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L`INIZIATIVA PROBATORIA DEL GIUDICE DIBATTIMENTALE

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L`INIZIATIVA PROBATORIA DEL GIUDICE DIBATTIMENTALE
L’INIZIATIVA PROBATORIA
DEL GIUDICE DIBATTIMENTALE
Relatore:
dott. Pietro LIGNOLA
presidente di sezione del Tribunale di Roma
1. È opinione diffusa che l’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale abbia
segnato il passaggio dal rito inquisitorio al rito accusatorio: l’espresso dettato della legge delega
imponeva, del resto, la attuazione nel processo penale del sistema accusatorio.
Il modello tipico del processo accusatorio comporta la disponibilità della prova e tende quindi
ad escludere, o quanto meno a rendere del tutto marginali, poteri di iniziativa del giudice: la
funzione di questi è limitata alla vigilanza sul corretto esercizio dei poteri spettanti alle parti ed alla
verifica dell’adempimento degli oneri loro incombenti.
Nella realtà del diritto vigente le cose stanno in maniera assai diversa. Il processo penale
italiano non ha una struttura rigidamente accusatoria: la stessa legge delega subordina l’attuazione
del sistema accusatorio a quella dei principi costituzionali e la limita enunciando che il processo ha
funzione di ricerca della verità e disponendo espressamente l’attribuzione al giudice del potere di
disporre l’assunzione di mezzi di prova (direttiva n. 73).
2. Nel testo del codice, tuttavia, il principio dispositivo è solennemente affermato nell’art.
190.1, a norma del quale “le prove sono ammesse a richiesta di parte”.
Il potere del giudice di escludere prove richieste è assai ristretto: esso si riduce ai casi di
inammissibilità per ragioni formali, a quelli di illegittimità per divieto legale ed a quelli di manifesta
superfluità o irrilevanza.
Il potere di ammettere prove di ufficio si configura come eccezionale nel disposto dell’art.
190.2, che lo limita ai soli casi stabiliti dalla legge.
In tema di assunzione, il principio dispositivo si attua con la cross examination; esso è
enunciato nell’art. 498.1 (“le domande sono rivolte direttamente dal P.M. e dal difensore che ha
chiesto l’esame del testimone”) e nei richiami fatti a tale norma dall’art. 501.1 per l’esame dei periti
e consulenti tecnici e dall’art. 503.2 per l’esame delle parti private.
3. Tali drastiche affermazioni di principio non coincidono con l’effettivo tessuto normativo.
Poteri di iniziativa assai ampi sono riconosciuti al giudice dall’art. 507, che recita: “Terminata
l’acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche
d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova”.
L’interpretazione dell’art. 507 ha dato luogo a notevoli contrasti, risolti infine dalle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione con sentenza 6-21 novembre 1992 n. 11227 e dalla Corte
Costituzionale con sentenza 24-26 marzo 1993 n. 111.
La Cassazione ha ritenuto che le parole “terminata l’acquisizione delle prove”, con le quali
esordisce l’art. 507, indichino il momento iniziale e non il presupposto per l’esercizio del potere del
giudice, con la conseguenza che l’ammissione d’ufficio è possibile anche quando nessuna prova sia
stata precedentemente acquisita per l’inerzia delle parti; che per “prova nuova” deve intendersi
qualsiasi prova non disposta precedentemente e non solo quella sopravvenuta o scoperta dopo la
scadenza del termine utile per la tempestiva richiesta di parte e che quindi l’assunzione ex art. 507
può essere disposta anche su richiesta di una parte decaduta per non aver esercitato
tempestivamente il proprio diritto.
La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 507, aderendo alla interpretazione delle sezioni unite e specificando in motivazione che una
interpretazione più restrittiva sarebbe incostituzionale. Ciò preclude, in sostanza, la possibilità di
adottare, nella pratica giudiziaria, una interpretazione diversa da quella che le due Corti hanno
indicato.
4. I poteri previsti dall’art. 507 solo apparentemente si collegano al disposto del secondo
comma dell’art. 190.
Quest’ultima norma, come si è notato, attribuisce natura eccezionale alla ammissione di prova
di ufficio.
Al contrario, con riferimento all’art. 507, la Corte Costituzionale ha sostenuto che il potere di
iniziativa del giudice del dibattimento può essere definito suppletivo, ma non eccezionale: tale
potere è necessario ad assicurare la funzione conoscitiva del processo, discendente dal principio di
legalità, ed a scongiurare la incompatibilità del sistema con i principi costituzionali.
