede con l’assunzione
Gli antigeni arrivano negli strati subepiteliali della
mucosa, dove si ha una migrazione di linfociti
che si differenziano nel linfonodo mesenterico
e raggiungono, attraverso il dotto toracico e il
flusso sanguigno, la mucosa del tratto respiratorio,
urogenitale e gastrointestinale. Qui poi, avviene la
formazione di anticorpi attraverso il nuovo contatto
con gli antigeni. L’attivazione dei linfociti viene
affiancata, sempre nel subepitelio, da un’attivazione
dei fagociti e da una liberazione di citochine, che
aumentano le risposte immunitarie. L’assunzione di
autovaccini, infatti, stabilizza la funzione di trasporto
della mucosa, regola le reazioni del sistema, dovute
ad un incremento di allergeni, aumenta la capacità di
far barriera della mucosa attraverso la secrezione di
IgA e rafforza la microflora fisiologica.
I vantaggi dell’autovaccino
I vantaggi di questa terapia sono moltissimi. Prima
di tutto per procedere non è necessario conoscere
l’antigene e l’allergene, né fare un test allergologico.
In più, non ci sono effetti collaterali né limti di età.
L’inizio della terapia è possibile anche in fase acuta e
per tutti quei pazienti con allergie multiple.
Durata della terapia
La durata dipende dall’intensità delle reazioni e dal
tempo di sofferenza di questa patologia. In pazienti
con allergie stagionali e asma bronchiale si produce
un ciclo di terapie all’anno. Il primo anno il periodo
d’inizio della terapia non ha importanza. L’anno
successivo conviene iniziare prima della stagione delle
allergie. Mentre, in pazienti multiallergici occorre
prelevare il sangue più volte in corrispondenza con le
manifestazioni dei sintomi e richiedere al laboratorio
un cocktail di controsensibilizzazione che verrà usato
l’anno successivo, anch’esso prima della stagione delle
allergie. Infine, in pazienti cronicamente allergici,
sofferenti di asma bronchiale o malattie autoimmuni,
si possono ordinare 2-3 cicli a partire dalla stessa
matrice, facendo attenzione alle date di scadenza.
Come conservare il vaccino
Il vaccino si conserva in frigorifero a temperature fra i
4 e gli 8 gradi e non deve essere congelato. La matrice
si conserva per due anni dalla data di preparazione, le
diluizioni per sei mesi.
di Vera Paola Termali
Chi trova un bando trova un tesoro:
ma lo saprà usare?
di Carlo Fidanza
In tempi di crisi e strette sul
credito è proprio vero: chi trova un bando trova un tesoro.
tempo con progetti di nessuna fattibilità
e elaborati con tecniche di redazione sbagliate.
I bandi di Horizon 2020,
pacchetto comunitario da
80 miliardi per la ricerca e
l’innovazione, non possono
non allettare enti pubblici,
aziende e ricercatori che si
muovono sempre più affannosamente nel cercare di
elaborare progetti convincenti e orientarsi nella
giungla dei fondi diretti
erogati dalla commissione o di quelli indiretti, gestiti da autorità nazionali
e regionali. Ma cercare
bandi e scrivere progetti
europei è alla portata di
chiunque?
No. La sentenza è presto
detta, basta leggere l’ammontare dei fondi che in
Italia restano inutilizzati
per mancanza di competenze. D’altronde, per
affrontare gli standard
elevati della Commissione Europea serve padronanza nelle tecniche di
redazione della proposta
di progetto, competenza nella delicata fase di gestione e
rendicontazione, una buona
conoscenza del contesto istituzionale e sociale di riferimento.
Cerifos Consulting, costola di Cerifos, è
proprio questo: una società di consulenza
e servizi per le imprese attiva nel campo
della progettazione presso le istituzioni europee, nazionali, regionali e locali.
Affidarsi a chi possiede queste competenze permette
dunque di evitare di perdere
«Potendo contare su una fitta rete di re-
mentare europeo tra le fila del
gruppo Cerifos.
«Seguiamo i progetti dei
clienti in ogni fase: dapprima con una prevalutazione
del progetto e con lo studio di
fattibilità, poi con la sua redazione e presentazione, in più,
grazie alla rete di conoscenze
di cui disponiamo, possiamo
effettuare anche la
ricerca partner, qualora il bando lo richiedesse.
