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una bimba... in mezzo agli himba
(38-98)Taccuini 2/3 2004
8-04-2004
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NAMIBIA
TACCUINI DI VIAGGIO
UNA BIMBA...
IN MEZZO AGLI HIMBA
Tra otocioni, suricati, due topini e una bimba
Arrivati al parco dell’Etosha, ci sistemiamo velocemente
nei bungalow del Namutoni Lodge, poi usciamo dal campo costeggiando il Fischer’s Pan per ammirare i primi elefanti e giraffe.
Quindi tutti sulla torre del forte per il classico tramonto,
in realtà non molto entusiasmante.“Lo vediamo tutti i giorni così, in Carnia” - esclama Angela, una delle due furlane.
Ad ogni modo, riusciamo a farci notare per le risate e lo
schiamazzo,e a rovinare il momento romantico ad un paio
di decine di altri turisti.
Dopo cena,tutti appostati attorno alla pozza artificiale (recintata) per osservare l’abbeverata degli animali. L’attesa
si fa lunga e i più rinunciano.Mariella e Carlo,i più pazienti,
riusciranno a vedere dei rinoceronti.
Venerdì 4 luglio
Testo di
Foto di
Maurizio Trevisan
Franco Battisti
ra iniziato con molte perplessità:“E’ un viaggio lungo e faticoso anche per gli adulti,la bambina si stancherà”;“Però non ci sono problemi sanitari, il paese è sicuro…”.“Ma, e il gruppo? Non sarà facile fargli digerire un folletto di 4 anni…”. Dopo tante incertezze, ci
ha confortato la chiacchierata con la mamma di Asia, che
l’anno scorso aveva affrontato, alla stessa età, lo stesso
viaggio col gruppo Bonetto (grazie Alberto per la disponibilità e il materiale!).E allora:”Sai,Annagiulia,andiamo in
Africa”.“In Africa? A vedere gli animali? Evviva!”
Qualche settimana più tardi, all’aeroporto di Malpensa, ci
sembra di scorgere alcune espressioni di malcelato – e
comprensibile – timore per la buona riuscita del viaggio.
D’altronde, pensare di viaggiare per due settimane in fuoristrada con i probabili capricci di un bambino, i suoi ritmi,
le possibili paranoie dei genitori, non deve avere suscitato
molto entusiasmo nei dodici che ci fronteggiavano.
Parametri a rischio ce n’erano da vendere, nella composizione del gruppo:oltre al coordinatore che viaggiava con
moglie e figlia di 4 anni, avevamo una coppia in luna di
miele,altre due coppie no,ma c’erano,ed un assortimento
di più o meno single.Tutti e quindici col loro bagaglio di
esperienze ed aspettative. Poteva rivelarsi un cocktail
esplosivo: credo invece di poter dire che si è trattato di
un viaggio intenso ma divertente, con un bellissimo affiatamento fra tutti noi e con parecchi zie e zii in più per
nostra figlia.
E
Martedì 1 luglio
Nonostante le premesse dubbiose,la prima complicità del
gruppo si dimostra molto presto: all’AVIS di Windhoek, al
noleggio auto, siamo tanti Sherlock Holmes a fiutare anche la più piccola ammaccatura sulle carrozzerie delle nostre tre Nissan. I capo-segugi sono Franco, rallysta trentino, che scalpita per iniziare a guidare il suo mezzo, e Marco,futuro Otocione,conducente di autobus bolognesi,che
formeranno un team cambio-ruote a tutta prova….
L’impatto con la guida a sinistra mi è alquanto disagevo-
le: le frecce direzionali sono continuamente scambiate
col tergicristallo, e anche con i pedali ed il cambio non
mi sento al massimo della coordinazione. Riusciamo comunque ad arrivare al Camping Hire per ritirare le tende e altro materiale da campeggio prenotato dall’Italia.
Subito ci si fa chiaro il carattere “germanico” del posto:
la signora Frauke Moeller è cortese e disponibile,ma precisissima ed inflessibile nei suoi affari. Saliamo al Farida
Hotel, poi andiamo a gustare la buona carne namibiana
al Gran Canyon Spur.
Mercoledì 2 luglio
La colazione a buffet al Farida ci rende euforici e così, in
un paio d’ore, riusciamo ad ultimare i preparativi per la
partenza:chi va a cambiare gli euro in banca (con un brutto tasso, fra l’altro), chi a fare la spesa, chi a confermare i
voli di ritorno, ed io e Giovanna, la cassiera - metà della
luna di miele – a prenotare i vari pernottamenti nei parchi alla Namibia Wildlife Resort.
Ci dirigiamo a nord, ma dopo un’ora di strada, siamo già
tutti fermi per le prime contrattazioni,ad Okahandia,dove c’è un mercato di artigianato locale in legno.Lucia,moglie di Franco, non si lascia sfuggire il primo acquisto del
viaggio.