Su tali premesse la Corte è giunta a negare espressamente che un principio dispositivo in
materia di prova trovi riscontro nella normativa positiva.
5. L’unica chiave che può aprire la strada alla composizione in un ordinato sistema dottrinale
delle evidenti contraddizioni sin qui riscontrate è la individuazione dello stadio processuale in cui è
“terminata l’acquisizione delle prove” come momento iniziale per l’esercizio del potere suppletivo
di ammissione ex officio.
Tale momento viene a segnare la linea di cesura tra due fasi distinte della istruzione
dibattimentale: la prima, ordinaria, nella quale l’ammissione delle prove è regolata dall’art. 190 e
vige, quindi, un sia pur temperato principio dispositivo; la seconda, suppletiva e quindi eventuale,
nella quale opera in via esclusiva il disposto dell’art. 507 e vige, quindi, l’opposto principio della
ricerca officiosa della verità.
6. Lo sdoppiamento dell’istruzione dibattimentale, non privo di elementi di irrazionalità, non
emerse alla consapevolezza dei compilatori del codice, che infatti posero l’art. 507 in scarsa
evidenza, collocandolo addirittura prima delle norme relative alle letture.
Esso appare tuttavia necessitato, in un sistema costituzionale che non consente la
subordinazione all’arbitrio delle parti dell’esito dell’azione penale, dalla velleità legislativa di
adattare alla nostra tradizione giuridica istituti propri del diritto anglosassone.
Causa principale di questo macchinoso sistema è la separazione del fascicolo del P.M. da quello
del dibattimento e la conseguente totale ignoranza in cui verte inizialmente il giudice circa le
emergenze delle indagini preliminari; può accadere così che si perdano intere udienze per procedere
alla assunzione di prove la cui superfluità o irrilevanza, non essendo manifesta, non era
riconoscibile dall’“ingenuo” giudicante e si renda poi necessario ricominciare “ab novo”
disponendo l’assunzione di nuove prove che le parti avevano omesso di richiedere e che risultano
poi le sole veramente utili ai fini della decisione.
Del resto la “ingenuità” imposta al giudicante comporta altre e ben più gravi conseguenze,
prima fra le quali al rarissima operatività, fino alla conclusione del dibattimento, della norma di
garanzia di cui al primo comma dell’art. 299.
7. Tracciamo ora un quadro sommario dei poteri eccezionali di iniziativa ex officio spettanti al
giudice nella fase regolata dall’art. 190.
La normativa regolante gli atti preliminari al dibattimento contiene una sola norma che prevede
un potere di impulso di ufficio relativo alla formazione della prova.
Trattasi dell’art. 468.5, secondo cui “Il Presidente in ogni caso dispone di ufficio la citazione
del perito nominato nell’incidente probatorio a norma dell’art. 392 comma 2°”.
La norma rientra nel principio generale per cui la perizia può essere disposta anche d’ufficio
(artt. 508.1 e 324); evidentemente l’esame del perito potrà essere disposto anche d’ufficio, allo
scopo di consentire la lettura della relazione peritale (art. 511.3); la lettura a sua volta potrà essere
disposta d’ufficio (art. 511.1), essendo la relazione contenuta nel fascicolo per il dibattimento (art.
431 lett. d).
8. Il codice non attribuisce al giudice, nella fase degli atti introduttivi, alcun potere di iniziativa
in materia istruttoria; va notato, tuttavia, che in tale fase il giudice verifica la composizione del
fascicolo per il dibattimento.
L’art. 491.4 c.p.p., secondo cui “il giudice provvede in merito agli atti che devono essere
acquisiti al fascicolo per il dibattimento ovvero eliminati da esso”, non prevede espressamente la
richiesta di parte né l’impulso di ufficio; tuttavia appare evidente dal sistema che acquisizione od
eliminazione di atti possono essere disposte dal giudice anche sua sponte; trattandosi di correggere
eventuali errori od omissioni del G.U.P., cui spettava l’iniziativa di determinare la composizione del
fascicolo in conformità delle tassative disposizioni dell’art. 431.
L’esperienza dimostra la necessità, specie in alcuni grandi uffici giudiziari, di un accurato
controllo del fascicolo per il dibattimento, allo scopo di unirvi, se mancanti, gli atti relativi alla
procedibilità dell’azione penale (art. 431 lett. a), i documenti che costituiscono corpo del reato (art.
