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La battaglia contro i farmaci che costano troppo

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La battaglia contro i farmaci che costano troppo
n. 1151 • anno 23
Joseph Stiglitz
I tassi d’interesse negativi
non bastano
internazionale.it
Stati Uniti
La vergogna
di San Francisco
3,00 €
Musica
Prince, il genio
sfuggente
PI, SPED IN AP, DL
• BE
• CH
DE
ART
DCB VR
CHF • UK
29 apr/5 mag 2016
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
La battaglia contro i farmaci
che costano troppo
L’India sfida le multinazionali
farmaceutiche occidentali garantendo anche
ai più poveri l’accesso ai medicinali
29 aprile/5 maggio 2016 • Numero 1151 • Anno 23
“Non sono una donna, non sono un uomo,
sono qualcosa che non capirai mai”
Sommario
priNce A pAgiNA
La settimana
29 apr/5 mag 2016
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
n. 1151 • anno 23
internazionale.it
Stati Uniti
Joseph Stiglitz
I tassi d’interesse negativi La vergogna
di San Francisco
non bastano
3,00 €
Musica
Prince, il genio
sfuggente
iN copertiNA
La salute non ha prezzo
Lavoro
La battaglia contro i farmaci
che costano troppo
L’India sida le multinazionali farmaceutiche occidentali
garantendo anche ai più poveri l’accesso ai medicinali (p. 42).
Elaborazione di Steve Caplin da una foto di Lauren Burke
(Getty Images)
L’India sida le multinazionali
farmaceutiche occidentali garantendo anche
ai più poveri l’accesso ai medicinali
siriA
Storia Universale
In principio la Terra era tutta sbagliata,
renderla più abitabile fu una bella faticata.
Per passare i iumi non c’erano ponti.
Non c’erano sentieri per salire sui monti.
Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un
panchetto. Cascavi dal sonno? Non
esisteva il letto. Per non pungersi i piedi,
né scarpe né stivali. Se ci vedevi poco non
trovavi gli occhiali. Per fare una partita
non c’erano palloni: mancava la pentola
e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi
a guardare bene mancava anche la pasta.
Non c’era nulla di niente. Zero via zero,
e basta. C’erano solo gli uomini, con due
braccia per lavorare, e agli errori più grossi
si poté rimediare. Da correggere, però,
ne restano ancora tanti: rimboccatevi le
maniche, c’è lavoro per tutti quanti!
Gianni Rodari, Favole al telefono
(Einaudi 1962)
16 Tra le rovine
di Aleppo
Middle East Eye
stAti uNiti
20 Gli sconitti
del boom
petrolifero
The Washington Post
europA
24 L’estrema destra
26
28
avanza in Austria
Le Temps
La Serbia
conferma Vučić
The Economist
Dieci problemi
di Londra per il
futuro sindaco
The Guardian
AsiA
30 Gli abusi
portogAllo
56 Un rifugio
per gli ucraini
New Eastern Europe
portfolio
82
Cinema, libri,
musica, arte
Nancy Borowick
Le opinioni
68 Vivere e morire
ritrAtti
12
74 Emmanuel
di Bassora
Die Zeit
Domenico Starnone
38
Ivan Krastev
Macron
The Guardian
40
Joseph Stiglitz
84
Gofredo Foi
viAggi
86
Giuliano Milani
88
Pier Andrea Canei
nell’oceano
The Independent
99
Tullio De Mauro
76 Un puntino
grAphic
jourNAlism
80 Il genio sfuggente
irAq
cultura
di San Francisco
The Guardian
visti dAgli Altri
52 La poesia
scomunica
Draghi
Die Zeit
stAti uNiti
78 Milano
rischiano la vita
combattendo
le maie
Time
106 Schäuble
60 La vergogna
dell’unità
antiterrorismo
Asia Sentinel
34 I preti che
ecoNomiA
e lAvoro
Andrea Ferraris
musicA
le rubriche
12
Posta
15
Editoriali
111
Strisce
113
L’oroscopo
114
L’ultima
The Guardian
pop
94 Folla a pagamento
Davy Rothbart
scieNzA
101 Favole di seimila
anni fa
Science
Articoli in formato
mp3 per gli abbonati
le principali fonti di questo numero
Middle East Eye È un sito di notizie sul Medio Oriente e sul Nordafrica fondato nel febbraio del 2014. L’articolo a pagina 16 è uscito il 24 aprile 2016 con il
titolo Inside shattered Aleppo: ‘You cannot imagine how beautiful it was before’. Asia Sentinel È un giornale online di Hong Kong in lingua inglese con notizie e
approfondimenti sull’Asia. L’articolo a pagina 30 è uscito il 14 aprile 2016 con il titolo Indonesia’s feared anti-terrorism squad under ire in hunt for Isis .
The Caravan È un mensile indiano in lingua inglese di politica e cultura. L’articolo a pagina 42 è uscito nel numero di marzo 2016 con il
titolo Drug deals. New Eastern Europe È un bimestrale polacco che si occupa di politica ed economia nell’Europa centrorientale. L’articolo
a pagina 56 è uscito con il titolo Seeking refuge in distant Portugal. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
5
internazionale.it/sommario
Giovanni De Mauro
Immagini
Fantasmi nucleari
Černobyl, Ucraina
15 aprile 2015
Scienziati nella sala di controllo del secondo reattore della vecchia centrale
nucleare di Černobyl. Il 26 aprile 1986
l’esplosione del quarto reattore segnò
l’inizio del più grande disastro nella storia dell’energia atomica a uso civile. La
fuga di materiale radioattivo continuò
per dieci giorni, contaminando un’area
di circa 200mila chilometri quadrati.
Milioni di persone furono esposte alle
radiazioni. Malgrado la contaminazione, a trent’anni di distanza la cosiddetta
zona di esclusione si è trasformata in un
ecosistema ricco di fauna selvatica e dovrebbe presto diventare una riserva naturale. Foto di Michal Huniewich (Exclusivepix Media/Karma press photo)
Immagini
Fumata bianca
Toronto, Canada
20 aprile 2016
Migliaia di persone fumano erba nel
centro di Toronto per chiedere ai governi di legalizzare la marijuana. Negli
stessi giorni alle Nazioni Unite si è svolta una sessione speciale dedicata al tema del controllo delle droghe. Il 20 aprile il governo di Justin Trudeau, in Canada, ha annunciato un piano per legalizzare il consumo e la vendita della marijuana entro la primavera del 2017. Due
giorni dopo il presidente messicano Enrique Peña Nieto ha proposto di legalizzare l’uso della marijuana per scopi terapeutici. Foto di Mark Blinch (The Canadian Press/Ap/Ansa)
Immagini
Tono su tono
Namibia
25 dicembre 2015
Un rinoceronte bianco in Namibia.
Questa foto di Maroesjka Lavigne, intitolata Land of nothingness, ha vinto il
primo premio nella sezione Paesaggio
ai Sony world photography awards. I
vincitori nella categoria Professionisti
sono stati annunciati il 21 aprile. I Sony
world photography awards, giunti
quest’anno alla nona edizione, sono il
più grande concorso fotografico al
mondo per quantità di categorie e sezioni. Le immagini dei fotograi inalisti
e vincitori saranno esposte alla Somerset house di Londra ino all’8 maggio
del 2016. Foto di Maroesjka Lavigne.
[email protected]
Il Brasile non è stanco
u Un governo legittimamente
eletto rischia la sua ine anticipata attraverso una procedura
condotta in modo palesemente irregolare ma in sintonia
con gli interessi statunitensi.
Siamo in Medio Oriente? No,
nel vecchio cortile dell’America Latina. Da parte di Internazionale mi aspettavo una copertura all’altezza degli avvenimenti e magari senza il ricorso alle solite immagini che
vogliono una presidente stanca di resistere.
Clara
Addestrarsi al dolore
u L’articolo di Domenico Starnone (Internazionale 1149) sul
dolore e l’empatia è la concretizzazione sulla carta di ciò che
sto pensando da moltissimo
tempo. Com’è possibile insegnare l’empatia in questa società sempre più chiusa? E poi,
anche provando a essere empatici, cosa cambierebbe? Da
madre mi metto nei panni delle madri che portano i bambini
in braccio guadando un iume,
con pochissime cose addosso e
tantissima disperazione e paura negli occhi. Lo faccio, sto
male, ma poi cosa succede?
Torno alla mia vita, cercando
di “non pensarci troppo”. Dovrebbe esserci la ricetta
dell’empatia perfetta.
Maria Cunial
ho trovato una fortissima ainità con Newsweek, rivista
che ho divorato per decenni.
Mettere insieme articoli belli
di tutto il mondo mi dà inalmente il piacere di poter leggere un settimanale come si
deve, allontanando la retorica
nazionalista.
Maria Titone
12
Fuori
dalla cripta
I consigli di Rob
u Nel numero 1150 di Internazionale, a pagina 32, un articolo racconta la condizione del
Gambia sotto la dittatura di
Yahya Jammeh con tanto
di manifestazioni represse nel
sangue. Nel numero precedente nella sezione Viaggi un
servizio magniicava, oltre le
bellezze del paese, anche la
relativa tranquillità sociale rispetto al resto dell’Africa. Non
sono articoli in contrasto l’uno
con l’altro?
Matteo Guerrini
u Per seguire i consigli
dell’oroscopo di Brezsny mi
sono ritrovato nella merda.
Ma è stato molto divertente!
Federico
Errata corrige
u La poesia Rappresentazione,
pubblicata su Internazionale
1150, è tradotta da Jolanda
Guardi.
Errori da segnalare?
[email protected]
Senza retorica
PER CONTATTARE LA REDAZIONE
u Ho scoperto la vostra rivista
e non ne posso fare a meno.
Essendo cresciuta all’estero
quindi di madrelingua inglese,
Telefono 06 441 7301
Fax 06 4425 2718
Posta via Volturno 58, 00185 Roma
Email [email protected]
Web internazionale.it
Domande seccanti
La presentatrice tv Ellen DeGeneres e sua moglie Portia
de Rossi, una delle coppie più
amate d’America, erano perseguitate dalla stessa domanda. Ora però hanno annunciato l’arrivo di un bambino di
nove mesi: un piccoletto che
sbava, va a quattro zampe e
lascia peli in giro per casa. Eh
già, perché Bambino (in inglese, Kid) è il nome del loro
nuovo cane. “Circolano voci
Domenico Starnone
La sida del Gambia
Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli
Siamo stui di sentirci chiedere continuamente
“quando fate un iglio?”.
Come sfuggire a questo
strazio?–Clara e Stefano
Parole
da anni”, ha scherzato Ellen
durante il suo talk show. “Ci
chiedono sempre: ‘Quand’è
che avrete un bambino?’.
Adesso che abbiamo un Bambino spero che la questione
sia chiusa”. Secondo l’ultimo
censimento, il 47,6 per cento
delle donne statunitensi tra i
15 e i 44 anni non ha igli ed è
il dato più alto mai registrato.
Eppure quella domanda si
continua a fare. Se può consolarti, però, le domande seccanti le ricevono in tanti. Ricordo una cena in cui una ragazza che ha detto di essere
buddista si è sentita dire da
un commensale: “Davvero? E
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
perché?”. Così come i vegetariani sono bersagliati da: “Lo
sei per animalismo o perché
non ti piace la carne?”. Nel
nostro caso di famiglia omogenitoriale ci chiedono: “E chi
è il padre biologico?”. Non
credo che abbia senso rispondere male a chi ti fa una domanda indelicata senza rendersene conto. Però poi quando ti trovi con un gruppo di
amici o parenti racconta di
quanto ti ha messo a disagio
la cosa. E così ne avrai educati
dieci in un colpo solo, senza
aver risposto male a nessuno.
[email protected]
u Forse è Shakespeare, forse
è Il trono di spade. La pubblicità della sesta stagione del famoso serial ha messo in scena
questa alternativa. Ad alcuni
degli attori ormai notissimi,
che contribuiscono da anni alla buona riuscita del fantasy
televisivo, venivano sottoposte brevi citazioni e loro, come del resto lo spettatore a
casa, dovevano decidere se
erano shakespeariane o troniane. Gli attori a volte sbagliavano, a volte ce la facevano. E anche lo spettatore iniva per trovarsi nella stessa
condizione ma, più degli attori, provava un po’ di vergogna
quando scambiava, che so,
una frase di Enrico V ad Azincourt per una di Jon Snow alla
Barriera. Vergogna che, se
non passava, diventava indignazione. Shakespeare accostato al Trono di spade? Il
grande William si stava di sicuro rivoltando nella tomba.
O no, forse un “forse” sta bene anche qui. Shakespeare
potrebbe essere lietissimo di
aver messo, a quattrocento
anni di distanza dal giorno
della sua morte, qualche bella
frase ricca di senso in bocca
agli Stark o ai Lannister. La
letteratura non è roba per gelosi cultori della bellezza. Essa anzi rischia di appassire, se
la si immagina soltanto sugli
scafali di pochi eletti. Parole
splendide, tecniche audaci di
ogni tempo non fanno benissimo a uscire dalla cripta dei
libri ed esercitare la loro inluenza attraverso Il trono di
spade o House of cards?
Editoriali
Tre no al trattato transatlantico
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto
Direttore Giovanni De Mauro
Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Editor Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi,
visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni),
Camilla Desideri (America Latina), Simon
Dunaway (attualità), Francesca Gnetti,
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Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero
Zardo (cultura, caposervizio)
Copy editor Giovanna Chioini (web,
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Romano (coordinamento, caporedattore),
Giulia Zoli
Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa
Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web)
Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio),
Valeria Quadri, Marta Russo
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Andrea Fiorito, Lucia Magi, Stefania Mascetti
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Giuseppe Rizzo
Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli,
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Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci,
Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara
Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori
sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli.
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Franco, Andrea De Ritis, Andrea Ferrario,
Federico Ferrone, Giusy Muzzopappa, Floriana
Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini,
Irene Sorrentino, Andrea Sparacino, Bruna
Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna
Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott
Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno
collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini,
Francesco Boille, China Files, Sergio Fant,
Andrea Ferrario, Anita Joshi, Andrea Pira, Fabio
Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour,
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(presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot
(vicepresidente), Alessandro Spaventa
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27 aprile 2016
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Per com’è stato proposto, il Partenariato transa­
tlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip)
è inaccettabile. Durante la sua ultima visita in Eu­
ropa il presidente statunitense Barack Obama ha
sollecitato la sua approvazione. Ma il governo
francese e la Commissione europea dovrebbero
opporre a questo tentativo ossessivo, dogmatico
e pericoloso un triplo no.
No all’allucinante segretezza che avvolge la
questione. Certo, sappiamo che in ogni caso l’ac­
cordo dovrebbe essere approvato dai governi e
dai parlamenti eletti dai cittadini. Ma per quale
motivo i cittadini europei, che sono i diretti inte­
ressati, dovrebbero continuare a ignorare tratta­
tive su cui hanno il diritto di dire la loro prima che
si arrivi a una stesura deinitiva?
No all’indebolimento delle norme sanitarie e
ambientali, l’inevitabile risultato di un compro­
messo con una potenza mondiale che su questi
temi è meno esigente dell’Europa.
No all’assurda clausola sugli arbitrati, che sot­
tometterebbe gli stati democratici alle decisioni
prese da tribunali privati che non hanno né rap­
presentatività né legittimità e che seguono solo la
loro fede nel libero scambio, al di fuori di qualsia­
si considerazione sociale o ambientale. C’è biso­
gno di ricordare che un tribunale del genere ha
condannato il governo australiano per aver ap­
provato norme contro il fumo che danneggiavano
gli interessi delle multinazionali del tabacco?
Tutti sanno che lo sviluppo del commercio
mondiale è un fattore di crescita, che la specializ­
zazione delle economie aumenta la produttività
e che in molti casi è più conveniente importare un
prodotto che non si è in grado di produrre a un co­
sto soddisfacente. Ma questa legge fondamentale
del commercio presenta anche dei gravi inconve­
nienti se si spinge ad abbassare gli standard, a
devastare intere regioni o a concedere poteri
esorbitanti alle grandi aziende. u f
La verità sui ragazzi di Iguala
The New York Times, Stati Uniti
Nel dicembre del 2014 il presidente messicano
Enrique Peña Nieto visitò Iguala, dove alcuni me­
si prima 43 studenti diretti a una manifestazione
a Città del Messico erano scomparsi in circostan­
ze poco chiare. “Facciamo un passo avanti”, di­
chiarò Nieto. Forse si illudeva di poter voltare
pagina su un episodio che aveva scandalizzato il
paese, mentre il suo governo non sapeva dire chi
avesse commesso quel crimine e perché.
Qualche settimana prima, cedendo alle mani­
festazioni e alle pressioni della comunità interna­
zionale, Nieto aveva accettato l’avvio di un’inda­
gine da parte del Gruppo interdisciplinare di
esperti indipendenti (Giei), nominato dalla Com­
missione interamericana sui diritti umani. Inter­
vistando i testimoni e analizzando le prove, gli
esperti hanno ottenuto informazioni che smenti­
vano la versione del governo messicano , secondo
cui gli studenti sono stati uccisi e bruciati in una
discarica da agenti della polizia locale collusi con
il cartello dei Guerreros unidos.
A settembre del 2015 il Giei ha pubblicato un
rapporto secondo cui alcuni testimoni hanno no­
tato agenti della polizia federale e soldati sul luo­
go del rapimento. L’indagine ha inoltre escluso
che nella discarica ci sia stato un rogo abbastanza
grande da bruciare 43 cadaveri.
Invece di riconoscere quelle conclusioni, il
governo ha ignorato le richieste d’informazioni e
ha ostacolato l’accesso ai testimoni. Quando sulla
stampa messicana sono apparsi articoli che deni­
gravano due esperte, il Giei ha sospettato una
campagna difamatoria sostenuta dal governo.
Il secondo rapporto, pubblicato il 24 aprile
2016, non chiarisce cos’è successo agli studenti,
ma è un atto d’accusa nei confronti del sistema
giudiziario messicano. Il rapporto sottolinea che
la versione uiciale si basa su testimonianze otte­
nute con la tortura e critica gli investigatori mes­
sicani per non aver seguito alcune piste e non aver
riconsiderato alcune conclusioni alla luce delle
nuove prove. Questo raforza l’ipotesi che la poli­
zia federale abbia partecipato al crimine per poi
cercare di coprire le tracce.
Gli esperti del Giei hanno tenuto una confe­
renza stampa a Città del Messico prima di lascia­
re il paese: il loro mandato è in scadenza e il go­
verno non intende rinnovarlo. Alla conferenza i
parenti delle vittime hanno gridato in coro: “Non
andate via!”. Nessun rappresentante del governo
si è degnato di presentarsi. Questo la dice lunga
sulle intenzioni dell’esecutivo di riformare le isti­
tuzioni giudiziarie e superare la propria indife­
renza nei confronti dei cittadini. u as
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
15
AMeer ALHALBI (Afp/Getty IMAGeS)
Siria
Tra le rovine di Aleppo
Tom Westcott, Middle East Eye, Regno Unito
Nella seconda città più grande
della Siria i combattimenti tra
l’esercito di Damasco e i gruppi
dell’opposizione mettono
sempre più a rischio la tregua
in tutto il paese
L’
antico suq di Aleppo è pieno di
fumo, mentre il sole penetra
dalle alte inestre illuminando
il soitto a volta carbonizzato e
un ritratto del presidente Bashar al Assad.
Con il fumo e il crepitio occasionale dei kalashnikov si concludono i combattimenti
scoppiati per strada quindici minuti prima,
quando le forze dell’opposizione hanno
aperto il fuoco contro una postazione
dell’esercito. Un tempo brulicante di vita,
16
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
il suq della città vecchia di Aleppo, considerata dall’Unesco patrimonio culturale
dell’umanità, da tre anni e mezzo è teatro
di scontri tra le truppe governative e i ribelli. Il mercato coperto, le cui fondamenta
risalgono al secondo millennio avanti Cristo, è stato devastato dal conlitto. Le botteghe sono ormai involucri bruciati, le loro
facciate somigliano a bocche spalancate
che lasciano intravedere le merci tra le macerie, e le saracinesche sono accartocciate
e punteggiate da fori di proiettile.
Le tre botteghe di Mahmoud Memay,
che vendeva strumenti musicali tradizionali costruiti a mano, sono state distrutte
nel 2012. Un tempo Memay esponeva quegli strumenti alle iere dell’artigianato di
tutto il mondo, ma oggi del lavoro di una
vita gli restano solo venti articoli. “Come
potevo prevedere che avrei potuto perdere
Dopo un bombardamento in un
quartiere ribelle di Aleppo,
il 26 aprile 2016
tutto in un attimo?”, chiede Memay scuotendo la testa nell’unica bancarella ancora
in attività nel suq, un negozio improvvisato
dove si può comprare cibo da asporto.
La bancarella si trova in una galleria silenziosa e chiusa, dove strisce di stofa appese tra i pilastri non fanno entrare la luce
del sole e proteggono i soldati dai cecchini.
“Ho aperto questa bottega all’inizio degli
scontri e sono qui tutti i giorni”, racconta.
Anche se è stato colpito quattro volte da
frammenti di proiettile, Memay ribadisce
di non voler andare via.
I suoi clienti – più o meno una quarantina al giorno – sono soprattutto soldati e
qualche componente delle 38 famiglie che
si sono riiutate di lasciare le loro case nella
città vecchia. Le donne continuano a lavare i panni sui balconi che si afacciano su
strade minacciate di continuo dal fuoco
dei cecchini.
Altre persone si sono rifugiate in quartieri più sicuri di Aleppo. L’ex studentato
del campus universitario, trasformato in
un centro di accoglienza, ospita 33mila
persone. All’esterno tra i teloni grigi
dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite
che si occupa dei rifugiati, alcuni uomini
sono radunati davanti a una bandiera siriana e al ritratto di un giovane soldato, Amar
Seraj Ali, 24 anni, morto in combattimento
alla periferia di Deir Ezzor, controllata dal
gruppo Stato islamico (Is). Sono lì per fare
le condoglianze alla famiglia in lutto.
Mi dicono che funerali di questo tipo
sono molto frequenti e che la maggior parte delle famiglie siriane ha perso qualcuno
nel conlitto. Il governo non ha reso noto il
bilancio delle vittime, ma le Nazioni Unite
hanno calcolato che 250mila persone sono
morte nei cinque anni di guerra. L’inviato
speciale per la Siria, Stafan de Mistura, ha
dichiarato che le vittime potrebbero essere
anche 400mila.
Bombe e iori
La città vecchia è uno dei tanti quartieri di
Aleppo in cui la tregua nazionale sostenuta
dalla Russia e dagli Stati Uniti, entrata in
vigore il 27 febbraio, ha mostrato la sua fragilità. Tutte le parti in conlitto sono accusate di averla violata.
Le forze governative proseguono l’offensiva contro i gruppi di opposizione deiniti terroristi dal Consiglio di sicurezza
dell’Onu, tra cui l’Is e il Fronte al nusra, il
ramo siriano di Al Qaeda. Gli attivisti dei
quartieri controllati dai ribelli nelle zone a
sud e a est della città il 22 aprile hanno denunciato che almeno 25 persone, in gran
parte civili, sono state uccise nei bombardamenti compiuti dall’esercito.
Anche i ribelli portano avanti attacchi
saltuari. All’inizio di aprile un razzo artigianale – una bombola del gas attaccata a
un tubo – ha colpito il consolato svizzero,
abbandonato. Davanti all’ediicio un albero sopravvissuto all’esplosione, proteso tra
due automobili capovolte, è in iore.
Tra le cupole di moschee devastate,
ediici crollati e lamiere ondulate usate dai
cecchini come scudo, il suq è invaso dal
canto degli uccelli, di tanto in tanto interrotto dal rumore degli spari. “Non potete
neanche immaginare quanto fosse bello
questo posto”, sospira un abitante. “Ci vorranno molti anni per ricostruirlo”. u gim
Il giornalista Tom Westcott è andato
ad Aleppo in un viaggio autorizzato da
Damasco ed è stato accompagnato da un
funzionario del governo.
L’analisi
Limiti e forza della diplomazia
Anthony Samrani, L’Orient-Le Jour, Libano
Gli sviluppi sul campo non
risolveranno i problemi, che
devono essere afrontati al
tavolo delle trattative
siriani non sono ancora pronti a fare la
pace. È questo il bilancio che la comunità internazionale può trarre alla ine
del nuovo giro di negoziati tra il regime e
l’opposizione a Ginevra. Con l’Alto comitato per i negoziati (Hcn, in rappresentanza dell’opposizione) che ha abbandonato
le trattative per protestare contro i bombardamenti del regime e la tregua che si
appresta ad andare in frantumi, si tornerà
probabilmente al punto di partenza. L’ottimismo della comunità internazionale si è
scontrato ancora una volta con la complessità della realtà siriana. E non è certo
una sorpresa, vista l’evoluzione dei rap-
I
Da sapere
porti di forza sul campo e la strategia dei
protagonisti. Perché mai il regime di
Bashar al Assad, che si è raforzato grazie
all’intervento russo, dovrebbe fare oggi le
concessioni che non aveva fatto quando
era in condizioni molto peggiori? E perché
l’opposizione, che si batte da cinque anni
contro il regime, dovrebbe accettare di
condividere il potere?
Finché le due parti resteranno così intransigenti e continueranno a pensare di
poter raggiungere i loro obiettivi con le
armi, i negoziati di Ginevra non avranno
alcuna possibilità di andare a buon ine. I
russi e gli statunitensi possono fare pressione sui loro alleati ma, inché le potenze
regionali sosterranno le strategie del regime e dell’opposizione, il margine di manovra delle due grandi potenze resterà
piuttosto limitato. Mentre la strada diplomatica sembra di nuovo bloccata, tutti
tornano a guardare verso il campo di battaglia.
La pace da conquistare
u Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti
umani dal 22 aprile del 2016 ad Aleppo sono
morte almeno settanta persone negli scontri e
nei bombardamenti. In totale nell’ultima
settimana quasi 150 persone sono morte nel
nord della Siria e nei dintorni di Damasco.
u Il 25 aprile il presidente degli Stati Uniti
Barack Obama ha annunciato la decisione di
inviare in Siria altri 250 soldati delle forze
speciali per sostenere le milizie locali nella lotta
contro il gruppo Stato islamico. Ap, Afp
La tregua ha permesso al regime di riprendere Palmira e di raforzarsi nella regione
di Aleppo. È su questo fronte che probabilmente si concentreranno Damasco e i suoi
alleati russi e iraniani. La battaglia di
Aleppo, che coinvolge l’esercito, i curdi
delle Unità di protezione del popolo (Ypg),
i jihadisti dell’Is e i ribelli, sarà cruciale per
il futuro della Siria, dal momento che ogni
fazione ha un suo progetto politico.
L’altro fronte determinante è quello di
Raqqa, su cui puntano i curdi, che aspettano l’autorizzazione degli Stati Uniti per
lanciare l’ofensiva. Per il momento Washington sembra voler temporeggiare, per
non infastidire la Turchia.
Ma gli sviluppi sui fronti di Aleppo e
Raqqa non risolveranno i problemi fondamentali. Dato che le forze che conquistano nuovi territori non sono accolte dalla
popolazione come liberatrici, resta da risolvere la questione della rappresentanza
politica. Le forze che vinceranno la guerra
dovranno poi conquistare anche la pace. E
potranno farlo solo con la diplomazia. u f
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
17
africa e Medio oriente
Sud Sudan
votazioni
nessun
cambiamento
iRaq
Rimpasto
parziale
SAMIR BoL (AFp/GeTTy IMAGeS)
AHMeD SAAD (ReuTeRS/CoNTRASTo)
Ritorno a Juba
Il 27 aprile il parlamento ha approvato un parziale rimpasto di
governo proposto dal primo ministro Haider al Abadi. Sei ministri saranno sostituiti da tecnici,
nel tentativo di limitare la corruzione e il clientelismo che caratterizzano la politica irachena,
scrive Al Jazeera. La decisione
è stata presa il giorno dopo la
manifestazione (nella foto) a cui
hanno partecipato migliaia di
simpatizzanti del religioso sciita
Moqtada al Sadr a Baghdad per
chiedere riforme politiche e trasparenza. Al Abadi spera così di
mettere ine a una crisi politica
che dura da diverse settimane.
Il leader dei ribelli Riek Machar è arrivato il 26 aprile nella
capitale e ha prestato giuramento come vicepresidente del
governo di unità nazionale guidato da Salva Kiir. Machar
doveva tornare il 18 aprile, ma il rientro è stato rinviato per
il disaccordo sul numero di soldati e di armi che avrebbe
potuto portare con sé, ricorda The Niles. Il ritorno di
Machar fa parte dell’accordo per mettere ine a più di due
anni di guerra civile, che ha ucciso decine di migliaia di
persone e ne ha lasciate due milioni senza casa. Il conlitto
è scoppiato nel dicembre del 2013, quando Kiir ha accusato
l’ex vicepresidente Machar di volerlo rovesciare. u
buRundi
egitto
indagine
internazionale
Sida
al governo
Il 25 aprile il generale Athanase
Kararuza, consulente del vicepresidente in materia di sicurezza, è stato ucciso a Bujumbura
insieme alla moglie e a una
guardia del corpo. Il giorno dopo la Corte penale internazionale ha annunciato l’apertura di
un’indagine preliminare sulle
violenze scoppiate il 25 aprile
del 2015, quando il presidente
pierre Nkurunziza ha annunciato di volersi candidare per un
terzo mandato. Secondo l’onu
da allora sono morte più di 400
persone. Iwacu parla di “annus
horribilis” ed esorta le autorità a
“una rilessione per trovare una
soluzione appropriata”.
Al Cairo la polizia antisommossa ha disperso con gas lacrimogeni e cartucce a pallini la protesta contro il governo che si è
svolta il 25 aprile. La data segna
l’anniversario del ritiro di Israele dalla penisola del Sinai nel
1982. Circa cinquecento persone si sono radunate nella zona
di Dokki per chiedere le dimissioni del presidente Abdel Fattah al Sisi, criticato per aver ceduto all’Arabia Saudita la sovranità di due isole nel mar Rosso.
Come ha riferito Aswat
Masriya, dopo la manifestazione sono state arrestate almeno 270 persone, tra cui 43 giornalisti. Decine di attivisti erano
18
Machar (a sinistra) e Kiir (a destra). Juba, 26 aprile 2016
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
stati arrestati anche prima, ha
confermato Ahram Online.
Tra loro c’è Ahmed Abdallah,
presidente del consiglio di amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, un’ong che ofre consulenza ai legali della famiglia di
Giulio Regeni. In un articolo
pubblicato il 21 aprile, l’agenzia
di stampa Reuters ha rivelato
che diverse fonti anonime dei
servizi segreti e della polizia
hanno confermato che il ricercatore italiano trovato morto al
Cairo il 3 febbraio del 2016 era
stato detenuto dalla polizia egiziana e trasferito in una struttura gestita dal dipartimento di sicurezza il giorno in cui era
scomparso, il 25 gennaio.
Questa settimana la rubrica di
Amira Hass è online.
u Alle elezioni del 24 aprile in
Guinea Equatoriale è prevista
la conferma di Teodoro obiang,
al potere da 37 anni. Gli oppositori hanno esortato al boicottaggio, denunciando irregolarità.
u Il Darfur, nell’ovest del Sudan, resterà diviso in cinque entità federali: la proposta di creare un’unica regione è stata respinta con il 97 per cento dei voti nel referendum dell’11 aprile.
Il voto è stato boicottato dai ribelli e dall’opposizione, che si
battono per una maggiore autonomia della regione.
u Secondo i risultati parziali
annunciati il 22 aprile il presidente del Ciad, Idriss Déby, al
potere dal 1979, ha ottenuto un
quinto mandato con il 62 per
cento dei voti.
in bReve
Yemen Il 25 aprile l’esercito, appoggiato dalla coalizione araba
guidata dall’Arabia Saudita, ha
riconquistato la città di Al Mukalla, controllata da Al Qaeda
da circa un anno. Intanto il 22
aprile sono ripresi in Kuwait i
negoziati tra il governo e i ribelli
houthi che controllano Sanaa.
Israele-Palestina Il 27 aprile la
polizia israeliana ha abbattuto
due palestinesi armati di coltello
a un checkpoint a Qalandiya, in
Cisgiordania. pochi giorni prima era stata scarcerata una
bambina palestinese di dodici
anni che aveva attaccato dei coloni israeliani il 9 febbraio.
Stati Uniti
Gli sconitti
del boom petrolifero
Terry Swift a Tilden. Texas, marzo 2016
Il crollo del prezzo del greggio ha
fatto fallire decine di aziende
statunitensi che avevano puntato
tutto sul fracking. E ha causato
una crisi inanziaria che ricorda
quella dei mutui del 2007
ualche anno fa Terry Swift ha preso soldi in prestito dalle banche,
dagli investitori e dai fondi pensione per realizzare la sua frenetica missione: estrarre più petrolio e gas possibili dal sottosuolo del Texas. Ma il giorno
in cui ha capito di essersi spinto troppo in là
aveva un debito di un miliardo e 349mila
dollari. La sua azienda, fondata dal padre
quarant’anni prima, ha dichiarato fallimento e ha dovuto licenziare il 25 per cento del
personale. Le azioni sono state ritirate dalla
borsa di New York. E ora Swift si ritrova a
bordo di un suv intestato all’azienda, diretto verso il luogo pianeggiante e polveroso
dove i suoi sogni si sono appena infranti.
Amministratore delegato sempre prudente, abituato a rinunciare ai jet privati e a
ordinare insalata per pranzo, una decina
d’anni fa Swift ha preso una decisione che
in quel momento sembrava la migliore:
scommettere sull’aumento del prezzo del
petrolio. Ma alla ine è stato travolto da una
valanga di debiti, come tanti altri imprenditori del settore. “Forse abbiamo sbagliato a
credere che non ci sarebbe mai stato un
crollo simile”, spiega Swift, sessant’anni,
mentre attraversiamo la zona sud di San
Antonio. “Ma la verità è che all’epoca non
sembrava afatto una scelta rischiosa”.
Per questo errore di valutazione la sua
azienda, la Swift Energy, è diventata una
delle tante vittime della più grande crisi inanziaria dopo quella dei mutui subprime
del 2007. Per Swift è il punto più basso dei
111 anni in cui la sua famiglia ha fatto afari
con il petrolio americano, una storia cominciata quando il suo bisnonno ha piazzato
una serie di cisterne nelle pianure vicino a
Tulsa, in Oklahoma. Oggi la situazione è
Q
20
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
molto diversa rispetto a qualche anno fa,
quando Swift pensava di aver portato la sua
azienda ai vertici del settore capitalizzando
il vertiginoso aumento della produzione
energetica statunitense, una svolta che prospettava un’epoca d’indipendenza energetica grazie alle nuove tecnologie.
La nuova ondata di prestiti tossici concessi dalle banche alle aziende del settore
energetico non è paragonabile alla bolla immobiliare, ma nasce da comportamenti simili. Gli imprenditori hanno banchettato su
un tesoro che Bloomberg ha stimato in 237
miliardi di soldi facili, senza valutare se sarebbero stati in grado di restituire i prestiti
nel caso di un calo dei prezzi del petrolio. Le
conseguenze di questa avventatezza sono
state enormi: l’industria petrolifera statunitense, diventata un gigante in grado di competere con quella saudita, si sta ridimensionando. Gli investimenti nell’energia sono ai
minimi degli ultimi 25 anni. Più di 140mila
dipendenti del settore hanno perso il lavoro. Le banche si preparano a insolvenze da
decine di miliardi di dollari, mentre economisti e avvocati prevedono che il disastro
inanziario peggiorerà nel corso del 2016.
Il Texas del sud, insieme al North Dakota, è stato il banco di prova per le ambizioni
dell’industria petrolifera. Qui le compagnie
specializzate nell’estrazione del gas e del
petrolio di scisto hanno preso in prestito miliardi di dollari per inanziare le loro attività.
Il piano era accumulare velocemente riserve per poi rallentare la produzione e incassare i proitti. Il problema è che il prezzo del
petrolio è crollato e non si è ancora ripreso.
Rispetto al 2014 il barile costa il 60 per cento in meno. “C’era una frenesia da trivellazione”, racconta Fadel Gheit, analista della
banca d’investimenti Oppenheimer. “Tutti
cercavano di diventare baroni del petrolio.
Ora improvvisamente ci rendiamo conto
che quelle persone hanno speso enormi
quantità di denaro che non avevano”.
A Tilden, nel Texas del sud, la Swift
Energy ha alcuni pozzi. I segni del declino
sono ovunque. Le strade a due corsie, un
tempo intasate da veicoli pesanti, sono qua-
MIChAEL S. WILLIAMSON (ThE WAShINGTON POST/GETTY IMAGES)
Chico Harlan, The Washington Post, Stati Uniti
si deserte. Gli alberghi sulla strada, spuntati come funghi per soddisfare la domanda
di posti letto, sono circondati da parcheggi
vuoti e hanno inestre coperte di polvere. La
contea di McMullen, dove un tempo lavoravano decine di migliaia di persone, è tornata a essere un posto tranquillo, abitato da
circa ottocento persone.
Un fallimento dopo l’altro
L’auto imbocca una strada di campagna e si
dirige verso la sede della Swift Energy, che
comprende una serie di prefabbricati ino a
qualche tempo fa usati come base per le
operazioni di trivellazione. Piccoli cactus
spuntano ai margini della strada. Ci sono
delle mucche vicino all’entrata della proprietà. “Dovremo cacciarle”, commenta
Swift. Per un momento tace, come se stesse
soppesando le parole. “Sai cosa mi dispiace? Tutta la ricchezza che avevamo creato si
è prosciugata”.
Il grande boom energetico americano
non è stato creato solo dalle grandi multinazionali come Exxon e Chevron ma anche
dall’ascesa di centinaia di piccole aziende.
Piccole società che sono cresciute prendendo in prestito enormi quantità di denaro per
aittare macchinari, pompare migliaia di
tonnellate di acqua mista a sabbia e sostanze chimiche nella roccia e aprire fratture per
consentire il rilascio di petrolio e gas naturale. La tecnica è chiamata fracking, frattu-
razione idraulica, e nell’ultimo decennio ha
permesso di raggiungere giacimenti prima
inaccessibili. Gli imprenditori del settore
potevano scegliere: prendere in prestito capitali per partecipare alla corsa al fracking o
restare ai margini e rischiare di fallire. La
maggior parte degli operatori, tra cui Swift,
ha scelto la prima opzione.
Il risultato è stato che dal 2007 al 2014 la
produzione di petrolio nel paese è quasi
raddoppiata. Mentre i politici e gli imprenditori celebravano la nuova era e la riduzione drastica della dipendenza degli Stati
Uniti dal petrolio straniero, pochi hanno
valutato i rischi inanziari del nuovo corso.
Nel frattempo è raddoppiato anche il debito
dell’industria petrolifera. I produttori come
Swift non pensavano che fosse una bolla. Al
contrario, erano convinti di scrivere un
nuovo capitolo della storia energetica americana, un capitolo in cui l’innovazione tecnologica avrebbe ampliato costantemente
il mercato mentre la richiesta globale di
combustibili cresceva, grazie alla Cina.
Prima dell’avvento del fracking, la Swift
Energy era un operatore di medie dimensioni che gestiva pozzi in Louisiana e Texas
e si aidava alla stessa politica da più di un
decennio: mantenere i debiti al minimo.
L’azienda trivellava dai 30 ai 70 pozzi all’anno e, tra le altre cose, possedeva alcune zone in passato considerate improduttive ma
che con l’avvento del fracking sono passate
a essere considerate la nuova miniera energetica d’America. Swift era convinto che la
sua azienda, che aveva sperimentato il fracking quando era meno difuso e meno aidabile, fosse stata baciata dalla sorte.
Mentre l’azienda cominciava a usare il
L’opinione
Il costo ambientale del fracking
u “Quando l’estrazione di petrolio e gas naturale con il
fracking ha cominciato a diffondersi negli Stati Uniti, circa dieci anni fa, molte persone hanno esultato”, scrive
The Nation. I più entusiasti
ovviamente erano gli imprenditori del settore energetico e
i politici che vedevano in questa tecnica un modo per ridurre la dipendenza del paese
dal petrolio straniero, anche
se gli ambientalisti sostengono che causi gravi danni al
sottosuolo.
Non a caso Barack Obama, diventato presidente nel
2009, ha fatto dell’estrazione
di gas naturale con il fracking
un pilastro della sua politica
energetica: avrebbe permesso
di creare i posti di lavoro di
cui l’economia aveva bisogno,
a costi relativamente bassi.
“Ma esultavano anche molti
ambientalisti, perché il gas
estratto con il fracking sembrava meno inquinante del
carbone, una fonte energetica
che in quel momento era ancora molto usata negli Stati
Uniti ed era in ascesa in altri
paesi, a cominciare dalla Cina. I dati dimostravano che
un impianto che brucia gas
naturale rilascia la metà
dell’anidride carbonica prodotta da un impianto che brucia carbone”.
Ma i calcoli sull’inquinamento si sono rivelati sbaglia-
ti perché non tenevano conto
delle emissioni di metano. A
febbraio alcuni ricercatori di
Harvard hanno pubblicato un
rapporto secondo cui tra il
2002 e il 2014 le emissioni di
metano negli Stati Uniti sono
aumentate del 30 per cento.
Una parte è stata causata dalle fughe di gas dagli impianti
che usano il fracking.
“Dieci anni fa si trattava
di scegliere tra carbone e gas,
ma oggi non è più così”, conclude il settimanale. “Il costo
dell’energia prodotta da fonti
rinnovabili negli Stati Uniti si
è notevolmente ridotto, ed è
arrivato il momento di investire seriamente sulle rinnovabili”.
fracking sempre di più, gli investimenti necessari per l’esplorazione e la trivellazione
aumentavano vertiginosamente. Per coprire le spese la Swift Energy ha emesso tre
diversi pacchetti di bond dal valore complessivo di 875 milioni di dollari, aprendo
anche una linea di credito da 500 milioni
con la J.P. Morgan. Complessivamente il
debito superava il miliardo di dollari, una
cifra superiore ai profitti registrati
dall’azienda nei vent’anni in cui aveva guadagnato di più. In seguito la Swift Energy ha
cominciato a sofrire le conseguenze di sviluppi globali imprevisti. Prima è calato il
prezzo del gas naturale. Poi, nel novembre
del 2014, quando l’Arabia Saudita ha aumentato la produzione di petrolio per contrastare la concorrenza degli Stati Uniti, il
prezzo del greggio è precipitato. Nel frattempo c’è stato il rallentamento dell’economia cinese, e la domanda globale di petrolio
è diminuita. Swift ha capito che i problemi
non erano più gestibili. La sua azienda aveva bisogno di contante anche per pagare gli
interessi sul debito, e nessuno era disposto
a concedergli un prestito. A quel punto Swift
ha messo in atto un piano di emergenza: ha
licenziato alcuni dipendenti, ha chiamato i
fornitori, ha chiesto una riduzione dei costi
e ha ridotto le spese. Ma non è servito a nulla. Il 31 dicembre del 2015 Swift ha incontrato Alton Heckaman, il responsabile inanziario della compagnia, e hanno irmato le
carte per il fallimento.
La Swift Energy non è stata l’unica
azienda a fallire. Secondo Haynes and Boone, uno studio di avvocati di Dallas, nel 2015
42 compagnie del settore petrolifero e del
gas hanno dichiarato bancarotta. Quest’anno il numero dovrebbe aumentare.
Risaliamo in macchina e ci dirigiamo
verso Eagle Ford, dove durante il boom
c’erano 250 pozzi e i prezzi dei terreni erano
centuplicati. Oggi ci sono solo 43 pozzi attivi. Swift ci tiene a dire una cosa: si considera
ancora un “uomo del petrolio”. Ma ormai
non ha più il controllo dell’azienda fondata
dal padre. Quando finirà il processo per
bancarotta, Swift sarà ancora amministratore delegato, ma la Swift Energy sarà di
proprietà degli azionisti, compresi gli hedge
fund che sono piombati sull’azienda nel
2015 e hanno comprato a prezzi stracciati le
obbligazioni che sicuramente non sarebbero state rimborsate. Swift non sa nemmeno
se la compagnia conserverà il suo nome.
“Se avessi ancora il controllo potrei risponderti. Ma non ce l’ho più”. u as
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
21
americhe
Messico
stati uniti
trump vede
il traguardo
Delegati assegnati a ogni candidato
Repubblicani
trump
949
Cruz
544
Kasich
153
Delegati necessari per vincere: 1.237
Democratici
Clinton
1.622
sanders
1.282
Delegati necessari per vincere: 2.383
22
Misure
straordinarie
una versione inattendibile
“Anche prima del terremoto che
la sera del 16 aprile ha colpito la
costa nordoccidentale
dell’Ecuador, uccidendo più di
seicento persone, le prospettive
per questo piccolo paese andino
non erano delle più rosee”, scrive il New York Times. “Il prezzo del petrolio, che aveva favorito la crescita negli ultimi anni,
era crollato e l’economia era in
crisi. ora, dopo il sisma più violento dal 1979, il presidente rafael Correa deve ricorrere a misure impopolari, alle quali si era
sempre opposto”. Il 20 aprile, in
un discorso televisivo, Correa
ha annunciato che “i lavoratori
dovranno devolvere una parte
del loro stipendio per inanziare
la ricostruzione e che l’iva salirà
dal 12 al 14 per cento per un anno”, scrive El País.
Città del Messico, 26 aprile 2016. Protesta antigovernativa
EdGArd GArrIdo (rEutErs/CoNtrAsto)
Le autorità messicane hanno sempre sostenuto che i 43
studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa,
scomparsi la notte tra il 26 e il 27 settembre del 2014 a
Iguala, nello stato di Guerrero, erano stati rapiti, uccisi e
bruciati in una discarica da una banda di narcotraicanti
locali. Ma il 24 aprile il Gruppo interdisciplinare di esperti
indipendenti (Giei), nominato dalla Commissione
interamericana per i diritti umani, ha presentato le
conclusioni della sua indagine: “Il rigoroso lavoro
scientiico del gruppo”, scrive Proceso, “smentisce la
versione uiciale del governo”. Inoltre, dimostra che
molte testimonianze sono state estorte sotto tortura,
quindi sono inattendibili. Il mandato del Giei scade il 30
aprile e il governo non lo rinnoverà. u
venezuela
lotte di potere
e razionamenti
Il 25 aprile la corte suprema si è
opposta alla riduzione del mandato del presidente Nicolás Maduro da sei a quattro anni. “In
base alla decisione della corte”,
spiega La Nación, “l’emendamento approvato in prima lettura dal parlamento, controllato
dall’opposizione dal dicembre
2015, per anticipare la ine del
mandato del presidente non può
avere efetto retroattivo e quindi
non può essere applicato a Maduro”. La continua lotta tra governo e parlamento si aggiunge
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
alla crisi economica, aggravata
dal crollo del prezzo del petrolio. Il 21 aprile Maduro aveva annunciato un nuovo razionamento elettrico nei dieci stati più popolosi del paese: quattro ore al
giorno per 40 giorni. Inoltre, i
dipendenti pubblici lavoreranno
solo due giorni alla settimana.