Al Waterberg Plateau prendiamo possesso dei nostri bungalow, poi ci inerpichiamo sulla montagna per goderci il
nostro primo tramonto namibiano.Annagiulia mi stupisce
per la sua velocità inaspettata sul sentiero…
Buona cena al ristorante del camping, e a nanna. Speculazioni filosofiche dei maschi del gruppo,davanti al loro bungalow, sotto una stellata che di più non si può…
Giovedì, 3 luglio
Siamo tutti invitati a colazione nel bungalow grande,quello delle donne, che ci hanno preparato addirittura i panini già spalmati…Attorno ai bungalow gironzolano vari animali che beneficiano dei resti del nostro pasto. Ripartiamo in direzione Etosha. Lungo il percorso ci fermiamo a
Tsumeb, a visitare un museo etnografico all’aperto.
Sveglia alle 5 per andare alle pozze di Okevi (molte antilopi, springbok, zebre, giraffe), poi ogni equipaggio segue
itinerari diversi con ritrovo ad Halali per il pranzo.Nel pomeriggio ancora divisi, con fortune alterne: nel complesso abbiamo visto un branco di una trentina di elefanti ad
Aus;innumerevoli kudu,gnu,gazzelle,zebre,giraffe;un ghepardo ha tagliato la strada al nostro mezzo (dovremo giurare sulla Bibbia per farci credere!), un altro equipaggio è
stato deliziato dagli amplessi di un leone con più partner.
A fine giornata ci sembra di assistere,al Bar Sport del paese, a chi le spara più grosse fra un gruppo di pescatori; la
frustrazione più grande sarà per Ornella, che sperava nel
suo ippopotamo.
Alla pozza illuminata di Okaukuejo, dopo cena, restiamo
in contemplazione della vita notturna della savana: è
straordinario osservare la gerarchia di bevuta degli animali, che si ritirano in buon ordine al sopraggiungere di
uno più forte di loro; ci fa veramente arrabbiare un rinoceronte davvero rinco… che non la smette di infastidire
una povera giraffa nei suoi sforzi per bere, con una divaricata alla Carla Fracci che è una pena a vedersi.
Sabato, 5 luglio
Dopo un blitz alla suggestiva Foresta degli Spiriti, con i famosi alberi moringa, baobab con le radici rivolte al cielo,
usciamo a malincuore dal parco dell’Etosha, enorme, bellissimo, con un paesaggio a volte lunare con i suoi “pan”
(laghi salati prosciugati).Tre ore di asfalto fino a Kamanjab,
quindi facciamo una grossa spesa al supermercato vicino
al distributore Shell.Poco dopo,la dottoressa Pistelli – pur
nella sua ineccepibile guida – inaugura (e mal gliene incolse) una lunga serie macinando la nostra prima ruota
Ad Opuwo,in piena regione Himba,alloggiamo al camping
Oreness, con bei bungalow spartani a due posti. Il proprietario, il francese Jacky, gestisce anche un ristorantino
in centro al paese. Ci intratterrà tutta la serata con interessanti spaccati di cultura himba,inframmezzati da meno
interessanti storie personali.
Domenica, 6 luglio
Il giovane Kemuu ci farà da guida per la visita ad alcuni villaggi del territorio.Durante queste visite,è preferibile essere accompagnati da qualcuno che parli la lingua,per non
mancare di sensibilità ed incorrere in gaffe di diplomazia,
soprattutto fotografando a destra e sinistra senza permesso.Kemuu ci fa acquistare i soliti regali da offrire ai
capi-villaggio per ufficializzare la visita:zucchero,farina,tabacco.A nord di Opuwo entriamo nel bush, con qualche
perplessità per l’integrità delle auto. I villaggi più in prossimità della D 3700, per quanto sterrata, sono ormai abituati alla presenza dei turisti e già esistono alcuni villaggi
dimostrativi, allestiti appositamente in fruizione puramente turistica e ovvia vendita di souvenir.
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Dopo un primo tentativo andato a vuoto (il villaggio era
abbandonato – gli Himba sono seminomadi), abbiamo un
contatto in un villaggetto recintato da rami di rovo, con
alcune capanne circolari. Gli Himba, infatti, vivono in piccole comunità familiari, ed il capo-villaggio è in realtà un
capofamiglia con figli e nipoti.Il nostro,con una protesi ad
una gamba,seduto su di una sedia-trono,ci contrabbanda,
tramite Kemuu, un cerimoniale che odora di abbastanza
falso fra i due capi, lui ed io, dopo di che inizia la visita. In
realtà ci si guarda attorno,mentre Kemuu ci spiega un po’
la cultura di queste popolazioni. Le ragazze himba, splendide, ci osservano divertite.Visitiamo l’interno di una capanna, con intelaiatura in legno rinforzata di fango, chiusa
con una pelle.Assistiamo alla preparazione della tradizionale mistura di argilla color ocra e grasso animale di cui
le donne himba si cospargono il corpo per tenere idratata la pelle che, in effetti, risulta molto liscia anche nelle
donne meno giovani. Completiamo la visita con foto di
gruppo: io ci rimetto pure un calzino uno, su richiesta del
capo-villaggio, che non sembra neppure soddisfatto (a me
sembrava pulito!).
Proseguiamo per la scuola mobile di Epembè, dove uno
dei maestri ci spiega i problemi didattici e logistici di insegnare lì.Le scuole sono poste sotto tendoni militari che
periodicamente si devono muovere seguendo gli spostamenti del clan. E’ un lavoro sottopagato e il maestro ci
chiede se possiamo dare qualcosa per lui e i suoi colleghi;
fortunatamente avevamo lasciato al capo del villaggio precedente solo la metà dei generi alimentari acquistati, così il resto della farina,zucchero,ecc.,viene offerto alla scuola assieme ai quaderni e matite che il gruppo ha portato
dall’Italia. Peccato aver dimenticato a casa un pallone da
calcio (anche da pallavolo) di cui hanno necessità per la
pratica sportiva.
