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La battaglia contro i farmaci che costano troppo
n. 1151 • anno 23 Joseph Stiglitz I tassi d’interesse negativi non bastano internazionale.it Stati Uniti La vergogna di San Francisco 3,00 € Musica Prince, il genio sfuggente PI, SPED IN AP, DL • BE • CH DE ART DCB VR CHF • UK 29 apr/5 mag 2016 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo La battaglia contro i farmaci che costano troppo L’India sfida le multinazionali farmaceutiche occidentali garantendo anche ai più poveri l’accesso ai medicinali 29 aprile/5 maggio 2016 • Numero 1151 • Anno 23 “Non sono una donna, non sono un uomo, sono qualcosa che non capirai mai” Sommario priNce A pAgiNA La settimana 29 apr/5 mag 2016 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo n. 1151 • anno 23 internazionale.it Stati Uniti Joseph Stiglitz I tassi d’interesse negativi La vergogna di San Francisco non bastano 3,00 € Musica Prince, il genio sfuggente iN copertiNA La salute non ha prezzo Lavoro La battaglia contro i farmaci che costano troppo L’India sida le multinazionali farmaceutiche occidentali garantendo anche ai più poveri l’accesso ai medicinali (p. 42). Elaborazione di Steve Caplin da una foto di Lauren Burke (Getty Images) L’India sida le multinazionali farmaceutiche occidentali garantendo anche ai più poveri l’accesso ai medicinali siriA Storia Universale In principio la Terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella faticata. Per passare i iumi non c’erano ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta. Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta. C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. Da correggere, però, ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti! Gianni Rodari, Favole al telefono (Einaudi 1962) 16 Tra le rovine di Aleppo Middle East Eye stAti uNiti 20 Gli sconitti del boom petrolifero The Washington Post europA 24 L’estrema destra 26 28 avanza in Austria Le Temps La Serbia conferma Vučić The Economist Dieci problemi di Londra per il futuro sindaco The Guardian AsiA 30 Gli abusi portogAllo 56 Un rifugio per gli ucraini New Eastern Europe portfolio 82 Cinema, libri, musica, arte Nancy Borowick Le opinioni 68 Vivere e morire ritrAtti 12 74 Emmanuel di Bassora Die Zeit Domenico Starnone 38 Ivan Krastev Macron The Guardian 40 Joseph Stiglitz 84 Gofredo Foi viAggi 86 Giuliano Milani 88 Pier Andrea Canei nell’oceano The Independent 99 Tullio De Mauro 76 Un puntino grAphic jourNAlism 80 Il genio sfuggente irAq cultura di San Francisco The Guardian visti dAgli Altri 52 La poesia scomunica Draghi Die Zeit stAti uNiti 78 Milano rischiano la vita combattendo le maie Time 106 Schäuble 60 La vergogna dell’unità antiterrorismo Asia Sentinel 34 I preti che ecoNomiA e lAvoro Andrea Ferraris musicA le rubriche 12 Posta 15 Editoriali 111 Strisce 113 L’oroscopo 114 L’ultima The Guardian pop 94 Folla a pagamento Davy Rothbart scieNzA 101 Favole di seimila anni fa Science Articoli in formato mp3 per gli abbonati le principali fonti di questo numero Middle East Eye È un sito di notizie sul Medio Oriente e sul Nordafrica fondato nel febbraio del 2014. L’articolo a pagina 16 è uscito il 24 aprile 2016 con il titolo Inside shattered Aleppo: ‘You cannot imagine how beautiful it was before’. Asia Sentinel È un giornale online di Hong Kong in lingua inglese con notizie e approfondimenti sull’Asia. L’articolo a pagina 30 è uscito il 14 aprile 2016 con il titolo Indonesia’s feared anti-terrorism squad under ire in hunt for Isis . The Caravan È un mensile indiano in lingua inglese di politica e cultura. L’articolo a pagina 42 è uscito nel numero di marzo 2016 con il titolo Drug deals. New Eastern Europe È un bimestrale polacco che si occupa di politica ed economia nell’Europa centrorientale. L’articolo a pagina 56 è uscito con il titolo Seeking refuge in distant Portugal. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 5 internazionale.it/sommario Giovanni De Mauro Immagini Fantasmi nucleari Černobyl, Ucraina 15 aprile 2015 Scienziati nella sala di controllo del secondo reattore della vecchia centrale nucleare di Černobyl. Il 26 aprile 1986 l’esplosione del quarto reattore segnò l’inizio del più grande disastro nella storia dell’energia atomica a uso civile. La fuga di materiale radioattivo continuò per dieci giorni, contaminando un’area di circa 200mila chilometri quadrati. Milioni di persone furono esposte alle radiazioni. Malgrado la contaminazione, a trent’anni di distanza la cosiddetta zona di esclusione si è trasformata in un ecosistema ricco di fauna selvatica e dovrebbe presto diventare una riserva naturale. Foto di Michal Huniewich (Exclusivepix Media/Karma press photo) Immagini Fumata bianca Toronto, Canada 20 aprile 2016 Migliaia di persone fumano erba nel centro di Toronto per chiedere ai governi di legalizzare la marijuana. Negli stessi giorni alle Nazioni Unite si è svolta una sessione speciale dedicata al tema del controllo delle droghe. Il 20 aprile il governo di Justin Trudeau, in Canada, ha annunciato un piano per legalizzare il consumo e la vendita della marijuana entro la primavera del 2017. Due giorni dopo il presidente messicano Enrique Peña Nieto ha proposto di legalizzare l’uso della marijuana per scopi terapeutici. Foto di Mark Blinch (The Canadian Press/Ap/Ansa) Immagini Tono su tono Namibia 25 dicembre 2015 Un rinoceronte bianco in Namibia. Questa foto di Maroesjka Lavigne, intitolata Land of nothingness, ha vinto il primo premio nella sezione Paesaggio ai Sony world photography awards. I vincitori nella categoria Professionisti sono stati annunciati il 21 aprile. I Sony world photography awards, giunti quest’anno alla nona edizione, sono il più grande concorso fotografico al mondo per quantità di categorie e sezioni. Le immagini dei fotograi inalisti e vincitori saranno esposte alla Somerset house di Londra ino all’8 maggio del 2016. Foto di Maroesjka Lavigne. [email protected] Il Brasile non è stanco u Un governo legittimamente eletto rischia la sua ine anticipata attraverso una procedura condotta in modo palesemente irregolare ma in sintonia con gli interessi statunitensi. Siamo in Medio Oriente? No, nel vecchio cortile dell’America Latina. Da parte di Internazionale mi aspettavo una copertura all’altezza degli avvenimenti e magari senza il ricorso alle solite immagini che vogliono una presidente stanca di resistere. Clara Addestrarsi al dolore u L’articolo di Domenico Starnone (Internazionale 1149) sul dolore e l’empatia è la concretizzazione sulla carta di ciò che sto pensando da moltissimo tempo. Com’è possibile insegnare l’empatia in questa società sempre più chiusa? E poi, anche provando a essere empatici, cosa cambierebbe? Da madre mi metto nei panni delle madri che portano i bambini in braccio guadando un iume, con pochissime cose addosso e tantissima disperazione e paura negli occhi. Lo faccio, sto male, ma poi cosa succede? Torno alla mia vita, cercando di “non pensarci troppo”. Dovrebbe esserci la ricetta dell’empatia perfetta. Maria Cunial ho trovato una fortissima ainità con Newsweek, rivista che ho divorato per decenni. Mettere insieme articoli belli di tutto il mondo mi dà inalmente il piacere di poter leggere un settimanale come si deve, allontanando la retorica nazionalista. Maria Titone 12 Fuori dalla cripta I consigli di Rob u Nel numero 1150 di Internazionale, a pagina 32, un articolo racconta la condizione del Gambia sotto la dittatura di Yahya Jammeh con tanto di manifestazioni represse nel sangue. Nel numero precedente nella sezione Viaggi un servizio magniicava, oltre le bellezze del paese, anche la relativa tranquillità sociale rispetto al resto dell’Africa. Non sono articoli in contrasto l’uno con l’altro? Matteo Guerrini u Per seguire i consigli dell’oroscopo di Brezsny mi sono ritrovato nella merda. Ma è stato molto divertente! Federico Errata corrige u La poesia Rappresentazione, pubblicata su Internazionale 1150, è tradotta da Jolanda Guardi. Errori da segnalare? [email protected] Senza retorica PER CONTATTARE LA REDAZIONE u Ho scoperto la vostra rivista e non ne posso fare a meno. Essendo cresciuta all’estero quindi di madrelingua inglese, Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it Domande seccanti La presentatrice tv Ellen DeGeneres e sua moglie Portia de Rossi, una delle coppie più amate d’America, erano perseguitate dalla stessa domanda. Ora però hanno annunciato l’arrivo di un bambino di nove mesi: un piccoletto che sbava, va a quattro zampe e lascia peli in giro per casa. Eh già, perché Bambino (in inglese, Kid) è il nome del loro nuovo cane. “Circolano voci Domenico Starnone La sida del Gambia Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli Siamo stui di sentirci chiedere continuamente “quando fate un iglio?”. Come sfuggire a questo strazio?–Clara e Stefano Parole da anni”, ha scherzato Ellen durante il suo talk show. “Ci chiedono sempre: ‘Quand’è che avrete un bambino?’. Adesso che abbiamo un Bambino spero che la questione sia chiusa”. Secondo l’ultimo censimento, il 47,6 per cento delle donne statunitensi tra i 15 e i 44 anni non ha igli ed è il dato più alto mai registrato. Eppure quella domanda si continua a fare. Se può consolarti, però, le domande seccanti le ricevono in tanti. Ricordo una cena in cui una ragazza che ha detto di essere buddista si è sentita dire da un commensale: “Davvero? E Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 perché?”. Così come i vegetariani sono bersagliati da: “Lo sei per animalismo o perché non ti piace la carne?”. Nel nostro caso di famiglia omogenitoriale ci chiedono: “E chi è il padre biologico?”. Non credo che abbia senso rispondere male a chi ti fa una domanda indelicata senza rendersene conto. Però poi quando ti trovi con un gruppo di amici o parenti racconta di quanto ti ha messo a disagio la cosa. E così ne avrai educati dieci in un colpo solo, senza aver risposto male a nessuno. [email protected] u Forse è Shakespeare, forse è Il trono di spade. La pubblicità della sesta stagione del famoso serial ha messo in scena questa alternativa. Ad alcuni degli attori ormai notissimi, che contribuiscono da anni alla buona riuscita del fantasy televisivo, venivano sottoposte brevi citazioni e loro, come del resto lo spettatore a casa, dovevano decidere se erano shakespeariane o troniane. Gli attori a volte sbagliavano, a volte ce la facevano. E anche lo spettatore iniva per trovarsi nella stessa condizione ma, più degli attori, provava un po’ di vergogna quando scambiava, che so, una frase di Enrico V ad Azincourt per una di Jon Snow alla Barriera. Vergogna che, se non passava, diventava indignazione. Shakespeare accostato al Trono di spade? Il grande William si stava di sicuro rivoltando nella tomba. O no, forse un “forse” sta bene anche qui. Shakespeare potrebbe essere lietissimo di aver messo, a quattrocento anni di distanza dal giorno della sua morte, qualche bella frase ricca di senso in bocca agli Stark o ai Lannister. La letteratura non è roba per gelosi cultori della bellezza. Essa anzi rischia di appassire, se la si immagina soltanto sugli scafali di pochi eletti. Parole splendide, tecniche audaci di ogni tempo non fanno benissimo a uscire dalla cripta dei libri ed esercitare la loro inluenza attraverso Il trono di spade o House of cards? Editoriali Tre no al trattato transatlantico “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Francesca Gnetti, Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (web, caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore), Giulia Zoli Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio), Valeria Quadri, Marta Russo Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli, Andrea Fiorito, Lucia Magi, Stefania Mascetti (caposervizio), Martina Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli, Alberto Emiletti Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci, Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Marina Astrologo, Matteo Colombo, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Andrea Ferrario, Federico Ferrone, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Irene Sorrentino, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, China Files, Sergio Fant, Andrea Ferrario, Anita Joshi, Andrea Pira, Fabio Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312 info@ameonline.it Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Signiica che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per ini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected] Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì 27 aprile 2016 Pubblicazione a stampa ISSN 11222832 Pubblicazione online ISSN 24991600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 156 595 (lunven 9.0019.00), dall’estero +39 041 509 9049 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lunven 9.0018.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in MaterBi Laurent Jofrin, Libération, Francia Per com’è stato proposto, il Partenariato transa tlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip) è inaccettabile. Durante la sua ultima visita in Eu ropa il presidente statunitense Barack Obama ha sollecitato la sua approvazione. Ma il governo francese e la Commissione europea dovrebbero opporre a questo tentativo ossessivo, dogmatico e pericoloso un triplo no. No all’allucinante segretezza che avvolge la questione. Certo, sappiamo che in ogni caso l’ac cordo dovrebbe essere approvato dai governi e dai parlamenti eletti dai cittadini. Ma per quale motivo i cittadini europei, che sono i diretti inte ressati, dovrebbero continuare a ignorare tratta tive su cui hanno il diritto di dire la loro prima che si arrivi a una stesura deinitiva? No all’indebolimento delle norme sanitarie e ambientali, l’inevitabile risultato di un compro messo con una potenza mondiale che su questi temi è meno esigente dell’Europa. No all’assurda clausola sugli arbitrati, che sot tometterebbe gli stati democratici alle decisioni prese da tribunali privati che non hanno né rap presentatività né legittimità e che seguono solo la loro fede nel libero scambio, al di fuori di qualsia si considerazione sociale o ambientale. C’è biso gno di ricordare che un tribunale del genere ha condannato il governo australiano per aver ap provato norme contro il fumo che danneggiavano gli interessi delle multinazionali del tabacco? Tutti sanno che lo sviluppo del commercio mondiale è un fattore di crescita, che la specializ zazione delle economie aumenta la produttività e che in molti casi è più conveniente importare un prodotto che non si è in grado di produrre a un co sto soddisfacente. Ma questa legge fondamentale del commercio presenta anche dei gravi inconve nienti se si spinge ad abbassare gli standard, a devastare intere regioni o a concedere poteri esorbitanti alle grandi aziende. u f La verità sui ragazzi di Iguala The New York Times, Stati Uniti Nel dicembre del 2014 il presidente messicano Enrique Peña Nieto visitò Iguala, dove alcuni me si prima 43 studenti diretti a una manifestazione a Città del Messico erano scomparsi in circostan ze poco chiare. “Facciamo un passo avanti”, di chiarò Nieto. Forse si illudeva di poter voltare pagina su un episodio che aveva scandalizzato il paese, mentre il suo governo non sapeva dire chi avesse commesso quel crimine e perché. Qualche settimana prima, cedendo alle mani festazioni e alle pressioni della comunità interna zionale, Nieto aveva accettato l’avvio di un’inda gine da parte del Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei), nominato dalla Com missione interamericana sui diritti umani. Inter vistando i testimoni e analizzando le prove, gli esperti hanno ottenuto informazioni che smenti vano la versione del governo messicano , secondo cui gli studenti sono stati uccisi e bruciati in una discarica da agenti della polizia locale collusi con il cartello dei Guerreros unidos. A settembre del 2015 il Giei ha pubblicato un rapporto secondo cui alcuni testimoni hanno no tato agenti della polizia federale e soldati sul luo go del rapimento. L’indagine ha inoltre escluso che nella discarica ci sia stato un rogo abbastanza grande da bruciare 43 cadaveri. Invece di riconoscere quelle conclusioni, il governo ha ignorato le richieste d’informazioni e ha ostacolato l’accesso ai testimoni. Quando sulla stampa messicana sono apparsi articoli che deni gravano due esperte, il Giei ha sospettato una campagna difamatoria sostenuta dal governo. Il secondo rapporto, pubblicato il 24 aprile 2016, non chiarisce cos’è successo agli studenti, ma è un atto d’accusa nei confronti del sistema giudiziario messicano. Il rapporto sottolinea che la versione uiciale si basa su testimonianze otte nute con la tortura e critica gli investigatori mes sicani per non aver seguito alcune piste e non aver riconsiderato alcune conclusioni alla luce delle nuove prove. Questo raforza l’ipotesi che la poli zia federale abbia partecipato al crimine per poi cercare di coprire le tracce. Gli esperti del Giei hanno tenuto una confe renza stampa a Città del Messico prima di lascia re il paese: il loro mandato è in scadenza e il go verno non intende rinnovarlo. Alla conferenza i parenti delle vittime hanno gridato in coro: “Non andate via!”. Nessun rappresentante del governo si è degnato di presentarsi. Questo la dice lunga sulle intenzioni dell’esecutivo di riformare le isti tuzioni giudiziarie e superare la propria indife renza nei confronti dei cittadini. u as Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 15 AMeer ALHALBI (Afp/Getty IMAGeS) Siria Tra le rovine di Aleppo Tom Westcott, Middle East Eye, Regno Unito Nella seconda città più grande della Siria i combattimenti tra l’esercito di Damasco e i gruppi dell’opposizione mettono sempre più a rischio la tregua in tutto il paese L’ antico suq di Aleppo è pieno di fumo, mentre il sole penetra dalle alte inestre illuminando il soitto a volta carbonizzato e un ritratto del presidente Bashar al Assad. Con il fumo e il crepitio occasionale dei kalashnikov si concludono i combattimenti scoppiati per strada quindici minuti prima, quando le forze dell’opposizione hanno aperto il fuoco contro una postazione dell’esercito. Un tempo brulicante di vita, 16 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 il suq della città vecchia di Aleppo, considerata dall’Unesco patrimonio culturale dell’umanità, da tre anni e mezzo è teatro di scontri tra le truppe governative e i ribelli. Il mercato coperto, le cui fondamenta risalgono al secondo millennio avanti Cristo, è stato devastato dal conlitto. Le botteghe sono ormai involucri bruciati, le loro facciate somigliano a bocche spalancate che lasciano intravedere le merci tra le macerie, e le saracinesche sono accartocciate e punteggiate da fori di proiettile. Le tre botteghe di Mahmoud Memay, che vendeva strumenti musicali tradizionali costruiti a mano, sono state distrutte nel 2012. Un tempo Memay esponeva quegli strumenti alle iere dell’artigianato di tutto il mondo, ma oggi del lavoro di una vita gli restano solo venti articoli. “Come potevo prevedere che avrei potuto perdere Dopo un bombardamento in un quartiere ribelle di Aleppo, il 26 aprile 2016 tutto in un attimo?”, chiede Memay scuotendo la testa nell’unica bancarella ancora in attività nel suq, un negozio improvvisato dove si può comprare cibo da asporto. La bancarella si trova in una galleria silenziosa e chiusa, dove strisce di stofa appese tra i pilastri non fanno entrare la luce del sole e proteggono i soldati dai cecchini. “Ho aperto questa bottega all’inizio degli scontri e sono qui tutti i giorni”, racconta. Anche se è stato colpito quattro volte da frammenti di proiettile, Memay ribadisce di non voler andare via. I suoi clienti – più o meno una quarantina al giorno – sono soprattutto soldati e qualche componente delle 38 famiglie che si sono riiutate di lasciare le loro case nella città vecchia. Le donne continuano a lavare i panni sui balconi che si afacciano su strade minacciate di continuo dal fuoco dei cecchini. Altre persone si sono rifugiate in quartieri più sicuri di Aleppo. L’ex studentato del campus universitario, trasformato in un centro di accoglienza, ospita 33mila persone. All’esterno tra i teloni grigi dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, alcuni uomini sono radunati davanti a una bandiera siriana e al ritratto di un giovane soldato, Amar Seraj Ali, 24 anni, morto in combattimento alla periferia di Deir Ezzor, controllata dal gruppo Stato islamico (Is). Sono lì per fare le condoglianze alla famiglia in lutto. Mi dicono che funerali di questo tipo sono molto frequenti e che la maggior parte delle famiglie siriane ha perso qualcuno nel conlitto. Il governo non ha reso noto il bilancio delle vittime, ma le Nazioni Unite hanno calcolato che 250mila persone sono morte nei cinque anni di guerra. L’inviato speciale per la Siria, Stafan de Mistura, ha dichiarato che le vittime potrebbero essere anche 400mila. Bombe e iori La città vecchia è uno dei tanti quartieri di Aleppo in cui la tregua nazionale sostenuta dalla Russia e dagli Stati Uniti, entrata in vigore il 27 febbraio, ha mostrato la sua fragilità. Tutte le parti in conlitto sono accusate di averla violata. Le forze governative proseguono l’offensiva contro i gruppi di opposizione deiniti terroristi dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, tra cui l’Is e il Fronte al nusra, il ramo siriano di Al Qaeda. Gli attivisti dei quartieri controllati dai ribelli nelle zone a sud e a est della città il 22 aprile hanno denunciato che almeno 25 persone, in gran parte civili, sono state uccise nei bombardamenti compiuti dall’esercito. Anche i ribelli portano avanti attacchi saltuari. All’inizio di aprile un razzo artigianale – una bombola del gas attaccata a un tubo – ha colpito il consolato svizzero, abbandonato. Davanti all’ediicio un albero sopravvissuto all’esplosione, proteso tra due automobili capovolte, è in iore. Tra le cupole di moschee devastate, ediici crollati e lamiere ondulate usate dai cecchini come scudo, il suq è invaso dal canto degli uccelli, di tanto in tanto interrotto dal rumore degli spari. “Non potete neanche immaginare quanto fosse bello questo posto”, sospira un abitante. “Ci vorranno molti anni per ricostruirlo”. u gim Il giornalista Tom Westcott è andato ad Aleppo in un viaggio autorizzato da Damasco ed è stato accompagnato da un funzionario del governo. L’analisi Limiti e forza della diplomazia Anthony Samrani, L’Orient-Le Jour, Libano Gli sviluppi sul campo non risolveranno i problemi, che devono essere afrontati al tavolo delle trattative siriani non sono ancora pronti a fare la pace. È questo il bilancio che la comunità internazionale può trarre alla ine del nuovo giro di negoziati tra il regime e l’opposizione a Ginevra. Con l’Alto comitato per i negoziati (Hcn, in rappresentanza dell’opposizione) che ha abbandonato le trattative per protestare contro i bombardamenti del regime e la tregua che si appresta ad andare in frantumi, si tornerà probabilmente al punto di partenza. L’ottimismo della comunità internazionale si è scontrato ancora una volta con la complessità della realtà siriana. E non è certo una sorpresa, vista l’evoluzione dei rap- I Da sapere porti di forza sul campo e la strategia dei protagonisti. Perché mai il regime di Bashar al Assad, che si è raforzato grazie all’intervento russo, dovrebbe fare oggi le concessioni che non aveva fatto quando era in condizioni molto peggiori? E perché l’opposizione, che si batte da cinque anni contro il regime, dovrebbe accettare di condividere il potere? Finché le due parti resteranno così intransigenti e continueranno a pensare di poter raggiungere i loro obiettivi con le armi, i negoziati di Ginevra non avranno alcuna possibilità di andare a buon ine. I russi e gli statunitensi possono fare pressione sui loro alleati ma, inché le potenze regionali sosterranno le strategie del regime e dell’opposizione, il margine di manovra delle due grandi potenze resterà piuttosto limitato. Mentre la strada diplomatica sembra di nuovo bloccata, tutti tornano a guardare verso il campo di battaglia. La pace da conquistare u Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani dal 22 aprile del 2016 ad Aleppo sono morte almeno settanta persone negli scontri e nei bombardamenti. In totale nell’ultima settimana quasi 150 persone sono morte nel nord della Siria e nei dintorni di Damasco. u Il 25 aprile il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato la decisione di inviare in Siria altri 250 soldati delle forze speciali per sostenere le milizie locali nella lotta contro il gruppo Stato islamico. Ap, Afp La tregua ha permesso al regime di riprendere Palmira e di raforzarsi nella regione di Aleppo. È su questo fronte che probabilmente si concentreranno Damasco e i suoi alleati russi e iraniani. La battaglia di Aleppo, che coinvolge l’esercito, i curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg), i jihadisti dell’Is e i ribelli, sarà cruciale per il futuro della Siria, dal momento che ogni fazione ha un suo progetto politico. L’altro fronte determinante è quello di Raqqa, su cui puntano i curdi, che aspettano l’autorizzazione degli Stati Uniti per lanciare l’ofensiva. Per il momento Washington sembra voler temporeggiare, per non infastidire la Turchia. Ma gli sviluppi sui fronti di Aleppo e Raqqa non risolveranno i problemi fondamentali. Dato che le forze che conquistano nuovi territori non sono accolte dalla popolazione come liberatrici, resta da risolvere la questione della rappresentanza politica. Le forze che vinceranno la guerra dovranno poi conquistare anche la pace. E potranno farlo solo con la diplomazia. u f Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 17 africa e Medio oriente Sud Sudan votazioni nessun cambiamento iRaq Rimpasto parziale SAMIR BoL (AFp/GeTTy IMAGeS) AHMeD SAAD (ReuTeRS/CoNTRASTo) Ritorno a Juba Il 27 aprile il parlamento ha approvato un parziale rimpasto di governo proposto dal primo ministro Haider al Abadi. Sei ministri saranno sostituiti da tecnici, nel tentativo di limitare la corruzione e il clientelismo che caratterizzano la politica irachena, scrive Al Jazeera. La decisione è stata presa il giorno dopo la manifestazione (nella foto) a cui hanno partecipato migliaia di simpatizzanti del religioso sciita Moqtada al Sadr a Baghdad per chiedere riforme politiche e trasparenza. Al Abadi spera così di mettere ine a una crisi politica che dura da diverse settimane. Il leader dei ribelli Riek Machar è arrivato il 26 aprile nella capitale e ha prestato giuramento come vicepresidente del governo di unità nazionale guidato da Salva Kiir. Machar doveva tornare il 18 aprile, ma il rientro è stato rinviato per il disaccordo sul numero di soldati e di armi che avrebbe potuto portare con sé, ricorda The Niles. Il ritorno di Machar fa parte dell’accordo per mettere ine a più di due anni di guerra civile, che ha ucciso decine di migliaia di persone e ne ha lasciate due milioni senza casa. Il conlitto è scoppiato nel dicembre del 2013, quando Kiir ha accusato l’ex vicepresidente Machar di volerlo rovesciare. u buRundi egitto indagine internazionale Sida al governo Il 25 aprile il generale Athanase Kararuza, consulente del vicepresidente in materia di sicurezza, è stato ucciso a Bujumbura insieme alla moglie e a una guardia del corpo. Il giorno dopo la Corte penale internazionale ha annunciato