Prezzo del petrolio, dollari al barile
Fonte: The Economist
125
100
75
50
25
0
2000
2005
2010
2016
Pedernales, 23 aprile 2016
rodrIGo ABd (AP/ANsA)
“È stata la migliore serata per
donald trump da quando sono
cominciate le primarie repubblicane”, scrive Politico commentando i risultati del voto del 26
aprile in Pennsylvania, delaware, rhode Island, Maryland e
Connecticut. “Finora trump
aveva sempre faticato a raggiungere il 50 per cento dei consensi,
ma il 26 aprile ha superato quella soglia in tutti gli stati e ha battuto il senatore ted Cruz e il governatore John Kasich con distacchi di 20 o 30 punti percentuali”. Questo gli ha permesso
di incrementare ulteriormente il
vantaggio in termini di delegati,
i rappresentanti che alla convention di luglio sceglieranno il
candidato alle presidenziali di
novembre. “Ma per conquistare
la nomination”, scrive il New
York Times, “trump deve superare altri due ostacoli: le primarie nell’Indiana, il 3 maggio,
e quelle in California il 7 giugno”. Cruz e Kasich hanno stretto una sorta di alleanza per arginare trump: Kasich ha annunciato che non farà campagna
elettorale in Indiana in modo
che Cruz abbia più possibilità di
battere trump in quello stato.
tra i democratici Hillary Clinton ha vinto in quattro stati
(Pennsylvania, delaware, Maryland e Connecticut) e ha raforzato il suo vantaggio su Bernie
sanders, che ha vinto solo in
rhode Island.
ecuador
in breve
Cuba Il governo ha annunciato
il 22 aprile l’eliminazione delle
restrizioni ai viaggi via mare,
vietati da decenni. La misura
apre la strada ai collegamenti
marittimi tra Cuba e gli stati
uniti.
Stati Uniti Il 22 aprile il governatore della Virginia, terry
McAulife, ha ripristinato il diritto di voto per circa 200mila
detenuti. u Il 25 aprile la città di
Cleveland ha stanziato sei milioni di dollari per risarcire la famiglia di tamir rice, un dodicenne ucciso da un poliziotto
che aveva scambiato una pistola
giocattolo per una vera arma.
Europa
Heinz-Christian Strache e Norbert Hofer a Vienna, il 24 aprile 2016
Da sapere
Verso il ballottaggio
Il primo turno delle presidenziali austriache
HeINz-PeTeR BADeR (ReuTeRS/CoNTRASTo)
Norbert Hofer (Fpö)
Alexander Van der Bellen (Verdi)
21,3
Irmgard Griss (indipendente)
18,9
Rudolf Hundstorfer (Spö)
11,3
Andreas Khol (Övp)
11,1
Richard Lugner (indipendente)
Aluenza
L’estrema destra
avanza in Austria
Le Temps, Svizzera
Il primo turno delle elezioni
presidenziali ha segnato il
trionfo del candidato del Partito
della libertà e il tracollo dei
socialisti e dei popolari
l primo turno delle elezioni presidenziali austriache del 24
aprile ha trionfato l’estrema destra. I due grandi partiti che dal
1945 si sono alternati al potere – i socialdemocratici dell’Spö e i popolari dell’Övp –
non parteciperanno al ballottaggio del 22
maggio. Norbert Hofer, il candidato del
Partito della libertà (Fpö), ha avuto il 35 per
cento dei voti, il miglior risultato mai ottenuto dalla formazione di estrema destra in
un’elezione nazionale. Al secondo posto si
è piazzato il verde Alexander Van der Bellen, seguito dalla candidata indipendente
Irmgard Griss. Il socialdemocratico Rudolf
Hundstorfer e il popolare Andreas Khol si
sono fermati all’11 per cento dei consensi.
Anche se in Austria la funzione del presidente della repubblica è principalmente
di rappresentanza, il risultato del voto è un
duro colpo per il capo del governo Werner
A
24
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Faymann, dell’Spö, e per il vicecancelliere
popolare Reinhold Mitterlehner, il cui mandato scadrà nel 2018. Dal dopoguerra in poi,
infatti, i due partiti hanno sempre controllato la presidenza, con uomini provenienti
dai loro ranghi o con candidati indipendenti eletti grazie al loro sostegno.
Vicepresidente del parlamento, Norbert
Hofer, 45 anni, si considera l’incarnazione
dell’ala liberale dell’Fpö, il partito che tra il
1986 e il 2000 fu guidato da Jörg Haider.
Ingegnere aeronautico dai modi cortesi, e
con una piccola disabilità dovuta a un incidente di parapendio, Hofer ha sedotto soprattutto i giovani. Il suo successo conferma la continua crescita dell’Fpö in un momento in cui la grande coalizione al governo
è travolta dalla crisi dei migranti e dall’aumento della disoccupazione. Nel 2105 l’Fpö
aveva già superato la soglia del 30 per cento
in diverse elezioni regionali. “È un risultato
storico che rilette le qualità di Hofer, ma
anche la profonda insoddisfazione verso il
governo”, ha detto il leader del partito
Heinz-Christian Strache.
A rappresentare le speranze della sinistra e della destra moderata al ballottaggio
sarà Van der Bellen, ex professore universitario su posizioni quasi centriste. Teorica-
%
35,1
2,3
68,5
mente indipendente, è sostenuto dai Verdi,
partito di cui è stato a lungo il leader. Anche
Irmgard Griss, ex presidente della corte suprema e poco conosciuta al grande pubblico, ha ottenuto un risultato sorprendente.
Il presidente austriaco, eletto per un
mandato di sei anni rinnovabile una sola
volta, ricopre essenzialmente un ruolo protocollare e morale. Tuttavia dispone di ampi poteri formali: è il capo delle forze armate, nomina il cancelliere e, in determinate
circostanze, può sciogliere il parlamento. In
campagna elettorale Hofer ha minacciato
apertamente di far ricorso proprio a
quest’ultima prerogativa se il governo non
dovesse seguire, nel caso lui fosse eletto, le
sue raccomandazioni sul tema dei migranti. D’altro canto Van der Bellen ha afermato
che, da presidente, si riiuterebbe di nominare cancelliere Strache, anche se l’Fpö
dovesse vincere le prossime elezioni legislative. u as
Il commento
La ine di un’epoca
“Non importa quanto siano stati grandi lo shock
e l’amarezza per la sconitta più bruciante della
loro storia: i leader dei socialdemocratici e dei
popolari, i loro collaboratori, i consiglieri e le igure di spicco dei due partiti diicilmente capiranno quello che è successo il 24 aprile”, scrive
su Die Presse Rainer Nowak. “Ma la verità è
semplice: il loro tempo è inito. La seconda repubblica austriaca, nata nel 1945, è acqua passata. e l’elettorato è radicalmente cambiato.
Quello che verrà è tutto da vedere. È possibile
che l’Austria sceglierà il modello ungherese o
polacco. Forse dalle macerie dei vecchi partiti
sorgerà un nuovo leader in grado di capire gli
elettori. oppure le elezioni diventeranno frequenti come in Italia. o magari si vedranno
esperimenti come se ne sono visti in Danimarca
e in altre democrazie creative. una cosa è certa:
nulla sarà più come prima”. u ma
FoNTe: BuNDeSMINISTeRIuM FüR INNeReS
I primi due candidati parteciperanno
al ballottaggio del 22 maggio.
Europa
Un passo indietro
Aleksandar Vučić a Belgrado, il 21 aprile 2016
Filip Švarm, Vreme, Serbia
tre partiti più votati alle elezioni del
24 aprile sono nati negli anni precedenti alla caduta di Slobodan
Milošević o hanno radici in quella fase storica. Il paese sembra tornato agli anni
novanta: la campagna elettorale è stata ai
limiti della regolarità e ci sono seri sospetti
di brogli. Abbiamo fatto un altro passo verso l’autoritarismo, il populismo e la demagogia. È una verità che nessuno slogan
sull’integrazione europea e sulle riforme
riuscirà a cancellare.
I vincitori delle seconde elezioni in due
anni, convocate da Vučić esclusivamente
per conquistare tutte le leve del potere, sono proprio il primo ministro e il suo partito.
La cosa più preoccupante è l’intenzione di
Vučić di annichilire ogni alternativa politica
e di far passare l’idea secondo cui il periodo
tra il 2000 e il 2012 è stato una parentesi che
ha portato il paese sull’orlo del baratro. I
metodi e le strategie usati dal potere negli
anni novanta sembrano tornati di moda.
La presa dell’Sns sulla Serbia è sempre
più solida. Certo, in parlamento Vučić avrà
una maggioranza meno ampia, dovrà fare
qualche concessione ai partitini con cui si è
presentato e l’opposizione avrà più deputati. Ma questo non cambierà nulla. Il voto ha
cancellato ogni dubbio: tutto il potere è nelle mani di Vučić. Bisognerà solo capire chi
sarà il capro espiatorio di turno. La colpa di
ogni problema verrà di nuovo attribuita ai
vecchi governi democratici? Ai partner di
coalizione? A qualche leader locale? Una
cosa è sicura: Vučić non è capace di fare politica se non in una situazione da stato di
emergenza e tra continui scandali. u ma
Da sapere
Il nuovo parlamento serbo
Variazione rispetto al 2014
Variazione rispetto al 2014
Seggi
Seggi
Partito
progressista (Sns)
131 -27
Dosta je bilo
(liberali)
Partito
socialista (Sps)
29 -15
Alleanza
13
liberaldemocratica
Partito radicale
serbo (Srs)
22 +22
Dveri-Dss
(estrema destra)
13 +13
Partito
democratico (Ds)
16
Altri
10
Aluenza 56,34%
26
-3
16 +16
-5
-1
Fonte: Politika
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
DARKo VojInoVIC (AP/AnSA)
I
La Serbia conferma Vučić
The Economist, Regno Unito
rmai è evidente: alle elezioni
legislative del 24 aprile il primo
ministro serbo Aleksandar
Vučić ha ottenuto un altro
mandato di quattro anni. Bruxelles e le altre
capitali europee si sono già congratulate:
nei Balcani serve stabilità, e il primo ministro conservatore è l’uomo giusto per garantirla. Ma non è detto che sia anche in
grado di far crescere l’economia e di rendere la zoppicante democrazia serba più trasparente.
Vučić aveva indetto le elezioni a gennaio, con due anni di anticipo sulla scadenza
della legislatura. La sua formazione, il Partito progressista serbo (Sns), ha ottenuto
poco meno della metà dei voti, come nel
2014, e mantiene la maggioranza assoluta.
Ma avrà meno seggi, anche perché i partiti
che hanno superato la soglia di sbarramento per entrare in parlamento sono più numerosi di due anni fa. I socialisti si sono
piazzati al secondo posto con l’11 per cento
dei voti, mentre il Partito radicale serbo
(Srs) di Vojislav Šešelj, escluso dall’ultimo
parlamento, è la terza forza del paese con
l’8 per cento. Il successo di Šešelj signiica
che in parlamento tornerà un partito ultranazionalista che chiede di raforzare il legame con la Russia.
O
Vučić e Ivica Dačić, leader dei socialisti
e ministro degli esteri uscente, sono convinti sostenitori dell’adesione all’Unione
europea. Una posizione molto diversa da
quella che avevano in passato. Durante le
guerre degli anni novanta, infatti, Vučić era
un delino di Šešelj, mentre Dačić era il portavoce del leader nazionalista serbo Slobodan Milošević. A conti fatti, quindi, la maggioranza dei deputati del nuovo parlamento
in passato è stata vicina alle posizioni estremiste di Milošević. Il Partito democratico
(Ds), arrivato al potere dopo la caduta di
Milošević nel 2000, è riuscito a malapena a
superare lo sbarramento, e il voto progressista si è disperso tra diversi piccoli partiti.
Con Vučić la Serbia continuerà sulla
strada delle riforme richieste dal processo
d’integrazione europeo e porterà avanti il
dialogo con il Kosovo. Anche se i rapporti
con Bosnia e Croazia sono a volte burrascosi, la situazione tutto sommato è sotto controllo. I principali problemi del paese sono
interni: nel 2015 l’economia è cresciuta dello 0,7 per cento e il salario medio è di 351
euro al mese. Molti hanno votato Vučić perché è un leader credibile. Ma se non riuscirà
a migliorare il tenore di vita della popolazione, diicilmente tra quattro anni sarà riconfermato. u as
Europa
Il laburista Sadiq Khan a Londra, il 29 marzo 2016
L’opinione
Candidati incolori
Financial Times,
Regno Unito
ue candidati lillipuziani si presentano davanti agli elettori della
città più grande d’Europa. Il conservatore Zac Goldsmith e il laburista Sadiq Khan hanno avuto diversi mesi per dimostrare di essere all’altezza di Londra,
dove il 5 maggio si voterà per eleggere il
nuovo sindaco, che prenderà il posto del
conservatore Boris Johnson, alla guida
della città dal 2008. Ma nessuno dei due ci
è riuscito.
Quel che è certo è che i loro progetti
per una città di importanza globale come
Londra sono deludenti. Ma sarebbe sbagliato metterli sullo stesso piano. La campagna elettorale di Khan è stata inconsistente. Quella di Goldsmith ha difetti più
gravi. Pur non avendo mai accusato direttamente il suo avversario di essere un fondamentalista, lo ha più volte collegato al
radicalismo islamico, ed è una strategia
un po’ debole su cui poggiare un’intera
campagna elettorale. Goldsmith inoltre
non trasuda grande entusiasmo per l’incarico a cui aspira. Mentre l’esagitato Khan
dà pacche sulle spalle a tutti, lui fa il minimo indispensabile. Quest’inerzia si rilette
nei sondaggi, che danno favorito Khan. A
salvare il candidato tory potrebbe essere
la bassa aluenza.
Londra non ha bisogno di un grande
sindaco per crescere. rispetto agli standard internazionali, chi guida la capitale
britannica ha pochi poteri esecutivi. Fino
al 2000 la carica neanche esisteva. Ma
l’amministrazione comunale si occupa comunque di trasporti, alloggi e sicurezza,
tutti settori in cui un politico serio potrebbe dare un contributo tangibile in una città che ha quasi nove milioni di abitanti.
Anche il tono della campagna elettorale è
importante. Londra è una città multiculturale, ma lo è in modo naturale. Persone
diverse entrano in contatto tra loro senza
dare alla cosa troppa importanza. La politica identitaria, dove c’è, è molto discreta.
La campagna elettorale di Goldsmith stride con questa realtà, e questo forse spiega
la sua diicoltà a decollare. u fas
BEN PrUChNIE (GETTy IMAGES)
D
Dieci problemi di Londra
per il futuro sindaco
The Guardian, Regno Unito
ra pochi giorni Londra avrà un
nuovo sindaco. I due candidati
favoriti nelle elezioni del 5 maggio sono il conservatore Zac
Goldsmith, che punta a prendere il posto
del compagno di partito Boris Johnson, sindaco per due mandati, e il laburista Sadiq
Khan, in vantaggio secondo i sondaggi. Naturalmente ci sono anche altri candidati. Il
Guardian ha chiesto ai suoi lettori quali sono i principali problemi della capitale britannica. Ecco cosa hanno risposto.
La casa Il prossimo sindaco farebbe bene a
concentrarsi sulla crisi degli alloggi, da cui
la città non riesce a uscire. È questa la principale preoccupazione dei londinesi. La
priorità, spiega un lettore, “è far sì che i londinesi comuni non siano espulsi dalla città
a causa dei prezzi troppo alti”.
Inquinamento e traffico I lettori sono
preoccupati dal livello delle emissioni e
dall’inquinamento causato dalle auto.
Disuguaglianza e salari I londinesi lamentano “livelli di disuguaglianza fuori
controllo” e chiedono l’aumento dei salari
per chi vive in città.
Costi del trasporto pubblico È un settore
in cui il sindaco ha molto potere. I crescenti
costi di bus e metro sono uno dei fattori che
T
28
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
rendono la vita a Londra troppo cara. Khan
ha promesso un blocco dei prezzi fino al
2020, Goldsmith punta sugli investimenti.
Comunità Molti sono preoccupati per le
possibili conseguenze negative della campagna elettorale di Goldsmith, “basata su
odiosi attacchi personali contro Khan, ai limiti del razzismo”, dice un lettore.
Polizia e antiterrorismo C’è preoccupazione per la condotta della polizia. I lettori
chiedono che gli agenti abbiano “comportamenti corretti e non discriminatori”.
Piste ciclabili Anche gli avversari di Johnson ammettono che in materia ha fatto cose
buone. Il timore è che Goldsmith e Khan
non saranno così attenti al problema.
Brexit I londinesi temono l’impatto che
l’uscita dall’Unione europea potrebbe avere sulla città, e criticano Johnson per essersi
schierato a favore della Brexit.
Sicurezza e parità di genere “L’aumento
della violenza contro le donne, è un problema serio”, dice una sostenitrice di Sophie
Walker, candidata del Partito per l’uguaglianza delle donne.
Il garden bridge I lettori si chiedono che
ine abbia fatto il progetto di Johnson di un
ponte-giardino che dovrebbe attraversare il
Tamigi all’altezza di Temple. u
ucraina
Regno unito
obama
e la Brexit
nuove
intimidazioni
IHLAS NEWS AGENCy (AfP/GEtty ImAGES)
Il 23 aprile la giornalista olandese di origine turca Ebru Umar
(nella foto) è stata arrestata con
l’accusa di aver insultato su
twitter il presidente Recep
tayyip Erdoğan. Umar è stata rilasciata, ma non può lasciare il
paese. Nell’ultimo anno in turchia sono stati avviati più di
1.800 procedimenti giudiziari
contro giornalisti accusati di
aver insultato Erdoğan. Nel suo
commento per il tabloid Metro,
Umar aveva deinito il presidente “il dittatore più megalomane
che la Repubblica turca abbia
mai avuto”.
È ancora tesa la situazione politica nell’ex repubblica sovietica.
In una manifestazione organizzata il 24 aprile a Chișinău per
protestare contro la corruzione
e chiedere le dimissioni del governo, decine di persone si sono
scontrate con la polizia. Come
spiega il Jurnal de Chișinău, la
mobilitazione va avanti da settembre e “l’ultima protesta è
stata una manifestazione di cittadini, degenerata solo per colpa degli uomini dell’oligarca
Vladimir Plahotniuc”, accusato
di essere la vera eminenza grigia
della politica moldava. Il 24
aprile, conclude il quotidiano,
“ha dimostrato ancora una volta
che il movimento è sempre più
solido e determinato. E che non
si fermerà”.
Slavutyč, Ucraina, 26 aprile 2016
In occasione del trentesimo anniversario della tragedia di
Černobyl, in Ucraina si sono svolte numerose cerimonie di
commemorazione. L’incidente nucleare del 26 aprile 1986
è stato il più grave della storia: si calcola che nel corso degli
anni abbia causato circa quattromila morti. La nube
radioattiva che si sprigionò dalla centrale sovietica colpì,
oltre all’Ucraina, la Bielorussia, la Russia e, in misura
minore, parte del resto d’Europa. “molti pensano che la
ine dell’Unione Sovietica si sia consumata nel 1991”,
scrive la Ukrainska Pravda. “In realtà la data di morte
dell’Urss è proprio quella dell’incidente di Černobyl”. u
Regno unito
galles e Scozia
al voto
Il 5 maggio in Scozia, in Galles e
in Irlanda del Nord si voterà per
i parlamenti locali. Gli scozzesi
eleggeranno i 129 deputati
dell’assemblea di Holyrood,
mentre i gallesi sceglieranno 60
rappresentanti. Secondo i sondaggi, a Edimburgo gli indipendentisti dello Scottish national
party (Snp) della irst minister
Nicola Sturgeon dovrebbero
conservare la maggioranza assoluta. Seguono i laburisti, che
però sono in calo, e i conservatori, in leggera crescita. Secondo The Herald, lo strapotere
dell’Snp è tale che la vera posta
in gioco del voto è la guida
dell’opposizione. Il risultato
avrà conseguenze anche a livello nazionale, considerato che
Sturgeon ha detto di voler indire
un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia “entro i
prossimi cinque anni”, in particolare se il Regno Unito dovesse
uscire dall’Unione europea con
il referendum del 23 giugno. In
Galles, invece, sono ancora in
testa i laburisti del irst minister
Carwyn Jones, seguiti dai nazionalisti del Plaid Cymru, loro alleati di governo. Le attuali diicoltà dei tory sono legate anche
“al coinvolgimento del premier
David Cameron nello scandalo
dei Panama papers”, scrive il
Western Mail. Anche in Galles
il voto sarà inluenzato dal dibattito sull’Europa: in vista del
referendum, infatti, i populisti
euroscettici dell’Ukip potrebbero raddoppiare i consensi.
JUAN CARLOS HIDALGO (REUtERS/CONtRAStO)
tuRChia
Continuano
le proteste
trent’anni dopo Černobyl
GLEB GARANICH (REUtERS/CONtRAStO)
Entra nel vivo la campagna elettorale per il referendum del 23
giugno sulla permanenza
nell’Unione europea. Il 22 aprile
la causa europeista ha incassato
il sostegno di Barack Obama. Il
presidente statunitense ha detto
che in caso di uscita dall’Unione, Londra si troverebbe “in
fondo alla ila” nelle trattative
per un nuovo accordo commerciale con Washington. Secondo
il Guardian, il premier David
Cameron e gli europeisti “non
potevano chiedere di meglio”,
mentre il Daily Mail critica
Obama per “aver chiesto ai britannici di mantenere un rapporto che i suoi stessi cittadini non
tollererebbero mai”.
moldova
in BReve
Spagna Il 26 aprile il re felipe
VI (nella foto) ha indetto le elezioni legislative anticipate il 26
giugno, prendendo atto dell’impossibilità di formare un governo dopo il voto del 20 dicembre.
Belgio Il terrorista Salah Abdeslam, unico sopravvissuto dei
commando degli attentati di Parigi del 13 novembre, è stato
estradato in francia il 27 aprile.
Lussemburgo Il 26 aprile si è
aperto in Lussemburgo il processo per lo scandalo Luxleaks,
scoppiato nel 2014. Gli imputati
sono tre francesi accusati di aver
rivelato illecitamente le pratiche
di evasione iscale messe in atto
dalle multinazionali nel paese.
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
29
Indonesia
NORJANI (ANTARA/ReUTeRS/CONTRASTO)
Agenti della Densus 88 a Jakarta, gennaio 2016
Gli abusi dell’unità
antiterrorismo
Dewi Kurniawati, Asia Sentinel, Hong Kong
Formata da 500 agenti speciali,
la Densus 88 è stata creata dopo
gli attentati di Bali del 2002 con i
soldi degli Stati Uniti. Ma 121
persone arrestate dalla squadra
speciale sono morte
unità antiterrorismo indonesiana. La donna ha fornito all’organizzazione anche una
busta di cartone scuro che le è stata consegnata dalla Densus 88 dopo la morte del
marito. Dentro c’erano cento milioni di rupie indonesiane (6.700 euro) come risarcimento per la famiglia.
Eicienza e torture
a moglie di Siyono, che come
molti indonesiani ha un unico
nome, probabilmente ha fatto la
cosa migliore rivolgendosi alla
Muhammadiyah, la seconda maggiore organizzazione islamica indonesiana, per
fare chiarezza sulla ine di suo marito. Siyono è morto a marzo del 2016 dopo essere
stato arrestato dalla Densus 88, la temuta
L
30
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Siyono, 34 anni, abitava nel villaggio di
Dukuhm, nella provincia di Java centrale.
È stato arrestato l’8 marzo con l’accusa di
coinvolgimento in azioni terroristiche ed è
morto due giorni dopo. Secondo la commissione nazionale per i diritti umani
Komnas Ham, da quando la Densus 88 è
stata creata, nell’agosto del 2004, 121 persone sono morte poco dopo essere state
arrestate. L’unità speciale, formata da circa 500 agenti, è stata creata con i fondi del
dipartimento di stato statunitense, che ha
pagato le armi, gli stipendi e un addestramento di alto livello nell’intercettazione
delle comunicazioni, nello scontro armato
ravvicinato e nella raccolta e analisi d’informazioni riservate.
A quest’unità speciale si attribuisce il
merito di aver dato una svolta decisiva alla
guerra che Jakarta sta conducendo contro
il gruppo terrorista islamico Jemaah islamiyah. Recentemente la Densus 88 è tornata al centro dell’attenzione perché si teme che i circa cinquecento cittadini indonesiani partiti per il Medio Oriente per
unirsi al gruppo Stato islamico (Is) stiano
tornando per scatenare il caos in Indonesia. Circa duecento persone, in maggioranza donne e bambini, sono state fermate
in Turchia e rimpatriate, e oggi sono sotto
sorveglianza. Gli attentati di gennaio del
2016 nel centro di Jakarta, dove sono morte otto persone, tra cui quattro attentatori,
sarebbero stati organizzati e inanziati da
Bahrun Naim, un esperto indonesiano
d’informatica che pare viva in Siria.
Ma l’eicienza per cui è nota la Densus
88 ha un costo. L’unità è stata accusata dalle associazioni per la difesa dei diritti umani di usare la tortura e di nascondere dietro
i frequenti “scontri a fuoco” con i terroristi
delle esecuzioni a freddo. Nel 2010 l’unità
è stata molto criticata per un video in cui
alcuni agenti premevano un tizzone ardente sui genitali di un separatista papuano
con la testa avvolta in un sacchetto di plastica, mentre un poliziotto puntava un coltello alla gola dell’uomo, che implorava
pietà.
Il dubbio
La polizia inizialmente ha detto che Siyono
aveva nascosto una pistola e aveva aggredito alcuni poliziotti mentre veniva trasportato dagli uomini della Densus 88 in
una località della regione di Yogyakarta.
Durante la colluttazione Siyono avrebbe
battuto la testa e sarebbe morto. Ma l’autopsia fatta da alcuni medici della Muhammadiyah su richiesta della moglie di Siyono ha rivelato che la morte è stata causata
da un trauma toracico e dalla frattura delle
ossa vicino al cuore. L’autopsia, inoltre,
non ha rilevato sul cadavere alcuna ferita
da difesa.
Dopo queste rivelazioni, il 5 aprile il
portavoce della polizia nazionale Anton
Charliyan ha ammesso alcuni “errori procedurali” commessi dall’unità antiterrorismo e ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. La camera dei rappresentanti ha
in programma di convocare i vertici della
polizia e l’agenzia nazionale antiterrorismo (Bnpt) perché riferiscano sulla morte
di alcuni sospetti terroristi arrestati dalla
Densus 88 negli ultimi anni. “Il dubbio è se
Siyono fosse davvero un terrorista che doveva essere arrestato e se sia morto perché
ha opposto resistenza al fermo”, ha spiegato Desmond Mahesa, vicedirettore della
commissione per i diritti umani della camera dei rappresentanti.
Gli attentati di gennaio hanno dimostrato che il terrorismo rimane una minaccia per la sicurezza del paese nonostante le
misure speciali in vigore. Ma i soprusi gratuiti avvenuti durante le operazioni della
Densus 88 hanno reso evidente la necessità di procedure più trasparenti. Le sospette
violenze durante l’arresto e la detenzione
di Siyono hanno raforzato i timori che i diritti umani possano efettivamente essere
minacciati da queste misure antiterrorismo, e sempre di più le persone sono con-
vinte che questo pericolo debba essere
evitato.
Anche se gli attentati continuano in varie zone dell’Indonesia, la riforma della
legge sul terrorismo del 2003 proposta dal
governo ha suscitato preoccupazione e critiche, innanzitutto per il rischio di violazioni dei diritti umani. La nuova legge, infatti,
attribuisce alle forze di sicurezza poteri più
ampi nei confronti delle persone sospettate di attività terroristiche. La legge del
2003 era una risposta del governo all’ondata di attentati cominciata con le esplosioni
di Bali del 2002, in cui morirono 202 persone, in buona parte turisti stranieri. Il ministro per il coordinamento degli afari politici, legali e di sicurezza, Luhut Pandjaitan,
ha dichiarato che la revisione della legge
garantirebbe alle forze di sicurezza l’autorità di cui hanno bisogno per afrontare le
Da sapere
Prevenzione insuiciente
u Tra il 9 e l’11 maggio 2016 a Jakarta 300
rappresentanti provenienti da 60 paesi
parteciperanno al summit internazionale dei
leader musulmani moderati, organizzato da
Nahdlatul ulama (Nu), la principale
associazione islamica dell’Indonesia, “per
contrastare l’estremismo difondendo la
tolleranza tra le comunità”. Secondo le
organizzazioni islamiche del paese, che ha la
popolazione musulmana più numerosa del
mondo, il governo non sta facendo abbastanza
contro l’estremismo e i rischi di
radicalizzazione, in particolar modo all’interno
delle carceri. È da lì, denunciano le associazioni
religiose, che si difonde l’ideologia del gruppo
Stato islamico. L’agenzia nazionale
antiterrorismo è accusata di non collaborare
con altre agenzie governative. “L’estremismo in
Indonesia è entrato in una fase pericolosa”,
avverte Adnan Anwar, vicesegretario
generale di Nu, “e il governo dovrebbe
migliorare l’azione di prevenzione”. Voa
minacce terroristiche. Tuttavia ha precisato che la riforma non somiglierebbe alle
leggi sulla sicurezza interna della Malesia
e di Singapore, i due paesi vicini noti per la
severità delle misure adottate.
Al di là di un successo generale nella
lotta al terrorismo in Indonesia, crescono
le preoccupazioni per il coinvolgimento
sempre maggiore dell’esercito nelle attività antiterroristiche, che inizialmente erano
state aidate alla polizia per evitare che ci
fossero vittime civili nel corso delle operazioni. Tuttavia i troppi errori negli arresti e
i troppi omicidi di presunti terroristi hanno
aumentato le perplessità sul modo in cui la
polizia sta gestendo questo compito.
Un nuovo bersaglio
Negli ultimi anni le cellule terroristiche
indonesiane hanno cambiato bersaglio,
passando dagli interessi stranieri ai poliziotti, considerati il “nemico più prossimo”. Attualmente circa duemila tra poliziotti e soldati dell’esercito stanno dando
la caccia a Santoso, il leader dei mujahidin
dell’Indonesia orientale che ha dichiarato
fedeltà all’Is. Santoso è il terrorista più ricercato del paese, e sulle tracce dei suoi
uomini, in fuga da più di tre anni nelle
giungle del Sulawesi centrale, il governo
ha lanciato l’operazione Tinombala 2016.
Il recente coinvolgimento dell’esercito
nell’operazione è legato al fatto che la polizia si è resa conto di non avere l’esperienza
di combattimento nella giungla necessaria
per il buon esito dell’operazione. Inizialmente il capo della polizia, Badrodin Haiti,
aveva chiesto l’intervento degli incursori
dell’esercito e delle forze speciali per l’addestramento dell’unità mobile.
Secondo un recente rapporto dell’Institute for policy analysis of conlict (Ipac),
un centro studi indonesiano, la richiesta è
stata trasmessa al capo dell’esercito, il generale Gatot, che in un primo momento
aveva accettato ma poi ha avuto un ripensamento, probabilmente per evitare di essere accusato di voler “militarizzare” la
polizia e per non indebolire il ruolo
dell’esercito nelle questioni di sicurezza
interna. L’esercito ha fatto quindi lo stretto
necessario per garantire l’addestramento
inviando, nel settembre 2015, solo un’unità
di forze speciali da sessanta elementi (Kopassus) e una squadra d’intelligence militare di quaranta persone, selezionate a
partire dal comando di riserva strategico
dell’esercito (Kostrad). u f
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
31
asia e paciico
Dhaka, 25 aprile 2016
Cina
giappone
informazione
a rischio
RehMAN ASAD (AfP/GeTTy IMAGeS)
una stretta sulle ong
Le pressioni del governo stanno
mettendo a rischio l’indipendenza dei mezzi d’informazione
giapponesi, e la struttura organizzativa del settore indebolisce
la capacità dei giornalisti di resistere a queste pressioni. Sono le
conclusioni preliminari a cui
David Kaye, il relatore speciale
delle Nazioni Unite sulla libertà
di stampa e di opinione, è arrivato dopo una settimana di studio e osservazione in Giappone,
scrive il Tokyo Shimbun. Kaye
ha rilevato una grande preoccupazione tra i giornalisti, che sentono di non poter coprire in modo indipendente questioni delicate come il nucleare. In particolare ha puntato il dito contro il
sistema dei kisha club, le associazioni di giornalisti nate intorno a gruppi d’interesse o enti
istituzionali di cui fanno parte
solo reporter selezionati, che facilitano i meccanismi di pressione. Il rapporto completo di Kaye
sarà presentato al consiglio per i
diritti umani dell’Onu nel 2017.
banglaDesh
il fallimento
dello stato
La conta delle vittime degli
estremisti islamici in Bangladesh non si ferma. Due giorni
dopo l’omicidio di Rezaul Karim
Siddique, il docente ucciso il 24
aprile a colpi di machete nel
nord del paese, sono stati uccisi
a Dhaka Xulhaz Mannan e Mahbub Tonoy. Mannan era il direttore di Roopbaan, l’unica rivista
lgbt del paese, dove l’omosessualità è un reato. Il suo omicidio e quello del suo amico Tonoy sono stati rivendicati da Al
Qaeda, scrive il Dhaka Tribune, mentre dietro la morte di
Siddique ci sarebbe il gruppo
Stato islamico. “Lo stato sta trascurando il suo compito principale, proteggere i suoi cittadini,
sostenendo che si tratta di casi
isolati e che la situazione è sotto
controllo”, denuncia il giornale.
La nuova bozza di legge sulle
organizzazioni non governative che
operano in Cina rischia di stringere
la morsa di Pechino sulle ong. Il
testo prevede un maggior controllo
della polizia sull’attività e sui bilanci
delle ong straniere. I mezzi
d’informazione uiciali, tuttavia,
hanno messo l’accento
sull’allentamento di alcune restrizioni: le ong, per
esempio, potranno aprire più uici nel paese e i
permessi, oggi di cinque anni, saranno prolungati. Ma
preoccupa il fatto che le ong ritenute pericolose per la
sicurezza nazionale – un’accusa usata spesso dalle
autorità per limitare gli spazi d’azione delle
associazioni per la tutela dei diritti umani e civili –
potranno essere inserite in liste nere della polizia. “La
stampa straniera accusa la proposta di legge di essere
troppo restrittiva, ma si tratta di regole legittime e
ragionevoli per fare ordine”, scrive Huanqiu. Il
quotidiano ilogovernativo sottolinea che le ong
saranno convocate dalla polizia per chiarimenti prima
di essere bandite. Un segnale d’apertura che però si
scontra con la discrezionalità dei controlli denunciati
dagli operatori. ◆
papua nuova guinea
Detenzione
illegale
nepal
sparizioni
dopo il sisma
Negli ultimi due anni 16.500
nepalesi, soprattutto donne e
bambini, sono initi nelle mani
dei traicanti di esseri umani,
in particolare dopo il terremoto
dell’aprile 2015. È quanto denuncia la commissione nazionale per i diritti umani in un
rapporto pubblicato il 26 aprile.
Molte donne iniscono in Cina e
in Corea come spose, sfruttate
nell’intrattenimento e nel traico di organi, scrive il Kathmandu Post.
32
Il 26 aprile la corte suprema
della Papua Nuova Guinea ha
dichiarato illegale e incostituzionale il centro di detenzione
australiano sull’isola di Manu e
ha ordinato al governo di chiu-
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
derlo, scrive il Guardian. Il primo ministro papuano, Peter
O’Neill, ha quindi annunciato
la chiusura del centro e ha chiesto al governo australiano di
trovare immediatamente una
sistemazione alternativa per gli
850 richiedenti asilo e profughi
che ospita. La struttura, che insieme a quella sull’isola di Nauru fa parte del sistema di detenzione ofshore alla base della
politica australiana sull’immigrazione, è da tempo al centro
di polemiche per le condizioni
disumane in cui i profughi sono
costretti a vivere. Per ora il ministro dell’immigrazione australiano Peter Dutton ha dichiarato che il governo di Canberra “lavorerà insieme a quello papuano per afrontare la situazione”.
TOMOhIRO OhSUMI (BLOOMBeRG vIA GeTTy IMAGeS)
Huanqiu, Cina
Tokyo 2016
in breve
Corea del Nord Il 6 maggio si
aprirà a Pyongyang il congresso
del partito unico al potere, il
Partito del lavoro di Corea. L’ultimo congresso si era tenuto nel
1980.
Filippine Il 25 aprile i terroristi
islamici di Abu Sayyaf hanno
fatto ritrovare sull’isola di Jolo il
corpo decapitato di John Ridsdel, un canadese rapito il 21
settembre 2015.
Visti dagli altri
EmILANo mANCuSo (CoNtrASto)
Pollica, Salerno, settembre 2010. Il sacerdote Luigi Merola con la sua scorta
I preti che rischiano la vita
combattendo le maie
Lorenzo Tondo, Time, Stati Uniti
Negli ultimi quattro anni almeno
venti sacerdoti sono stati
minacciati dalla criminalità
organizzata. E altri in passato
sono stati uccisi perché
l’avevano ostacolata
a testa mozzata di un asino davanti all’ingresso della chiesa. Il
destinatario del macabro regalo
è Antonio Aguanno, parroco di
Vita, un paese nella Sicilia occidentale. Il
fatto è avvenuto il 6 marzo scorso, prima
della messa domenicale. Sembra che la
maia locale non abbia gradito i continui
appelli del sacerdote alla pace e alla legali-
L
34
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
tà, dopo che in paese c’era stata una lunga
serie di crimini. E la risposta dei boss è arrivata puntuale, con la più stereotipata delle minacce.
Secondo alcune indiscrezioni, qualche
giorno prima Aguanno era stato avvicinato
da due uomini che lo avevano insultato. I
carabinieri che indagano sul caso pensano
che a far scattare la macabra intimidazione
possa essere stata un’omelia del sacerdote.
La testa d’asino a Vita è solo l’ultima delle minacce che le maie italiane hanno lanciato contro chi prova a ostacolare le attività
dei boss. Nel mirino delle organizzazioni
criminali sono initi anche i preti, uomini di
chiesa coraggiosi che spesso pagano con la
vita la loro battaglia.
Sono una ventina di sacerdoti minaccia-
ti dalle maie negli ultimi quattro anni. Centinaia i casi mai denunciati. Padre Cosimo
Scordato, sacerdote e teologo di Palermo, è
stato vittima in passato di alcune intimidazioni e ha raccontato la sua storia nel libro
Dalla maia liberaci o Signore (Di Girolamo
2014). Dei sacerdoti che combattono la maia dice: “Da quando la chiesa si è ribellata
ai boss, la maia ha cominciato a perdere il
consenso sociale nei quartieri che controlla. È come se la chiesa dicesse ai boss: ‘Il
vostro comportamento non è afatto da cristiani’. E la maia non ama essere contraddetta. Per questo gli attacchi contro i sacerdoti sono aumentati”.
Dal dopoguerra, e per cinquant’anni,
una parte dell’opinione pubblica italiana
ha accusato la chiesa di essere troppo in-
dulgente nei confronti dei boss. In Sicilia,
addirittura, la presenza di un prelato in famiglia garantiva autorevolezza e prestigio
ai maiosi. Lo zio di Calogero Vizzini, capomaia ino agli anni cinquanta, era il vescovo Giuseppe Scarlata. Due fratelli di
Vizzini, Salvatore detto Totò e Giovanni
detto Giuanninu, erano preti e vivevano in
casa sua. Agostino Coppola, parroco a Cinisi, in Sicilia, il 16 aprile 1974 celebrò in un
luogo segreto il matrimonio del boss Totò
Riina, all’epoca già ricercato dalla polizia.
Poi ci fu una svolta. Tutto cominciò nel
1993, quando Pino Puglisi, dal pulpito della sua chiesa nel quartiere Brancaccio, a
Palermo, sidò pubblicamente cosa nostra.
Fu ucciso il 15 settembre 1993, nel giorno
del suo cinquantaseiesimo compleanno (e
beatiicato nel 2013). A Casal di Principe, a
pochi chilometri da Napoli, il 19 marzo del
1994 la camorra uccise il parroco Giuseppe
Diana. Dopo la morte dei due sacerdoti la
chiesa cambiò radicalmente atteggiamento nei confronti delle maie.
Sulle orme di padre Puglisi, oggi Luigi
Merola, 43 anni, continua a denunciare i
traici di droga della camorra nel quartiere
di Forcella, a Napoli. Forcella è da sempre
una delle roccaforti dei boss napoletani.
Qui la droga si vende anche di giorno, sotto
gli occhi di tutti. Si vendono anche armi, le
stesse usate per uccidere i nemici del clan.
Quando nel duemila Merola fu assegnato
alla chiesa di Forcella, nel quartiere era in
corso una guerra tra il clan dei Giuliano e
quello dei Mazzarella. Il 27 marzo 2004,
durante una sparatoria, fu uccisa accidentalmente Annalisa Durante, una ragazzina
di 14 anni. E Merola non rimase a guardare. “Durante il funerale di Annalisa attaccai duramente i boss”, racconta. “Sapevo
che in chiesa erano presenti i loro uomini.
Dissi che la rovina del quartiere era la camorra e che bisognava batterla per continuare a vivere”.
Caccia alle telecamere
La predica di Merola ebbe una grande eco
in tutta Italia. Era una dichiarazione di
guerra e Merola sapeva che i proiettili successivi avrebbero potuto colpire proprio
lui. “Già agli inizi del duemila denunciai i
traici della camorra nel quartiere”, spiega. “Notai che i vicoli di Forcella erano pieni di telecamere. Non le aveva messe la
polizia, ma i boss per controllare chi andava e veniva. Mi arrampicai con una scala e
le spaccai tutte. Poi consegnai i rottami ai
La predica ebbe una
grande eco in Italia.
Era una dichiarazione
di guerra e Merola
sapeva che avrebbero
cercato di colpire
anche lui
magistrati. Allora cominciarono a pedinarmi”, prosegue il sacerdote. “Venivano a
casa mia nel cuore della notte con le pistole. Alla ine del 2004 la polizia mi disse che
in un’intercettazione telefonica il boss di
Forcella Luigi Giuliano afermava di volermi eliminare. ‘Lo ammazzeremo sull’altare’, aveva detto Giuliano parlando con un
suo uomo. Il giorno stesso mi assegnarono
una scorta”.
Ma Forcella era diventata troppo pericolosa per Merola. Nel 2007 la chiesa decise
di trasferirlo, contro la sua volontà, in un
altro quartiere. La battaglia di Merola continua oggi tra le mura di una meravigliosa
villa nel quartiere Arenaccia, a Napoli, sequestrata alla camorra e aidata all’associazione ’A Voce d’’e creature, fondata proprio da Merola. L’obiettivo è togliere i bambini di Napoli dalla strada e ofrirgli degli
spazi per fare sport e studiare.
Merola, però, è costretto a comunicare i
suoi spostamenti agli agenti, anche perché
sulla sua testa pende ancora una condanna
a morte. Per ricordarglielo, a febbraio del
2014 due uomini con il volto coperto hanno
sparato alla sua auto parcheggiata a pochi
metri da casa.
“Noi preti abbiamo un enorme potere in
questi quartieri dimenticati dallo stato”,
spiega Merola, “perché è nelle zone più povere del paese che si concentra la maggioranza dei fedeli. Ed è in queste zone che la
maia approitta del silenzio della chiesa per
portare avanti i suoi interessi. I boss si sentono protetti da Dio”.
Quello tra la religione e la maia è un
rapporto antico, intenso e contraddittorio.
Prima di commettere un omicidio i killer
della camorra pregano san Gennaro, il pa-
trono di Napoli, perché li aiuti nella missione. Durante le processioni religiose a Palermo, Reggio Calabria e Napoli, è diventata
un’abitudine far sostare davanti alle abitazioni dei boss, in segno di rispetto, la statua
dei santi portati in spalla dai fedeli.
Nella periferia a nord di Roma, in un’altra villa sequestrata a un boss della banda
della Magliana, vive uno dei sacerdoti initi
sotto scorta. Si chiama Antonio Coluccia e
la sua “colpa” è quella di aver trasformato
questa splendida reggia in una casa di accoglienza per poveri e tossicodipendenti.
“Quando sono arrivato nella zona di Grottarossa”, spiega Coluccia, “il quartiere era
nelle mani degli spacciatori legati alla criminalità locale. I loro bersagli erano i poveri della zona, i tossicodipendenti: gli vendevano eroina o li uccidevano se non avevano
i soldi per pagarla. Ho capito che per aiutare
i poveri la chiesa non poteva limitarsi ad accoglierli, ma doveva andare oltre. Dovevamo bloccare il traico di droga”.
La inta fede dei boss
Le minacce sono cominciate nel 2014 con
una serie di atti vandalici all’abitazione di
Coluccia e alla sua auto. Poi nel giugno del
2015 due uomini hanno sparato. Uno dei
proiettili ha colpito alla mano un passante.
“Era chiaro che non volevano spaventarmi”, dice Coluccia, “volevano eliminarmi”.
Pochi mesi dopo ha ricevuto una busta con
un proiettile e un messaggio: “Parli troppo”.
Lui non si è fermato e ha continuato a parlare. “La chiesa è rimasta in silenzio troppo a
lungo. Sono initi quei tempi. Ora è arrivato
il tempo della parola”, dice.
Tra i sacerdoti che sfidano la mafia,
quello che più di tutti rischia la vita è Luigi
Ciotti. La sua associazione, Libera, gestisce
la maggior parte dei beni coniscati alla maia e riutilizzati a scopi umanitari.
“Come disse una volta il boss Marino
Mannoia agli agenti dell’Fbi, la maia teme
una chiesa che interferisce con i suoi afari.
Interferire”, dice Ciotti, “vuol dire afermare apertamente l’incompatibilità tra
maia e Vangelo. Per questo i gesti e le parole di papa Francesco contro le maie e la
corruzione sono di grande incoraggiamento per spogliare i boss della loro inta fede.
