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Todesca, lo schianto il mistero

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Todesca, lo schianto il mistero
Cultura e Società
14 domenica 5 ottobre 2014
STORIA
Settanta
anni fa
l'Adige
Ancora dubbi sulla
reale dinamica
dell’incidente che
costò la vita
al popolare pilota
collaudatore Caproni
Todesca,
lo schianto
il mistero
E
rano i primi anni ’50
del ’900 quando, da
ragazzo,
dall’appartamento
in cui abitavamo di
fronte al Castello del
Buonconsiglio, seguivo le
evoluzioni di un piccolo
aereo da turismo, che la
domenica si levava in volo
dal vecchio aeroporto di
Gardolo per sorvolare la
città. Lo riconoscevo come
un «Macchino»: la sua sigla
era I-BEPI. Anni dopo appresi
che si trattava del Macchi
416, un piccolo aereo a
pistoni da addestramento,
costruito dal 1951, su licenza
della Aermacchi, la famosa
casa aeronautica che nel
dopoguerra cominciava così
a rilanciarsi. E si chiamava
così perché voleva ricordare
Bepi Todesca.
Ma chi era Bepi Todesca?
Con gli anni, soprattutto
attraverso testimonianze (i
documenti dell’ex Caproni
giacciono purtroppo in casse
messe in magazzino, non
catalogati e quindi non
disponibili) sono riuscito a
ricostruire un profilo della
sua storia. Paolo Todesca,
classe 1948, fornendomi
preziose fotografie, così mi
ha raccontato: «Bepi era mio
zio, fratello gemello di mio
padre Gianni. Erano in sei
fratelli di cui due femmine.
Famiglia molto conosciuta
per via della Cantina
Todesca, fondata da mio
nonno tra le due guerre nel
cuore della Portèla. Avevamo
anche un maso, Maso
TESTIMONE
Per sfuggire a due
aerei alleati,
apparsi all’orizzonte,
col suo «Macchino»
finì per toccare i fili
dell’alta tensione
e si fracassò a terra
Lino Nicolussi
Montevideo, ai piedi del
monte Bondone, che poi
vendemmo nel secondo
dopoguerra. Mio zio Bepi,
laureato in ingegneria, fu
assunto alla Caproni nel 1936,
come direttore del reparto
officina e pilota collaudatore.
Era grande amico di Giorgio
Graffer (che morì a 28 anni,
abbattuto col suo aereo nei
cieli della Grecia, agli inizi
della seconda guerra, ndr),
con cui scalava nel Gruppo
del Brenta. Vuole la leggenda
che si sfidassero a volare a
carosello attorno al Campanil
Basso».
Quando scoppiò la guerra
Bepi, lavorando in una
fabbrica di interesse militare,
fu esentato, ma Gianni
dovette partire a combattere.
Capitano di artiglieria degli
alpini, dopo l’8 settembre
venne internato in un campo
di lavoro. Aveva un’infezione
agli arti inferiori e un medico
tedesco lo fece ricoverare in
infermeria per studiare il
caso.
Il 4 ottobre del 1944 provò
improvvisamente
un’angoscia quasi
intollerabile. A guerra finita
seppe che quell’angoscia era
coincisa con il momento
della morte di suo fratello
gemello. Paolo nacque 4 anni
dopo che suo zio Bepi morì.
Le sue quindi non possono
essere notizie di prima mano.
Da quanto lui ne sa, Bepi
Todesca - dopo che alcuni
aerei alleati avevano
mitragliato l’aeroporto di
Gardolo - si levò in volo con
un CR 42. Ma per fare che
cosa, dato che il suo velivolo
era disarmato? E poi, lui non
era un pilota di guerra ma un
pilota collaudatore, senza
nessuna pratica di
combattimento. La morte di
Bepi, come lui l’ha appresa, è
quindi una «leggenda». Per la
verità, non l’unica come
vedremo.