Ci occupiamo, infine, della gestione e
supervisione amministrativo-contabile,
operando un monitoraggio permanente delle varie
fasi operative del
progetto, step intermedi indispensabili
all’erogazione delle
successive tranches
di finanziamento.
lazioni istituzionali di primo livello in
ambito europeo e nazionale offriamo
consulenza sui finanziamenti europei,
assistenza a PMI, Università, Centri di
ricerca, enti pubblici e privati nei più
diversi settori: sanità, ricerca e innovazione, fino a ambiente ed anergia, agricoltura, turismo, riqualificazione territoriale,
sviluppo locale e cooperazione internazionale» spiega Carlo Fidanza, ex parla-
Per le aziende o
gli enti, pubblici o
privati avere a disposizione
un’interfaccia
con l’Europa che conosce
bene il contesto europeo con
cui interagisce e, allo stesso
tempo, padroneggia il progetto dall’interno equivale
certamente ad un notevole
risparmio di tempo e ad una
maggiore efficacia nell’ottenimento dei risultati».
Sai cosa finanzia l’Europa?
Ecco i cosiddetti tre pilastri all’interno
dei
quali
devono
collocarsi i progetti in cerca di finanziamento.
I bandi escono ogni due anni, ma non occorre rimandare: quando uscirà quello giusto per il vostro progetto, esso dovrà già essere ben delineato.
L’obiettivo, a grandi linee, del nuovo programma di finanziamento della Commissione Europea, è ottenere risultati tangibili che creino impatto sociale ed
economico a beneficio dei cittadini europei.
www.cerifos-consulting.eu
[email protected]
Tel. +39 02.26416162
L’iniziativa
Metti il cuore in cassaforte
Da un’iniziativa ANMCO, il progetto BANCOMHeart: la banca del cuore che semplifica
ai cittadini la gestione della propria salute e
aiuta il lavoro dei medici
C’è un modo nuovo per tutelare la salute del nostro cuore: metterlo al sicuro in banca. Nel 2015, grazie all’impegno di ANMCO - Associazione Nazionale Medici
Cardiologi Ospedalieri e di Fondazione “per il Tuo
cuore” HCF Onlus, nasce infatti la Banca del Cuore:
un’iniziativa, diffusa su tutto il territorio nazionale attraverso la rete delle Cardiologie ANMCO, per offrire
a ogni cittadino la possibilità di prendersi cura del proprio cuore, anche lontano da casa, in viaggio o quando
non è possibile raggiungere il proprio medico.
Si tratta di una cassaforte virtuale che custodisce l’elettrocardiogramma, i valori della pressione arteriosa
e i principali dati clinico-anamnestici, ad esempio,
la presenza o meno di diabete, di pregresso infarto
miocardico, di fibrillazione atriale, di ipertensione, e
li rende disponibili sempre, grazie al BancomHeart”,
una card riportante le credenziali individuali, cioè
User Id (il codice fiscale) e password personale conosciuta solo dal cittadino/utent, e ad un computer, tablet
e smartphone che sia. È sufficiente essere connessi a
Internet per potere, accedere ai propri ECG e ai dati
clinici inseriti, e consultarli, scaricarli o stamparli.
COME ADERIRE
Aderire è semplice e non costa nulla: l’elenco delle
cardiologie che fanno parte della rete della Banca del
Cuore è disponibile su www.anmco.it o su www.bancadelcuore.it: il cittadino farà riferimento alla struttura a lui più vicina.
In queste strutture è possibile effettuare l’elettrocardiogramma (la modalità di prenotazione sono differenti per le diverse strutture, e sono riportate sul sito). Al
termine della visita, l’ECG viene caricato in formato
pdf sul server della Banca del Cuore e contestualmente viene consegnata la card BancomHeart con le credenziali personali. Collegandosi al sito e attivando la
card sarà possibile consultare, da soli o con il proprio
medico di famiglia o specialista, e in qualsiasi
contesto (ad esempio, in occasione di un accesso in Pronto Soccorso in un ospedale lontano da
casa) il proprio elettrocardiogramma e i propri
dati clinici, visionarli e/o scaricarli. Ogni cardiologo, ma anche ogni medico non specialista,
conosce bene l’importanza di poter comparare
un ECG appena eseguito a un eventuale precedente tracciato di base, insieme al dato pressorio abituale del paziente e alle principali affezioni cardiologiche eventualmente associate.