I maiosi si sentono impuniti, anche davanti a Dio. Ma il Dio della maia è un falso,
costruito a loro uso e consumo, un’entità
accomodante. Perché in fondo, il Dio dei
boss non è un padre, ma un padrino, come
loro”. u
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
35
GIOvANNI ISOLINO (AFP/GeTTy IMAGeS)
Visti dagli altri
Un gruppo di migranti al porto di Messina, il 15 aprile 2016
L’inutile piano italiano
contro i traicanti
Patrick Kingsley, The Guardian, Regno Unito
Per fermare la tratta di esseri
umani il governo Renzi invoca
l’intervento della Nato, ma
potrebbe non bastare
A
nche se il numero dei migranti
provenienti dalla Libia non è
aumentato rispetto all’anno
scorso, i governi europei temono che la chiusura della rotta tra la Grecia e
la Turchia provochi nuovi lussi di migranti
dal Nordafrica verso l’Italia.
Negli ultimi giorni questo timore ha
spinto i leader occidentali a discutere la
possibilità di una duplice reazione. Prima, il
governo di Roma ha proposto di rimandare
i migranti diretti in Italia nella Libia dilaniata dalla guerra. Poi, durante un incontro
con i suoi alleati europei, il presidente degli
Stati Uniti Barack Obama ha accettato di
impiegare navi statunitensi nelle operazioni in corso nelle acque internazionali al largo della Libia per fermare il traico di esseri umani.
La ministra della difesa italiana Roberta
Pinotti ha dichiarato che la missione congiunta della Nato potrebbe cominciare già
a luglio. Ma questa decisione, così afretta-
36
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
ta, rischia di avere conseguenze negative
sia a livello pratico sia a livello etico. Se i
traicanti restano in acque internazionali,
le navi occidentali non potranno fare molto.
I traicanti lasciano le barche in mano a minorenni non perseguibili o ai migranti. Anche se la Nato otterrà da Tripoli l’autorizzazione a entrare nelle acque libiche, avrà
comunque diicoltà a intervenire. La maggior parte delle imbarcazioni che partono
dalla Libia sono gommoni gonfiabili che
salpano dalla costa e a bordo non hanno
nessun traicante. Solo una presenza a terra potrebbe impedirne la partenza, ma
quando ormai sono in mare una missione
navale può fare molto poco per catturare i
traicanti.
mandare tutti i migranti in Libia sarebbe
diicile. Attualmente tre governi rivali si
contendono il paese, mentre un gruppo afiliato allo Stato Islamico (Is) ne controlla
una parte. Il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, che è l’unico alleato
logico dell’occidente, potrebbe metterci
settimane per funzionare davvero. Inoltre il
controllo che esercita sulle istituzioni del
paese non è ancora molto saldo. In termini
puramente pratici, non sappiamo se potrebbe facilitare il trasferimento di decine di
migliaia di persone, o quanto sarebbe disposto a farlo.
In termini etici, il rimpatrio sarebbe immorale. La Libia è una zona di guerra. Non
ha mezzi per accogliere i rifugiati, e i migranti non avrebbero alcun diritto né assistenza legale. Quelli che sono detenuti nei
centri di accoglienza teoricamente statali
vivono in condizioni indecenti senza poter
contattare un avvocato. Alcune delle persone che sono state in quei centri sostengono di essere state vendute alle milizie o
addirittura ai traicanti dalle autorità del
campo. Fino a quando non saranno eliminati questi abusi, il lavoro dei traicanti sarà
ancora molto richiesto, anche se le forze
navali occidentali riusciranno a entrare nelle acque territoriali libiche. “Salire sulle
barche non è una nostra scelta”, ha dichiarato l’anno scorso in un’intervista un’infermiera eritrea detenuta in un campo libico.
“Ma se il governo libico e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non
ci aiutano, l’unica possibilità che abbiamo è
aidarci ai traicanti”. u bt
Da sapere
Tre anni di sbarchi
Arrivi mensili dei migranti in Italia via mare, in
migliaia. Fonte: The Guardian
2014
2015
2016
25
Questione etica
Nemmeno in acque libiche si potrebbe fare
molto di più. Per far salire i migranti sulle
imbarcazioni, i traicanti ormeggiano i pescherecci a un paio di miglia dalla costa e
aspettano che i migranti arrivino con i gommoni. In teoria le forze navali occidentali
potrebbero arrestare i trafficanti mentre
aspettano i migranti. Ma sarebbe diicile,
perché dovrebbero fermare tutti i pescatori
libici o bombardare interi porti. Anche ri-
20
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Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic
Le opinioni
Gli Stati Uniti somigliano
sempre di più all’Europa
Ivan Krastev
i questi tempi per molti europei an- apertamente una rivoluzione (anche se, fortunatadare negli Stati Uniti è come atterra- mente, di tipo non violento). Per loro il conlitto genere su Marte. Neanche i più rainati razionale è la nuova versione della lotta di classe dei
analisti politici riescono a farsi loro genitori e nonni.
In Grecia, Spagna e Portogallo quasi la metà dei
un’idea di quello che sta succedendo nel paese. Sono sconcertati giovani è disoccupata. Questi ragazzi considerano la
dall’ascesa di Donald Trump, interdetti dal fascino globalizzazione un disastro e disprezzano l’idea di liesercitato dal socialismo di Bernie Sanders sui giovani bero scambio. E sebbene Sanders non sia né Jean Jauelettori e confusi dalla politica estera prudente e poco rès né Lev Trotskij – personalmente lo trovo emozionante come un sandwich al cetriolo – per buona parte
idealista di Barack Obama.
di questa nuova sinistra radicale statuPersonalmente non condivido quenitense ed europea la sua mancanza di
sto smarrimento. Osservando la rabbia Se c’è qualcuno
carisma è un ulteriore segno di integrità
della classe media, l’arroganza e l’impo- che non riesce
e autenticità.
polarità delle élite, il difuso scetticismo a capire gli Stati
Neanche la svolta realista di Obama
sull’eicacia della forza militare e la di- Uniti sono gli
in politica estera mi stupisce. Il presilagante paura del futuro, forse per la pri- statunitensi stessi.
dente statunitense dice di aver buttato
ma volta sento di comprendere esatta- Non capiscono
via il “libro delle regole di Washington”,
mente quello che succede negli Stati che il loro paese
e questo ha sorpreso e spaventato gli alUniti.
sta rapidamente
leati europei degli Stati Uniti. La famosa
Prendete la campagna elettorale di
diventando
massima di Obama, “non fare stupidagTrump, che consiste soprattutto nell’urgini”, in realtà è il principio fondante
lare le cose più folli e vili. Il suo successo, “normale”
della politica estera dei paesi europei già
che riesce a far apparire perfino Ted
Cruz un politico normale, è sconcertante per molte da molti anni. Obama sta solo esplicitando qualcosa di
persone, sia negli Stati Uniti sia all’estero, abituate a cui siamo consapevoli da tempo: la politica estera devedere i politici statunitensi bilanciarsi tra il populi- gli Stati Uniti si sta facendo sempre più prudente, semsmo becero e una rispettabile normalità. Finora il cen- pre più europea. Gli statunitensi non vengono più da
Marte, e gli europei non vengono più da Venere, come
tro aveva sempre tenuto.
Ma Trump si sentirebbe a casa sua in Europa. Qui i diceva Robert Kagan. Forse siamo tutti insieme su Sapartiti tradizionali messi insieme faticano a ottenere il turno, a cercare di evitare che tutta questa confusione
cinquanta per cento dei voti alle elezioni. A conquista- impolveri i nostri splendidi anelli.
Se c’è qualcuno che in questo momento non riesce
re gli elettori sono i proclami viscerali fondati sul risentimento politico. Quando entro in un cafè a Soia, a capire gli Stati Uniti sono gli statunitensi stessi. Non
a Varsavia o ad Amsterdam, sento donne e uomini che capiscono che il loro paese sta rapidamente diventanparlano di espellere gli stranieri, vietare l’ingresso ai do “normale” e non riescono ad accontentarsi del benessere economico e di uno splendido isolamento
musulmani e costruire muri per difendere i conini.
Queste opinioni sono condivise da tutti quelli che geopolitico. “Il nostro destino come nazione è stato
si sentono minacciati dalla perdita di potere politico e quello di non avere ideologie, ma di esserne una”, ha
dalla rapida erosione della loro ricchezza. Si sentono detto una volta lo storico statunitense Richard
traditi dalla rivoluzione demograica in corso in tutto Hofstadter.
Paragonandosi agli europei, gli statunitensi si vanil mondo, che minaccia di renderli minoranze nel loro
stesso paese. La rozza franchezza di Trump e la sua tavano del fatto che certe cose “qui non possono sucinarrivabile capacità di manipolare i mezzi d’informa- cedere”. Si consideravano immuni alle patologie della
zione ricordano a tal punto lo stile di Silvio Berlusconi democrazia. Ma dopo anni di polarizzazione politica e
che a volte mi chiedo se l’ex cavaliere non lo stia segre- governo bloccato, gli statunitensi sono ancora convinti che la loro democrazia non possa essere sovvertita?
tamente consigliando.
Ora che vedono con i loro occhi la “normalizzazioAnche Bernie Sanders dovrebbe risultare familiare
in Europa. La maggior parte dei giovani europei che ne” degli Stati Uniti, molti europei cominciano ad aveconosco considera il capitalismo un sistema falsato e re nostalgia per quell’America che non avevano mai
ingiusto. Per loro il socialismo, e non solo la socialde- davvero capito. Un paese con le sue imperfezioni, ma
mocrazia neoliberale, non è una parolaccia. Si consi- anche le sue promesse, più ambizioso e meno ambivaderano penalizzati dallo status quo, e molti invocano lente. Cominciamo già a sentirne la mancanza. u f
D
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
IVAN KRASTEV
dirige il Centre for
liberal strategies di
Soia. Il suo ultimo
libro è Democracy
disrupted. The politics
of global protest (Penn
Press 2014).
Le opinioni
I tassi d’interesse negativi
non bastano
Joseph Stiglitz
er l’economia mondiale il 2016 non do- Inoltre le banche possono riiutarsi di fare credito ad
vrebbe rivelarsi migliore del 2015, l’anno alcune aziende o chiedere pesanti garanzie.
Può sembrare strano, ma le banche non erano conpeggiore dalla crisi del 2008. Il problema
di fondo è l’insuicienza della domanda template nel modello di politica economica usato negli
globale. Per farvi fronte la Banca centrale ultimi vent’anni. Il fatto è che la struttura dell’eurozona
europea (Bce) ha introdotto altre misure e le politiche della Bce hanno indebolito le banche dei
di stimolo: come già tentato dalla Banca del Giappone paesi meno solidi. I depositi sono sempre più esigui e le
politiche d’austerità imposte dalla Gere altre banche centrali, vuole smentire
mania stanno prolungando la carenza di
l’assunto secondo cui i tassi d’interesse In nessuna delle
economie che
domanda e aggravando la disoccupazionon possono scendere sotto lo zero.
ne. In queste circostanze prestare denaro
Eppure in nessuna delle economie stanno tentando
è rischioso e le banche non possono e non
che stanno tentando l’esperimento dei l’esperimento dei
vogliono farlo, soprattutto se a chiederlo
tassi negativi c’è stato un ritorno alla cre- tassi d’interesse
scita o alla piena occupazione. In alcuni negativi c’è stato un sono le pmi (che generano il maggior nucasi ci sono stati esiti inattesi: i tassi prati- ritorno alla crescita. mero di posti di lavoro). Anche un calo
del tasso d’interesse reale ino al -3 o -4
cati dalle banche sono aumentati. Avreb- In alcuni casi
per cento non farebbe praticamente nesbe dovuto essere chiaro che la maggior
i risultati sono stati
suna diferenza. I tassi d’interesse negaparte dei modelli teorici seguiti dalle
opposti
tivi penalizzano i bilanci delle banche,
banche centrali prima della crisi erano
che devono pagare per depositare presso
sbagliati. Nessuno di quei modelli ha previsto la crisi, e in pochissime di queste economie si è le banche centrali, e questo annulla l’incentivo al prestitornati a una parvenza di piena occupazione. Com’è to. Alla ine il credito può ridursi ancora e i tassi di prenoto, la Bce ha alzato due volte i tassi d’interesse nel stito possono salire.
Ci sono altri problemi. Il primo è che bassi tassi d’in2011, proprio quando la crisi dell’euro si stava aggravando e il tasso di disoccupazione stava raggiungendo la teresse incoraggiano le aziende a investire in tecnologie
a uso intensivo di capitale, riducendo la domanda di
doppia cifra, aumentando il rischio della delazione.
A Francoforte hanno continuato a usare vecchi mo- forza lavoro a lungo termine anche se a breve termine
delli ormai screditati secondo cui il tasso d’interesse è la disoccupazione cala. Il secondo è che le persone più
il principale strumento politico, che può essere aumen- anziane, le cui pensioni dipendono dagli interessi attivi,
tato o abbassato al ine di garantire il buon andamento sono ulteriormente danneggiate e riducono i loro condell’economia. Se i tassi d’interesse positivi non funzio- sumi più di quanto le persone che ne beneiciano – i ricnano, allora i tassi negativi risolveranno il problema. chi possessori di azioni – aumentino i loro, e questo fa
Ma non è andata così. In molte economie, incluse l’Eu- diminuire la domanda. Il terzo è che la ricerca della renropa e gli Stati Uniti, i tassi d’interesse reali (cioè ade- dita spinge gli investitori verso titoli più rischiosi, auguati all’inlazione) sono stati negativi, arrivando ino a mentando l’instabilità inanziaria.
Le banche centrali dovrebbero concentrarsi sul lus-2 per cento. Eppure gli investimenti sono rimasti staso di credito, il che signiica ripristinare e mantenere la
gnanti.
L’idea che le grandi aziende calcolino con precisio- capacità e la volontà delle banche locali di prestare dene il tasso d’interesse a cui sono disposte a investire – e naro alle pmi. Invece le banche centrali di tutto il monche sarebbero pronte a intraprendere grandi progetti se do si sono concentrate sulle banche più grandi, le stesse
solo i tassi fossero abbassati di altri 25 punti base – è as- che, con la loro scarsa prudenza e le loro pratiche scorsurda. La realtà è che queste aziende hanno già un’enor- rette, hanno provocato la crisi del 2008. Ma prese tutte
me capacità produttiva in eccesso. Che senso ha au- insieme anche le banche più piccole sono importanti
mentarla ancora solo perché il tasso d’interesse è leg- per il sistema, soprattutto se l’obiettivo è ripristinare
germente sceso? Le piccole e medie imprese (pmi) che l’investimento, l’occupazione e la crescita.
Se le banche centrali continuano a usare i modelli
volevano chiedere un prestito non potevano farlo già
sbagliati, continueranno a fare la cosa sbagliata. Anche
prima dei tassi negativi e non possono farlo ora.
La maggior parte delle aziende, e soprattuto le pmi, nella migliore delle ipotesi, la capacità della politica
non riescono a ottenere prestiti agli stessi tassi dei buo- monetaria di ristabilire la piena occupazione in un’econi del tesoro statunitensi. Non si rivolgono ai mercati nomia in crisi potrebbe essere limitata. Ma basarsi sul
inanziari, ma alle banche. E c’è una grossa diferenza modello sbagliato potrebbe perino peggiorare una sitra i tassi d’interesse delle banche e quelli del tesoro. tuazione già complicata. u f
P
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
JOSEPH STIGLITZ
insegna economia
alla Columbia
university. È stato
capo economista
della Banca mondiale
e consulente
economico del
governo statunitense.
Nel 2001 ha vinto il
premio Nobel per
l’economia.
In copertina
La salute non
Mandakini Gahlot e Vidya Krishnan,
The Caravan, India. Foto di T. Vanden Driessche
a sede dell’uicio generale
di brevetti, design e marchi
a New Delhi si trova nel
quartiere di Dwarka, a 45
minuti di auto dai centri del
potere della capitale. Il posto ha un’aria tranquilla, e nei pomeriggi
d’inverno è facile vedere giovani impiegati
che dopo pranzo prendono il sole sul prato.
Nei due ediici al di là del prato, una trentina di funzionari esaminano le domande di
brevetto presentate all’uicio. Molte sono
respinte o approvate senza attirare particolare attenzione. Ma ogni tanto, in genere
quando sono in gioco grosse somme di denaro, qualcuna cattura l’interesse dei mezzi
d’informazione. In alcuni casi, anche se più
rari, il verdetto può determinare il destino
di decine di milioni di persone nel mondo.
Uno di questi casi si è presentato nel luglio del 2014 a un funzionario di nome Hardev Karar. La società farmaceutica statunitense Gilead Sciences voleva brevettare un
farmaco chiamato sofosbuvir, abbreviato in
“sofo”, e venduto con il nome commerciale
di Sovaldi. Il farmaco era stato approvato
dalle autorità statunitensi nel dicembre del
2013 e da allora aveva rivoluzionato la cura
dell’epatite C, una malattia virale che può
degenerare in cirrosi epatica e cancro. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’epatite C colpisce
più di 130 milioni di persone in tutto il mondo e provoca 500mila morti ogni anno. Il
Sovaldi si è dimostrato eicace contro la
malattia più di qualsiasi altro farmaco, e
senza gli efetti collaterali causati da quelli
usati in precedenza.
L
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Ma il prezzo stabilito dalla Gilead per il
farmaco è stato aspramente criticato: negli
Stati Uniti il Sovaldi costa mille dollari a
compressa, quindi la cura completa di 84
giorni che inora ha funzionato per la maggior parte dei pazienti costa 84mila dollari.
Nel 2014 questo prezzo esorbitante ha fatto
guadagnare alla casa farmaceutica 10,3 miliardi di dollari, portando i suoi incassi a 25
miliardi, più del doppio dell’anno precedente. E il farmaco prometteva di fargliene
guadagnare molti altri negli anni a venire.
La Gilead voleva vendere il Sovaldi anche in India. Se Karar le avesse concesso il
brevetto, la casa farmaceutica sarebbe stata
l’unica ad avere avuto il diritto di produrlo e
venderlo nel paese, dove, secondo l’Oms, le
persone afette da epatite C sono 12 milioni.
Il 14 gennaio Karar ha respinto la richiesta
della Gilead. La notizia è inita sulle prime
pagine dei giornali e ha fatto tremare i consigli d’amministrazione indiani e di tutto il
mondo perché ha dato alle case farmaceutiche indiane la possibilità di fabbricare versioni generiche del farmaco – vale a dire,
con lo stesso principio attivo – e di venderle
al prezzo che volevano. Le aziende indiane
sarebbero state anche libere di esportarlo in
altri paesi, compresi quelli in cui intendeva
farlo la Gilead.
Ad attirare l’attenzione di tutti non sono
state solo le enormi implicazioni commerciali della decisione. Il riiuto di brevettare
il farmaco è anche indicativo dell’atteggiamento dell’India di Narendra Modi nei confronti delle aziende internazionali. Il paese
è accusato da decenni di non proteggere a
suicienza i diritti di proprietà intellettuale,
THOMAS VANDEN DrIESSCHE (INSTITUT)
Da decenni l’India sida le multinazionali
farmaceutiche occidentali garantendo anche ai più
poveri l’accesso ai medicinali. Quello del farmaco
contro l’epatite C è l’ultimo di una lunga serie di
brevetti contestati. Ma qualcosa rischia di cambiare
n ha prezzo
Il tempio Shiv Mandir a Bangalore, 2014
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
43
In copertina
e quindi di non fornire alcun supporto alle
aziende straniere che propongono innovazioni. I paesi occidentali, che dopo le elezioni del 2014 speravano in un cambiamento,
probabilmente avranno visto il rifiuto di
concedere il brevetto alla Gilead come un
ulteriore segnale del fatto che l’India non
intendeva raforzare il suo regime di difesa
della proprietà intellettuale. I legali della
Gilead si sono mossi subito e si sono rivolti
all’alta corte di New Delhi per contestare il
verdetto di Karar. Due settimane dopo, il 30
gennaio, il tribunale ha riconosciuto, come
chiedeva la Gilead, che Karar aveva commesso gravi errori di procedura, e ha chiesto di riesaminare la richiesta e prendere
una “nuova decisione”.
Una brutta sorpresa
Qualche mese prima, a migliaia di chilometri di distanza, Greg Jeferys si era svegliato
e si era accorto che non riusciva ad alzarsi
dal letto. Jeferys, un cittadino australiano
di sessant’anni che vive a Hobart, in Tasmania, si sentiva afaticato già da qualche giorno. Quando la debolezza lo aveva costretto
a rimanere a letto, si era seriamente preoccupato e aveva deciso di consultare un dottore. Dalle analisi era emerso che aveva
l’epatite C. Non riusciva a capire come poteva aver contratto il virus. Poi si era reso
conto che doveva essere stato quarant’anni
prima, quando usava droghe per via endovenosa, e che il virus era rimasto latente per
tutti quegli anni.
Aveva esaminato le possibilità di curare
la malattia, ma non erano molte. A 25 anni
dalla scoperta del virus nel 1989, la terapia
più comune consisteva in un’iniezione alla
settimana di un farmaco chiamato interferone pegilato e in una compressa da prendere tutti i giorni. Jeferys si era spaventato
vedendo la lista di efetti collaterali che causavano quei farmaci: nausea, depressione,
diicoltà respiratorie, dolori al petto, febbre. Come molti malati di epatite C, aveva
deciso di risparmiarsi quella tortura e di gestire la malattia rinunciando all’alcol e attenendosi a una dieta sana.
Stava cominciando ad abituarsi al nuovo stile di vita, quando un parente gli ha detto che in Australia stavano testando un nuovo farmaco che avrebbe curato l’epatite C in
tre mesi. Si chiamava Sovaldi e nei paesi
dov’era già in vendita aveva un prezzo proibitivo, ma se fosse stato scelto per partecipare a una delle sperimentazioni, l’avrebbe
avuto gratis. Aveva cominciato a mandare
email ai medici per cercare di assicurarsi un
posto, ma non aveva avuto alcuna informazione. Era riuscito a prenotare una visita a
44
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Sydney e aveva preso un aereo per andare
lì, ma con sua grande delusione il medico
gli aveva detto che c’erano molte richieste
per partecipare ai test, e che i malati più gravi avevano la precedenza.
Jeferys aveva rinunciato all’idea di procurarsi il farmaco ino a quando, qualche
settimana dopo, le sue speranze erano state
riaccese da una notizia che arrivava dall’India: l’uicio licenze aveva respinto la richiesta di brevetto della Gilead. Aveva cominciato a consultare freneticamente internet
alla ricerca della versione indiana del farmaco e aveva scoperto che le case farmaceutiche indiane producevano effettivamente il sofosbuvir, ma il farmaco non era
disponibile in Australia. L’unico modo per
procurarselo era comprarlo in India. La legge australiana gli avrebbe permesso di tornare a casa con una scorta di tre mesi, giusto la quantità che gli serviva. Aveva fatto i
conti. In Australia il prezzo della cura completa era 84mila dollari, come negli Stati
Uniti. In India, calcolando anche il viaggio,
il soggiorno e le altre spese per il periodo
necessario a organizzare l’acquisto, ne
avrebbe spesi poco più di tremila. Non aveva avuto un attimo di esitazione. Si sentiva
sempre più debole, perciò aveva deciso di
partire e aveva scelto come destinazione
Chennai.
Accordi e compromessi
Ma mentre Jeferys progettava il suo viaggio, la Gilead si stava dando da fare per assicurarsi il controllo sulle vendite di sofosbuvir in India. Al centro della sua strategia
c’erano gli accordi che aveva irmato con
Da sapere
Il sofosbuvir in Italia
u In Italia si stima che i pazienti a cui è stata
diagnosticata l’epatite C siano centinaia di
migliaia, con prevalenza nettamente
maggiore al sud. Il sofosbuvir, un nuovo
farmaco per curare l’epaptite C, è stato
introdotto nel dicembre del 2014 al prezzo di
37mila euro (iva esclusa) per l’intero
trattamento. Il prezzo dovrebbe diminuire in
base all’aumento dei volumi consumati. Ogni
regione, però, deve avere la disponibilità
economica per comprare il farmaco a prezzo
intero e solo in un secondo momento, in base
al volume consumato a livello nazionale,
potrà ricevere un rimborso dalla ditta
produttrice. Il governo inanzierà gli acquisti
usando 100 milioni del fondo per i farmaci
innovativi. Quella somma garantirà la terapia
solo a 50mila pazienti scelti in base ai criteri
di gravità stabiliti dall’agenzia italiana del
farmaco. Lavoce.info
undici aziende indiane tra il settembre del
2014 e il marzo del 2015. I contratti concedevano alle aziende indiane una “licenza
volontaria” per fabbricare e vendere il farmaco in alcuni paesi, e non altri, al prezzo
fortemente scontato di 900 dollari per 84
pillole, poco più dell’1 per cento di quello
statunitense. Prevedevano anche una serie
di altre cose, tra cui il pagamento di un 7 per
cento di diritti sulle vendite alla Gilead.
Era un piano discutibile. Secondo alcuni
analisti, gli accordi di questo tipo sono un
utile compromesso, perché permettono ai
fabbricanti di farmaci generici di accedere
al mercato di alcuni paesi, mentre i detentori del brevetto mantengono il loro monopolio negli altri. Ma le organizzazioni per la
difesa dei diritti umani sostengono che questa formula nega ai pazienti di questi altri
paesi il diritto a cure a prezzi abbordabili.
Tra le aziende indiane che avevano irmato
l’accordo c’era la Natco di Hyderabad, una
ditta che in passato aveva sidato con successo il tentativo delle aziende straniere di
assicurarsi il dominio nel mercato indiano a
forza di brevetti. Perciò gli attivisti, i giornalisti e gli analisti del settore farmaceutico
erano rimasti sorpresi quando la Natco aveva accettato la proposta della Gilead.
Quello che aveva reso ancora più insolito il suo comportamento era che la Natco
era una delle quattro aziende che avevano
impugnato la domanda di brevetto della
Gilead a New Delhi prima ancora del verdetto. In pratica, si era trattato di una dichiarazione formale dell’azienda secondo
cui il farmaco non meritava un brevetto in
base alla legge indiana. Ma in aprile, un mese dopo aver irmato l’accordo di licenza
volontaria con la Gilead, la Natco aveva ritirato il suo ricorso. Forse c’erano motivi nascosti dietro la decisione dell’azienda indiana. Un attivista per il diritto alla salute che
segue quello che succede nell’industria farmaceutica ci ha detto che la Gilead aveva
chiesto a un’altra grande casa farmaceutica
indiana, la Mylan – con cui aveva già irmato
un accordo di licenza – di contattare la Natco per suo conto. La Mylan, ha spiegato l’attivista, aveva una certa inluenza sulla Natco perché era una dei suoi principali clienti.
“La Mylan ha contattato la Natco per portarla al tavolo delle trattative con la Gilead e
ha inluenzato la sua decisione” spingendola a irmare l’accordo di licenza volontaria.
“Essenzialmente”, dice l’attivista”, “ha fatto da mediatrice”.
Le conseguenze di quella mediazione
sono state gravi: in pratica, due aziende che
altrimenti si sarebbero fatte concorrenza
avevano raggiunto un accordo privato che
THoMAS VANdeN drIeSSCHe (INSTITUT)
La biblioteca del Narayana hospital di Bangalore, 2014
avrebbe potuto rendere inaccessibile a mi­
lioni di persone un farmaco salvavita. Ab­
biamo mandato un’email alla Natco per
sapere perché aveva deciso di irmare l’ac­
cordo e vedere come reagiva all’aferma­
zione dell’attivista secondo cui la Mylan
aveva fatto da mediatrice. Un rappresen­
tante dell’azienda ci ha risposto: “Sappiamo
che la decisione della Natco di accettare
una licenza volontaria ha sorpreso molte
persone”. Pur non negando il ruolo svolto
dalla Mylan al tavolo dei negoziati con la
Gilead, il rappresentante ha però speciica­
to: “Siamo in totale disaccordo sull’uso del
termine ‘mediazione’ perché a irmare il
contratto sono state solo la Gilead e la Nat­
co”. Quando abbiamo chiesto perché la
Natco aveva ritirato il suo ricorso contro il
brevetto, il rappresentante ha risposto che
l’azienda non poteva “avviare un conten­
zioso con diversi paesi che peraltro rientra­
no nello stesso accordo di licenza”. Firman­
do, ha aggiunto, “abbiamo garantito il lan­
cio del prodotto e la sua disponibilità in
modo continuo” in molti mercati.
In efetti, la licenza volontaria consenti­
va all’azienda di vendere immediatamente
il farmaco in vari paesi, compresi buona
parte di quelli africani. Ma molti hanno fat­
to notare che quelli esclusi erano stati accu­
ratamente selezionati. “La Gilead ha per­
messo ai suoi concorrenti indiani di vende­
re su mercati notoriamente poco redditizi
per tenerli fuori da quelli più grandi come la
Cina e il Brasile”, si legge in un articolo del
novembre 2014 pubblicato da Al Jazeera.
Secondo i calcoli della Hep coalition, un’or­
ganizzazione che lotta per un maggior ac­
cesso alla diagnosi e alla cura dell’epatite C,
la scelta dei paesi che la Gilead ha lasciato
alle aziende indiane impedisce a più di 73
milioni di malati di epatite C in tutto il mon­
do di accedere al sofosbuvir generico. Il
contratto pone anche dei limiti alla possibi­
lità delle case indiane di esportare il princi­
pio attivo del sofosbuvir necessario per fab­
bricare le compresse.
La Gilead ha cercato anche di imporre
forti limitazioni alle vendite in India, stabi­
lendo le regole su chi poteva comprare il
farmaco. L’azienda ha giustiicato queste
misure dicendo che fanno parte di un “pro­
gramma antidiversione”, in pratica un pia­
no per assicurarsi che il farmaco vada solo
dove vuole la Gilead. Secondo Medici senza
frontiere (Msf ), che ha chiesto alla Gilead
di poter comprare il sofosbuvir per i suoi
progetti in Africa e in Asia, la ditta ha insisti­
to perché il farmaco, confezionato in laco­
ni, sia venduto solo a persone in grado di
fornire “prove della loro identità, cittadi­
nanza e residenza”. Questo, ha detto Msf,
potrebbe portare all’esclusione di gruppi
vulnerabili come i rifugiati e i migranti eco­
nomici. A quanto sembra, però, nonostante
abbiano irmato l’accordo, le aziende india­
ne non stanno rispettando il programma
antidiversione.
Il viaggio
Greg Jeferys arrivò a Chennai a maggio,
nel bel mezzo della torrida estate indiana.
Aveva previsto di fermarsi una settimana,
presumendo che sarebbe stata ampiamen­
te suiciente per farsi prescrivere il sofo­
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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In copertina
ThoMAS VANDEN DrIESSChE (INSTITUT)
Narayana hospital, Bangalore, 2014
sbuvir e comprare la scorta che gli serviva.
Ma incontrò quasi subito problemi di co­
municazione e di burocrazia, oltre agli inat­
tesi ostacoli del programma antidiversione
della Gilead.
Prese una stanza in un albergo di T. Na­
gar, un quartiere commerciale al centro
della città, e la prima sera contattò un medi­
co che gli era stato consigliato da un attivi­
sta conosciuto attraverso un gruppo di so­
stegno online. Il dottore lo visitò, controllò
le analisi e gli fece la prescrizione. Poi, sem­
pre seguendo il consiglio dell’attivista, Jef­
freys cercò di ottenere un appuntamento
per comprare il farmaco. Dopo qualche
giorno di frenetiche email e telefonate, riu­
scì ad avere un appuntamento per compra­
re il Sovaldi, che aveva preferito ai suoi
equivalenti generici. Aveva ancora a dispo­
sizione solo due giorni.
La mattina dopo rimase in attesa in al­
bergo, ma le ore passavano senza che il di­
stributore si facesse vivo. E le sue telefonate
non ricevevano risposta. Finalmente, nel
tardo pomeriggio, arrivò qualcuno, non il
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
distributore ma un fattorino che, con aria
sorridente, gli diede una brutta notizia.
Aveva portato un solo lacone di Sovaldi, gli
disse, perché la Gilead non consentiva ai
distributori di vendere a nessuno più di una
confezione alla volta.
Jeferys fu preso dal panico. Non sapeva
delle misure antidiversione. Un lacone di
Sovaldi gli sarebbe bastato solo per un me­
se, ed era improbabile che riuscisse a tro­
varne altri due nel poco tempo che gli rima­
neva. Decise allora di procurarsi la cura
completa nella versione generica. Dopo
qualche altra telefonata, riuscì a ordinare
tre laconi di Myhep, la versione del sofo­
sbuvir della Mylan. La sera stessa, mentre
cenava in albergo, il direttore lo chiamò di­
cendo che c’era un pacchetto per lui. Si pre­
cipitò nella sua stanza e tornò con le 30mila
rupie per pagare il medicinale. Quando ri­
entrò in camera aprì il pacchetto. “C’erano
tre barattolini di plastica, ognuno dei quali
conteneva 28 pastiglie”, scrisse sul suo blog
il 19 maggio. “Quei barattolini facevano la
diferenza tra salute e malattia, vita e mor­
te, anni di vita tranquilla e anni di soferen­
za. Erano una specie di strana magia, una
sorta di genio nella bottiglia”. La ricerca
della medicina lo aveva molto turbato. Sul
blog scrisse di essere rimasto “sconvolto
dall’enormità di quell’esperienza”. Si senti­
va al tempo stesso fortunato e in colpa,
“perché nel mondo ci sono tante altre per­
sone che dovrebbero avere queste com­
presse, che stanno sofrendo terribilmente
perché non possono avere quello che con­
tengono queste tre scatolette. È una crudel­
tà, una follia. Come può un essere umano
impedire a un altro di alleviare la sua sofe­
renza?”.
Lotta salvavita
Le licenze volontarie della Gilead, che era­
no la causa delle diicoltà che Jeferys ave­
va incontrato per procurarsi il sofosbuvir a
Chennai, segnano un nuovo tipo di rappor­
to tra l’industria farmaceutica indiana e le
aziende occidentali. Da decenni le aziende
indiane erano famose non solo per il loro
continua a pagina 48 »
L’opinione
A spese dei malati
di epatite C
Caroline Coq-Chodorge, Mediapart, Francia
Il costo della terapia è
proibitivo, ed è frutto di una
speculazione economica
senza precedenti
l 16 aprile a Barcellona, in occasione del congresso internazionale di epatologia, l’ong Médecins du monde ha sollevato una
grande polemica: “Quasi tutte le persone con l’epatite C possono guarire grazie ai nuovi antivirali ad azione diretta,
ma l’avidità della Gilead – l’azienda che
ha brevettato il farmaco Sovaldi – impedisce l’accesso universale a un medicinale vitale. Ci sono persone che continuano a morire inutilmente mentre la
Gilead accumula miliardi di proitti”.
In Francia l’associazione di pazienti
Sos hépatites ha scritto una lettera
aperta al ministro della sanità chiedendogli di allargare l’accesso alle nuove
cure contro l’epatite C. “Le restrizioni
non hanno più motivo di esistere”, dice
Marc Bourlière, gastroenterologo ed
epatologo di Marsiglia. “Oggi il numero di pazienti trattati diminuisce perché
si riduce il numero di persone con le
caratteristiche necessarie per ricevere
le cure. E sul lungo periodo la riduzione
della morbilità (la frequenza percentuale di una malattia in una collettività)
e della mortalità è molto forte per tutti i
pazienti”.
L’epatite C è una malattia infettiva
virale del fegato che si trasmette attraverso il sangue. Nel mondo 150 milioni
di persone vivono con un’epatite cronica, che provoca un’iniammazione del
fegato. Nella maggior parte degli individui il virus rimane a lungo dormiente,
ma nel 10-20 per cento dei casi si risveglia a distanza di decenni dal contagio
provocando una cirrosi epatica che può
degenerare in tumore del fegato. L’arrivo del Sovaldi (il principio attivo è il sofosbuvir) ha rappresentato una svolta:
I
una cura di tre mesi è suiciente e non ha
gravi efetti collaterali. Inoltre, nel 90 per
cento delle persone trattate il virus non è
più rilevabile. Prima, invece, la terapia durava molto, aveva pesanti efetti collaterali
e guariva solo un paziente su due.
Due anni dopo il suo arrivo sul mercato
francese, l’accesso al sofosbuvir rimane limitato ai malati più gravi. Nel giugno 2014
l’alta autorità per la sanità francese ha raccomandato di usarlo solo per i malati con
ibrosi epatica (conseguenza dell’iniammazione del fegato) allo stadio F3 o F4.
Per ora sono esclusi i malati con ibrosi allo stadio F0, F1 o F2. “Non ha senso”, spiega Yann Mazens, direttore di Sos hépatites. “Questo trattamento è utile a tutti i
malati. E al di là dei beneici individuali,
c’è un beneicio collettivo: se tutti sono
curati in modo appropriato, possiamo eradicare l’epidemia. In Francia è la prima
volta che si applica una discriminazione
nell’accesso alle cure per motivi economici”. Di fatto nel 2014 e nel 2015 in Francia
solo 25mila pazienti hanno ricevuto la terapia, ma il servizio sanitario ha dovuto
pagare almeno un miliardo di euro, una cifra pari al bilancio di un grande policlinico, e questo mentre il sistema è sottoposto
a tagli senza precedenti che inluiscono
sulla qualità delle cure e sulle condizioni
di lavoro del personale medico.
Non si può certo sottovalutare lo sforzo
inanziario fatto dalla Francia, ma le condizioni della trattativa condotta con la Gilead devono essere riviste: “Pagare 41mila
euro per un ciclo di terapia è una follia. Bisogna cambiare i metodi di deinizione
dei prezzi dei medicinali”, osserva Mazens. “In Francia la Gilead ha chiesto prima 45mila euro”, racconta Pauline Londeix, ex vicepresidente di Act up-Parigi e
consulente sulle questioni di accesso ai
nuovi trattamenti. “In un primo tempo il
ministero della sanità ha evocato il ricorso
alla licenza obbligatoria (che permette di
far produrre il farmaco generico senza rispettare un brevetto), ma alla ine ha ac-
cettato il prezzo di 41mila euro”, continua Pauline Londeix. “Non è stata una
buona contrattazione”.
A Barcellona gli epatologi hanno
appreso che la Spagna ha ottenuto il
Sovaldi a circa la metà del prezzo francese. Ma per la Spagna, dove 500mila
persone sono portatrici del virus, rimane un investimento enorme. Altrove
nel mondo il Sovaldi rimane inaccessibile, in particolare nei paesi più colpiti
dall’epatite C come l’Egitto, dove il 10
per cento della popolazione è infettata.
“Il prezzo ottenuto attraverso un accordo con la Gilead è di 800 dollari per 12
settimane. Ma come si possono curare
a quel costo più di otto milioni di persone?”, si chiede Londeix. “In Brasile il
governo ha ottenuto il trattamento a
6.200 euro e vuole curare 90mila persone, selezionando i pazienti in base
allo stadio della malattia. La discriminazione nell’accesso alle cure, così come il prezzo del farmaco, sono una catastrofe per il sistema sanitario”.
Pressione politica
Le aziende farmaceutiche non sembrano preoccuparsi molto di questi dilemmi etici. Il prezzo chiesto per il Sovaldi
non è giustiicato né dal costo della ricerca né da quello della sua produzione: “Il costo reale è meno di 110 euro a
ciclo”, riferisce Anne Gervais. I prezzi
sono goniati a causa della speculazione economica senza precedenti realizzata su questa molecola. Il laboratorio
che l’ha sviluppata in modo relativamente economico l’ha venduta alla Gilead per undici miliardi di dollari. Ma
in realtà questo “investimento” è stato
già ampiamente ammortizzato, poiché
la Gilead ha già realizzato proitti per 32
miliardi di dollari, secondo le stime di
Médecins du monde. Sos hépatites minaccia di aiutare i pazienti francesi a
procurarsi dei farmaci generici prodotti
in India e venduti a meno di 300 dollari. Médecins du monde invita i governi
a rilasciare licenze obbligatorie e a
moltiplicare i generici. Il problema è
“la fortissima pressione politica ed
economica delle case farmaceutiche”,
constata Londeix. “In alcuni paesi, come il Brasile, inanziano i partiti politici, mentre in altri, come la Francia, ricattano il governo minacciando conseguenze per i posti di lavoro nel settore
industriale”. u adr
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In copertina
riiuto delle condizioni imposte da quelle
occidentali, ma anche per aver assunto un
atteggiamento di sida e aver sostenuto di
avere il diritto di fornire farmaci accessibili
a chiunque ne avesse bisogno, in qualsiasi
parte del mondo.
Questo conlitto ha avuto un ruolo importante soprattutto nella lotta contro il virus hiv. Alla ine degli anni ottanta e negli
anni novanta, l’hiv si stava rapidamente
difondendo e le case farmaceutiche occidentali cominciarono a studiare farmaci
per combatterlo. Anche se nel tempo il
prezzo di una terapia era sceso da diecimila
dollari all’anno a mille, rimaneva fuori della
portata di milioni di persone infettate dal
virus. Nel 2001 il presidente della
multinazionale farmaceutica indiana Cipla, Yusuf Hamied annunciò che avrebbe offerto un
“cocktail” di tre farmaci ai pazienti che vivevano in Africa, il
continente con il maggior numero di malati
di aids, al prezzo di un dollaro al giorno. I
farmaci erano copie di quelli che aziende
occidentali come la GlaxoSmithKline e la
Boehringer Ingelheim vendevano già in alcune zone dell’Africa. Per quanto riguardava la produzione e la vendita in India, Hamied era pienamente in regola. Una legge
straordinariamente progressista introdotta
da Indira Gandhi nel 1970 vietava l’imposizione di brevetti sui farmaci. Ma le aziende
occidentali avvertirono la Cipla che se avesse venduto i farmaci in altri paesi, compresi
quelli africani, dove un brevetto glielo proibiva, sarebbe andato contro la legge.
Dopo aver esercitato pesanti pressioni
su vari governi e organizzazioni industriali
di tutto il mondo, gli attivisti e Hamied cominciarono gradualmente a riportare qualche vittoria, come in Sudafrica, dove l’autorità garante della concorrenza decretò che
la GlaxoSmithKline e la Boehringer Ingelheim – che in Africa avevano brevettato diversi cocktail di farmaci – stavano abusando
della loro posizione dominante. L’autorità
ordinò alle aziende di consentire la vendita
dei farmaci generici contro l’hiv. A metà
degli anni duemila, Hamied spediva già milioni di pillole in Africa, contribuendo a fermare la mortale epidemia che stava dilagando nel continente. Il suo impegno gli
guadagnò agli occhi di molti la fama di salvatore, e di pirata agli occhi di altri.
Ma anche se in parte avevano ceduto,
nel frattempo le grandi case farmaceutiche
stavano cercando di modiicare la natura
stessa dei rapporti commerciali internazionali. “Hanno cominciato tutte, e la Pizer in
particolare, a fare forti pressioni sui loro go-
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
verni per inserire la proprietà intellettuale
nelle trattative commerciali”, dice James
Love, il direttore di Knowledge ecology international, un’importante organizzazione
per la difesa della proprietà intellettuale.
Una prima svolta c’era stata nel 1994,
quando 162 paesi, compresa l’India, avevano irmato l’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale
(Trips). Tra le altre condizioni, il patto imponeva che fossero rilasciati brevetti per
tutte le “opere d’ingegno”, compresi i farmaci. Era la prima volta che un accordo internazionale collegava i diritti di proprietà
intellettuale al commercio. Ai paesi in via di
sviluppo come l’India erano stati concessi
altri dieci anni per adeguarsi alle
regole stabilite dal Trips. Ma New
Delhi era riuscita a strappare l’inclusione di una clausola fondamentale: il diritto a rilasciare “licenze obbligatorie”. In parole
povere, quando un governo aveva l’impressione che il detentore di un brevetto non
agisse nell’interesse della salute pubblica,
poteva ignorare il brevetto e permettere ad
altri di produrre un farmaco. Da allora, l’India ha esercitato questo diritto una sola volta, nel caso del farmaco per la cura del cancro ai reni e al fegato, Nexavar, per il quale
ha concesso alla Natco una licenza obbligatoria nel 2012.
Nel 2005, quando la legge del 1970 fu
emendata per permettere all’India di ade-
Da sapere
Le parole
Brevetto È un titolo giuridico che garantisce il
diritto esclusivo di sfruttare un’invenzione in un
determinato territorio per un periodo di tempo
prestabilito. Il titolare del brevetto può
permettere ad altri di usarlo concedendo delle
licenze volontarie, che stabiliscono dei limiti
allo sfruttamento del brevetto e il compenso
dovuto al titolare.
Proprietà intellettuale È l’insieme dei diritti
che tutelano le opere d’ingegno in campo
scientiico, industriale e artistico.
Accordo Trips È il trattato sugli aspetti
commerciali dei diritti di proprietà intellettuale
siglato dai paesi dell’Organizzazione mondiale
del commercio nel 1994.
Licenza obbligatoria È una licenza per l’uso
di un brevetto che un governo può concedere, a
certe condizioni e per scopi particolari, anche
senza il consenso del titolare. Il Trips prevede
questa eventualità, tra l’altro, per la produzione
dei farmaci nei paesi in via di sviluppo.
Farmarci equivalenti o generici Medicinali
non più coperti da brevetto, commercializzati
direttamente con il nome del principio attivo.
Oms, Wto
guarsi al Trips, i partiti di sinistra ottennero
l’inserimento di una clausola nella nuova
legge, la 3(d), in base alla quale una sostanza, come un farmaco, non poteva essere
brevettata “se non implicava il miglioramento della sua eiciacia già nota. La sida
più importante a questa nuova norma è stata lanciata dalla Novartis, che dopo essersi
vista negare il brevetto per il Gleevec, un
farmaco antitumorale, si è appellata alla
corte suprema. Nell’aprile del 2013, la corte
ha respinto l’appello in base all’articolo 3(d).
È stata una decisione fondamentale, acclamata dagli attivisti e condannata dalle multinazionali, perché ha dimostrato che quella clausola poteva essere usata per tutelare
i produttori di farmaci indiani e salvare
molte vite.
Una speranza per Washington
La vittoria di Narendra Modi alle elezioni
del 2014 è stata ritenuta da molti un fatto
positivo per le industrie indiane e internazionali. Nei dieci anni in cui era stato governatore del Gujarat, Modi si era guadagnato
la fama di essere un politico che faceva gli
interessi delle imprese. Industriali e analisti
politici erano curiosi di vedere come avrebbe afrontato la spinosa questione della proprietà intellettuale. Prima ancora della vittoria di Modi, il governo e le lobby industriali degli Stati Uniti avevano già lanciato
qualche avvertimento. Nel febbraio del
2014 l’India era stata sottoposta a un severo
controllo con una serie di udienze pubbliche condotte dalla United States trade representative, un’agenzia che si occupa dei
negoziati commerciali per conto del governo di Washington e suggerisce le politiche
commerciali al presidente americano. Da
circa 25 anni l’India è nella “lista di controllo prioritaria” dell’agenzia, l’elenco dei paesi dove la tutela della proprietà intellettuale è considerata motivo di preoccupazione.