Dopo aver pagato e salutato Kemuu,che torna verso Opuwo, riprendiamo la strada per le Epupa Falls, dove arriviamo quasi al tramonto su pista a tratti davvero dura.
Il posto è suggestivo: dalle rocce antistanti ammiriamo il
maestoso fiume Kunene che forma delle profonde cascate, con numerosi salti. Gli spruzzi lasciano in sospensione
particelle di vapore acqueo che creano continui arcobaleni.
Qualcuno riesce a fare un bagno in una pozza d’acqua vicina, imitando alcune ragazzine himba ben più disinvolte.
Tiriamo su le tende proprio sulle rive del Kunene, al camping Omarunga.
Lunedì, 7 luglio
La mattina il gruppo dimostra di aver gradito l’ambiente
suggestivo delle Epupa tornando a far foto e brevi passeggiate; poco più a nord sfumano nei vapori i rilievi dell’Angola.
Oggi tappa di trasferimento: torniamo ad Opuwo, poi a
Kamanjab.A sera riusciamo a porre le tende al camping
Khorixas, dove ci concediamo il lusso di una cena al ristorante, visto ch’è già notte. Marco può finalmente abbuffarsi col suo “kinglup” (piatto di pesce).
Martedì, 8 luglio
Comincia il rito dei “sacrificati” a colazione: gente che paga pur di avere la possibilità di leccare il fondo dei vasetti di Nutella. Partiamo per la Petrified Forest, posto che
non ha interessato il gruppo enormemente. Nei pressi di
Twifelfontain arriviamo all’Aba Huab Camp, bel posto in
mezzo alla savana, con terrazzo panoramico da dove osservare i colori del bush e bere una Fanta. Nel pomeriggio, visita alle pitture rupestri delle Burnt Mountains e alle Organ Pipes, colonnine basaltiche dentro uno stretto
canyon. Bel falò al campo sotto una fantastica stellata.
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Mercoledì, 9 luglio
Lasciamo l’entroterra così ricco di colori caldi, e in due
ore arriviamo allo Springbok Gate, ingresso alla Skeleton
Coast. Dopo altri 30 km, siamo sull’oceano, dove il sole è
scomparso e spira un vento freddo.
Lungo la strada soccorriamo un furgoncino carico di persone, in panne; facciamo salire alcuni di loro, due donne e
un neonato; Franco li porterà fino a Torra Bay, a telefonare. Carlo, in un impeto di generosità, regala a quelli rimasti al furgoncino acqua e viveri…
Proseguiamo, anzi proseguono, poiché la Nissan del mio
equipaggio macina una seconda ruota.
Dopo la prima, esaltante vista dell’oceano, le ore di strada per dirigersi verso Cape Cross risultano pesanti:fa freddo, non si può deviare dallo sterrato per arrivare all’acqua, e non riusciamo a scorgere i relitti delle navi affondate.
Usciamo dalla Skeleton Coast a Ucab Gate e dopo un’altra ora e mezza siamo a Cape Cross, fantastico e maleolente ammasso di otarie che rimaniamo ad osservare increduli fino a che il puzzo ha il sopravvento.
A Henties Bay, luogo per turisti pescatori poco attraente,
decidiamo di proseguire verso Swakopmund, nonostante
sia già il tramonto. In effetti dovremo sudare per trovare
da dormire, ma la ricerca viene premiata con una sistemazione simpatica a Villa Wiese; questo è un ambiente alternativo, gestito e frequentato da giovani, che fa sentire
un po’ matusa quelli di noi che hanno passato gli …anta.
C’è un bel cortile interno con ruscelletto e pesciolini, su
cui si affacciano alcuni corpi in muratura e legno coloratissimi, uniti fra loro da ponticelli, sottopassaggi, scale, balconate…Cena a base di pesce al Lighthouse.
Giovedì, 10 luglio
Mattinata libera, con caffè e pasticcini nelle famose konditorei in stile Germania del Sud, e shopping al classico Peter’s Antiques. Ci informiamo per un’escursione a Sandwich Harbour, ma dappertutto ci chiedono troppi soldi,
impegnando tutta una giornata.In alternativa decidiamo di
fare i permessi per il Welvitschia Drive per l’indomani.
Nel pomeriggio,partenza per il campo alla base dello Spitzkoppe. Il luogo, molto spartano, è gestito da una cooperativa di donne Damara, il cui impegno andrebbe incentiSpitzkoppe
vato. Siamo in mezzo ad un anfiteatro di panettoni di arenaria: piantiamo in fretta il campo per riuscire a salire sulle forcelle circostanti a cogliere il tramonto,che cala troppo in fretta. I montanari si scaricano le gambe dei tanti
giorni di auto... Il posto è veramente molto suggestivo, ed
anche il falò fra le rocce ci fa fare un salto indietro in epoche “molto remote”. In queste occasioni la coesione del
gruppo si avverte maggiormente: “La sapete quella…,
cioè... ah sì... non me la ricordo!!”, è il massimo dell’impegno di Marco in tema di storielle.Anche qui Franco è puntuale nell’arrivare,dopo la consueta ricerca in pieno bush,
col suo carico di birre!