l’apertura di un’indagine preliminare sulle violenze scoppiate il 25 aprile del 2015, quando il presidente pierre Nkurunziza ha annunciato di volersi candidare per un terzo mandato. Secondo l’onu da allora sono morte più di 400 persone. Iwacu parla di “annus horribilis” ed esorta le autorità a “una rilessione per trovare una soluzione appropriata”. Al Cairo la polizia antisommossa ha disperso con gas lacrimogeni e cartucce a pallini la protesta contro il governo che si è svolta il 25 aprile. La data segna l’anniversario del ritiro di Israele dalla penisola del Sinai nel 1982. Circa cinquecento persone si sono radunate nella zona di Dokki per chiedere le dimissioni del presidente Abdel Fattah al Sisi, criticato per aver ceduto all’Arabia Saudita la sovranità di due isole nel mar Rosso. Come ha riferito Aswat Masriya, dopo la manifestazione sono state arrestate almeno 270 persone, tra cui 43 giornalisti. Decine di attivisti erano 18 Machar (a sinistra) e Kiir (a destra). Juba, 26 aprile 2016 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 stati arrestati anche prima, ha confermato Ahram Online. Tra loro c’è Ahmed Abdallah, presidente del consiglio di amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, un’ong che ofre consulenza ai legali della famiglia di Giulio Regeni. In un articolo pubblicato il 21 aprile, l’agenzia di stampa Reuters ha rivelato che diverse fonti anonime dei servizi segreti e della polizia hanno confermato che il ricercatore italiano trovato morto al Cairo il 3 febbraio del 2016 era stato detenuto dalla polizia egiziana e trasferito in una struttura gestita dal dipartimento di sicurezza il giorno in cui era scomparso, il 25 gennaio. Questa settimana la rubrica di Amira Hass è online. u Alle elezioni del 24 aprile in Guinea Equatoriale è prevista la conferma di Teodoro obiang, al potere da 37 anni. Gli oppositori hanno esortato al boicottaggio, denunciando irregolarità. u Il Darfur, nell’ovest del Sudan, resterà diviso in cinque entità federali: la proposta di creare un’unica regione è stata respinta con il 97 per cento dei voti nel referendum dell’11 aprile. Il voto è stato boicottato dai ribelli e dall’opposizione, che si battono per una maggiore autonomia della regione. u Secondo i risultati parziali annunciati il 22 aprile il presidente del Ciad, Idriss Déby, al potere dal 1979, ha ottenuto un quinto mandato con il 62 per cento dei voti. in bReve Yemen Il 25 aprile l’esercito, appoggiato dalla coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita, ha riconquistato la città di Al Mukalla, controllata da Al Qaeda da circa un anno. Intanto il 22 aprile sono ripresi in Kuwait i negoziati tra il governo e i ribelli houthi che controllano Sanaa. Israele-Palestina Il 27 aprile la polizia israeliana ha abbattuto due palestinesi armati di coltello a un checkpoint a Qalandiya, in Cisgiordania. pochi giorni prima era stata scarcerata una bambina palestinese di dodici anni che aveva attaccato dei coloni israeliani il 9 febbraio. Stati Uniti Gli sconitti del boom petrolifero Terry Swift a Tilden. Texas, marzo 2016 Il crollo del prezzo del greggio ha fatto fallire decine di aziende statunitensi che avevano puntato tutto sul fracking. E ha causato una crisi inanziaria che ricorda quella dei mutui del 2007 ualche anno fa Terry Swift ha preso soldi in prestito dalle banche, dagli investitori e dai fondi pensione per realizzare la sua frenetica missione: estrarre più petrolio e gas possibili dal sottosuolo del Texas. Ma il giorno in cui ha capito di essersi spinto troppo in là aveva un debito di un miliardo e 349mila dollari. La sua azienda, fondata dal padre quarant’anni prima, ha dichiarato fallimento e ha dovuto licenziare il 25 per cento del personale. Le azioni sono state ritirate dalla borsa di New York. E ora Swift si ritrova a bordo di un suv intestato all’azienda, diretto verso il luogo pianeggiante e polveroso dove i suoi sogni si sono appena infranti. Amministratore delegato sempre prudente, abituato a rinunciare ai jet privati e a ordinare insalata per pranzo, una decina d’anni fa Swift ha preso una decisione che in quel momento sembrava la migliore: scommettere sull’aumento del prezzo del petrolio. Ma alla ine è stato travolto da una valanga di debiti, come tanti altri imprenditori del settore. “Forse abbiamo sbagliato a credere che non ci sarebbe mai stato un crollo simile”, spiega Swift, sessant’anni, mentre attraversiamo la zona sud di San Antonio. “Ma la verità è che all’epoca non sembrava afatto una scelta rischiosa”. Per questo errore di valutazione la sua azienda, la Swift Energy, è diventata una delle tante vittime della più grande crisi inanziaria dopo quella dei mutui subprime del 2007. Per Swift è il punto più basso dei 111 anni in cui la sua famiglia ha fatto afari con il petrolio americano, una storia cominciata quando il suo bisnonno ha piazzato una serie di cisterne nelle pianure vicino a Tulsa, in Oklahoma. Oggi la situazione è Q 20 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 molto diversa rispetto a qualche anno fa, quando Swift pensava di aver portato la sua azienda ai vertici del settore capitalizzando il vertiginoso aumento della produzione energetica statunitense, una svolta che prospettava un’epoca d’indipendenza energetica grazie alle nuove tecnologie. La nuova ondata di prestiti tossici concessi dalle banche alle aziende del settore energetico non è paragonabile alla bolla immobiliare, ma nasce da comportamenti simili. Gli imprenditori hanno banchettato su un tesoro che Bloomberg ha stimato in 237 miliardi di soldi facili, senza valutare se sarebbero stati in grado di restituire i prestiti nel caso di un calo dei prezzi del petrolio. Le conseguenze di questa avventatezza sono state enormi: l’industria petrolifera statunitense, diventata un gigante in grado di competere con quella saudita, si sta ridimensionando. Gli investimenti nell’energia sono ai minimi degli ultimi 25 anni. Più di 140mila dipendenti del settore hanno perso il lavoro. Le banche si preparano a insolvenze da decine di miliardi di dollari, mentre economisti e avvocati prevedono che il disastro inanziario peggiorerà nel corso del 2016. Il Texas del sud, insieme al North Dakota, è stato il banco di prova per le ambizioni dell’industria petrolifera. Qui le compagnie specializzate nell’estrazione del gas e del petrolio di scisto hanno preso in prestito miliardi di dollari per inanziare le loro attività. Il piano era accumulare velocemente riserve per poi rallentare la produzione e incassare i proitti. Il problema è che il prezzo del petrolio è crollato e non si è ancora ripreso. Rispetto al 2014 il barile costa il 60 per cento in meno. “C’era una frenesia da trivellazione”, racconta Fadel Gheit, analista della banca d’investimenti Oppenheimer. “Tutti cercavano di diventare baroni del petrolio. Ora improvvisamente ci rendiamo conto che quelle persone hanno speso enormi quantità di denaro che non avevano”. A Tilden, nel Texas del sud, la Swift Energy ha alcuni pozzi. I segni del declino sono ovunque. Le strade a due corsie, un tempo intasate da veicoli pesanti, sono qua- MIChAEL S. WILLIAMSON (ThE WAShINGTON POST/GETTY IMAGES) Chico Harlan, The Washington Post, Stati Uniti si deserte. Gli alberghi sulla strada, spuntati come funghi per soddisfare la domanda di posti letto, sono circondati da parcheggi vuoti e hanno inestre coperte di polvere. La contea di McMullen, dove un tempo lavoravano decine di migliaia di persone, è tornata a essere un posto tranquillo, abitato da circa ottocento persone. Un fallimento dopo l’altro L’auto imbocca una strada di campagna e si dirige verso la sede della Swift Energy, che comprende una serie di prefabbricati ino a qualche tempo fa usati come base per le operazioni di trivellazione. Piccoli cactus spuntano ai margini della strada. Ci sono delle mucche vicino all’entrata della proprietà. “Dovremo cacciarle”, commenta Swift. Per un momento tace, come se stesse soppesando le parole. “Sai cosa mi dispiace? Tutta la ricchezza che avevamo creato si è prosciugata”. Il grande boom energetico americano non è stato creato solo dalle grandi multinazionali come Exxon e Chevron ma anche dall’ascesa di centinaia di piccole aziende. Piccole società che sono cresciute prendendo in prestito enormi quantità di denaro per aittare macchinari, pompare migliaia di tonnellate di acqua mista a sabbia e sostanze chimiche nella roccia e aprire fratture per consentire il rilascio di petrolio e gas naturale. La tecnica è chiamata fracking, frattu- razione idraulica, e nell’ultimo decennio ha permesso di raggiungere giacimenti prima inaccessibili. Gli imprenditori del settore potevano scegliere: prendere in prestito capitali per partecipare alla corsa al fracking o restare ai margini e rischiare di fallire. La maggior parte degli operatori, tra cui Swift, ha scelto la prima opzione. Il risultato è stato che dal 2007 al 2014 la produzione di petrolio nel paese è quasi raddoppiata. Mentre i politici e gli imprenditori celebravano la nuova era e la riduzione drastica della dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio straniero, pochi hanno valutato i rischi inanziari del nuovo corso. Nel frattempo è raddoppiato anche il debito dell’industria petrolifera. I produttori come Swift non pensavano che fosse una bolla. Al contrario, erano convinti di scrivere un nuovo capitolo della storia energetica americana, un capitolo in cui l’innovazione tecnologica avrebbe ampliato costantemente il mercato mentre la richiesta globale di combustibili cresceva, grazie alla Cina. Prima dell’avvento del fracking, la Swift Energy era un operatore di medie dimensioni che gestiva pozzi in Louisiana e Texas e si aidava alla stessa politica da più di un decennio: mantenere i debiti al minimo. L’azienda trivellava dai 30 ai 70 pozzi all’anno e, tra le altre cose, possedeva alcune zone in passato considerate improduttive ma che con l’avvento del fracking sono passate a essere considerate la nuova miniera energetica d’America. Swift era convinto che la sua azienda, che aveva sperimentato il fracking quando era meno difuso e meno aidabile, fosse stata baciata dalla sorte. Mentre l’azienda cominciava a usare il L’opinione Il costo ambientale del fracking u “Quando l’estrazione di petrolio e gas naturale con il fracking ha cominciato a diffondersi negli Stati Uniti, circa dieci anni fa, molte persone hanno esultato”, scrive The Nation. I più entusiasti ovviamente erano gli imprenditori del settore energetico e i politici che vedevano in questa tecnica un modo per ridurre la dipendenza del paese dal petrolio straniero, anche se gli ambientalisti sostengono che causi gravi danni al sottosuolo. Non a caso Barack Obama, diventato presidente nel 2009, ha fatto dell’estrazione di gas naturale con il fracking un pilastro della sua politica energetica: avrebbe permesso di creare i posti di lavoro di cui l’economia aveva bisogno, a costi relativamente bassi. “Ma esultavano anche molti ambientalisti, perché il gas estratto con il fracking sembrava meno inquinante del carbone, una fonte energetica che in quel momento era ancora molto usata negli Stati Uniti ed era in ascesa in altri paesi, a cominciare dalla Cina. I dati dimostravano che un impianto che brucia gas naturale rilascia la metà dell’anidride carbonica prodotta da un impianto che brucia carbone”. Ma i calcoli sull’inquinamento si sono rivelati sbaglia- ti perché non tenevano conto delle emissioni di metano. A febbraio alcuni ricercatori di Harvard hanno pubblicato un rapporto secondo cui tra il 2002 e il 2014 le emissioni di metano negli Stati Uniti sono aumentate del 30 per cento. Una parte è stata causata dalle fughe di gas dagli impianti che usano il fracking. “Dieci anni fa si trattava di scegliere tra carbone e gas, ma oggi non è più così”, conclude il settimanale. “Il costo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili negli Stati Uniti si è notevolmente ridotto, ed è arrivato il momento di investire seriamente sulle rinnovabili”. fracking sempre di più, gli investimenti necessari per l’esplorazione e la trivellazione aumentavano vertiginosamente. Per coprire le spese la Swift Energy ha emesso tre diversi pacchetti di bond dal valore complessivo di 875 milioni di dollari, aprendo anche una linea di credito da 500 milioni con la J.P. Morgan. Complessivamente il debito superava il miliardo di dollari, una cifra superiore ai profitti registrati dall’azienda nei vent’anni in cui aveva guadagnato di più. In seguito la Swift Energy ha cominciato a sofrire le conseguenze di sviluppi globali imprevisti. Prima è calato il prezzo del gas naturale. Poi, nel novembre del 2014, quando l’Arabia Saudita ha aumentato la produzione di petrolio per contrastare la concorrenza degli Stati Uniti, il prezzo del greggio è precipitato. Nel frattempo c’è stato il rallentamento dell’economia cinese, e la domanda globale di petrolio è diminuita. Swift ha capito che i problemi non erano più gestibili. La sua azienda aveva bisogno di contante anche per pagare gli interessi sul debito, e nessuno era disposto a concedergli un prestito. A quel punto Swift ha messo in atto un piano di emergenza: ha licenziato alcuni dipendenti, ha chiamato i fornitori, ha chiesto una riduzione dei costi e ha ridotto le spese. Ma non è servito a nulla. Il 31 dicembre del 2015 Swift ha incontrato Alton Heckaman, il responsabile inanziario della compagnia, e hanno irmato le carte per il fallimento. La Swift Energy non è stata l’unica azienda a fallire. Secondo Haynes and Boone, uno studio di avvocati di Dallas, nel 2015 42 compagnie del settore petrolifero e del gas hanno dichiarato bancarotta. Quest’anno il numero dovrebbe aumentare. Risaliamo in macchina e ci dirigiamo verso Eagle Ford, dove durante il boom c’erano 250 pozzi e i prezzi dei terreni erano centuplicati. Oggi ci sono solo 43 pozzi attivi. Swift ci tiene a dire una cosa: si considera ancora un “uomo del petrolio”. Ma ormai non ha più il controllo dell’azienda fondata dal padre. Quando finirà il processo per bancarotta, Swift sarà ancora amministratore delegato, ma la Swift Energy sarà di proprietà degli azionisti, compresi gli hedge fund che sono piombati sull’azienda nel 2015 e hanno comprato a prezzi stracciati le obbligazioni che sicuramente non sarebbero state rimborsate. Swift non sa nemmeno se la compagnia conserverà il suo nome. “Se avessi ancora il controllo potrei risponderti. Ma non ce l’ho più”. u as Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 21 americhe Messico stati uniti trump vede il traguardo Delegati assegnati a ogni candidato Repubblicani trump 949 Cruz 544 Kasich 153 Delegati necessari per vincere: 1.237 Democratici Clinton 1.622 sanders 1.282 Delegati necessari per vincere: 2.383 22 Misure straordinarie una versione inattendibile “Anche prima del terremoto che la sera del 16 aprile ha colpito la costa nordoccidentale dell’Ecuador, uccidendo più di seicento persone, le prospettive per questo piccolo paese andino non erano delle più rosee”, scrive il New York Times. “Il prezzo del petrolio, che aveva favorito la crescita negli ultimi anni, era crollato e l’economia era in crisi. ora, dopo il sisma più violento dal 1979, il presidente rafael Correa deve ricorrere a misure impopolari, alle quali si era sempre opposto”. Il 20 aprile, in un discorso televisivo, Correa ha annunciato che “i lavoratori dovranno devolvere una parte del loro stipendio per inanziare la ricostruzione e che l’iva salirà dal 12 al 14 per cento per un anno”, scrive El País. Città del Messico, 26 aprile 2016. Protesta antigovernativa EdGArd GArrIdo (rEutErs/CoNtrAsto) Le autorità messicane hanno sempre sostenuto che i 43 studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa, scomparsi la notte tra il 26 e il 27 settembre del 2014 a Iguala, nello stato di Guerrero, erano stati rapiti, uccisi e bruciati in una discarica da una banda di narcotraicanti locali. Ma il 24 aprile il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei), nominato dalla Commissione interamericana per i diritti umani, ha presentato le conclusioni della sua indagine: “Il rigoroso lavoro scientiico del gruppo”, scrive Proceso, “smentisce la versione uiciale del governo”. Inoltre, dimostra che molte testimonianze sono state estorte sotto tortura, quindi sono inattendibili. Il mandato del Giei scade il 30 aprile e il governo non lo rinnoverà. u venezuela lotte di potere e razionamenti Il 25 aprile la corte suprema si è opposta alla riduzione del mandato del presidente Nicolás Maduro da sei a quattro anni. “In base alla decisione della corte”, spiega La Nación, “l’emendamento approvato in prima lettura dal parlamento, controllato dall’opposizione dal dicembre 2015, per anticipare la ine del mandato del presidente non può avere efetto retroattivo e quindi non può essere applicato a Maduro”. La continua lotta tra governo e parlamento si aggiunge Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 alla crisi economica, aggravata dal crollo del prezzo del petrolio. Il 21 aprile Maduro aveva annunciato un nuovo razionamento elettrico nei dieci stati più popolosi del paese: quattro ore al giorno per 40 giorni. Inoltre, i dipendenti pubblici lavoreranno solo due giorni alla settimana. Prezzo del petrolio, dollari al barile Fonte: The Economist 125 100 75 50 25 0 2000 2005 2010 2016 Pedernales, 23 aprile 2016 rodrIGo ABd (AP/ANsA) “È stata la migliore serata per donald trump da quando sono cominciate le primarie repubblicane”, scrive Politico commentando i risultati del voto del 26 aprile in Pennsylvania, delaware, rhode Island, Maryland e Connecticut. “Finora trump aveva sempre faticato a raggiungere il 50 per cento dei consensi, ma il 26 aprile ha superato quella soglia in tutti gli stati e ha battuto il senatore ted Cruz e il governatore John Kasich con distacchi di 20 o 30 punti percentuali”. Questo gli ha permesso di incrementare ulteriormente il vantaggio in termini di delegati, i rappresentanti che alla convention di luglio sceglieranno il candidato alle presidenziali di novembre. “Ma per conquistare la nomination”, scrive il New York Times, “trump deve superare altri due ostacoli: le primarie nell’Indiana, il 3 maggio, e quelle in California il 7 giugno”. Cruz e Kasich hanno stretto una sorta di alleanza per arginare trump: Kasich ha annunciato che non farà campagna elettorale in Indiana in modo che Cruz abbia più possibilità di battere trump in quello stato. tra i democratici Hillary Clinton ha vinto in quattro stati (Pennsylvania, delaware, Maryland e Connecticut) e ha raforzato il suo vantaggio su Bernie sanders, che ha vinto solo in rhode Island. ecuador in breve Cuba Il governo ha annunciato il 22 aprile l’eliminazione delle restrizioni ai viaggi via mare, vietati da decenni. La misura apre la strada ai collegamenti marittimi tra Cuba e gli stati uniti. Stati Uniti Il 22 aprile il governatore della Virginia, terry McAulife, ha ripristinato il diritto di voto per circa 200mila detenuti. u Il 25 aprile la città di Cleveland ha stanziato sei milioni di dollari per risarcire la famiglia di tamir rice, un dodicenne ucciso da un poliziotto che aveva scambiato una pistola giocattolo per una vera arma. Europa Heinz-Christian Strache e Norbert Hofer a Vienna, il 24 aprile 2016 Da sapere Verso il ballottaggio Il primo turno delle presidenziali austriache HeINz-PeTeR BADeR (ReuTeRS/CoNTRASTo) Norbert Hofer (Fpö) Alexander Van der Bellen (Verdi) 21,3 Irmgard Griss (indipendente) 18,9 Rudolf Hundstorfer (Spö) 11,3 Andreas Khol (Övp) 11,1 Richard Lugner (indipendente) Aluenza L’estrema destra avanza in Austria Le Temps, Svizzera Il primo turno delle elezioni presidenziali ha segnato il trionfo del candidato del Partito della libertà e il tracollo dei socialisti e dei popolari l primo turno delle elezioni presidenziali austriache del 24 aprile ha trionfato l’estrema destra. I due grandi partiti che dal 1945 si sono alternati al potere – i socialdemocratici dell’Spö e i popolari dell’Övp – non parteciperanno al ballottaggio del 22 maggio. Norbert Hofer, il candidato del Partito della libertà (Fpö), ha avuto il 35 per cento dei voti, il miglior risultato mai ottenuto dalla formazione di estrema destra in un’elezione nazionale. Al secondo posto si è piazzato il verde Alexander Van der Bellen, seguito dalla candidata indipendente Irmgard Griss. Il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer e il popolare Andreas Khol si sono fermati all’11 per cento dei consensi. Anche se in Austria la funzione del presidente della repubblica è principalmente di rappresentanza, il risultato del voto è un duro colpo per il capo del governo Werner A 24 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Faymann, dell’Spö, e per il vicecancelliere popolare Reinhold Mitterlehner, il cui mandato scadrà nel 2018. Dal dopoguerra in poi, infatti, i due partiti hanno sempre controllato la presidenza, con uomini provenienti dai loro ranghi o con candidati indipendenti eletti grazie al loro sostegno. Vicepresidente del parlamento, Norbert Hofer, 45 anni, si considera l’incarnazione dell’ala liberale dell’Fpö, il partito che tra il 1986 e il 2000 fu guidato da Jörg Haider. Ingegnere aeronautico dai modi cortesi, e con una piccola disabilità dovuta a un incidente di parapendio, Hofer ha sedotto soprattutto i giovani. Il suo successo conferma la continua crescita dell’Fpö in un momento in cui la grande coalizione al governo è travolta dalla crisi dei migranti e dall’aumento della disoccupazione. Nel 2105 l’Fpö aveva già superato la soglia del 30 per cento in diverse elezioni regionali. “È un risultato storico che rilette le qualità di Hofer, ma anche la profonda insoddisfazione verso il governo”, ha detto il leader del partito Heinz-Christian Strache. A rappresentare le speranze della sinistra e della destra moderata al ballottaggio sarà Van der Bellen, ex professore universitario su posizioni quasi centriste. Teorica- % 35,1 2,3 68,5 mente indipendente, è sostenuto dai Verdi, partito di cui è stato a lungo il leader. Anche Irmgard Griss, ex presidente della corte suprema e poco conosciuta al grande pubblico, ha ottenuto un risultato sorprendente. Il presidente austriaco, eletto per un mandato di sei anni rinnovabile una sola volta, ricopre essenzialmente un ruolo protocollare e morale. Tuttavia dispone di ampi poteri formali: è il capo delle forze armate, nomina il cancelliere e, in determinate circostanze, può sciogliere il parlamento. In campagna elettorale Hofer ha minacciato apertamente di far ricorso proprio a quest’ultima prerogativa se il governo non dovesse seguire, nel caso lui fosse eletto, le sue raccomandazioni sul tema dei migranti. D’altro canto Van der Bellen ha afermato che, da presidente, si riiuterebbe di nominare cancelliere Strache, anche se l’Fpö dovesse vincere le prossime elezioni legislative. u as Il commento La ine di un’epoca “Non importa quanto siano stati grandi lo shock e l’amarezza per la sconitta più bruciante della loro storia: i leader dei socialdemocratici e dei popolari, i loro collaboratori, i consiglieri e le igure di spicco dei due partiti diicilmente capiranno quello che è successo il 24 aprile”, scrive su Die Presse Rainer Nowak. “Ma la verità è semplice: il loro tempo è inito. La seconda repubblica austriaca, nata nel 1945, è acqua passata. e l’elettorato è radicalmente cambiato. Quello che verrà è tutto da vedere. È possibile che l’Austria sceglierà il modello ungherese o polacco. Forse dalle macerie dei vecchi partiti sorgerà un nuovo leader in grado di capire gli elettori. oppure le elezioni diventeranno frequenti come in Italia. o magari si vedranno esperimenti come se ne sono visti in Danimarca e in altre democrazie creative. una cosa è certa: nulla sarà più come prima”. u ma FoNTe: BuNDeSMINISTeRIuM FüR INNeReS I primi due candidati parteciperanno al ballottaggio del 22 maggio. Europa Un passo indietro Aleksandar Vučić a Belgrado, il 21 aprile 2016 Filip Švarm, Vreme, Serbia tre partiti più votati alle elezioni del 24 aprile sono nati negli anni precedenti alla caduta di Slobodan Milošević o hanno radici in quella fase storica. Il paese sembra tornato agli anni novanta: la campagna elettorale è stata ai limiti della regolarità e ci sono seri sospetti di brogli. Abbiamo fatto un altro passo verso l’autoritarismo, il populismo e la demagogia. È una verità che nessuno slogan sull’integrazione europea e sulle riforme riuscirà a cancellare. I vincitori delle seconde elezioni in due anni, convocate da Vučić esclusivamente per conquistare tutte le leve del potere, sono proprio il primo ministro e il suo partito. La cosa più preoccupante è l’intenzione di Vučić di annichilire ogni alternativa politica e di far passare l’idea secondo cui il periodo tra il 2000 e il 2012 è stato una parentesi che ha portato il paese sull’orlo del baratro. I metodi e le strategie usati dal potere negli anni novanta sembrano tornati di moda. La presa dell’Sns sulla Serbia è sempre più solida. Certo, in parlamento Vučić avrà una maggioranza meno ampia, dovrà fare qualche concessione ai partitini con cui si è presentato e l’opposizione avrà più deputati. Ma questo non cambierà nulla. Il voto ha cancellato ogni dubbio: tutto il potere è nelle mani di Vučić. Bisognerà solo capire chi sarà il capro espiatorio di turno. La colpa di ogni problema verrà di nuovo attribuita ai vecchi governi democratici? Ai partner di coalizione? A qualche leader locale? Una cosa è sicura: Vučić non è capace di fare politica se non in una situazione da stato di emergenza e tra continui scandali. u ma Da sapere Il nuovo parlamento serbo Variazione rispetto al 2014 Variazione rispetto al 2014 Seggi Seggi Partito progressista (Sns) 131 -27 Dosta je bilo (liberali) Partito socialista (Sps) 29 -15 Alleanza 13 liberaldemocratica Partito radicale serbo (Srs) 22 +22 Dveri-Dss (estrema destra) 13 +13 Partito democratico (Ds) 16 Altri 10 Aluenza 56,34% 26 -3 16 +16 -5 -1 Fonte: Politika Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 DARKo VojInoVIC (AP/AnSA) I La Serbia conferma Vučić The Economist, Regno Unito rmai è evidente: alle elezioni legislative del 24 aprile il primo ministro serbo Aleksandar Vučić ha ottenuto un altro mandato di quattro anni. Bruxelles e le altre capitali europee si sono già congratulate: nei Balcani serve stabilità, e il primo ministro conservatore è l’uomo giusto per garantirla. Ma non è detto che sia anche in grado di far crescere l’economia e di rendere la zoppicante democrazia serba più trasparente. Vučić aveva indetto le elezioni a gennaio, con due anni di anticipo sulla scadenza della legislatura. La sua formazione, il Partito progressista serbo (Sns), ha ottenuto poco meno della metà dei voti, come nel 2014, e mantiene la maggioranza assoluta. Ma avrà meno seggi, anche perché i partiti che hanno superato la soglia di sbarramento per entrare in parlamento sono più numerosi di due anni fa. I socialisti si sono piazzati al secondo posto con l’11 per cento dei voti, mentre il Partito radicale serbo (Srs) di Vojislav Šešelj, escluso dall’ultimo parlamento, è la terza forza del paese con l’8 per cento. Il successo di Šešelj signiica che in parlamento tornerà un partito ultranazionalista che chiede di raforzare il legame con la Russia. O Vučić e Ivica Dačić, leader dei socialisti e ministro degli esteri uscente, sono convinti sostenitori dell’adesione all’Unione europea. Una posizione molto