Nel 2014 alcune lobby, come la potentissima organizzazione del settore farmaceutico Phrma, hanno chiesto che l’India fosse
classiicata come “paese straniero prioritario”. Questo cambio di terminologia apparentemente innocuo avrebbe potuto avere
conseguenze molto gravi, perché i paesi così designati sono soggetti ad azioni penali e
sanzioni. Ma il rapporto dell’agenzia non
arrivava a tanto e si limitava a esprimere la
speranza che il nuovo governo avrebbe apportato cambiamenti signiicativi.
Con questa minaccia incombente nel
maggio del 2014 è salito al potere Narendra
Modi. Da allora attivisti e analisti hanno seguito con attenzione tutte le dichiarazioni
fatte da Modi e dal suo governo sulla pro-
ThoMAS VANDEN DRIESSChE (INSTITUT)
Bangalore, 2014
prietà intellettuale. Le licenze obbligatorie
restano un serio motivo di contesa tra l’India e gli Stati Uniti, ma dopo il caso del Nexavar del 2012 il governo indiano non ne ha
più concesse. Secondo Love “non lo ha più
fatto a causa delle pressioni esercitate dagli
Stati Uniti”.
Una svolta inattesa
Mentre molti aspettano con il iato sospeso
i futuri sviluppi della politica indiana, qualcuno, come Jeferys, ha deciso di prendere
in mano la situazione. Poco dopo aver ottenuto la dose salvavita di sofosbuvir a Chennai, la sua vita ha preso una direzione totalmente inaspettata.
Quando abbiamo parlato con lui via
Skype a gennaio del 2016, ci ha detto che,
durante quel viaggio, diverse persone afette da epatite C che avevano diicoltà a procurarsi il farmaco avevano cominciato a
leggere il suo blog. Molti gli scrivevano per
chiedergli consigli su come organizzare il
viaggio in India, e con il tempo quel rivolo
di domande era diventato un iume. Perciò
aveva deciso di aiutare “più pazienti che
poteva”, ha detto Jefferys. “Se potevano
permettersi di andare in India, avrei costruito una rete di contatti locali per aiutarli. E
se questo non fosse stato possibile, avremmo trovato un altro modo per fargli arrivare
le medicine”.
Nel giro di pochi giorni, Jeferys organizzò un piccolo gruppo di collaboratori. Un
attivista che aveva conosciuto online e che
viveva in un paese vicino all’India lo mise in
contatto con un altro attivista di New Delhi
che aveva già aiutato altri pazienti afetti da
epatite C e altre malattie e conosceva i trucchi necessari per realizzare il suo piano. I tre
decisero di lavorare insieme in modo più
sistematico. Negli otto mesi durante i quali
abbiamo svolto le nostre ricerche in India
per scrivere questo articolo, ci siamo imbattuti in sei gruppi simili. Nel complesso riescono a fornire il sofosbuvir a migliaia di
pazienti in tutto il mondo, sottraendo alla
Gilead i milioni di dollari che aveva cercato
di assicurarsi con i suoi accordi. Sono i buyers’ club indiani, gruppi di persone che col-
laborano tra loro per acquistare farmaci
costosi o diicili da trovare a prezzi accessibili, spesso aggirando o infrangendo qualche regola. Come avveniva negli anni ottanta e novanta per i farmaci antiretrovirali
per l’hiv, in tutto il mondo ci sono milioni di
persone che hanno bisogno del sofosbuvir
e non possono averlo.
Mentre Jeferys mantiene i contatti con
le decine di persone che gli scrivono, l’attivista di New Delhi si occupa degli aspetti
pratici: compra e spedisce i farmaci. L’attivista che vive fuori dall’India coordina i
rapporti tra il gruppo e i pazienti che si rivolgono a lui. I tre, inora, hanno aiutato pazienti che vivono in Australia, Austria, Brasile, Bulgaria, Cambogia, Cina, Costa Rica,
Nuova Zelanda, Romania, Taiwan, Thailandia, Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti.
A gennaio, siamo andati a trovare l’attivista indiano, che abita in un villaggio alla
periferia di New Delhi. Sulla sua scrivania
c’erano alcuni laconi di pillole per l’epatite
C e un computer portatile aperto, sul quale
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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In copertina
compariva la lista dei pazienti di tutto il
mondo a cui stava fornendo farmaci. Ogni
dieci minuti, gli arrivava un messaggio o
una telefonata di qualcuno che chiedeva a
che punto fosse la sua richiesta. All’inizio
l’attivista era riluttante a raccontare i dettagli del suo lavoro, ma poi si è rilassato e
ha cominciato a parlare. In due ore di conversazione, accompagnata da tè verde e
biscotti, ci ha spiegato come gestisce l’operazione. Ha cominciato addirittura a vantarsene un po’: potevamo nominare un
paese qualsiasi, ha detto, e lui ci avrebbe
spiegato come farci arrivare il sofosbuvir,
“un gioco da ragazzi”. Ma ci ha tenuto anche a precisare che gestire un
club di compratori richiede un
grande impegno a livello logistico e di coordinamento.
Da quando hanno cominciato, nell’agosto del 2015, il lavoro è
aumentato rapidamente. Nei primi due mesi hanno aiutato circa 150 pazienti. Poi hanno smesso di contarli. Per ogni persona che
li contatta, l’attivista ha bisogno di una prescrizione. Perciò si è rivolto alla sua rete di
attivisti e avvocati per individuare due medici disposti a irmare le ricette senza prima
visitare i pazienti. “Sono bravi medici, lo
fanno per aiutare le persone”, dice. “Non
sono corrotti. Il problema etico c’è, ma gli
accordi irmati con i governi sono così ingiusti che abbiamo trovato qualcuno disposto ad aiutarci”. Molte persone hanno già le
ricette, dice, ma per quelle che non ce l’hanno si rivolge ai medici indiani. “Ho cominciato a chiedere ai pazienti quanto pesano e
il loro indice di massa corporea per calcolare la dose”, dice.
Rapporto di iducia
A parte le ricette, un altro problema è trovare il modo per far arrivare i soldi in India.
Il gruppo aveva deciso che Jeferys sarebbe
stato il contatto principale con i pazienti, i
soldi sarebbero arrivati a lui, che poi li
avrebbe trasferiti all’attivista di New Delhi. Ma dato che ognuno avrebbe pagato
circa mille dollari, se le persone fossero
diventate centinaia i trasferimenti avrebbero potuto attirare l’attenzione delle autorità.
L’attivista aveva perino pensato di fondare una ong autorizzata a ricevere quelle
somme, ma aveva cambiato subito idea.
“Ci sarebbero voluti quasi tre anni per costituire una ong e ottenere tutte le autorizzazioni”, spiega. “A quel punto i pazienti
sarebbero già morti. Allora ha deciso di
cercare un’ong già registrata che potesse
aiutarlo, una con l’autorizzazione a riceve-
50
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
re denaro dall’estero in base alla legge che
regola i contributi stranieri.
La prima ong a cui si era rivolto aveva
accettato, ma dopo aver visto le somme
che arrivavano si era spaventata. Non aveva certo aiutato neanche il fatto che il governo Modi aveva annullato le licenze di
10.117 ong solo nella prima metà del 2015
per aver violato le norme sui inanziamenti dall’estero. Anche il fatto che i soldi sarebbero arrivati con un lusso irregolare
avrebbe potuto sollevare sospetti. “Le ong
che sono tenute d’occhio dal governo ricevono i fondi ogni tre mesi, sei mesi o un
anno”, ha detto l’attivista. “Noi, invece, li
riceviamo continuamente”.
Così ha individuato tre conti
dove Jeferys può trasferire i soldi. Uno è un conto collegato a una
società di consulenza di un paese
asiatico. La società è disposta a
collaborare perché alcuni dei suoi dirigenti
hanno parenti che sofrono di epatite C. Un
altro è intestato a un gruppo di sostegno dei
pazienti in una città indiana. Sia il gruppo
sia la società di consulenza sono già autorizzati a ricevere pagamenti dall’estero.
L’attivista ha trovato anche un terzo posto
dove far arrivare i soldi, andando in un altro
paese asiatico – con norme bancarie particolarmente permissive – e aprendo un conto lì. In poche settimane, il club dei compratori era in piena attività.
Per chiedere il sofosbuvir la maggior
parte dei pazienti si rivolge direttamente a
Jefferys attraverso un indirizzo di posta
elettronica pubblicato sul suo blog. Lui tra-
Da sapere
Chi compra i farmaci
Distribuzione della spesa mondiale per i
farmaci, percentuale
Fonte: Oms, 2011
Paesi a reddito alto
78,5
Paesi a reddito medio-alto
10,2
Paesi a reddito medio-basso
10,3
Paesi a reddito basso
1,0
u Il 16 per cento della popolazione mondiale
vive nei pesi a reddito alto, mentre il 71 per
cento più povero della popolazione vive nei
78 paesi a reddito medio-basso e basso.
smette gli ordini e gli indirizzi di consegna
all’attivista di New Delhi, che si procura le
ricette e compra le quantità richieste in diverse farmacie pagandole una volta al mese. Poi prepara il pacchetto e lo spedisce
con un corriere.
Di solito il gruppo si fa pagare dopo la
consegna. L’attivista mi ha detto che aggiunge “circa cento dollari a ordine, soprattutto per coprire il costo dei documenti e della spedizione”. Quei soldi servono
anche a pagare una persona di cui si ida
abbastanza per farsi aiutare. Jeferys di solito tiene i soldi ino a quando non ha accumulato una certa somma. Quando l’attivista gli dà il via, trasferisce i soldi su uno dei
tre conti. Fare i trasferimenti in grosse
tranche li aiuta a nascondere il lusso continuo di denaro che arriva al gruppo. “Il sistema funziona sulla iducia”, spiega Jeferys. “Non ci siamo mai incontrati e nessuno di noi ci guadagna. Non volevo fare come le aziende farmaceutiche che speculano sulle malattie”.
Pressioni inedite
La seconda settimana di febbraio siamo
andati a Dwarka per incontrare tre dipendenti dell’ufficio brevetti, per sapere
cos’era successo dietro le quinte quando
Hardev Karar aveva respinto la richiesta di
brevetto della Gilead per il Sovaldi. È ormai chiaro che il governo indiano sta subendo pressioni dagli Stati Uniti perché
modiichi le leggi sui brevetti. Ma il fatto
che Karak abbia respinto la richiesta della
Gilead fa pensare che nessuno stesse facendo pressione sui funzionari dell’uicio.
In realtà, non era proprio così. Secondo il
primo funzionario, i legali della Gilead
avevano cercato più volte di “convincere”
Karar a concedere il brevetto. Quello che
era successo dopo era ancora più sorprendente. Karar era stato rimproverato dai
suoi superiori, anche per non aver “tenuto
conto dell’imminente visita di Obama”. Il
funzionario non era sicuro se questo signiicava che il verdetto avrebbe dovuto essere diverso o che Karar avrebbe dovuto
aspettare prima di emetterlo. In ogni caso,
ha aggiunto, “non sono cose che di solito
consideriamo prima di decidere”.
Due giorni dopo il verdetto, il suo capo
aveva minacciato Karar di trasferirlo in un
posto meno prestigioso. Quando il caso è
stato riaperto, Karar era stato sostituito:
“Siamo rimasti inorriditi dal modo in cui è
stato trattato, è uno dei nostri migliori funzionari”, ha detto un terzo collega. “Al nostro uicio non erano mai state fatte pressioni simili”. u bt
Iraq
La poesia
di Bassora
Testo e foto di Ulla Lenze, Die Zeit, Germania
Nell’Iraq devastato dalle guerre e dall’estremismo,
un gruppo di scrittrici s’incontra per parlare di
amore, dolore e letteratura. Riscoprendo la ricchezza
di una città e di un popolo dimenticati
L’
impiegato piazza una
webcam tenuta insieme
con lo scotch davanti al
mio viso, scatta una foto
e mi restituisce il passaporto. È una scena così
desolante che per un breve istante la paura
che mi ha accompagnato per tutto il viaggio
cede il posto a una compassione condiscendente. Non mi sono ancora ripresa del tutto,
sono reduce da un volo notturno. L’alcol
che avrebbe potuto aiutarmi a prendere
sonno sul volo tra Istanbul e Bassora era già
haram, proibito.
Sull’aereo c’erano quasi solo uomini, tra
cui un gruppo d’inglesi, muscolosi, in maglietta, con tatuaggi che gli arrivavano ino
al collo, come se stessero andando a fare
surf. Erano guardie private, un mestiere
ben pagato a Bassora. La città portuale nel
sud dell’Iraq è considerata relativamente
stabile, ma la criminalità è di nuovo in aumento, come i sequestri, da quando una
parte del personale di sicurezza è stata trasferita a nord a combattere contro il gruppo
Stato islamico (Is). Il ministero degli esteri
tedesco ha sottolineato i rischi per chi decide di fare un viaggio in Iraq.
Non ho avuto abbastanza tempo per lasciarmi prendere dalla paura. Altrimenti
forse avrei rinunciato alla visita, come la
scrittrice tedesca che era stata invitata prima di me. Così sono l’ospite tedesca che ha
accettato all’ultimo minuto di partecipare a
un convegno di scrittrici irachene a Bassora. L’incontro è promosso da un’organizzazione berlinese e da Birgit Svensson, l’unica
giornalista di lingua tedesca che vive ancora in Iraq.
La culla dell’umanità
Cielo azzurro, sole invernale. Faccio i primi passi con esitazione, come se stessi
camminando sul ghiaccio senza sapere se
la lastra reggerà il mio peso. Montiamo a
bordo di una Land Rover che ci porta fuori
dalla zona di massima sicurezza dell’aeroporto e ci fa scendere in un parcheggio fangoso, dove dobbiamo prendere un taxi.
Potrebbe sembrare una procedura ordinaria, ma l’atmosfera è tesa, si discute sul
prezzo con toni bruschi. Ricevo il primo
messaggio sul telefono: “Benvenuti in
Iraq, la culla dell’umanità”.
Seguono diversi chilometri attraverso
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un nulla marrone chiaro inondato da raggi
di sole di uno splendore quasi insopportabile. Vedo scorci che mi sembra di riconoscere, e inserisco in questa distesa deserta
e indifesa le cose che nella mia visione occidentale rappresentano l’Iraq: la guerra e
il terrore, l’Is e, diciamolo, anche alcune
scene di Homeland. Ma delle persone, della loro quotidianità, della loro realtà, so
pochissimo.
Al primo posto di blocco ci fermano.
Shirin, una curda partita da Erbil, viene interrogata: gli agenti le contestano la validità
del visto. Seduta sul sedile posteriore, mi
faccio piccola piccola. Qui domina l’arbitrio, tutto è in mano a criminali e a violente
milizie sciite, come ho scoperto dalle letture prima di partire. Nel vuoto di potere che
si è generato con la caduta del dittatore Saddam Hussein si sono inserite tribù e bande
rivali. Qui i soldi si fanno con la corruzione,
con i saccheggi e con i sequestri. Gli stranieri vengono solo per lavorare, per lo più in
aziende del settore petrolifero, e vivono
fuori città, in complessi recintati.
Possiamo proseguire. Compaiono le prime case, è quasi una baraccopoli. Ediici
modesti costruiti con mattoni diversi tra
loro: probabilmente riparazioni di danni
causati dalla guerra. L’immondizia invade
le strade e i canali. L’aria è attraversata da
un intrico di cavi elettrici. Le bandiere nere
innalzate in segno di lutto dagli sciiti sventolano sopra di noi, tremendamente simili
a quelle dell’Is. In giro ci sono quasi solo uomini. Le rare donne sono coperte di stofa
nera dalla testa ai piedi. Nel centro della città non si vede un cafè né altro che abbia a
che fare con la vita e con lo svago. Davanti
alle case più lussuose sono sedute delle
guardie armate. Sembrerebbe che la guerra
sia appena inita.
Non vuoi fasciare la ferita? O temi che ti
infetti? Dai, preghiamo insieme, guerra
su guerra, congratuliamoci con i morti
per la loro pace.
Sono versi di Amal Ibrahim, una delle
scrittrici che partecipano al convegno. Fanno parte dell’antologia Mit den Augen von
Inana (“Con gli occhi di Inana”, Verlag
Hans Schiler 2015), che Birgit Svensson ha
curato per dare voce alle scrittrici irachene
in una società dominata dagli uomini. Incontro Svensson nella hall del nostro modesto albergo, il Kasr al Sultan (dove comunque, per mancanza di concorrenza, si pagano cento dollari a notte). La giornalista
sembra decisa e coraggiosa e racconta la
visita della settimana precedente al fronte
Queste foto sono state scattate nel dicembre del 2015 a Bassora. In alto a sinistra: una petroliera afondata nel
iume Shatt al Arab; il centro di Bassora al tramonto; le scrittrici Amal Ibrahim, Samarkand al Jabiri e Inas al Bedran durante il convegno; lungo il iume Shatt al Arab.
di guerra con l’Is. Io devo recuperare il sonno perduto. Mi ritiro nella mia stanza, che è
stata rinnovata da poco e nella sua tonalità
lampone ha un aspetto misteriosamente
spavaldo. Nel dormiveglia ripasso ancora
per senso del dovere tutti i pericoli a cui mi
sto esponendo. Nell’albergo sono stati rapiti un giornalista britannico e un fotografo
iracheno, e a quanto pare con l’aiuto del direttore della struttura (nel frattempo
l’avranno sostituito?). Il primo è stato rilasciato subito, il secondo dopo due mesi, in
cambio di un riscatto. Io andrei bene come
ostaggio? Con questa domanda, come per
scongiurare la paura, mi addormento.
Bassora sorge sullo Shatt al Arab, il iume formato dalla confluenza del Tigri e
dell’Eufrate. Questo corso d’acqua lungo
appena duecento chilometri segna il conine con l’Iran e sfocia nel golfo Persico:
un’arteria importante per i trasporti. Du-
rante la guerra tra l’Iran e l’Iraq, Bassora si
trovava sulla linea del fronte; nella seconda
guerra del Golfo è stata bombardata e quando il paese è stato occupato dagli statunitensi è stata la prima città a cadere.
Nel pomeriggio facciamo una passeggiata ino allo Shatt al Arab. Nel frattempo
arrivano le scrittrici da Baghdad. Una di loro, Inas al Badran, è sulla sessantina e sotto
il chador drappeggiato con eleganza s’intravedono capelli tinti di rosso scuro. Mi meraviglio della velocità con cui cominciamo a
parlare di argomenti molto intimi, di amore, dolore e scrittura. Questo, lo sentiamo, è
un incontro particolare e dobbiamo sfrutInternazionale 1151 | 29 aprile 2016
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Iraq
tarlo ino in fondo. “La vita è dolorosa”, dice
Inas. È una frase fatta, ma non se a pronunciarla è lei. La donna irradia una malinconia
che mi pare carica di signiicato.
Girare per strada a piedi fa bene, e aidandosi alla forza del gruppo diventa possibile. Siamo gli unici pedoni. Passiamo davanti a una chiesa con le porte murate. Molti cristiani sono andati via da Bassora, mi
spiegano, perché da quando il ceto medio
istruito si è trasferito negli Stati Uniti e in
Europa e sono arrivati gli abitanti delle zone
impoverite, che poi sono diventati fanatici
religiosi, in città l’atmosfera è cambiata.
Sullo Shatt al Arab ci imbattiamo in un ricordo di quel mondo cosmopolita scomparso. Case sfarzose costeggiano la strada, ma
le facciate sono malridotte, le inestre murate. I chioschi sul lungoiume sono arrugginiti, le statue dei delini hanno perso le
pinne nel corso delle guerre. Un paio di ragazzi che fumano il narghilè seduti su sedie
di plastica ci guardano imbarazzati.
Nella casa della cultura
Prima delle guerre Bassora era bella. Basta
guardare le vecchie foto. La città era chiamata la Venezia d’oriente per via dei tanti
canali. Nelle sue memorie sulla Bassora di
un tempo, lo scrittore iracheno Najem Wali
parla di caffè all’aperto, cinema e night
club. In realtà Bassora è ancora ricchissima.
Il 90 per cento del greggio iracheno sgorga
dai giacimenti della zona. Perino nei momenti peggiori, la città guadagna 2,25 milioni di dollari al giorno grazie al petrolio. Allora perché sembra così povera? La risposta è
sempre la stessa: a causa della corruzione.
E anche su Saddam Hussein c’è un’opinione difusa: nessuno vorrebbe che tornasse,
ma era comunque uno statista. Essere governati da una banda di criminali che accampano motivazioni religiose è ancora
peggio, dicono.
Ci scattiamo fotograie sotto la statua
del poeta iracheno Badr Shakir al Sayyab. È
rimasta in piedi. Quella di Saddam è stata
portata via. Di ritorno verso l’albergo, il marito di Inas recita qualche verso del poeta.
Ci immergiamo nel buio delle strade. Mi
fermo in un supermercato a comprare della
birra islamica, quindi analcolica.
Il primo posto bello che vedo a Bassora è
quello in cui si svolge il convegno, una palazzina che un tempo era abitata da ebrei e
oggi è la casa della cultura. Dentro c’è una
corte coperta circondata da un loggiato, con
colonne e intagli in legno. Si trova nella città
vecchia, che per il resto è in rovina. All’ingresso ci sono due uomini armati di kalashnikov: proteggeranno il nostro evento,
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
e anche me. Non posso fare due passi sulla
strada polverosa che mi fanno rientrare.
A quanto pare, a Bassora una manifestazione culturale organizzata dall’occidente è
qualcosa di speciale. Ci sono le telecamere
di otto canali televisivi. Passa un’ora tra discorsi di benvenuto e ringraziamenti. Poi
comincia la prima conferenza. Ma sembra
che qui i convegni non siano solenni come
da noi. Nel frattempo si fanno interviste e se
a qualcuno suona il telefono (cosa che si ripete spesso) quello risponde. Alcuni uomini
fumano. Eppure un po’ alla volta mi rendo
conto che qui si sta realizzando il sogno di
molti organizzatori di eventi letterari: nel
pubblico ci sono più uomini che donne,
mentre sul palco siedono solo
donne che parlano principalmente di poesia. È una cosa piuttosto
strana. Ne capisco di più quando
torno dalla toilette. Il mio posto in
prima ila è occupato da un signore dalle spalle larghe con un completo color
nocciola, mentre il mio cappotto è stato
spostato una ila più dietro. Il tema del predominio maschile riemergerà nel corso del
dibattito, ma lo si può osservare direttamente sul campo. Nella prima ila, davanti
agli obiettivi dei fotograi, sono seduti solo
uomini. Il console egiziano, il sindaco e il
governatore. Il convegno è un evento mondano, e gli uomini vogliono vedere di cosa
sono capaci le donne. E proteggerle in caso
di necessità. Così ascoltano versi femminili, a volte ribelli. Forse, almeno lo spero,
questo produrrà qualche efetto su di loro.
Il vestito bianco che ti piace tanto non lo
[indosso più
non taccio più per farti piacere
no, ormai taccio solo per dolore
È Salima Sultan Nur, una docente universitaria di Kerbala (tutte le scrittrici presenti fanno parte del mondo accademico),
a leggere questi versi. Quando si apre il dibattito con il pubblico, un signore prende la
parola. Questa poesia, dice, è bella, ma è
anche femminista. Il suo “ma” scatena risatine sommesse tra le donne. L’uomo incalza: e le donne non femministe? Non si può
mica escluderle.
La risposta è tagliente: “Quelle donne
non scrivono. O se lo fanno, usano uno
pseudonimo e comunque la loro è soprattutto letteratura a soggetto religioso”. Ma
allora perché sul palco non ci sono donne di
Bassora? A questo punto è chiaro chi sono le
scrittrici non femministe di cui l’uomo parla. La moderatrice interviene: “Non è stato
possibile farle salire sul palco. Non hanno il
coraggio di mostrarsi in pubblico”.
Improvvisamente tra le donne di Baghdad vestite all’ultima moda e quelle di Bassora sedute tra il pubblico con cappotti incolori e chador stretti intorno al viso si apre
un baratro. Alla ine salgono sul palco due
donne di Bassora dallo sguardo severo. In
questo istante è come se qualcosa si muovesse, come se si generasse una forza terapeutica in tutto il gruppo. Le donne di Bassora saranno pure conservatrici, ma non
sono timide. Parlano al microfono con voce
chiara e, mentre alcune donne di Baghdad
alzano gli occhi al cielo, non permettono a
nessuno di togliergli la voce. Anche se la loro è una voce piccola: la netta divisione dei
ruoli è giusta, ma all’interno di
questi ruoli c’è ancora spazio per
crescere. Si capisce quanta pressione devono sopportare queste
donne. Quanto coraggio serve
anche solo per dire qualcosa. Il
dibattito prosegue a lungo. Si parla di controllo sociale delle donne e di chi debba fare
il primo passo. Il livello è alto, e fa male pensare al mondo che si apre al di là di queste
porte, a questa terra abbandonata, ferita e
ottusamente fanatica.
Quando il mio intervento viene annunciato, sottolineando quanto sia stato diicile trovare una scrittrice tedesca disposta a
venire in Iraq, scoppia un applauso che mi
mette in imbarazzo. Com’è possibile che
solo tre giorni nel loro mondo sia percepito
come un azzardo? Tutto mi risulta di colpo
evidente: l’ingiusta casualità della possibilità di avere scelta. Alla ine molti vengono
a ringraziarmi per essere venuta. È diicile
non commuoversi. “Abbiamo paura che vi
siate dimenticati di noi”, dicono. Oppure:
“Abbiamo l’impressione che il nostro paese
sia associato solo alla guerra, al terrore e ai
giacimenti petroliferi. Ma noi siamo sempre qui”. Le scrittrici di Bassora, di Baghdad, di Kerbala.
Il giorno dopo, l’ultimo del mio viaggio,
facciamo una gita in barca sullo Shatt al
Arab. Mi sento euforica come dopo un pericolo scampato. Potrebbero succedere ancora molte cose. Ma, mentre passiamo davanti a quello che fu il palazzo di Saddam e superiamo un pomposo ediicio militare in
arenaria dove si coordina la lotta all’Is e una
nave da guerra affondata che affiora per
metà dall’acqua, ho l’impressione di partecipare a una gita domenicale stranamente
rilassata. u fp
L’AUTRICE
Ulla Lenze è una scrittrice tedesca nata nel
1973. Vive a Berlino.
Portogallo
FrANCISCO SECO (AP/ANSA)
Ragazze in abiti tradizionali ucraini a Lisbona, il 28 marzo 2015
Un rifugio
per gli ucraini
Cátia Bruno, New Eastern Europe, Polonia
Nel 2015 quasi la metà delle
persone che hanno chiesto
asilo politico a Lisbona arrivava
dall’Ucraina. La storia di
Emine e di sua iglia Maša,
fuggite dalla Crimea
rano circa le undici di sera
quando Emine Šichame­
tova è uscita dalla sua casa
a Jalta, in Crimea, per l’ul­
tima volta. Aveva 27 anni.
È salita in macchina insie­
me al marito Oleksij e alla sua bambina di
dieci mesi, Maša, ed è partita alla volta di
E
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Kiev. Si stavano lasciando alle spalle mesi
di persecuzioni, telefonate nel cuore della
notte che li accusavano di essere dei tradi­
tori e il continuo timore che uno di loro po­
tesse sparire, come era successo al cugino
di Emine.
Emine racconta la sua storia con gli oc­
chi issi sulla tavola dove il tè che ha appena
preparato si sta raffreddando. L’eyeliner
nero ne accentua i lineamenti asiatici. In
Crimea le sue origini tatare non passavano
inosservate: negli ultimi mesi trascorsi a
Jalta in molti la insultavano per strada.
Quando ha lasciato la Crimea, nel luglio del
2014, Emine scappava proprio da questo.
Arrivati a Kiev dopo un viaggio di dodici
ore, Emine, Oleksij e Maša sono stati accol­
ti da alcuni amici, si sono fatti un bagno e si
sono riposati un po’. “Poi siamo andati da
McDonald’s, perché ci mancava”, racconta
Emine con una risatina. La fermata succes­
siva è stata piazza Maidan, per comprare
dei souvenir, braccialetti e camicie tradizio­
nali ucraine: qualunque cosa potesse servi­
re a Emine per ricordare il suo paese. In quel
momento stava per lasciarsi alle spalle un
pezzo della sua vita. “Inine siamo andati
all’aeroporto, ma non siamo riusciti a rag­
giungere l’area di imbarco”, racconta. “Ave­
vo un biglietto di sola andata e un visto turi­
stico, così ho dovuto comprare anche il ri­
torno. Ma sapevo benissimo che non sarei
tornata”. Il piano era semplice: prendere un
aereo per Lisbona con Maša e presentare
domanda di asilo appena sbarcate. Dopo
aver comprato due biglietti di ritorno, in tasca le rimanevano appena cento dollari.
Dire arrivederci a Oleksij sarebbe stato
facile se non fosse stato per i tanti bagagli e
per la bambina che continuava a piangere.
Solo dopo aver superato il primo controllo
di sicurezza ha trovato un attimo per dare
un bacio al marito. Senza sapere una parola
di portoghese, Emine è salita a bordo
dell’aereo per Lisbona con la iglia in braccio. Ha pianto per tutto il tempo del volo.
Appena sbarcata all’aeroporto Portela
di Lisbona, è andata dritta dal primo agente
di polizia che ha visto. Mescolando il russo
e le poche parole inglesi che conosceva, gli
ha spiegato che voleva presentare domanda
di asilo. Ma era già tardi e il servizio dell’immigrazione e delle frontiere (Sef ) aveva già
chiuso. Emine non aveva alternative: è rimasta in aeroporto e si è cercata una panca
dove passare la notte.
La mattina dopo ha incontrato i funzionari del Sef. Nessuno di loro era in grado di
parlare ucraino o russo o anche solo di trovare la Crimea sulla carta geograica. Così
l’hanno portata al Consiglio portoghese dei
rifugiati (Cpr, l’unica ong portoghese ailiata all’Alto commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati) dove l’hanno aiutata
nella traila burocratica. Quella notte, più di
72 ore dopo aver lasciato Jalta, Emine e
Maša hanno dormito di nuovo in un letto
che non era il loro, questa volta nella sede
del Cpr.
La scelta e il caso
Quasi due anni dopo la situazione all’aeroporto di Lisbona è molto diversa. Oggi quasi tutti, al Sef come al Cpr, sanno dov’è la
Crimea, e basta una telefonata per trovare
interpreti di russo e ucraino. Emine è stata
una pioniera, la prima a lasciare la penisola
di Crimea per chiedere asilo politico in Portogallo. Ma dopo di lei sono arrivati molti
altri ucraini, compreso un suo ex compagno
di scuola.
In Portogallo i profughi provenienti dalla Crimea e dal Donbass costituiscono il
gruppo di richiedenti asilo più numeroso.
Secondo Teresa Tito de Morais, presidente
del Cpr, nel 2014, quando la guerra nell’est
dell’Ucraina era in pieno svolgimento, 157
delle 442 persone che hanno cercato rifugio
in Portogallo erano ucraine. Nel 2015 gli
ucraini che hanno seguito il loro esempio
sono stati almeno 368, il 42,4 per cento di
tutte le persone che nel corso dell’anno
hanno chiesto protezione a Lisbona. Solo
ad alcuni è stato concesso lo status di rifugiati, ma quasi tutti hanno ricevuto qualche
Da sapere
Minoranze e conlitti
u Il conlitto in Ucraina orientale, scoppiato
nell’aprile del 2014, dopo le proteste di
Euromaidan e la destituzione del presidente
Viktor Janukovič, ha fatto più di un milione di
profughi, stando alle stime del governo di Kiev.
Circa 21mila persone sarebbero fuggite dalla
Crimea, il resto dalla regione del Donbass,
nell’est del paese. La penisola della Crimea è
stata annessa dalla Russia il 16 marzo del 2014
con un referendum non riconosciuto da Kiev né
dalla comunità internazionale.
u Originariamente la Crimea era abitata dai
tatari, un gruppo etnico turcofono che ino
all’annessione alla Russia del 2014 nella
penisola contava circa 250mila persone, il 12 per
cento della popolazione. Nel 1944, alla ine
della seconda guerra mondiale, i tatari di
Crimea furono deportati in massa nella
repubblica sovietica dell’Uzbekistan con
l’accusa di aver collaborato con i tedeschi.
Poterono tornare in Crimea solo dopo l’inizio
della perestrojka, alla ine degli anni ottanta.
tipo di protezione umanitaria.
“Chi arrivava dall’Ucraina orientale o
dalla Crimea aveva vissuto una guerra molto intensa o signiicative violazioni dei diritti umani. Sono ragioni più che suicienti
per chiedere la tutela internazionale”, dice
Tito de Morais. Emine era una di loro. “Bastava non essere ilorussi per essere discriminati. Potete immaginare in che situazione vivesse chi aveva i lineamenti del viso
diversi”, dice riferendosi alle sue origini tatare. In Crimea più del 10 per cento della
popolazione è tatara. Ma questo non ha impedito le discriminazioni. Nell’ottobre del
2014 l’ong Human rights watch ha parlato
di una “preoccupante difusione dei sequestri di persona e delle minacce ai danni dei
tatari della Crimea”.
Anche Emine e Oleksij sono stati abbandonati dagli amici. Qualcuno telefonava
alla donna per coprirla d’insulti, altri le lanciavano contro oggetti per strada. Oleksij
doveva sopportare lo scherno e il disprezzo
degli amici, che lo accusavano di essere un
traditore perché aveva sposato una tatara.
Emine era senza lavoro e Oleksij rischiava
di perdere il suo impiego di tassista. Alla ine le autorità locali hanno cercato di convincerli a prendere la cittadinanza russa.
Loro hanno riiutato. A quel punto le autorità gli hanno spiegato che se fossero rimasti
disoccupati, avrebbero potuto anche togliergli la iglia, provvedimento che sarebbe
stato reso più agevole dal fatto che i due
erano ucraini, cioè della nazionalità “sbagliata”. Un giorno, all’uscita dal lavoro, il
cugino di Emine è scomparso. Nessuno lo
ha più visto.
“Le persone erano diventate degli zombie. Improvvisamente a ogni inestra sventolava la bandiera russa”, racconta Emine,
che ha 29 anni e a Jalta era studentessa di
legge. Spiega di non essersi mai interessata
troppo alla politica o all’attualità, ma poi
ammette di aver cambiato atteggiamento
durante le proteste del movimento Euromaidan. “Abbiamo cominciato a seguire gli
avvenimenti con attenzione quando è stato
ucciso il primo manifestante”, ricorda.
“Dopo quei fatti ci siamo tenuti informati
grazie ai canali tv indipendenti”. La conferma del suo patriottismo arriva dal cellulare:
la nostra conversazione è interrotta dall’inno ucraino, impostato come suoneria.
“In passato il problema di entrare a far
parte della Russia non si poneva”, continua.
“Le persone istruite sapevano che era solo
propaganda, anche se tutti gli altri ci credevano. Pensavano che sotto la guida di Mosca un idraulico avrebbe guadagnato quanto un medico e le pensioni sarebbero aumentate”.
Tutto questo non avrebbe avuto grande
importanza per Emine e la sua famiglia se a
un certo punto non avessero cominciato a
sentirsi vittime di una vera e propria persecuzione. Il 16 marzo del 2014, quando è stato annunciato il risultato del referendum
sull’annessione della Crimea alla Federazione Russa, Emine e Oleksij hanno capito
che le cose stavano prendendo una brutta
piega. È stato allora che hanno cominciato
a pensare di partire.
La scelta del Portogallo è stata quasi casuale. Volevano andare in un posto lontano,
ma che fosse in Europa. L’ideale sarebbe
stato un paese con il clima simile a quello
della Crimea, aperto e tollerante nei confronti dei rifugiati e aderente alla Nato, un
dettaglio che avrebbe fatto sentire la famiglia più al sicuro. Presi in considerazione
tutti questi fattori, la famiglia ha scelto il
Portogallo, dall’altra parte dell’Europa.
“Molti profughi ucraini hanno scelto il
Portogallo perché è un paese europeo, ma
piccolo e con maggiori possibilità d’integrazione”, spiega Teresa Tito de Morais. Anche
se non è il caso di Emine, la presidente del
Cpr sottolinea un altro fattore: la diicoltà
di ottenere lo status di rifugiati nei paesi più
vicini all’Ucraina. “La Polonia, per esempio, ha una politica completamente diversa
da quella del Portogallo”, aggiunge.
I numeri confermano la sua analisi. Secondo i dati dell’uicio polacco per gli stranieri, dal 2013 solo due ucraini hanno ottenuto lo status di rifugiati e solo 24 hanno
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Portogallo
ricevuto un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, della durata di cinque
anni e rinnovabile. Le richieste sono state
in media circa tremila all’anno. La Polonia
deve fare i conti con un forte afflusso di
ucraini che ricevono visti di lavoro di breve
periodo (si calcola che oggi nel paese ci siano almeno 500mila ucraini), e questo rende molto più complicato ottenere protezione umanitaria. Le autorità polacche sostengono che i profughi potrebbero essere
trasferiti in altre zone dell’Ucraina non colpite dalla guerra. Il risultato è che molti decidono di chiedere asilo in paesi più lontani, come il Portogallo.
Vita nuova
A spingerli verso questa scelta, tuttavia, c’è
anche un altro fattore. Teresa Tito de Morais calcola che il 30-40 per cento circa dei
richiedenti asilo in qualche modo conosce
già il Portogallo perché ha familiari e amici
che ci vivono o che in passato ci hanno lavorato. All’inizio degli anni duemila molti
ucraini sono emigrati in Portogallo, trovando lavoro soprattutto nel settore dell’edilizia, allora in pieno boom. Tra il 2001 e il
2003 il Portogallo ha concesso agli ucraini
quasi 65mila permessi di soggiorno, una
cifra già signiicativa, che però non include
chi è entrato nel paese illegalmente.
José Carlos Marques, ricercatore presso
il centro di studi sociali dell’università di
Coimbra, in quegli anni è stato uno dei pochi a studiare il fenomeno dell’immigrazione ucraina in Portogallo. Dopo aver sottolineato che da allora molti immigrati sono
tornati a casa, Marques spiega che la nascita di una comunità ucraina in Portogallo è
stata il frutto di una serie di circostanze diverse, “tra cui le diicili condizioni economiche dell’Ucraina e le opportunità di lavoro che allora offriva il Portogallo”. Ma ci
sono stati anche altri fattori, come la facilità
con cui era possibile procurarsi un visto, il
fatto che il paese facesse parte dell’area
Schengen e la presenza di reti criminali camufate da agenzie di viaggio che raggiravano gli ucraini con la promessa di un lavoro sicuro.
La maggior parte degli immigrati arrivava dalle regioni occidentali dell’Ucraina,
ma molti provenivano dalla zona di
Donetsk, oggi sotto il controllo dei separatisti ilorussi. Marques non ricorda particolari tensioni politiche tra i migranti, ma oggi, consapevole di come sono andate le cose, è ossessionato da alcuni dettagli: “Ricordo che quando facemmo le interviste
per la ricerca diverse persone ci dissero che
si consideravano russe”.
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Fatta eccezione per
l’abitudine
portoghese di arrivare
in ritardo, Emine si
trova bene. Il marito
l’ha raggiunta e ha
subito trovato lavoro
In ogni modo, molti ucraini che oggi arrivano in Portogallo non hanno gli stessi
sentimenti antirussi di Emine. Chi è ostile
alla Russia di solito entra in contatto con
l’Associazione degli ucraini in Portogallo,
che organizza iniziative a favore dei militari
di Kiev, come raccolte di generi alimentari
e vestiti. I rapporti con i rifugiati che hanno
posizioni ilorusse sono diicili, ammette
Emine.
Per rendersi conto del problema basta
visitare la chiesa di Ognissanti, una delle
più grandi comunità ortodosse di Lisbona.
Potrebbe essere un punto di ritrovo naturale per molti esponenti della comunità ucraina, ma a causa dei suoi legami con il patriarcato di Mosca alcuni si sentono esclusi. “La
nostra chiesa è assolutamente
aperta a tutti, di qualunque nazionalità”, dice Jorge Divisa. Divisa, uno dei responsabili della
comunità di Ognissanti, è un cittadino russo che vive in Portogallo da 15 anni e ha scelto di adattare il suo
nome alla lingua locale (Jorge è l’equivalente portoghese di Jurij). Quando si accorge,
alla ine della messa domenicale, che una
giornalista sta chiedendo ai fedeli se i rifugiati ucraini facciano parte della comunità
religiosa, sembra allarmato e insiste per dare la sua spiegazione.
Dopo aver afermato che nessun profugo ucraino si è mai rivolto alla chiesa di
Ognissanti, Jorge si corregge. Negli ultimi
due anni – dice – solo due persone del Donbass hanno chiesto aiuto alla comunità. Mi
presenta uno di loro: un giovane timido e
magrissimo di poco più di vent’anni, che si
limita a balbettare un “hello”. Poi Jorge riprende in mano la conversazione. Manda
via il ragazzo, chiude la porta e dichiara che
tutti, a prescindere dalle loro idee politiche,
sono accolti in chiesa a braccia aperte.
“Queste cose le lasciamo fuori da qui, la
chiesa è un luogo di pace. Preghiamo solo
che la situazione migliori”, mi assicura.
Secondo Teresa Tito de Morais, i rilessi
di queste tensioni politiche sono arrivati in
Portogallo. “Persone che ino a ieri erano in
ottimi rapporti possono diventare nemiche.
È una situazione delicata. E anche se il paese è ancora percorso da forti contrasti, occorre preparare la riconciliazione postbellica”. Nonostante tutto, a giudicare da quello
che vede nel centro di accoglienza del Cpr,
Tito de Morais ha la sensazione che i rifugiati ucraini si adatteranno rapidamente
alla vita in Portogallo. “Sono europei e arrivano con l’obiettivo di integrarsi e di rendersi utili. Credo che la comunità ucraina
possa integrarsi meglio di altre”, dice.
Emine è d’accordo. Fatta eccezione per
l’abitudine portoghese di arrivare in ritardo, nel suo nuovo paese si trova bene. Il marito, nel frattempo, l’ha raggiunta e ha trovato lavoro nell’edilizia. Emine, invece, resta a casa per prendersi cura della seconda
iglia, Julija, nata in Portogallo nel settembre del 2015. La famiglia vive in un appartamento alla periferia di Lisbona, e sia Oleksij
sia la iglia maggiore, Maša, parlano benissimo il portoghese. Maša preferisce farsi
chiamare Maria e in casa con il padre parla
in portoghese.
Anche essendo un’accesa nazionalista
ucraina, Emine continua invece a parlare
russo, la sua prima lingua: è una delle poche cose che la tengono legata alla Crimea,
dove la sua famiglia tornò nel
1988, quando lei aveva due anni,
dopo decenni di esilio in Uzbekistan. Allora furono accolti con lo
stesso insulto che Emine si è sentita rivolgere nel 2014: traditori.
Con il tempo, però, la situazione era migliorata: i suoi genitori erano tornati nella
loro terra e tutto sembrava più sopportabile.
Oggi i genitori di Emine si riiutano di
lasciare la Crimea, una scelta che mette in
crisi la iglia. Emine vuole costruirsi una
nuova vita in Portogallo, ma è ancora legata
al passato, e i pensieri la riportano costantemente alla Crimea. Quando pensa alla storia dei genitori, la sua mente corre subito a
quella notte del luglio del 2014, quando è
stata costretta a lasciare la sua casa. “Avevo
la sensazione di vivere la stessa odissea di
mio padre e mia madre: partivo con mia iglia tra le braccia, dopo aver venduto tutto
per procurarmi i soldi del biglietto”. Ha un
groppo in gola e le lacrime agli occhi, poi fa
un profondo respiro per condensare tutto in
una frase: “Ma la diferenza tra me e i miei
genitori è che invece di tornare a casa, io
stavo scappando”. u gc
L’AUTRICE
Cátia Bruno è una giornalista portoghese.
Lavora per il settimanale Expresso.
Stati Uniti
THE GUARDIAN
Il luogo dove è stato ucciso Alejandro Nieto, sulla collina di Bernal Heights, 5 marzo 2016
La vergogna
di San Francisco
Rebecca Solnit, The Guardian, Regno Unito. Foto di Gabrielle Lurie
Alejandro Nieto è stato ucciso a marzo del 2014, crivellato di colpi dalla polizia.
La sua storia rivela la tensione crescente tra vecchi e nuovi residenti
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l 4 marzo del 2016 i genitori di
Alejandro Nieto, che quel giorno
avrebbe compiuto trent’anni,
hanno lasciato un’aula affollata
del tribunale di San Francisco poco prima che fossero mostrate alla
giura alcune foto dell’autopsia sul corpo del
iglio. Le immagini mostravano cosa succede quando 14 proiettili colpiscono la testa e
il corpo di una persona. Refugio ed Elvira
Nieto hanno passato il resto della giornata
seduti su una panca nel corridoio senza inestre dell’ediicio dove si teneva l’udienza
per la morte ingiusta del iglio.
Alejandro Nieto aveva solo 28 anni
quando è morto nel quartiere in cui aveva
trascorso tutta la sua vita, ucciso da una raf-
I
ica di colpi sparati da quattro poliziotti di
San Francisco. Su alcune delle circostanze
della sua morte sono tutti d’accordo: Nieto
stava mangiando un burrito e dei nachos in
un parco e aveva con sé un taser che usava
per il suo lavoro di buttafuori in un locale
notturno quando, poco dopo le sette di sera,
qualcuno ha chiamato la polizia. Gli agenti
arrivati sul posto qualche minuto dopo sostengono di aver visto Nieto puntare l’arma
contro di loro con aria di sida, di aver scambiato la luce rossa del taser per il mirino laser di una pistola e di aver sparato perché
temevano per la loro vita. Ma le versioni dei
quattro agenti sono in contrasto tra loro e
con alcune delle prove raccolte in seguito.
Sulla strada tutta curve che si arrampica
in cima alla collina di Bernal Heights c’è un
piccolo monumento improvvisato in memoria di Nieto. Chi ci passa davanti portando fuori il cane, correndo o passeggiando si
ferma a leggere lo striscione appoggiato
lungo un ianco della collina, issato a terra
da alcune pietre e circondato da iori freschi
e artiiciali. Ancora oggi il padre di Alejandro, Refugio, sale in lì almeno una volta al
giorno, partendo dal suo appartamento ai
piedi del lato sud della collina. Alejandro
Nieto frequentava quel posto in da piccolo
e la sera del 4 marzo i suoi genitori, gli amici
e le persone che avevano preso a cuore la
sua storia sono saliti sulle colline nel buio,
per portare una torta di compleanno ino al
memoriale.