235), i verbali di sequestro del corpo del reato e delle altre cose pertinenti al reato (art. 431 lett. f),
dei quali è agevole ipotizzare l’esistenza; si potrà, quindi, procedere all’accertamento della
ubicazione dei reperti ed alla loro eventuale acquisizione. Se poi gli atti di cui alle lettere b), c) e d)
dell’art. 431 fossero stati allegati in copia informe, si procederà alla loro sostituzione con gli
originali in possesso del P.M.
Queste attività hanno un notevole rilievo di impulso probatorio: non si dimentichi che la lettura
degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento viene disposta dal giudice anche d’ufficio (art.
511.1) e che in mancanza di iniziativa probatoria delle parti, le emergenze di quel fascicolo
rappresentano l’unica possibile base di partenza della iniziativa probatoria suppletiva del giudice.
9. Nel corso del dibattimento non mancano casi eccezionali di poteri istruttori primari del
giudice.
La perizia, come già accennato, è il principale mezzo di prova che può essere disposto dal
giudice anche d’ufficio. Manifestazioni particolari di questo potere di iniziative sono gli
accertamenti sulla capacità dell’imputato di stare in giudizio (art. 70) e sulla capacità dei testi (art.
196.2) e l’acquisizione di documenti, note e pubblicazioni consultate dai periti e consulenti tecnici
in sede di esame (art. 501.2).
Rilevanti poteri spettano al giudice anche in tema di lettura di atti. Oltre che degli atti contenuti
nel fascicolo per il dibattimento, cui si è già fatto cenno, il giudice dispone anche d’ufficio la lettura
dei verbali degli atti indicati nell’art. 238 (art. 511 bis).
Va ancora ricordato il potere di acquisire di ufficio qualsiasi documento proveniente
dall’imputato: l’ipotesi è abbastanza frequente specie in tema di reati finanziari, allorché i
funzionari che rendono testimonianza siano in possesso delle dichiarazioni fiscali dell’imputato.
10. Notevole rilevanza ha il potere del presidente di rivolgere, anche su richiesta di altro
componente del collegio, domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici ed alle parti private
già esaminate (art. 506.2).
Tale potere costituisce un correttivo al principio dispositivo che regola l’assunzione della prova.
Il suo uso si rende spesso necessario perché le parti, a conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo
del P.M., non sempre si rendono conto dello stato di inferiorità del giudice che, ignorando quegli
atti, fatica a comprendere il significato delle deposizioni quando domande e risposte non siano
abbastanza chiare e complete.
Nutro seri dubbi, peraltro, sulla ammissibilità di domande attinenti a circostanze non incluse nei
capitoli di prova e che non siano emerse nel corso dell’esame condotto dalle parti: si verte, in tal
caso, nell’ambito di una prova nuova che potrebbe essere disposta solo ai sensi dell’art. 507.
11. Merita autonoma considerazione il potere di ufficio, riconosciuto al giudice dall’art. 195.2,
di disporre l’esame delle persone cui il teste “de relato” si sia riferito per la conoscenza dei fatti.
La ratio della norma è evidentemente quella di impedire che, nell’inerzia delle parti, una
testimonianza indiretta rilevante ai fini del decidere diventi inutilizzabile.
Il caso in esame non va comunque confuso con quello, più generico, dei testi di risulta.
Nella testimonianza indiretta il teste assunto non ha conoscenza diretta dei fatti su cui ha
deposto e riferisce di averli appresi da altra persona. Il teste di risulta è invece persona che il teste
escusso abbia riferito essere a conoscenza di fatti anche da lui direttamente conosciuti ovvero di
fatti sui quali non sia stato in grado di rendere testimonianza neanche indiretta.
L’esame della persona dalla quale il teste escusso dichiara di aver appreso i fatti va disposto
anche immediatamente e, nel caso vi sia istanza di parte, ogni qualvolta non sia manifestamente
irrilevante; per la ammissione di ufficio sarà necessaria e sufficiente la rilevanza dei fatti.
L’ammissione dei testi di risulta potrà invece essere disposta, se assolutamente necessaria, ai
sensi dell’art. 507.
12. Sembra opportuno, a questo punto, determinare l’esatto significato dell’espressione
“terminata l’acquisizione delle prove” e così individuare il preciso momento in cui, esaurito
l’esercizio del diritto delle parti alla prova, subentra il potere suppletivo del giudice.
Il diritto delle parti alla prova non si esaurisce infatti con la ammissione ed assunzione delle
prove indicate ai sensi dell’art. 468 e 493, in quanto dalla interpretazione sistematica delle norme
contenute negli artt. 430, 493.3 e 603.2 si ricava il principio che le parti hanno, in qualsiasi stadio
del dibattimento, diritto a chiedere la ammissione di prove sopravvenute o comunque non potute
indicare in precedenza, ad esempio perché non conosciute.