Novità assoluta nel panorama sanitario, La
Banca del Cuore è dunque un enorme registro
elettronico, senza limiti temporali né data di
scadenza, in grado di raccogliere i dati sanitari (anamnesi cardiologica, ECG e pressione
arteriosa) potenzialmente di ogni cittadino italiano. Un progetto per ora unico al mondo che
permetterà al cittadino di consultare personalmente o di mettere a disposizione del medico
che lo ha in cura informazioni che, in alcuni
casi, possono rivestire un’importanza vitale:
una vera e propria rivoluzione in grado di semplificare la gestione della propria salute ai cittadini e il lavoro ai medici.
Grazie a questo sistema i dati relativi alla propria salute cardiovascolare saranno al sicuro,
disponibili anche in caso di smarrimento della
documentazione cartacea e accessibili in qualunque momento, anche dall’estero. Inoltre, la
creazione di un mega archivio ECG consentirà
anche lo screening aritmologico di condizioni
misconosciute e potenzialmente pericolose.
Anna Frisinghelli
Cardiologia riabilitativa “G. Salvini”, Garbagnate Milanese
SEDIMENTEST
La scoperta MADE IN CERIFOS per valutare la funzionalità del nostro organismo si
conferma come uno degli strumenti più preziosi nell’individuazione dei disturbi
intestinali e nella diagnosi di disbiosi
di Vera Paola Termali
Il SedimenTest, o nella sua versione non abbreviata
“test del sedimento urinario”, ideato dal dottor
Samorindo Peci, è l’esame che ha dimostrato
essere uno dei migliori alleati nella valutazione
della funzionalità dell’organismo, in modo di
gran lunga superiore agli altri approcci esistenti.
Il test facile, poco costoso e per nulla
invasivo, parte da una semplice premessa:
«Una cattiva digestione di carboidrati, proteine
e grassi, comporta sempre la presenza di vari
sedimenti nelle urine e, attraverso il SedimenTest
si evidenziano
queste sostanze
- spiega il dottor
Peci-.
Ogni
macronutriente
ha, infatti, un
suo specifico
segmento:
la
presenza
di fosfato di
calcio
nel
sedimento urinario si ricollega al malassorbimento
dei carboidrati, l’acido urico è il residuo del
malassorbimento delle proteine, e l’ossalato di calcio
è il residuo del malassorbimento dei grassi.
Così, a seconda dei risultati che il test rivela è possibile
capire cosa l’organismo assimila e cosa no».
Solo attraverso questi dati è, infatti, possibile capire
qual è il miglior regime alimentare da fare seguire
al paziente o nel caso di disturbi più complessi,
quali sono gli interventi nutrizionali e terapeutici
più adatti.
«Nella mia esperienza di medico endocrinologo si
è sempre rivelato il più utile in fase diagnostica,
sia per la facilità di esecuzione sia per l’esattezza
scientifica; e anche i pazienti sembrano apprezzare,
visto che è stato sempre più richiesto. Una scelta
facilmente spiegabile – continua il dottor Peci- se
si pensa che invece di sottoporsi ai mille esami
per le intolleranze alimentari, con un’analisi delle
urine si possono avere gli stessi risultati. La forza
di questo strumento è il fatto di essere semplice,
rapido, economico e accessibile universalmente».
Il SedimenTest attraverso lo studio dei cataboliti urinari
e della loro concentrazione, permette di valutare
la sindrome da intestino irritibile, l’insufficienza
pancreatica, la disbiosi, ma anche di rilevare gli
eventuali danni causati da una dieta non appropriata.
«Questo esame è utile anche quando non si è in
presenza di una patologia, ma si vuole semplicemente
stabilire qual è il migliore regime alimentare da
seguire dando
indicazioni su
cosa ciascuno
digerisce senza
problemi e cosa
no - aggiunge
il suo ideatore,
il
dottor
Samorindo
Peci -. Infatti
- spiega - una
dieta, per funzionare, deve essere necessariamente
personalizzata sulle caratteristiche e sui bisogni del
paziente. Non esistono alimenti che fanno bene o male
in assoluto, tutto dipende dalle caratteristiche fisiche
e metaboliche di ciascuno di noi. Un’evidenza che
tuttavia oggi, con il proliferare di diete che si professano
come “miracolose per tutti”, è bene ribadire».
In più, in una fase successiva, lo stesso Sedimentest
permette anche di monitorare l’andamento della
dieta stessa, visto che quando si intraprende un
regime alimentare diverso è fondamentale tenere
sempre sotto controllo le inevitabili modificazioni
del metabolismo.