Refugio ed Elvira Nieto sono persone
riservate, iaccate dalle soferenze ma orgogliose, che parlano correntemente lo spagnolo e quasi per nulla l’inglese. Si sono
conosciuti da piccoli, in una città del centro
del Messico dove entrambi vivevano in povertà. Negli anni settanta sono emigrati
ognuno per suo conto nella zona di San
Francisco. Qui si sono incontrati di nuovo e
nel 1984 si sono sposati. Da allora hanno
sempre vissuto nello stesso palazzo ai piedi
della collina di Bernal Heights. Lei ha lavorato per anni come cameriera negli alberghi
del centro di San Francisco e oggi è in pensione. Lui ha fatto lavori occasionali, ma si è
soprattutto occupato di Alejandro e di suo
fratello minore, Hector. In tribunale Hector
– bello, capelli neri lucidi pettinati all’indietro e un’aria grave – è rimasto quasi sempre
seduto vicino ai genitori, non lontano dai
quattro poliziotti, tre bianchi e uno asiatico,
che hanno ucciso suo fratello. Era già un
successo essere arrivati al processo. L’amministrazione cittadina si era riiutata di
fornire ai familiari e ai loro sostenitori il referto integrale dell’autopsia e i nomi degli
agenti che avevano sparato a Nieto, e c’erano voluti mesi prima che i testimoni chiave
si facessero avanti superando la paura che
avevano della polizia.
Nieto è morto perché alcuni uomini
bianchi l’hanno visto e hanno pensato che
fosse un pericoloso intruso in un posto dove aveva trascorso tutta la sua vita. Hanno
pensato che potesse far parte di una gang
perché indossava un giubbotto rosso. Molti ragazzi ispanici a San Francisco evitano
di indossare indumenti rossi e blu perché
sono i colori di due gang, i Norteños e i Sureños. Ma il rosso è anche uno dei colori
dei 49ers, la squadra di football della città,
e portare un giubbotto dei 49ers a San
Francisco è la cosa più normale del mondo.
Quella sera Nieto, che aveva sopracciglia
scure e folte e il pizzetto, indossava un
giubbotto dei 49ers che sembrava nuovo
di zecca, un berretto dei 49ers, una maglietta bianca e dei pantaloni neri, e portava un taser nella fondina appesa alla cintura, sotto il giubbotto. I taser sparano dardi
collegati a cavi che rilasciano una scarica
elettrica, paralizzando temporaneamente
la vittima. Hanno la forma di una pistola,
ma più massiccia e arrotondata. Quello di
Nieto aveva vistose strisce gialle su gran
parte della supericie e una gittata di quattro metri e mezzo.
Nieto aveva ottenuto la licenza di guardia giurata nel 2007 e da allora aveva sempre fatto quel lavoro. Non era mai stato arrestato e non aveva precedenti, un gran risultato in un quartiere dove i ragazzini
ispanici possono essere fermati dalla polizia anche se stanno solo passeggiando per
strada. Era buddista: un ispanico iglio di
immigrati che pratica il buddismo è uno di
quegli ibridi per cui una volta San Francisco
era famosa. Da ragazzo aveva lavorato per
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Stati Uniti
THE GUArdIAN
Elvira and Refugio Nieto, i genitori di Alejandro, marzo 2016
quasi quattro anni come coordinatore giovanile al Bernal Heights neighborhood
center, il centro sociale del quartiere. Era
un tipo estroverso e partecipava alle iniziative politiche, alle iere di strada e agli eventi della comunità. Si era diplomato in una
scuola pubblica dove aveva seguito corsi di
diritto penale, grazie ai quali sperava di diventare un responsabile per la libertà provvisoria e aiutare i giovani del posto. Poco
prima di morire aveva anche svolto un tirocinio nel dipartimento che si occupa dei
minorenni di San Francisco aidati ai servizi sociali, come risulta dalla testimonianza
di Carlos Gonzalez, un funzionario di quel
dipartimento e amico di Nieto. Nessuno ha
mai fornito un movente convincente per
spiegare perché Nieto avrebbe dovuto puntare un oggetto a forma di pistola contro la
polizia, sapendo che quel gesto poteva costargli la vita.
Niente di insolito
La sera del 21 marzo del 2014 Evan Snow,
un uomo di trent’anni “esperto di user experience design” – come si legge sul suo
proilo LinkedIn – e residente nel quartiere
da circa sei mesi, ha portato la sua siberian
husky a fare una passeggiata al parco di
Bernal Hill. Snow stava per andare via
62
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
quando Nieto, mangiando nachos, ha imboccato uno dei piccoli sentieri sterrati che
portano alla circonvallazione del parco. In
una deposizione rilasciata prima del processo, Snow ha dichiarato che, per quel poco che sapeva dell’abbigliamento delle
gang, aveva subito inserito Nieto nella categoria delle “persone con cui è meglio non
avere a che fare”.
La sua cagna, invece, ha inserito Nieto
nella categoria “persone con cose buone da
mangiare” e ha cominciato a inseguirlo. A
quanto pare, Snow non si è mai reso conto
del fatto che il vero aggressore era la sua cagna fuori controllo: “E così Luna si è messa
a correre felice verso di lui attirata dal cibo.
Nieto è diventato sempre più – come posso
dire? – nervoso, e ha cominciato a camminare rapidamente da sinistra a destra, per
non fare avvicinare Luna ai nachos. È corso
verso una panchina e ci è saltato sopra, inseguito da Luna, che a quel punto si era
messa ad abbaiare. Anzi, sarebbe più giusto
dire a ululare”.
La cagna teneva Nieto bloccato sulla
panchina, mentre il suo sbadato padrone
era a una decina di metri di distanza: nella
sua deposizione giurata, Snow ha detto testualmente di essersi distratto a guardare
“il sedere di una ragazza che faceva jog-
ging”. E ha continuato: “Immagino che a
quel punto qualcuno potesse pensare che
Luna si stesse comportando in modo aggressivo”. La cagna non rispondeva ai richiami del padrone e continuava ad abbaiare contro Nieto. A quel punto il ragazzo si è
inilato una mano sotto il giubbotto e ha tirato fuori il taser, puntandolo per un attimo
contro il padrone lontano e poi contro la cagna che abbaiava ai suoi piedi. I due uomini
si sono urlati qualcosa, e sembra che Snow
gli abbia rivolto un insulto razzista, anche
se in seguito non ha voluto precisare quale.
Uscendo dal parco ha mandato un sms a un
amico raccontandogli l’accaduto. Stando
alla sua testimonianza, il messaggio diceva:
“In uno stato come la Florida avrei potuto
sparargli su due piedi”. Era un riferimento
alla legge stand your ground in vigore in Florida, che permette alle persone di usare la
forza quando si sentono minacciate. In altre
parole, Snow si rammaricava di non aver
potuto fare quello che il vigilante George
Zimmerman aveva fatto a Trayvon Martin,
un ragazzino afroamericano di 17 anni, nel
2012: ucciderlo senza conseguenze.
Poco dopo, vicino a Nieto è passata una
coppia. Tim Isgitt, residente da poco nella
zona, è il responsabile della comunicazione
di un’organizzazione non proit fondata da
miliardari del settore tecnologico. Oggi vi­
ve in periferia, nella contea di Marin, con il
suo compagno Justin Fritz, che si deinisce
“responsabile del marketing online” e che
all’epoca viveva a San Francisco da un an­
no. Una foto pubblicata da uno dei due sui
social network ci mostra due uomini casta­
ni e curati nell’aspetto, in posa con i loro
cani, uno springer spaniel e un vecchio bull­
dog. Quel giorno stavano portando a spasso
i cani quando hanno visto Nieto in lonta­
nanza.
Fritz non ha notato niente d’insolito, ma
Isgitt ha visto Nieto muoversi “nervosa­
mente” e portare la mano al taser nella fon­
dina. Snow se n’era andato e Isgitt non im­
maginava che Nieto avesse appena avuto
un incontro spiacevole e che quindi avesse
un buon motivo per essere nervoso. Isgitt
ha cominciato ad avvertire chi incontrava
di evitare quella zona. Robin Bullard, un
vecchio residente di Bernal Hill che passeg­
giava nel parco con il suo cane, ha testimo­
niato di aver visto Nieto poco dopo Isgitt e
Fritz, e di non aver notato niente di allar­
mante in lui. “Se ne stava seduto tranquilla­
mente”, ha detto Bullard.
Al processo anche Fritz ha testimoniato
che non c’era niente di allarmante in Nieto.
E ha detto di aver chiamato la polizia su in­
sistenza di Isgitt. Verso le 19.11 ha detto
all’operatrice del 911 (il numero d’emergen­
za negli Stati Uniti) che c’era un uomo con
una pistola nera. “Di che etnia”, ha chiesto
l’operatrice, “nero, ispanico?”. “Ispanico”,
ha risposto Fritz. Poi l’operatrice gli ha chie­
sto se l’uomo in questione stesse facendo
“qualcosa di violento”, e Fritz ha risposto:
“Cammina solo avanti e indietro, mangian­
do patatine o semi di zucca, ma sembra che
tenga una mano sulla pistola”. Circa cinque
minuti dopo Alejandro Nieto era morto.
Uno sfratto dopo l’altro
San Francisco non è mai stata una città
ostile agli stranieri: ino a qualche tempo fa
era un posto in cui ogni nuovo arrivato po­
teva reinventarsi. Quando arrivano in po­
chi per volta, i nuovi residenti si integrano
e contribuiscono alla trasformazione della
città. Ma quando arrivano tutti insieme –
nei periodi di crescita economica come la
corsa all’oro nell’ottocento, l’esplosione
delle aziende di servizi online negli anni
novanta e l’attuale boom tecnologico –
spazzano via tutto quello che c’era prima.
Nel 2012, quando l’ondata di lavoratori
delle aziende tecnologiche si è trasformata
in un’inondazione, un numero sempre più
alto di persone e istituzioni – librerie, chie­
se, servizi sociali, bar, piccole imprese – ha
cominciato a essere sfrattato.
Una tempo San Francisco era un posto
dove le persone arrivavano spinte da un
ideale e ci restavano per realizzarlo: batter­
si per la giustizia sociale o insegnare ai disa­
bili, scrivere poesie o praticare la medicina
alternativa, far parte di qualcosa di più
grande che non fosse una multinazionale,
vivere non solo per i soldi. Ma tutto questo è
diventato sempre più diicile man mano
che gli aitti aumentavano e il prezzo delle
case saliva alle stelle. I vecchi residenti han­
no cominciato ad avere paura di perdere
cose che i nuovi arrivati non vedevano ne­
anche. La cultura high tech sembrava, da
Schif ha ricaricato
l’arma e ha ripreso
a sparare: 23 proiettili
in tutto
vari punti di vista, una cultura di alienazio­
ne e isolamento. Ed era molto bianca, molto
maschile e piuttosto giovane. Nel 2004 i
dipendenti di Google nella Silicon valley
erano per il 2 per cento neri, per il 3 per cen­
to ispanici e per il 70 per cento maschi.
Le aziende tecnologiche hanno creato
miliardari che con la loro inluenza hanno
distorto la politica locale, favorendo politi­
che utili alla nuova industria e ai suoi dipen­
denti, a spese del resto della po­
polazione. Neanche una piccola
parte dei soldi che si sono rove­
sciati sulla città è stata usata per
tenere in vita il centro per i giova­
ni senzatetto, chiuso nel 2013, o la
più antica libreria afroamericana del paese,
chiusa nel 2014, o l’ultimo bar per lesbiche
di San Francisco, che ha cessato l’attività
nel 2015, o l’African orthodox church of st
John Coltrane, che rischia lo sfratto dalla
casa in cui ha traslocato dopo un preceden­
te sfratto nel periodo del boom delle azien­
de online, a ine anni novanta. Così è esplo­
so uno scontro tra culture.
Alle 19.12 del 21 marzo l’operatrice del
911 che aveva parlato con Fritz ha trasmes­
so via radio una richiesta d’intervento. Il
tenente Jason Sawyer e l’agente Richard
Schif, in servizio da meno di tre mesi, han­
no risposto alla chiamata e si sono diretti
verso il parco di Bernal Hill. Prima hanno
cercato di entrarci in auto dal lato sud, poi
hanno fatto marcia indietro e sono entrati
dal lato nord. Girando intorno alla barriera
che impedisce l’accesso ai veicoli hanno
imboccato una strada in salita di solito a
quell’ora afollata di persone che corrono,
passeggiano o portano a spasso il cane.
L’auto andava veloce, ma senza luce lam­
peggiante o sirena: dopotutto non era
un’emergenza. Stando alla conversazione
tra l’operatrice del 911 e Fritz, alle 19.17 e 40
secondi Alejandro Nieto stava scendendo
lungo il ianco della collina ed era appena
sbucato da dietro una curva. Alle 19.18 e 8
secondi un altro poliziotto che si trovava nel
parco, ma non sulla scena, ha comunicato
via radio: “Vedo un tizio con una camicia
rossa che viene verso di voi”. In tribunale
Schif ha testimoniato: “Il rosso poteva in­
dicare l’appartenenza a una gang. È il colore
dei Norteños”.
Schif ha testimoniato di aver gridato da
circa trenta metri “alza le mani!”, e che Nie­
to gli ha risposto: “No, alzale tu!”. Poi il ra­
gazzo avrebbe estratto il taser e, impugnan­
dolo con entrambe le mani, lo avrebbe pun­
tato contro i poliziotti. Gli agenti sostengo­
no di aver scambiato la luce rossa del taser
per il mirino laser di una pistola, e di avere
temuto per la loro vita. Così, alle 19.18 e 43
secondi Schif e Sawyer hanno aperto il fuo­
co contro Nieto, crivellandolo di proiettili
calibro quaranta.
Alle 19.18 e 55 secondi Schif ha gridato
“rosso”, una parola in codice che signiica
“munizioni”. Aveva sparato un intero cari­
catore contro Nieto. Ha ricaricato l’arma e
ha ricominciato a sparare: 23 proiettili in
tutto. Anche Sawyer, intanto, sparava
all’impazzata: venti proiettili.
Nessuno dei due doveva avere
una grande mira se Fritz, che nel
frattempo si era rifugiato in un
boschetto di eucalipti sotto il li­
vello della strada, urlava al telefo­
no con il 911: “Aiuto! Aiuto! I poliziotti spa­
rano agli alberi, stanno sfasciando tutto!
Sparano verso di me”.
Sawyer ha riferito: “Quando mi sono re­
so conto che non aveva avuto alcuna reazio­
ne ai nostri spari, ho alzato il tiro e mirato
alla testa”. Nieto è stato colpito poco sopra
il labbro da un proiettile che gli ha frantu­
mato la mascella e i denti superiori, mentre
un altro proiettile gli perforava entrambe le
ossa della gamba destra, sotto il ginocchio.
Anche se gli agenti hanno testimoniato che
Nieto è rimasto sempre rivolto verso di loro,
quell’ultimo proiettile gli è entrato nel pol­
paccio da un lato, come se Nieto fosse gira­
to. È improbabile che una persona potesse
restare in piedi con una gamba ferita in quel
modo. A quel punto è arrivata un’altra auto
della polizia con a bordo gli agenti Roger
Morse e Nate Chew, che sono subito scesi
con le pistole in pugno. Non c’era nessun
piano concordato, nessuna comunicazione
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Stati Uniti
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Da sapere
Case impopolari
Reddito necessario per comprare una casa di
prezzo medio, in dollari
Fonte: California association of realtors
254.000
96.640
Fr
an
ci
sc
Sa
n
ia
ifo
rn
al
C
o
44.500
U
ni
ti
Al funerale di Nieto, il 1 aprile del 2014, la
piccola chiesa di Bernal Heights dove sua
madre lo portava da piccolo era strapiena.
Ci sono andata con la mia amica Adriana
Camarena, un’avvocata originaria di Città
del Messico che vive a Mission, il quartiere
a nord del parco di Bernal. Lei aveva cono­
sciuto Alejandro, anche se di sfuggita, io no.
Ci siamo sedute vicino a un gruppetto di tre
donne afroamericane che hanno perso i lo­
ro igli in scontri a fuoco con la polizia e par­
tecipano regolarmente ai funerali di altre
vittime di incidenti simili. Dopo la morte di
Nieto, Adriana si era molto avvicinata a Re­
fugio e a Elvira Nieto. Il iglio era sempre
stato il loro tramite con il mondo anglofono,
e Adriana si era immedesimata nel loro do­
lore e voleva aiutarli. Con il passare del
tempo è diventata la loro interprete, paladi­
na, avvocata e amica. Benjamin Bac Sierra,
un ex marine che tiene un corso di scrittura
al community college di San Francisco ed
era amico e mentore di Alejandro, è diven­
tato l’altro portavoce di una piccola associa­
at
i
Forza dirompente
zione chiamata Giustizia per Alex Nieto.
La primavera in cui è morto Nieto, co­
minciavo a rendermi conto che quello che
stava facendo a pezzi la mia città non era
solo il conlitto tra i vecchi residenti poveri
e i nuovi arrivati ricchi, a cui i proprietari di
case, gli agenti immobiliari, gli speculatori
e i costruttori cercavano di fare posto but­
tando fuori tutti gli altri. Era un conlitto tra
due diverse visioni della vita. Quella che
percepivo intorno a me al funerale era la
grande forza vitale di una vera comunità:
gente che viveva il quartiere come la trama
di un tessuto fatto di ricordi, riti, abitudini,
afetti e amore, uno di quei posti dove quel­
lo che conta non sono i soldi o il
fatto di essere proprietari di una
casa ma le relazioni tra le perso­
ne. Seduto dietro a me e Adriana
c’era Oscar Salinas, un omone
nato e cresciuto a Mission. Sali­
nas ci ha detto che quando capita una cosa
brutta a qualcuno della comunità, tutto il
quartiere si mobilita. “Ci prendiamo cura
gli uni degli altri”. Per lui Mission sono le
persone che condividono l’identità ispani­
ca, che credono in certi valori e s’impegna­
no a sostenersi a vicenda. E tutto è tenuto
insieme da un luogo concreto.
Il senso di comunità a cui le persone pre­
senti a quel funerale si aggrappavano era
fondato su cose che il denaro non può com­
prare: l’idea, per esempio, che la propria
casa non sia composta solo dalle quattro
mura comprate o prese in aitto ma dall’in­
tero quartiere, con tutti i suoi abitanti. E
non è così solo per le comunità ispaniche:
tutti gli abitanti di San Francisco – bianchi,
neri, asiatici e nativi americani – avevano
rapporti di lunga data con persone, tradi­
zioni, istituzioni e luoghi particolari. Una
St
tra loro, nessuna strategia per contenere o
catturare vivo il sospetto nel caso si fosse
rivelato una minaccia, né per evitare un
conlitto potenzialmente pericoloso in un
parco così afollato a quell’ora del giorno.
Morse ha testimoniato in aula: “Appena so­
no arrivato, ho visto quello che mi è sem­
brato il lampo di uno sparo. Gli ho puntato
contro la pistola e ho aperto il fuoco”. I taser
non producono niente di simile al lampo di
uno sparo. Chew ha testimoniato che Nieto
era già a terra quando è arrivato con il suo
collega: ha sparato cinque colpi all’uomo a
terra e ha detto alla corte di essersi fermato
solo quando ha visto “la testa del sospetto
cadere sul marciapiede”.
Mentre era a terra, Nieto è stato colpito
da molti altri proiettili. In tutto almeno 14,
secondo l’autopsia del medico legale. Uno è
entrato dalla tempia sinistra e gli ha attra­
versato la testa in direzione del collo. Molti
lo hanno colpito alla schiena, al petto e alle
spalle e un altro gli si è coniccato nella par­
te bassa della schiena, recidendo il midollo
spinale. Gli agenti hanno raggiunto il corpo
di Nieto alle 19.19 e 20 secondi, meno di
due minuti dopo che tutto era cominciato.
Morse è stato il primo ad avvicinarsi. Ha
detto di aver dato un calcio al taser per al­
lontanarlo dalle mani di Nieto, che aveva gli
occhi aperti e rantolava. Schif ha racconta­
to di averlo “ammanettato e rovesciato”.
Poi avrebbe detto: “Sergente, il cuore batte
ancora”. Quando è arrivata l’ambulanza,
Alejandro era già morto.
delle parole preferite di chi lavora nel setto­
re high tech è disruptive, che fa riferimento
alla forza dirompente delle innovazioni tec­
nologiche. Ma per i vecchi residenti di San
Francisco l’unica cosa dirompente è la di­
struzione di comunità, tradizioni e relazio­
ni. Molte delle persone che sono state sfrat­
tate o costrette a trasferirsi a causa dell’au­
mento dei prezzi erano proprio quelle che ci
tenevano uniti: insegnanti, infermieri, edu­
catori, assistenti sociali, carpentieri, mec­
canici e attivisti. Quando veniva sfrattato
un assistente sociale che lavorava con i ra­
gazzi ailiati alle gang, per esempio, quei
ragazzi restavano abbandonati a se stessi.
Quanti fili si potevano tagliare
prima che il tessuto sociale si la­
cerasse?
Due mesi prima del funerale,
il sito di annunci immobiliari on­
line Redin ha condotto un’anali­
si e ha scoperto che l’83 per cento delle case
della California e il 100 per cento di quelle
di San Francisco non erano alla portata di
un insegnante. Cosa succede a un posto
quando i lavoratori che lo tengono in vita
non possono permettersi di viverci? I tra­
sferimenti a causa dei prezzi troppo alti
hanno fatto aumentare il numero delle
morti, soprattutto tra gli anziani. Nei due
anni trascorsi dall’uccisione di Nieto sono
stati registrati molti casi di anziani morti
durante o dopo lo sfratto. La gentriicazio­
ne può uccidere.
Oppure porta nuovi residenti in quartie­
ri abitati da non bianchi, a volte con conse­
guenze tragiche. Qualche tempo fa il gior­
nale locale East Bay Express ha riferito che
a Oakland molti nuovi residenti bianchi ve­
dono “le persone di colore che passeggiano,
girano in auto o vivono nel quartiere” come
“sospetti criminali”. Alcuni usano Next­
door, un social network che mette in con­
tatto le persone di uno stesso quartiere, per
pubblicare commenti che “etichettano i ne­
ri come sospetti anche se solo camminano
per la strada, girano in auto nel quartiere o
bussano a una porta”, ha spiegato il giorna­
le. Anche alcuni residenti di Mission usano
Nextdoor, scrivendo cose del tipo: “Quan­
do vedo più di due o tre ragazzini fermi co­
me soldati all’angolo, chiamo la polizia”. È
chiaro cos’è successo a Nieto: degli uomini
bianchi hanno pensato che fosse pericolo­
so, ed è morto per questo.
Il 1 marzo 2016, il giorno in cui è comin­
ciato il processo, centinaia di studenti delle
scuole pubbliche di San Francisco sono
usciti dalle aule per chiedere giustizia per
Nieto. Di fronte al tribunale si è svolta una
grande manifestazione, con percussionisti,
THE GuARdIAN
Benjamin Bac Sierra (a destra), un amico di Alejandro Nieto, marzo 2016
danzatori in costumi piumati, persone con
cartelli e una troupe televisiva che ha intervistato Benjamin Bac Sierra, l’amico di Nieto. Il volto di Nieto – sui manifesti, sugli striscioni, sulle magliette, sui murales – è diventato un’immagine familiare nel quartiere. Sono stati realizzati dei video sul caso e
sono state organizzate manifestazioni e
commemorazioni. Per alcuni Nieto è il simbolo della brutalità della polizia e rappresenta i membri della comunità ispanica che
si sentono minacciati dalla gentriicazione,
dall’ondata di sfratti e da chi li considera
degli intrusi pericolosi nel loro stesso quartiere. Molte persone che hanno a cuore la
situazione della famiglia di Nieto sono venute ogni giorno in tribunale per seguire il
processo, e di solito l’aula era quasi piena.
Problemi di memoria
I processi sono anche teatro, e quello sulla
morte di Nieto ha avuto i suoi drammi.
Adante Pointer, un avvocato afroamericano che ha seguito molti casi di omicidi commessi dalla polizia, è stato il legale di Refugio ed Elvira Nieto. Il loro principale testimone, Antonio Theodore, si era fatto avanti alcuni mesi dopo la morte di Nieto. Theodore è un musicista originario di Trinidad,
che suona nella band Afrolicious e abita
nella zona di Bernal park. Elegante, con i
dreadlock ben curati lunghi ino alle spalle,
in aula Theodore ha dichiarato che al momento della sparatoria stava percorrendo
un sentiero sopra la strada, con il suo cane,
e che da lì aveva assistito alla scena. Ha testimoniato che Nieto teneva le mani in tasca, che non aveva puntato il taser contro gli
agenti, che non c’era stato nessun lampo di
luce rossa: gli agenti avevano solo gridato
“fermo”, e poi avevano aperto il fuoco.
Quando Pointer gli ha chiesto perché
non si fosse fatto avanti prima, ha risposto:
“Mi stia a sentire: non era facile dire a un
poliziotto che avevo appena visto altri poliziotti sparare a qualcuno. Non mi fidavo
della polizia”. Interrogato da Pointer, Theodore ha reso una testimonianza convincente. Ma la mattina dopo, quando è stato
interrogato dall’avvocato della procura
Margaret Baumgartner, una donna imponente con un piglio aggressivo, è crollato.
Ha contraddetto la sua testimonianza precedente riguardo al posto in cui si trovava al
momento della sparatoria, poi ha dichiarato di essere un alcolista con problemi di memoria. Sembrava che stesse cercando di
sembrare inaidabile per mettersi al sicuro.
Interrogato nuovamente dall’avvocato dei
Nieto, ha dichiarato: “Non m’importa se
sono qui adesso. Mi sento minacciato”.
I particolari sulla dinamica dei fatti sono
stati animatamente discussi in aula, risultando spesso contraddittori, soprattutto
quelli che riguardavano il taser. Nelle loro
deposizioni gli agenti hanno descritto Nieto
come una minaccia sovrumana o perino
inumana, che era rimasto in piedi dopo la
prima raica e poi si era gettato a terra assumendo la “posizione tattica del cecchino”,
il tutto tenendo sempre il taser puntato contro di loro. Gli avvocati della procura di San
Francisco hanno chiamato a deporre un
esperto di taser che inizialmente ha reso
una testimonianza favorevole agli agenti.
Ma quando Pointer gli ha chiesto di esaminare le foto scattate sulla scena del crimine,
l’uomo ha dichiarato che il taser era spento
e che non era facile accenderlo o spegnerlo
accidentalmente. La luce si accende solo
quando anche il taser è acceso. L’agente
Morse aveva testimoniato che quando aveva dato un calcio al taser per allontanarlo
dal corpo di Nieto, non aveva visto né i cavi
né una luce rossa. Ma i cavi del taser sono
visibili nelle fotograie scattate sul posto
dalla polizia.
Tra le prove presentate c’era un frammento di osso trovato nel giubbotto di Nieto. Secondo alcuni, questo dimostrava che
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Stati Uniti
Nieto teneva le mani in tasca, come aveva
detto Theodore. Venerdì 4 marzo il medico
legale Amy Hart ha dichiarato in aula che
non c’erano fotografie del giubbotto dei
49ers, che doveva essere pieno di fori di
proiettile. Il lunedì successivo un perito della procura ha fatto riferimento alle fotograie del giubbotto che la procura gli aveva
fornito. Ai giurati sono state mostrate foto
del berretto di Nieto, con un buco in corrispondenza della tempia, e dei suoi occhiali
da sole a terra accanto a una pozza di sangue. Il medico legale ha testimoniato che le
abrasioni sul volto di Nieto erano compatibili con il fatto che portasse gli occhiali. Prima che fosse esibita questa prova, l’agente
Schif aveva testimoniato sotto giuramento
di aver guardato Nieto negli occhi e di averlo visto aggrottare le sopracciglia. Ma se la
vittima portava berretto e occhiali da sole,
Schif doveva essersi sbagliato.
Chiamata a testimoniare, Elvira Nieto
ha mostrato la sua disperazione. Ma quando Pointer le ha chiesto quali fossero le
emozioni di suo marito, Baumgartner ha
subito urlato “obiezione”, sostenendo che il
racconto della moglie sul dolore del marito
fosse da considerarsi hearsay (sentito dire),
e quindi andasse escluso dal dibattimento.
Il giudice ha respinto l’obiezione. A un certo
punto Justin Fritz ha chiesto scusa ai Nieto
per le conseguenze della sua chiamata al
911: sembrava sconvolto. Refugio Nieto ha
permesso a Fritz di abbracciarlo, sua moglie
no. Più tardi Refugio ha detto ad Adriana
che in quel momento gli erano tornate in
mente alcune parole di Alejandro: “Dobbiamo sforzarci di essere superiori e dare il
meglio di noi anche con le persone con cui
siamo in conlitto”.
Adriana è rimasta seduta vicina ai Nieto
per tutta la durata del processo, traducendo
per loro quando l’interprete del tribunale
non era in servizio. Bac Sierra, in un impeccabile completo giacca e cravatta, era sempre dietro di loro, in una delle prime tre ile
di panche afollate di amici e sostenitori.
Alle udienze hanno partecipato spesso anche lo zio di Alejandro ed Ely Flores, un’altra ragazza ispanica amica di Alejandro e
buddista come lui.
Era un processo civile, quindi per stabilire la colpevolezza non valeva il principio
dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” ma solo quella della preponderanza della prova.
Nessuno rischiava il carcere, ma se fosse
stata riconosciuta la responsabilità della
polizia ci sarebbero state conseguenze professionali per gli agenti e un grosso risarcimento economico per la famiglia. Il processo è stato seguito da molti giornali e tv loca-
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li. Giovedì 10 marzo, dopo un pomeriggio e
una mattina di discussione, gli otto giurati
– cinque bianchi e tre asiatici, una donna e
due uomini – hanno deliberato all’unanimità a favore della polizia, per tutti e tre i capi
d’accusa. In corridoio Flores è scoppiata a
piangere. L’American civil liberties union
della California ha pubblicato una nota sul
verdetto intitolata: “Alejandro Nieto sarebbe ancora vivo se fosse stato bianco?”.
Lettera aperta
Oggi San Francisco è una città crudele e divisa. Un mese prima del processo, il sindaco
Ed Lee ha deciso di ripulire le strade dai
senzatetto per il Super Bowl, la inale del
campionato di football, anche se la partita
si sarebbe giocata nello stadio dei 49ers, a
sessanta chilometri di distanza. Gli attacchi
online contro i senzatetto sono sintomatici
dello scontro culturale in atto. Justin Keller,
fondatore di una startup che non ha avuto
molto successo, ha pubblicato a metà feb-
Il sindaco Ed Lee ha
deciso di ripulire le
strade dai senzatetto
per il Super Bowl
braio una lettera aperta al sindaco: “So che
la gente è frustrata dalla gentriicazione,
ma la realtà è che viviamo in una società di
libero mercato. I lavoratori benestanti hanno il diritto di vivere in questa città. Hanno
studiato, lavorato sodo e si sono guadagnati quello che hanno. Non dovrei preoccuparmi di essere assalito. Non dovrei essere
costretto a vedere il dolore, la fatica e la disperazione dei senzatetto ogni santo giorno, andando e tornando dal lavoro”. E come
Evan Show, che avrebbe voluto sparare ad
Alejandro Nieto dopo il loro primo incontro, anche Keller è stato accontentato in
qualche modo. I senzatetto cacciati da altre
zone hanno cominciato a piantare le tende
sotto un cavalcavia dietro Division street,
una desolata area industriale con poche case ai margini del quartiere di Mission. Poi il
sindaco ha smantellato anche quel rifugio
di emergenza: i funzionari comunali hanno
gettato le tende e gli efetti personali dei
barboni nei cassonetti e li hanno allontanati, lasciandoli senza niente.
Quando il processo si è concluso, un
centinaio di persone si è radunato dentro e
fuori il centro culturale di Mission, a Mission street. Fuori pioveva. La piccola folla
era composta, determinata e delusa, ma
non certo sorpresa. La maggior parte dei
presenti non si aspettava che le autorità riconoscessero quanto fosse sbagliato quello
che era successo a Nieto. E nessuno aveva
bisogno di conferme. Anche se quelle persone erano rattristate o arrabbiate, il verdetto non avrebbe fatto vacillare i loro princìpi e la loro storia. Tolti gli abiti che aveva
indossato in aula per tutto il processo, Bac
Sierra ha tenuto un discorso appassionato,
in maglietta e berretto. Lo stesso ha fatto
Oscar Salinas, che aveva pubblicato su
Facebook queste parole: “Alex, non ti dimenticheremo. Ai tuoi genitori penseremo
noi, la comunità. Come ho sempre detto, la
tacita regola a Mission è che quando qualcuno sta male, ha bisogno di aiuto o muore,
noi ci stringiamo insieme, come una famiglia, e ce ne prendiamo cura”. Hanno preso
la parola i Nieto, con Adriana che traduceva
per chi non capiva lo spagnolo. Poi ha parlato anche Adriana: “Una delle cose che ho
scoperto in questo periodo in cui mi sono
occupata del caso di Alejandro Nieto, è
l’importanza della giustizia riparativa, perché da avvocata so che non potremo liberarci dal dolore e dalla paura di essere esposti agli abusi della polizia inché quelli che ci
danneggiano non saranno chiamati a risponderne”.
Adriana, suo marito (uno storico) e i loro
amici – tra cui un attivista della campagna
contro l’aids e una coreografa – che vivono
in un vecchio ediicio fatiscente vicino al
centro culturale, hanno afrontato la loro
personale battaglia contro gli sfratti l’anno
scorso, e l’hanno vinta. Ma la comunità che
si era riunita quella sera è ancora vulnerabile ed esposta alle forze economiche che stavano facendo a pezzi la città. Molte di quelle
persone potrebbero essere presto costrette
a trasferirsi, altre lo hanno già fatto.
La morte di Alejandro Nieto è la storia di
un giovane crivellato di proiettili, e di una
comunità che si è riunita per ricordarlo. Le
persone di quella comunità hanno ottenuto
qualcosa che va oltre la giustizia. Strada facendo, il caso si è trasformato in una causa
per cui combattere, la solidarietà si è manifestata in un’esplosione artistica di video,
manifesti e cerimonie commemorative,
mentre si andavano formando e raforzando amicizie e alleanze. Adriana Camarena
ha detto alla folla: “La nostra vittoria, come
hanno detto ieri i genitori di Nieto, è che
siamo ancora insieme”. u dic
L’AUTRICE
Rebecca Solnit è una giornalista, scrittrice
e attivista statunitense. Il suo ultimo libro
pubblicato in Italia è Un paradiso all’inferno
(Fandango 2009).
Howie e Laurel Borowick
durante una seduta congiunta
di chemioterapia a Greenwich,
nel Connecticut, il 30 gennaio 2013
Portfolio
Vivere
e morire
Nancy Borowick ha documentato
gli ultimi mesi di vita dei suoi genitori,
malati di cancro. Gli scatti fanno parte
della mostra World press photo 2016,
che si apre il 29 aprile a Roma
Portfolio
Howie e Laurel si abbracciano nella camera da letto della loro casa a New York, l’8 marzo 2013
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Portfolio
possibile capire e apprezzare la vita solo se facciamo i
conti con il fatto che siamo
mortali. Nessuno ama parlare della morte, ma è una
delle poche certezze della
vita, ed è stata proprio la consapevolezza che il
tempo a nostra disposizione non è eterno a permettere alla mia famiglia di vivere appieno i pochi mesi che potevamo ancora passare insieme”,
aferma la fotografa Nancy Borowick.
Nancy ha cominciato a fotografare la madre
Laurel nel 2009, quando ha avuto una ricaduta
del cancro al seno che l’aveva colpita per la prima volta a 42 anni. Nel dicembre del 2012 il padre Howie si è ammalato di cancro al pancreas,
e Nancy ha cominciato a fotografare anche lui.
Howie e Laurel conoscevano già la malattia. Lui
aveva perso il padre per un cancro al cervello
quando era ancora neonato e la madre per un
cancro al seno quando aveva 15 anni. Lei aveva
“è
perso il padre per un cancro al pancreas quando
andava all’università. “Fotografare i miei genitori era un modo per passare più tempo possibile
con loro. Ma soprattutto volevo documentare la
forza del loro amore davanti alla morte. Volevo
onorarne la memoria mostrando la loro forza, la
capacità di continuare a vivere ino alla ine, come individui e come coppia”.
Howie è morto il 7 dicembre 2013. Da quel
momento si sono aggravate le condizioni di Laurel, rimasta sola dopo 34 anni di matrimonio. Lei
è morta il 6 dicembre 2014, un anno meno un
giorno dopo il marito. “I miei genitori hanno
passato i loro ultimi mesi creando nuovi ricordi
invece di farsi schiacciare dalla malattia. E mi
hanno fatto un ultimo, grande regalo: mi hanno
permesso di raccontare la loro storia, una storia
d’amore, di vita e di morte”. u
Nancy Borowick è una fotografa statunitense
nata nel 1985.
Nella foto grande: Laurel con una parrucca nella
cucina di casa a New York, febbraio 2013. Qui sopra, a
sinistra: Howie e Laurel parlano al telefono con il loro
oncologo nel bagno di casa, l’8 marzo 2013. A sinistra:
Laurel, rimasta vedova, attaccata alla macchina
dell’ossigeno dopo aver interrotto le cure, New York,
26 novembre 2014. Morirà pochi giorni dopo. A
destra: i ricordi di Howie e Laurel dopo la loro morte,
New York, 8 febbraio 2015.
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Da sapere
Il premio e la mostra
u A life in death di Nancy Borowick ha vinto il secondo
premio al World press photo 2016, il più importante premio
fotogiornalistico del mondo, nella categoria Progetti a lungo
termine. I suoi scatti fanno parte della mostra World press
photo 2016, che si apre il 29 aprile al Museo di Roma in
Trastevere, a cura di 10b photography, e si concluderà il 29
maggio 2016. Ci saranno gli scatti dei 42 fotograi premiati
nell’edizione di quest’anno, provenienti da 21 paesi. Il
progetto di Nancy Borowick diventerà anche un libro.
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Ritratti
Emmanuel
Macron
Il male minore
Kim Willsher, The Guardian, Regno Unito. Foto di Ed Alcock
Il ministro dell’economia
francese vuole candidarsi alla
presidenza nel 2017.
Nonostante il suo passato
da banchiere e le sue posizioni
liberiste, la sinistra potrebbe
non avere altra scelta
S
e pochi anni fa un sondaggista
avesse fermato dei francesi a
caso per strada chiedendogli
“chi è Emmanuel Macron?”,
la maggior parte, per non dire
tutti, avrebbe risposto con
un’alzata di spalle e un “je ne sais pas”. Oggi
molti prevedono che questo ex banchiere
diventato ministro possa essere eletto presidente della Repubblica francese, forse già
l’anno prossimo.
“Folgorante” è un aggettivo che non
rende neanche lontanamente l’idea
dell’ascesa politica di Macron. Nessuno
alza più le spalle quando lo sente nominare. Esiste perino una legge che porta il suo
nome, la loi Macron, che dovrebbe spingere il governo ad adottare politiche più favorevoli alle aziende. Può darsi che i francesi
non siano d’accordo con lui, che gli gridino
contro e lo insultino, ma sicuramente sanno chi è.
Lo splendore di questo astro nascente è
ancor più impressionante se si pensa che
ha solo 38 anni, in un paese che preferisce
leader con una lunga esperienza politica.
Come se non bastasse, Macron non è mai
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stato candidato a un’elezione – locale, nazionale o internazionale – né tantomeno
eletto.
Altrettanto sorprendente è il fatto che
non appartenga a nessun partito politico,
neppure al Partito socialista (Ps) che guida
il governo di cui è ministro. Fino a poche
settimane fa, quando ha creato il movimento politico En marche!, Macron non
aveva nessuna bandiera o struttura per sostenere la sua ascesa al potere. Oggi invece
è considerato un serio candidato nel caso
(ed è ancora una grossa incognita) che
l’impopolare presidente François Hollande dovesse decidere di non ricandidarsi
alle elezioni del 2017, non essendo riuscito
a mantenere la promessa di ridurre la disoccupazione.
Si può ragionevolmente dire che, in circostanze diverse, per Macron puntare alla
presidenza in questa fase della sua carriera
sarebbe stato un suicidio politico. Un inanziere che è stato direttore aggiunto della banca Rothschild & Cie, convinto sostenitore del libero mercato, non avrebbe mai
potuto farsi troppi amici nell’inquieta sini-
Biograia
◆ 1977 Nasce ad Amiens, in Francia.
◆ 2004 Lavora al ministero dell’economia.
◆ 2006 Viene assunto dalla banca
d’investimento Rothschild & Cie.
◆ 2009 Lascia il Partito socialista
◆ 2012 Entra nello staf di Hollande.
◆ 2014 Diventa ministro dell’economia.
◆ 2016 Fonda il movimento En marche!
stra francese. Quando ha messo in discussione le 35 ore di lavoro settimanale, simbolo del socialismo francese moderno,
quando ha criticato le limitazioni all’apertura domenicale dei negozi e quando ha
spinto i giovani a “desiderare di diventare
miliardari” è stato accusato di essere un
lupo di destra travestito da socialista.
L’incudine e il martello
Durante la campagna elettorale del 2012
Hollande aveva detto “il mio vero nemico è
il mondo della inanza”, ma intanto si era
già preoccupato di mandare a Londra Macron, allora uno dei suoi consiglieri, per rassicurare il mondo degli affari della City.
Quando Hollande è stato eletto, nel maggio
di quell’anno, Macron è diventato il suo vice
capo di gabinetto all’Eliseo, e nel 2014 è stato scelto per sostituire al ministero dell’economia Arnaud Montebourg, una delle mine
vaganti della sinistra socialista. Pare che
durante il colloquio con Hollande, Macron
abbia insistito per avere un chiaro mandato
a scuotere l’economia francese. “Il suo
compito sarà riformare”, gli avrebbe risposto Hollande. Macron ha accettato l’incarico. Oggi, a dodici mesi dalle elezioni e con
Hollande che continua a battere record
d’impopolarità, i socialisti francesi sono tra
l’incudine e il martello.
Se Hollande dovesse tirarsi indietro, la
sinistra del partito preferirebbe Macron
all’altro possibile candidato, l’ambizioso
primo ministro Manuel Valls, considerato
ancor più di destra. Dato che il candidato
del Ps dovrà vedersela con il candidato che
sto ancorato alla sinistra ed è destinato a
una grande carriera politica”.
Nel 2015, durante il programma televisivo Des paroles et des actes, Macron ha dato
prova della sua rinomata agilità intellettuale affrontando quasi tre ore di domande
serrate di giornalisti e avversari politici. Nel
corso della trasmissione ha risposto, discusso e parlato, a volte appassionatamente, a volte in maniera tecnica, ma senza mai
perdere l’autocontrollo, nonostante le provocazioni. “Adora discutere”, ha dichiarato
un suo amico a Paris Match.
MyoP/LuzPHoTo
Kennedy e Blair
dev’essere ancora scelto dal centrodestra
e con Marine Le Pen del Front national, la
scelta per i socialisti puri e duri è tra prendere o lasciare. Il problema è che la maggioranza dei socialisti è contraria alla riforma del lavoro e alle misure economiche liberiste proposte da Macron. Il ministro ha
l’aria di un capitalista globalizzato, frequenta i capitalisti, a volta parla perino
come un capitalista, e i socialisti non si idano di lui.
Macron, nato ad Amiens, nel nord della
Francia, da un professore di neurologia e
una dottoressa, è il più anziano di tre fratelli, e sostiene d’essere nato in un ambiente di
sinistra: “I miei erano di sinistra, mia nonna
era di sinistra. Tutte queste cose contribuiscono a creare certe convinzioni”. Studente
brillante, ha conseguito la maturità con il
massimo dei voti e ovviamente è finito
all’Ecole nationale d’administration (Ena),
l’incubatrice della classe dirigente del paese, dove è stato tra i migliori cinque allievi
del suo anno. È anche un pianista provetto,
pratica la boxe francese ed è un tifoso di calcio. Quando studiava filosofia ha scritto
una dissertazione su Machiavelli, Hegel e il
concetto di “bene comune”. La moglie di
Macron, Brigitte Trogneux, ha vent’anni
più di lui, è stata sua insegnante di francese
al liceo privato che lui frequentava ad
Amiens e dirigeva la compagnia teatrale in
cui recitava. I due si sono sposati nel 2007.
L’economista Jacques Attali, amico di
molti ex presidenti come François Mitterrand, Nicolas Sarkozy e Hollande, sostiene
che Macron ha sicuramente la stofa per fare il presidente: “Emmanuel è un giovane
brillante. Senza dubbio ha il talento per
candidarsi alla presidenza. È sempre rima-
Ai detrattori che lo etichettano come banchiere, Macron risponde che ha lasciato un
ricco impiego nel settore bancario e accettato uno stipendio molto più basso pur di
lavorare all’Eliseo. Sostiene di non aver mai
pianificato di “andare all’Ena, diventare
banchiere e darsi alla politica”, ma di aver
“colto le opportunità man mano che si presentavano”.
Quando ha lanciato il suo movimento
En marche! (“In marcia!” ma anche “In
funzione”) descrivendolo come una piattaforma che “non è né di destra né di sinistra”
ma aperta a tutti – un’idea che Valls ha deinito “assurda” – Macron si è attirato una
nuova serie di attacchi personali. Ma questo
non lo ha scoraggiato: “Il mio obiettivo non
è essere popolare, a meno che non serva a
fare le cose e a farmi capire. È questo che
conta”, ha dichiarato.
Secondo Le Monde Macron “sta provocando l’ironia della sinistra e la curiosità
della destra”, mentre il conservatore Le Figaro si è chiesto: “Macron è l’ultimo jolly in
mano a Hollande? È lui l’unico in grado di
creare un improbabile legame tra il libero
mercato che sta a cuore ai capi d’azienda e i
nobili valori sociali della sinistra ugualitaria? Macron sa che la Francia non sopporterà altre chiacchiere, perché sta sofocando
sotto il peso della burocrazia”.
Il quotidiano di sinistra Libération è stato decisamente meno benevolo. “Il problema di Macron è che tutta la Parigi che conta
gli ha detto che sarà il nuovo Kennedy, e lui
ha inito per crederci”, ha dichiarato al giornale un parlamentare socialista.
Come Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard
Schröder con la loro “terza via”, almeno
per ora Macron potrebbe sembrare il male
minore per la sinistra. Questo può suonare
familiare agli elettori britannici, e lo è. Con
due decenni di ritardo, Macron somiglia
sempre di più a una versione francese del
New labour. E sappiamo com’è andata a
inire. u f
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Viaggi
Un puntino
nell’oceano
L’arcipelago delle Samoa
è isolato in mezzo al Paciico.