Venerdì, 11 luglio
All’alba siamo quasi tutti sulle alture attorno al campo a
vedere tingersi di rosa le montagne. Il gruppo è davvero
entusiasta del luogo.
Rientrando, pochi chilometri prima di Swakopmund, deviamo per la Welvitschia Drive.I panorami sono belli,specialmente dai vari view point della Moon Valley. Il resto è
più deludente,sia le piantine che fioriscono versandoci sopra qualche goccia d’acqua, che le famose piante welvitschia. Inoltre, mi è parso assurdo pagare un permesso, visto che la strada sterrata per arrivare alle welvitschia è
completamente libera.
Prendiamo possesso dei nostri bungalow, veramente carini e molto comodi con l’uso cucina, al Camping Municipale, poi di nuovo al Lighthouse per gli ottimi piatti a base di pesce.
Sabato, 12 luglio
Partiamo da Swakopmund, salutati dai pellicani appollaiati sui camini dei bungalow. Giù lungo la B2 sino a Walvis
Bay, attraversiamo la periferia in direzione sud per arrivare alla baia piena di fenicotteri rosa. E’ uno spettacolo, inferiore solo al lago Natron ed eguagliato dalle lagune sudamericane.
Attraversiamo poi il parco del Namib. Saliamo sull’altopiano di Solitaire, molto pittoresco. Alla stazione di carburante, facciamo rifornimento in tutti i sensi, abbuffandoci della deliziosa torta di mele, famosa fra tutti i viaggiatori di questa parte d’Africa.
Dopo un paio di smarrimenti del capogruppo, arriviamo
al campo di Sesriem; mentre risaliamo in auto col nume-
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ro delle nostre piazzole, ci accorgiamo di una gomma bucata.Rapidissimo cambio,mentre gli altri montano in fretta il campo.Poi via alla Duna 45,mentre la guardiana ci urla:“Non osate tornare dopo il tramonto!!”.
Riusciamo ad arrivare al volo, scaliamo la duna e ci gustiamo un bel tramonto, mentre lo sguardo spazia per il
deserto del Namib. Scivoliamo dal lato ripido della duna,
provando inaspettatamente il brivido delle dune ruggenti, una vibrazione sonora che dalla sabbia ci entra nello
stomaco e ci lascia senza fiato. Si tratta dell’aria espulsa
dagli interstizi presenti fra i granelli di sabbia.Di corsa (non
si dovrebbe perché ci sono parecchie buche sulla strada)
ripercorriamo i 45 km fino al camping; abbiamo un bel
campo a semicerchio attorno ad una splendida acacia,chiaro di luna e una gustosa amatriciana offerta dall’équipe di
cucina…
Domenica, 13 luglio
Tutti d’accordo nello snobbare l’alba dalla duna 45, zeppa di gente. Precediamo tutti (o quasi) a Sossusvlei, nonostante alcuni insabbiamenti (simpatici) negli ultimi chilometri. Saliamo sulla duna più alta lungo una bella cresta
ventosa,poi ci divertiamo come bambini a scendere a corsa pazza verso il fondo. Nel frattempo si alza un vento
sempre più fastidioso che ci costringe a rinunciare alle visite a Deadvlei e a Hiddenvlei.Torniamo a Sesriem e organizziamo un’escursione a Sesriem Canyon,una gola scavata dal fiume Tsauchab lunga 1 km e profonda dai 20 ai
30 metri.
Impegniamo per mezz’ora le energie (fisiche e mentali) di
14 adulti (+ l’unica giustificata!) per costruire una bellissima casetta dotata d’ogni comfort – persino piscina – ad
uno…scarabeo!!, e a fare speculazioni altamente filosofiche sulle modifiche del di lui destino dopo l’incontro con
noialtri. E’ tempo di finire il viaggio, che ci sta finendo!
Altro bel campo serale con falò, vento, luna piena, intrattenuti da un grande Gabriele di NICCHIA!
Lunedì, 14 luglio
Partenza comoda, impacchettiamo per bene cassa cucina
e attrezzatura a noleggio, lasciamo i viveri che restano ad
una famiglia piena di bambini incontrata per strada (nei
pressi dell’ennesima foratura) e ne prendiamo altri,a grande richiesta, a Solitaire (solita torta di mele).Torniamo a
Windhoek con un po’ di spasimo: abbiamo una perdita
d’olio nel sistema frenante di una Nissan. Dovrò guidare
per tutto il rientro col freno a mano come una pistola
pronta ad estrarre dalla fondina.
Restituiamo il materiale, quindi ultima cena – dopo una
meritata doccia al Farida – nuovamente al Gran Canyon
Spur.
E’ il momento dei brindisi; ce n’è per tutti: per le cuoche,
per gli autisti,per il team cambio-gomme,per i medici che
fortunatamente non sono serviti o quasi, per i Topi neosposi, con lui (Stefano-Steve) ormai quasi ammalato dal
viaggio(e dal resto ?).Il più commovente è stato per la mascotte, che si è comportata alla grande in un viaggio così
intenso (ma lei sta dormendo!)