Lino Nicolussi è nato nel
1930 in un maso sotto
Sardagna, a un tiro di
schioppo da Maso
Montevideo dei Todesca. Lui
il Bepi volante era in grado di
riconoscerlo dallo stile con
cui faceva le sue evoluzioni
collaudando aerei nei cieli
del Bondone. Si capiva che dimenticando il rischio di
collaudare le macchine
volanti che si riparavano
negli stabilimenti Caproni di
Gardolo - si divertiva.
Sembrava un ufficiale inglese:
alto, biondo, segaligno,
preciso, serio. Però a pilotare
se la godeva. Cosi, ad
esempio, volava a filo
dell’erba sui prati delle Viote,
spaventando il gregge della
Maria Pastora. Lino, che era
il pastorello della Maria
(detta «Maria Taliana»,
perché veniva da Belluno)
l’aveva visto farlo alcune
volte. Un giorno vide la Maria
scendere a Trento, nei pressi
della stazione dove aveva
saputo che il pilota abitava,
munita di un bastone-
randello e della sua cagna
Civa che aveva un occhio
marrone e uno azzurro.
Dopodiché il pilota l’aveva
lasciata in pace.
Settant’anni fa, il 4 ottobre
1944, di mattino (l’aeroporto
di Gardolo per via dell’Ora
del Garda non era agibile
dopo mezzogiorno) Lino si
godeva le acrobazie del suo
pilota idolo dal maso di
Sant’Antonio, non lontano dal
suo. Improvvisamente, dalla
parte della Marzola, vide
volare due aerei alleati che si
abbassarono per mitragliare
nella zona delle caserme, di
qua dal Fersina. Secondo lui
doveva averli visti anche
Todesca, in volo con un aereo
da collaudare che, per paura
di essere attaccato, decise di
rientrare a Gardolo volando
basso per sfuggire alla vista
degli aerei nemici. Finché
urtò contro una linea
elettrica, precipitando.
Questa la versione di un
ragazzo molto sveglio di
LIBRI. Ceschinelli: dentro noi una Ferrari che va in retromarcia
Superare la mente. E ritrovarci
GIULIANA IZZI
N
L4100401
RENZO FRANCESCOTTI
on è una novità, già Socrate lo diceva un paio di millenni fa: «gnothi
sauton» ossia «conosci te stesso»
Il buddismo si fonda su tale principio e sono decenni che psicologi,
psicanalisti, psichiatri invitano l’individuo a
essere se stesso, a non lasciarsi condizionare
da una educazione coercitiva, dalla società,
dalla stessa religione.
In realtà sappiamo poco di noi, per non dire
niente. Quella parte di noi che sfuggiva alla nostra realizzazione veniva chiamata inconscio
e si chiama così tuttora. Corrado Ceschinelli,
sociologo e naturopata, preferisce chiamarlo
«mente» e ha intitolato il suo libro «Cambiamente» spunti di riflessione per imparare il mestiere di vivere. Edito da Curcu&Genovese il volume è stato presentato domenica scorsa a
«Medita», la mostra dell’editoria trentina. Veronica Loperfido, psicologa e collega dell’autore, ha introdotto i temi del saggio facendo notare che l’autore mette insieme diversi ambiti, sociologia, psicologia, etologia, medicina,
perché l’individuo non può essere studiato soltanto con una di queste discipline in quanto è
un insieme di corpo e mente che non si possono dividere perché ne costituiscono la natura.
La medicina integrata, asserisce la psicologa,
riconosce questo principio, che cioè l’uomo
non è un organo ma è un insieme. L’autore poi:
«Sono 30-40 anni che mi occupo di salute e be-
nessere e ho capito che bisogna superare la
mente, lavorare sul piano della riflessione e recuperare la natura delle cose che la mente non
vede. Dobbiamo renderci conto che dentro di
noi c’è una Ferrari e che purtroppo la facciamo andare in retromarcia a causa della nostra
ottusità. Una mente che è stata forgiata e inibita». Il libro è stato scritto per aiutare a comprendere la genuinità della propria mente, per
ritrovare se stessi, per condividere con gli altri, per trasformare il mondo.