diversa da quella che avevano in passato. Durante le guerre degli anni novanta, infatti, Vučić era un delino di Šešelj, mentre Dačić era il portavoce del leader nazionalista serbo Slobodan Milošević. A conti fatti, quindi, la maggioranza dei deputati del nuovo parlamento in passato è stata vicina alle posizioni estremiste di Milošević. Il Partito democratico (Ds), arrivato al potere dopo la caduta di Milošević nel 2000, è riuscito a malapena a superare lo sbarramento, e il voto progressista si è disperso tra diversi piccoli partiti. Con Vučić la Serbia continuerà sulla strada delle riforme richieste dal processo d’integrazione europeo e porterà avanti il dialogo con il Kosovo. Anche se i rapporti con Bosnia e Croazia sono a volte burrascosi, la situazione tutto sommato è sotto controllo. I principali problemi del paese sono interni: nel 2015 l’economia è cresciuta dello 0,7 per cento e il salario medio è di 351 euro al mese. Molti hanno votato Vučić perché è un leader credibile. Ma se non riuscirà a migliorare il tenore di vita della popolazione, diicilmente tra quattro anni sarà riconfermato. u as Europa Il laburista Sadiq Khan a Londra, il 29 marzo 2016 L’opinione Candidati incolori Financial Times, Regno Unito ue candidati lillipuziani si presentano davanti agli elettori della città più grande d’Europa. Il conservatore Zac Goldsmith e il laburista Sadiq Khan hanno avuto diversi mesi per dimostrare di essere all’altezza di Londra, dove il 5 maggio si voterà per eleggere il nuovo sindaco, che prenderà il posto del conservatore Boris Johnson, alla guida della città dal 2008. Ma nessuno dei due ci è riuscito. Quel che è certo è che i loro progetti per una città di importanza globale come Londra sono deludenti. Ma sarebbe sbagliato metterli sullo stesso piano. La campagna elettorale di Khan è stata inconsistente. Quella di Goldsmith ha difetti più gravi. Pur non avendo mai accusato direttamente il suo avversario di essere un fondamentalista, lo ha più volte collegato al radicalismo islamico, ed è una strategia un po’ debole su cui poggiare un’intera campagna elettorale. Goldsmith inoltre non trasuda grande entusiasmo per l’incarico a cui aspira. Mentre l’esagitato Khan dà pacche sulle spalle a tutti, lui fa il minimo indispensabile. Quest’inerzia si rilette nei sondaggi, che danno favorito Khan. A salvare il candidato tory potrebbe essere la bassa aluenza. Londra non ha bisogno di un grande sindaco per crescere. rispetto agli standard internazionali, chi guida la capitale britannica ha pochi poteri esecutivi. Fino al 2000 la carica neanche esisteva. Ma l’amministrazione comunale si occupa comunque di trasporti, alloggi e sicurezza, tutti settori in cui un politico serio potrebbe dare un contributo tangibile in una città che ha quasi nove milioni di abitanti. Anche il tono della campagna elettorale è importante. Londra è una città multiculturale, ma lo è in modo naturale. Persone diverse entrano in contatto tra loro senza dare alla cosa troppa importanza. La politica identitaria, dove c’è, è molto discreta. La campagna elettorale di Goldsmith stride con questa realtà, e questo forse spiega la sua diicoltà a decollare. u fas BEN PrUChNIE (GETTy IMAGES) D Dieci problemi di Londra per il futuro sindaco The Guardian, Regno Unito ra pochi giorni Londra avrà un nuovo sindaco. I due candidati favoriti nelle elezioni del 5 maggio sono il conservatore Zac Goldsmith, che punta a prendere il posto del compagno di partito Boris Johnson, sindaco per due mandati, e il laburista Sadiq Khan, in vantaggio secondo i sondaggi. Naturalmente ci sono anche altri candidati. Il Guardian ha chiesto ai suoi lettori quali sono i principali problemi della capitale britannica. Ecco cosa hanno risposto. La casa Il prossimo sindaco farebbe bene a concentrarsi sulla crisi degli alloggi, da cui la città non riesce a uscire. È questa la principale preoccupazione dei londinesi. La priorità, spiega un lettore, “è far sì che i londinesi comuni non siano espulsi dalla città a causa dei prezzi troppo alti”. Inquinamento e traffico I lettori sono preoccupati dal livello delle emissioni e dall’inquinamento causato dalle auto. Disuguaglianza e salari I londinesi lamentano “livelli di disuguaglianza fuori controllo” e chiedono l’aumento dei salari per chi vive in città. Costi del trasporto pubblico È un settore in cui il sindaco ha molto potere. I crescenti costi di bus e metro sono uno dei fattori che T 28 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 rendono la vita a Londra troppo cara. Khan ha promesso un blocco dei prezzi fino al 2020, Goldsmith punta sugli investimenti. Comunità Molti sono preoccupati per le possibili conseguenze negative della campagna elettorale di Goldsmith, “basata su odiosi attacchi personali contro Khan, ai limiti del razzismo”, dice un lettore. Polizia e antiterrorismo C’è preoccupazione per la condotta della polizia. I lettori chiedono che gli agenti abbiano “comportamenti corretti e non discriminatori”. Piste ciclabili Anche gli avversari di Johnson ammettono che in materia ha fatto cose buone. Il timore è che Goldsmith e Khan non saranno così attenti al problema. Brexit I londinesi temono l’impatto che l’uscita dall’Unione europea potrebbe avere sulla città, e criticano Johnson per essersi schierato a favore della Brexit. Sicurezza e parità di genere “L’aumento della violenza contro le donne, è un problema serio”, dice una sostenitrice di Sophie Walker, candidata del Partito per l’uguaglianza delle donne. Il garden bridge I lettori si chiedono che ine abbia fatto il progetto di Johnson di un ponte-giardino che dovrebbe attraversare il Tamigi all’altezza di Temple. u ucraina Regno unito obama e la Brexit nuove intimidazioni IHLAS NEWS AGENCy (AfP/GEtty ImAGES) Il 23 aprile la giornalista olandese di origine turca Ebru Umar (nella foto) è stata arrestata con l’accusa di aver insultato su twitter il presidente Recep tayyip Erdoğan. Umar è stata rilasciata, ma non può lasciare il paese. Nell’ultimo anno in turchia sono stati avviati più di 1.800 procedimenti giudiziari contro giornalisti accusati di aver insultato Erdoğan. Nel suo commento per il tabloid Metro, Umar aveva deinito il presidente “il dittatore più megalomane che la Repubblica turca abbia mai avuto”. È ancora tesa la situazione politica nell’ex repubblica sovietica. In una manifestazione organizzata il 24 aprile a Chișinău per protestare contro la corruzione e chiedere le dimissioni del governo, decine di persone si sono scontrate con la polizia. Come spiega il Jurnal de Chișinău, la mobilitazione va avanti da settembre e “l’ultima protesta è stata una manifestazione di cittadini, degenerata solo per colpa degli uomini dell’oligarca Vladimir Plahotniuc”, accusato di essere la vera eminenza grigia della politica moldava. Il 24 aprile, conclude il quotidiano, “ha dimostrato ancora una volta che il movimento è sempre più solido e determinato. E che non si fermerà”. Slavutyč, Ucraina, 26 aprile 2016 In occasione del trentesimo anniversario della tragedia di Černobyl, in Ucraina si sono svolte numerose cerimonie di commemorazione. L’incidente nucleare del 26 aprile 1986 è stato il più grave della storia: si calcola che nel corso degli anni abbia causato circa quattromila morti. La nube radioattiva che si sprigionò dalla centrale sovietica colpì, oltre all’Ucraina, la Bielorussia, la Russia e, in misura minore, parte del resto d’Europa. “molti pensano che la ine dell’Unione Sovietica si sia consumata nel 1991”, scrive la Ukrainska Pravda. “In realtà la data di morte dell’Urss è proprio quella dell’incidente di Černobyl”. u Regno unito galles e Scozia al voto Il 5 maggio in Scozia, in Galles e in Irlanda del Nord si voterà per i parlamenti locali. Gli scozzesi eleggeranno i 129 deputati dell’assemblea di Holyrood, mentre i gallesi sceglieranno 60 rappresentanti. Secondo i sondaggi, a Edimburgo gli indipendentisti dello Scottish national party (Snp) della irst minister Nicola Sturgeon dovrebbero conservare la maggioranza assoluta. Seguono i laburisti, che però sono in calo, e i conservatori, in leggera crescita. Secondo The Herald, lo strapotere dell’Snp è tale che la vera posta in gioco del voto è la guida dell’opposizione. Il risultato avrà conseguenze anche a livello nazionale, considerato che Sturgeon ha detto di voler indire un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia “entro i prossimi cinque anni”, in particolare se il Regno Unito dovesse uscire dall’Unione europea con il referendum del 23 giugno. In Galles, invece, sono ancora in testa i laburisti del irst minister Carwyn Jones, seguiti dai nazionalisti del Plaid Cymru, loro alleati di governo. Le attuali diicoltà dei tory sono legate anche “al coinvolgimento del premier David Cameron nello scandalo dei Panama papers”, scrive il Western Mail. Anche in Galles il voto sarà inluenzato dal dibattito sull’Europa: in vista del referendum, infatti, i populisti euroscettici dell’Ukip potrebbero raddoppiare i consensi. JUAN CARLOS HIDALGO (REUtERS/CONtRAStO) tuRChia Continuano le proteste trent’anni dopo Černobyl GLEB GARANICH (REUtERS/CONtRAStO) Entra nel vivo la campagna elettorale per il referendum del 23 giugno sulla permanenza nell’Unione europea. Il 22 aprile la causa europeista ha incassato il sostegno di Barack Obama. Il presidente statunitense ha detto che in caso di uscita dall’Unione, Londra si troverebbe “in fondo alla ila” nelle trattative per un nuovo accordo commerciale con Washington. Secondo il Guardian, il premier David Cameron e gli europeisti “non potevano chiedere di meglio”, mentre il Daily Mail critica Obama per “aver chiesto ai britannici di mantenere un rapporto che i suoi stessi cittadini non tollererebbero mai”. moldova in BReve Spagna Il 26 aprile il re felipe VI (nella foto) ha indetto le elezioni legislative anticipate il 26 giugno, prendendo atto dell’impossibilità di formare un governo dopo il voto del 20 dicembre. Belgio Il terrorista Salah Abdeslam, unico sopravvissuto dei commando degli attentati di Parigi del 13 novembre, è stato estradato in francia il 27 aprile. Lussemburgo Il 26 aprile si è aperto in Lussemburgo il processo per lo scandalo Luxleaks, scoppiato nel 2014. Gli imputati sono tre francesi accusati di aver rivelato illecitamente le pratiche di evasione iscale messe in atto dalle multinazionali nel paese. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 29 Indonesia NORJANI (ANTARA/ReUTeRS/CONTRASTO) Agenti della Densus 88 a Jakarta, gennaio 2016 Gli abusi dell’unità antiterrorismo Dewi Kurniawati, Asia Sentinel, Hong Kong Formata da 500 agenti speciali, la Densus 88 è stata creata dopo gli attentati di Bali del 2002 con i soldi degli Stati Uniti. Ma 121 persone arrestate dalla squadra speciale sono morte unità antiterrorismo indonesiana. La donna ha fornito all’organizzazione anche una busta di cartone scuro che le è stata consegnata dalla Densus 88 dopo la morte del marito. Dentro c’erano cento milioni di rupie indonesiane (6.700 euro) come risarcimento per la famiglia. Eicienza e torture a moglie di Siyono, che come molti indonesiani ha un unico nome, probabilmente ha fatto la cosa migliore rivolgendosi alla Muhammadiyah, la seconda maggiore organizzazione islamica indonesiana, per fare chiarezza sulla ine di suo marito. Siyono è morto a marzo del 2016 dopo essere stato arrestato dalla Densus 88, la temuta L 30 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Siyono, 34 anni, abitava nel villaggio di Dukuhm, nella provincia di Java centrale. È stato arrestato l’8 marzo con l’accusa di coinvolgimento in azioni terroristiche ed è morto due giorni dopo. Secondo la commissione nazionale per i diritti umani Komnas Ham, da quando la Densus 88 è stata creata, nell’agosto del 2004, 121 persone sono morte poco dopo essere state arrestate. L’unità speciale, formata da circa 500 agenti, è stata creata con i fondi del dipartimento di stato statunitense, che ha pagato le armi, gli stipendi e un addestramento di alto livello nell’intercettazione delle comunicazioni, nello scontro armato ravvicinato e nella raccolta e analisi d’informazioni riservate. A quest’unità speciale si attribuisce il merito di aver dato una svolta decisiva alla guerra che Jakarta sta conducendo contro il gruppo terrorista islamico Jemaah islamiyah. Recentemente la Densus 88 è tornata al centro dell’attenzione perché si teme che i circa cinquecento cittadini indonesiani partiti per il Medio Oriente per unirsi al gruppo Stato islamico (Is) stiano tornando per scatenare il caos in Indonesia. Circa duecento persone, in maggioranza donne e bambini, sono state fermate in Turchia e rimpatriate, e oggi sono sotto sorveglianza. Gli attentati di gennaio del 2016 nel centro di Jakarta, dove sono morte otto persone, tra cui quattro attentatori, sarebbero stati organizzati e inanziati da Bahrun Naim, un esperto indonesiano d’informatica che pare viva in Siria. Ma l’eicienza per cui è nota la Densus 88 ha un costo. L’unità è stata accusata dalle associazioni per la difesa dei diritti umani di usare la tortura e di nascondere dietro i frequenti “scontri a fuoco” con i terroristi delle esecuzioni a freddo. Nel 2010 l’unità è stata molto criticata per un video in cui alcuni agenti premevano un tizzone ardente sui genitali di un separatista papuano con la testa avvolta in un sacchetto di plastica, mentre un poliziotto puntava un coltello alla gola dell’uomo, che implorava pietà. Il dubbio La polizia inizialmente ha detto che Siyono aveva nascosto una pistola e aveva aggredito alcuni poliziotti mentre veniva trasportato dagli uomini della Densus 88 in una località della regione di Yogyakarta. Durante la colluttazione Siyono avrebbe battuto la testa e sarebbe morto. Ma l’autopsia fatta da alcuni medici della Muhammadiyah su richiesta della moglie di Siyono ha rivelato che la morte è stata causata da un trauma toracico e dalla frattura delle ossa vicino al cuore. L’autopsia, inoltre, non ha rilevato sul cadavere alcuna ferita da difesa. Dopo queste rivelazioni, il 5 aprile il portavoce della polizia nazionale Anton Charliyan ha ammesso alcuni “errori procedurali” commessi dall’unità antiterrorismo e ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. La camera dei rappresentanti ha in programma di convocare i vertici della polizia e l’agenzia nazionale antiterrorismo (Bnpt) perché riferiscano sulla morte di alcuni sospetti terroristi arrestati dalla Densus 88 negli ultimi anni. “Il dubbio è se Siyono fosse davvero un terrorista che doveva essere arrestato e se sia morto perché ha opposto resistenza al fermo”, ha spiegato Desmond Mahesa, vicedirettore della commissione per i diritti umani della camera dei rappresentanti. Gli attentati di gennaio hanno dimostrato che il terrorismo rimane una minaccia per la sicurezza del paese nonostante le misure speciali in vigore. Ma i soprusi gratuiti avvenuti durante le operazioni della Densus 88 hanno reso evidente la necessità di procedure più trasparenti. Le sospette violenze durante l’arresto e la detenzione di Siyono hanno raforzato i timori che i diritti umani possano efettivamente essere minacciati da queste misure antiterrorismo, e sempre di più le persone sono con- vinte che questo pericolo debba essere evitato. Anche se gli attentati continuano in varie zone dell’Indonesia, la riforma della legge sul terrorismo del 2003 proposta dal governo ha suscitato preoccupazione e critiche, innanzitutto per il rischio di violazioni dei diritti umani. La nuova legge, infatti, attribuisce alle forze di sicurezza poteri più ampi nei confronti delle persone sospettate di attività terroristiche. La legge del 2003 era una risposta del governo all’ondata di attentati cominciata con le esplosioni di Bali del 2002, in cui morirono 202 persone, in buona parte turisti stranieri. Il ministro per il coordinamento degli afari politici, legali e di sicurezza, Luhut Pandjaitan, ha dichiarato che la revisione della legge garantirebbe alle forze di sicurezza l’autorità di cui hanno bisogno per afrontare le Da sapere Prevenzione insuiciente u Tra il 9 e l’11 maggio 2016 a Jakarta 300 rappresentanti provenienti da 60 paesi parteciperanno al summit internazionale dei leader musulmani moderati, organizzato da Nahdlatul ulama (Nu), la principale associazione islamica dell’Indonesia, “per contrastare l’estremismo difondendo la tolleranza tra le comunità”. Secondo le organizzazioni islamiche del paese, che ha la popolazione musulmana più numerosa del mondo, il governo non sta facendo abbastanza contro l’estremismo e i rischi di radicalizzazione, in particolar modo all’interno delle carceri. È da lì, denunciano le associazioni religiose, che si difonde l’ideologia del gruppo Stato islamico. L’agenzia nazionale antiterrorismo è accusata di non collaborare con altre agenzie governative. “L’estremismo in Indonesia è entrato in una fase pericolosa”, avverte Adnan Anwar, vicesegretario generale di Nu, “e il governo dovrebbe migliorare l’azione di prevenzione”. Voa minacce terroristiche. Tuttavia ha precisato che la riforma non somiglierebbe alle leggi sulla sicurezza interna della Malesia e di Singapore, i due paesi vicini noti per la severità delle misure adottate. Al di là di un successo generale nella lotta al terrorismo in Indonesia, crescono le preoccupazioni per il coinvolgimento sempre maggiore dell’esercito nelle attività antiterroristiche, che inizialmente erano state aidate alla polizia per evitare che ci fossero vittime civili nel corso delle operazioni. Tuttavia i troppi errori negli arresti e i troppi omicidi di presunti terroristi hanno aumentato le perplessità sul modo in cui la polizia sta gestendo questo compito. Un nuovo bersaglio Negli ultimi anni le cellule terroristiche indonesiane hanno cambiato bersaglio, passando dagli interessi stranieri ai poliziotti, considerati il “nemico più prossimo”. Attualmente circa duemila tra poliziotti e soldati dell’esercito stanno dando la caccia a Santoso, il leader dei mujahidin dell’Indonesia orientale che ha dichiarato fedeltà all’Is. Santoso è il terrorista più ricercato del paese, e sulle tracce dei suoi uomini, in fuga da più di tre anni nelle giungle del Sulawesi centrale, il governo ha lanciato l’operazione Tinombala 2016. Il recente coinvolgimento dell’esercito nell’operazione è legato al fatto che la polizia si è resa conto di non avere l’esperienza di combattimento nella giungla necessaria per il buon esito dell’operazione. Inizialmente il capo della polizia, Badrodin Haiti, aveva chiesto l’intervento degli incursori dell’esercito e delle forze speciali per l’addestramento dell’unità mobile. Secondo un recente rapporto dell’Institute for policy analysis of conlict (Ipac), un centro studi indonesiano, la richiesta è stata trasmessa al capo dell’esercito, il generale Gatot, che in un primo momento aveva accettato ma poi ha avuto un ripensamento, probabilmente per evitare di essere accusato di voler “militarizzare” la polizia e per non indebolire il ruolo dell’esercito nelle questioni di sicurezza interna. L’esercito ha fatto quindi lo stretto necessario per garantire l’addestramento inviando, nel settembre 2015, solo un’unità di forze speciali da sessanta elementi (Kopassus) e una squadra d’intelligence militare di quaranta persone, selezionate a partire dal comando di riserva strategico dell’esercito (Kostrad). u f Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 31 asia e paciico Dhaka, 25 aprile 2016 Cina giappone informazione a rischio RehMAN ASAD (AfP/GeTTy IMAGeS) una stretta sulle ong Le pressioni del governo stanno mettendo a rischio l’indipendenza dei mezzi d’informazione giapponesi, e la struttura organizzativa del settore indebolisce la capacità dei giornalisti di resistere a queste pressioni. Sono le conclusioni preliminari a cui David Kaye, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di stampa e di opinione, è arrivato dopo una settimana di studio e osservazione in Giappone, scrive il Tokyo Shimbun. Kaye ha rilevato una grande preoccupazione tra i giornalisti, che sentono di non poter coprire in modo indipendente questioni delicate come il nucleare. In particolare ha puntato il dito contro il sistema dei kisha club, le associazioni di giornalisti nate intorno a gruppi d’interesse o enti istituzionali di cui fanno parte solo reporter selezionati, che facilitano i meccanismi di pressione. Il rapporto completo di Kaye sarà presentato al consiglio per i diritti umani dell’Onu nel 2017. banglaDesh il fallimento dello stato La conta delle vittime degli estremisti islamici in Bangladesh non si ferma. Due giorni dopo l’omicidio di Rezaul Karim Siddique, il docente ucciso il 24 aprile a colpi di machete nel nord del paese, sono stati uccisi a Dhaka Xulhaz Mannan e Mahbub Tonoy. Mannan era il direttore di Roopbaan, l’unica rivista lgbt del paese, dove l’omosessualità è un reato. Il suo omicidio e quello del suo amico Tonoy sono stati rivendicati da Al Qaeda, scrive il Dhaka Tribune, mentre dietro la morte di Siddique ci sarebbe il gruppo Stato islamico. “Lo stato sta trascurando il suo compito principale, proteggere i suoi cittadini, sostenendo che si tratta di casi isolati e che la situazione è sotto controllo”, denuncia il giornale. La nuova bozza di legge sulle organizzazioni non governative che operano in Cina rischia di stringere la morsa di Pechino sulle ong. Il testo prevede un maggior controllo della polizia sull’attività e sui bilanci delle ong straniere. I mezzi d’informazione uiciali, tuttavia, hanno messo l’accento sull’allentamento di alcune restrizioni: le ong, per esempio, potranno aprire più uici nel paese e i permessi, oggi di cinque anni, saranno prolungati. Ma preoccupa il fatto che le ong ritenute pericolose per la sicurezza nazionale – un’accusa usata spesso dalle autorità per limitare gli spazi d’azione delle associazioni per la tutela dei diritti umani e civili – potranno essere inserite in liste nere della polizia. “La stampa straniera accusa la proposta di legge di essere troppo restrittiva, ma si tratta di regole legittime e ragionevoli per fare ordine”, scrive Huanqiu. Il quotidiano ilogovernativo sottolinea che le ong saranno convocate dalla polizia per chiarimenti prima di essere bandite. Un segnale d’apertura che però si scontra con la discrezionalità dei controlli denunciati dagli operatori. ◆ papua nuova guinea Detenzione illegale nepal sparizioni dopo il sisma Negli ultimi due anni 16.500 nepalesi, soprattutto donne e bambini, sono initi nelle mani dei traicanti di esseri umani, in particolare dopo il terremoto dell’aprile 2015. È quanto denuncia la commissione nazionale per i diritti umani in un rapporto pubblicato il 26 aprile. Molte donne iniscono in Cina e in Corea come spose, sfruttate nell’intrattenimento e nel traico di organi, scrive il Kathmandu Post. 32 Il 26 aprile la corte suprema della Papua Nuova Guinea ha dichiarato illegale e incostituzionale il centro di detenzione australiano sull’isola di Manu e ha ordinato al governo di chiu- Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 derlo, scrive il Guardian. Il primo ministro papuano, Peter O’Neill, ha quindi annunciato la chiusura del centro e ha chiesto al governo australiano di trovare immediatamente una sistemazione alternativa per gli 850 richiedenti asilo e profughi che ospita. La struttura, che insieme a quella sull’isola di Nauru fa parte del sistema di detenzione ofshore alla base della politica australiana sull’immigrazione, è da tempo al centro di polemiche per le condizioni disumane in cui i profughi sono costretti a vivere. Per ora il ministro dell’immigrazione australiano Peter Dutton ha dichiarato che il governo di Canberra “lavorerà insieme a quello papuano per afrontare la situazione”. TOMOhIRO OhSUMI (BLOOMBeRG vIA GeTTy IMAGeS) Huanqiu, Cina Tokyo 2016 in breve Corea del Nord Il 6 maggio si aprirà a Pyongyang il congresso del partito unico al potere, il Partito del lavoro di Corea. L’ultimo congresso si era tenuto nel 1980. Filippine Il 25 aprile i terroristi islamici di Abu Sayyaf hanno fatto ritrovare sull’isola di Jolo il corpo decapitato di John Ridsdel, un canadese rapito il 21 settembre 2015. Visti dagli altri EmILANo mANCuSo (CoNtrASto) Pollica, Salerno, settembre 2010. Il sacerdote Luigi Merola con la sua scorta I preti che rischiano la vita combattendo le maie Lorenzo Tondo, Time, Stati Uniti Negli ultimi quattro anni almeno venti sacerdoti sono stati minacciati dalla criminalità organizzata. E altri in passato sono stati uccisi perché l’avevano ostacolata a testa mozzata di un asino davanti all’ingresso della chiesa. Il destinatario del macabro regalo è Antonio Aguanno, parroco di Vita, un paese nella Sicilia occidentale. Il fatto è avvenuto il 6 marzo scorso, prima della messa domenicale. Sembra che la maia locale non abbia gradito i continui appelli del sacerdote alla pace e alla legali- L 34 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 tà, dopo che in paese c’era stata una lunga serie di crimini. E la risposta dei boss è arrivata puntuale, con la più stereotipata delle minacce. Secondo alcune indiscrezioni, qualche giorno prima Aguanno era stato avvicinato da due uomini che lo avevano insultato. I carabinieri che indagano sul caso pensano che a far scattare la macabra intimidazione possa essere stata un’omelia del sacerdote. La testa d’asino a Vita è solo l’ultima delle minacce che le maie italiane hanno lanciato contro chi prova a ostacolare le attività dei boss. Nel mirino delle organizzazioni criminali sono initi anche i preti, uomini di chiesa coraggiosi che spesso pagano con la vita la loro battaglia. Sono una ventina di sacerdoti minaccia- ti dalle maie negli ultimi quattro anni. Centinaia i casi mai denunciati. Padre Cosimo Scordato, sacerdote e teologo di Palermo, è stato vittima in passato di alcune intimidazioni e ha raccontato la sua storia nel libro Dalla maia liberaci o Signore (Di Girolamo 2014). Dei sacerdoti che combattono la maia dice: “Da quando la chiesa si è ribellata ai boss, la maia ha cominciato a perdere il consenso sociale nei quartieri che controlla. È come se la chiesa dicesse ai boss: ‘Il vostro comportamento non è afatto da cristiani’. E la maia non ama essere contraddetta. Per questo gli attacchi contro i sacerdoti sono aumentati”. Dal dopoguerra, e per cinquant’anni, una parte dell’opinione pubblica italiana ha accusato la chiesa di essere troppo in- dulgente nei confronti dei boss. In Sicilia, addirittura, la presenza di un prelato in famiglia garantiva autorevolezza e prestigio ai maiosi. Lo zio di Calogero Vizzini, capomaia ino agli anni cinquanta, era il vescovo Giuseppe Scarlata. Due fratelli di Vizzini, Salvatore detto Totò e Giovanni detto Giuanninu, erano preti e vivevano in casa sua. Agostino Coppola, parroco a Cinisi, in Sicilia, il 16 aprile 1974 celebrò in un luogo segreto il matrimonio del boss Totò Riina, all’epoca già ricercato dalla polizia. Poi ci fu una svolta. Tutto cominciò nel 1993, quando Pino Puglisi, dal pulpito della sua chiesa nel quartiere Brancaccio, a Palermo, sidò pubblicamente cosa nostra. Fu ucciso il 15 settembre 1993, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno (e beatiicato nel 2013). A Casal di Principe, a pochi chilometri da Napoli, il 19 marzo del 1994 la camorra uccise il parroco Giuseppe Diana. Dopo la morte dei due sacerdoti la chiesa cambiò radicalmente atteggiamento nei confronti delle maie. Sulle orme di padre Puglisi, oggi Luigi