Il resto del gruppo...
Martedì, 15 luglio
All’AVIS dell’aeroporto ci contestano, ovviamente, le tre
gomme triturate; invece, a sorpresa, ci dissanguano (l’AVIS sono i volontari del sangue o no?) con la richiesta di
500 N$ (=60 euro!) per il tappo del mozzo di una ruota.
All’aeroporto di Johannesburg perdiamo tutti la testa per
i favolosi negozi di artigianato africano; siamo quasi costretti a spese folli,e festeggiamo anche un po’ i Topini che
devono metter su casa!
Mercoledì, 16 luglio
A Malpensa salutiamo Mariella e Carlo in coincidenza per
Roma. Poi il gruppo si scioglie fra commozione, baci e lacrimucce.Arrivederci ai raduni e (magari!) ad altri viaggi!!
CONSIDERAZIONI FINALI
Alla fine del viaggio, il gruppo è stato concorde in alcune
considerazioni riguardanti l’itinerario di due settimane:
- il Waterberg è bello, ma è talmente breve la sosta che
forse conviene saltarlo e dedicare più tempo all’Etosha;
- le Epupa Falls sono davvero splendide e meritano senz’altro un pernottamento in più;
- la Skeleton Coast, a parte la suggestione del nome, non
ha mosso grandi entusiasmi. Cape Cross si può comunque raggiungere da sud, da Swakopmund;
- belle le atmosfere nella zona dell’Aba Huab Valley, che
vale la deviazione;
- entusiasmo ha suscitato il campo all Spitzkoppe, ancora integro,data la scarsità della frequenza turistica.Quasi quasi da lasciare com’è;
- pollice verso per la Welvitschia Drive, sicuramente supervalutata nelle guide.
Insomma,forse è meglio perdere qualcosa,ma gustare con
più intensità il resto.
Che dire del gruppo? L’affiatamento si è dimostrato meraviglioso ed ha contribuito a fare di questo viaggio una
cosa per me un po’ speciale. Sicuramente un viaggio con
campi tendati e cassa cucina ha sempre una marcia in più
nel coagulare un gruppo; ma vari altri momenti collettivi
vissuti con simpatia (i cambi delle gomme, le cacce fotografiche all’Etosha, la risalita delle dune ed il brivido della
discesa “vibrante”,ecc.) hanno contribuito alla fusione del
gruppo.
Dal nostro punto di vista, di genitori, è stato poi stupendo vedere nostra figlia letteralmente sparire, durante le
escursioni,mano nella mano con qualcuno del gruppo,ormai “parenti” a tutti gli effetti.
Un grazie particolare deve andare ai componenti del fuoristrada dove “abitava” Annagiulia,ossia Ornella e Gabriele
che, assieme a mamma Giorgia, sono riusciti, con decine
e decine di favole e storie inventate e non, a far sciroppare alla bambina 4.500 km in due settimane, senza grossi
traumi se non – ahimè – per loro!
IL GRUPPO:
Angela e Marinella, furlane doc, donne di polso, sempre in
prima fila alla cassa cucina a dirigere il traffico di cuochi.
Angela:“…devo far osservare che in questo gruppo si consuma veramente poca grappa!..”;di Marinella nessuno è riuscito a capire la filosofia della sua particolare “dieta”, resterà un mistero;
Lucia e Franco, trentini e montanari pure loro, lui entusiasta pilota di rally, primo navigatore, lei entusiasta scalatrice di dune, premio “Energia”; entrambi primi zii di Annagiulia;
i Topini in Luna di Miele, Giovanna e Stefano, tanto teneri
da tagliarsi con un grissino, dieta a base di amore e concerti rock;
Alessandra, discreto dottore in veleni (nessuna ironia in
nessuna parola, giuro!), fiorentina viaggiatrice incallita;
Ornella di Venezia, pardon Mestre, premio “pazienza coi
bimbi”, ovvero “strozzane uno per educarne cento”;
Mariella e Carlo, simpatici laziali, futuri proprietari di una
chiesa senza essere pastori;“Ahò, a Maurì, te dici che nun
mel’addebbitano a er coso,er parabrezza? Nun è tanto pe
li sordi…!”;
Marco Otocione, autista bolognese, specializzato in viaggi sudafricani,“..mo vè! Non sapete cos’è un SURICATO?
Socmel!”…”Ah, se non c’è il KINGSLUP non mangio!”;
Gabriele belin, genovese di NICCHIA, filosofo di vita vissuta, insospettato incantatore di bimbi.
Giorgia, veterana di AnM, ormai schizzata nel suo doppio
ruolo:“Che ci faccio qui, la partecipante o la mamma?”
Il sottoscritto, angosciato dalla prima esperienza di autonoleggio con guida del gruppo,dagli sterrati a manetta,dalle probabili magagne della figlia, dai possibili malumori del
gruppo, da…….;
infine Annagiulia, la “cugina” dei Topini, prima esperienza
di gruppo fuori Europa, circondata per tutto il tempo da
14 adulti (no, veramente noi circondati da lei!!).
A tutti un caldo grazie per la disponibilità, l’affetto, l’entusiasmo e…il coraggio dimostrati.
OTOCIONI a tutti!