La sua posizione geograica
aiuta a preservare la
vegetazione e le spiagge
A
ll’imbarco del traghetto
che va da Upolu a Savaii,
un signore anziano è appoggiato a una panchina
accanto alla versione samoana di una bettola.
Incrocia il mio sguardo, solleva una noce di
cocco tagliata a metà, sorride e mi fa un
cenno. Non sto andando di corsa – anche
perché Samoa non è certo il posto dove farsi prendere dalla fretta –, perciò mi avvicino per capire cosa vuole. Il mio nuovo amico intinge un guscio di noce di cocco in una
ciotola di plastica azzurra che contiene un
liquido non proprio invitante. Mi passa la
noce di cocco e, alzando il sopracciglio, dice: “Ava”. Bevo il liquido opaco, amaro e
granuloso, e gli restituisco il guscio vuoto.
Riempie di nuovo il guscio, beve e sorridendo passa il guscio a un altro amico assetato. Purtroppo tocca di nuovo a me. A
questo punto ho le labbra e la lingua anestetizzate, e in testa la tipica sensazione
che accompagna la prima sigaretta dopo
aver provato, senza successo, a smettere di
fumare. Sorrido anch’io. Bere l’ava, un
brodo di radici di kava essiccate (una pianta del Paciico occidentale), è una forma di
benvenuto. Intanto un maiale si aggira
trotterellando nella zona dell’imbarco. Benarrivati a Samoa.
Sparpagliate al largo del Paciico meridionale, le isole Samoa sono un posto che
bisogna assolutamente visitare. Anche se
diicilmente questo arcipelago polinesiano entrerà nella lista delle destinazioni più
gettonate per un weekend lungo. Si trova a
sei ore di aereo da Sydney e a quattro da
Auckland, tra la Nuova Zelanda e le Hawaii. Anche le isole vicine, le Samoa ame-
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
ricane, avamposto degli interessi coloniali
statunitensi, si tengono a distanza con regole molto rigide sulla concessione dei visti, oltre che con 45 minuti di volo e relativo
cambio di data.
I disastri provocati dallo tsunami del
2009 hanno avvicinato questo idillio dei
mari del sud e il mondo che sta oltre la barriera corallina. Poi nel dicembre del 2011 c’è
stato un ulteriore avvicinamento: il paese
ha varcato la linea del cambio di data a ovest
per avere la stessa settimana lavorativa della Nuova Zelanda e dell’Australia. A gennaio del 2015 è arrivata la prima catena internazionale di alberghi, con uno Sheraton (la
catena alberghiera sta ristrutturando anche
l’Aggie grey’s hotel, fondato nel 1933 e frequentato in passato da vari attori, tra cui
Marlon Brando). Infine il 5 aprile di
quest’anno sono partiti i lavori per la posa di
un cavo sottomarino lungo 1.300 chilometri, che per la prima volta metterà a disposizione delle nuove generazioni samoane
una connessione internet ad alta velocità.
Comunque sull’isola di Savaii, nel poco
attraente villaggio di Satoalepai, le novità
arrivano con il contagocce. Soseina Sue,
28 anni, organizza nuotate con le tartarughe. “Compriamo le tartarughe dai pescatori che le catturano con le reti per sbaglio”,
dice. Guardo in direzione di una laguna
dove le tartarughe verdi si litigano fette di
papaya. L’acqua è torbida. Nessuno fa il bagno. “Avete mai pensato all’allevamento in
cattività?”, chiedo. “La tartarughe non si
riproducono perché non c’è sabbia”, dice
Soseina. “Ne liberiamo due o tre quando
sono pronte a deporre le uova”. “Che cosa
fareste tu e i tuoi fratelli se non ci fossero le
tartarughe?”, chiedo. “I samoani sono poveri”, risponde senza giri di parole. “Solo
quando vai all’estero e metti da parte un
po’ di soldi puoi pensare di fare qualcosa.
Forse andremo tutti a lavorare per i cinesi
che qui aprono delle aziende. Non lo sopporto”, dice infervorandosi, “questa è la
nostra terra”.
L’economia delle isole dipende
MICHAeL ByRNe (Getty IMAGeS)
Nick Redmayne, The Independent, Regno Unito
dall’agricoltura, dal turismo e dagli aiuti di
paesi terzi, ma anche dalle rimesse della
grande diaspora samoana, con alcuni emigrati che alla ine tornano a casa.
A Lefaga, sulla costa meridionale di
Upolu, l’isola principale dell’arcipelago, il
resort Return to paradise prende il nome
dall’omonimo ilm del 1953 con Gary Cooper e Roberta Haynes (in Italia uscì con il
titolo Samoa), girato su questa magniica
spiaggia. Qui, dietro le palme, c’è una baia
incredibile con la sabbia dorata, interrotta
da un promontorio. Le onde color acquamarina si infrangono rumorosamente sulle
rocce in un trionfo di spruzzi. Inspiro profondamente e i miei polmoni si riempiono
dell’essenza del Paciico meridionale . È
facile essere cinici e dire “una spiaggia è
una spiaggia”, ma se bisogna scegliere un
tratto di costa per cui vale la pena di attraversare mezzo mondo, Lefaga è una seria
candidata.
Dopo anni in Nuova Zelanda, Ramona
Su’a Pale Gilchrist è tornata a casa. Parlo
con lei mentre facciamo colazione, poco
Samoa, maggio 2012. Il To sua, una piscina naturale sull’isola di Upolu
Informazioni
pratiche
u Arrivare Il prezzo di un volo dall’Italia per
Apia, la capitale dell’arcipelago delle Samoa,
parte da 1.760 euro a/r (Air New Zealand,
Singapore Airlines, Vueling).
u Clima La temperatura varia poco e la media
annuale è di 26 gradi. La stagione secca va da
giugno a settembre, quella umida da ottobre a
maggio, con picchi di pioggia a dicembre.
u I lettori consigliano A Saleapaga, isola di
Upolu, il Manusina beach fales ofre alloggi in
case tradizionali (su una spiaggia bianca) a
partire da 60 samoan tala (22 euro) a notte per
persona (manusinabeachfales.ws). E da
leggere: Ambrogio Borsani, Stranieri a Samoa,
Neri Pozza 2006, 14,50 euro.
u La prossima settimana Viaggio nell’Iran
meridionale. Avete suggerimenti su tarife,
posti dove dormire, libri? Scrivete a
[email protected].
dopo che un’anziana Roberta Haynes è venuta a vedere di persona il resort appena
aperto.“Questa terra non è nostra. Noi siamo i guardiani”, dice. La terra è un tema ricorrente in queste minuscole isole fertili in
mezzo all’oceano. Raz, il iglio di Ramona,
racconta: “Mio nonno si trasferì in Nuova
Zelanda con la famiglia per cercare un futuro migliore. E mia madre si era ripromessa
di portare la famiglia nelle Samoa”.
Accendere il fuoco
Nello stretto di Apolima, tra Upolu e Savaii,
c’è la piccola isola di Manono, che ha 1.200
abitanti, sette chiese, ma nessuna strada o
auto. L’elettricità è arrivata da poco. All’ombra di un fale, la caratteristica costruzione
dal tetto di paglia, Loaka, 82 anni, sta tessendo alcuni tappeti tradizionali. “Cos’ha
visto cambiare di più nel corso della sua vita?”, le chiedo. Smette di cucire ibre di palma e dice: “Non molto, solo l’atteggiamento degli adolescenti”.
Proseguo verso il villaggio, attraversando piante di papaya, alberi carichi di arance
e frecce blu che indicano la via di fuga in
caso di tsunami. Soggiorno al Sunset view
fales, una serie di semplici bungalow sulla
spiaggia in mezzo alla vegetazione esotica,
su una collina afacciata su una piccola baia. Lì incontro Apa Lagaali: “Vengo da Upolu”, dice spaccando con nonchalance una
noce di cocco.
Apa ci mostra come staccare la polpa da
una noce di cocco, come spremere la pasta
di cocco attraverso le ibre del guscio e come fare involtini di foglie di taro pronte per
essere cotte sulle pietre bollenti del forno
umu scavato nel terreno. “Usiamo tutte le
parti della noce di cocco, e questi”, indica
gli scarti, “se li mangiano i maiali e i polli”.
Sfoggiando una destrezza che viene da
anni di pratica, in pochi secondi Apa fa un
piatto con le fronde di una palma. “Fare dei
cestini o dei piatti…”, dice. “I ragazzini non
lo sanno fare. Usano i vostri piatti di plastica pelagi (stranieri)”. Dopo il pasto tira fuori un legnetto rudimentale e in un attimo
scalda un tizzone e si accende una sigaretta. Ci voglio provare anch’io: mi accovaccio
e stroino furiosamente i legnetti. Sudo, mi
gira la testa, produco uno sbufo di fumo e
questo è tutto.
La società samoana, con la sua struttura
e i suoi limiti deiniti dalle tradizioni della
fa’a Samoa (la via samoana) è stata preservata in un’atmosfera immobile di splendido
isolamento. Lo scrittore scozzese Robert
Louis Stevenson passò i suoi ultimi anni
nelle Samoa, deinendole il luogo in cui “ho
trovato la vita più piacevole e gli uomini più
interessanti”. Osservò anche, però, che
“cambiare le abitudini è più sanguinoso di
un bombardamento”.
Il lusso di stare lontani e rimanere sempre gli stessi ormai non esiste più. Il fatto
che i 180mila abitanti delle isole guardino
alla Nuova Zelanda, un paese di 4,5 milioni
di persone, come al loro principale partner
economico la dice lunga sul delicato equilibrio economico delle Samoa. Seguire la
corrente dello sviluppo non è un compito
facile e le indicazioni non sono afatto chiare, a diferenza della segnaletica da seguire
in caso di tsunami. u fas
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Graphic journalism Cartoline da Milano
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Andrea Ferraris è un autore di fumetti, illustratore e scenografo nato a Genova nel 1966. Vive a Parigi.
Il suo ultimo libro è Churubusco (Coconino-Fandango 2015).
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Cultura
MICHAeL OCHs ARCHIves (Getty IMAGes)
Musica
Prince durante una data del Purple rain tour, febbraio 1985
Il genio
sfuggente
Alex Petridis, The Guardian, Regno Unito
Ha saputo trasformare la
musica pop giocando con
regole tutte sue. Prince è morto
a Minneapolis il 21 aprile 2016
S
embra strano dirlo oggi, ma agli
inizi della sua carriera c’era chi
dubitava che Prince Rogers Nelson avrebbe avuto successo.
Aveva indubbiamente un grande talento e delle convinzioni sulla sua musica al limite dell’ostinazione: per il suo album di debutto del 1978, For you, non solo
aveva prodotto, arrangiato e suonato ogni
strumento, ma era pure riuscito a ottenere
dalla Warner Brothers un contratto che gli
garantiva il controllo artistico totale, un privilegio inaudito per un artista emergente.
Ma era anche una igura strana, timida,
80
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
impacciata, apparentemente poco propensa a farsi promozione. Le sue interviste erano deliberatamente laconiche. La prima
apparizione televisiva che fece, nel programma American bandstand, fu un tale
disastro da spingere il presentatore Dick
Clark a dire che Prince era stato l’artista più
diicile che gli era mai capitato di avere in
trasmissione. Come poteva sperare di farcela un musicista così refrattario alle logiche pubblicitarie?
Ma, si sarebbe capito poi, Prince sapeva
esattamente quello che faceva. Il comportamento adottato agli inizi della sua carriera, alla ine degli anni settanta, gli avrebbe
fornito un modello per il resto della vita.
Il suo talento andava ben oltre il merito
di aver suonato ventisette strumenti diversi
in For you. Prince ha realizzato innumerevoli album che abbracciano una miriade di
stili musicali diversi: era in grado di fare tut-
to, dal rock al funk passando per il jazz e la
psichedelia. Alcuni lavori sono migliori di
altri – la sua produzione è stata così straripante che nemmeno lui riusciva a mantenere il pieno controllo sulla qualità – ma
sono sempre inequivocabilmente album di
Prince. Per quarant’anni ha condotto la sua
carriera sulla base di una bizzarra logica interna che lasciava perplessi anche i suoi più
stretti collaboratori.
Interi dischi sono stati inspiegabilmente
accantonati, canzoni con il potenziale di
grandi hit relegate nel vault (la cassaforte),
la leggendaria stanza del suo studio d’incisione di Paisley Park stipata, a quanto pare,
di pezzi mai pubblicati. La sua testardaggine nel trattare con le case discograiche era
tale che ha rischiato quasi di oscurare la sua
musica. Forse un efetto collaterale inevitabile se ti scrivi “schiavo” sulla faccia per
protestare contro i termini del tuo contratto
discograico.
Ma le stranezze e le reticenze che caratterizzarono i suoi primi contatti con i mezzi
d’informazione furono tutto fuorché un
ostacolo. Prince le rigirò interamente a suo
vantaggio con la sua trasformazione in personaggio mitologico e insondabile. Concedeva interviste proverbialmente evasive su
tutto ciò che non riguardava la musica. Perfezionò un sistema di abbreviazioni con cui
scriveva le canzoni (per esempio u al posto
di you ) e a un certo punto decise di fare del
proprio nome un simbolo: per un periodo
FG/BAUER-GRIFFIN (GETTy IMAGES)
Prince con la percussionista Sheila E (a sinistra) e la ballerina Cat (a destra), Rotterdam 1988
volle che ci si riferisse a lui come “Victor”,
poi con l’espressione “L’artista un tempo
noto come Prince”. “Non sono una donna,
non sono un uomo, sono qualcosa che non
capirai mai”, cantava in I would die 4 U, pezzo tratto dall’album che nel 1984 lo rese una
star globale, Purple rain. E il bello è che non
era un’iperbole.
Nei primi album Prince sembra maniacalmente determinato a prendere di mira i
tabù, come se volesse dimostrare ino a che
punto poteva spingersi: una cosa era scrivere pezzi funk dai testi osceni che facevano
trasalire il pubblico radiofonico, un’altra era
arrivare a scrivere canzoni che parlavano
d’incesto, come Sister, dall’album Dirty
mind, del 1980. La sua visione musicale si
andò evolvendo in fretta e si fece sempre
più complessa.
Qualcosa che non capirai mai
Nel 1982, all’epoca dell’album campione
d’incassi 1999, questa visione comprendeva di tutto, dal rockabilly al funk sintetico
che diceva ispirato a Blade runner, ino alle
ballate per pianoforte e ai pezzi spudoratamente pop. Quell’album può anche sembrare il frutto di un’eccessiva indulgenza
verso se stesso o di un lavoro siancante, ma
le canzoni che contiene sono tutte di una
qualità stupefacente.
Negli anni immediatamente successivi
Prince non fece neanche un passo falso,
producendo quella che è forse la più gran-
diosa sequenza di album degli anni ottanta:
Purple rain, Around the world in a day, Parade, Sign o’ the times e Lovesexy. Bilanciava
perfettamente preoccupazioni commerciali e artistiche: ogni album lo portava un po’
più in là e non somigliava mai al precedente, ed era carico di successi memorabili.
Inoltre le sue esibizioni dal vivo erano spettacolari: non era solo un prodigioso chitarrista, ma un performer nato. I suoi show
non conoscevano i limiti del pop da stadio:
le scalette cambiavano continuamente e
c’era sempre spazio per l’improvvisazione.
Lovesexy, del 1988, è stato l’ultimo album
della sua fase aurea. Forse poi Prince fu distratto, prima di tutto dal suo desiderio di
fare ilm (Graiti bridge, del 1990, dimostra
che la sua capacità di dirigere e recitare era
di gran lunga inferiore a quella musicale) e,
in seguito, dall’annosa disputa con la Warner Brothers. I successi continuavano – nel
1994 sfornò il suo unico numero uno nella
classiica del Regno Unito, The most beautiful girl in the world – ma i suoi album diventavano palesemente più squilibrati. Contenevano sempre musica fantastica (perino
il deriso Come, del 1994, custodiva un gioiello come Letitgo), solo che ora dovevi faticare un po’ per scovarla.
Se nei dischi non ritrovò più del tutto la
splendida forma musicale raggiunta tra la
metà e la ine degli anni ottanta, nelle esibizioni dal vivo era ancora imbattibile. I ventuno concerti che fece a Londra nel 2007
furono osannati, e il suo ritorno nella capitale britannica nel 2014 con una nuova
band tutta femminile, le 3rdeyegirl, fu allo
stesso tempo un colpo mediatico da maestro e un enorme successo artistico.
Prince ha mantenuto la sua carriera in
continuo movimento: sempre in tour, sempre con un nuovo album in uscita e immancabilmente con nuove idee per la testa.
L’ultima è stata quella di esibirsi da solo
al pianoforte. “Devo sidarmi di continuo”,
mi disse l’anno scorso, “perché non sono
uno che si lascia criticare facilmente”. Ero
arrivato a Paisley Park, il suo studio fuori
Minneapolis, dove aveva convocato la
stampa con poco preavviso e senza un’apparente ragione. Si diceva che volesse annunciare un estemporaneo tour europeo.
Tutto fu piuttosto confuso. Volle essere intervistato seduto alla tastiera, con i giornalisti letteralmente raccolti ai suoi piedi.
All’inizio non riuscimmo a cavargli fuori un
granché.
Se una domanda non gli piaceva, scuoteva la testa e suonava il motivo di Ai conini
della realtà. Più tardi, quella sera, suonò.
Pescava a caso dalla sua discografia:
Raspberry beret, Girls and boys, Something in
the water (does not compute). Le interpretò
tutte in modo magniico. Come sempre: era
un talento sovrumano e qualcosa di assolutamente inconoscibile – “qualcosa che non
capirai mai”– ma anche un uomo che sapeva esattamente quello che faceva. u nv
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Cultura
Cinema
Dal Giappone
I ilm italiani visti da
un corrispondente straniero.
Questa settimana lo svizzero
Oliver Meiler, corrispondente di Tages-Anzeiger e Süddeutsche Zeitung.
I primi, timidi zombi giapponesi
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In Giappone i ilm dell’orrore
tradizionali hanno a che vedere con dei vendicativi fantasmi
di donne. Gli zombi, nonostante l’ondata hollywoodiana
partita dalla Notte dei morti viventi (1968), non hanno mai
avuto molto seguito. Ci sono
stati dei tentativi recenti, come Z Airando (2015) di Hiroshi
Shinagawa e Gokudo Daisenso
(2015) di Takashi Miike, ma
non sono riusciti a prendere
sul serio il tema dell’apocalisse zombi. I am a hero di Shin-
I am a hero
suke Sato, tratto dal manga
omonimo di Kengo Hanazawa, è il primo ilm che tratta gli
zombi in modo drammatico,
senza usarli solo come veicolo
di facili spaventi o battute. Anzi, fanno talmente paura che il
ilm esce con un divieto ai minori di 15 anni, impensabile
per il riadattamento di un
manga. Ai cultori occidentali I
am a hero potrebbe sembrare
derivativo, ma per gli standard
giapponesi che ofrono una
stilizzazione di azione più che
azione vera, è un ilm terribilmente realistico e poco ironico. Il protagonista, Hideo Suzuki, è l’assistente trentacinquenne di un famoso realizzatore di manga che si ritrova ad
afrontare un’invasione di non
morti. Rispetto ai colleghi statunitensi che sparano all’impazzata, Suzuki si dimostra
stranamente paciista e ci mette molto prima di fare fuori il
suo primo zombi.
The Japan Times
Massa critica
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
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Veloce come il vento
Di Matteo Rovere
Con Stefano Accorsi, Matilda
De Angelis. Italia, 2016, 119’
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“Vacca boia!”, a volte una sola
battuta del ilm ne coglie il ritmo e le sensazioni. Veloce come il vento racconta la storia
vera di una famiglia emiliana
di piloti da corsa. Il padre
muore, la mamma vive in Canada e Giulia, la iglia diciassettenne (la magniica Matilda De Angelis), si deve occupare del fratellino piccolo. Un
giorno riappare il fratello
maggiore, Loris, una vecchia
gloria dello sport ormai tossicodipendente (un non meno
magniico Stefano Accorsi).
Mai lucido, il fratello ingombrante pretende di vivere nella casa di famiglia e comincia
ad allenare la sorella. Non bisogna amare le gare automobilistiche per amare questo
ilm. Nel piccolo cinema romano in cui l’ho visto, trenta
posti, c’erano due gruppi di signore piuttosto entusiaste. Alcune metafore sono un po’ ingombranti, come per esempio
l’anticipo della prossima curva che suona come un consiglio di vita. E il genere ricorda
quei ilm statunitensi un po’
patetici sulle rivincite eroiche
nello sport. Ma questo è un
ilm italiano, ruvido e bello,
veloce come il vento. All’inizio una citazione di Mario Andretti, il pilota italiano naturalizzato statunitense: “Se hai
tutto sotto controllo, signiica
che non stai andando abbastanza veloce”. Vacca boia!
Un thriller cerca di introdurre la paura degli zombi
in una cultura che non li ha
mai temuti per davvero
DR
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Media
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Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
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I consigli
della
redazione
Il libro della giungla
John Favreau
(Stati Uniti, 96’)
In uscita
Sole alto
Di Dalibor Matanić
Con Tihana Lazović, Goran
Marković, Nives Ivanković.
Croazia/Serbia/Slovenia, 2015,
123’
●●●●●
Tre estati per tre decenni diversi (1991, 2001, 2011). Tre
storie d’amore contrastato dalla guerra e dall’odio etnico in
un angolo di paradiso, sulle rive di un lago jugoslavo. In ogni
segmento di questa pellicola
lei è serba e lui è croato, e i due
personaggi sono interpretati
dagli stessi due giovani e incandescenti attori debuttanti:
Tihana Lazović e Goran
Marković. Una bella idea che
dà continuità e unità a queste
tre storie di coppie sfortunate.
Sono tutte appassionanti, ma
si tende a preferire la seconda
storia, in cui Matanić evoca
tensione erotica come un Tennessee Williams dei Balcani.
Jérémie Couston, Télérama
10 Cloverield lane
Di Dan Trachtenberg
Con Mary Elizabeth Winstead,
John Goodman. Stati Uniti,
2016, 105’
●●●●●
Senza rovinare nessuna sorpresa, sappiate che la trovata
che lega 10 Cloverield lane al
riuscitissimo Cloverield del
2008 è la cosa meno interessante del ilm. Questa è una
storia semplice che non ha
niente a che vedere con mostri
o fantascienza, ed è tirata e angosciante abbastanza da fare
da sola il suo sporco lavoro.
Quello che succede nei primi
novanta minuti rende assolutamente irrilevante, e molto
poco spaventoso, qualunque
cosa possa succedere dopo.
Michelle (Mary Elizabeth Winstead), dopo aver perso conoscenza in un incidente d’auto,
si ritrova in un bunker sotterraneo con un complottista di
nome Howard (John Goodman) e con Emmett (John Gallagher Jr.), l’uomo che lo ha
aiutato a costruire il rifugio.
Fuori sembra esserci stata una
catastrofe, non si sa se causata
dai russi o dagli alieni, ma Michelle non sa ino a che punto
può idarsi e l’equilibrio, nel
claustrofobico bunker, si fa
sempre più instabile. Il regista
Dan Tratchemberg fa crescere
la tensione al punto da farci venire voglia di urlare nel cinema. Eccezionali le interpretazioni dei tre protagonisti, soprattutto quella di Mary Elizabeth Winstead che si rivela
una guerriera nata, con riserve
di energia inesauribili. A volte
quello che vedi può essere più
spaventoso di qualunque mostro tu possa immaginare.
Will Leitch, New Republic
Dr
Dr
Sole alto
Truman. Un vero amico
è per sempre
Cesc Gay
(Spagna/Argentina, 108’)
Brooklyn
John Crowley
(Irlanda/Regno Unito
/Canada, 111’)
Cavallo denaro
Di Pedro Costa
Con Tito Furtado, Antonio
Santos, Vitalina Varela.
Portogallo, 2014, 104’
●●●●●
Pedro Costa torna a Fontainhas, la baraccopoli di Lisbona
che ha compatito, dissezionato ed esaltato in quattro ilm
celebratissimi in tutto il mondo. Cavallo denaro è una sorta
di sogno di un purgatorio posturbano, 104 minuti di esplorazioni non narrative di fabbriche abbandonate e tunnel
di cemento. A compierle è un
uomo in pigiama in fuga da un
ospedale ino all’inevitabile
scontro con una spropositata
forza militare. Ciò che accade
non è mai troppo chiaro, importa solo una cosa: Costa ci
immerge in un mondo in disfacimento, nella rabbia e nel
rimpianto, nell’alienazione di
un’esistenza povera e marginale. Il lavoro di Costa ci sida:
vuole che prendiamo seriamente i suoi personaggi poveri
e disperati ma allo stesso tempo vuole farci vedere che esiste
bellezza anche lontano dalle
gallerie d’arte e dai musei. Le
immagini meravigliose di questo ilm confermano che il digitale, nelle mani di un maestro, può sidare la pellicola.
Alan Scherstul,
Village Voice
Ancora in sala
Mistress America
Di Noah Baumbach
Con Greta Gerwig, Lola Kirke,
Matthew Shear. Stati Uniti,
2015, 84’
●●●●●
Un’irresistibile stravaganza
attraversa Mistress America,
l’omaggio di Baumbach alla
più classica commedia anni
ottanta. C’è l’escapismo di
Qualcosa di travolgente di Jonathan Demme e di Fuori orario di Martin Scorsese, ma anche un ricordo delle vecchie
commedie svitate di Hollywood, in cui Claudette Colbert e
Carole Lombard svolazzavano in giro per Manhattan con i
loro dialoghi sempre acuminatissimi, nonostante i vari
martini che ingurgitavano.
Sarebbe inadeguato però ridurre Mistress America a una
pura commedia di maniera,
per quanto brillante. Il ilm è
anche una malinconica rilessione sull’amicizia e un ritratto accurato e misericordioso
del tormento e dell’estasi
di una ragazza che riesce, inalmente, a diventare se stessa. Il segreto per amare Mistress America è lasciarsi andare ai suoi ritmi di commedia
vintage.
Ann Hornaday,
The Washington Post
Cavallo denaro
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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Cultura
Libri
Dal Regno Unito
I libri italiani letti da un
corrispondente straniero.
Questa settimana
Frederika Randall, del setti­
manale statunitense The Na­
tion.
Shakespeare è una star in Messico
Flavia Piccinni
Questo iume è la notte
Fandango, 234 pagine,
16,50 euro
● ● ●●●
Dobbiamo il concetto di orien­
talismo a Edward Said che con
questo termine deiniva i luo­
ghi comuni sul mondo non oc­
cidentale tipici del punto di vi­
sta coloniale. Dunque, quando
in un romanzo italiano incon­
triamo un paese in via di svi­
luppo sporco, miserabile ma
anche misterioso e spirituale,
dobbiamo chiederci se non
c’entri un po’ la favola orienta­
lista. Questo romanzo elo­
quente, ma troppo spesso pro­
vinciale, racconta le diicili
scelte di vita dell’italiana Lea.
La storia si svolge in India, do­
ve la donna è fuggita dopo un
aborto, paralizzata dal rimorso
e dalla depressione. Da Jo­
dhpur ad Agra, ino a Varanasi,
sul iume Gange, Lea barcolla
tra fantasia e nausea davanti
alla miseria altrui. C’è l’India
che “sogna da sempre... il mi­
sticismo, la reincarnazione, il
senso delle cose”, dove gli abi­
tanti “parlottano in un modo
incomprensibile e musicale” e
c’è l’India in cui tassisti, alber­
gatori e bambini sono attenti
alla mancia e parlano bene in­
glese. A volte l’autrice sembra
riconoscere che il punto di vi­
sta di Lea è limitato, che l’In­
dia è più complessa di come la
vede il suo personaggio. Sce­
gliendo di raccontare tutto con
la voce della donna, non ha
strumenti per introdurre un’al­
tra prospettiva. Un alter ego
indiano? Perché no?
84
Un sondaggio del British
council svela che gli inglesi
non amano molto il loro autore nazionale
L’opera di William Shake­
speare è più popolare e meglio
compresa in paesi emergenti
come Brasile, India, Cina,
Messico e Turchia che nel Re­
gno Unito. Lo rivela un son­
daggio realizzato dal British
council in occasione dei quat­
trocento anni dalla morte del
drammaturgo inglese. Lo stu­
dio a campione (18mila perso­
ne in quindici paesi) ha rivela­
to che l’89 per cento dei messi­
cani ama Shakespeare, l’84
per cento dei brasiliani lo con­
sidera rilevante oggi e l’83 per
cento degli indiani dice di ca­
pirlo. Tra i britannici queste
percentuali scendono rispetti­
vamente al 59, 57 e 58 per cen­
MANUEL VELASQUEz (LATINCONTENT/GETTy IMAGES)
Italieni
Una compagnia messicana in scena
to. “Non credo che gli inglesi
debbano vergognarsi”, dice
Rosemary Hilhorst, direttrice
del programma Shakespeare lives del British council. “Ora
dovremmo pensare a come
rendere Shakespeare più ac­
cessibile, per permettere a più
giovani di entrare in contatto
con le sue storie fantastiche”.
Il problema nasce a scuola: è il
lavoro sul testo originale che
scoraggia i giovani britannici.
All’estero, nota Rosemary Hil­
horst, agli studenti vengono
proposte prima delle traduzio­
ni sempliicate.
Mark Brown, The Guardian
Il libro Gofredo Foi
Intrecci boliviani
Rodrigo Hasbún
Andarsene
Sur, 120 pagine,
15 euro
Una ragione d’interesse per
questo romanzo scritto da un
boliviano di 35 anni esigente e
coraggioso (in originale, Los
afectos, un titolo migliore) sta
nella brevità o, meglio, nella
capacità di concentrare più
storie senza nulla perdere in
tensione. Anzi guadagnando
in interesse ed emozione dalle
ellissi, dal non detto, dal fatto
che la parola “io” corrisponde,
quando il racconto è in prima
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
persona, a un personaggio e
non al narratore. Fu un
procedimento apprezzato un
tempo da tanta avanguardia.
In Italia l’egomania o egolatria
dei narratori sta guadagnando
anche i saggisti, e perino gli
storici (vedi certe recenti
uscite feltrinelliane). Hasbún
narra le vicende di una
famiglia del secondo
dopoguerra, tedeschi emigrati
in Bolivia, attorno a un padre
con un passato di operatore
per documentari nazisti che
organizza spedizioni
archeologiche alla ricerca di
città andine perdute e, nella
seconda parte, attorno a una
iglia guerrigliera che riesce a
uccidere l’assassino del Che. È
una storia che ha basi reali.
Intorno ci sono l’America
Latina e l’Europa di anni
turbolenti e le passioni e le
delusioni di due generazioni.
Hasbún non confonde mai il
lettore, pur spiazzandolo, e
mostra i suoi eroi con una
sorta di calor freddo che gioca
sulla nostra curiosità e
permette di immaginare e
partecipare lasciandoci un po’
di libertà. u
I consigli
della
redazione
Rodrigo Hasbún
Andarsene
(Sur)
Il romanzo
Rivka Galchen
Innovazioni americane
Einaudi, 162 pagine, 16,50 euro
● ● ● ●●
Leggere una raccolta di racconti – non importa quanto
siano sostanziosi, compatti,
armoniosamente intrecciati
l’uno all’altro – dà più o meno
le stesse sensazioni di quando
si ordina una cena cinese: in
un primo momento si è sazi ino a scoppiare, ma dopo un
po’ si ha fame di qualcosa di
più nutriente. La raccolta di
esordio della statunitense di
origine canadese Rivka Galchen, che fa seguito al suo acclamato romanzo Efetti collaterali dell’amore quando inisce
(Piemme 2010), è come un
complesso multivitaminico.
Tutto ciò di cui il lettore può
avere necessità è dispensato
attraverso densi, minuscoli e
misteriosi granuli. Ciascuna
delle storie ofre un’iniezione
corroborante di arricchimento
letterario, una dose di personaggi, generi e ambientazioni
di cui non sapevamo neppure
di aver bisogno, ma che adesso ci sembra un ricostituente
di vitale importanza. Innovazioni americane è un capolavoro di coesione e di misura. Galchen reinventa alcuni racconti
classici (Il naso di Nikolaj Gogol’, L’Aleph di Jorge Luis Borges) e dà un nuovo orientamento alla prospettiva narrativa: tutte le storie sono raccontate in prima persona e dal
punto di vista di una donna. La
storia che apre la raccolta
prende uno dei goi protagonisti di mezza età di Haruki
Murakami (in questo caso, Toru dell’Uccello che girava le viti
del mondo) e lo trasforma in
ROGER KISBY (GETTY IMAGES)
Pillole di piacere letterario
Rivka Galchen
una casalinga che si sente intrappolata nella propria casa.
La donna non cerca un gatto
ma l’anello nuziale del marito,
interrotta da un estraneo al telefono che non le chiede di
parlare di ilosoia ma di cucinarle del pollo. In un certo
senso, quello di Galchen è un
commento critico ma rispettoso all’esasperata mascolinità di Murakami. L’autrice sa
destreggiarsi con agilità sul
conine che separa l’omaggio
dalla venerazione. Un po’ come il naso di Kovalev nel racconto di Gogol’, i personaggi
di Galchen spesso scappano
via da lei. Sembrano agire
senza il suo consenso e in certi casi anche senza il proprio.
Vanno a cacciarsi in strani posti, abbandonando vite altrimenti felici, e interrompono
continuamente la narrazione
di se stessi con dubbi sulle loro azioni. Ma questo non è un
difetto della prosa di Rivka
Galchen. È il nutrimento speciale che somministra agli incompresi.
Hillary Kelly,
The New Republic
Hans Magnus
Enzensberger
Tumulto
(Einaudi)
Dorit Rabinyan
Borderlife
Longanesi, 384 pagine,
16,90 euro
●●●●●
La protagonista del nuovo romanzo di Dorit Rabinyan è
Liat, una trentenne di Tel Aviv
che, grazie a una borsa di studio, passa un anno a New
York. Lì attraverso un amico
ebreo ha l’occasione di conoscere Hilmi, un giovane pittore nato a Hebron che ha vissuto a Ramallah prima di trasferirsi a New York. La seconda
intifada è scoppiata e Israele
ha occupato di nuovo la Striscia di Gaza. Liat e Hilmi si innamorano. Liat tiene nascosto
il suo amore agli amici israeliani di New York e alla famiglia in Israele, ma ne parla con
gli amici statunitensi e rivela
per telefono il suo segreto alla
sorella. Mentre si avvicina
l’estate, Hilmi ritorna a Ramallah per le vacanze e Liat rientra a Tel Aviv. Lui vuole a
tutti costi continuare a sentirla per telefono, inché un giorno muore. La sua morte è dovuta solo in parte al fatto che è
un palestinese sotto occupazione. Il modo in cui l’autrice
sceglie di mettere ine alla vita
di Hilmi e quindi al loro amore indica una visione sottile
del retroterra politico. Liat
oscilla tra una certa ignoranza
della vita nei territori occupati
e la capacità di controbattere
agli amici e ai parenti di Hilmi. Loro vogliono “uno stato”,
lei vuole “due stati per due
popoli”. Hilmi vive il suo amore nel presente: è una storia
d’amore delicata, ma le scelte
dell’autrice non sono abbastanza audaci da sidare i tabù. Soprattutto, spicca la sua
incapacità di raccontare genuinamente l’occupazione, i muri e il razzismo dei progressisti
israeliani.
Yitzhak Laor, Haaretz
PP Wong
La vita secondo Banana
(Baldini & Castoldi)
Christopher Moore
Anime di seconda mano
Elliot, 315 pagine, 17,50 euro
●●●●●
“Divertitevi scrivendo”, ha
detto una volta Christopher
Moore. Ottimo consiglio, che
l’autore stesso ha seguito ino
all’iperbole. Gremito di personaggi pittoreschi e macabri
che si sentirebbero a casa in
un ilm di Tim Burton, Anime
di seconda mano è il bizzarro e
divertentissimo sequel del suo
bestseller del 2006, Un lavoro
sporco. È passato un anno da
quando Charlie Asher risulta
morto nella battaglia sotterranea che ha salvato San Francisco dalle forze maligne
dell’oscurità. Ma la sua idanzata Audrey, una monaca buddista, lo ha mantenuto in vita,
o qualcosa di simile. Ha usato
un incantesimo per trasferire
l’anima di Charlie in un corpo
assemblato con diverse parti
di animali e la testa di un coccodrillo. Ora le tenebre sono
tornate ad addensarsi. La città
è afollata dalle anime dei
morti possedute da una misteriosa entità, molto grande e
molto spaventosa. E le uniche
persone che hanno qualche
possibilità di fermarla sono,
ovviamente, Charlie e la sua
gang di stravaganti. Probabilmente qualcuno si sta chiedendo se si può capire il romanzo senza aver letto il precedente. In realtà è possibile
che non lo si capisca neanche
se si è letto quello. Ma in ogni
caso ci si diverte un mondo.
John Wilwol,
Washington Post
Saleem Haddad,
Ultimo giro al Guapa
Edizioni e/o, 316 pagine, 18 euro
●●●●●
Il romanzo di Saleem Haddad,
Ultimo giro al Guapa, racconta
una storia d’amore omosessuale ambientata nel Medio
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85
Cultura
Libri
Grindr. “Pochi locali, se non
nessuno, si pubblicizzano
apertamente come gay”, spiega l’autore. Il locale frequentato da Rasa si è ispirato a un posto realmente esistente, “ma
preferisco tenerlo segreto”.
Ugualmente misteriosa è l’ambientazione del libro, un paese
mediorientale senza nome.
Haddad voleva che la storia
avesse una natura metaforica,
anche per rilettere il disorientamento di Rasa mentre attraversa le varie manifestazioni
della cultura gay araba. “Il lettore può avere la sensazione di
passeggiare per le strade del
Cairo e l’attimo dopo di bere
in un bar di Beirut”.
Mitchell Kuga,
Next Magazine
Lluís Llach
Le donne della Principal
Marsilio, 342 pagine, 18,50 euro
●● ●●●
In un primo momento il lettore di Le donne della Principal,
secondo romanzo di Lluís
Llach, può credere che l’auto-
re voglia raccontare la storia
di tre generazioni di una famiglia che ha un’azienda vinicola nel sud della Catalogna, seguendo le tre protagoniste –
nonna, madre e iglia – mentre
lottano contro le avversità naturali e storiche per consolidare la loro impresa. Ma ben presto il racconto cambia asse e ci
accorgiamo che le dispute per
il potere, i tradimenti e le relazioni tra i diversi componenti
della famiglia sono solo un
espediente per sfociare nel romanzo poliziesco. Finita la
guerra civile, un ispettore di
polizia, lettore di Agatha Christie, si presenta nella tenuta
della famiglia per riaprire il
caso di un delitto irrisolto,
compiuto proprio il 18 luglio
1936, il giorno in cui era scoppiata la guerra. Llach può sedurre il lettore appassionato
da storie di amori diicili e
piacerà agli appassionati di
serie televisive, ma non è certo un libro che merita una rilettura.
Ponç Puigdevall, El País
Non iction Giuliano Milani
La linea grigia tra guardie e ladri
Francesco Benigno
La mala setta. Alle origini
di maia e camorra. 18591878
Einaudi, 403 pagine, 35 euro
Un personaggio memorabile
della Commedia umana di
Balzac è Vautrin, capo di tutti i
malfattori di Francia che, una
volta arrestato, passa dall’altra
parte diventando un pezzo
grosso della polizia. Ispirato a
una persona realmente esistita
(Eugène-François Vidoq),
Vautrin somiglia anche a certi
italiani che nei primi anni
successivi all’Unità si mossero
86
nel mondo intermedio tra
stato e criminalità agendo
come spie e informatori:
uicialmente per smantellare
le organizzazioni criminali, di
fatto contribuendo alla loro
nascita e stabilizzazione. Di
loro parla questo libro che,
attraverso fonti giudiziarie,
giornalistiche e letterarie,
restituisce la complessità della
lotta alla malavita da parte dei
primi governi italiani. Allora la
preoccupazione principale di
ministri e prefetti fu la
necessità di combattere le
organizzazioni rivoluzionarie
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
(come i mazziniani) e
resistenti (come i papalini e i
borbonici) che arginavano il
processo di uniicazione. Per
stornare la loro azione non
esitarono a reclutare briganti e
malviventi. Nel momento in
cui avveniva questa nuova
interazione tra custodi ed
eversori dell’ordine si difuse
l’idea secondo cui il crimine
costituiva un mondo
organizzato che doveva essere
combattuto attraverso misure
straordinarie. Così il modo di
combattere la malavita ne
inluenzò l’evoluzione. u
Religioni
BEN STANSALL (AFP/GETTy IMAGES)
Oriente, un contesto molto
lontano dai privilegi della narrativa occidentale. Nel corso
di una sola giornata il protagonista Rasa lavora come interprete per un giornalista statunitense, paga la cauzione per
far uscire dal carcere un amico
arrestato in un locale gay e
cerca di convincere il suo
amante a sposarlo – tutto sotto
il peso di un governo tirannico.
Di volta in volta politicamente
sottile o teneramente romantico, il romanzo rilette le complessità dell’essere gay e arabo
nel ventunesimo secolo. Nonostante l’intolleranza religiosa difusa nella regione, Haddad, nato in Kuwait e attualmente residente a Londra, descrive la scena gay come incredibilmente variegata – grandi
discoteche con musiche martellanti e droghe, feste private
e intime, cofee shop discreti,
luoghi per incontrarsi nei cinema, nelle saune e anche tra le
antiche rovine romane. Tutto
funziona grazie al passaparola
e più di recente anche grazie a
Jonathan Sacks
Not in God’s name. Confronting religious violence
Schocken
Uno studio sul rapporto tra la
violenza e le principali religioni monoteiste (cristianesimo,
ebraismo e islamismo). Sacks
è stato rabbino capo del Regno
Unito ino al 2013.
Saba Mahmood
Religious diference in a secular age
Princeton University Press
Prendendo come esempio
l’Egitto postcoloniale, Mahmood, che insegna antropologia culturale alla University of
California, Berkeley, identiica
nel secolarismo politico la fonte principale dei conlitti tra
religioni.
Donniel Hartman
Putting God second
Beacon Press
La tesi sostenuta dal rabbino
israeliano Donniel Hartman in
questo suo studio è che il monoteismo contenga in sé i semi
della violenza religiosa.
Elizabeth Shakman Hurd
Beyond religious freedom
Princeton University Press
Secondo Shakman Hurd, docente di scienze politiche alla
Northwestern university di
Chicago, gli sforzi dei paesi
occidentali per promuovere il
dialogo tra fedi diverse sono
responsabili delle attuali divisioni tra le religioni.
Maria Sepa
usalibri.blogspot.com
Ragazzi
Ricevuti
Contro tutti
i muri
Minna Lindgren
Fuga da Villa del Lieto
Tramonto
Sonzogno, 320 pagine,
17,50 euro
Il secondo episodio della trilogia inlandese che mescola
suspense, umorismo e attualità con le avventure di due
novantenni di una casa di riposo di Helsinki.
Autori vari
A braccia aperte. Storie
di bambini migranti
Mondadori, 47 pagine,
9,90 euro
L’Icwa è l’associazione italiana degli scrittori per ragazzi.
È stata fondata nel 2012 da un
gruppo di autori che hanno
deciso di mettersi insieme per
afrontare una serie di piccole
e grandi battaglie della categoria. Ma non pensate che sia
solo una sorta di organizzazione sindacale, l’Icwa è molto di più. Sul sito uiciale
dell’associazione viene subito
detto che “la letteratura per
bambini e ragazzi è un universo straordinario che arricchisce e caratterizza il patrimonio culturale di un paese”. A
braccia aperte nasce all’interno di questa iniziativa ed è
uno dei modi (non l’unico)
con cui gli scrittori per ragazzi
stanno contribuendo al dibattito sui migranti. Tredici di loro (Manuela Salvi, Marco Bevilacqua, Janna Cairoli, Vanna
Cercenà, Fulvia Degl’Innocenti, Anna Lavatelli, Alberto
Melis, Daniela Palumbo, Roberto Piumini, Angela Ragusa, Anna Sarfatti, Marco Tomatis e Loredana Frescura)
hanno creato storie dove realtà e fantasia si prendono a
braccetto. Spiegano di fatto
che molti migranti sono solo
bambini in viaggio con i loro
sogni. Un libro che si schiera
contro i muri di chi sta riempiendo l’Europa di ilo spinato
e di odio. Un libro che attraversa pericoli, ma che alla ine
sa come portare il sorriso sul
volto dei piccoli protagonisti.
Igiaba Scego
Andrej Longo
L’altra madre
Adelphi, 195 pagine, 17 euro
Un sabato pomeriggio in una
strada del Vomero, a Napoli,
le vite di Genny, sedici anni, e
di Tania, quindici, s’incrociano in modo tragico.
Fumetti
Un bufo messia nuvola
Nicolas De Crécy
Il celestiale bibendum
Eris, 200 pagine, 22 euro
Finalmente arriva la trilogia
del francese De Crécy,
concepita tra il 1994 e il 2002,
in un volume unico dall’ottima
traduzione. La parola
bibendum richiama quella di
cumulonembo. E infatti questo
bufo messia informe, un po’
nuvola, un po’ foca, un po’
omino Michelin e un po’
fantasma, giunto a salvare un
mondo altrettanto informe,
una New York incrociata a una
metropoli francese, entrambe
d’inizio novecento, è tutto e
niente insieme. È logo
industriale e mascheramarionetta (cioè le due
opposizioni su cui si è mossa
larga parte del fumetto
popolare). Un po’ tutti i
personaggi creati dall’autore
del resto hanno questa
connotazione, da Monsieur
Fruit a Salvatore (Panini 9L),
passando per Journal d’un
fantôme. Il celestiale bibendum
è un’opera di mistica che
nasce dal putrescente e
sull’infanzia dell’arte,
fumetto compreso,
rivisitando quintali di pittura
e graica del secolo scorso, in
particolare espressionista (a
cominciare da Lyonel
Feininger della Bauhaus che
fu tra i pionieri del fumetto
statunitense). De Crécy
realizza un capolavoro di
anticipazione, surrealista e
un po’ dada, sull’attuale era di
vestigia in decomposizione,
dal sistema mediatico al
mondo politico-inanziario.
La forza (apparente) di
quest’era ne cela a fatica la
fatiscenza e basta un anziano
ometto come Bernie Sanders
per mandarlo in ibrillazione.
Proprio come in quest’opera
presagio. Francesco Boille
Aldo Grasso
e Cecilia Penati
La nuova fabbrica
dei sogni
Il Saggiatore, 238 pagine,
20 euro
Una guida completa e ragionata delle serie televisive
americane.
Bill Bryson
Piccola grande isola
Guanda, 480 pagine, 22 euro
In viaggio attraverso il Regno
Unito, da una cittadina marittima dell’estremo sud alla
punta selvaggia e tempestosa
della Scozia.