Merola, 43 anni, continua a denunciare i traici di droga della camorra nel quartiere di Forcella, a Napoli. Forcella è da sempre una delle roccaforti dei boss napoletani. Qui la droga si vende anche di giorno, sotto gli occhi di tutti. Si vendono anche armi, le stesse usate per uccidere i nemici del clan. Quando nel duemila Merola fu assegnato alla chiesa di Forcella, nel quartiere era in corso una guerra tra il clan dei Giuliano e quello dei Mazzarella. Il 27 marzo 2004, durante una sparatoria, fu uccisa accidentalmente Annalisa Durante, una ragazzina di 14 anni. E Merola non rimase a guardare. “Durante il funerale di Annalisa attaccai duramente i boss”, racconta. “Sapevo che in chiesa erano presenti i loro uomini. Dissi che la rovina del quartiere era la camorra e che bisognava batterla per continuare a vivere”. Caccia alle telecamere La predica di Merola ebbe una grande eco in tutta Italia. Era una dichiarazione di guerra e Merola sapeva che i proiettili successivi avrebbero potuto colpire proprio lui. “Già agli inizi del duemila denunciai i traici della camorra nel quartiere”, spiega. “Notai che i vicoli di Forcella erano pieni di telecamere. Non le aveva messe la polizia, ma i boss per controllare chi andava e veniva. Mi arrampicai con una scala e le spaccai tutte. Poi consegnai i rottami ai La predica ebbe una grande eco in Italia. Era una dichiarazione di guerra e Merola sapeva che avrebbero cercato di colpire anche lui magistrati. Allora cominciarono a pedinarmi”, prosegue il sacerdote. “Venivano a casa mia nel cuore della notte con le pistole. Alla ine del 2004 la polizia mi disse che in un’intercettazione telefonica il boss di Forcella Luigi Giuliano afermava di volermi eliminare. ‘Lo ammazzeremo sull’altare’, aveva detto Giuliano parlando con un suo uomo. Il giorno stesso mi assegnarono una scorta”. Ma Forcella era diventata troppo pericolosa per Merola. Nel 2007 la chiesa decise di trasferirlo, contro la sua volontà, in un altro quartiere. La battaglia di Merola continua oggi tra le mura di una meravigliosa villa nel quartiere Arenaccia, a Napoli, sequestrata alla camorra e aidata all’associazione ’A Voce d’’e creature, fondata proprio da Merola. L’obiettivo è togliere i bambini di Napoli dalla strada e ofrirgli degli spazi per fare sport e studiare. Merola, però, è costretto a comunicare i suoi spostamenti agli agenti, anche perché sulla sua testa pende ancora una condanna a morte. Per ricordarglielo, a febbraio del 2014 due uomini con il volto coperto hanno sparato alla sua auto parcheggiata a pochi metri da casa. “Noi preti abbiamo un enorme potere in questi quartieri dimenticati dallo stato”, spiega Merola, “perché è nelle zone più povere del paese che si concentra la maggioranza dei fedeli. Ed è in queste zone che la maia approitta del silenzio della chiesa per portare avanti i suoi interessi. I boss si sentono protetti da Dio”. Quello tra la religione e la maia è un rapporto antico, intenso e contraddittorio. Prima di commettere un omicidio i killer della camorra pregano san Gennaro, il pa- trono di Napoli, perché li aiuti nella missione. Durante le processioni religiose a Palermo, Reggio Calabria e Napoli, è diventata un’abitudine far sostare davanti alle abitazioni dei boss, in segno di rispetto, la statua dei santi portati in spalla dai fedeli. Nella periferia a nord di Roma, in un’altra villa sequestrata a un boss della banda della Magliana, vive uno dei sacerdoti initi sotto scorta. Si chiama Antonio Coluccia e la sua “colpa” è quella di aver trasformato questa splendida reggia in una casa di accoglienza per poveri e tossicodipendenti. “Quando sono arrivato nella zona di Grottarossa”, spiega Coluccia, “il quartiere era nelle mani degli spacciatori legati alla criminalità locale. I loro bersagli erano i poveri della zona, i tossicodipendenti: gli vendevano eroina o li uccidevano se non avevano i soldi per pagarla. Ho capito che per aiutare i poveri la chiesa non poteva limitarsi ad accoglierli, ma doveva andare oltre. Dovevamo bloccare il traico di droga”. La inta fede dei boss Le minacce sono cominciate nel 2014 con una serie di atti vandalici all’abitazione di Coluccia e alla sua auto. Poi nel giugno del 2015 due uomini hanno sparato. Uno dei proiettili ha colpito alla mano un passante. “Era chiaro che non volevano spaventarmi”, dice Coluccia, “volevano eliminarmi”. Pochi mesi dopo ha ricevuto una busta con un proiettile e un messaggio: “Parli troppo”. Lui non si è fermato e ha continuato a parlare. “La chiesa è rimasta in silenzio troppo a lungo. Sono initi quei tempi. Ora è arrivato il tempo della parola”, dice. Tra i sacerdoti che sfidano la mafia, quello che più di tutti rischia la vita è Luigi Ciotti. La sua associazione, Libera, gestisce la maggior parte dei beni coniscati alla maia e riutilizzati a scopi umanitari. “Come disse una volta il boss Marino Mannoia agli agenti dell’Fbi, la maia teme una chiesa che interferisce con i suoi afari. Interferire”, dice Ciotti, “vuol dire afermare apertamente l’incompatibilità tra maia e Vangelo. Per questo i gesti e le parole di papa Francesco contro le maie e la corruzione sono di grande incoraggiamento per spogliare i boss della loro inta fede. I maiosi si sentono impuniti, anche davanti a Dio. Ma il Dio della maia è un falso, costruito a loro uso e consumo, un’entità accomodante. Perché in fondo, il Dio dei boss non è un padre, ma un padrino, come loro”. u Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 35 GIOvANNI ISOLINO (AFP/GeTTy IMAGeS) Visti dagli altri Un gruppo di migranti al porto di Messina, il 15 aprile 2016 L’inutile piano italiano contro i traicanti Patrick Kingsley, The Guardian, Regno Unito Per fermare la tratta di esseri umani il governo Renzi invoca l’intervento della Nato, ma potrebbe non bastare A nche se il numero dei migranti provenienti dalla Libia non è aumentato rispetto all’anno scorso, i governi europei temono che la chiusura della rotta tra la Grecia e la Turchia provochi nuovi lussi di migranti dal Nordafrica verso l’Italia. Negli ultimi giorni questo timore ha spinto i leader occidentali a discutere la possibilità di una duplice reazione. Prima, il governo di Roma ha proposto di rimandare i migranti diretti in Italia nella Libia dilaniata dalla guerra. Poi, durante un incontro con i suoi alleati europei, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha accettato di impiegare navi statunitensi nelle operazioni in corso nelle acque internazionali al largo della Libia per fermare il traico di esseri umani. La ministra della difesa italiana Roberta Pinotti ha dichiarato che la missione congiunta della Nato potrebbe cominciare già a luglio. Ma questa decisione, così afretta- 36 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 ta, rischia di avere conseguenze negative sia a livello pratico sia a livello etico. Se i traicanti restano in acque internazionali, le navi occidentali non potranno fare molto. I traicanti lasciano le barche in mano a minorenni non perseguibili o ai migranti. Anche se la Nato otterrà da Tripoli l’autorizzazione a entrare nelle acque libiche, avrà comunque diicoltà a intervenire. La maggior parte delle imbarcazioni che partono dalla Libia sono gommoni gonfiabili che salpano dalla costa e a bordo non hanno nessun traicante. Solo una presenza a terra potrebbe impedirne la partenza, ma quando ormai sono in mare una missione navale può fare molto poco per catturare i traicanti. mandare tutti i migranti in Libia sarebbe diicile. Attualmente tre governi rivali si contendono il paese, mentre un gruppo afiliato allo Stato Islamico (Is) ne controlla una parte. Il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, che è l’unico alleato logico dell’occidente, potrebbe metterci settimane per funzionare davvero. Inoltre il controllo che esercita sulle istituzioni del paese non è ancora molto saldo. In termini puramente pratici, non sappiamo se potrebbe facilitare il trasferimento di decine di migliaia di persone, o quanto sarebbe disposto a farlo. In termini etici, il rimpatrio sarebbe immorale. La Libia è una zona di guerra. Non ha mezzi per accogliere i rifugiati, e i migranti non avrebbero alcun diritto né assistenza legale. Quelli che sono detenuti nei centri di accoglienza teoricamente statali vivono in condizioni indecenti senza poter contattare un avvocato. Alcune delle persone che sono state in quei centri sostengono di essere state vendute alle milizie o addirittura ai traicanti dalle autorità del campo. Fino a quando non saranno eliminati questi abusi, il lavoro dei traicanti sarà ancora molto richiesto, anche se le forze navali occidentali riusciranno a entrare nelle acque territoriali libiche. “Salire sulle barche non è una nostra scelta”, ha dichiarato l’anno scorso in un’intervista un’infermiera eritrea detenuta in un campo libico. “Ma se il governo libico e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non ci aiutano, l’unica possibilità che abbiamo è aidarci ai traicanti”. u bt Da sapere Tre anni di sbarchi Arrivi mensili dei migranti in Italia via mare, in migliaia. Fonte: The Guardian 2014 2015 2016 25 Questione etica Nemmeno in acque libiche si potrebbe fare molto di più. Per far salire i migranti sulle imbarcazioni, i traicanti ormeggiano i pescherecci a un paio di miglia dalla costa e aspettano che i migranti arrivino con i gommoni. In teoria le forze navali occidentali potrebbero arrestare i trafficanti mentre aspettano i migranti. Ma sarebbe diicile, perché dovrebbero fermare tutti i pescatori libici o bombardare interi porti. Anche ri- 20 15 10 5 0 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Le opinioni Gli Stati Uniti somigliano sempre di più all’Europa Ivan Krastev i questi tempi per molti europei an- apertamente una rivoluzione (anche se, fortunatadare negli Stati Uniti è come atterra- mente, di tipo non violento). Per loro il conlitto genere su Marte. Neanche i più rainati razionale è la nuova versione della lotta di classe dei analisti politici riescono a farsi loro genitori e nonni. In Grecia, Spagna e Portogallo quasi la metà dei un’idea di quello che sta succedendo nel paese. Sono sconcertati giovani è disoccupata. Questi ragazzi considerano la dall’ascesa di Donald Trump, interdetti dal fascino globalizzazione un disastro e disprezzano l’idea di liesercitato dal socialismo di Bernie Sanders sui giovani bero scambio. E sebbene Sanders non sia né Jean Jauelettori e confusi dalla politica estera prudente e poco rès né Lev Trotskij – personalmente lo trovo emozionante come un sandwich al cetriolo – per buona parte idealista di Barack Obama. di questa nuova sinistra radicale statuPersonalmente non condivido quenitense ed europea la sua mancanza di sto smarrimento. Osservando la rabbia Se c’è qualcuno carisma è un ulteriore segno di integrità della classe media, l’arroganza e l’impo- che non riesce e autenticità. polarità delle élite, il difuso scetticismo a capire gli Stati Neanche la svolta realista di Obama sull’eicacia della forza militare e la di- Uniti sono gli in politica estera mi stupisce. Il presilagante paura del futuro, forse per la pri- statunitensi stessi. dente statunitense dice di aver buttato ma volta sento di comprendere esatta- Non capiscono via il “libro delle regole di Washington”, mente quello che succede negli Stati che il loro paese e questo ha sorpreso e spaventato gli alUniti. sta rapidamente leati europei degli Stati Uniti. La famosa Prendete la campagna elettorale di diventando massima di Obama, “non fare stupidagTrump, che consiste soprattutto nell’urgini”, in realtà è il principio fondante lare le cose più folli e vili. Il suo successo, “normale” della politica estera dei paesi europei già che riesce a far apparire perfino Ted Cruz un politico normale, è sconcertante per molte da molti anni. Obama sta solo esplicitando qualcosa di persone, sia negli Stati Uniti sia all’estero, abituate a cui siamo consapevoli da tempo: la politica estera devedere i politici statunitensi bilanciarsi tra il populi- gli Stati Uniti si sta facendo sempre più prudente, semsmo becero e una rispettabile normalità. Finora il cen- pre più europea. Gli statunitensi non vengono più da Marte, e gli europei non vengono più da Venere, come tro aveva sempre tenuto. Ma Trump si sentirebbe a casa sua in Europa. Qui i diceva Robert Kagan. Forse siamo tutti insieme su Sapartiti tradizionali messi insieme faticano a ottenere il turno, a cercare di evitare che tutta questa confusione cinquanta per cento dei voti alle elezioni. A conquista- impolveri i nostri splendidi anelli. Se c’è qualcuno che in questo momento non riesce re gli elettori sono i proclami viscerali fondati sul risentimento politico. Quando entro in un cafè a Soia, a capire gli Stati Uniti sono gli statunitensi stessi. Non a Varsavia o ad Amsterdam, sento donne e uomini che capiscono che il loro paese sta rapidamente diventanparlano di espellere gli stranieri, vietare l’ingresso ai do “normale” e non riescono ad accontentarsi del benessere economico e di uno splendido isolamento musulmani e costruire muri per difendere i conini. Queste opinioni sono condivise da tutti quelli che geopolitico. “Il nostro destino come nazione è stato si sentono minacciati dalla perdita di potere politico e quello di non avere ideologie, ma di esserne una”, ha dalla rapida erosione della loro ricchezza. Si sentono detto una volta lo storico statunitense Richard traditi dalla rivoluzione demograica in corso in tutto Hofstadter. Paragonandosi agli europei, gli statunitensi si vanil mondo, che minaccia di renderli minoranze nel loro stesso paese. La rozza franchezza di Trump e la sua tavano del fatto che certe cose “qui non possono sucinarrivabile capacità di manipolare i mezzi d’informa- cedere”. Si consideravano immuni alle patologie della zione ricordano a tal punto lo stile di Silvio Berlusconi democrazia. Ma dopo anni di polarizzazione politica e che a volte mi chiedo se l’ex cavaliere non lo stia segre- governo bloccato, gli statunitensi sono ancora convinti che la loro democrazia non possa essere sovvertita? tamente consigliando. Ora che vedono con i loro occhi la “normalizzazioAnche Bernie Sanders dovrebbe risultare familiare in Europa. La maggior parte dei giovani europei che ne” degli Stati Uniti, molti europei cominciano ad aveconosco considera il capitalismo un sistema falsato e re nostalgia per quell’America che non avevano mai ingiusto. Per loro il socialismo, e non solo la socialde- davvero capito. Un paese con le sue imperfezioni, ma mocrazia neoliberale, non è una parolaccia. Si consi- anche le sue promesse, più ambizioso e meno ambivaderano penalizzati dallo status quo, e molti invocano lente. Cominciamo già a sentirne la mancanza. u f D 38 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 IVAN KRASTEV dirige il Centre for liberal strategies di Soia. Il suo ultimo libro è Democracy disrupted. The politics of global protest (Penn Press 2014). Le opinioni I tassi d’interesse negativi non bastano Joseph Stiglitz er l’economia mondiale il 2016 non do- Inoltre le banche possono riiutarsi di fare credito ad vrebbe rivelarsi migliore del 2015, l’anno alcune aziende o chiedere pesanti garanzie. Può sembrare strano, ma le banche non erano conpeggiore dalla crisi del 2008. Il problema di fondo è l’insuicienza della domanda template nel modello di politica economica usato negli globale. Per farvi fronte la Banca centrale ultimi vent’anni. Il fatto è che la struttura dell’eurozona europea (Bce) ha introdotto altre misure e le politiche della Bce hanno indebolito le banche dei di stimolo: come già tentato dalla Banca del Giappone paesi meno solidi. I depositi sono sempre più esigui e le politiche d’austerità imposte dalla Gere altre banche centrali, vuole smentire mania stanno prolungando la carenza di l’assunto secondo cui i tassi d’interesse In nessuna delle economie che domanda e aggravando la disoccupazionon possono scendere sotto lo zero. ne. In queste circostanze prestare denaro Eppure in nessuna delle economie stanno tentando è rischioso e le banche non possono e non che stanno tentando l’esperimento dei l’esperimento dei vogliono farlo, soprattutto se a chiederlo tassi negativi c’è stato un ritorno alla cre- tassi d’interesse scita o alla piena occupazione. In alcuni negativi c’è stato un sono le pmi (che generano il maggior nucasi ci sono stati esiti inattesi: i tassi prati- ritorno alla crescita. mero di posti di lavoro). Anche un calo del tasso d’interesse reale ino al -3 o -4 cati dalle banche sono aumentati. Avreb- In alcuni casi per cento non farebbe praticamente nesbe dovuto essere chiaro che la maggior i risultati sono stati suna diferenza. I tassi d’interesse negaparte dei modelli teorici seguiti dalle opposti tivi penalizzano i bilanci delle banche, banche centrali prima della crisi erano che devono pagare per depositare presso sbagliati. Nessuno di quei modelli ha previsto la crisi, e in pochissime di queste economie si è le banche centrali, e questo annulla l’incentivo al prestitornati a una parvenza di piena occupazione. Com’è to. Alla ine il credito può ridursi ancora e i tassi di prenoto, la Bce ha alzato due volte i tassi d’interesse nel stito possono salire. Ci sono altri problemi. Il primo è che bassi tassi d’in2011, proprio quando la crisi dell’euro si stava aggravando e il tasso di disoccupazione stava raggiungendo la teresse incoraggiano le aziende a investire in tecnologie a uso intensivo di capitale, riducendo la domanda di doppia cifra, aumentando il rischio della delazione. A Francoforte hanno continuato a usare vecchi mo- forza lavoro a lungo termine anche se a breve termine delli ormai screditati secondo cui il tasso d’interesse è la disoccupazione cala. Il secondo è che le persone più il principale strumento politico, che può essere aumen- anziane, le cui pensioni dipendono dagli interessi attivi, tato o abbassato al ine di garantire il buon andamento sono ulteriormente danneggiate e riducono i loro condell’economia. Se i tassi d’interesse positivi non funzio- sumi più di quanto le persone che ne beneiciano – i ricnano, allora i tassi negativi risolveranno il problema. chi possessori di azioni – aumentino i loro, e questo fa Ma non è andata così. In molte economie, incluse l’Eu- diminuire la domanda. Il terzo è che la ricerca della renropa e gli Stati Uniti, i tassi d’interesse reali (cioè ade- dita spinge gli investitori verso titoli più rischiosi, auguati all’inlazione) sono stati negativi, arrivando ino a mentando l’instabilità inanziaria. Le banche centrali dovrebbero concentrarsi sul lus-2 per cento. Eppure gli investimenti sono rimasti staso di credito, il che signiica ripristinare e mantenere la gnanti. L’idea che le grandi aziende calcolino con precisio- capacità e la volontà delle banche locali di prestare dene il tasso d’interesse a cui sono disposte a investire – e naro alle pmi. Invece le banche centrali di tutto il monche sarebbero pronte a intraprendere grandi progetti se do si sono concentrate sulle banche più grandi, le stesse solo i tassi fossero abbassati di altri 25 punti base – è as- che, con la loro scarsa prudenza e le loro pratiche scorsurda. La realtà è che queste aziende hanno già un’enor- rette, hanno provocato la crisi del 2008. Ma prese tutte me capacità produttiva in eccesso. Che senso ha au- insieme anche le banche più piccole sono importanti mentarla ancora solo perché il tasso d’interesse è leg- per il sistema, soprattutto se l’obiettivo è ripristinare germente sceso? Le piccole e medie imprese (pmi) che l’investimento, l’occupazione e la crescita. Se le banche centrali continuano a usare i modelli volevano chiedere un prestito non potevano farlo già sbagliati, continueranno a fare la cosa sbagliata. Anche prima dei tassi negativi e non possono farlo ora. La maggior parte delle aziende, e soprattuto le pmi, nella migliore delle ipotesi, la capacità della politica non riescono a ottenere prestiti agli stessi tassi dei buo- monetaria di ristabilire la piena occupazione in un’econi del tesoro statunitensi. Non si rivolgono ai mercati nomia in crisi potrebbe essere limitata. Ma basarsi sul inanziari, ma alle banche. E c’è una grossa diferenza modello sbagliato potrebbe perino peggiorare una sitra i tassi d’interesse delle banche e quelli del tesoro. tuazione già complicata. u f P 40 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 JOSEPH STIGLITZ insegna economia alla Columbia university. È stato capo economista della Banca mondiale e consulente economico del governo statunitense. Nel 2001 ha vinto il premio Nobel per l’economia. In copertina La salute non Mandakini Gahlot e Vidya Krishnan, The Caravan, India. Foto di T. Vanden Driessche a sede dell’uicio generale di brevetti, design e marchi a New Delhi si trova nel quartiere di Dwarka, a 45 minuti di auto dai centri del potere della capitale. Il posto ha un’aria tranquilla, e nei pomeriggi d’inverno è facile vedere giovani impiegati che dopo pranzo prendono il sole sul prato. Nei due ediici al di là del prato, una trentina di funzionari esaminano le domande di brevetto presentate all’uicio. Molte sono respinte o approvate senza attirare particolare attenzione. Ma ogni tanto, in genere quando sono in gioco grosse somme di denaro, qualcuna cattura l’interesse dei mezzi d’informazione. In alcuni casi, anche se più rari, il verdetto può determinare il destino di decine di milioni di persone nel mondo. Uno di questi casi si è presentato nel luglio del 2014 a un funzionario di nome Hardev Karar. La società farmaceutica statunitense Gilead Sciences voleva brevettare un farmaco chiamato sofosbuvir, abbreviato in “sofo”, e venduto con il nome commerciale di Sovaldi. Il farmaco era stato approvato dalle autorità statunitensi nel dicembre del 2013 e da allora aveva rivoluzionato la cura dell’epatite C, una malattia virale che può degenerare in cirrosi epatica e cancro. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’epatite C colpisce più di 130 milioni di persone in tutto il mondo e provoca 500mila morti ogni anno. Il Sovaldi si è dimostrato eicace contro la malattia più di qualsiasi altro farmaco, e senza gli efetti collaterali causati da quelli usati in precedenza. L 42 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Ma il prezzo stabilito dalla Gilead per il farmaco è stato aspramente criticato: negli Stati Uniti il Sovaldi costa mille dollari a compressa, quindi la cura completa di 84 giorni che inora ha funzionato per la maggior parte dei pazienti costa 84mila dollari. Nel 2014 questo prezzo esorbitante ha fatto guadagnare alla casa farmaceutica 10,3 miliardi di dollari, portando i suoi incassi a 25 miliardi, più del doppio dell’anno precedente. E il farmaco prometteva di fargliene guadagnare molti altri negli anni a venire. La Gilead voleva vendere il Sovaldi anche in India. Se Karar le avesse concesso il brevetto, la casa farmaceutica sarebbe stata l’unica ad avere avuto il diritto di produrlo e venderlo nel paese, dove, secondo l’Oms, le persone afette da epatite C sono 12 milioni. Il 14 gennaio Karar ha respinto la richiesta della Gilead. La notizia è inita sulle prime pagine dei giornali e ha fatto tremare i consigli d’amministrazione indiani e di tutto il mondo perché ha dato alle case farmaceutiche indiane la possibilità di fabbricare versioni generiche del farmaco – vale a dire, con lo stesso principio attivo – e di venderle al prezzo che volevano. Le aziende indiane sarebbero state anche libere di esportarlo in altri paesi, compresi quelli in cui intendeva farlo la Gilead. Ad attirare l’attenzione di tutti non sono state solo le enormi implicazioni commerciali della decisione. Il riiuto di brevettare il farmaco è anche indicativo dell’atteggiamento dell’India di Narendra Modi nei confronti delle aziende internazionali. Il paese è accusato da decenni di non proteggere a suicienza i diritti di proprietà intellettuale, THOMAS VANDEN DrIESSCHE (INSTITUT) Da decenni l’India sida le multinazionali farmaceutiche occidentali garantendo anche ai più poveri l’accesso ai medicinali. Quello del farmaco contro l’epatite C è l’ultimo di una lunga serie di brevetti contestati. Ma qualcosa rischia di cambiare n ha prezzo Il tempio Shiv Mandir a Bangalore, 2014 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 43 In copertina e quindi di non fornire alcun supporto alle aziende straniere che propongono innovazioni. I paesi occidentali, che dopo le elezioni del 2014 speravano in un cambiamento, probabilmente avranno visto il rifiuto di concedere il brevetto alla Gilead come un ulteriore segnale del fatto che l’India non intendeva raforzare il suo regime di difesa della proprietà intellettuale. I legali della Gilead si sono mossi subito e si sono rivolti all’alta corte di New Delhi per contestare il verdetto di Karar. Due settimane dopo, il 30 gennaio, il tribunale ha riconosciuto, come chiedeva la Gilead, che Karar aveva commesso gravi errori di procedura, e ha chiesto di riesaminare la richiesta e prendere una “nuova decisione”. Una brutta sorpresa Qualche mese prima, a migliaia di chilometri di distanza, Greg Jeferys si era svegliato e si era accorto che non riusciva ad alzarsi dal letto. Jeferys, un cittadino australiano di sessant’anni che vive a Hobart, in Tasmania, si sentiva afaticato già da qualche giorno. Quando la debolezza lo aveva costretto a rimanere a letto, si era seriamente preoccupato e aveva deciso di consultare un dottore. Dalle analisi era emerso che aveva l’epatite C. Non riusciva a capire come poteva aver contratto il virus. Poi si era reso conto che doveva essere stato quarant’anni prima, quando usava droghe per via endovenosa, e che il virus era rimasto latente per tutti quegli anni. Aveva esaminato le possibilità di curare la malattia, ma non erano molte. A 25 anni dalla scoperta del virus nel 1989, la terapia più comune consisteva in un’iniezione alla settimana di un farmaco chiamato interferone pegilato e in una compressa da prendere tutti i giorni. Jeferys si era spaventato vedendo la lista di efetti collaterali che causavano quei farmaci: nausea, depressione, diicoltà respiratorie, dolori al petto, febbre. Come molti malati di epatite C, aveva deciso di risparmiarsi quella tortura e di gestire la malattia rinunciando all’alcol e attenendosi a una dieta sana. Stava cominciando ad abituarsi al nuovo stile di vita, quando un parente gli ha detto che in Australia stavano testando un nuovo farmaco che avrebbe curato l’epatite C in tre mesi. Si chiamava Sovaldi e nei paesi dov’era già in vendita aveva un prezzo proibitivo, ma se fosse stato scelto per partecipare a una delle sperimentazioni, l’avrebbe avuto gratis. Aveva cominciato a mandare email ai medici per cercare di assicurarsi un posto, ma non aveva avuto alcuna informazione. Era riuscito a prenotare una visita a 44 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Sydney e aveva preso un aereo per andare lì, ma con sua grande delusione il medico gli aveva detto che c’erano molte richieste per partecipare ai test, e che i malati più gravi avevano la precedenza. Jeferys aveva rinunciato all’idea di procurarsi il farmaco ino a quando, qualche settimana dopo, le sue speranze erano state riaccese da una notizia che arrivava dall’India: l’uicio licenze aveva respinto la richiesta di brevetto della Gilead. Aveva cominciato a consultare freneticamente internet alla ricerca della versione indiana del farmaco e aveva scoperto che le case