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KENYA
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A NAIROBI
IN TRANSITO
Cronaca di una notte keniota
scelta di non assumere il Lariam come prevenzione contro la malaria, per non mettere a repentaglio il tuo fegato
gia’ abbastanza provato da anni di alcol, non si riveli una
scelta suicida!!! Chi vive per mesi in Africa,o ci fa 3-4 viaggi all’anno, non puo’ permettersi di fare ogni volta, o per
tanto tempo consecutivamente, la profilassi antimalarica:
missionari, cooperatori, uomini d’affari, o semplici “viaggiatori di lungo corso” mettono comunque in preventivo
che prima o poi, vivendo in certe aree, la temibile malaria
potrebbe colpirli, con l’unica, relativa, consolazione che al
giorno d’oggi, se riconosciuta e presa in tempo, la malaria
e’ malattia perfettamente guaribile.
NAIROBI
Testo di
Giorgio Rizzo
(Dr. Otelma)
LA MOSCA
La mosca keniota,ficcatasi chissa’ come all’interno del velivolo, continua imperterrita a punzecchiarmi e a infastidirmi, mentre io vorrei tanto dormire…Come accenno
ad assopirmi, comodamente sdraiato come sono su tre
sedili contigui del volo (mezzo vuoto) Egyptair da Nairobi al Cairo, con due cuscini sotto la testa, che spunta appena in corridoio e una calda coperta per proteggermi
dalla micidiale aria condizionata dell’aeroplano (un moderno airbus A 320), essa.... zacchete!, puntuale mi saltella su una mano, sul naso, sulle palpebre socchiuse, mi ronza in un orecchio, mi impedisce di rilassarmi, non mi da’
tregua... la mosca africana, tenace come poche, mi costringe a rialzarmi a sedere sul mio seggiolino e a guardare un brutto filmetto americano con sottotitoli in arabo
e perdipiu’ senza cuffia, che lo steward di bordo ha evitato di darmi avendomi visto in posizione supina al momento
della distribuzione. Insomma, mi devo accontentare di
guardare le figure, come i bambini piccoli, o sforzarmi di
comprendere un labiale in americano piuttosto stretto,visto che di dormire proprio non se ne parla,a causa di questa tenacissima mosca africana!
MASAI
In questo momento penso che mi piacerebbe proprio essere un Masai: ho letto, infatti, e visto con i miei occhi, che
gli appartenenti al mitico popolo di allevatori di bestiame
rosso togati kenyo-tanzaniani alle mosche non danno il minimo peso, anzi, proprio non ci fanno caso: hanno imparato a conviverci, e, le mosche, a convivere con loro: non
li vedrai mai nell’atto di scacciare una mosca con la mano,
o di roteare le braccia in aria per allontanarle, un gesto
per noi piu’ che spontaneo, assolutamente naturale, per
quanto plateale: loro lasciano che le mosche si posino sui
loro corpi color dell’ebano, e ci passeggino o ci banchettino sopra, senza mai minimamente mostrarsi infastiditi. E
le mosche trovano terreno fertile per i loro giochi: i Masai storicamente si lavano poco,per lo meno quelli che ancora vivono nei villaggi e seguono usanze arcaiche (“L’acqua e’ per il bestiame”, affermano convinti), e si sa che le
mosche, con la sporcizia…I Masai con le mosche ci vivo-
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no praticamente in osmosi,come se non le sentissero,come se facessero parte di loro, o come se fossero accessori da portare sempre con se’ (ma di quale utilita’ poi
???). Eppure chiunque abbia messo piede in Africa sa bene
che razza di piaga continua siano le mosche durante il giorno, e, la notte, le zanzare…
ZANZARE
Gia’,le zanzare:per diverse notti,in questo soggiorno africano sviluppatosi fra Kenya,Tanzania e Seychelles, il loro
ronzio attorno alle mie orecchie mi ha impedito il sonno
(a questo punto qualcuno dei miei quindici lettori iniziera’ a congetturare che ho un po’ d’arterio…).Tenaci anche loro come come le mosche africane,si infilano nei buchi delle zanzariere (vi illudete forse di trovare zanzariere senza “pertugi” negli “alberghetti” africani?) e vanno ad
individuare i pochi centimetri di pelle umana scoperta per
nutrirsi, col risultato che ti risvegli grattandoti furiosamente per il prurito causato dalla puntura sulla mano che
hai lasciato,improvvido,fuori dal lenzuolo,o dal ronzio fastidioso attorno all’orecchio che e’ rimasto scoperto insieme a meta’ della faccia e alla mano che, peraltro, e’ gia’
stata pizzicata…E a questo punto inizi a pregare che la tua
Ieri sera, a Nairobi, l’interrogativo dei miei compagni di
“stònsa” (cfr. Inspecteur Clouzeau) era:“Ma saranno malariche anche qui?”, osservando le zanzariere che penzolavano sopra i nostri letti. Gianluca, da Torino, ne aveva intravista una, nella nostra “camér” (cfr. sempre Insp. Clouzeau) al quinto piano del centrale, pulito, “Confort Inn”,
un alberghetto turistico con stanze a 13 USD a letto nel
centro della capitale. L’hotel e’ come blindato, in una citta’ che sembra, anch’essa, blindata: ci hanno raccomandato di chiuderci dentro a chiave, le porte sono ben spesse,
ogni piano ha la sua porta di sicurezza, dopo il ristorante,
sito al primo piano, bisogna oltrepassare un’altra porta,
pure blindata, per accedere ai piani superiori, oppure salire con l’ascensore, controllato anch’esso da un incaricato alla sorveglianza.Al piano terra,di fianco alle reception,
vigilantes e poliziotti armati.“Ma Nairobi, piuttosto, e’ sicura???”, domando io, così stanco da essere seriamente
tentato di andarmene a letto subito (stamane la sveglia
per prendere prima la barca e poi il volo per lasciare le
Seychelles e’ suonata alle 3,30,ed eravamo un’ora in avanti!). Le misure di sicurezza si sprecano: la malavita e la delinquenza in costante aumento, per lo meno, garantiscono lavoro ai disoccupati (pure in costante aumento): o ladri o poliziotti. Nairobi e’ una megalopoli di quasi tre milioni di abitanti, di cui moltissimi baraccati nelle immense
periferie. In compenso in centro ci sono edifici modernissimi (banche, hotel e palazzi amministrativi), e vicini al
centro dei magnifici “green” (campi da golf,uno sport non
propriamente “proletario”, che alla nostra Ileana hanno
tentato di spacciare come disciplina in crescente popolarita’, in Kenya, mentre a me viene da commentare polemicamente, alla Gaber:“Ma giocate al calcio, deficienti!”).