Gianmaria Testa
Da questa parte del mare
Einaudi, 102 pagine, 12 euro
Una rilessione struggente,
per storie e per canzoni, sulle
migrazioni umane.
Iain Sinclair
London orbital
Il Saggiatore, 5752 pagine,
28 euro
Un viaggio visionario lungo la
grande tangenziale circolare
che abbraccia Londra.
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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Cultura
Musica
Dalla Costa d’Avorio
Concerto del primo maggio
Skunk Anansie, Tiromancino,
Vinicio Capossela e Calexico,
Marlene Kuntz, Nada, Asian
Dub Foundation e altri, Roma,
1 maggio, primomaggio.net
Papa Wemba muore in scena
Mario Venuti
Milano, 29 aprile
bluenotemilano.com
Buzzcocks
Roncade (Tv), 29 aprile
newageclub.it
Pinarella di Cervia (Ra)
30 aprile, 392 259 3308
Moderat
Roma, 29 aprile
spazionovecento.it
Troye Sivan
Milano, 2 maggio
alcatrazmilano.it
Marc Ribot
Mezzago (Mb), 2 maggio
bloomnet.org
È morto sul palco ad
Abidjan il massimo
esponente della rumba
africana
Papa Wemba, uno dei musici­
sti più noti nella storia della
Repubblica Democratica del
Congo, si è accasciato durante
un concerto ad Abidjan ed è
morto il 24 aprile 2016. La sua
morte è un duro colpo per gli
appassionati di musica africa­
na di tutto il mondo, visto che
era il più grande esponente vi­
vente della lingala, o rumba
africana. Jules Shungu Wem­
badio, in arte Papa Wemba,
aveva 66 anni e stava suonan­
do al Festival des musiques ur­
baines di Anoumabo. Sui so­
AFP/GETTY IMAGES
Dal vivo
Papa Wemba ad Abidjan,
24 aprile 2016
cial network circolano alcuni
video del momento in cui si è
sentito male. I suoi ballerini
hanno continuato a danzare
per un po’ senza rendersi con­
to di quel che era successo.
Il chitarrista Maika
Munan, compatriota di Papa
Wemba, ha detto che l’intera
Repubblica Democratica del
Congo è in lutto. “Prima di
esibirsi era stato in ospedale,
ma sembrava essersi comple­
tamente rimesso”, ha aggiun­
to Munan. Tra le sue canzoni
più famose Show me the way e
un duetto con Koi Olomide,
Wake up. Altri suoi pezzi da ri­
cordare sono Bakala dia ba e
Pole position. Alla ine degli
anni settanta Papa Wemba
aveva fondato uicialmente
la Société des ambianceurs et
des personnes élégantes
(Sape), associazione che se­
guiva una corrente giovanile
congolese che promuoveva
una forma di dandysmo afro­
centrico e di buon vivere at­
traverso la musica e la moda.
Daily Nation, Kenya
Playlist Pier Andrea Canei
Yann Tiersen
Parma, 4 maggio
teatroregioparma.it
Kingston, Napoli, Minneapolis
Teho Teardo
e Blixa Bargeld
Roma, 4 maggio
quirinetta.com
Paolo Baldini
Boom (Wah da da deng)
Gran sound system, da
Pordenone a Kingston. Il passo
lo fa sembrare breve, ma il pro­
ducer Baldini (Mellow Mood,
Tre Allegri Ragazzi Morti) ha
impiegato un paio di mesi per
installarsi in un locale della ca­
pitale giamaicana con il suo
carico di mixer, tastiere, mac­
chinari e riddim. E suonare,
manipolare, far cantare i talen­
ti locali (come Hempress Sati­
va, rara donna lead vocalist), e
poi produrre sul campo il suo
potente nuovo album DubFiles
at Song Embassy, Papine, Kingston 6. Come il mixtape di un
dj del posto, autentico, stra­
bordante, da appassionati veri.
Peter Hook
Milano, 5 maggio
serragliomilano.org
Roma, 7 maggio
whrome.com
Teho Teardo e Blixa Bargeld
88
1
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Almamegretta
Curre curre guagliò
“Jamaica aroma” pure
qui, nel pezzo del 1994 o giù di
lì di Raiz & co. ripescato per il
nuovo album Ennenne, in cui
insieme all’überproduttore
Adrian Sherwood i grandi chef
del melting pot partenopeo
tornano a far ribollire carne e
spezie delle loro ricette miglio­
ri, dal dub alla sceneggiata,
dall’afro sound al canto dei vi­
coli, da Nino d’Angelo al rap­
per Lucariello, dall’attrice del­
la nuova stagione di Gomorra
al buon vecchio groove di Na­
poli Centrale. E to’, c’è pure
Paolo Baldini (al basso) in que­
sto ritorno che gronda anima,
ritmo, centralità napoletana.
2
Prince
Forever in my life
Nel capolavoro Sign o’ the
times (1987) era un pezzo di
soul sintetico minimalista da
tre minuti, incisivo e poco ap­
pariscente; nel favoloso tour di
quell’album diventava un neo­
gospel di undici minuti con
Prince capobanda alla chitarra
acustica. Emblema del puro
talento di questo funky/sexy
Mozart di Minneapolis: mai
più visto nessun altro così. In­
crociare durante l’adolescen­
za, tra metà e ine anni ottanta,
il suo periodo più scintillante
tra dischi e concerti fu un rega­
lo, un’energia positiva che ri­
marrà associata alle cose belle
della vita, per sempre.
3
Pop/rock
Scelti da
Luca Sofri
Beyoncé
Lemonade
(Parkwood)
precedenti lavori dell’artista e
chiuda con il brano più vitale
che Stott abbia mai composto:
un pezzo che in qualche modo
rimanda al sample di Paul
Lansky in Idioteque dei Radio­
head o ai cori di Peder Manne­
felt e ricrea l’odissea synth
di Bamboo houses di David Syl­
vian e Ryuichi Sakamoto, ma
tutto in modo, come avrete in­
tuito, più umano.
Harley Brown, Spin
Beyoncé
da hit parade. Rivela infatti
con orgoglio le sue inluenze
pre e post punk, basate su chi­
tarre agitate, quasi intrattabili:
la title track ha una melodia
rocambolesca che potrebbe
essere stata composta dagli
Squeeze, Berlin got blurry ri­
corda Elvis Costello, One man
one city, con i suoi bongo e gli
eccessi psichedelici, riscopre il
into tonto alla James Murphy.
Vale la pena di segnalare an­
che Two dead cops, che afronta
la cultura della violenza negli
Stati Uniti.
Tim Jonze, The Guardian
Andy Stott
Too many voices
(Modern Love)
●●●●●
Andy Stott è sempre stato in­
costante, passando da schegge
di breakbeat a dubstep calanti
attraverso un tunnel sotterra­
neo e abbandonato. A partire
da Luxury problems, del 2012, il
produttore di Manchester po­
pola uno spazio post­
apocalittico con tutta l’umani­
tà che le potenti variazioni di
basso possono contenere. Ba­
sta un ascolto del suo quarto
album, Too many voices, per ca­
pire a cosa mira Stott. Tracce
come New romantic o First
night suggeriscono che Voices
vuole colpirci appena sopra il
plesso solare, più che sotto.
Gran parte dell’album suona
come se si stesse lentamente
decomponendo, per quanto
sia più ampio e arieggiato dei
Cate Le Bon
Crab day
(Turnstile)
●●●●●
“Il giorno del granchio è
un’antica festa. Il giorno del
granchio è una nuova festa. Il
giorno del granchio non è af­
fatto una festa”. La cantautrice
gallese, che ha scelto il suo no­
me d’arte dopo avere visto Si­
mon Le Bon in tv, è scherzosa
e criptica sul suo nuovo album,
Crab day. Al primo ascolto si
viene colpiti da quel gusto per
il gioco che ci si aspetta da lei:
se in Mug museum (2013) aveva
afrontato temi dolorosi come
il lutto, Crab day ha il suono di
una giornata al mare (però su
una spiaggia gallese). Questa
ritrovata leggerezza è evidente
anche nella scelta di strumenti
come lo xilofono e il sassofo­
no, suonati con spensieratez­
za. L’andamento più lieve è co­
munque punteggiato da ritmi
nervosi che ricordano i primi
Talking Heads. È un bel salto
ANGEL CEBALLOS
Parquet Courts
Human performance
(Rough Trade)
●●●●●
Con il nuovo album Human
performance i Parquet Courts
hanno ripulito un po’ il loro
sound. Questo non signiica
che la band di New York abbia
ambizioni mainstream, ma
semplicemente che i prece­
denti lavori sembravano regi­
strati in posti che perino
Daniel Johnston avrebbe dei­
nito acusticamente indecenti.
Il loro quinto album risulta
quindi più limpido, anche se
sempre lontano da ambizioni
DR
Album
Beyoncé
Lemonade
(Parkwood)
●●●●●
Un nuovo album di Beyoncé si
presenta sempre con una tavo­
lozza di suoni molto diversi e
con schiere di collaboratori
e produttori importanti, ma
Lemonade spinge questa ten­
denza su territori ancora ine­
splorati. L’intervento del can­
tante e produttore inglese
James Blake porta a inedite so­
luzioni di montaggio delle par­
ti vocali in Pray you catch me.
Hold up e Sorry trovano ispira­
zione nei suoni caraibici ma ci
arrivano per vie molto traver­
se. Don’t hurt yourself impiega
un ringhiante Jack White e
la batteria di When the levee
breaks dei Led Zeppelin.
L’equilibrio complesso tra im­
magini, messaggi, coraggio
musicale e racconto autobio­
graico dimostra che Beyoncé,
anche se è all’apice del succes­
so, cerca spazi per crescere an­
cora. Non sappiamo se la sto­
ria di tradimento e perdono
narrata da Lemonade sia vera o
no, ma sicuramente è raccon­
tata in modo appassionante.
Craig Jenkins, Vulture
Bullion
Loop the loop
(Deek)
Cate Le Bon
Pet Shop Boys
Super
(x2)
dal garage sporco e folle di
Hermits on holiday, pezzo nato
l’anno scorso dalla collabora­
zione con Tim Presley nel pro­
getto Drinks. Ora Cate Le Bon
si scosta un po’ dagli anni ses­
santa per avventurarsi nel ter­
ritorio del post punk dei tardi
settanta. Forse per alcuni tutto
questo non ha senso, ma non
deve averlo per forza. In fondo
è il giorno del granchio.
James F. Thompson,
Loud and Quiet
Artisti vari
Wayfaring strangers. Cosmic american music
(Numero Group)
●●●●●
A parte l’uso di strumenti non
convenzionale per il rock – vio­
lino, banjo, pedal steel – la ca­
ratteristica che unisce i pezzi
di questa raccolta di rarità
country rock poco conosciute
è un generale senso di malin­
conia. Che fossero nei dischi
di Gene Clark o Gram Parsons,
le botte di slide guitar e i testi
introspettivi che hanno segna­
to tutto il rock americano tra la
ine degli anni sessanta e i tar­
di settanta qui si inseriscono in
quella scia di disillusione col­
lettiva seguita alla guerra del
Vietnam e alla ine della rivo­
luzione giovanile. Tra i pezzi
migliori ci sono Me lovin’ you
dei Deerield, che unisce le
teorie di Aleister Crowley ad
armonie in stile Monkees, e
Not down this low, in cui Jef
Cowell dà sfogo a tutta la sua
disperazione ubriaca e viscera­
le. Ma tutte le canzoni del di­
sco possiedono lo stesso eica­
cissimo mix di malinconici
orizzonti e cupa angoscia esi­
stenziale che in quegli anni ca­
ratterizzava anche il cinema
della New Hollywood, con i
suoi protagonisti intenti a inse­
guire le ultime tracce del so­
gno americano.
Andrew Male, Mojo
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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Cultura
Video
In rete
Il lato oscuro
dell’oro
In fabbrica
Venerdì 29 aprile, ore 22.30
Rai Storia
La storia degli operai italiani
dagli anni del boom ino alla
marcia dei quarantamila a Torino nel 1980, raccontata da
Francesca Comencini con immagini di repertorio.
Togliattigrad
Domenica 1 maggio, ore 19.00
Rai Storia
Quattrocentomila abitanti attorno a una fabbrica di auto nel
cuore della steppa: era la città
simbolo dell’incontro tra due
visioni opposte, da una parte la
Fiat di Torino, dall’altra l’Unione Sovietica.
Ziggy Stardust and the
spiders from Mars
Martedì 3 maggio, ore 23.15, Rai5
Il ilm concerto del 1973 di D.A.
Pennebaker documenta la storica performance in cui Bowie
annuncia l’ultima apparizione
di Ziggy Stardust, tra la confusione e lo smarrimento della
stessa band e del pubblico.
Italie invisibili
Giovedì 5 maggio, ore 21.40
Sky Arte
Il paesaggio è protagonista in
questa nuova serie di documentari su territori, strade e
conini che non ci sono più, ma
che sono stati nel passato luoghi straordinari per arte, cultura, storia e bellezze naturali.
Michel Petrucciani.
Body and soul
Venerdì 6 maggio, ore 24.00
Rai5
La storia di Petrucciani, un
musicista straordinario, colpito alla nascita da una malattia
che non gli permise di superare il metro di altezza. Lui però
lo considerava un vantaggio,
che gli permise di dedicarsi
completamente alla musica,
tralasciando altre distrazioni.
90
Dvd
Donne tra le onde
L’olandese Rebecca Gomperts
era ancora una giovane dottoressa inorridita dall’irrazionalità delle leggi antiabortiste in
molti paesi del mondo, quando, nel 2000, ebbe un’idea. Installare un ambulatorio attrezzato a bordo di una nave che si
avvicinava alle coste di paesi
come Irlanda, Polonia e Portogallo, abbastanza da accoglie-
re le pazienti, e poi sfuggiva a
quelle giurisdizioni facendo
rotta verso le acque internazionali. Nacque così Women on
waves, donne sulle onde. Alle
sue battaglie umanitarie, mediatiche e navali, è dedicato
Vessel, un documentario di
Diana Whitten, uscito in dvd
negli Stati Uniti.
vesseltheilm.com
lasrutasdeloro.com
Tutti i paesi del bacino del Rio
delle Amazzoni sono esposti
agli efetti dell’estrazione e
del commercio illegali
dell’oro, con gravi
conseguenze sull’ambiente e
sui diritti umani. La Peruvian
society of environmental
rights, insieme alla
International union for
conservation of nature, ha
commissionato a un gruppo di
giornalisti questo progetto
multimediale, per denunciare
la devastazione in corso
nell’ecosistema amazzonico,
una delle oasi di biodiversità
del pianeta. Il documentario
web fa parte di una campagna
coordinata che ha visto la
pubblicazione di reportage
nei paesi coinvolti, e che per la
prima volta ha attirato
l’attenzione dell’opinione
pubblica sul fenomeno.
Fotograia Christian Caujolle
La guerra dei telefoni
È risaputo che gli smartphone
possono essere usati anche per
telefonare o mandare messaggi. Ed è altrettanto risaputo
che uno dei settori più vitali
dell’economia contemporanea
è quello della telefonia mobile,
sia per gli operatori sia per i
fabbricanti di apparecchi. È
ovvio quindi che in questo settore ci siano grandi e furiose
rivalità. È interessante notare
come questa battaglia, più che
sul terreno di ciò che ci si
aspetterebbe da un telefono
(durata della batteria o qualità
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
del suono), sia combattuta soprattutto sul terreno delle immagini. Dopo averci oferto risoluzione a milioni di pixel
(ma quanto è utile, considerando l’uso che ne fa l’utente
medio?), ora i vari marchi si affrontano sul campo dell’estetica, vera o presunta. Apple vende il suo ultimo modello di telefono mostrandoci splendide
immagini scattate con quello
stesso telefono. L’azienda cinese Huawei, invece, è riuscita
ad associarsi con il prestigioso
marchio Leica. È un marchio
molto antico che, storicamente, unisce tre diverse aziende
svizzere e tedesche del settore
dell’ottica e da sempre attive
nella produzione di microscopi, macchine fotograiche e
strumenti geodetici. La nascita di questa collaborazione, tra
il marketing e la tecnologia,
tra il colosso cinese e la storica
azienda europea la dice lunga
sullo stato di questa battaglia
senza quartiere. Un domani
potremmo sentirci dire: “Ehi,
mi passi la tua Leica che devo
fare una telefonata?”. u
Cultura
Arte
Jules de Balincourt
Stumbling pioneer, Victoria
Miro, Londra ino al 14 maggio
All’inizio del nuovo millennio
la pittura era considerata un
genere eccessivamente accademico. Il pittore Jules de Balincourt ha contribuito ad abbattere questo pregiudizio.
Nei suoi paesaggi urbani,
spesso vedute aeree, combina
il romanticismo malinconico
di giovani colleghi come Peter
Doig con quello di Edward
Hopper. Acciufato nel 2006
dal gallerista Charles Saatchi
e poi lanciato sul mercato, de
Balincourt vive a New York. A
diferenza dei suoi primi lavori, più politicizzati, gli ultimi
dipinti sembrano avvolti in
un’atmosfera tranquilla e rilessiva. Ma questi paradisi
apparenti, quasi tutti californiani, raramente sono privi
di risvolti problematici e inquietanti.
The Telegraph
Cornelia Parker, Transitional object (PsychoBarn)
JuSTIN LANE (EPA/ANSA)
Come Rembrandt
Nei Paesi Bassi, un gruppo di
scienziati, ingegneri e storici
dell’arte inanziato da
un’agenzia pubblicitaria ha
usato programmi e tecnologie
di stampa 3d per creare quello
che a prima vista sembrerebbe un ritratto inedito dipinto
dal giovane Rembrandt. La
squadra di studiosi sembra
aver fatto meglio dell’artista
stesso, costruendo l’immagine con 148 milioni di pixel
provenienti da 168 milioni di
punti tratti dai dipinti originali. Il risultato è un misto di
passione e inzione, che riproduce alcuni efetti tipici
dell’arte del suo creatore. Così, procedendo a ritroso dalla
inzione, si arriva alle intenzioni dell’artista (anima, intelligenza, emozioni) passando
per un’altra strada, probabilmente del tutto legittima.
The New Yorker
Stati Uniti
La casa di Psycho sul tetto del Met
Cornelia Parker
Transitional object (PsychoBarn), Metropolitan museum,
New York, ino al 31 ottobre
Il ronzio dei trapani, i colpi di
martello e il bip-bip delle betoniere quasi sofocavano le
indicazioni di Cornelia Parker
sulla terrazza del Metropolitan. Immersa in un’inquietante atmosfera iabesca, l’artista
britannica ha supervisionato il
lavoro di otto macchinisti alle
prese con la costruzione di
PsychoBarn, la casa-ienile
ispirata al celebre ilm di Alfred Hitchcock installata
all’ultimo piano del museo.
Alta sette metri e mezzo, rossa, in stile secondo impero
francese, con una inta mansarda e un lucernario ovale, ha
solo due lati initi, proprio come la casa di Psycho. La parte
posteriore della costruzione,
enfatizzata per smascherare
la inzione, è sostenuta da impalcature di metallo ancorate
a terra da grandi serbatoi neri
che fanno da zavorra. Fa pensare contemporaneamente alla casa di Psycho e a un ienile
rosso. Per Parker, cresciuta
nella campagna inglese, il ienile è un’immagine familiare,
che si aggiunge all’iconograia
delle campagne statunitensi,
caratterizzate dai granai rossi
di tipo olandese. Il pubblico
che sale sul tetto del Met vuole godersi la vista, per questo
motivo Parker si è limitata ad
aggiungere un elemento in più
al panorama consueto. Il materiale edile proviene da un
unico ediicio rurale destinato
alla demolizione. Il titolo
dell’opera, Transitional object,
in psicologia, indica gli oggetti
di transizione, per esempio gli
orsacchiotti, che aiutano il
bambino a staccarsi dal seno
materno.
The New York Times
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Pop
Folla a pagamento
Davy Rothbart
L’
DAVY ROTHBART
è un giornalista e
scrittore statunitense.
Ha vinto un Emmy
award come coautore
del documentario
Medora. Il suo ultimo
libro pubblicato in
Italia è Il cuore è idiota
(Baldini & Castoldi
2014). Questo
articolo è uscito sul
California Sunday
Magazine con il titolo
Crowd source.
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sms dice di presentarsi all’hotel Mar- Mason, dovrà fare da guardia del corpo ai motivatori.
riott dell’aeroporto di Los Angeles alle Deon è una delle stelle di Crowds on Demand, apprez11 di lunedì mattina. Ma per il sovrap- zato non solo come inta guardia del corpo, ma anche
porsi del traico e del mio non essere come modaiolo sputasentenze per le inaugurazioni. E
mai puntuale, inisco per scapicollar- io? Adam mi squadra pensieroso e poi decide: “Tu fai
mi nell’atrio con dodici minuti di ritar- quello dei selie. Qualsiasi cosa uno debba fare per ottedo, sapendo che non è il miglior modo per far colpo il nerne uno, tu la farai. Ti voglio con la bava alla bocca”.
Adam e Del ci danno un paio di testi rafazzonati da
primo giorno di lavoro. Sono stato assunto da una ditta
che si chiama Crowds on Demand, folla a richiesta. Se provare, dopodiché, nel giro di due minuti, cominciano
vi serve una folla di persone – più o meno per qualsiasi ad arrivare i motivatori. E la stanza diventa una bolgia.
scopo – Crowds on Demand fa per voi. Da oggi ne faccio Ogni volta che ne entra uno, Lloyd comincia a strillare.
parte anch’io, ma i dettagli restano ancora un mistero. Michelle e Secilia implorano autograi. I paparazzi appostati lungo il cordone divisorio fanno
Fa uno strano efetto andare a lavorare
partire i lash, e Deon e un’altra guardia
senza avere idea di cosa vogliono da me. L’albergo ospita
una conferenza di
del corpo cercano di tenerci tutti a bada.
So solo che prenderò 15 dollari all’ora.
Nell’atrio dell’albergo, Adam Ste- motivatori. Il nostro Riuscire a farsi un selie con tutti i motivatori signiica perdere ogni freno inibiwart, 24 anni, l’amministratore delegato compito è trattarli
tore: devo allungarmi oltre il cordone,
dell’azienda, sta dando il benvenuto a da superstar,
strillare i loro nomi uno per uno, e schivaun’altra decina di nuovi assunti. È un bel comportandoci
re Deon urlando. “Oddio che bello veragazzo atletico in pantaloni e camicia, e come una folla
derla! La prego, una foto, solo una, per
ricorda tantissimo il presidente della cascatenata
favore!”. Mentre loro vanno a registrarsi,
mera statunitense Paul Ryan, anche se è
di fan assetati del
noi dobbiamo trattarli da superstar.
più giovane di almeno vent’anni. Gira in
loro afetto
Tra Deon e me diventa una specie di
mezzo a noi con un’energia frenetica, coballetto: lui mi spinge via deciso ma bome se avesse in corpo sei tazze di cafè.
Mi rimprovera bonariamente per il ritardo, ma sento nario, e solo ogni tanto – se m’impegno davvero – mi
che il suo tono signiica: “Per stavolta ti va bene, purché lascia sporgere oltre il cordone per fotografarmi con il
non si ripeta”. Poi ci porta al piano di sotto, in una sala motivatore che in quel momento è l’oggetto della mia
inta adorazione. Passa così una mezz’oretta, poi un’alda ballo nel seminterrato, e ci dà le informazioni.
Il Marriott, spiega Adam, ospita una conferenza di tra: continuiamo a rifare la stessa scena, all’ininito, con
motivatori provenienti da tutto il paese. Man mano che gli stessi venti secondi che si ripetono in continuazione.
arrivano per registrarsi, prendere i pass e i sacchetti di Ogni volta che qualcuno ci transita davanti, io e Deon
omaggi, il nostro compito è trattarli da superstar, com- cambiamo impercettibilmente strategia, in un duello
portandoci come una folla scatenata di fan assetati del acrobatico tra il mio iPhone e il palmo della sua mano.
La cosa più sorprendente di tutta questa follia è che
loro afetto. Scoprirò poi che questo è uno dei servizi di
Crowds on Demand più richiesti. Prima che comincino anche se la situazione è completamente inta, la felicità
ad arrivare le “star”, Adam e la sua coordinatrice del sul volto dei motivatori è autentica. La maggior parte
personale Del Brown, una donna di quasi quarant’anni capisce che è una farsa, eppure posano per gli obiettivi,
allegra ed esuberante, assegnano a ognuno di noi un ci abbracciano allegri ed elargiscono gentilmente autoruolo. Piazzano un ragazzo di South Central pieno di grai. Quanto a me, all’inizio avevo qualche riserva , ma
energia, Lloyd Johnson, vicino alla porta da cui entre- si è rapidamente dissolta, e la mattinata è diventata diranno i motivatori. Il compito di Lloyd, per usare le pa- vertentissima. Sono iero di essere quello dei selie!
role di Del, è “dare completamente di matto” ogni volta Guardandomi intorno, vedo che anche i miei colleghi si
che entra qualcuno. Lloyd ride. “Cioè, tipo ragazzina stanno divertendo come matti. Nella vita di tutti i giorni, quando incontriamo dal vivo il nostro musicista,
strafatta?”, chiede. “Esatto”, risponde Del.
Due amiche di Lloyd, Michelle e Secilia, vengono scrittore o attore preferito, ci hanno insegnato a conscelte come cacciatrici di autograi. Sei o sette fotograi trollare l’entusiasmo, lasciarlo in pace. Mai avrei pensafaranno i paparazzi. Sono dei veri fotograi freelance. to che sbroccare per degli oscuri motivatori di CincinUn ragazzone in abito scuro e occhiali da sole, Deon nati o Tampa fosse così piacevole. Il luogo più asettico e
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Francesca GhermandI
noioso immaginabile – una sala conferenze nel semin­
terrato di un albergone – si è trasformato in un surreale
parco giochi dove tutti sono desiderati, tutti sono famo­
si, e i famosi restituiscono l’abbraccio ai fan.
due ore e mezzo dopo, l’evento si conclude. mentre
torno alla macchina vedo adam e del con alcuni dei
inti fan, che corrono verso il lavoro successivo: la proie­
zione di un documentario dove devono rimpolpare il
pubblico e fare domande ai registi durante il dibattito.
adam mi ferma. “stamattina sei arrivato in ritardo”,
osserva, “ma ho apprezzato l’impegno che hai messo
nella parte. sei pronto per altri lavori?”.
“ma certo!”.
mi guarda compiaciuto. “Ottimo. Benvenuto a bor­
do. Ti arriverà presto un messaggio”.
adam ha creato crowds on demand quando aveva
21 anni e studiava alla University of california di Los
angeles. Lavorando come volontario per la campagna
elettorale di Jerry Brown, l’attuale governatore della
california, scoprì che radunare gente per i comizi può
essere diicile, e cominciò a pensare che un servizio di
fornitura folle potesse fare gola ai coordinatori delle
campagne elettorali.
Una volta creato il servizio, però, si rese conto che le
sue folle venivano richieste per scopi che non aveva
previsto: non solo per sostenere un candidato, ma an­
che per contestarlo. Per fare un comizio in un campus
universitario, un candidato deve radunare cinquecento
sostenitori, ma adam scoprì che bastava mandare an­
che solo cinque dei suoi dipendenti a protestare davan­
ti all’aula magna perché i mezzi d’informazione parlas­
sero in ugual misura del comizio e della protesta.
Quello fu solo l’inizio. Poco tempo dopo, a new York
lo staf di un dignitario straniero famoso ma controver­
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so chiese ad Adam di sguinzagliare in tutta Manhattan
gente armata di cartelli e bandiere in suo sostegno. Il
dignitario non ne sapeva nulla: la folla doveva servire a
dargli la carica prima di un discorso importante. In seguito Adam ha messo insieme il pubblico per la performance di un artista danese e ha organizzato picchetti
infuocati davanti a concessionari d’automobili, studi
legali e ristoranti. La sua ditta fa pensare a un ilm di
Charlie Kaufman divenuto realtà.
uando rivelo ad Adam che sono un giornalista incuriosito dalla sua attività, lui
m’invita a cena. Adam possiede quello
che gli esperti di reclutamento del football americano chiamano “un motore
potente”. Parla per raiche di parole sovreccitate e precise, ascolta con grande attenzione,
guida una Tesla grigio metallizzato e ogni giorno si allena due ore in palestra, macinando le sue schede di
esercizi e spingendo slitte cariche di pesi. Per fondare
la sua azienda, Adam ha investito i proitti degli investimenti fatti da adolescente in azioni della Southwest
Airlines e di Toys “R” Us. Adesso, appena due anni dopo aver inito l’università, ha un uicio su Wilshire
boulevard a Beverly Hills, due dipendenti a tempo pieno e altri part time, e sostiene che l’attività gli frutta
più di un milione di dollari all’anno.
Crowds on Demand, dice, serve diversi clienti alla
settimana, per lo più a Los Angeles, San Francisco e
New York, ma sempre più spesso anche in centri più
piccoli. Quando lo cercano per un evento, Adam illustra le varie possibilità e fa un preventivo di massima:
seicento dollari per dei inti paparazzi a una cena di
compleanno; tremila per un lash mob di gente che
balla, intona slogan e distribuisce volantini a scopo
pubblicitario; diecimila per una settimana di proteste
politiche; dai 25 ai 50mila per una campagna di protesta lunga. A sentire Adam, ormai la protesta è il vero
settore in crescita della società e, proprio come in pubblicità, per lasciare il segno la ripetizione è fondamentale. “Quando l’obiettivo delle nostre azioni di protesta vede che noi continuiamo a tornare giorno dopo
giorno, comincia davvero a farsela sotto”, spiega. “Se
siamo intenzionati a rimanere, il problema non si risolverà da solo”.
Quando può, Adam cerca di addestrare i dipendenti personalmente, ma il più delle volte per gestire
gli eventi si aida a coordinatori locali. A Los Angeles
la sua collaboratrice di punta è Del Brown, quella che
ho conosciuto al Marriott. Del si è trasferita in California nel 2012 con l’idea di fare l’attrice, e in breve tempo
ha ottenuto una parte in uno spot per un marchio di
patatine. Ma dopo le hanno oferto solo comparsate in
saggi di studenti di cinema e piccoli ilm indipendenti.
Ha fatto un evento per Crowds on Demand, e Adam è
rimasto così colpito che l’ha immediatamente assunta. Del è riuscita a creare una rete alla quale attingere
in base alle esigenze: c’è di tutto, dalle sessanta persone per riempire una festa all’uomo alto due metri in
kilt di pelle che faccia l’appassionato di cultura sadomaso alla presentazione di un libro. Molte persone
Q
Storie vere
La polizia di Granite
Shoals, in Texas, ha
fatto circolare su
Facebook un avviso:
poiché l’eroina e la
metamfetamina in
circolazione nella
zona erano state
contaminate con
l’ebola, si
raccomandava a chi
avesse degli
stupefacenti in casa
di portarli agli agenti,
che li avrebbero
controllati con uno
strumento speciale in
dotazione alla
centrale di Granite
Shoals. Chastity
Hopkins, 29 anni, ci è
cascata e ha portato
alla polizia le sue
scorte per essere
sicura che fossero
incontaminate.
È stata arrestata.
96
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che lavorano regolarmente con Del sono comparse
che ha conosciuto sui set, eppure è sempre a caccia
di facce nuove.
Al Marriott ho conosciuto Jackie Greig, che incarna
il tipo di persona di cui Del e Adam si servono più spesso. Jackie ha cinquant’anni e studia cinema al Los Angeles city college. Un suo insegnante aveva condiviso
su Facebook l’annuncio di quella che Jackie pensava
fosse una ripresa cinematograica dove servivano aiutanti pagati. Solo una volta arrivata al Marriott aveva
scoperto che non era nulla del genere. Certo, le avevano chiesto di puntare la telecamera verso i motivatori,
ma che registrasse o meno era indiferente. Jackie l’ha
trovato frustrante, ma nel giro di un paio d’ore ha guadagnato 37,50 dollari, con i quali ha potuto regalare a
sua iglia il biglietto per un concerto dei Foo Fighters.
“Avrei comunque preferito che fossero più chiari sul tipo di lavoro”, mi dice.
La vera diicoltà, dice Adam, è che tanti clienti vogliono che il nostro lavoro rimanga segreto. Quando
paghi per rimpolpare il pubblico di un comizio elettorale o di una prima cinematograica, l’ultima cosa che
vuoi è che si venga a sapere che quel pubblico è pagato.
Adam deve mantenere un equilibrio tra l’obiettivo di
far conoscere la sua azienda, in modo da attirare nuovi
clienti, e i vantaggi del mantenere le persone all’oscuro.
“Al momento siamo ancora una specie di arma segreta”, dice. “Possiamo giocare sull’elemento sorpresa.
Cioè, si è già sentito parlare di politici che pagano per
rinfoltire il pubblico dei loro comizi elettorali, ma la
maggior parte delle persone non s’immagina nemmeno che queste folle si possano usare in altri modi. Certo,
di qui a cinque anni la situazione potrebbe cambiare”.
Dice Adam che Del ha molta libertà nel decidere chi
reclutare. Lei, il più delle volte, presenta i lavori come
comparsate per attori. Non è del tutto falso: far parte di
una di queste folle non serve per il curriculum, ma è un
po’ come recitare. E in un mondo dove tutti recitano
costantemente una parte, inscenando momenti da
condividere sui social network, il conine tra falso e autentico è diventato meno netto. Fare i curatori della
propria immagine su Facebook non è poi tanto diverso
dal ingersi fan accaniti di un motivatore.
Alcuni anni fa, a Chicago, organizzai una serata per
il lancio della mia rivista, Found. Per far sembrare
Found più importante di quello che era, chiesi a tre amici di mettersi a vendere i biglietti d’ingresso in giro per
l’isolato a prezzi da bagarini. I posti non erano esauriti,
ma l’impressione che potessero inire e il fatto che fossero arrivati dei bagarini come se dovesse suonare
qualche rock star, ebbe un efetto immediato. Cominciai a sentire gente che per strada chiamava gli amici
dicendogli di correre lì.
Dopo che la serata era decollata, i miei amici bagarini ci raggiunsero dentro. Non avevano fatto molti soldi, ma uno di loro mi indicò un tizio che aveva comprato
un biglietto da lui. “È un giornalista del Chicago Tribune”, mi disse. “All’idea di non riuscire a entrare stava
dando di matto”. La settimana dopo, sul Chicago Tribune, quel giornalista scrisse una recensione entusiasta
di Found. Sarebbe stato così generoso in ogni caso? For-
FRANCeSCA GHeRMANDI
se sì, ma forse no. Per me, comunque, era chiarissimo:
la folla, o più esattamente l’illusione di una folla, aveva
ottenuto il suo scopo.
Una folla indica che una cosa è importante, di valore. I gruppi musicali sanno bene che per far parlare di
sé è meglio il tutto esaurito in un locale piccolo che una
grande sala piena a metà, anche se nella seconda possono starci più persone. Quelli che rimangono per
strada senza riuscire a entrare sono la pubblicità vivente di una band in ascesa. Ma lo sapete anche voi.
Vedete due ristoranti giapponesi uno accanto all’altro:
nel primo c’è una decina di clienti, l’altro è semivuoto.
In quale dei due si mangia meglio? Non c’è bisogno di
andare su TripAdvisor, basta seguire la gente, anche
se magari si sbaglia.
Il pubblico a noleggio ha una lunga storia. L’imperatore romano Nerone pretendeva che alle sue rappresentazioni assistessero cinquemila dei suoi soldati, e
che reagissero con entusiasmo. Jean Daurat, un poeta
francese del cinquecento, comprava biglietti per i suoi
stessi spettacoli e li regalava a chiunque promettesse di
parlarne bene. La folla compiacente e dall’applauso facile prese il nome di claque e nell’ottocento, a Parigi,
cominciarono ad apparire agenzie che fornivano claqueurs a teatri di prosa e di lirica che avevano bisogno di
riempire posti o inluenzare la risposta del pubblico.
Così come ognuno di noi al Marriott aveva un ruolo,
anche i claqueurs si specializzavano. C’erano quelli che
scambiavano qualche parola con gli spettatori seduti
accanto tra un atto e l’altro, sperticandosi sulle loro scene preferite; altri ridevano scompostamente nei momenti divertenti; altri ancora simulavano le lacrime
durante quelli tristi; poi c’erano quelli che si limitavano
a gridare “bis!” una volta inito lo spettacolo. In Italia i
inti spettatori venivano usati per estorcere soldi a cantanti d’opera famosi, con la minaccia di ischiarli se non
pagavano profumatamente. Solo intorno alla metà del
novecento le claque cominciarono a declinare, ma in
Russia, al balletto del Bolšoj, le minacce di ischi vanno
ancora forte.
Ma torniamo alla nostra cena, dove Adam mi sta illustrando i suoi lavori. A Dallas, una donna che fa parte
di una famiglia reale europea si è rivolta a Crowds on
Demand per risolvere un problema che la assillava:
aveva l’impressione che la sua scorta non le mostrasse
il dovuto rispetto, e addirittura non si credesse necessaria. Così Adam ha organizzato una serie di intoppi “casuali” per la donna mentre girava per la città, tipo gente
qualunque che vedendola all’aeroporto o in un museo
correva da lei per stringerle la mano e farsi una foto. Ha
funzionato? “Alla ine della settimana”, risponde Adam
sorridendo soddisfatto, “gli uomini della scorta si erano
fatti un’idea diversa della sua importanza come igura
di riferimento nel mondo”.
A sentire lui, un ragazzo si è rivolto a Crowds on Demand per farsi aiutare durante l’udienza in cui si sarebbe discussa la sua eventuale espulsione dal college. La
facoltà gli aveva permesso di portare dei testimoni presi dalla comunità universitaria. Due studenti avevano
già accettato di testimoniare, e lui ha chiesto ad Adam
di fornirgliene altri venti. Uno dopo l’altro, i iguranti si
sono presentati come vecchi amici, compagni di classe,
colleghi e datori di lavoro, e hanno letto dichiarazioni
scritte dallo studente stesso che lo elogiavano molto.
Alla ine la commissione non lo ha espulso.
I fan dei motivatori sono una cosa, ma con i inti
amici dello studente Crowds on Demand si è avventurata in un territorio più delicato. Se si fosse trattato di
un’udienza in tribunale, i dipendenti di Adam si sarebbero resi tutti colpevoli di falsa testimonianza. Il fatto
che fosse un’udienza scolastica, e quindi non avesse
gli stessi vincoli legali, dal mio punto di vista è solo un
dettaglio tecnico. Mettiamo che quello studente avesse molestato delle compagne, quindi meritasse
l’espulsione . “Io i clienti li valuto uno per uno”, spiega
Adam. “In quel caso mi sono convinto che il ragazzo
fosse stato accusato ingiustamente. Certo, mi capita
anche di lavorare per persone di cui non condivido i
valori, ma ci sono limiti ben precisi che non supero”.
Spesso Crowds on Demand viene contattata da gruppi
che incitano all’odio, ammette Adam. “Quindi, caro
Ku Klux Klan, mi dispiace ma una folla per voi non la
mandiamo”.
Qualche giorno dopo la cena con Adam, mi arriva
un altro sms: devo presentarmi a un certo numero di
California street, a San Francisco, alle cinque di giovedì
pomeriggio. Come la prima volta che ho lavorato per
Crowds on Demand, non ho idea di cosa dovrò fare. So
solo che devo indossare giacca e cravatta.
Sono di nuovo in ritardo. In cima alla salita tra California street e Taylor street, comincio a vedere una serie di coppie vestite bene che entrano in un lussuoso
ediicio bianco. Intorno alle coppie si accalcano fotograi e cameraman di telegiornali, mentre un giornalista si piazza sul loro cammino bombardandoli di domande. Avvicinandomi capisco che non è un giornalista televisivo: è Adam, con un microfono da reporter.
“Cosa ne pensate dell’editto della Georgia?”, grida
a una coppia di settantenni che lo aggira tirando dritto
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FrANCESCA GhErMANDI
Pop
verso l’ingresso. “No comment”, risponde l’uomo.
“Siamo greci”.
“No comment?”, strilla Adam, ma nel frattempo i
due sono già entrati. “Sta dicendo che i greci non possono opporsi alla discriminazione?”.
Quando mi vede viene a salutarmi, e di nuovo mi fa
notare il ritardo. Poi m’illustra la situazione. Siamo al
California memorial masonic temple, dove i massoni si
stanno radunando per la loro conferenza mondiale annuale. La loggia dello stato della Georgia ha da poco
approvato uno statuto – noto come “editto della Georgia” – in cui si proibisce l’omosessualità agli iscritti. Il
nostro compito? Fingerci giornalisti televisivi e afrontare i massoni che arrivano per il galà di apertura, costringendoli a prendere posizione. “Guarda quello che
faccio ”, mi dice Adam, “e capirai tutto”.
Con una troupe di varie persone al seguito, Adam
intercetta i massoni e li subissa di domande, mentre
quelli tentano di schivarlo e proseguire. La maggior
parte non risponde, ma ogni tanto una coppia si ferma
a parlare. “È una questione che riguarda i diritti del singolo stato”, gli dice un gentile signore della Florida dai
capelli grigi. “Mi chiede se sono d’accordo con quel che
hanno fatto in Georgia? Per carità. Ma una delle regole
di noi massoni è che non bisogna interferire con l’attività delle altre logge”.
Adam gli si avvicina un po’ di più e alza la voce. “Ma
se non è d’accordo, non ha il dovere di prendere posizione e dirlo?”. Il signore fa spallucce. “Io non sono un
maestro di loggia”.
Lì Adam perde le stafe. O meglio, osservandolo attentamente capisco che recita il ruolo di chi perde le
stafe. “Ma è una vergogna!”, esclama. “Senta, io frequento la palestra Equinox di Santa Monica. Ma se la
Equinox di Boston decidesse di vietare l’ingresso ai gay,
porca miseria, le garantisco che farei qualcosa!”.
Si avvicinano rapidi due poliziotti, un uomo corpulento e una donna con i capelli a spazzola. L’uomo dice:
98
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“Senta, voi potete tranquillamente fare il vostro lavoro,
ne avete il diritto. Ma niente parolacce! Qui ci sono anche dei bambini”.
Adam di parolacce vere e proprie non ne ha usate, e
qui di bambini non se ne vedono. Ma per un attimo rimane senza parole, e il massone della Florida ha il tempo di svignarsela su per i gradini del tempio.
Adam si gira verso di me. “Ok”, mi dice. “Più o meno hai capito?”.
A dire il vero no, ma Adam mi nomina immediatamente suo vice passandomi il microfono. Mi assegna
anche un gruppetto che deve stazionare vicino a me:
sono in tutto sei persone, tra i venti e i sessant’anni. Abbiamo due fotograi, due cameraman, una tecnica del
suono con tanto di girafa per il microfono e una ragazza che punta qua e là il rilettore più abbagliante che
abbia visto in vita mia. Più che una vera troupe televisiva, sembriamo studenti di una scuola di cinema. Ma i
massoni venuti a San Francisco dall’Arkansas, dall’Oregon, dal Portogallo e dall’Uganda forse non se ne accorgeranno.
A radunare qui la mia inta troupe è stato un annuncio pubblicato da Adam su Craigslist all’inizio della settimana: “Cerchiamo cineoperatori amanti dell’avventura” e pochi altri dettagli. La ragazza che manovra il
microfono sulla girafa si chiama Emily Ivker. È una
neolaureata di Wayland, nel Massachusetts, arrivata a
San Francisco la settimana scorsa inseguendo il sogno
di diventare una blogger di viaggi. “Venti dollari
all’ora”, mi dice. “Impossibile non accettare” (la paga
di Crowds on Demand varia a seconda del tipo di lavoro
e del costo della vita locale: dai 10 dollari all’ora di New
Orleans al doppio nella California settentrionale).
Nell’ultima mezz’ora, il gruppo ha fatto del suo
meglio per improvvisare. Adesso mi si stringono tutti intorno aspettando che attacchi con la mia imitazione di Adam. Davanti all’ediicio continuano a silare
taxi che scaricano massoni, ma non riesco a partire
subito all’attacco, perché non ho alcuna dimestichezza
con l’argomento. Di massoneria so poco o nulla: i massoni non sono quelli della piramide con l’occhio gigante dietro le banconote da un dollaro? C’entrano qualcosa con gli illuminati? Non era un massone anche
Tupac Shakur? Ecco, iguriamoci cosa ne so degli editti della Georgia.
Adam, che nel frattempo si è messo a lavorare con la
sua troupe poco distante, vedendomi in diicoltà si avvicina di nuovo. “Allora”, dice, “l’obiettivo è innanzitutto informarli”. Alcuni di questi massoni, mi spiega, non
sanno nemmeno che l’editto della Georgia esiste. Con
quelli che invece lo sanno e sono contrari, l’obiettivo è
spingerli a fare qualcosa, nel modo che riteniamo più
giusto . “E nessun modo è sbagliato”, mi rassicura.
È carino a dirlo, ma nel corso dei successivi tre quarti d’ora riuscirò a smentirlo clamorosamente. Il galà è
già cominciato, e adesso i massoni hanno fretta di entrare. Quando gli strillo le mie domande sull’editto della Georgia, mi guardano come guarderebbero un pazzo
per strada che inveisce contro gli alieni. Altri mi puntano un dito addosso minacciosi, mi danno un bufetto
sulla spalla o addirittura mi spingono via. Tanti vengo-
no dall’Europa, dal Sudamerica e dall’Africa e non parlano benissimo l’inglese, o almeno così dicono. Avviare
una conversazione nei pochi secondi che impiegano ad
attraversare il marciapiede è quasi impossibile.
Allora decido di tentare una tattica diversa, e anziché aggredirli appena scendono dal taxi li accolgo calorosamente. Cambia tutto. Non allungano più il passo
per entrare, si fermano a parlare con me. Mi presento,
gli stringo la mano, chiedo come si chiamano e da dove
vengono. Rimangono comunque un po’ spiazzati dalle
telecamere e dalle luci, ma adesso ho la sensazione che
mi credano legato alla massoneria, e che io sia stato
messo lì per dargli il benvenuto.
Così passo subito alla domanda: cosa pensano
dell’editto della Georgia? Alcuni si dichiarano contrari,
aggiungendo però di non poterci fare nulla. “Non pensa
che una discriminazione così grave rischi di diventare
una macchia per tutta la fratellanza?”, chiedo a una
coppia di francesi. “La gente potrebbe pensare che i
massoni sono tutti omofobi”. “Sì, è possibile”, ammette l’uomo.
Riciclo una domanda di Adam: “Perché non chiedete alla massoneria di non riconoscere più la loggia della
Georgia?”. “Non è così semplice”, mi risponde. “Ora
dobbiamo andare”.