farmaceutiche indiane producevano effettivamente il sofosbuvir, ma il farmaco non era disponibile in Australia. L’unico modo per procurarselo era comprarlo in India. La legge australiana gli avrebbe permesso di tornare a casa con una scorta di tre mesi, giusto la quantità che gli serviva. Aveva fatto i conti. In Australia il prezzo della cura completa era 84mila dollari, come negli Stati Uniti. In India, calcolando anche il viaggio, il soggiorno e le altre spese per il periodo necessario a organizzare l’acquisto, ne avrebbe spesi poco più di tremila. Non aveva avuto un attimo di esitazione. Si sentiva sempre più debole, perciò aveva deciso di partire e aveva scelto come destinazione Chennai. Accordi e compromessi Ma mentre Jeferys progettava il suo viaggio, la Gilead si stava dando da fare per assicurarsi il controllo sulle vendite di sofosbuvir in India. Al centro della sua strategia c’erano gli accordi che aveva irmato con Da sapere Il sofosbuvir in Italia u In Italia si stima che i pazienti a cui è stata diagnosticata l’epatite C siano centinaia di migliaia, con prevalenza nettamente maggiore al sud. Il sofosbuvir, un nuovo farmaco per curare l’epaptite C, è stato introdotto nel dicembre del 2014 al prezzo di 37mila euro (iva esclusa) per l’intero trattamento. Il prezzo dovrebbe diminuire in base all’aumento dei volumi consumati. Ogni regione, però, deve avere la disponibilità economica per comprare il farmaco a prezzo intero e solo in un secondo momento, in base al volume consumato a livello nazionale, potrà ricevere un rimborso dalla ditta produttrice. Il governo inanzierà gli acquisti usando 100 milioni del fondo per i farmaci innovativi. Quella somma garantirà la terapia solo a 50mila pazienti scelti in base ai criteri di gravità stabiliti dall’agenzia italiana del farmaco. Lavoce.info undici aziende indiane tra il settembre del 2014 e il marzo del 2015. I contratti concedevano alle aziende indiane una “licenza volontaria” per fabbricare e vendere il farmaco in alcuni paesi, e non altri, al prezzo fortemente scontato di 900 dollari per 84 pillole, poco più dell’1 per cento di quello statunitense. Prevedevano anche una serie di altre cose, tra cui il pagamento di un 7 per cento di diritti sulle vendite alla Gilead. Era un piano discutibile. Secondo alcuni analisti, gli accordi di questo tipo sono un utile compromesso, perché permettono ai fabbricanti di farmaci generici di accedere al mercato di alcuni paesi, mentre i detentori del brevetto mantengono il loro monopolio negli altri. Ma le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sostengono che questa formula nega ai pazienti di questi altri paesi il diritto a cure a prezzi abbordabili. Tra le aziende indiane che avevano irmato l’accordo c’era la Natco di Hyderabad, una ditta che in passato aveva sidato con successo il tentativo delle aziende straniere di assicurarsi il dominio nel mercato indiano a forza di brevetti. Perciò gli attivisti, i giornalisti e gli analisti del settore farmaceutico erano rimasti sorpresi quando la Natco aveva accettato la proposta della Gilead. Quello che aveva reso ancora più insolito il suo comportamento era che la Natco era una delle quattro aziende che avevano impugnato la domanda di brevetto della Gilead a New Delhi prima ancora del verdetto. In pratica, si era trattato di una dichiarazione formale dell’azienda secondo cui il farmaco non meritava un brevetto in base alla legge indiana. Ma in aprile, un mese dopo aver irmato l’accordo di licenza volontaria con la Gilead, la Natco aveva ritirato il suo ricorso. Forse c’erano motivi nascosti dietro la decisione dell’azienda indiana. Un attivista per il diritto alla salute che segue quello che succede nell’industria farmaceutica ci ha detto che la Gilead aveva chiesto a un’altra grande casa farmaceutica indiana, la Mylan – con cui aveva già irmato un accordo di licenza – di contattare la Natco per suo conto. La Mylan, ha spiegato l’attivista, aveva una certa inluenza sulla Natco perché era una dei suoi principali clienti. “La Mylan ha contattato la Natco per portarla al tavolo delle trattative con la Gilead e ha inluenzato la sua decisione” spingendola a irmare l’accordo di licenza volontaria. “Essenzialmente”, dice l’attivista”, “ha fatto da mediatrice”. Le conseguenze di quella mediazione sono state gravi: in pratica, due aziende che altrimenti si sarebbero fatte concorrenza avevano raggiunto un accordo privato che THoMAS VANdeN drIeSSCHe (INSTITUT) La biblioteca del Narayana hospital di Bangalore, 2014 avrebbe potuto rendere inaccessibile a mi lioni di persone un farmaco salvavita. Ab biamo mandato un’email alla Natco per sapere perché aveva deciso di irmare l’ac cordo e vedere come reagiva all’aferma zione dell’attivista secondo cui la Mylan aveva fatto da mediatrice. Un rappresen tante dell’azienda ci ha risposto: “Sappiamo che la decisione della Natco di accettare una licenza volontaria ha sorpreso molte persone”. Pur non negando il ruolo svolto dalla Mylan al tavolo dei negoziati con la Gilead, il rappresentante ha però speciica to: “Siamo in totale disaccordo sull’uso del termine ‘mediazione’ perché a irmare il contratto sono state solo la Gilead e la Nat co”. Quando abbiamo chiesto perché la Natco aveva ritirato il suo ricorso contro il brevetto, il rappresentante ha risposto che l’azienda non poteva “avviare un conten zioso con diversi paesi che peraltro rientra no nello stesso accordo di licenza”. Firman do, ha aggiunto, “abbiamo garantito il lan cio del prodotto e la sua disponibilità in modo continuo” in molti mercati. In efetti, la licenza volontaria consenti va all’azienda di vendere immediatamente il farmaco in vari paesi, compresi buona parte di quelli africani. Ma molti hanno fat to notare che quelli esclusi erano stati accu ratamente selezionati. “La Gilead ha per messo ai suoi concorrenti indiani di vende re su mercati notoriamente poco redditizi per tenerli fuori da quelli più grandi come la Cina e il Brasile”, si legge in un articolo del novembre 2014 pubblicato da Al Jazeera. Secondo i calcoli della Hep coalition, un’or ganizzazione che lotta per un maggior ac cesso alla diagnosi e alla cura dell’epatite C, la scelta dei paesi che la Gilead ha lasciato alle aziende indiane impedisce a più di 73 milioni di malati di epatite C in tutto il mon do di accedere al sofosbuvir generico. Il contratto pone anche dei limiti alla possibi lità delle case indiane di esportare il princi pio attivo del sofosbuvir necessario per fab bricare le compresse. La Gilead ha cercato anche di imporre forti limitazioni alle vendite in India, stabi lendo le regole su chi poteva comprare il farmaco. L’azienda ha giustiicato queste misure dicendo che fanno parte di un “pro gramma antidiversione”, in pratica un pia no per assicurarsi che il farmaco vada solo dove vuole la Gilead. Secondo Medici senza frontiere (Msf ), che ha chiesto alla Gilead di poter comprare il sofosbuvir per i suoi progetti in Africa e in Asia, la ditta ha insisti to perché il farmaco, confezionato in laco ni, sia venduto solo a persone in grado di fornire “prove della loro identità, cittadi nanza e residenza”. Questo, ha detto Msf, potrebbe portare all’esclusione di gruppi vulnerabili come i rifugiati e i migranti eco nomici. A quanto sembra, però, nonostante abbiano irmato l’accordo, le aziende india ne non stanno rispettando il programma antidiversione. Il viaggio Greg Jeferys arrivò a Chennai a maggio, nel bel mezzo della torrida estate indiana. Aveva previsto di fermarsi una settimana, presumendo che sarebbe stata ampiamen te suiciente per farsi prescrivere il sofo Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 45 In copertina ThoMAS VANDEN DrIESSChE (INSTITUT) Narayana hospital, Bangalore, 2014 sbuvir e comprare la scorta che gli serviva. Ma incontrò quasi subito problemi di co municazione e di burocrazia, oltre agli inat tesi ostacoli del programma antidiversione della Gilead. Prese una stanza in un albergo di T. Na gar, un quartiere commerciale al centro della città, e la prima sera contattò un medi co che gli era stato consigliato da un attivi sta conosciuto attraverso un gruppo di so stegno online. Il dottore lo visitò, controllò le analisi e gli fece la prescrizione. Poi, sem pre seguendo il consiglio dell’attivista, Jef freys cercò di ottenere un appuntamento per comprare il farmaco. Dopo qualche giorno di frenetiche email e telefonate, riu scì ad avere un appuntamento per compra re il Sovaldi, che aveva preferito ai suoi equivalenti generici. Aveva ancora a dispo sizione solo due giorni. La mattina dopo rimase in attesa in al bergo, ma le ore passavano senza che il di stributore si facesse vivo. E le sue telefonate non ricevevano risposta. Finalmente, nel tardo pomeriggio, arrivò qualcuno, non il 46 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 distributore ma un fattorino che, con aria sorridente, gli diede una brutta notizia. Aveva portato un solo lacone di Sovaldi, gli disse, perché la Gilead non consentiva ai distributori di vendere a nessuno più di una confezione alla volta. Jeferys fu preso dal panico. Non sapeva delle misure antidiversione. Un lacone di Sovaldi gli sarebbe bastato solo per un me se, ed era improbabile che riuscisse a tro varne altri due nel poco tempo che gli rima neva. Decise allora di procurarsi la cura completa nella versione generica. Dopo qualche altra telefonata, riuscì a ordinare tre laconi di Myhep, la versione del sofo sbuvir della Mylan. La sera stessa, mentre cenava in albergo, il direttore lo chiamò di cendo che c’era un pacchetto per lui. Si pre cipitò nella sua stanza e tornò con le 30mila rupie per pagare il medicinale. Quando ri entrò in camera aprì il pacchetto. “C’erano tre barattolini di plastica, ognuno dei quali conteneva 28 pastiglie”, scrisse sul suo blog il 19 maggio. “Quei barattolini facevano la diferenza tra salute e malattia, vita e mor te, anni di vita tranquilla e anni di soferen za. Erano una specie di strana magia, una sorta di genio nella bottiglia”. La ricerca della medicina lo aveva molto turbato. Sul blog scrisse di essere rimasto “sconvolto dall’enormità di quell’esperienza”. Si senti va al tempo stesso fortunato e in colpa, “perché nel mondo ci sono tante altre per sone che dovrebbero avere queste com presse, che stanno sofrendo terribilmente perché non possono avere quello che con tengono queste tre scatolette. È una crudel tà, una follia. Come può un essere umano impedire a un altro di alleviare la sua sofe renza?”. Lotta salvavita Le licenze volontarie della Gilead, che era no la causa delle diicoltà che Jeferys ave va incontrato per procurarsi il sofosbuvir a Chennai, segnano un nuovo tipo di rappor to tra l’industria farmaceutica indiana e le aziende occidentali. Da decenni le aziende indiane erano famose non solo per il loro continua a pagina 48 » L’opinione A spese dei malati di epatite C Caroline Coq-Chodorge, Mediapart, Francia Il costo della terapia è proibitivo, ed è frutto di una speculazione economica senza precedenti l 16 aprile a Barcellona, in occasione del congresso internazionale di epatologia, l’ong Médecins du monde ha sollevato una grande polemica: “Quasi tutte le persone con l’epatite C possono guarire grazie ai nuovi antivirali ad azione diretta, ma l’avidità della Gilead – l’azienda che ha brevettato il farmaco Sovaldi – impedisce l’accesso universale a un medicinale vitale. Ci sono persone che continuano a morire inutilmente mentre la Gilead accumula miliardi di proitti”. In Francia l’associazione di pazienti Sos hépatites ha scritto una lettera aperta al ministro della sanità chiedendogli di allargare l’accesso alle nuove cure contro l’epatite C. “Le restrizioni non hanno più motivo di esistere”, dice Marc Bourlière, gastroenterologo ed epatologo di Marsiglia. “Oggi il numero di pazienti trattati diminuisce perché si riduce il numero di persone con le caratteristiche necessarie per ricevere le cure. E sul lungo periodo la riduzione della morbilità (la frequenza percentuale di una malattia in una collettività) e della mortalità è molto forte per tutti i pazienti”. L’epatite C è una malattia infettiva virale del fegato che si trasmette attraverso il sangue. Nel mondo 150 milioni di persone vivono con un’epatite cronica, che provoca un’iniammazione del fegato. Nella maggior parte degli individui il virus rimane a lungo dormiente, ma nel 10-20 per cento dei casi si risveglia a distanza di decenni dal contagio provocando una cirrosi epatica che può degenerare in tumore del fegato. L’arrivo del Sovaldi (il principio attivo è il sofosbuvir) ha rappresentato una svolta: I una cura di tre mesi è suiciente e non ha gravi efetti collaterali. Inoltre, nel 90 per cento delle persone trattate il virus non è più rilevabile. Prima, invece, la terapia durava molto, aveva pesanti efetti collaterali e guariva solo un paziente su due. Due anni dopo il suo arrivo sul mercato francese, l’accesso al sofosbuvir rimane limitato ai malati più gravi. Nel giugno 2014 l’alta autorità per la sanità francese ha raccomandato di usarlo solo per i malati con ibrosi epatica (conseguenza dell’iniammazione del fegato) allo stadio F3 o F4. Per ora sono esclusi i malati con ibrosi allo stadio F0, F1 o F2. “Non ha senso”, spiega Yann Mazens, direttore di Sos hépatites. “Questo trattamento è utile a tutti i malati. E al di là dei beneici individuali, c’è un beneicio collettivo: se tutti sono curati in modo appropriato, possiamo eradicare l’epidemia. In Francia è la prima volta che si applica una discriminazione nell’accesso alle cure per motivi economici”. Di fatto nel 2014 e nel 2015 in Francia solo 25mila pazienti hanno ricevuto la terapia, ma il servizio sanitario ha dovuto pagare almeno un miliardo di euro, una cifra pari al bilancio di un grande policlinico, e questo mentre il sistema è sottoposto a tagli senza precedenti che inluiscono sulla qualità delle cure e sulle condizioni di lavoro del personale medico. Non si può certo sottovalutare lo sforzo inanziario fatto dalla Francia, ma le condizioni della trattativa condotta con la Gilead devono essere riviste: “Pagare 41mila euro per un ciclo di terapia è una follia. Bisogna cambiare i metodi di deinizione dei prezzi dei medicinali”, osserva Mazens. “In Francia la Gilead ha chiesto prima 45mila euro”, racconta Pauline Londeix, ex vicepresidente di Act up-Parigi e consulente sulle questioni di accesso ai nuovi trattamenti. “In un primo tempo il ministero della sanità ha evocato il ricorso alla licenza obbligatoria (che permette di far produrre il farmaco generico senza rispettare un brevetto), ma alla ine ha ac- cettato il prezzo di 41mila euro”, continua Pauline Londeix. “Non è stata una buona contrattazione”. A Barcellona gli epatologi hanno appreso che la Spagna ha ottenuto il Sovaldi a circa la metà del prezzo francese. Ma per la Spagna, dove 500mila persone sono portatrici del virus, rimane un investimento enorme. Altrove nel mondo il Sovaldi rimane inaccessibile, in particolare nei paesi più colpiti dall’epatite C come l’Egitto, dove il 10 per cento della popolazione è infettata. “Il prezzo ottenuto attraverso un accordo con la Gilead è di 800 dollari per 12 settimane. Ma come si possono curare a quel costo più di otto milioni di persone?”, si chiede Londeix. “In Brasile il governo ha ottenuto il trattamento a 6.200 euro e vuole curare 90mila persone, selezionando i pazienti in base allo stadio della malattia. La discriminazione nell’accesso alle cure, così come il prezzo del farmaco, sono una catastrofe per il sistema sanitario”. Pressione politica Le aziende farmaceutiche non sembrano preoccuparsi molto di questi dilemmi etici. Il prezzo chiesto per il Sovaldi non è giustiicato né dal costo della ricerca né da quello della sua produzione: “Il costo reale è meno di 110 euro a ciclo”, riferisce Anne Gervais. I prezzi sono goniati a causa della speculazione economica senza precedenti realizzata su questa molecola. Il laboratorio che l’ha sviluppata in modo relativamente economico l’ha venduta alla Gilead per undici miliardi di dollari. Ma in realtà questo “investimento” è stato già ampiamente ammortizzato, poiché la Gilead ha già realizzato proitti per 32 miliardi di dollari, secondo le stime di Médecins du monde. Sos hépatites minaccia di aiutare i pazienti francesi a procurarsi dei farmaci generici prodotti in India e venduti a meno di 300 dollari. Médecins du monde invita i governi a rilasciare licenze obbligatorie e a moltiplicare i generici. Il problema è “la fortissima pressione politica ed economica delle case farmaceutiche”, constata Londeix. “In alcuni paesi, come il Brasile, inanziano i partiti politici, mentre in altri, come la Francia, ricattano il governo minacciando conseguenze per i posti di lavoro nel settore industriale”. u adr Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 47 In copertina riiuto delle condizioni imposte da quelle occidentali, ma anche per aver assunto un atteggiamento di sida e aver sostenuto di avere il diritto di fornire farmaci accessibili a chiunque ne avesse bisogno, in qualsiasi parte del mondo. Questo conlitto ha avuto un ruolo importante soprattutto nella lotta contro il virus hiv. Alla ine degli anni ottanta e negli anni novanta, l’hiv si stava rapidamente difondendo e le case farmaceutiche occidentali cominciarono a studiare farmaci per combatterlo. Anche se nel tempo il prezzo di una terapia era sceso da diecimila dollari all’anno a mille, rimaneva fuori della portata di milioni di persone infettate dal virus. Nel 2001 il presidente della multinazionale farmaceutica indiana Cipla, Yusuf Hamied annunciò che avrebbe offerto un “cocktail” di tre farmaci ai pazienti che vivevano in Africa, il continente con il maggior numero di malati di aids, al prezzo di un dollaro al giorno. I farmaci erano copie di quelli che aziende occidentali come la GlaxoSmithKline e la Boehringer Ingelheim vendevano già in alcune zone dell’Africa. Per quanto riguardava la produzione e la vendita in India, Hamied era pienamente in regola. Una legge straordinariamente progressista introdotta da Indira Gandhi nel 1970 vietava l’imposizione di brevetti sui farmaci. Ma le aziende occidentali avvertirono la Cipla che se avesse venduto i farmaci in altri paesi, compresi quelli africani, dove un brevetto glielo proibiva, sarebbe andato contro la legge. Dopo aver esercitato pesanti pressioni su vari governi e organizzazioni industriali di tutto il mondo, gli attivisti e Hamied cominciarono gradualmente a riportare qualche vittoria, come in Sudafrica, dove l’autorità garante della concorrenza decretò che la GlaxoSmithKline e la Boehringer Ingelheim – che in Africa avevano brevettato diversi cocktail di farmaci – stavano abusando della loro posizione dominante. L’autorità ordinò alle aziende di consentire la vendita dei farmaci generici contro l’hiv. A metà degli anni duemila, Hamied spediva già milioni di pillole in Africa, contribuendo a fermare la mortale epidemia che stava dilagando nel continente. Il suo impegno gli guadagnò agli occhi di molti la fama di salvatore, e di pirata agli occhi di altri. Ma anche se in parte avevano ceduto, nel frattempo le grandi case farmaceutiche stavano cercando di modiicare la natura stessa dei rapporti commerciali internazionali. “Hanno cominciato tutte, e la Pizer in particolare, a fare forti pressioni sui loro go- 48 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 verni per inserire la proprietà intellettuale nelle trattative commerciali”, dice James Love, il direttore di Knowledge ecology international, un’importante organizzazione per la difesa della proprietà intellettuale. Una prima svolta c’era stata nel 1994, quando 162 paesi, compresa l’India, avevano irmato l’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (Trips). Tra le altre condizioni, il patto imponeva che fossero rilasciati brevetti per tutte le “opere d’ingegno”, compresi i farmaci. Era la prima volta che un accordo internazionale collegava i diritti di proprietà intellettuale al commercio. Ai paesi in via di sviluppo come l’India erano stati concessi altri dieci anni per adeguarsi alle regole stabilite dal Trips. Ma New Delhi era riuscita a strappare l’inclusione di una clausola fondamentale: il diritto a rilasciare “licenze obbligatorie”. In parole povere, quando un governo aveva l’impressione che il detentore di un brevetto non agisse nell’interesse della salute pubblica, poteva ignorare il brevetto e permettere ad altri di produrre un farmaco. Da allora, l’India ha esercitato questo diritto una sola volta, nel caso del farmaco per la cura del cancro ai reni e al fegato, Nexavar, per il quale ha concesso alla Natco una licenza obbligatoria nel 2012. Nel 2005, quando la legge del 1970 fu emendata per permettere all’India di ade- Da sapere Le parole Brevetto È un titolo giuridico che garantisce il diritto esclusivo di sfruttare un’invenzione in un determinato territorio per un periodo di tempo prestabilito. Il titolare del brevetto può permettere ad altri di usarlo concedendo delle licenze volontarie, che stabiliscono dei limiti allo sfruttamento del brevetto e il compenso dovuto al titolare. Proprietà intellettuale È l’insieme dei diritti che tutelano le opere d’ingegno in campo scientiico, industriale e artistico. Accordo Trips È il trattato sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale siglato dai paesi dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 1994. Licenza obbligatoria È una licenza per l’uso di un brevetto che un governo può concedere, a certe condizioni e per scopi particolari, anche senza il consenso del titolare. Il Trips prevede questa eventualità, tra l’altro, per la produzione dei farmaci nei paesi in via di sviluppo. Farmarci equivalenti o generici Medicinali non più coperti da brevetto, commercializzati direttamente con il nome del principio attivo. Oms, Wto guarsi al Trips, i partiti di sinistra ottennero l’inserimento di una clausola nella nuova legge, la 3(d), in base alla quale una sostanza, come un farmaco, non poteva essere brevettata “se non implicava il miglioramento della sua eiciacia già nota. La sida più importante a questa nuova norma è stata lanciata dalla Novartis, che dopo essersi vista negare il brevetto per il Gleevec, un farmaco antitumorale, si è appellata alla corte suprema. Nell’aprile del 2013, la corte ha respinto l’appello in base all’articolo 3(d). È stata una decisione fondamentale, acclamata dagli attivisti e condannata dalle multinazionali, perché ha dimostrato che quella clausola poteva essere usata per tutelare i produttori di farmaci indiani e salvare molte vite. Una speranza per Washington La vittoria di Narendra Modi alle elezioni del 2014 è stata ritenuta da molti un fatto positivo per le industrie indiane e internazionali. Nei dieci anni in cui era stato governatore del Gujarat, Modi si era guadagnato la fama di essere un politico che faceva gli interessi delle imprese. Industriali e analisti politici erano curiosi di vedere come avrebbe afrontato la spinosa questione della proprietà intellettuale. Prima ancora della vittoria di Modi, il governo e le lobby industriali degli Stati Uniti avevano già lanciato qualche avvertimento. Nel febbraio del 2014 l’India era stata sottoposta a un severo controllo con una serie di udienze pubbliche condotte dalla United States trade representative, un’agenzia che si occupa dei negoziati commerciali per conto del governo di Washington e suggerisce le politiche commerciali al presidente americano. Da circa 25 anni l’India è nella “lista di controllo prioritaria” dell’agenzia, l’elenco dei paesi dove la tutela della proprietà intellettuale è considerata motivo di preoccupazione. Nel 2014 alcune lobby, come la potentissima organizzazione del settore farmaceutico Phrma, hanno chiesto che l’India fosse classiicata come “paese straniero prioritario”. Questo cambio di terminologia apparentemente innocuo avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi, perché i paesi così designati sono soggetti ad azioni penali e sanzioni. Ma il rapporto dell’agenzia non arrivava a tanto e si limitava a esprimere la speranza che il nuovo governo avrebbe apportato cambiamenti signiicativi. Con questa minaccia incombente nel maggio del 2014 è salito al potere Narendra Modi. Da allora attivisti e analisti hanno seguito con attenzione tutte le dichiarazioni fatte da Modi e dal suo governo sulla pro- ThoMAS VANDEN DRIESSChE (INSTITUT) Bangalore, 2014 prietà intellettuale. Le licenze obbligatorie restano un serio motivo di contesa tra l’India e gli Stati Uniti, ma dopo il caso del Nexavar del 2012 il governo indiano non ne ha più concesse. Secondo Love “non lo ha più fatto a causa delle pressioni esercitate dagli Stati Uniti”. Una svolta inattesa Mentre molti aspettano con il iato sospeso i futuri sviluppi della politica indiana, qualcuno, come Jeferys, ha deciso di prendere in mano la situazione. Poco dopo aver ottenuto la dose salvavita di sofosbuvir a Chennai, la sua vita ha preso una direzione totalmente inaspettata. Quando abbiamo parlato con lui via Skype a gennaio del 2016, ci ha detto che, durante quel viaggio, diverse persone afette da epatite C che avevano diicoltà a procurarsi il farmaco avevano cominciato a leggere il suo blog. Molti gli scrivevano per chiedergli consigli su come organizzare il viaggio in India, e con il tempo quel rivolo di domande era diventato un iume. Perciò aveva deciso di aiutare “più pazienti che poteva”, ha detto Jefferys. “Se potevano permettersi di andare in India, avrei costruito una rete di contatti locali per aiutarli. E se questo non fosse stato possibile, avremmo trovato un altro modo per fargli arrivare le medicine”. Nel giro di pochi giorni, Jeferys organizzò un piccolo gruppo di collaboratori. Un attivista che aveva conosciuto online e che viveva in un paese vicino all’India lo mise in contatto con un altro attivista di New Delhi che aveva già aiutato altri pazienti afetti da epatite C e altre malattie e conosceva i trucchi necessari per realizzare il suo piano. I tre decisero di lavorare insieme in modo più sistematico. Negli otto mesi durante i quali abbiamo svolto le nostre ricerche in India per scrivere questo articolo, ci siamo imbattuti in sei gruppi simili. Nel complesso riescono a fornire il sofosbuvir a migliaia di pazienti in tutto il mondo, sottraendo alla Gilead i milioni di dollari che aveva cercato di assicurarsi con i suoi accordi. Sono i buyers’ club indiani, gruppi di persone che col- laborano tra loro per acquistare farmaci costosi o diicili da trovare a prezzi accessibili, spesso aggirando o infrangendo qualche regola. Come avveniva negli anni ottanta e novanta per i farmaci antiretrovirali per l’hiv, in tutto il mondo ci sono milioni di persone che hanno bisogno del sofosbuvir e non possono averlo. Mentre Jeferys mantiene i contatti con le decine di persone che gli scrivono, l’attivista di New Delhi si occupa degli aspetti pratici: compra e spedisce i farmaci. L’attivista che vive fuori dall’India coordina i rapporti tra il gruppo e i pazienti che si rivolgono a lui. I tre, inora, hanno aiutato pazienti che vivono in Australia, Austria, Brasile, Bulgaria, Cambogia, Cina, Costa Rica, Nuova Zelanda, Romania, Taiwan, Thailandia, Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti. A gennaio, siamo andati a trovare l’attivista indiano, che abita in un villaggio alla periferia di New Delhi. Sulla sua scrivania c’erano alcuni laconi