La mancata espressa previsione della possibilità di esercitare tale diritto nel corso della
istruzione dibattimentale dipende, con ogni evidenza, dalla illusione del legislatore (vedi l’art. 509)
che sarebbe stato possibile anche nella realtà concentrare il dibattimento in una unica udienza.
Appare ovvio che l’acquisizione di tutte le prove, cui le parti hanno diritto rientra nella prima
fase della istruzione dibattimentale, sicché dovrà trovare applicazione analogica l’art. 495.4.
Solo all’esito dell’acquisizione delle nuove prove cui le parti hanno diritto, il giudice potrà
esercitare i poteri di cui all’art. 507: la assoluta necessità dei nuovi mezzi di prova potrebbe infatti
venir meno ove le ulteriori prove acquisite avessero dato sufficiente completezza al quadro
probatorio.
13. Le parti non hanno diritto all’ammissione dei nuovi mezzi di prova di cui all’art. 507, come
chiaramente risulta dalla espressione “il giudice... può disporre”.
Le parti hanno tuttavia facoltà di sollecitare il provvedimento del giudice, come risulta dalla
dizione “anche d’ufficio” e come emerge ancor più chiaramente dall’art. 151.1 disp. att., a norma
del quale “Nel caso previsto dall’art. 507 del codice, il giudice dispone l’assunzione dei nuovi
mezzi di prova secondo l’ordine previsto dall’art. 496 del codice, se le prove sono state richieste
dalle parti”.
Quando l’iniziativa di parte è carente, il giudice può stimolarla. Questo è il senso della norma
prevista dall’art. 506.1, per cui “Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, in
base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture
disposte a norma degli artt. 511, 512 e 513, può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi,
utili per la completezza dell’esame”.
Il potere di ufficio può naturalmente essere esercitato anche nell’ipotesi di totale inerzia delle
parti.
A riprova di ciò l’art. 151.2 disp. att. stabilisce che “quando è stato disposto di ufficio l’esame
di una persona, il presidente vi provvede direttamente stabilendo, all’esito, la parte che deve
condurre l’esame diretto”.
14. Più frequente resta tuttavia l’ipotesi che l’ammissione dei nuovi mezzi di prova sia stata
richiesta da una delle parti, ipotesi che fa sorgere il problema dei limiti di ammissibilità della prova
richiesta.
Si è già visto come la sentenza 11227/92 delle S.U. ha rimosso due limiti che erano stati
precedentemente ipotizzati in relazione all’espressione “terminata l’acquisizione delle prove” ed in
relazione alla novità dei mezzi di prova.
Restano, peraltro, ed assumono maggiore incisività i limiti nascenti dall’esigenza che i nuovi
mezzi di prova siano assolutamente necessari.
Si legge invero nella sentenza delle Sezioni Unite che le parti, quando sollecitano l’esercizio dei
poteri del giudice ex art. 507, non possono fondare su quei poteri, delimitati dalle parole “se risulta
assolutamente necessario”, un affidamento certo. L’assoluta necessità in tanto può dirsi esistente, in
quanto il mezzo di prova risulti dagli atti del giudizio e la sua ammissione appaia decisiva.
Si aggiunge poi nella sentenza che al giudice non è dato avvalersi dell’art. 507 per verificare
solo una propria ipotesi ricostruttiva sulla base di mezzi di prova non dotati di sicura concludenza e
che all’ammissione di una prova nuova ex art. 507 il giudice non potrebbe non far seguire
l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie.
15. Considerando in generale il concetto di assoluta necessità mi sia innanzitutto consentito
dissentire da quanti ritengono pleonastico l’aggettivo “assoluta”, notando che la necessità è assoluta
o non è.
L’aggettivazione nella nostra lingua può avere una funzione rafforzativa ispirata a criteri
emotivi anziché logici e questo avviene appunto nel caso di specie.
L’aggettivo non compariva nel codice del 1930, che al 2° comma dell’art. 457 subordinava
l’assunzione dei nuovi mezzi di prova al riconoscimento della semplice necessità; nella prassi
applicativa però il concetto di necessità venne a stemperarsi sino alla definizione dei poteri di
ufficio come “poteri discrezionali”; ora la aggettivazione della norma vigente richiama l’interprete
ad un maggior rigore, configurando il potere di ammissione di ufficio come una extrema ratio,
adoperabile solo qualora il giudice si ritrovi impossibilitato ad uscire da uno stato di dubbio. Con
ciò si è voluto evitare che il giudice ceda alla tentazione di usurpare le funzioni istituzionalmente
riservate alla pubblica accusa.