Al test possono sottoporsi tutti. Unica avvertenza
è quella di fare l’esame delle urine al mattino e a
stomaco vuoto. Infatti, gli alimenti potrebbero
intereferire con i risultati degli esami. «Per fare un
esempio, alti livelli di ossalati di calcio possono anche
essere il risultato di un consumo elevato di caffè, tè,
cioccolato o vitamina C. Mentre un’alimentazione
troppo ricca di carboidrati o zuccheri raffinati (detta
anche “junk diet” o “dieta spazzatura”) può causare
una perdita di
calcio attraverso
le
urine».
Infine,
per
avere un quadro
clinico completo
e per verificare i
dati risultati dal
test, è possibile
sottoporsi
ad
altri tipi di
esami: «Grazie
al test del peso
specifico delle
urine
possono
essere individuati
p r o b l e m i
di
disidratazione,
disfunzioni
renali
e diabete - spiega il dottor Peci -.
Il test del calcio dà indicazioni sull’acidità dello
stomaco: infatti, se i livelli di calcio nelle urine sono
alti, ciò è probabilmente dovuto a un’alimentazione
troppo ricca di grassi e zuccheri raffinati, mentre
livelli bassi di calcio nelle urine sono associati a
problemi che vanno dal cattivo assorbimento delle
proteine, alla celiachia,
al l’ip opa r at i roid ismo,
all’insufficienza
di
vitamina D.
Inoltre, un altro esame con
cui è possibile verificare
le indicazioni date dal test
del sedimento urinario,
è il test della tossicità
intestinale, detto test
di Obermeyer, grazie al
quale è possibile rilevare
la presenza di composti
tossici fenolici dovuti a
problemi
dell’intestino.
Infine- conclude il
direttore scientifico di Cerifos-, ma non ultimo in
ordine di importanza, va citato il test dello stress
surrenalico che misura il livello di cloro nelle urine,
che è correlato al funzionamento della ghiandola
surrenalica».
L’intervista all’esperto
La dottoressa Tiziana D’Amico, biologa nutrizionista di Cerifos, chiarisce il ruolo
dell’alimentazione per il nostro benessere
Esistono delle diete che vanno bene per tutti?
“Assolutamente no. È inutile affidarsi a quelle che si professano valide per chiunque: una dieta, per
funzionare, deve essere personalizzata sulle caratteristiche e sui bisogni del paziente.
L’elaborazione di un piano nutrizionale corretto è un lavoro sartoriale che, anche una volta messo in
atto, va monitorato nel tempo visto che l’organismo reagisce ai nuovi regimi alimentari modificando
man mano il metabolismo. Ad esempio, pensiamo alla frutta: si tratta indubbiamente di un elemento
nutrizionale che apporta vitamine indispensabili all’organismo, eppure la sua assimilazione, a volte,
può anche provocare gonfiore e disturbi intestinali di vario genere”.
Quindi a maggior ragione in presenza di patologie, il ruolo giocato dall’alimentazione assume
ancora più importanza…
“Certamente. Ad esempio oggi si sa che fino a circa il 70% dei casi di Alzheimer potrebbero essere
prevenuti modificando la dieta.
Studi epidemiologici hanno dimostrato, infatti, che una dieta ricca di frutta e verdura può riuscire a
ridurre il rischio di Alzheimer in modo decisivo e a rallentare la sua evoluzione, grazie alle proprietà
dei composti bioattivi presenti in questi alimenti. Tra questi i nutrienti come la vitamina C, contenuta
soprattutto negli agrumi, la vitamina E, che si trova in abbondanza nell’olio extravergine di oliva e
nei semi oleosi, la vitamina D, di acqua e latte, e l’acido folico presente nei cereali integrali”.
Viaggio di un comatoso
lungo il confine tra la Vita e la Morte
Dalla Lega nazionale contro la predazione di organi riceviamo e trasmettiamo un contrbuto editoriale, convinti che non si possa continuare a tacere su questo tema.
Lo spazio al dibattito resterà aperto nei prossimi numeri
La persona dichiarata in “morte cerebrale” viene definita dai testi legislativi “morta”, ma il percorso di
questo morto che sta per essere espiantato, rispetto
al cadavere “tradizionale” è decisamente anomalo.