È un lavoro siancante, e trascorsa un’altra ora io e
Adam facciamo una breve pausa. Il cliente di oggi, mi
dice, è una persona molto nota di cui non può rivelare
l’identità. In seguito, però, con questo cliente ho uno
scambio di mail. Dice di essere un iscritto di vecchia
data della massoneria della Bay Area, inorridito non
solo dalla discriminazione della loggia della Georgia
contro i gay, ma anche da altri esempi di quelle che lui
considera discriminazioni contro i neri, gli ebrei e le
donne avvenuti in logge di tutto il mondo. Lui e un gruppo di massoni sono convinti che questo genere di intolleranza sia una minaccia per la fratellanza, quindi non
potevano tollerare che i massoni di tutto il mondo si ri-
trovassero a San Francisco semplicemente per far festa.
Così si sono rivolti ad Adam perché le discriminazioni
all’interno della massoneria diventassero un argomento inevitabile. “Rovinategli la vacanza”, gli ha ordinato
il cliente. “Voglio che ne parlino tutti”.
Adam avrebbe potuto inscenare una protesta più
tradizionale, ma quella di creare inte troupe televisive
è stata una scelta azzeccata. “È più facile ignorare un
picchetto che la troupe di un telegiornale”, dice Adam.
Si gira verso il tempio massonico. Nell’atrio, i massoni
fanno tintinnare i bicchieri e brindano con vino e champagne. “Guarda”, prosegue, “qui fuori siamo in quindici e lì dentro un migliaio, eppure stasera l’argomento di
conversazione l’abbiamo imposto noi”.
Mentre facciamo una pausa, Emily Ivker, quella della girafa, si fa dare il mio microfono per indossare i
panni della giornalista televisiva a caccia della verità.
Altri la riprendono e fanno domande a loro volta. Mentre io e Adam parliamo, quelle persone, che erano lì
solo per fare un po’ di soldi rispondendo a un annuncio,
si sono trasformate in un gruppo di ferventi attivisti. La
fantasia è diventata realtà.
Di lì a un’ora, il galà si avvia a concludersi e i massoni cominciano a uscire. Adesso molti di loro hanno voglia di parlare. Forse è perché hanno più tempo o forse
perché nel frattempo hanno avuto modo di rilettere.
Un ragazzo brasiliano con cui avevo scambiato due
chiacchiere mentre entrava mi prende da parte. “Quello stupido divieto”, esordisce. “Dentro ne stavano parlando tutti. Lo hanno aggiunto agli argomenti da discutere nel ine settimana”. Si avvicina la mia troupe, il rilettore si accende sfrigolando, ma anziché allontanarsi, il brasiliano sembra rinascere. Si avvicina al mio
microfono, sceglie una telecamera e guarda dritto
nell’obiettivo. “La loggia della Georgia non ci rappresenta”, sentenzia solenne, come se la sua immagine
fosse trasmessa in diretta a Times square. “Noi siamo
massoni. Accogliamo tutti”. u mc
Scuole Tullio De Mauro
Cambiare università negli Stati Uniti
Michele è un corrispondente segreto di questa rubrichetta. È
“il nostro agente all’Avana” che,
quando i pesanti impegni di studio lo permettono, manda qualche rilessione concreta e preziosa sulla sua esperienza di ragazzo
italiano che ha deciso di studiare
negli Stati Uniti. Nelle settimane
passate Michele è stato assorbito
dalla preparazione di una, anzi di
più d’una essay (Michele usa il
femminile nel parlarne): un breve
resoconto dei suoi studi e, soprattutto, una presentazione credibi-
le dei motivi per cui da una università, dove si trova bene, vuole
passare in un’altra. Negli Stati
Uniti a chi si accinge a un passo
del genere viene richiesto questo
“pezzo di carta” che è preso molto sul serio da chi lo scrive e da
chi deve valutare la richiesta.
Tanto la cosa è impegnativa
che esistono siti in cui si comprano modelli di essay. E questa specie di uomini di burro telematici
promettono ai pinocchi statunitensi paper writing in a few steps.
Non solo a Napoli, ma anche nel-
le commissioni statunitensi
che esaminano le domande
nisciuno è fesso: le domande lioilizzate, non personali, le riconoscono a prima vista. Il fatto è che
viene sentita come una cosa molto seria da chi insegna e da chi
studia aggregarsi a una università, ai suoi speciici modi di vita
che tendono a investire il processo di formazione e crescita di allieve e allievi in una maniera più
ampia, attenta e forse profonda
che da noi, nella vecchia Europa
continentale. u
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wALTER CRANE (CA. 1901) ThE ELIShA whITTELSEy COLLECTION/MET MUSEUM
Scienza
Favole di seimila anni fa
Sid Perkins, Science, Stati Uniti
Prendendo in prestito i metodi
usati dai biologi per ricostruire
l’evoluzione delle specie, un
gruppo di ricercatori è risalito
alle origini delle iabe più
difuse in occidente
uando si pensa alle origini delle
favole occidentali vengono subito
in mente i fratelli Grimm, vissuti
nell’ottocento. Anche se in pochi
pensano che furono davvero scritte da loro,
forse gli studiosi non hanno mai realizzato
quanto fossero antiche molte di queste iabe. Secondo una nuova ricerca, che le tratta
come una specie in evoluzione, alcune potrebbero risalire a seimila anni fa.
Lo studio, pubblicato sulla Royal Society
Open Science, parte dall’immenso Indice
Aarne-Thompson-Uther, un catalogo online compilato nel 2004 con più di duemila
storie provenienti da diverse culture indoeuropee. Anche se non c’è accordo su alcuni
aspetti, per la maggior parte degli esperti
tutte le moderne culture indoeuropee (che
comprendono l’Europa e buona parte
dell’Asia) discendono dalla società protoin-
Q
doeuropea dell’Europa dell’est che risale al
neolitico (tra il 10.200 e il 2000 avanti Cristo). Si pensa che moltissime lingue moderne abbiano avuto origine lì. Con queste premesse, l’antropologo Jamshid Tehrani e i
colleghi della Durham university, nel Regno Unito, hanno esaminato l’indice limitando l’analisi alle favole con riferimenti
alla magia e a elementi soprannaturali, una
categoria che include quasi tutte quelle più
conosciute. Il campione si è così ridotto a
275 storie, tra cui classici come Hänsel e Gretel e La bella e la bestia.
L’albero delle lingue
Seguire queste favole a ritroso nel tempo,
però, non è un’impresa facile. La documentazione storica scarseggia e molte iabe sono nate come racconti orali. I ricercatori
hanno quindi usato metodi statistici simili
a quelli impiegati dai biologi per risalire alla
genealogia delle specie lungo le ramiicazioni dell’evoluzione, basate sulle moderne
sequenze del dna.
Ecco come funziona: le favole si trasmettono tramite il linguaggio e visto che i
rami dell’albero delle lingue indoeuropee
sono ben deiniti, gli scienziati hanno potuto risalire la storia di una favola lungo l’albe-
ro a ritroso nel tempo. Se per esempio sia le
lingue slave sia quelle celtiche avevano la
loro versione di Giacomino e il fagiolo magico (così ha rivelato l’analisi), si potrebbe
risalire “all’ultimo antenato comune” della
favola, ovvero i protoindoeuropei occidentali da cui le due linee di discendenza si separarono almeno 6.800 anni fa.
La biologia evolutiva reputa che due
specie discendono da un antenato comune
se i loro geni contengono la stessa mutazione assente in altri animali moderni. Ma a
diferenza dei geni, che si trasmettono quasi solo in “verticale”, cioè dai genitori ai igli, le favole si possono difondere anche in
orizzontale, quando una cultura si mescola
a un’altra. Quindi lo studio si è concentrato
sull’individuazione e sull’esclusione di
quelle che sembravano essersi difuse in
senso orizzontale. Una volta fatta la potatura, l’équipe è rimasta con 76 iabe.
Il metodo ha permesso ai ricercatori di
collegarne alcune alla società protoindoeuropea vissuta migliaia di anni fa, come Il
fabbro e il diavolo, una storia che racconta
del patto stretto da un fabbro con il diavolo
in cambio di un talento insuperato nel suo
lavoro. Se l’analisi è corretta, le favole più
antiche ancora in circolazione risalgono a
un’epoca compresa tra i 2.500 e i 6.000 anni fa. Altre sembrano molto più recenti e
appaiono per la prima volta in rami moderni dell’albero delle lingue.
Gli autori hanno svolto “il lavoro migliore possibile” con i dati a disposizione,
commenta il biologo evoluzionista Mark
Pagel dell’università di Reading, nel Regno
Unito. In un articolo pubblicato questo mese su Current Biology, Pagel rilette su cosa
abbia permesso alle favole di sopravvivere
nel tempo. “Perché favole, arte, canzoni,
poesie sono così longeve?”.
Secondo Tehrani le iabe più note potrebbero aver resistito perché, pur contenendo elementi tipici della dissonanza cognitiva (creature fantastiche o magia), sono
semplici da comprendere. Nella Bella e la
bestia c’è un uomo trasformato in mostro,
ma la storia parla anche della famiglia e
dell’amore, e del fatto che non bisogna giudicare dalle apparenze. Se la fantasia contraddistingue queste favole, gli elementi
ordinari le rendono facili da capire e ricordare. Il segreto della loro longevità, dice
Tehrani, potrebbe essere la fusione dell’insolito con il non troppo insolito. “Ma questo
va veriicato”, aggiunge. “Ed è la prossima
fase della nostra ricerca”. u sdf
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Scienza
il cuore
delle donne
I problemi di cuore a volte sono
più pericolosi per le donne che
per gli uomini. A questa diferenza potrebbero concorrere,
oltre alla biologia, anche le faccende domestiche e la cura dei
igli. Colleen Norris e le sue colleghe dell’università dell’Alberta, in Canada, hanno raccolto i
dati clinici e anagraici di un
migliaio di donne e di uomini
con sindrome coronarica, che
include diverse malattie cardiache tra cui l’infarto e l’angina
pectoris. A distanza di un anno
dalla diagnosi le donne stavano
peggio degli uomini. Esaminando una trentina di fattori sociali, scrive New Scientist, è
emerso che se la cavavano meno bene le persone con un basso reddito e quelle che con il
maggior carico di lavoro in famiglia, cioè le donne. Si stima
che in Canada le donne dedichino in media 14 ore a settimane ai lavori domestici, contro le
otto degli uomini. Inoltre spesso le donne sottoposte a un intervento di bypass tornano subito a occuparsi della casa e
delle altre persone, mentre gli
uomini di solito hanno qualcuno che si occupa della loro convalescenza.
Salute
vulnerabili all’inluenza
Science, Stati Uniti
La vulnerabilità delle persone
anziane all’inluenza potrebbe
dipendere più dalla risposta
immunitaria dell’organismo che dal
virus stesso. ogni anno l’inluenza
colpisce milioni di persone nel
mondo e si stima che ne uccida ino a
mezzo milione. Il 90 per cento delle
morti si registra tra chi ha più di 65
anni. Il decesso è in genere causato dalla polmonite che
segue all’inluenza vera e propria. un nuovo studio,
condotto su cellule umane e sui topi, cerca di spiegare
perché negli anziani i batteri riescono ad attaccare più
facilmente i polmoni. La minore capacità di combattere il
virus inluenzale dipenderebbe da una produzione
insuiciente di interferone, una proteina con proprietà
antivirali. La proliferazione del virus porterebbe a
un’eccessiva attivazione dei neutroili, i globuli bianchi
che combattono le infezioni. Di conseguenza, i neutroili,
oltre a combattere il virus, potrebbero danneggiare il
tessuto dei polmoni, rendendolo più vulnerabile
all’attacco batterico. Secondo i ricercatori, si potrebbe
pensare a dei trattamenti contro l’inluenza in cui venga
ridotta l’azione di questi globuli bianchi. u
neuroscienze
102
MARk MAkELA (REutERS/CoNtRASto)
Durante i lavori per l’ingrandimento del canale di Panamá sono stati trovati dei fossili di
scimmia risalenti a 21 milioni di
anni fa. È quindi possibile che le
scimmie fossero presenti in
America Centrale prima della
formazione dell’istmo di Panamá, avvenuta circa 3,5 milioni
di anni fa. Secondo Nature, la
difusione delle scimmie in Nordamerica è stata ostacolata dalla mancanza di foreste adatte,
non dalle barriere geograiche.
in breve
Ecologia È stata trovata tra il
Brasile e la Guiana Francese, alla foce del Rio delle Amazzoni,
una barriera corallina. La scogliera si trova in acque molto
torbide (nella foto) a causa dei
detriti portati dal iume, scrive
Science Advances. L’habitat ha
livelli di salinità variabili ed è
popolato soprattutto da spugne.
Etologia I babbuini che hanno
un’infanzia diicile muoiono
precocemente, circa dieci anni
prima dei loro simili, scrive Nature Communications. Alcune
possibili avversità sono la morte
della madre, la siccità, la nascita
ravvicinata di un fratello. Poiché
i babbuini, al contrario delle
persone, non possono modiicare il loro stile di vita, questo tipo
di studi aiuta a chiarire il rapporto tra le condizioni di vita
nell’infanzia e la sopravvivenza.
genetica
Paleontologia
Scimmie
americane
tANyA youNG
Salute
il sonno disturbato dalla novità
Quando si dorme in un ambiente sconosciuto, spesso il giorno dopo
ci si sveglia poco riposati. Il fenomeno potrebbe essere dovuto a una
asimmetria del cervello, che in alcune circostanze dormirebbe in
modo profondo solo con l’emisfero destro, mentre il sinistro rimarrebbe parzialmente sveglio, pronto a reagire ai rumori sospetti. Secondo Current Biology, l’asimmetria potrebbe aiutare la sopravvivenza, infatti è presente anche in altri animali, come i delini. u
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Medicina
di precisione
La casa farmaceutica Astra Zeneca ha irmato un accordo con
la Human Longevity, la startup
fondata da Craig Venter, il biologo che per primo ha sequenziato il genoma umano. L’obiettivo è raccogliere nei prossimi
dieci anni le sequenza del dna e
i dati clinici di oltre due milioni
di persone, tra cui i 500mila pazienti che hanno partecipato
agli studi clinici dell’azienda negli ultimi 15 anni. L’analisi incrociata dei dati permetterà di delineare il proilo di ogni paziente e
di studiare cure personalizzate.
Al progetto partecipano anche il
Wellcome trust Sanger institute
di Cambridge e l’istituto di medicina molecolare di Helsinki.
Il diario della Terra
Ethical living
Vacanze
sostenibili
D. SIDDIQUI (REUTERS/CONTRASTO)
sono morte travolte da una
frana nell’Arunachal Pradesh,
nel nordest dell’India.
Pesci Migliaia di pesci sono
stati ritrovati morti sulle
spiagge del Vietnam centrale.
A ucciderli potrebbero essere
state le acque di scarico di una
fabbrica d’acciaio del gruppo
taiwanese Formosa.
Latur, India
Siccità Il governo indiano
ha annunciato che 330 milioni
di persone, circa un quarto della popolazione, sono minacciate dalla siccità che ha colpito dieci stati del paese.
Alluvioni Le alluvioni causate dalle forti piogge che hanno colpito la provincia di Entre
Ríos, in Argentina, hanno costretto dodicimila persone a
lasciare le loro case.
Cicloni Il ciclone Amos ha
siorato il territorio di Wallis e
Futuna, nell’oceano Paciico.
Frane Quindici persone
104
MIkE SEGAR (REUTERS/CONTRASTO)
Terremoti Un sisma di magnitudo 6,9 sulla scala Richter
è stato registrato al largo di
Barbados, nelle Piccole Antille. Non ci sono state vittime.
Scosse più lievi sono state registrate nel centro del Cile e in
Israele. u Il bilancio del terremoto in Ecuador è salito a 655
morti e 17mila feriti.
Vegetazione Buona parte
del pianeta è più verde. I dati
satellitari raccolti tra il 1982 e
il 2009 mostrano che la stagione vegetativa si è allungata
nel 25-50 per cento del territorio coperto da vegetazione,
mentre si è ridotta nel 4 per
cento del territorio. Secondo
Nature Climate Change, l’effetto sarebbe dovuto all’aumento dell’anidride carbonica
nell’atmosfera, provocato dai
combustibili fossili. Le altre
cause sarebbero l’aumento
della disponibilità di azoto, il
cambiamento climatico e il
diverso uso dei terreni.
Clima Il 22 aprile più di 170 delegazioni hanno irmato all’Onu
(nella foto), a New York, l’accordo sul clima stipulato a Parigi
nel dicembre 2015. Ogni paese dovrà poi ratiicare il patto. Una
decina di piccoli stati molto vulnerabili al riscaldamento globale,
come le Maldive e Samoa, lo ha già ratiicato. L’accordo entrerà
in vigore solo dopo l’approvazione di almeno 55 paesi che rappresentano il 55 per cento delle emissioni globali di gas serra. Gli
Stati Uniti hanno annunciato che lo ratiicheranno entro l’anno,
la Cina entro settembre. L’Unione europea potrebbe rimanere
indietro perché ognuno dei suoi 28 stati dovrà prima completare
la procedura in casa. Resta il fatto che gli impegni presi non sono
ancora suicienti a garantire un aumento massimo della temperatura entro due gradi rispetto ai livelli preindustriali.
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
u Le vacanze si avvicinano e
cominciamo a fare progetti. Se
vogliamo proteggere il pianeta
è meglio rinunciare alle mete
lontane, scrive il New York
Times. L’ideale per l’ambiente sarebbe restare dietro casa.
La seconda migliore opzione è
visitare una località vicina e
scoprire le opportunità che la
regione dove si abita offre. Chi
vuole proprio conoscere il
mondo può almeno fare in
modo di ricompensare un paese, una località o un’amministrazione sensibile alle tematiche ambientali. Per l’Africa, il
quotidiano consiglia la Namibia, per l’America Latina la Costarica. Si può partecipare a un
campo di lavoro dedicato a
qualche tematica ambientale.
Oppure ci sono viaggi che offrono la possibilità di lavorare
con gli scienziati. L’università
di Miami, per esempio, organizza attività per la protezione
di squali e coralli. In genere,
chi gestisce questo tipo di soggiorni è molto attento agli
aspetti ambientali.
In realtà, l’inquinamento
prodotto da un viaggio di piacere non è dovuto tanto al soggiorno, quanto al viaggio vero
e proprio. L’aereo è il mezzo
più inquinante, anche se la
classe economica, con più persone in meno spazio, è un po’
più ecologica e così i voli diretti. Le auto sono più eicienti
degli aerei, soprattutto sulle
medie distanze, se si guida a
velocità moderata e tutti i posti sono occupati. Gli autobus
sono spesso la scelta migliore.
I treni diesel sono più eicienti
degli aerei e, se sono pieni, anche delle auto. I treni elettrici,
come quelli europei, sono quasi sempre meglio delle auto.
Il pianeta visto dallo spazio
CopErNICuS SENtINEL DAtA (2016), proCESSED By ESA
Il Dasht-e Kavir in Iran
Nord
10 km
u Il Dasht-e Kavir è un grande
deserto salato dell’altopiano iranico, che si estende per ottocento chilometri tra i monti
Elburz a nordovest e il deserto
Dasht-e Lut a sudest. Con temperature che in estate arrivano a
50 gradi, l’escursione termica
tra il giorno e la notte può essere
di decine di gradi. Nella zona ci
sono poche precipitazioni, ma le
acque di delusso dei monti circostanti creano laghi e paludi
stagionali. A causa dell’evaporazione, il terreno è argilloso e
sabbioso e contiene un’alta concentrazione di minerali.
I motivi che ricordano le
pennellate di un dipinto astratto
sono gli strati geologici erosi soprattutto dal vento.
Lungo il lato sinistro dell’immagine si vede una parte delle
“dune del diavolo”, chiamate
così perché si credeva fossero
infestate da spiriti maligni. La
credenza è nata probabilmente
a causa delle condizioni ostili
del luogo.
L’immagine è il risultato
della fusione di tre scansioni radar fatte dal satellite Sentinel1A il 21 gennaio, il 14 febbraio e
il 9 marzo 2016. I colori brillanti, come gli azzurri, i rossi e i
verdi presenti soprattutto nella
Grazie al radar con cui sono
equipaggiati, il satellite
Sentinel-1A e il suo gemello
appena lanciato Sentinel1B possono osservare la
Terra anche di notte e attraverso le nuvole.
u
metà di sinistra, indicano che si
sono veriicati dei cambiamenti
tra uno scatto e l’altro. Queste
zone sono laghi salati e i colori
mostrano le oscillazioni del volume dell’acqua presente di volta in volta.
Dopo alcuni tentativi falliti a
causa del cattivo tempo e di problemi tecnici, il 25 aprile è stato
lanciato il satellite Sentinel 1B,
la nuova sentinella del pianeta
che fa parte del programma Copernicus dell’Agenzia spaziale
europea (Esa). Il lancio è avvenuto dalla base di Kourou, nella
Guyana Francese, con un razzo
Soyuz.–Esa
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
105
Economia e lavoro
Schäuble scomunica Draghi
Mark Schieritz, Die Zeit, Germania
olfgang Schäuble e Mario
Draghi non avrebbero potuto scegliere un luogo
più simbolico per il loro
incontro sulla crisi. Il 15 aprile il ministro
delle inanze tedesco e il presidente della
Banca centrale europea (Bce) hanno parlato per più di due ore in un ristorante di
Washington, il 1789, l’anno in cui migliaia
di parigini marciarono verso la Bastiglia
dando inizio alla rivoluzione francese.
Quella che si prepara ora non è certo una
rivoluzione, ma gli somiglia. Per afrontare
la crisi del debito nell’eurozona, Schäuble
e Draghi avevano stretto un patto: il presidente della Bce avrebbe concordato i suoi
piani con il governo tedesco, e in cambio
Berlino avrebbe smesso di criticare le politiche monetarie dell’istituto. Non era un
accordo scritto né c’è mai stata una comunicazione uiciale, anche perché gli accordi tra governi eletti e organi indipendenti
come le banche centrali non sono la norma
in Europa. Eppure persone bene informate
confermano che il patto esiste. Ora, però,
ai vertici della Bce molti si chiedono se l’incontro di Washington sia l’inizio della ine
dell’insolita alleanza.
Il più potente ministro delle inanze e il
più potente banchiere d’Europa non sono
in cattivi rapporti personali. Draghi ammira il costante impegno di Schäuble per
un’Europa unita, Schäuble sa quant’è diicile per la Bce issare un tasso d’interesse
unico per l’intera eurozona, dove ci sono
paesi, come la Germania e la Grecia, in situazioni finanziarie molto diverse. Ma
Schäuble è anche convinto che Draghi si
sia spinto oltre il dovuto. Da navigato uomo politico sa che i bassi tassi d’interesse
possono far perdere consensi in politica,
perché mettono a rischio le pensioni dei
risparmiatori. In vista delle elezioni del
prossimo anno, il partito di Schäuble, la
KAI PFAFFENBACh (REUtERS/CONtRAStO)
Il ministro della inanze tedesco
crede che i tassi vicini allo zero
danneggino i risparmiatori e
chiede alla Bce di cambiare rotta
W
106
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Francoforte sul Meno, Germania. Il presidente della Bce Mario Draghi
Cdu, invoca già un “cambio di rotta” e vuole che il successore di Draghi sia un tedesco. In questo caso le rivendicazioni della
Cdu vanno incontro all’opinione di molti
tedeschi e anche a quella di banche e assicurazioni, che sofrono dei bassi tassi d’interesse e hanno già avviato una campagna
per il loro innalzamento. È su questo sfondo che Schäuble ha dichiarato, suscitando
accese reazioni, che la Bce è responsabile
del successo politico del partito euroscettico Alternative für Deutschland (Afd).
Finora Draghi è stato un utile alleato
del governo tedesco. Nel 2012 ha contribuito a calmare i mercati inanziari dichiarando che avrebbe difeso l’euro a ogni costo. In questo modo Berlino ha evitato
delle misure impopolari per la stabilizzazione dell’unione monetaria, come una
politica inanziaria unitaria a livello europeo. Non a caso la cancelliera Angela Merkel aveva pubblicamente garantito la sua
protezione a Mario Draghi, e lo stesso
Schäuble aveva difeso la Bce quando dei
cittadini tedeschi avevano sottoposto alcune sue misure al vaglio della corte costituzionale.
Ma la fase acuta della crisi è passata da
tempo. A parte la Grecia, i paesi indebitati
dell’eurozona non dipendono più dagli
aiuti dei loro alleati. E a diferenza di due o
tre anni fa, ora la Germania potrebbe vivere bene anche con tassi alti. Gli interessi in
gioco sono cambiati, e lo spirito di solidarietà è messo alla prova dalla crisi dei profughi.
Riforme strutturali
Non si tratta però solo di tattica politica.
Schäuble crede che con il costo del denaro
così basso possano scoppiare altre bolle inanziarie e venga meno lo stimolo alle riforme. Per questo invoca un’inversione
della politica dei bassi tassi d’interesse,
ispirata all’esperienza degli Stati Uniti.
Schäuble vuole che si ponga l’accento sulle
riforme strutturali, come l’introduzione di
maggiore lessibilità sul mercato del lavoro.
I suoi collaboratori sottolineano soddisfatti
che nel G20 la posizione della Germania è
condivisa da paesi come la Russia e la Cina.
In Europa Schäuble vuole sfruttare questo
sostegno e vincolare l’erogazione dei fondi
europei all’applicazione delle cosiddette
“raccomandazioni speciiche” per i paesi,
cioè le misure suggerite dalla Commissione
europea per raforzare le economie, che inora di fatto nessuno ha preso sul serio.
Draghi potrebbe essere d’accordo. Anche per il presidente della Bce le riforme
strutturali sono importanti, ma ritiene che
il suo compito sia provvedere alla crescita
economica e far risalire il tasso d’inlazione
al 2 per cento, il valore issato come obiettivo dall’istituto. Per Draghi, inoltre, le banche centrali non sono andate troppo in là,
hanno ancora ampi margini di manovra. Ha
iducia nella legge economica su cui le banche centrali di tutto il mondo basano le loro
politiche, quella che lui stesso ha imparato
al Massachusetts institute of technology
(Mit): le riduzioni dei tassi d’interesse generano crescita. Anche quando gli interessi
sono negativi e i cittadini non sono d’accordo. Se l’economia non si riprende, Draghi
insisterà: la Bce potrebbe comprare ancora
più titoli di stato per mettere altro denaro in
circolazione. Alcuni governatori delle banche centrali stanno già preparando l’infrazione del prossimo tabù: vogliono che gli
acquisti della Bce, il cosiddetto quantitative
easing, siano estesi alle azioni, in modo da
dare un sostegno diretto alle borse. Finora
nessuno ha osato lanciare quest’idea, ma le
cose potrebbero cambiare.
Schäuble sa che non ha strumenti giuridici per fermare Draghi. I suoi predecessori
hanno semplicemente fatto in modo che la
Bce agisse liberamente sul modello della
Bundesbank, la banca centrale tedesca. Ma
anche Draghi non può limitarsi a ignorare
gli umori della Germania, dato che è la
maggiore economia dell’eurozona. Per
questo ha cercato il contatto con Berlino, e
per lo stesso motivo le dichiarazioni di
Schäuble fanno preoccupare la Bce.
Queste polemiche sono raforzate dal
fatto che diverse banche centrali temono
l’arrivo di nuovi problemi sui mercati inanziari. La Spagna non ha raggiunto i suoi
obiettivi di risanamento del debito, la Grecia è ai ferri corti con i creditori per l’erogazione della nuova tranche di aiuti, il debito
pubblico del Portogallo potrebbe essere declassato, costringendo la Bce a non comprare più titoli di stato di Lisbona. Lo scenario
più nero è quello che vede i britannici votare
a favore della Brexit, l’uscita dall’Unione
europea, precipitando Bruxelles in una crisi
esistenziale che potrebbe mettere in discussione di nuovo la moneta unica. A quel punto gli investitori andrebbero nel panico e
fuggirebbero. Tornerebbero la crisi acuta e
le richieste d’aiuto alla Bce. Questa volta
Schäuble riiuterebbe ogni appoggio ai paesi in diicoltà. E Merkel? u nv
L’opinione
Un tentativo inaccettabile
Financial Times, Regno Unito
ell’ultimo mese Mario Draghi
è stato spesso attaccato dai politici tedeschi. Da sempre ostili
alle politiche monetarie espansive, criticano le misure di stimolo decise dal
presidente della Banca centrale europea (Bce), in particolare l’adozione di
tassi d’interesse negativi sui depositi
degli istituti di credito presso la Bce. E
attribuiscono a questi provvedimenti la
responsabilità delle diicoltà dei risparmiatori tedeschi, il cui malcontento sta raforzando i partiti populisti e
mettendo in diicoltà le istituzioni inanziarie. Queste critiche non aiutano.
È inaccettabile il tentativo di esercitare
pressioni sulla Bce perché cambi rotta,
arrivando a invocare “una maggiore
presenza tedesca nella stesura” delle
misure e un futuro presidente tedesco.
Il 21 aprile Draghi è passato al contrattacco. La banca centrale obbedisce
alle leggi e non ai politici, ha osservato,
e infatti il suo consiglio direttivo ha difeso all’unanimità la posizione attuale
e l’indipendenza dell’istituto. Descrivere le politiche della Bce come prodotto di una presidenza italiana è assurdo, ha aggiunto Draghi, dal momento che misure simili sono state
adottate in tutto il mondo sviluppato.
Inoltre le misure stanno funzionando:
senza le politiche decise nel 2014 sarebbe arrivata la delazione, la crescita
dell’eurozona sarebbe stata molto più
bassa. I bassi tassi d’interesse sono una
condizione necessaria per qualsiasi
possibilità di ripresa. Chi mette in discussione la credibilità della Bce, ha
sottolineato Draghi, rischia di far crollare la iducia degli investitori, con
l’unico risultato di costringere la Bce a
prolungare le sue politiche espansive.
Draghi ha preso atto delle preoccupazioni che hanno reso le posizioni della Bce diicili da digerire per i politici
tedeschi. Il primo anno di interessi negativi non ha impedito alle banche eu-
N
ropee di diventare nel complesso più
redditizie, ma la misura si sta rivelando
punitiva per le piccole casse di risparmio tedesche e per i fondi pensione e le
aziende che stipulano assicurazioni sulla vita, costrette per legge a garantire
un tasso di rendimento isso.
Il problema è di Berlino
Una politica monetaria sensata per
l’eurozona potrebbe nel lungo termine
rivelarsi rovinosa dal punto di vista inanziario per l’economia più importante del blocco. Ma la risposta a questo
problema non è fare pressione sulla Bce
ainché faccia gli interessi di un singolo
paese. Come Draghi ha giustamente
fatto notare, i fondi pensione e le assicurazioni statunitensi non sono crollati
nonostante il prolungato periodo di tassi d’interesse vicini allo zero. Gli istituti
inanziari tedeschi sono in soferenza
soprattutto a causa delle regolamentazioni nazionali e del loro modello economico. Berlino deve assumersi la responsabilità del problema, anche se è
in un momento diicile per il malcontento causato dalle sue politiche sui
profughi. Lo statuto della Bce impone
di riportare l’inlazione al livello stabilito, non di proteggere il sistema del risparmio tedesco. E dal momento che
Berlino continua a opporsi a molte possibili alternative, Draghi potrebbe continuare a tenere bassi i tassi di interesse
anche in futuro.
Draghi è stato cauto sull’adozione
di ulteriori misure espansive, ma è arrivato il momento di parlare delle scelte possibili nel caso che fosse necessario intraprendere nuove azioni. Il tentativo di descrivere le politiche della
Bce come una battaglia tra interessi
nazionali mina le basi dell’euro. Questo non è negli interessi della Germania. Se Berlino vuole che l’unione monetaria abbia successo deve fare un
passo indietro. u gim
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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economia e lavoro
TORu HANAI (ReuTeRS/CONTRASTO)
arabia Saudita
BanChe
Goldman Sachs
apre alle masse
Dopo il petrolio
“Per quasi 150 anni la Goldman
Sachs è stata la banca di riferimento dei ricchi e dei potenti.
Ma ora il colosso di Wall street
ha deciso di aprire alle masse offrendo conti di risparmio online
per i quali basta il deposito di un
dollaro”, scrive il Financial Times. Questa svolta è dovuta al
fatto che l’istituto ha bisogno di
trovare nuove fonti di entrate.
Le grandi banche d’investimento statunitensi sono in diicoltà
a causa della volatilità dei mercati e delle regole più rigide per
il settore inanziario. Il lancio
del conto di risparmio è arrivato
dopo l’acquisizione della Ge Capital, un’azienda inanziaria da
cui Goldman Sachs ha ereditato
145mila correntisti. Goldman
Sachs ofre un tasso annuale
dell’1,05 per cento, “superiore a
quello di altre grandi banche”.
Bloomberg Businessweek, Stati Uniti
Consumi
truccati
“Il produttore di automobili
Mitsubishi Motors ha ammesso
di truccare i test sui consumi di
benzina dei suoi modelli dal
1991”, scrive la Bbc. L’ammissione arriva dopo recenti rivelazioni secondo cui l’azienda giapponese avrebbe falsiicato i dati
sui consumi di più di 600mila
vetture vendute in Giappone.
Nella maggior parte dei casi di
tratta di modelli che hanno avuto successo per i loro bassi consumi. Il presidente della Mitsubishi Motors, Tetsuro Aikawa
(nella foto), ha aperto un’inchiesta interna, da cui potrebbero
emergere altre irregolarità. Il
numero di auto coinvolte nello
scandalo è ancora ignoto.
Germania
auStralia
l’afare
degli studenti
“Le università australiane sono
frequentate da più di 266mila
studenti stranieri. Il 40 per cento di loro arriva dalla Cina”, scrive Le Monde. Con la caduta dei
prezzi delle materie prime, spiega il quotidiano, “l’Australia cerca nuovi settori trainanti per la
sua economia, e il governo ha
individuato nell’istruzione internazionale una soluzione”.
Nel 2015 gli studenti stranieri
hanno garantito al paese entrate
per 13,1 miliardi di euro, la voce
più alta dopo le esportazioni di
ferro (36,5 miliardi di euro) e di
carbone (25,3 miliardi).
Banchieri
assolti
“Il 25 aprile si è conclusa con
un’assoluzione una delle vicende giudiziarie a sfondo economico più spettacolari della storia
tedesca”, scrive la Süddeutsche Zeitung. Il tribunale
di Monaco di Baviera ha assolto
cinque ex manager della
Deutsche Bank – tra cui gli ex
amministratori delegati Jürgen
Fitschen, Joseph Ackermann e
Rolf Breuer – dall’accusa di falsa
testimonianza nei processi seguiti al crollo dell’impero editoriale del magnate Leo Kirch.
“Nel 2002 Breuer, all’epoca amministratore delegato, mise in
dubbio in un’intervista la solvibilità delle imprese di Kirch, tra
cui la casa editrice Axel Springer
e la tv privata Sat1. Quelle parole
furono interpretate dai mercati
come la volontà della Deutsche
Bank di abbandonare al suo destino il gruppo Kirch, che infatti
poche settimane dopo dichiarò
fallimento” senza riuscire a trovare nuovi inanziamenti. L’imprenditore, scomparso nel 2011,
considerò “per il resto della sua
vita” la banca la principale responsabile del fallimento. “Le
accuse fecero aprire una serie di
processi, che nel 2014 hanno
portato la Deutsche Bank a versare agli eredi di Kirch un risarcimento di 925 milioni di euro”.
In seguito, tuttavia, il tribunale
di Monaco ha messo sotto accusa i cinque manager per aver
mentito in quei processi. Ora,
però, è arrivata la sentenza di
assoluzione.
DR
Giappone
“Negli ultimi due anni il principe
Mohammed bin Salman, l’erede al
trono dell’Arabia Saudita, ha lavorato
a profonde riforme economiche,
amministrative e sociali” per
superare la totale dipendenza del
paese dalle entrate del petrolio, scrive
Bloomberg Businessweek. Il
principe Mohammed ha un potere
senza precedenti nel regno: controlla la produzione di
greggio, il fondo d’investimento nazionale, la politica
economica e il ministero della difesa. Il 25 aprile ha
presentato uno “storico progetto di riforme” che prevede
la creazione di un fondo sovrano da duemila miliardi di
dollari grazie al collocamento in borsa dell’azienda
petrolifera di stato, la Saudi Aramco. Il fondo inanzierà
soprattutto investimenti per la diversiicazione
dell’economia nazionale. Finora, spiega il settimanale, la
monarchia saudita si è retta su un preciso contratto
sociale: l’obbedienza assoluta del popolo in cambio di
generosi sussidi inanziati dal petrolio. Il calo del prezzo
del greggio, però, ha fatto saltare il sistema, rendendo il
bilancio pubblico insostenibile a causa di un deicit di oltre
duecento miliardi di dollari. ◆
in Breve
Stati Uniti Il dipartimento del
tesoro statunitense ha annunciato che sulle nuove banconote
da venti dollari ci sarà il volto di
Harriet Tubman, un’attivista
che nell’ottocento si battè per
l’abolizione della schiavitù. In
seguito militò anche nel movimento per il diritto di voto alle
donne. Tubman è la prima donna a comparire su una banconota statunitense da più di cento
anni.
Mercati Secondo il Fondo monetario internazionale, il calo
del prezzo del greggio ha fatto
perdere ai paesi esportatori di
petrolio 500 miliardi di dollari.
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
Buni
Ryan Pagelow, Stati Uniti
Sephko
Gojko Franulic, Cile
Fingerpori
Pertti Jarla, Finlandia
Mediocri
Tuono Pettinato, Italia
Strisce
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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L’oroscopo
Rob Brezsny
Sei in una fase in cui sarai ricompensato per la tua innocenza e originalità. Più coltiverai la “mentalità del
principiante”, più ti dimostrerai intelligente. Quello
che desideri diventerà possibile a tal punto da farti dimenticare
tutto quello che pensavi di sapere su quello che desideri. Come
diceva Henri Matisse, se un pittore veramente creativo vuole dipingere una rosa “deve prima dimenticare tutte le rose che ha
dipinto”. E tu cosa dovresti dimenticare?
ARIETE
Il tuo oracolo di questa settimana forse è discutibile.
Contiene consigli che la maggior
parte degli astrologi non darebbe
mai a un Ariete. Ma sono convinto
che in questo momento tu sia più
disponibile del solito a raccogliere
la sida, e anche che tu ne abbia
particolarmente bisogno. Quindi
studia questa citazione dello scrittore Mark Z. Danielewski: “La passione ha poco a che vedere con
l’euforia e molto a che vedere con
la pazienza. Non è una questione
di benessere, ma di sopportazione.
Come pazienza, anche passione
deriva dalla radice latina pati”.
GEMELLI
“Sono un’eroina anche se
tra tutti salvo solo me stessa?”, si chiede la poeta B. Damani.
Se in questo momento tu mi facessi la stessa domanda, ti risponderei: “Sì, Gemelli”. Se mi chiedessi
di spiegartelo meglio, aggiungerei:
“In questo momento puoi essere
un eroe solo salvando te stesso.
Non puoi redimere nessun altro ino a quando non avrai redento te
stesso”. E se mi chiedessi come risolvere il problema, concluderei:
“Abbi il coraggio di essere il tipo di
eroe che hai sempre temuto di non
poter essere”.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
CANCRO
“Nella nostra vita abbiamo
bisogno di persone con cui
poter essere più sinceri possibile”,
dice lo psicoterapista Thomas
Moore. Sono d’accordo con lui. Per
la nostra salute mentale, la cosa
migliore è poter parlare apertamente con qualche spirito libero
che non si censura e non si aspetta
che ci autocensuriamo. Questo è
sempre vero, naturalmente, ma
per te nelle prossime settimane sa-
rà una necessità assoluta. Perciò ti
consiglio di fare tutto il possibile
per trovarti in compagnia di menti
curiose che amano ascoltare e dire
la verità. Cerca ogni opportunità di
esprimerti ino in fondo e con
estrema chiarezza. “Parlare veramente con qualcuno può sembrare
una cosa semplice”, dice Moore,
“ma richiede coraggio e disponibilità a correre qualche rischio”.
ciante del quale sei schiava? Le
prossime settimane saranno il momento ideale per liberartene.
BILANCIA
“Chiunque abbia costruito
un nuovo paradiso ha trovato la forza per farlo solo nel proprio
inferno”. Questa nobile verità è
stata espressa dal ilosofo della Bilancia Friedrich Nietzsche, e sono
sicuro che per il resto del 2016 sarà
particolarmente importante per te.
La cattiva notizia è che negli ultimi
mesi hai dovuto esplorare il tuo
personale inferno più di quanto
avresti voluto. La buona notizia è
che le esplorazioni stanno per inire. Quella fantastica è che ti stai
già facendo un’idea su come usare
quello che hai appreso. Quando arriverà il momento di cominciare a
costruire un nuovo paradiso sarai
ben preparata.
LEONE
Qualche tempo fa ho visto il
ilmato di un elicottero che
cercava di atterrare sul piccolo
ponte di una nave danese di pattuglia nel mare del Nord. C’era vento
e il mare era in burrasca. Sembrava un’impresa diicile, al limite
dell’impossibile. Il pilota continuava a volteggiare intorno alla nave
in balìa delle onde. Ma a un certo
punto c’è stato un momento di calma e lui ne ha approittato per atterrare senza problemi. Secondo la
mia analisi dei presagi astrali, nei
prossimi giorni potresti trovarti in
una situazione simile. Per uscirne,
non dovrai fare altro che aspettare
un breve momento di calma e agire con decisione e rapidità.
VERGINE
“Mostratemi un uomo che
non è schiavo”, scriveva Seneca. “Uno è schiavo della lussuria, un altro dell’avidità, un terzo
dell’ambizione; tutti sono schiavi
della speranza o della paura”.
Commentando questa rilessione,
il blogger Ryan Holiday dice: “Sono amareggiato dal mio asservimento all’insicurezza, dal mio risentimento nei confronti delle persone che non mi piacciono, dal potere che l’approvazione e il favore
di certe persone hanno su di me”.
E tu? C’è qualche stato emotivo,
pensiero assillante o desiderio bru-
SCORPIONE
Zugzwang è una parola di
origine tedesca che si usa
negli scacchi e in altri giochi per
indicare la situazione in cui un giocatore è in diicoltà perché qualunque mossa scelga ne uscirà indebolito. Ti propongo di coniare
una nuova parola che abbia un signiicato opposto: zugfrei, che
d’ora in poi indicherà una situazione in cui tutte le opzioni che hai
davanti sono positive o costruttive,
quindi non puoi fare una mossa
sbagliata. Penso che questo colga
l’essenza dei tuoi prossimi giorni,
Scorpione.
SAGITTARIO
“Dobbiamo imparare a vivere con le nostre debolezze”, afermava il poeta Stanley Kunitz. “Le persone migliori che conosco sono inadeguate e non se ne
vergognano”. Questo è l’atteggiamento che spero adotterai nelle
prossime settimane. Per quanto tu
sia forte e capace, per quanto ti
sforzi di fare del tuo meglio, sei
ben lontano dalla perfezione. E
questa è una fase speciale del tuo
ciclo astrale in cui puoi imparare
ad accettare questa realtà.
CAPRICORNO
Come si riproducono le
piante? Generando semi de-
stinati a viaggiare. I semi delle orchidee e dei denti di leone sono così leggeri che possono percorrere
lunghe distanze luttuando
nell’aria. Quelli di asclepiade sono
un po’ più pesanti, ma si lasciano
facilmente trasportare dal vento.
Quelli di digitale e di platano riescono a galleggiare anche sull’acqua. Gli uccelli e altri animali sono
i mezzi di trasporto dei semi di
bardana, che si attaccano a piume
e pellicce. Spero che queste considerazioni stimolino in te idee creative su come disperdere i tuoi semi
metaforici, Capricorno. È ora che
tu esprima con forza la tua natura,
lasci il tuo segno e difonda la tua
inluenza.
ACQUARIO
“È un errore voler essere
compresi senza esserci prima chiariti con noi stessi”, diceva
la ilosofa Simone Weil. Spero che
questa rilessione ti metta un po’ a
disagio e ti spinga a cercare di capire meglio certe tue idee vaghe,
confuse immagini di te stesso e intenzioni fumose. Presto verrà il
momento in cui dovrai chiedere
più empatia e riconoscimenti alle
persone alla cui opinione tieni particolarmente. È ora che tu sia apprezzato e visto per quello che sei
veramente. Ma prima che queste
belle cose possano succedere, è
necessaria una fase di introspezione. Dovrai chiarire e approfondire
il rapporto con te stesso.
PESCI
“Non ho mai permesso che
l’istruzione interferisse con
la mia educazione”, diceva lo scrittore Mark Twain. È un ottimo consiglio, e nelle prossime settimane
dovresti applicarlo anche tu. In generale, le conoscenze che hai accumulato e le capacità che hai sviluppato sono beni preziosi. Ma
nell’immediato futuro potrebbero
impedirti di apprendere le lezioni
che ti servono di più. Per esempio,
potrebbero indurti a pensare che
sei più intelligente di quanto tu
non sia in realtà. Oppure impedirti
di cogliere certe verità semplici e
apparentemente ovvie che dal tuo
soisticato punto di vista sei troppo
orgoglioso per vedere. Cerca di essere uno studente umile, mio caro.
Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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internazionale.it/oroscopo
TORO
COMPITI PER TUTTI
Racconta come sei sfuggito alla seducente
moda del cinismo senza diventare un
ingenuo che crede a tutto.
bertraMS, paeSI baSSI
L’ultima
È morto prince. “Un nuovo vicino di casa”.
pIraro, StatI UnItI
cHappatte, tHe InternatIonal new york tIMeS
“Il generico è meno caro, sì. Ma se vuole risparmiare
davvero prenda il placebo”.
ScHwartz
abbaS, l’Hebdo, SvIzzera
william Shakespeare: “la vita è una favola raccontata da un
idiota, piena di rumore e furore, che non signiica nulla”.
“troppo lungo”.
“Sembra l’ennesimo caso del quarantenne che prova
a capire Snapchat”.
Le regole Carta igienica
1 Quando sei in bagno e hai inito la carta è uno dei momenti in cui sei felice di avere dei igli. 2 Quella dei
bagni pubblici non è carta igienica: è carta vetrata. 3 Hai di nuovo intasato il bagno. Ma non potevi farti un
bidet? 4 Quando iniscono i tovaglioli di carta usa la tovaglia, le mani, tutto. Ma la carta igienica a tavola
no. 5 Un cucciolo che gioca con un rotolo di carta è dolce solo quando lo fa in tv. [email protected]
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Internazionale 1151 | 29 aprile 2016
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