Vi è, fra l’altro, una forte esigenza che il processo sia sollecitamente definito: essa deve cedere
di fronte alla possibilità di una agevole ricerca di verità indispensabili per un fondato giudizio, ma
non anche di fronte al tentativo di accertare circostanze marginali la cui incidenza sul giudizio non
sia sicura.
Non può non condividersi, quindi, l’esortazione all’organo giudicante affinché faccia un uso
misurato ed accorto del potere istruttorio, esercitandolo solamente quando sia indispensabile
aggiungere ad un quadro probatorio incompleto i tasselli necessari per pronunziare un giudizio.
16. Qualche chiarimento richiede il requisito che “il mezzo di prova risulti dagli atti del
giudizio”, incluso ad opera della Suprema Corte nel concetto di assoluta necessità.
Tale espressione appare ineccepibile quando il nuovo mezzo di prova sia disposto d’ufficio in
assenza di qualsiasi richiesta di parte.
Quando invece il nuovo mezzo di prova sia richiesto da una delle parti sembra più corretto
esigere, come faceva il codice del 1930 nel già citato art. 457, che l’esistenza del mezzo risulti
dimostrata in modo certo; nulla osta infatti a che la parte istante fornisca tale dimostrazione all’atto
della richiesta.
17. La importante affermazione della S.U. secondo cui alla ammissione di una prova nuova ex
art. 507 il giudice non potrebbe non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie è
stata considerata una forzatura sia per la mancanza di un riferimento normativo che per la difficoltà
di stabilire il momento nel quale la prova contraria deve essere richiesta.
Non condivido le critiche, anche se mi sembra doveroso distinguere, ancora una volta, fra prove
disposte ad istanza di parte e prove disposte ex officio.
Quando una delle parti sollecita l’esercizio del potere del giudice il diritto alla prova contraria,
che discende insopprimibilmente dal diritto di difesa e dal principio del contraddittorio, appare del
tutto ovvio.
Non è corretto asserire la mancanza di riferimenti normativi, atteso che la dizione “anche
d’ufficio”, contenuta nell’art. 507, consente implicitamente la sollecitazione di tutte le parti, senza
effettuare alcuna distinzione e quindi nemmeno quella fra prova diretta e prova contraria e che l’art.
151.1 disp. att., rinviando per l’assunzione all’ordine previsto nell’art. 496 del codice, suppone che i
nuovi mezzi di prova siano stati richiesti da tutte le parti e non solo da una di esse. I riferimenti
normativi sono del resto nel sistema: basti controllare il n. 3 lett. d, della Convenzione di Roma per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e la direttiva 75 della legge delega.
Non mi sembra, d’altra parte, lecito dubitare che, anche nella ipotesi di opposizione alla
richiesta di controparte, la subordinata di prova contraria debba seguire immediatamente onde
consentire al giudice una decisione contestuale.
Qualche difficoltà sembra sorgere nella ipotesi che la prova sia disposta ex officio; ma l’inerzia
delle parti e l’iniziativa del giudice dovrebbero garantire la neutralità della prova, confermata dalle
particolari modalità di assunzione: all’esame provvede il presidente, che all’esito stabilisce a chi il
teste sia favorevole, attribuendo all’altra parte il vantaggio del controinterrogatorio.
Va considerato, d’altra parte, che nella ordinanza ex art. 507 dovranno comunque essere
specificati i fatti oggetto di prova e ciò consente alla parte che ritenga a lei sfavorevole il nuovo
mezzo di prova di chiedere immediatamente che si proceda all’ammissione di ufficio anche della
prova contraria.
18. La specificazione dei fatti oggetto della prova assume importanza assai maggiore nel caso
che il nuovo mezzo di prova venga richiesto dalle parti.
La genericità della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame non è, secondo la
prevalente giurisprudenza, motivo di inammissibilità della prova richiesta ai sensi dell’art. 468
perché la controparte, a conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del P.M., è in grado di
esercitare il diritto di prova contraria.
Analoga tolleranza non è possibile quando la richiesta di prova sollecita i poteri di cui all’art.
507.
In tal caso, infatti, la parte istante deve porre il giudice nelle condizioni di poter positivamente
valutare la sussistenza del requisito della assoluta necessità e ciò non è possibile quando le
circostanze su cui deve vertere l’esame non siano sufficientemente specificate.
La mancanza o la genericità dei capitoli di prova comporta, quindi, la inammissibilità della
richiesta di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 507.
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