di pillole per l’epatite C e un computer portatile aperto, sul quale Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 49 In copertina compariva la lista dei pazienti di tutto il mondo a cui stava fornendo farmaci. Ogni dieci minuti, gli arrivava un messaggio o una telefonata di qualcuno che chiedeva a che punto fosse la sua richiesta. All’inizio l’attivista era riluttante a raccontare i dettagli del suo lavoro, ma poi si è rilassato e ha cominciato a parlare. In due ore di conversazione, accompagnata da tè verde e biscotti, ci ha spiegato come gestisce l’operazione. Ha cominciato addirittura a vantarsene un po’: potevamo nominare un paese qualsiasi, ha detto, e lui ci avrebbe spiegato come farci arrivare il sofosbuvir, “un gioco da ragazzi”. Ma ci ha tenuto anche a precisare che gestire un club di compratori richiede un grande impegno a livello logistico e di coordinamento. Da quando hanno cominciato, nell’agosto del 2015, il lavoro è aumentato rapidamente. Nei primi due mesi hanno aiutato circa 150 pazienti. Poi hanno smesso di contarli. Per ogni persona che li contatta, l’attivista ha bisogno di una prescrizione. Perciò si è rivolto alla sua rete di attivisti e avvocati per individuare due medici disposti a irmare le ricette senza prima visitare i pazienti. “Sono bravi medici, lo fanno per aiutare le persone”, dice. “Non sono corrotti. Il problema etico c’è, ma gli accordi irmati con i governi sono così ingiusti che abbiamo trovato qualcuno disposto ad aiutarci”. Molte persone hanno già le ricette, dice, ma per quelle che non ce l’hanno si rivolge ai medici indiani. “Ho cominciato a chiedere ai pazienti quanto pesano e il loro indice di massa corporea per calcolare la dose”, dice. Rapporto di iducia A parte le ricette, un altro problema è trovare il modo per far arrivare i soldi in India. Il gruppo aveva deciso che Jeferys sarebbe stato il contatto principale con i pazienti, i soldi sarebbero arrivati a lui, che poi li avrebbe trasferiti all’attivista di New Delhi. Ma dato che ognuno avrebbe pagato circa mille dollari, se le persone fossero diventate centinaia i trasferimenti avrebbero potuto attirare l’attenzione delle autorità. L’attivista aveva perino pensato di fondare una ong autorizzata a ricevere quelle somme, ma aveva cambiato subito idea. “Ci sarebbero voluti quasi tre anni per costituire una ong e ottenere tutte le autorizzazioni”, spiega. “A quel punto i pazienti sarebbero già morti. Allora ha deciso di cercare un’ong già registrata che potesse aiutarlo, una con l’autorizzazione a riceve- 50 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 re denaro dall’estero in base alla legge che regola i contributi stranieri. La prima ong a cui si era rivolto aveva accettato, ma dopo aver visto le somme che arrivavano si era spaventata. Non aveva certo aiutato neanche il fatto che il governo Modi aveva annullato le licenze di 10.117 ong solo nella prima metà del 2015 per aver violato le norme sui inanziamenti dall’estero. Anche il fatto che i soldi sarebbero arrivati con un lusso irregolare avrebbe potuto sollevare sospetti. “Le ong che sono tenute d’occhio dal governo ricevono i fondi ogni tre mesi, sei mesi o un anno”, ha detto l’attivista. “Noi, invece, li riceviamo continuamente”. Così ha individuato tre conti dove Jeferys può trasferire i soldi. Uno è un conto collegato a una società di consulenza di un paese asiatico. La società è disposta a collaborare perché alcuni dei suoi dirigenti hanno parenti che sofrono di epatite C. Un altro è intestato a un gruppo di sostegno dei pazienti in una città indiana. Sia il gruppo sia la società di consulenza sono già autorizzati a ricevere pagamenti dall’estero. L’attivista ha trovato anche un terzo posto dove far arrivare i soldi, andando in un altro paese asiatico – con norme bancarie particolarmente permissive – e aprendo un conto lì. In poche settimane, il club dei compratori era in piena attività. Per chiedere il sofosbuvir la maggior parte dei pazienti si rivolge direttamente a Jefferys attraverso un indirizzo di posta elettronica pubblicato sul suo blog. Lui tra- Da sapere Chi compra i farmaci Distribuzione della spesa mondiale per i farmaci, percentuale Fonte: Oms, 2011 Paesi a reddito alto 78,5 Paesi a reddito medio-alto 10,2 Paesi a reddito medio-basso 10,3 Paesi a reddito basso 1,0 u Il 16 per cento della popolazione mondiale vive nei pesi a reddito alto, mentre il 71 per cento più povero della popolazione vive nei 78 paesi a reddito medio-basso e basso. smette gli ordini e gli indirizzi di consegna all’attivista di New Delhi, che si procura le ricette e compra le quantità richieste in diverse farmacie pagandole una volta al mese. Poi prepara il pacchetto e lo spedisce con un corriere. Di solito il gruppo si fa pagare dopo la consegna. L’attivista mi ha detto che aggiunge “circa cento dollari a ordine, soprattutto per coprire il costo dei documenti e della spedizione”. Quei soldi servono anche a pagare una persona di cui si ida abbastanza per farsi aiutare. Jeferys di solito tiene i soldi ino a quando non ha accumulato una certa somma. Quando l’attivista gli dà il via, trasferisce i soldi su uno dei tre conti. Fare i trasferimenti in grosse tranche li aiuta a nascondere il lusso continuo di denaro che arriva al gruppo. “Il sistema funziona sulla iducia”, spiega Jeferys. “Non ci siamo mai incontrati e nessuno di noi ci guadagna. Non volevo fare come le aziende farmaceutiche che speculano sulle malattie”. Pressioni inedite La seconda settimana di febbraio siamo andati a Dwarka per incontrare tre dipendenti dell’ufficio brevetti, per sapere cos’era successo dietro le quinte quando Hardev Karar aveva respinto la richiesta di brevetto della Gilead per il Sovaldi. È ormai chiaro che il governo indiano sta subendo pressioni dagli Stati Uniti perché modiichi le leggi sui brevetti. Ma il fatto che Karak abbia respinto la richiesta della Gilead fa pensare che nessuno stesse facendo pressione sui funzionari dell’uicio. In realtà, non era proprio così. Secondo il primo funzionario, i legali della Gilead avevano cercato più volte di “convincere” Karar a concedere il brevetto. Quello che era successo dopo era ancora più sorprendente. Karar era stato rimproverato dai suoi superiori, anche per non aver “tenuto conto dell’imminente visita di Obama”. Il funzionario non era sicuro se questo signiicava che il verdetto avrebbe dovuto essere diverso o che Karar avrebbe dovuto aspettare prima di emetterlo. In ogni caso, ha aggiunto, “non sono cose che di solito consideriamo prima di decidere”. Due giorni dopo il verdetto, il suo capo aveva minacciato Karar di trasferirlo in un posto meno prestigioso. Quando il caso è stato riaperto, Karar era stato sostituito: “Siamo rimasti inorriditi dal modo in cui è stato trattato, è uno dei nostri migliori funzionari”, ha detto un terzo collega. “Al nostro uicio non erano mai state fatte pressioni simili”. u bt Iraq La poesia di Bassora Testo e foto di Ulla Lenze, Die Zeit, Germania Nell’Iraq devastato dalle guerre e dall’estremismo, un gruppo di scrittrici s’incontra per parlare di amore, dolore e letteratura. Riscoprendo la ricchezza di una città e di un popolo dimenticati L’ impiegato piazza una webcam tenuta insieme con lo scotch davanti al mio viso, scatta una foto e mi restituisce il passaporto. È una scena così desolante che per un breve istante la paura che mi ha accompagnato per tutto il viaggio cede il posto a una compassione condiscendente. Non mi sono ancora ripresa del tutto, sono reduce da un volo notturno. L’alcol che avrebbe potuto aiutarmi a prendere sonno sul volo tra Istanbul e Bassora era già haram, proibito. Sull’aereo c’erano quasi solo uomini, tra cui un gruppo d’inglesi, muscolosi, in maglietta, con tatuaggi che gli arrivavano ino al collo, come se stessero andando a fare surf. Erano guardie private, un mestiere ben pagato a Bassora. La città portuale nel sud dell’Iraq è considerata relativamente stabile, ma la criminalità è di nuovo in aumento, come i sequestri, da quando una parte del personale di sicurezza è stata trasferita a nord a combattere contro il gruppo Stato islamico (Is). Il ministero degli esteri tedesco ha sottolineato i rischi per chi decide di fare un viaggio in Iraq. Non ho avuto abbastanza tempo per lasciarmi prendere dalla paura. Altrimenti forse avrei rinunciato alla visita, come la scrittrice tedesca che era stata invitata prima di me. Così sono l’ospite tedesca che ha accettato all’ultimo minuto di partecipare a un convegno di scrittrici irachene a Bassora. L’incontro è promosso da un’organizzazione berlinese e da Birgit Svensson, l’unica giornalista di lingua tedesca che vive ancora in Iraq. La culla dell’umanità Cielo azzurro, sole invernale. Faccio i primi passi con esitazione, come se stessi camminando sul ghiaccio senza sapere se la lastra reggerà il mio peso. Montiamo a bordo di una Land Rover che ci porta fuori dalla zona di massima sicurezza dell’aeroporto e ci fa scendere in un parcheggio fangoso, dove dobbiamo prendere un taxi. Potrebbe sembrare una procedura ordinaria, ma l’atmosfera è tesa, si discute sul prezzo con toni bruschi. Ricevo il primo messaggio sul telefono: “Benvenuti in Iraq, la culla dell’umanità”. Seguono diversi chilometri attraverso 52 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 un nulla marrone chiaro inondato da raggi di sole di uno splendore quasi insopportabile. Vedo scorci che mi sembra di riconoscere, e inserisco in questa distesa deserta e indifesa le cose che nella mia visione occidentale rappresentano l’Iraq: la guerra e il terrore, l’Is e, diciamolo, anche alcune scene di Homeland. Ma delle persone, della loro quotidianità, della loro realtà, so pochissimo. Al primo posto di blocco ci fermano. Shirin, una curda partita da Erbil, viene interrogata: gli agenti le contestano la validità del visto. Seduta sul sedile posteriore, mi faccio piccola piccola. Qui domina l’arbitrio, tutto è in mano a criminali e a violente milizie sciite, come ho scoperto dalle letture prima di partire. Nel vuoto di potere che si è generato con la caduta del dittatore Saddam Hussein si sono inserite tribù e bande rivali. Qui i soldi si fanno con la corruzione, con i saccheggi e con i sequestri. Gli stranieri vengono solo per lavorare, per lo più in aziende del settore petrolifero, e vivono fuori città, in complessi recintati. Possiamo proseguire. Compaiono le prime case, è quasi una baraccopoli. Ediici modesti costruiti con mattoni diversi tra loro: probabilmente riparazioni di danni causati dalla guerra. L’immondizia invade le strade e i canali. L’aria è attraversata da un intrico di cavi elettrici. Le bandiere nere innalzate in segno di lutto dagli sciiti sventolano sopra di noi, tremendamente simili a quelle dell’Is. In giro ci sono quasi solo uomini. Le rare donne sono coperte di stofa nera dalla testa ai piedi. Nel centro della città non si vede un cafè né altro che abbia a che fare con la vita e con lo svago. Davanti alle case più lussuose sono sedute delle guardie armate. Sembrerebbe che la guerra sia appena inita. Non vuoi fasciare la ferita? O temi che ti infetti? Dai, preghiamo insieme, guerra su guerra, congratuliamoci con i morti per la loro pace. Sono versi di Amal Ibrahim, una delle scrittrici che partecipano al convegno. Fanno parte dell’antologia Mit den Augen von Inana (“Con gli occhi di Inana”, Verlag Hans Schiler 2015), che Birgit Svensson ha curato per dare voce alle scrittrici irachene in una società dominata dagli uomini. Incontro Svensson nella hall del nostro modesto albergo, il Kasr al Sultan (dove comunque, per mancanza di concorrenza, si pagano cento dollari a notte). La giornalista sembra decisa e coraggiosa e racconta la visita della settimana precedente al fronte Queste foto sono state scattate nel dicembre del 2015 a Bassora. In alto a sinistra: una petroliera afondata nel iume Shatt al Arab; il centro di Bassora al tramonto; le scrittrici Amal Ibrahim, Samarkand al Jabiri e Inas al Bedran durante il convegno; lungo il iume Shatt al Arab. di guerra con l’Is. Io devo recuperare il sonno perduto. Mi ritiro nella mia stanza, che è stata rinnovata da poco e nella sua tonalità lampone ha un aspetto misteriosamente spavaldo. Nel dormiveglia ripasso ancora per senso del dovere tutti i pericoli a cui mi sto esponendo. Nell’albergo sono stati rapiti un giornalista britannico e un fotografo iracheno, e a quanto pare con l’aiuto del direttore della struttura (nel frattempo l’avranno sostituito?). Il primo è stato rilasciato subito, il secondo dopo due mesi, in cambio di un riscatto. Io andrei bene come ostaggio? Con questa domanda, come per scongiurare la paura, mi addormento. Bassora sorge sullo Shatt al Arab, il iume formato dalla confluenza del Tigri e dell’Eufrate. Questo corso d’acqua lungo appena duecento chilometri segna il conine con l’Iran e sfocia nel golfo Persico: un’arteria importante per i trasporti. Du- rante la guerra tra l’Iran e l’Iraq, Bassora si trovava sulla linea del fronte; nella seconda guerra del Golfo è stata bombardata e quando il paese è stato occupato dagli statunitensi è stata la prima città a cadere. Nel pomeriggio facciamo una passeggiata ino allo Shatt al Arab. Nel frattempo arrivano le scrittrici da Baghdad. Una di loro, Inas al Badran, è sulla sessantina e sotto il chador drappeggiato con eleganza s’intravedono capelli tinti di rosso scuro. Mi meraviglio della velocità con cui cominciamo a parlare di argomenti molto intimi, di amore, dolore e scrittura. Questo, lo sentiamo, è un incontro particolare e dobbiamo sfrutInternazionale 1151 | 29 aprile 2016 53 Iraq tarlo ino in fondo. “La vita è dolorosa”, dice Inas. È una frase fatta, ma non se a pronunciarla è lei. La donna irradia una malinconia che mi pare carica di signiicato. Girare per strada a piedi fa bene, e aidandosi alla forza del gruppo diventa possibile. Siamo gli unici pedoni. Passiamo davanti a una chiesa con le porte murate. Molti cristiani sono andati via da Bassora, mi spiegano, perché da quando il ceto medio istruito si è trasferito negli Stati Uniti e in Europa e sono arrivati gli abitanti delle zone impoverite, che poi sono diventati fanatici religiosi, in città l’atmosfera è cambiata. Sullo Shatt al Arab ci imbattiamo in un ricordo di quel mondo cosmopolita scomparso. Case sfarzose costeggiano la strada, ma le facciate sono malridotte, le inestre murate. I chioschi sul lungoiume sono arrugginiti, le statue dei delini hanno perso le pinne nel corso delle guerre. Un paio di ragazzi che fumano il narghilè seduti su sedie di plastica ci guardano imbarazzati. Nella casa della cultura Prima delle guerre Bassora era bella. Basta guardare le vecchie foto. La città era chiamata la Venezia d’oriente per via dei tanti canali. Nelle sue memorie sulla Bassora di un tempo, lo scrittore iracheno Najem Wali parla di caffè all’aperto, cinema e night club. In realtà Bassora è ancora ricchissima. Il 90 per cento del greggio iracheno sgorga dai giacimenti della zona. Perino nei momenti peggiori, la città guadagna 2,25 milioni di dollari al giorno grazie al petrolio. Allora perché sembra così povera? La risposta è sempre la stessa: a causa della corruzione. E anche su Saddam Hussein c’è un’opinione difusa: nessuno vorrebbe che tornasse, ma era comunque uno statista. Essere governati da una banda di criminali che accampano motivazioni religiose è ancora peggio, dicono. Ci scattiamo fotograie sotto la statua del poeta iracheno Badr Shakir al Sayyab. È rimasta in piedi. Quella di Saddam è stata portata via. Di ritorno verso l’albergo, il marito di Inas recita qualche verso del poeta. Ci immergiamo nel buio delle strade. Mi fermo in un supermercato a comprare della birra islamica, quindi analcolica. Il primo posto bello che vedo a Bassora è quello in cui si svolge il convegno, una palazzina che un tempo era abitata da ebrei e oggi è la casa della cultura. Dentro c’è una corte coperta circondata da un loggiato, con colonne e intagli in legno. Si trova nella città vecchia, che per il resto è in rovina. All’ingresso ci sono due uomini armati di kalashnikov: proteggeranno il nostro evento, 54 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 e anche me. Non posso fare due passi sulla strada polverosa che mi fanno rientrare. A quanto pare, a Bassora una manifestazione culturale organizzata dall’occidente è qualcosa di speciale. Ci sono le telecamere di otto canali televisivi. Passa un’ora tra discorsi di benvenuto e ringraziamenti. Poi comincia la prima conferenza. Ma sembra che qui i convegni non siano solenni come da noi. Nel frattempo si fanno interviste e se a qualcuno suona il telefono (cosa che si ripete spesso) quello risponde. Alcuni uomini fumano. Eppure un po’ alla volta mi rendo conto che qui si sta realizzando il sogno di molti organizzatori di eventi letterari: nel pubblico ci sono più uomini che donne, mentre sul palco siedono solo donne che parlano principalmente di poesia. È una cosa piuttosto strana. Ne capisco di più quando torno dalla toilette. Il mio posto in prima ila è occupato da un signore dalle spalle larghe con un completo color nocciola, mentre il mio cappotto è stato spostato una ila più dietro. Il tema del predominio maschile riemergerà nel corso del dibattito, ma lo si può osservare direttamente sul campo. Nella prima ila, davanti agli obiettivi dei fotograi, sono seduti solo uomini. Il console egiziano, il sindaco e il governatore. Il convegno è un evento mondano, e gli uomini vogliono vedere di cosa sono capaci le donne. E proteggerle in caso di necessità. Così ascoltano versi femminili, a volte ribelli. Forse, almeno lo spero, questo produrrà qualche efetto su di loro. Il vestito bianco che ti piace tanto non lo [indosso più non taccio più per farti piacere no, ormai taccio solo per dolore È Salima Sultan Nur, una docente universitaria di Kerbala (tutte le scrittrici presenti fanno parte del mondo accademico), a leggere questi versi. Quando si apre il dibattito con il pubblico, un signore prende la parola. Questa poesia, dice, è bella, ma è anche femminista. Il suo “ma” scatena risatine sommesse tra le donne. L’uomo incalza: e le donne non femministe? Non si può mica escluderle. La risposta è tagliente: “Quelle donne non scrivono. O se lo fanno, usano uno pseudonimo e comunque la loro è soprattutto letteratura a soggetto religioso”. Ma allora perché sul palco non ci sono donne di Bassora? A questo punto è chiaro chi sono le scrittrici non femministe di cui l’uomo parla. La moderatrice interviene: “Non è stato possibile farle salire sul palco. Non hanno il coraggio di mostrarsi in pubblico”. Improvvisamente tra le donne di Baghdad vestite all’ultima moda e quelle di Bassora sedute tra il pubblico con cappotti incolori e chador stretti intorno al viso si apre un baratro. Alla ine salgono sul palco due donne di Bassora dallo sguardo severo. In questo istante è come se qualcosa si muovesse, come se si generasse una forza terapeutica in tutto il gruppo. Le donne di Bassora saranno pure conservatrici, ma non sono timide. Parlano al microfono con voce chiara e, mentre alcune donne di Baghdad alzano gli occhi al cielo, non permettono a nessuno di togliergli la voce. Anche se la loro è una voce piccola: la netta divisione dei ruoli è giusta, ma all’interno di questi ruoli c’è ancora spazio per crescere. Si capisce quanta pressione devono sopportare queste donne. Quanto coraggio serve anche solo per dire qualcosa. Il dibattito prosegue a lungo. Si parla di controllo sociale delle donne e di chi debba fare il primo passo. Il livello è alto, e fa male pensare al mondo che si apre al di là di queste porte, a questa terra abbandonata, ferita e ottusamente fanatica. Quando il mio intervento viene annunciato, sottolineando quanto sia stato diicile trovare una scrittrice tedesca disposta a venire in Iraq, scoppia un applauso che mi mette in imbarazzo. Com’è possibile che solo tre giorni nel loro mondo sia percepito come un azzardo? Tutto mi risulta di colpo evidente: l’ingiusta casualità della possibilità di avere scelta. Alla ine molti vengono a ringraziarmi per essere venuta. È diicile non commuoversi. “Abbiamo paura che vi siate dimenticati di noi”, dicono. Oppure: “Abbiamo l’impressione che il nostro paese sia associato solo alla guerra, al terrore e ai giacimenti petroliferi. Ma noi siamo sempre qui”. Le scrittrici di Bassora, di Baghdad, di Kerbala. Il giorno dopo, l’ultimo del mio viaggio, facciamo una gita in barca sullo Shatt al Arab. Mi sento euforica come dopo un pericolo scampato. Potrebbero succedere ancora molte cose. Ma, mentre passiamo davanti a quello che fu il palazzo di Saddam e superiamo un pomposo ediicio militare in arenaria dove si coordina la lotta all’Is e una nave da guerra affondata che affiora per metà dall’acqua, ho l’impressione di partecipare a una gita domenicale stranamente rilassata. u fp L’AUTRICE Ulla Lenze è una scrittrice tedesca nata nel 1973. Vive a Berlino. Portogallo FrANCISCO SECO (AP/ANSA) Ragazze in abiti tradizionali ucraini a Lisbona, il 28 marzo 2015 Un rifugio per gli ucraini Cátia Bruno, New Eastern Europe, Polonia Nel 2015 quasi la metà delle persone che hanno chiesto asilo politico a Lisbona arrivava dall’Ucraina. La storia di Emine e di sua iglia Maša, fuggite dalla Crimea rano circa le undici di sera quando Emine Šichame tova è uscita dalla sua casa a Jalta, in Crimea, per l’ul tima volta. Aveva 27 anni. È salita in macchina insie me al marito Oleksij e alla sua bambina di dieci mesi, Maša, ed è partita alla volta di E 56 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Kiev. Si stavano lasciando alle spalle mesi di persecuzioni, telefonate nel cuore della notte che li accusavano di essere dei tradi tori e il continuo timore che uno di loro po tesse sparire, come era successo al cugino di Emine. Emine racconta la sua storia con gli oc chi issi sulla tavola dove il tè che ha appena preparato si sta raffreddando. L’eyeliner nero ne accentua i lineamenti asiatici. In Crimea le sue origini tatare non passavano inosservate: negli ultimi mesi trascorsi a Jalta in molti la insultavano per strada. Quando ha lasciato la Crimea, nel luglio del 2014, Emine scappava proprio da questo. Arrivati a Kiev dopo un viaggio di dodici ore, Emine, Oleksij e Maša sono stati accol ti da alcuni amici, si sono fatti un bagno e si sono riposati un po’. “Poi siamo andati da McDonald’s, perché ci mancava”, racconta Emine con una risatina. La fermata succes siva è stata piazza Maidan, per comprare dei souvenir, braccialetti e camicie tradizio nali ucraine: qualunque cosa potesse servi re a Emine per ricordare il suo paese. In quel momento stava per lasciarsi alle spalle un pezzo della sua vita. “Inine siamo andati all’aeroporto, ma non siamo riusciti a rag giungere l’area di imbarco”, racconta. “Ave vo un biglietto di sola andata e un visto turi stico, così ho dovuto comprare anche il ri torno. Ma sapevo benissimo che non sarei tornata”. Il piano era semplice: prendere un aereo per Lisbona con Maša e presentare domanda di asilo appena sbarcate. Dopo aver comprato due biglietti di ritorno, in tasca le rimanevano appena cento dollari. Dire arrivederci a Oleksij sarebbe stato facile se non fosse stato per i tanti bagagli e per la bambina che continuava a piangere. Solo dopo aver superato il primo controllo di sicurezza ha trovato un attimo per dare un bacio al marito. Senza sapere una parola di portoghese, Emine è salita a bordo dell’aereo per Lisbona con la iglia in braccio. Ha pianto per tutto il tempo del volo. Appena sbarcata all’aeroporto Portela di Lisbona, è andata dritta dal primo agente di polizia che ha visto. Mescolando il russo e le poche parole inglesi che conosceva, gli ha spiegato che voleva presentare domanda di asilo. Ma era già tardi e il servizio dell’immigrazione e delle frontiere (Sef ) aveva già chiuso. Emine non aveva alternative: è rimasta in aeroporto e si è cercata una panca dove passare la notte. La mattina dopo ha incontrato i funzionari del Sef. Nessuno di loro era in grado di parlare ucraino o russo o anche solo di trovare la Crimea sulla carta geograica. Così l’hanno portata al Consiglio portoghese dei rifugiati (Cpr, l’unica ong portoghese ailiata all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) dove l’hanno aiutata nella traila burocratica. Quella notte, più di 72 ore dopo aver lasciato Jalta, Emine e Maša hanno dormito di nuovo in un letto che non era il loro, questa volta nella sede del Cpr. La scelta e il caso Quasi due anni dopo la situazione all’aeroporto di Lisbona è molto diversa. Oggi quasi tutti, al Sef come al Cpr, sanno dov’è la Crimea, e basta una telefonata per trovare interpreti di russo e ucraino. Emine è stata una pioniera, la prima a lasciare la penisola di Crimea per chiedere asilo politico in Portogallo. Ma dopo di lei sono arrivati molti altri ucraini, compreso un suo ex compagno di scuola. In Portogallo i profughi provenienti dalla Crimea e dal Donbass costituiscono il gruppo di richiedenti asilo più numeroso. Secondo Teresa Tito de Morais, presidente del Cpr, nel 2014, quando la guerra nell’est dell’Ucraina era in pieno svolgimento, 157 delle 442 persone che hanno cercato rifugio in Portogallo erano ucraine. Nel 2015 gli ucraini che hanno seguito il loro esempio sono stati almeno 368, il 42,4 per cento di tutte le persone che nel corso dell’anno hanno chiesto protezione a Lisbona. Solo ad alcuni è stato concesso lo status di rifugiati, ma quasi tutti hanno ricevuto qualche Da sapere Minoranze e conlitti u Il conlitto in Ucraina orientale, scoppiato nell’aprile del 2014, dopo le proteste di Euromaidan e la destituzione del presidente Viktor Janukovič, ha fatto più di un milione di profughi, stando alle stime del governo di Kiev. Circa 21mila persone sarebbero fuggite dalla Crimea, il resto dalla regione del Donbass, nell’est del paese. La penisola della Crimea è stata annessa dalla Russia il 16 marzo del 2014 con un referendum non riconosciuto da Kiev né dalla comunità internazionale. u Originariamente la Crimea era abitata dai tatari, un gruppo etnico turcofono che ino all’annessione alla Russia del 2014 nella penisola contava circa 250mila persone, il 12 per cento della popolazione. Nel 1944, alla ine della seconda guerra mondiale, i tatari di Crimea furono deportati in massa nella repubblica sovietica dell’Uzbekistan con l’accusa di aver collaborato con i tedeschi. Poterono tornare in Crimea solo dopo l’inizio della perestrojka, alla ine degli anni ottanta. tipo di protezione umanitaria. “Chi arrivava dall’Ucraina orientale o dalla Crimea aveva vissuto una guerra molto intensa o signiicative violazioni dei diritti umani. Sono ragioni più che suicienti per chiedere la tutela internazionale”, dice Tito de Morais. Emine era una di loro. “Bastava non essere ilorussi per essere discriminati. Potete immaginare in che situazione vivesse chi aveva i lineamenti del viso diversi”, dice riferendosi alle sue origini tatare. In Crimea più del 10 per cento della popolazione è tatara. Ma questo non ha impedito le discriminazioni. Nell’ottobre del 2014 l’ong Human rights watch ha parlato di una “preoccupante difusione dei sequestri di persona e delle minacce ai danni dei tatari della Crimea”. Anche Emine e Oleksij sono stati abbandonati dagli amici. Qualcuno telefonava alla donna per coprirla d’insulti, altri le lanciavano contro oggetti per strada. Oleksij doveva sopportare lo scherno e il disprezzo degli