È composto da tanti capitoletti che affrontano temi diversi e si può leggere come si vuole, lasciandosi attrarre dai titoli. È un vademecum che aiuta a non restare fermi alle apparenze ma ad andare in profondità, a cercare i
motivi del nostro malessere, della nostra cattiva salute. Infatti noi andiamo dal medico quando stiamo male ma in realtà la nostra malattia
è frutto di tutte le emozioni e pensieri che abbiamo trascurato nel tempo senza soffermarci a cercarne le origini e operare quei cambiamenti che avrebbero impedito che il nostro
corpo e la nostra mente si ammalassero.
Racconta Ceschinelli la storia di Onorato, che
ha 88 anni ed è una forza della natura. In sella
alla bicicletta, o sugli sci da fondo sfida le intemperie. Si è fatto narrare la sua storia e ha
scoperto che «pratica uno stile di vita fai-date, che coincide perfettamente con quello che
si riscontra e si evince dalla ricerca e dagli studi di epigenetica… Va in bici, scia, usa i pesi e
ha sane abitudini alimentari, sia pure con qualche trasgressione. E pensa positivo senza mai
drammatizzare. Una persona da imitare.
quattordici anni, che vide le
cose dall’alto.
C’è però un altro testimone
con cui ho parlato, che vide
le cose dal basso, dalla pista
erbosa dell’aeroporto: il
famoso comandante
Francesco Volpi, forse il più
anziano pilota d’aereo in
attività nel mondo, che il 13
ottobre prossimo festeggerà
cento anni. Dopo esser stato
protagonista di 236 voli di
guerra, Volpi aveva detto
basta, trovando un posto alla
Caproni come capoufficio
acquisti. Todesca era un suo
grande amico. Volpi vide
Todesca (al suo 500°
collaudo, sull’aereo CR 42,
costruito dalla FIAT, su cui si
erano state completate le
riparazioni) abbassarsi
pericolosamente sino ad
urtare contro i fili elettrici
che passavano tra
l’aeroporto e il Pont dei Vodi,
e precipitare pur senza
prendere fuoco. Fu il primo
ad accorrere. Il pilota
nell’urto era stato sbalzato
fuori della carlinga col suo
seggiolino, finendo in una
buca scavata per fare ghiaia,
poco sotto il Pont dei Vodi.
I funerali si svolsero a
Pergine: lì Bepi Todesca fu
sepolto. Chi vide
esattamente: Lino Nicolussi o
Francesco Volpi? Io penso
che sia possibile che il
comandante non abbia visto i
due caccia alleati: la zona sud
di Trento non si vede da
Gardolo. E inoltre dall’alto si
può afferrare meglio la
situazione. Un altro aspetto
poco chiaro riguarda il modo
come venne data la notizia
della morte di quel pilota, per
i giovani di allora
leggendario: sull’unico
quotidiano allora disponibile,
il quotidiano del regime «II
Trentino», sabato 7 ottobre,
in una colonnina di seconda
pagina in cronaca di Trento,
sotto il titolo «Le estreme
onoranze funebri alla salma
dell’ingegner Todesca» non
era descritta la morte tragica
del pilota col suo aereo, né
veniva rievocata la sua figura:
si parlava semplicemente di
«tragica fine del valoroso
pilota, vittima del dovere».
Tutto qui. Come mai? Dopo la
guerra fu proprio il
comandante Volpi a intitolare
a Bepi Todesca l’Aeroclub di
Trento. E il «Macchino» volò
per anni col suo nome nei
cieli del Trentino. Mentre
Lino conserva religiosamente
un casco da aviatore di Bepi
che qualcuno gli ha regalato.
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