Ovviamente il tutto,almeno economicamente,e’ control-
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TACCUINI DI VIAGGIO
lato e diretto dalla minoranza, i bianchi, che, pero’, in citta’ non si vedono proprio, non si “mischiano”, standosene
rinchiusi nei loro quartieri modello, nelle loro linde villette ricoperte di bouganville e col pratino all’inglese, o nei
loro circoli esclusivi dove non c’e’ nulla che sappia d’Africa, se non il vigilante dalla pelle nera davanti all’uscio. Noi,
invece, abbiamo deciso alfine di “rischiare” e di “mischiarci”, e così, nemmeno troppo a sorpresa, abbiamo trascorso una delle serate piu’ belle e piu’ vere di tutta la vacanza africana che stava per concludersi.
RABI HOTEL
“Scortati” dal buon Joseph, tassista nero 48enne tondo e
grigio,e da suo fratello John,detto Yogu (=elefante,in swahili),corpulento delata (=driver,in swahili),col faccione alla Mohammed Alì, ci siamo recati, a cena, al Rabi Hotel, un
posto ai bordi del centro di Nairobi, frequentato esclusivamente da gente di colore. Ci aspettavano: Joseph aveva
organizzato le cose per bene, e un tavolo per dieci persone era gia’ adibito, per noi, proprio sotto il palco destinato all’orchestra. Orchestra…beh, un terzetto (batteria,
chitarra e cantante-ballerino) di gente del luogo, specializzato in “loco music”, canzoni dalla base alquanto uniforme e dai testi in swhaili infarciti di doppi sensi: insomma, una sorta di cabaret in musica, coi doppi sensi sottolineati da sensuali e rapidi movimenti del bacino del cantante-ballerino, magro, agile e abilissimo nel “ventrale”.
KARIBUNI ITALY
“Karibuny Italy, welcome Italia, comme stai?”, esordisce il
cantante al microfono vedendoci entrare, manco fossimo
tutti napoletani…(composizione del gruppo, geograficamente parlando: tre torinesi, una comasca, e io di Reggio
Emilia…insomma, tutti, rigorosamente, nordisti!). Prendiamo posto, noi e i nostri due amici di colore, al tavolo
dove ci attendono sette birroni Tusker (marca locale) da
1/2 litro, pronti da stappare. Parte la musica, noi attacchiamo coi brindisi,all’Africa,all’Italia,di buon anno…(notare che e’ il 18 settembre, ma e’ sempre di buon augurio
per il proseguimento…). Intorno, tutta gente rigorosamente di colore: uomini e donne distribuiti in una quindicina di tavoli sotto una tettoia, senza pareti, col vento che
stasera si fa sentire bene…L’attiguo edificio dell’hotel
(questo in muratura:noi ci troviamo nella c.d.“distesa estiva”) e’ tutto dipinto in giallo. Ci sono una quindicina di
stanze, molto “all’africana” (=essenziali), bagni in comune
(orride turche,se non altro igienicamente sicure…) e doc-
ce dotate di acqua rigorosamente fredda. Pero’ l’ambiente e’ simpatico e accogliente:cameriere graziosissime tutte in completo nero alla Blues Brothers e camicia bianca
(l’unico particolare grazie al quale le si puo’ distinguere,
di notte…),un’ampia sala TV,un’altra con due biliardi (uno
col tappeto rosso,e’ il primo che vedo di questo colore!),
gioco ben piu’ popolare,questo,del golf di cui prima,e due
banconi/bar protetti da pesanti grate di metallo (anche qui,
evidentemente,ci son problemi di sicurezza…).L’ambiente si scalda, grazie alla birra, alla gente che, mano a mano,
si alterna in pista a ballare,alle risate di John-Jogu,che continua a parlarmi a raffica in un inglese stentatissimo cercando di tradurmi i doppi sensi delle canzoni e io che non
capisco un’acca di quello che mi farfuglia ma gli sorrido lo
stesso, spontaneamente, come se lo intendessi. Non so
che dire:la situazione,così concitata,la trovo comica:questo che mi parla a raffica, e ride, mi muove al riso: e giu’
risate, di gusto. E si continua a bere, ma noi abbiamo sopratttutto fame, e tanta, e siamo sotto le casse d’amplificazione col volume a palla,il cantante e’ anche bravino ma
alquanto monocorde,e non si prende mai una pausa – che
noi auspichiamo – e continua a non arrivare niente da mangiare… Joseph ci tranquillizza:mi dice:“Il pollo non lo portano finche’ non e’ pronto anche il tuo piatto vegetariano, che stanno ancora cucinando!”. Big Man - penso - ha
provveduto anche a questo! Ha imparato questo pomeriggio che non mangio carne,e ha avvisato i suoi amici dell’hotel di farmi preparare un piattone di verdure,in un posto dove normalmente si servono solo birra e pollo arrosto.Arriva il cibo, alfine, e di “non carnivoro” addirittura tre piatti: uno, enorme, di riso bianco, uno di piselli stufati con spinaci e pomodori (eccellente!) e uno di banane
e patate bollite insieme in salsa di pomodoro (quest’ultimo, per i gusti “europei”, un po’ meno apprezzabile…), e
poi una montagna di polli arrosto serviti su un’asse di legno, ma…nessuna posata!