All’interno degli ospedali ci sono infatti due tipi
di sale: la sala operatoria e la sala incisoria (obitorio). La prima riservata alle operazioni di chirurgia,
la seconda alle autopsie. Perché allora quello che
la legge chiama “morto” finisce in sala operatoria
e non in quella incisoria? Ho pensato che i lettori
saranno forse interessati a seguire un
po’ più da vicino il
percorso che il comatoso compie dal
trauma cranico alla
pseudoautopsia, che
maschera l’espianto.
Il paziente respira,
comunque per il trasporto viene intubato.
Questa
manualità
rianimatoria
(incannulazione
laringo-tracheale) segna il destino del comatoso
che viene assistito con la ventilazione automatica. Infatti 1’intubazione - o respirazione ausiliata - è obbligatoria per poter eseguire l’espianto
degli organi. Un mantice azionato da un motore elettrico (la spina!) ausilia gli atti respiratori.
Se dopo due o tre giorni - gli organi si deteriorano
con il tempo - i parametri clinici stabiliti da protocolli variabili, confermano una perdita di coscienza,
cioè un sonno più o meno irreversibile, allora si riunisce la Commissione: un anestesista-rianimatore,
un neurofisiopatologo, un medico legale decretano
l’artificioso momento della “morte neurologica”.
Commissione composta solo da specialisti di settore
in cui spicca per la sua assenza la figura del “clinico
medico e chirurgo” (visione globale del paziente).
Il comatoso che respira, il cui sangue scorre rutilante nel circolo artero-venoso, i cui spermatozoi sono vivi e se prelevati possono concepire, il cui feto, se presente una gravidanza, potrà
svilupparsi e venire alla luce, è dichiarato morto.
Dopo sei ore di osservazione, durante le quali si
somministrano farmaci atti a tenerlo in vita, il morto che respira,
con la firma di
parenti spesso
sottilmente ingannati, viene
sottoposto ad
un procedimento impropriamente definito
“autopsia” per
essere espiantato, cioè per
il prelievo dei
suoi organi.
È tutto legale? No. Infatti l’autopsia non viene praticata nella
sala incisoria, come il profano giustamente pensa,
dove lavorano periti settori e medici legali (tecnici che svolgono il loro lavoro “autoptico” di
diagnosi anatomopatologica in un ambiente non
asettico). Al contrario la “pseudoautopsia” avviene in una “sala operatoria” asettica ed altamente
sofisticata, con un tavolo operatorio al quale viene
legato il “morto” che potrebbe muoversi, con un
anestesista che somministra farmaci paralizzanti o
anestetici e profonde ossigeno affinché gli organi
siano bene irrorati: un vero e proprio rito di Alta
Chirurgia. Diverse équipes di chirurghi specializzati in prelievo di organi si alternano al tavolo
operatorio, mentre pressione e polso aumentano
al primo contatto del bisturi. Strano morto. Strana
autopsia. Fegato, pancreas, reni, blocco enterico,
polmoni e cuore entrano nei contenitori ghiacciati.
Lo stesso senso di glaciazione deve provare l’anestesista quando, ultimato il lavoro, stacca la spina.
Il comatoso è finalmente un “cadavere” svuotato
dei suoi organi vivi che andranno a lavorare per un
altro essere umano e saranno sottoposti all’azione
di farmaci poderosi che ne controlleranno il rigetto,
cioè il rifiuto da parte del trapiantato di organi che
non hanno ricevuto il soffio vitale che ha dato inizio
alla sua propria vita.
Lui, il Comatoso, ha terminato il suo viaggio in
“Camera operatoria” sull’altare dell’alta chirurgia
trapiantistica. L’inumazione è ora possibile, la morte non necessita altri appellativi.
Prof. Dott. Massimo Bondì
Patologo e Chirurgo Generale-L.D. Univ. La Sapienza-Roma
Presidente Comitato Medico-Scientifico
Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi
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CUCUME: Curcumina e Quercitina
per la prevenzione delle
malattie oncologiche
Sembrano quasi uno scioglilingua a dirsi
insieme, ma a braccetto queste due droghe danno vita a una formulazione titolata per purezza al 99% chiamata Cucume
che costituisce oggi il nuovo protocollo di prevenzione delle malattie oncologiche, messo a punto da Cerifos, in
partnership con ricercatori tedeschi.