amici, che lo accusavano di essere un traditore perché aveva sposato una tatara. Emine era senza lavoro e Oleksij rischiava di perdere il suo impiego di tassista. Alla ine le autorità locali hanno cercato di convincerli a prendere la cittadinanza russa. Loro hanno riiutato. A quel punto le autorità gli hanno spiegato che se fossero rimasti disoccupati, avrebbero potuto anche togliergli la iglia, provvedimento che sarebbe stato reso più agevole dal fatto che i due erano ucraini, cioè della nazionalità “sbagliata”. Un giorno, all’uscita dal lavoro, il cugino di Emine è scomparso. Nessuno lo ha più visto. “Le persone erano diventate degli zombie. Improvvisamente a ogni inestra sventolava la bandiera russa”, racconta Emine, che ha 29 anni e a Jalta era studentessa di legge. Spiega di non essersi mai interessata troppo alla politica o all’attualità, ma poi ammette di aver cambiato atteggiamento durante le proteste del movimento Euromaidan. “Abbiamo cominciato a seguire gli avvenimenti con attenzione quando è stato ucciso il primo manifestante”, ricorda. “Dopo quei fatti ci siamo tenuti informati grazie ai canali tv indipendenti”. La conferma del suo patriottismo arriva dal cellulare: la nostra conversazione è interrotta dall’inno ucraino, impostato come suoneria. “In passato il problema di entrare a far parte della Russia non si poneva”, continua. “Le persone istruite sapevano che era solo propaganda, anche se tutti gli altri ci credevano. Pensavano che sotto la guida di Mosca un idraulico avrebbe guadagnato quanto un medico e le pensioni sarebbero aumentate”. Tutto questo non avrebbe avuto grande importanza per Emine e la sua famiglia se a un certo punto non avessero cominciato a sentirsi vittime di una vera e propria persecuzione. Il 16 marzo del 2014, quando è stato annunciato il risultato del referendum sull’annessione della Crimea alla Federazione Russa, Emine e Oleksij hanno capito che le cose stavano prendendo una brutta piega. È stato allora che hanno cominciato a pensare di partire. La scelta del Portogallo è stata quasi casuale. Volevano andare in un posto lontano, ma che fosse in Europa. L’ideale sarebbe stato un paese con il clima simile a quello della Crimea, aperto e tollerante nei confronti dei rifugiati e aderente alla Nato, un dettaglio che avrebbe fatto sentire la famiglia più al sicuro. Presi in considerazione tutti questi fattori, la famiglia ha scelto il Portogallo, dall’altra parte dell’Europa. “Molti profughi ucraini hanno scelto il Portogallo perché è un paese europeo, ma piccolo e con maggiori possibilità d’integrazione”, spiega Teresa Tito de Morais. Anche se non è il caso di Emine, la presidente del Cpr sottolinea un altro fattore: la diicoltà di ottenere lo status di rifugiati nei paesi più vicini all’Ucraina. “La Polonia, per esempio, ha una politica completamente diversa da quella del Portogallo”, aggiunge. I numeri confermano la sua analisi. Secondo i dati dell’uicio polacco per gli stranieri, dal 2013 solo due ucraini hanno ottenuto lo status di rifugiati e solo 24 hanno Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 57 Portogallo ricevuto un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, della durata di cinque anni e rinnovabile. Le richieste sono state in media circa tremila all’anno. La Polonia deve fare i conti con un forte afflusso di ucraini che ricevono visti di lavoro di breve periodo (si calcola che oggi nel paese ci siano almeno 500mila ucraini), e questo rende molto più complicato ottenere protezione umanitaria. Le autorità polacche sostengono che i profughi potrebbero essere trasferiti in altre zone dell’Ucraina non colpite dalla guerra. Il risultato è che molti decidono di chiedere asilo in paesi più lontani, come il Portogallo. Vita nuova A spingerli verso questa scelta, tuttavia, c’è anche un altro fattore. Teresa Tito de Morais calcola che il 30-40 per cento circa dei richiedenti asilo in qualche modo conosce già il Portogallo perché ha familiari e amici che ci vivono o che in passato ci hanno lavorato. All’inizio degli anni duemila molti ucraini sono emigrati in Portogallo, trovando lavoro soprattutto nel settore dell’edilizia, allora in pieno boom. Tra il 2001 e il 2003 il Portogallo ha concesso agli ucraini quasi 65mila permessi di soggiorno, una cifra già signiicativa, che però non include chi è entrato nel paese illegalmente. José Carlos Marques, ricercatore presso il centro di studi sociali dell’università di Coimbra, in quegli anni è stato uno dei pochi a studiare il fenomeno dell’immigrazione ucraina in Portogallo. Dopo aver sottolineato che da allora molti immigrati sono tornati a casa, Marques spiega che la nascita di una comunità ucraina in Portogallo è stata il frutto di una serie di circostanze diverse, “tra cui le diicili condizioni economiche dell’Ucraina e le opportunità di lavoro che allora offriva il Portogallo”. Ma ci sono stati anche altri fattori, come la facilità con cui era possibile procurarsi un visto, il fatto che il paese facesse parte dell’area Schengen e la presenza di reti criminali camufate da agenzie di viaggio che raggiravano gli ucraini con la promessa di un lavoro sicuro. La maggior parte degli immigrati arrivava dalle regioni occidentali dell’Ucraina, ma molti provenivano dalla zona di Donetsk, oggi sotto il controllo dei separatisti ilorussi. Marques non ricorda particolari tensioni politiche tra i migranti, ma oggi, consapevole di come sono andate le cose, è ossessionato da alcuni dettagli: “Ricordo che quando facemmo le interviste per la ricerca diverse persone ci dissero che si consideravano russe”. 58 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Fatta eccezione per l’abitudine portoghese di arrivare in ritardo, Emine si trova bene. Il marito l’ha raggiunta e ha subito trovato lavoro In ogni modo, molti ucraini che oggi arrivano in Portogallo non hanno gli stessi sentimenti antirussi di Emine. Chi è ostile alla Russia di solito entra in contatto con l’Associazione degli ucraini in Portogallo, che organizza iniziative a favore dei militari di Kiev, come raccolte di generi alimentari e vestiti. I rapporti con i rifugiati che hanno posizioni ilorusse sono diicili, ammette Emine. Per rendersi conto del problema basta visitare la chiesa di Ognissanti, una delle più grandi comunità ortodosse di Lisbona. Potrebbe essere un punto di ritrovo naturale per molti esponenti della comunità ucraina, ma a causa dei suoi legami con il patriarcato di Mosca alcuni si sentono esclusi. “La nostra chiesa è assolutamente aperta a tutti, di qualunque nazionalità”, dice Jorge Divisa. Divisa, uno dei responsabili della comunità di Ognissanti, è un cittadino russo che vive in Portogallo da 15 anni e ha scelto di adattare il suo nome alla lingua locale (Jorge è l’equivalente portoghese di Jurij). Quando si accorge, alla ine della messa domenicale, che una giornalista sta chiedendo ai fedeli se i rifugiati ucraini facciano parte della comunità religiosa, sembra allarmato e insiste per dare la sua spiegazione. Dopo aver afermato che nessun profugo ucraino si è mai rivolto alla chiesa di Ognissanti, Jorge si corregge. Negli ultimi due anni – dice – solo due persone del Donbass hanno chiesto aiuto alla comunità. Mi presenta uno di loro: un giovane timido e magrissimo di poco più di vent’anni, che si limita a balbettare un “hello”. Poi Jorge riprende in mano la conversazione. Manda via il ragazzo, chiude la porta e dichiara che tutti, a prescindere dalle loro idee politiche, sono accolti in chiesa a braccia aperte. “Queste cose le lasciamo fuori da qui, la chiesa è un luogo di pace. Preghiamo solo che la situazione migliori”, mi assicura. Secondo Teresa Tito de Morais, i rilessi di queste tensioni politiche sono arrivati in Portogallo. “Persone che ino a ieri erano in ottimi rapporti possono diventare nemiche. È una situazione delicata. E anche se il paese è ancora percorso da forti contrasti, occorre preparare la riconciliazione postbellica”. Nonostante tutto, a giudicare da quello che vede nel centro di accoglienza del Cpr, Tito de Morais ha la sensazione che i rifugiati ucraini si adatteranno rapidamente alla vita in Portogallo. “Sono europei e arrivano con l’obiettivo di integrarsi e di rendersi utili. Credo che la comunità ucraina possa integrarsi meglio di altre”, dice. Emine è d’accordo. Fatta eccezione per l’abitudine portoghese di arrivare in ritardo, nel suo nuovo paese si trova bene. Il marito, nel frattempo, l’ha raggiunta e ha trovato lavoro nell’edilizia. Emine, invece, resta a casa per prendersi cura della seconda iglia, Julija, nata in Portogallo nel settembre del 2015. La famiglia vive in un appartamento alla periferia di Lisbona, e sia Oleksij sia la iglia maggiore, Maša, parlano benissimo il portoghese. Maša preferisce farsi chiamare Maria e in casa con il padre parla in portoghese. Anche essendo un’accesa nazionalista ucraina, Emine continua invece a parlare russo, la sua prima lingua: è una delle poche cose che la tengono legata alla Crimea, dove la sua famiglia tornò nel 1988, quando lei aveva due anni, dopo decenni di esilio in Uzbekistan. Allora furono accolti con lo stesso insulto che Emine si è sentita rivolgere nel 2014: traditori. Con il tempo, però, la situazione era migliorata: i suoi genitori erano tornati nella loro terra e tutto sembrava più sopportabile. Oggi i genitori di Emine si riiutano di lasciare la Crimea, una scelta che mette in crisi la iglia. Emine vuole costruirsi una nuova vita in Portogallo, ma è ancora legata al passato, e i pensieri la riportano costantemente alla Crimea. Quando pensa alla storia dei genitori, la sua mente corre subito a quella notte del luglio del 2014, quando è stata costretta a lasciare la sua casa. “Avevo la sensazione di vivere la stessa odissea di mio padre e mia madre: partivo con mia iglia tra le braccia, dopo aver venduto tutto per procurarmi i soldi del biglietto”. Ha un groppo in gola e le lacrime agli occhi, poi fa un profondo respiro per condensare tutto in una frase: “Ma la diferenza tra me e i miei genitori è che invece di tornare a casa, io stavo scappando”. u gc L’AUTRICE Cátia Bruno è una giornalista portoghese. Lavora per il settimanale Expresso. Stati Uniti THE GUARDIAN Il luogo dove è stato ucciso Alejandro Nieto, sulla collina di Bernal Heights, 5 marzo 2016 La vergogna di San Francisco Rebecca Solnit, The Guardian, Regno Unito. Foto di Gabrielle Lurie Alejandro Nieto è stato ucciso a marzo del 2014, crivellato di colpi dalla polizia. La sua storia rivela la tensione crescente tra vecchi e nuovi residenti 60 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 l 4 marzo del 2016 i genitori di Alejandro Nieto, che quel giorno avrebbe compiuto trent’anni, hanno lasciato un’aula affollata del tribunale di San Francisco poco prima che fossero mostrate alla giura alcune foto dell’autopsia sul corpo del iglio. Le immagini mostravano cosa succede quando 14 proiettili colpiscono la testa e il corpo di una persona. Refugio ed Elvira Nieto hanno passato il resto della giornata seduti su una panca nel corridoio senza inestre dell’ediicio dove si teneva l’udienza per la morte ingiusta del iglio. Alejandro Nieto aveva solo 28 anni quando è morto nel quartiere in cui aveva trascorso tutta la sua vita, ucciso da una raf- I ica di colpi sparati da quattro poliziotti di San Francisco. Su alcune delle circostanze della sua morte sono tutti d’accordo: Nieto stava mangiando un burrito e dei nachos in un parco e aveva con sé un taser che usava per il suo lavoro di buttafuori in un locale notturno quando, poco dopo le sette di sera, qualcuno ha chiamato la polizia. Gli agenti arrivati sul posto qualche minuto dopo sostengono di aver visto Nieto puntare l’arma contro di loro con aria di sida, di aver scambiato la luce rossa del taser per il mirino laser di una pistola e di aver sparato perché temevano per la loro vita. Ma le versioni dei quattro agenti sono in contrasto tra loro e con alcune delle prove raccolte in seguito. Sulla strada tutta curve che si arrampica in cima alla collina di Bernal Heights c’è un piccolo monumento improvvisato in memoria di Nieto. Chi ci passa davanti portando fuori il cane, correndo o passeggiando si ferma a leggere lo striscione appoggiato lungo un ianco della collina, issato a terra da alcune pietre e circondato da iori freschi e artiiciali. Ancora oggi il padre di Alejandro, Refugio, sale in lì almeno una volta al giorno, partendo dal suo appartamento ai piedi del lato sud della collina. Alejandro Nieto frequentava quel posto in da piccolo e la sera del 4 marzo i suoi genitori, gli amici e le persone che avevano preso a cuore la sua storia sono saliti sulle colline nel buio, per portare una torta di compleanno ino al memoriale. Refugio ed Elvira Nieto sono persone riservate, iaccate dalle soferenze ma orgogliose, che parlano correntemente lo spagnolo e quasi per nulla l’inglese. Si sono conosciuti da piccoli, in una città del centro del Messico dove entrambi vivevano in povertà. Negli anni settanta sono emigrati ognuno per suo conto nella zona di San Francisco. Qui si sono incontrati di nuovo e nel 1984 si sono sposati. Da allora hanno sempre vissuto nello stesso palazzo ai piedi della collina di Bernal Heights. Lei ha lavorato per anni come cameriera negli alberghi del centro di San Francisco e oggi è in pensione. Lui ha fatto lavori occasionali, ma si è soprattutto occupato di Alejandro e di suo fratello minore, Hector. In tribunale Hector – bello, capelli neri lucidi pettinati all’indietro e un’aria grave – è rimasto quasi sempre seduto vicino ai genitori, non lontano dai quattro poliziotti, tre bianchi e uno asiatico, che hanno ucciso suo fratello. Era già un successo essere arrivati al processo. L’amministrazione cittadina si era riiutata di fornire ai familiari e ai loro sostenitori il referto integrale dell’autopsia e i nomi degli agenti che avevano sparato a Nieto, e c’erano voluti mesi prima che i testimoni chiave si facessero avanti superando la paura che avevano della polizia. Nieto è morto perché alcuni uomini bianchi l’hanno visto e hanno pensato che fosse un pericoloso intruso in un posto dove aveva trascorso tutta la sua vita. Hanno pensato che potesse far parte di una gang perché indossava un giubbotto rosso. Molti ragazzi ispanici a San Francisco evitano di indossare indumenti rossi e blu perché sono i colori di due gang, i Norteños e i Sureños. Ma il rosso è anche uno dei colori dei 49ers, la squadra di football della città, e portare un giubbotto dei 49ers a San Francisco è la cosa più normale del mondo. Quella sera Nieto, che aveva sopracciglia scure e folte e il pizzetto, indossava un giubbotto dei 49ers che sembrava nuovo di zecca, un berretto dei 49ers, una maglietta bianca e dei pantaloni neri, e portava un taser nella fondina appesa alla cintura, sotto il giubbotto. I taser sparano dardi collegati a cavi che rilasciano una scarica elettrica, paralizzando temporaneamente la vittima. Hanno la forma di una pistola, ma più massiccia e arrotondata. Quello di Nieto aveva vistose strisce gialle su gran parte della supericie e una gittata di quattro metri e mezzo. Nieto aveva ottenuto la licenza di guardia giurata nel 2007 e da allora aveva sempre fatto quel lavoro. Non era mai stato arrestato e non aveva precedenti, un gran risultato in un quartiere dove i ragazzini ispanici possono essere fermati dalla polizia anche se stanno solo passeggiando per strada. Era buddista: un ispanico iglio di immigrati che pratica il buddismo è uno di quegli ibridi per cui una volta San Francisco era famosa. Da ragazzo aveva lavorato per Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 61 Stati Uniti THE GUArdIAN Elvira and Refugio Nieto, i genitori di Alejandro, marzo 2016 quasi quattro anni come coordinatore giovanile al Bernal Heights neighborhood center, il centro sociale del quartiere. Era un tipo estroverso e partecipava alle iniziative politiche, alle iere di strada e agli eventi della comunità. Si era diplomato in una scuola pubblica dove aveva seguito corsi di diritto penale, grazie ai quali sperava di diventare un responsabile per la libertà provvisoria e aiutare i giovani del posto. Poco prima di morire aveva anche svolto un tirocinio nel dipartimento che si occupa dei minorenni di San Francisco aidati ai servizi sociali, come risulta dalla testimonianza di Carlos Gonzalez, un funzionario di quel dipartimento e amico di Nieto. Nessuno ha mai fornito un movente convincente per spiegare perché Nieto avrebbe dovuto puntare un oggetto a forma di pistola contro la polizia, sapendo che quel gesto poteva costargli la vita. Niente di insolito La sera del 21 marzo del 2014 Evan Snow, un uomo di trent’anni “esperto di user experience design” – come si legge sul suo proilo LinkedIn – e residente nel quartiere da circa sei mesi, ha portato la sua siberian husky a fare una passeggiata al parco di Bernal Hill. Snow stava per andare via 62 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 quando Nieto, mangiando nachos, ha imboccato uno dei piccoli sentieri sterrati che portano alla circonvallazione del parco. In una deposizione rilasciata prima del processo, Snow ha dichiarato che, per quel poco che sapeva dell’abbigliamento delle gang, aveva subito inserito Nieto nella categoria delle “persone con cui è meglio non avere a che fare”. La sua cagna, invece, ha inserito Nieto nella categoria “persone con cose buone da mangiare” e ha cominciato a inseguirlo. A quanto pare, Snow non si è mai reso conto del fatto che il vero aggressore era la sua cagna fuori controllo: “E così Luna si è messa a correre felice verso di lui attirata dal cibo. Nieto è diventato sempre più – come posso dire? – nervoso, e ha cominciato a camminare rapidamente da sinistra a destra, per non fare avvicinare Luna ai nachos. È corso verso una panchina e ci è saltato sopra, inseguito da Luna, che a quel punto si era messa ad abbaiare. Anzi, sarebbe più giusto dire a ululare”. La cagna teneva Nieto bloccato sulla panchina, mentre il suo sbadato padrone era a una decina di metri di distanza: nella sua deposizione giurata, Snow ha detto testualmente di essersi distratto a guardare “il sedere di una ragazza che faceva jog- ging”. E ha continuato: “Immagino che a quel punto qualcuno potesse pensare che Luna si stesse comportando in modo aggressivo”. La cagna non rispondeva ai richiami del padrone e continuava ad abbaiare contro Nieto. A quel punto il ragazzo si è inilato una mano sotto il giubbotto e ha tirato fuori il taser, puntandolo per un attimo contro il padrone lontano e poi contro la cagna che abbaiava ai suoi piedi. I due uomini si sono urlati qualcosa, e sembra che Snow gli abbia rivolto un insulto razzista, anche se in seguito non ha voluto precisare quale. Uscendo dal parco ha mandato un sms a un amico raccontandogli l’accaduto. Stando alla sua testimonianza, il messaggio diceva: “In uno stato come la Florida avrei potuto sparargli su due piedi”. Era un riferimento alla legge stand your ground in vigore in Florida, che permette alle persone di usare la forza quando si sentono minacciate. In altre parole, Snow si rammaricava di non aver potuto fare quello che il vigilante George Zimmerman aveva fatto a Trayvon Martin, un ragazzino afroamericano di 17 anni, nel 2012: ucciderlo senza conseguenze. Poco dopo, vicino a Nieto è passata una coppia. Tim Isgitt, residente da poco nella zona, è il responsabile della comunicazione di un’organizzazione non proit fondata da miliardari del settore tecnologico. Oggi vi ve in periferia, nella contea di Marin, con il suo compagno Justin Fritz, che si deinisce “responsabile del marketing online” e che all’epoca viveva a San Francisco da un an no. Una foto pubblicata da uno dei due sui social network ci mostra due uomini casta ni e curati nell’aspetto, in posa con i loro cani, uno springer spaniel e un vecchio bull dog. Quel giorno stavano portando a spasso i cani quando hanno visto Nieto in lonta nanza. Fritz non ha notato niente d’insolito, ma Isgitt ha visto Nieto muoversi “nervosa mente” e portare la mano al taser nella fon dina. Snow se n’era andato e Isgitt non im maginava che Nieto avesse appena avuto un incontro spiacevole e che quindi avesse un buon motivo per essere nervoso. Isgitt ha cominciato ad avvertire chi incontrava di evitare quella zona. Robin Bullard, un vecchio residente di Bernal Hill che passeg giava nel parco con il suo cane, ha testimo niato di aver visto Nieto poco dopo Isgitt e Fritz, e di non aver notato niente di allar mante in lui. “Se ne stava seduto tranquilla mente”, ha detto Bullard. Al processo anche Fritz ha testimoniato che non c’era niente di allarmante in Nieto. E ha detto di aver chiamato la polizia su in sistenza di Isgitt. Verso le 19.11 ha detto all’operatrice del 911 (il numero d’emergen za negli Stati Uniti) che c’era un uomo con una pistola nera. “Di che etnia”, ha chiesto l’operatrice, “nero, ispanico?”. “Ispanico”, ha risposto Fritz. Poi l’operatrice gli ha chie sto se l’uomo in questione stesse facendo “qualcosa di violento”, e Fritz ha risposto: “Cammina solo avanti e indietro, mangian do patatine o semi di zucca, ma sembra che tenga una mano sulla pistola”. Circa cinque minuti dopo Alejandro Nieto era morto. Uno sfratto dopo l’altro San Francisco non è mai stata una città ostile agli stranieri: ino a qualche tempo fa era un posto in cui ogni nuovo arrivato po teva reinventarsi. Quando arrivano in po chi per volta, i nuovi residenti si integrano e contribuiscono alla trasformazione della città. Ma quando arrivano tutti insieme – nei periodi di crescita economica come la corsa all’oro nell’ottocento, l’esplosione delle aziende di servizi online negli anni novanta e l’attuale boom tecnologico – spazzano via tutto quello che c’era prima. Nel 2012, quando l’ondata di lavoratori delle aziende tecnologiche si è trasformata in un’inondazione, un numero sempre più alto di persone e istituzioni – librerie, chie se, servizi sociali, bar, piccole imprese – ha cominciato a essere sfrattato. Una tempo San Francisco era un posto dove le persone arrivavano spinte da un ideale e ci restavano per realizzarlo: batter si per la giustizia sociale o insegnare ai disa bili, scrivere poesie o praticare la medicina alternativa, far parte di qualcosa di più grande che non fosse una multinazionale, vivere non solo per i soldi. Ma tutto questo è diventato sempre più diicile man mano che gli aitti aumentavano e il prezzo delle case saliva alle stelle. I vecchi residenti han no cominciato ad avere paura di perdere cose che i nuovi arrivati non vedevano ne anche. La cultura high tech sembrava, da Schif ha ricaricato l’arma e ha ripreso a sparare: 23 proiettili in tutto vari punti di vista, una cultura di alienazio ne e isolamento. Ed era molto bianca, molto maschile e piuttosto giovane. Nel 2004 i dipendenti di Google nella Silicon valley erano per il 2 per cento neri, per il 3 per cen to ispanici e per il 70 per cento maschi. Le aziende tecnologiche hanno creato miliardari che con la loro inluenza hanno distorto la politica locale, favorendo politi che utili alla nuova industria e ai suoi dipen denti, a spese del resto della po polazione. Neanche una piccola parte dei soldi che si sono rove sciati sulla città è stata usata per tenere in vita il centro per i giova ni senzatetto, chiuso nel 2013, o la più antica libreria afroamericana del paese, chiusa nel 2014, o l’ultimo bar per lesbiche di San Francisco, che ha cessato l’attività nel 2015, o l’African orthodox church of st John Coltrane, che rischia lo sfratto dalla casa in cui ha traslocato dopo un preceden te sfratto nel periodo del boom delle azien de online, a ine anni novanta. Così è esplo so uno scontro tra culture. Alle 19.12 del 21 marzo l’operatrice del 911 che aveva parlato con Fritz ha trasmes so via radio una richiesta d’intervento. Il tenente Jason Sawyer e l’agente Richard Schif, in servizio da meno di tre mesi, han no risposto alla chiamata e si sono diretti verso il parco di Bernal Hill. Prima hanno cercato di entrarci in auto dal lato sud, poi hanno fatto marcia indietro e sono entrati dal lato nord. Girando intorno alla barriera che impedisce l’accesso ai veicoli hanno imboccato una strada in salita di solito a quell’ora afollata di persone che corrono, passeggiano o portano a spasso il cane. L’auto andava veloce, ma senza luce lam peggiante o sirena: dopotutto non era un’emergenza. Stando alla conversazione tra l’operatrice del 911 e Fritz, alle 19.17 e 40 secondi Alejandro Nieto stava scendendo lungo il ianco della collina ed era appena sbucato da dietro una curva. Alle 19.18 e 8 secondi un altro poliziotto che si trovava nel parco, ma non sulla scena, ha comunicato via radio: “Vedo un tizio con una camicia rossa che viene verso di voi”. In tribunale Schif ha testimoniato: “Il rosso poteva in dicare l’appartenenza a una gang. È il colore dei Norteños”. Schif ha testimoniato di aver gridato da circa trenta metri “alza le mani!”, e che Nie to gli ha risposto: “No, alzale tu!”