Al Rabi Hotel di Nairobi si mangia rigorosamente con le
mani,signori,come fra le famiglie dei villaggi,e il rituale impone, prima e dopo il pasto, di lavarsi le mani, e sono proprio le belle cameriere in completo nero, munite di bacinella con sapone e caraffa d’acqua calda, a girare fra i tavoli perche’ gli ospiti possano curare l’igiene. Sono un po’
in difficolta’ coi piselli, usando le mani: tendono a uscirmi
da tutti i buchi e a scivolarmi tra le dita, cadono sul tavolo o a terra, mettendo in serio pericolo il mio unico paio
di pantaloni puliti, coi quali dovro’ viaggiare domani…ed
ecco che, come evocati, spuntano, da un piattto che mi allunga Milcah (una cameriera color cioccolato che si chiama proprio come la cioccolata!), cinque bei cucchiaioni
occidentali, che facilitano a tutti il compito…
Il gruppo!
CONCLUSIONI
Finisce in bellezza, la serata, con strette di mano nelle tre
posizioni (alla maniera africana) con gli altri avventori del
locale, con le danze, nelle quali noi ci dimostriamo degli
autentici “esordienti totali”, rispetto ai “loro” straordinari “ventrali”,con il cantante e quelli dell’orchestra che vengono invitati da Joseph e da me a mangiare con noi. Offriamo loro pollo, verdure e birra, insomma: tutto quello
che e’ rimasto, e loro mostrano di apprezzare un sacco,
vengono a farci compagnia al tavolo, e, soprattutto, smettono finalmente di suonare!!! Il cantante mostra grande
interesse per il mio cellulare, un Panasonic antidiluviano,
e mi chiede di portargliene uno dall’Italia, quando ritornerò a Nairobi;io gli sorrido,gli faccio i complimenti e parliamo a lungo, finche’ non mi rendo conto di quanto sia
magro e assetato e allora concludo la conversazione con
un secco:“It’s time that you enjoy your meal,my friend…”
e un’ultima stretta di mano trifasica. Non gli sto a chiedere dell’AIDS, ovviamente: in Kenya e in tutta l’Africa australe la sua categoria, come quelle dei camionisti e degli
autotrasportatori in genere, e’ fra le piu’ colpite dal grande flagello del nostro tempo. L’ho appreso da una intervista allo zairese (naturalizzato tanzaniano) Remy Ongala,
nome di spicco della World Music, rilasciata al giornalista
italiano free-lance Andrea Berrini, e contenuta nel libro
“Storie Africane.Viaggio in Tanzania” (EDT 2002).Artisti e
camionisti cedono troppo spesso alle tentazioni dei piaceri della carne (occasioni gliene capitano a frotte) e i condom sono troppo cari per molti africani.Insomma,chi non
ha i soldi farebbe bene ad astenersi dal fare sesso…pena
la vita!
Bastano, forse, quelle poche manciate di preservativi che
vengono distribuiti fra le popolazioni piu’ indigenti dalla
cooperazione internazionale o dai pochi, illuminati, sacerdoti delle missioni cattoliche,in evidente contrasto con le
direttive delle gerarchie ecclesiastiche?
Abbiamo scherzato, abbiamo riso, abbiamo stretto tante
mani, abbiamo goduto dell’ospitalità africana, e, loro, dei
nostri ultimi dollari: con 10 dollari a testa abbiamo sfamato tre musicisti, due autisti, e noi stessi.Abbiamo fatto
sorridere tutto il locale col nostro impaccio in pista, e,
mentre uscivamo dal locale,tutti ci chiedevano quando saremmo tornati, per potersi fare due risate in compagnia,
e magari una bella mangiata… sì, perché è questo che loro ricorderanno, e a cui associeranno i nostri volti: una
bella mangiata… e questo e ciò che noi bianchi dobbiamo
fare: sfamare l’Africa.
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