Le proprietà della curcumina sono note
già da secoli se si pensa che in India,
questa droga è utilizzata almeno da 6000
anni come medicina, cosmetico, oltre
che spezia e colorante e anche la medicina ayurvedica le attribuisce numerose
proprietà, oggi confermate dalla scienza
moderna (la Food and Drug Administration la classifica sostanza GRAS ovvero
“Generalmente Riconosciuta Sicura”).
Si tratta, infatti, del principale componente biologicamente attivo del Turmerico (che appartiene alla famiglia delle
Zingiberacee, di cui fanno parte anche
lo zenzero e il cardamomo). L’estratto
standardizzato contiene il 95% di curcuminoidi che, a differenza di molti altri
antiossidanti sono in grado sia di prevenire la formazione di radicali liberi, sia
di neutralizzare i radicali liberi già esistenti, per cui, a causa di questa duplice
attività, sono considerati efficaci bioprotettori.
«La proprietà antiossidante della Curcumina è 300
volte superiore a quella della vitamina E» spiega
il dottor Samorindo Peci, endocrinologo, direttore
scientifico di Cerifos e padre del nuovo protocollo
di prevenzione oncologica tedesco. «Ma non solo: la
curcumina ha mostrato anche di possedere proprietà
anticoagulante, antitrombotica, antipertensiva, antinfiammatoria, antidiabetogena, ipocolesterolemizzante, antivirale ed epatoprotettiva e soprattutto si è
dimostrata capace di inibire in vitro le cellule tumorali» chiarisce.
La curcumina, infatti, è in grado di impedire la replicazione e la
diffusione delle cellule tumorali, come già rese evidente negli anni
’80 lo studio del Prof Bharat Aggarwal.
«Da allora sono stati condotti centinaia di studi e secondo la comunità scientifica la curcumina è utile almeno in 8 tumori: polmoni, bocca, colon, fegato, rene, pelle (melanoma), mammella e
leucemia, ma la sua azione difensiva si è evidenziata in tutte le
forme tumorali conosciute e, in associazione alle terapie oncologiche classiche, potenzia l’azione dei chemioterapici normalmente
utilizzati».
L’APPROFONDIMENTO
Studi sull’azione della Curcumina contro il cancro
Cancro alla bocca
Uno studio è stato condotto a Srikakulam, nel distretto dell’Andhra
Pradesh, su donne che praticano il “reverse smoking” (fumare tenendo
in bocca la parte accesa della sigaretta), che provoca un’ alta percentuale di tumore della bocca. La spennellatura di curcuma nelle guance si è
dimostrata un’ efficace prevenzione del tumore.
Cancro del colon
L’effetto positivo della curcumina su questo tumore è stato dimostrato
da studi di laboratorio. Recentemente si è visto che la curcumina ha
un’azione specifica sulla neurotensina, ormone gastrointestinale strettamente legato alla produzione di una proteina infiammatoria coinvolta
nella genesi e nella metastatizzazione del carcinoma del colon. Circa
un terzo dei tumori del colon hanno recettori per questo ormone. Secondo i ricercatori, la curcumina potrebbe essere un valida ausilio nella
prevenzione e nella cura di questa forma tumorale.
Cancro al colon
È il tipo di tumore su cui la curcumina sembra essere più
efficace. L’ipotesi si basa sull’osservazione che questa
sostanza riduce i livelli di un enzima chiamato cicloossigenasi-2 (COX-2), responsabile della produzione di
molecole che provocano l’infiammazione (l’aspirina e
i celebri antinfiammatori Celebrex e Vioxx sono degli
inibitori di questo enzima).
Questa proprietà potrebbe avere un effetto benefico sul
cancro al colon, infatti studi realizzati finora indicano che
questi antinfiammatori potrebbero ridurne la frequenza.
A questo proposito, un recente studio sugli effetti della
somministrazione per via orale della curcumina mostra
una riduzione notevole delle molecole infiammatorie
liberate dalla COX-2 nel sangue dei soggetti osservati. Questo effetto è estremamente interessante, soprattutto alla luce dei recenti risultati che mostrano come
gli antinfiammatori sintetici svolgano effetti secondari
che potrebbero limitare il loro utilizzo futuro ai fini della
prevenzione del cancro al colon.
Cancro del pancreas
Sulla base degli studi condotti in laboratorio, i ricercatori sono convinti che la curcumina potrebbe essere d’aiuto nella prevenzione e forse anche nella cura di questo
temibile tumore, verso il quale la medicina è totalmente
disarmata.
Melanoma
Studi di laboratorio hanno dimostrato che la curcumina
provoca l’apoptosi delle cellule del melanoma.
Cancro della cervice
Un ricercatore del “Institute of Cytology and Preventive Oncology (ICPO)” indiano ha recentemente scoperto che la curcumina protegge dai virus del papilloma (HPV), che possono causare il tumore della cervice
dell’utero. I virus HPV necessitano di alcune proteine
virali prodotte delle cellule del corpo per potere agire
rapidamente. La curcumina impedisce il legame di queste proteine epiteliali con il virus. Alcuni studi clinici
sono in corso sulle donne.
Cancro della prostata
L’India è il Paese dove si consuma e si produce più curcuma al mondo ed è anche quello con la più bassa incidenza di tumore alla prostata. Secondo quanto si legge
sulla rivista “Cancer Research” la curcuma ha un notevole importanza nella prevenzione e nel trattamento dei
tumori della prostata. L’effetto protettivo sarebbe altresì evidente quando essa è associata al fenetil isotiocianato (PEITC), una sostanza presente in alcune verdure
come i broccoli, il crescione, i cavoletti di Bruxelles, la
rapa, il cavolfiore, il cavolo comune e il cavolo rapa.
Cancro esofageo
La curcuma, avrebbe potere anti-cangerogeni contro
le cellule tumorali del cancro all’esofago. Questo è
quanto emerge da una ricerca di laboratorio condotta
presso il Cork Cancer Research Centre, a cura della
prof. Sharon McKenna e pubblicata sul British Journal
of Cancer. Infatti le radici polverizzate giallo-ocra della
curcuma, l’ingrediente principale del curry, possiedono
proprietà antiossidanti e fluidificanti del sangue.
Inoltre la curcuma effettua una buona azione antinfiammatoria sul tubo digerente oltre a svolgere la funzione
di antispasmodico dei muscoli dell’apparato gastrointestinale.
La quercitina, invece, appartiene alla famiglia dei
bioflavonoidi, componenti di molti frutti e verdure, più
noti come vitamina C2, vitamina P, flavoni.
Questa sostanza ha un’attività antivirale, antiinfiammatoria, con azione antispasmodica e immunomodulante. «È particolarmente utile nella prevenzione di
perdite di sangue frequenti dovute a vasi sanguigni indeboliti tanto che viene usata nel trattamento delle vene
varicose, delle emorroidi, dei crampi notturni ed altri
problemi circolatori» chiarisce il dottor Samorindo Peci.
«Numerosi studi hanno dimostrato che i bioflavonoidi
possono essere usati con successo per un certo numero
di problemi ginecologici: possono sostituire efficacemente gli ormoni nelle terapie per curare l’irregolarità
dei cicli, i dolori mestruali non causati da danni anatomici, possono prevenire emorragie e aborti, ma soprattutto- spiega- la quercitina è considerata un inibitore
naturale di vari enzimi intracellulari. Per tali proprietà
è stata estensivamente studiata in campo oncologico
sperimentale, nella delucidazione dei meccanismi di
proliferazione cellulare e della cancerogenesi ed è oggi
impiegata nella terapia delle leucemie».
Come attesta una ricerca dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche di
Avellino (Isa-Cnr), pubblicata dal British Journal of
Cancer la quercetina appartiene a quell’ampio gruppo
di molecole di origine vegetale (fitochimici) con attività
chemio-preventiva: la molecola, cioè, è capace di bloccare il processo di trasformazione di una cellula normale in tumorale, oppure di invertirlo se esso è già in atto.
«È stato dimostrato che la quercitina è efficace in
cellule tumorali di pazienti affetti da leucemia linfocitica cronica (LLC). In tali pazienti, la molecola è in grado di rendere vulnerabili al trattamento
LA QUERCITINA NEGLI
ALIMENTI
farmacologico con chemioterapici cellule isolate
Ecco dove si trova
dal paziente che prima non lo erano» commenta
il dottor Peci. «La quantità di quercetina assunta
*uva rossa e vino rosso
giornalmente con la dieta (25-30 milligrammi)
però è molto lontana dal poter svolgere una qual- *capperi (ne sono gli alimenti più
sivoglia attività biologica. Anche dopo un pasto
ricchi)
ricco di alimenti contenenti la molecola, le con*cipolla rossa
centrazioni ematiche sono troppo basse per giu*the verde
stificare l’attività antitumorale, che, invece, è as*mirtilli
sociabile all’assunzione di altri farmaci naturali».
curiosità
Il protocollo per la prevenzione oncologica messo
a punto da Cerifos ha quindi unito le preziose proprietà di queste due sostanze per arrivare ad una
formulazione titolata per purezza al 99%, chiamata
Cucume, oggi ricetta anticancro sempre più diffusa
in Germania.
di Federica Sciacca
*mele
*propoli
Per richiederlo
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VUOI DIRE LA TUA? SCRIVICI!
Lo spazio è aperto!
Medicina di Frontiera è un trimestrale nato per parlare apertamente,
senza reticenze né asservimenti, non solo di ricerca e scienza ma anche di
quei temi “di frontiera” che possono contribuire a stimolare la riflessione
ma che troppo spesso non finiscono sotto i riflettori della cronaca.
Se vuoi mandare un contributo redazionale e aiutarci a diffondere
informazioni preziosi sulla salute “di frontiera”,
scrivi a [email protected].
La conoscenza va condivisa, altrimenti ha valore solo a metà
Preservare la salute:
questione di CIBO e
STILE DI VITA
Sul sito di CERIFOS è disponibile l’opuscolo
informativo sulla buona nutrizione
Mangia il cibo che tua bisnonna riconoscerebbe come tale; pratica il
buon senso nelle porzioni; leggi le
etichette; evita la soia, un cibo che
non fa parte della nostra cultura ed è
dannosa sul piano neurometabolico;
evita ciò che l’industria alimentare
spaccia per cibo ma aumenta solo
il senso di dipendenza e considera
che non esistono cibi proibiti ma
solo suggerimenti e raccomandazioni, perché non è il prodotto che
fa male ma la quantità e la qualità.
I principi che hanno dettato la stesura del nuovo opuscolo sulla nutrizione, redatto dal dottor Samorindo Peci, direttore scientifico del
Centro di Ricerca e Formazione
scientifica Cerifos, prendono le
mosse da assiomi semplici, da verità praticamente indiscutibili, perfino da proverbi dialettali, quelli in
cui si trova tutta la vera saggezza
popolare, l’esperienza e la tradizione di tutte le varie regioni di Italia.
L’opuscolo, che è scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://
ebook.cerifos.it/nutrizione/
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in modo semplice e chiaro, classe
per classe, tutti gli alimenti della
piramide: partendo dalle preziosità
di frutta e verdura, per continuare con la carne, il pesce, formaggi e latticini, uova, acqua e vino.
Per ogni gruppo alimentare vengono illustrate le informazioni
che bastano ad orientarsi nella scelta e nelle porzioni, a seconda delle esigenze di partenza, il tutto con la praticità anglosassone che sostituisce la misurazione di calorie con il concetto
più semplice di porzione: la dieta così diventa a misura di
uomo e ognuno diventa l’unità di misura di se stesso, utilizzando pizzichi, cucchiai e tazze.
Ogni capitolo è arricchito poi da piccoli consigli di incoraggiamento, raccomandazioni e specchietti di approfondimento, nati con l’obiettivo di fare ancora di più chiarezza ai
lettori: ad esempio su come valutare il fabbisogno energetico, come migliorare lo stato di salute, l’importanza dello stile di vita e come poter fare uno spuntino senza appesantirsi.
«Ci sono pochi numeri, per non costringere chi vuole pra-
ticare una buona alimentazione a
mangiare con la calcolatrice accanto; poco dettaglio e molta sintesi,
perché chi vuole mangiare bene non
deve diventare un dietologo; nessun
diktat, perché non esistono alimenti vietati in assoluto e la tavola non
dovrebbe diventare un luogo di battaglia, imposizioni e frustrazioni e
soprattutto ci sono schemi semplici e fattibili, perché la quotidianità
di ognuno è fatta di molti impegni
fissi e non sempre ci si può permettere di stravolgere completamente
la routine»: spiega il dottor Samorindo Peci, autore dell’opuscolo.
SCARICA L’OPUSCOLO
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«Sono stati questi i principi guida
che mi hanno orientato nella composizione di questo testo, e speriamo davvero di avere fatto una
cosa utile per i nostri lettori e per
tutti coloro che vogliono imparare a mangiare bene, senza essere
costretti a diventare degli esperti».
L’opuscolo è gratiuto e scaricabile da chiunque perché la stella
guida di Cerifos, è rendere l’informazione scientifica alla portata di
tutti, nei fatti e non solo a parole.
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