. Poi il ra gazzo avrebbe estratto il taser e, impugnan dolo con entrambe le mani, lo avrebbe pun tato contro i poliziotti. Gli agenti sostengo no di aver scambiato la luce rossa del taser per il mirino laser di una pistola, e di avere temuto per la loro vita. Così, alle 19.18 e 43 secondi Schif e Sawyer hanno aperto il fuo co contro Nieto, crivellandolo di proiettili calibro quaranta. Alle 19.18 e 55 secondi Schif ha gridato “rosso”, una parola in codice che signiica “munizioni”. Aveva sparato un intero cari catore contro Nieto. Ha ricaricato l’arma e ha ricominciato a sparare: 23 proiettili in tutto. Anche Sawyer, intanto, sparava all’impazzata: venti proiettili. Nessuno dei due doveva avere una grande mira se Fritz, che nel frattempo si era rifugiato in un boschetto di eucalipti sotto il li vello della strada, urlava al telefo no con il 911: “Aiuto! Aiuto! I poliziotti spa rano agli alberi, stanno sfasciando tutto! Sparano verso di me”. Sawyer ha riferito: “Quando mi sono re so conto che non aveva avuto alcuna reazio ne ai nostri spari, ho alzato il tiro e mirato alla testa”. Nieto è stato colpito poco sopra il labbro da un proiettile che gli ha frantu mato la mascella e i denti superiori, mentre un altro proiettile gli perforava entrambe le ossa della gamba destra, sotto il ginocchio. Anche se gli agenti hanno testimoniato che Nieto è rimasto sempre rivolto verso di loro, quell’ultimo proiettile gli è entrato nel pol paccio da un lato, come se Nieto fosse gira to. È improbabile che una persona potesse restare in piedi con una gamba ferita in quel modo. A quel punto è arrivata un’altra auto della polizia con a bordo gli agenti Roger Morse e Nate Chew, che sono subito scesi con le pistole in pugno. Non c’era nessun piano concordato, nessuna comunicazione Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 63 Stati Uniti 64 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Da sapere Case impopolari Reddito necessario per comprare una casa di prezzo medio, in dollari Fonte: California association of realtors 254.000 96.640 Fr an ci sc Sa n ia ifo rn al C o 44.500 U ni ti Al funerale di Nieto, il 1 aprile del 2014, la piccola chiesa di Bernal Heights dove sua madre lo portava da piccolo era strapiena. Ci sono andata con la mia amica Adriana Camarena, un’avvocata originaria di Città del Messico che vive a Mission, il quartiere a nord del parco di Bernal. Lei aveva cono sciuto Alejandro, anche se di sfuggita, io no. Ci siamo sedute vicino a un gruppetto di tre donne afroamericane che hanno perso i lo ro igli in scontri a fuoco con la polizia e par tecipano regolarmente ai funerali di altre vittime di incidenti simili. Dopo la morte di Nieto, Adriana si era molto avvicinata a Re fugio e a Elvira Nieto. Il iglio era sempre stato il loro tramite con il mondo anglofono, e Adriana si era immedesimata nel loro do lore e voleva aiutarli. Con il passare del tempo è diventata la loro interprete, paladi na, avvocata e amica. Benjamin Bac Sierra, un ex marine che tiene un corso di scrittura al community college di San Francisco ed era amico e mentore di Alejandro, è diven tato l’altro portavoce di una piccola associa at i Forza dirompente zione chiamata Giustizia per Alex Nieto. La primavera in cui è morto Nieto, co minciavo a rendermi conto che quello che stava facendo a pezzi la mia città non era solo il conlitto tra i vecchi residenti poveri e i nuovi arrivati ricchi, a cui i proprietari di case, gli agenti immobiliari, gli speculatori e i costruttori cercavano di fare posto but tando fuori tutti gli altri. Era un conlitto tra due diverse visioni della vita. Quella che percepivo intorno a me al funerale era la grande forza vitale di una vera comunità: gente che viveva il quartiere come la trama di un tessuto fatto di ricordi, riti, abitudini, afetti e amore, uno di quei posti dove quel lo che conta non sono i soldi o il fatto di essere proprietari di una casa ma le relazioni tra le perso ne. Seduto dietro a me e Adriana c’era Oscar Salinas, un omone nato e cresciuto a Mission. Sali nas ci ha detto che quando capita una cosa brutta a qualcuno della comunità, tutto il quartiere si mobilita. “Ci prendiamo cura gli uni degli altri”. Per lui Mission sono le persone che condividono l’identità ispani ca, che credono in certi valori e s’impegna no a sostenersi a vicenda. E tutto è tenuto insieme da un luogo concreto. Il senso di comunità a cui le persone pre senti a quel funerale si aggrappavano era fondato su cose che il denaro non può com prare: l’idea, per esempio, che la propria casa non sia composta solo dalle quattro mura comprate o prese in aitto ma dall’in tero quartiere, con tutti i suoi abitanti. E non è così solo per le comunità ispaniche: tutti gli abitanti di San Francisco – bianchi, neri, asiatici e nativi americani – avevano rapporti di lunga data con persone, tradi zioni, istituzioni e luoghi particolari. Una St tra loro, nessuna strategia per contenere o catturare vivo il sospetto nel caso si fosse rivelato una minaccia, né per evitare un conlitto potenzialmente pericoloso in un parco così afollato a quell’ora del giorno. Morse ha testimoniato in aula: “Appena so no arrivato, ho visto quello che mi è sem brato il lampo di uno sparo. Gli ho puntato contro la pistola e ho aperto il fuoco”. I taser non producono niente di simile al lampo di uno sparo. Chew ha testimoniato che Nieto era già a terra quando è arrivato con il suo collega: ha sparato cinque colpi all’uomo a terra e ha detto alla corte di essersi fermato solo quando ha visto “la testa del sospetto cadere sul marciapiede”. Mentre era a terra, Nieto è stato colpito da molti altri proiettili. In tutto almeno 14, secondo l’autopsia del medico legale. Uno è entrato dalla tempia sinistra e gli ha attra versato la testa in direzione del collo. Molti lo hanno colpito alla schiena, al petto e alle spalle e un altro gli si è coniccato nella par te bassa della schiena, recidendo il midollo spinale. Gli agenti hanno raggiunto il corpo di Nieto alle 19.19 e 20 secondi, meno di due minuti dopo che tutto era cominciato. Morse è stato il primo ad avvicinarsi. Ha detto di aver dato un calcio al taser per al lontanarlo dalle mani di Nieto, che aveva gli occhi aperti e rantolava. Schif ha racconta to di averlo “ammanettato e rovesciato”. Poi avrebbe detto: “Sergente, il cuore batte ancora”. Quando è arrivata l’ambulanza, Alejandro era già morto. delle parole preferite di chi lavora nel setto re high tech è disruptive, che fa riferimento alla forza dirompente delle innovazioni tec nologiche. Ma per i vecchi residenti di San Francisco l’unica cosa dirompente è la di struzione di comunità, tradizioni e relazio ni. Molte delle persone che sono state sfrat tate o costrette a trasferirsi a causa dell’au mento dei prezzi erano proprio quelle che ci tenevano uniti: insegnanti, infermieri, edu catori, assistenti sociali, carpentieri, mec canici e attivisti. Quando veniva sfrattato un assistente sociale che lavorava con i ra gazzi ailiati alle gang, per esempio, quei ragazzi restavano abbandonati a se stessi. Quanti fili si potevano tagliare prima che il tessuto sociale si la cerasse? Due mesi prima del funerale, il sito di annunci immobiliari on line Redin ha condotto un’anali si e ha scoperto che l’83 per cento delle case della California e il 100 per cento di quelle di San Francisco non erano alla portata di un insegnante. Cosa succede a un posto quando i lavoratori che lo tengono in vita non possono permettersi di viverci? I tra sferimenti a causa dei prezzi troppo alti hanno fatto aumentare il numero delle morti, soprattutto tra gli anziani. Nei due anni trascorsi dall’uccisione di Nieto sono stati registrati molti casi di anziani morti durante o dopo lo sfratto. La gentriicazio ne può uccidere. Oppure porta nuovi residenti in quartie ri abitati da non bianchi, a volte con conse guenze tragiche. Qualche tempo fa il gior nale locale East Bay Express ha riferito che a Oakland molti nuovi residenti bianchi ve dono “le persone di colore che passeggiano, girano in auto o vivono nel quartiere” come “sospetti criminali”. Alcuni usano Next door, un social network che mette in con tatto le persone di uno stesso quartiere, per pubblicare commenti che “etichettano i ne ri come sospetti anche se solo camminano per la strada, girano in auto nel quartiere o bussano a una porta”, ha spiegato il giorna le. Anche alcuni residenti di Mission usano Nextdoor, scrivendo cose del tipo: “Quan do vedo più di due o tre ragazzini fermi co me soldati all’angolo, chiamo la polizia”. È chiaro cos’è successo a Nieto: degli uomini bianchi hanno pensato che fosse pericolo so, ed è morto per questo. Il 1 marzo 2016, il giorno in cui è comin ciato il processo, centinaia di studenti delle scuole pubbliche di San Francisco sono usciti dalle aule per chiedere giustizia per Nieto. Di fronte al tribunale si è svolta una grande manifestazione, con percussionisti, THE GuARdIAN Benjamin Bac Sierra (a destra), un amico di Alejandro Nieto, marzo 2016 danzatori in costumi piumati, persone con cartelli e una troupe televisiva che ha intervistato Benjamin Bac Sierra, l’amico di Nieto. Il volto di Nieto – sui manifesti, sugli striscioni, sulle magliette, sui murales – è diventato un’immagine familiare nel quartiere. Sono stati realizzati dei video sul caso e sono state organizzate manifestazioni e commemorazioni. Per alcuni Nieto è il simbolo della brutalità della polizia e rappresenta i membri della comunità ispanica che si sentono minacciati dalla gentriicazione, dall’ondata di sfratti e da chi li considera degli intrusi pericolosi nel loro stesso quartiere. Molte persone che hanno a cuore la situazione della famiglia di Nieto sono venute ogni giorno in tribunale per seguire il processo, e di solito l’aula era quasi piena. Problemi di memoria I processi sono anche teatro, e quello sulla morte di Nieto ha avuto i suoi drammi. Adante Pointer, un avvocato afroamericano che ha seguito molti casi di omicidi commessi dalla polizia, è stato il legale di Refugio ed Elvira Nieto. Il loro principale testimone, Antonio Theodore, si era fatto avanti alcuni mesi dopo la morte di Nieto. Theodore è un musicista originario di Trinidad, che suona nella band Afrolicious e abita nella zona di Bernal park. Elegante, con i dreadlock ben curati lunghi ino alle spalle, in aula Theodore ha dichiarato che al momento della sparatoria stava percorrendo un sentiero sopra la strada, con il suo cane, e che da lì aveva assistito alla scena. Ha testimoniato che Nieto teneva le mani in tasca, che non aveva puntato il taser contro gli agenti, che non c’era stato nessun lampo di luce rossa: gli agenti avevano solo gridato “fermo”, e poi avevano aperto il fuoco. Quando Pointer gli ha chiesto perché non si fosse fatto avanti prima, ha risposto: “Mi stia a sentire: non era facile dire a un poliziotto che avevo appena visto altri poliziotti sparare a qualcuno. Non mi fidavo della polizia”. Interrogato da Pointer, Theodore ha reso una testimonianza convincente. Ma la mattina dopo, quando è stato interrogato dall’avvocato della procura Margaret Baumgartner, una donna imponente con un piglio aggressivo, è crollato. Ha contraddetto la sua testimonianza precedente riguardo al posto in cui si trovava al momento della sparatoria, poi ha dichiarato di essere un alcolista con problemi di memoria. Sembrava che stesse cercando di sembrare inaidabile per mettersi al sicuro. Interrogato nuovamente dall’avvocato dei Nieto, ha dichiarato: “Non m’importa se sono qui adesso. Mi sento minacciato”. I particolari sulla dinamica dei fatti sono stati animatamente discussi in aula, risultando spesso contraddittori, soprattutto quelli che riguardavano il taser. Nelle loro deposizioni gli agenti hanno descritto Nieto come una minaccia sovrumana o perino inumana, che era rimasto in piedi dopo la prima raica e poi si era gettato a terra assumendo la “posizione tattica del cecchino”, il tutto tenendo sempre il taser puntato contro di loro. Gli avvocati della procura di San Francisco hanno chiamato a deporre un esperto di taser che inizialmente ha reso una testimonianza favorevole agli agenti. Ma quando Pointer gli ha chiesto di esaminare le foto scattate sulla scena del crimine, l’uomo ha dichiarato che il taser era spento e che non era facile accenderlo o spegnerlo accidentalmente. La luce si accende solo quando anche il taser è acceso. L’agente Morse aveva testimoniato che quando aveva dato un calcio al taser per allontanarlo dal corpo di Nieto, non aveva visto né i cavi né una luce rossa. Ma i cavi del taser sono visibili nelle fotograie scattate sul posto dalla polizia. Tra le prove presentate c’era un frammento di osso trovato nel giubbotto di Nieto. Secondo alcuni, questo dimostrava che Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 65 Stati Uniti Nieto teneva le mani in tasca, come aveva detto Theodore. Venerdì 4 marzo il medico legale Amy Hart ha dichiarato in aula che non c’erano fotografie del giubbotto dei 49ers, che doveva essere pieno di fori di proiettile. Il lunedì successivo un perito della procura ha fatto riferimento alle fotograie del giubbotto che la procura gli aveva fornito. Ai giurati sono state mostrate foto del berretto di Nieto, con un buco in corrispondenza della tempia, e dei suoi occhiali da sole a terra accanto a una pozza di sangue. Il medico legale ha testimoniato che le abrasioni sul volto di Nieto erano compatibili con il fatto che portasse gli occhiali. Prima che fosse esibita questa prova, l’agente Schif aveva testimoniato sotto giuramento di aver guardato Nieto negli occhi e di averlo visto aggrottare le sopracciglia. Ma se la vittima portava berretto e occhiali da sole, Schif doveva essersi sbagliato. Chiamata a testimoniare, Elvira Nieto ha mostrato la sua disperazione. Ma quando Pointer le ha chiesto quali fossero le emozioni di suo marito, Baumgartner ha subito urlato “obiezione”, sostenendo che il racconto della moglie sul dolore del marito fosse da considerarsi hearsay (sentito dire), e quindi andasse escluso dal dibattimento. Il giudice ha respinto l’obiezione. A un certo punto Justin Fritz ha chiesto scusa ai Nieto per le conseguenze della sua chiamata al 911: sembrava sconvolto. Refugio Nieto ha permesso a Fritz di abbracciarlo, sua moglie no. Più tardi Refugio ha detto ad Adriana che in quel momento gli erano tornate in mente alcune parole di Alejandro: “Dobbiamo sforzarci di essere superiori e dare il meglio di noi anche con le persone con cui siamo in conlitto”. Adriana è rimasta seduta vicina ai Nieto per tutta la durata del processo, traducendo per loro quando l’interprete del tribunale non era in servizio. Bac Sierra, in un impeccabile completo giacca e cravatta, era sempre dietro di loro, in una delle prime tre ile di panche afollate di amici e sostenitori. Alle udienze hanno partecipato spesso anche lo zio di Alejandro ed Ely Flores, un’altra ragazza ispanica amica di Alejandro e buddista come lui. Era un processo civile, quindi per stabilire la colpevolezza non valeva il principio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” ma solo quella della preponderanza della prova. Nessuno rischiava il carcere, ma se fosse stata riconosciuta la responsabilità della polizia ci sarebbero state conseguenze professionali per gli agenti e un grosso risarcimento economico per la famiglia. Il processo è stato seguito da molti giornali e tv loca- 66 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 li. Giovedì 10 marzo, dopo un pomeriggio e una mattina di discussione, gli otto giurati – cinque bianchi e tre asiatici, una donna e due uomini – hanno deliberato all’unanimità a favore della polizia, per tutti e tre i capi d’accusa. In corridoio Flores è scoppiata a piangere. L’American civil liberties union della California ha pubblicato una nota sul verdetto intitolata: “Alejandro Nieto sarebbe ancora vivo se fosse stato bianco?”. Lettera aperta Oggi San Francisco è una città crudele e divisa. Un mese prima del processo, il sindaco Ed Lee ha deciso di ripulire le strade dai senzatetto per il Super Bowl, la inale del campionato di football, anche se la partita si sarebbe giocata nello stadio dei 49ers, a sessanta chilometri di distanza. Gli attacchi online contro i senzatetto sono sintomatici dello scontro culturale in atto. Justin Keller, fondatore di una startup che non ha avuto molto successo, ha pubblicato a metà feb- Il sindaco Ed Lee ha deciso di ripulire le strade dai senzatetto per il Super Bowl braio una lettera aperta al sindaco: “So che la gente è frustrata dalla gentriicazione, ma la realtà è che viviamo in una società di libero mercato. I lavoratori benestanti hanno il diritto di vivere in questa città. Hanno studiato, lavorato sodo e si sono guadagnati quello che hanno. Non dovrei preoccuparmi di essere assalito. Non dovrei essere costretto a vedere il dolore, la fatica e la disperazione dei senzatetto ogni santo giorno, andando e tornando dal lavoro”. E come Evan Show, che avrebbe voluto sparare ad Alejandro Nieto dopo il loro primo incontro, anche Keller è stato accontentato in qualche modo. I senzatetto cacciati da altre zone hanno cominciato a piantare le tende sotto un cavalcavia dietro Division street, una desolata area industriale con poche case ai margini del quartiere di Mission. Poi il sindaco ha smantellato anche quel rifugio di emergenza: i funzionari comunali hanno gettato le tende e gli efetti personali dei barboni nei cassonetti e li hanno allontanati, lasciandoli senza niente. Quando il processo si è concluso, un centinaio di persone si è radunato dentro e fuori il centro culturale di Mission, a Mission street. Fuori pioveva. La piccola folla era composta, determinata e delusa, ma non certo sorpresa. La maggior parte dei presenti non si aspettava che le autorità riconoscessero quanto fosse sbagliato quello che era successo a Nieto. E nessuno aveva bisogno di conferme. Anche se quelle persone erano rattristate o arrabbiate, il verdetto non avrebbe fatto vacillare i loro princìpi e la loro storia. Tolti gli abiti che aveva indossato in aula per tutto il processo, Bac Sierra ha tenuto un discorso appassionato, in maglietta e berretto. Lo stesso ha fatto Oscar Salinas, che aveva pubblicato su Facebook queste parole: “Alex, non ti dimenticheremo. Ai tuoi genitori penseremo noi, la comunità. Come ho sempre detto, la tacita regola a Mission è che quando qualcuno sta male, ha bisogno di aiuto o muore, noi ci stringiamo insieme, come una famiglia, e ce ne prendiamo cura”. Hanno preso la parola i Nieto, con Adriana che traduceva per chi non capiva lo spagnolo. Poi ha parlato anche Adriana: “Una delle cose che ho scoperto in questo periodo in cui mi sono occupata del caso di Alejandro Nieto, è l’importanza della giustizia riparativa, perché da avvocata so che non potremo liberarci dal dolore e dalla paura di essere esposti agli abusi della polizia inché quelli che ci danneggiano non saranno chiamati a risponderne”. Adriana, suo marito (uno storico) e i loro amici – tra cui un attivista della campagna contro l’aids e una coreografa – che vivono in un vecchio ediicio fatiscente vicino al centro culturale, hanno afrontato la loro personale battaglia contro gli sfratti l’anno scorso, e l’hanno vinta. Ma la comunità che si era riunita quella sera è ancora vulnerabile ed esposta alle forze economiche che stavano facendo a pezzi la città. Molte di quelle persone potrebbero essere presto costrette a trasferirsi, altre lo hanno già fatto. La morte di Alejandro Nieto è la storia di un giovane crivellato di proiettili, e di una comunità che si è riunita per ricordarlo. Le persone di quella comunità hanno ottenuto qualcosa che va oltre la giustizia. Strada facendo, il caso si è trasformato in una causa per cui combattere, la solidarietà si è manifestata in un’esplosione artistica di video, manifesti e cerimonie commemorative, mentre si andavano formando e raforzando amicizie e alleanze. Adriana Camarena ha detto alla folla: “La nostra vittoria, come hanno detto ieri i genitori di Nieto, è che siamo ancora insieme”. u dic L’AUTRICE Rebecca Solnit è una giornalista, scrittrice e attivista statunitense. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Un paradiso all’inferno (Fandango 2009). Howie e Laurel Borowick durante una seduta congiunta di chemioterapia a Greenwich, nel Connecticut, il 30 gennaio 2013 Portfolio Vivere e morire Nancy Borowick ha documentato gli ultimi mesi di vita dei suoi genitori, malati di cancro. Gli scatti fanno parte della mostra World press photo 2016, che si apre il 29 aprile a Roma Portfolio Howie e Laurel si abbracciano nella camera da letto della loro casa a New York, l’8 marzo 2013 70 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 71 Portfolio possibile capire e apprezzare la vita solo se facciamo i conti con il fatto che siamo mortali. Nessuno ama parlare della morte, ma è una delle poche certezze della vita, ed è stata proprio la consapevolezza che il tempo a nostra disposizione non è eterno a permettere alla mia famiglia di vivere appieno i pochi mesi che potevamo ancora passare insieme”, aferma la fotografa Nancy Borowick. Nancy ha cominciato a fotografare la madre Laurel nel 2009, quando ha avuto una ricaduta del cancro al seno che l’aveva colpita per la prima volta a 42 anni. Nel dicembre del 2012 il padre Howie si è ammalato di cancro al pancreas, e Nancy ha cominciato a fotografare anche lui. Howie e Laurel conoscevano già la malattia. Lui aveva perso il padre per un cancro al cervello quando era ancora neonato e la madre per un cancro al seno quando aveva 15 anni. Lei aveva “è perso il padre per un cancro al pancreas quando andava all’università. “Fotografare i miei genitori era un modo per passare più tempo possibile con loro. Ma soprattutto volevo documentare la forza del loro amore davanti alla morte. Volevo onorarne la memoria mostrando la loro forza, la capacità di continuare a vivere ino alla ine, come individui e come coppia”. Howie è morto il 7 dicembre 2013. Da quel momento si sono aggravate le condizioni di Laurel, rimasta sola dopo 34 anni di matrimonio. Lei è morta il 6 dicembre 2014, un anno meno un giorno dopo il marito. “I miei genitori hanno passato i loro ultimi mesi creando nuovi ricordi invece di farsi schiacciare dalla malattia. E mi hanno fatto un ultimo, grande regalo: mi hanno permesso di raccontare la loro storia, una storia d’amore, di vita e di morte”. u Nancy Borowick è una fotografa statunitense nata nel 1985. Nella foto grande: Laurel con una parrucca nella cucina di casa a New York, febbraio 2013. Qui sopra, a sinistra: Howie e Laurel parlano al telefono con il loro oncologo nel bagno di casa, l’8 marzo 2013. A sinistra: Laurel, rimasta vedova, attaccata alla macchina dell’ossigeno dopo aver interrotto le cure, New York, 26 novembre 2014. Morirà pochi giorni dopo. A destra: i ricordi di Howie e Laurel dopo la loro morte, New York, 8 febbraio 2015. 72 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Da sapere Il premio e la mostra u A life in death di Nancy Borowick ha vinto il secondo premio al World press photo 2016, il più importante premio fotogiornalistico del mondo, nella categoria Progetti a lungo termine. I suoi scatti fanno parte della mostra World press photo 2016, che si apre il 29 aprile al Museo di Roma in Trastevere, a cura di 10b photography, e si concluderà il 29 maggio 2016. Ci saranno gli scatti dei 42 fotograi premiati nell’edizione di quest’anno, provenienti da 21 paesi. Il progetto di Nancy Borowick diventerà anche un libro. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 73 Ritratti Emmanuel Macron Il male minore Kim Willsher, The Guardian, Regno Unito. Foto di Ed Alcock Il ministro dell’economia francese vuole candidarsi alla presidenza nel 2017. Nonostante il suo passato da banchiere e le sue posizioni liberiste, la sinistra potrebbe non avere altra scelta S e pochi anni fa un sondaggista avesse fermato dei francesi a caso per strada chiedendogli “chi è Emmanuel Macron?”, la maggior parte, per non dire tutti, avrebbe risposto con un’alzata di spalle e un “je ne sais pas”. Oggi molti prevedono che questo ex banchiere diventato ministro possa essere eletto presidente della Repubblica francese, forse già l’anno prossimo. “Folgorante” è un aggettivo che non rende neanche lontanamente l’idea dell’ascesa politica di Macron. Nessuno alza più le spalle quando lo sente nominare. Esiste perino una legge che porta il suo nome, la loi Macron, che dovrebbe spingere il governo ad adottare politiche più favorevoli alle aziende. Può darsi che i francesi non siano d’accordo con lui, che gli gridino contro e lo insultino, ma sicuramente sanno chi è. Lo splendore di questo astro nascente è ancor più impressionante se si pensa che ha solo 38 anni, in un paese che preferisce leader con una lunga esperienza politica. Come se non bastasse, Macron non è mai 74 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 stato candidato a un’elezione – locale, nazionale o internazionale – né tantomeno eletto. Altrettanto sorprendente è il fatto che non appartenga a nessun partito politico, neppure al Partito socialista (Ps) che guida il governo di cui è ministro. Fino a poche settimane fa, quando ha creato il movimento politico En marche!, Macron non aveva nessuna bandiera o struttura per sostenere la sua ascesa al potere. Oggi invece è considerato un serio candidato nel caso (ed è ancora una grossa incognita) che l’impopolare presidente François Hollande dovesse decidere di non ricandidarsi alle elezioni del 2017, non essendo riuscito a mantenere la promessa di ridurre la disoccupazione. Si può ragionevolmente dire che, in circostanze diverse, per Macron puntare alla presidenza in questa fase della sua carriera sarebbe stato un suicidio politico. Un inanziere che è stato direttore aggiunto della banca Rothschild & Cie, convinto sostenitore del libero mercato, non avrebbe mai potuto farsi troppi amici nell’inquieta sini- Biograia ◆ 1977 Nasce ad Amiens, in Francia. ◆ 2004 Lavora al ministero dell’economia. ◆ 2006 Viene assunto dalla banca d’investimento Rothschild & Cie. ◆ 2009 Lascia il Partito socialista ◆ 2012 Entra nello staf di Hollande. ◆ 2014 Diventa ministro dell’economia. ◆ 2016 Fonda il movimento En marche! stra francese. Quando ha messo in discussione le 35 ore di lavoro settimanale, simbolo del socialismo francese moderno, quando ha criticato le limitazioni all’apertura domenicale dei negozi e quando ha spinto i giovani a “desiderare di diventare miliardari” è stato accusato di essere un lupo di destra travestito da socialista. L’incudine e il martello Durante la campagna elettorale del 2012 Hollande aveva detto “il mio vero nemico è il mondo della inanza”, ma intanto si era già preoccupato di mandare a Londra Macron, allora uno dei suoi consiglieri, per rassicurare il mondo degli affari della City. Quando Hollande è stato eletto, nel maggio di quell’anno, Macron è diventato il suo vice capo di gabinetto all’Eliseo, e nel 2014 è stato scelto per sostituire al ministero dell’economia Arnaud Montebourg, una delle mine vaganti della sinistra socialista. Pare che durante il colloquio con Hollande, Macron abbia insistito per avere un chiaro mandato a scuotere l’economia francese. “Il suo compito sarà riformare”, gli avrebbe risposto Hollande. Macron ha accettato l’incarico. Oggi, a dodici mesi dalle elezioni e con Hollande che continua a battere record d’impopolarità, i socialisti francesi sono tra l’incudine e il martello. Se Hollande dovesse tirarsi indietro, la sinistra del partito preferirebbe Macron all’altro possibile candidato, l’ambizioso primo ministro Manuel Valls, considerato ancor più di destra. Dato che il candidato del Ps dovrà vedersela con il candidato che sto ancorato alla sinistra ed è destinato a una grande carriera politica”. Nel 2015, durante il programma televisivo Des paroles et des actes, Macron ha dato prova della sua rinomata agilità intellettuale affrontando quasi tre ore di domande serrate di giornalisti e avversari politici. Nel corso della trasmissione ha risposto, discusso e parlato, a volte appassionatamente, a volte in maniera tecnica, ma senza mai perdere l’autocontrollo, nonostante le provocazioni. “Adora discutere”, ha dichiarato un suo amico a Paris Match. MyoP/LuzPHoTo Kennedy e Blair dev’essere ancora scelto dal centrodestra e con Marine Le Pen del Front national, la scelta per i socialisti puri e duri è tra prendere o lasciare. Il problema è che la maggioranza dei socialisti è contraria alla riforma del lavoro e alle misure economiche liberiste proposte da Macron. Il ministro ha l’aria di un capitalista globalizzato, frequenta i capitalisti, a volta parla perino come un capitalista, e i socialisti non si idano di lui. Macron, nato ad Amiens, nel nord della Francia, da un professore di neurologia e una dottoressa, è il più anziano di tre fratelli, e sostiene d’essere nato in un ambiente di sinistra: “I miei erano di sinistra, mia nonna era di sinistra. Tutte queste cose contribuiscono a creare certe convinzioni”. Studente brillante, ha conseguito la maturità con il massimo dei voti e ovviamente è finito all’Ecole nationale d’administration (Ena), l’incubatrice della classe dirigente del paese, dove è stato tra i migliori cinque allievi del suo anno. È anche un pianista provetto, pratica la boxe francese ed è un tifoso di calcio. Quando studiava filosofia ha scritto una dissertazione su Machiavelli, Hegel e il concetto di “bene comune”. La moglie di Macron, Brigitte Trogneux, ha vent’anni più di lui, è stata sua insegnante di francese al liceo privato che lui frequentava ad Amiens e dirigeva la compagnia teatrale in cui recitava. I due si sono sposati nel 2007. L’economista Jacques Attali, amico di molti ex presidenti come François Mitterrand, Nicolas Sarkozy e Hollande, sostiene che Macron ha sicuramente la stofa per fare il presidente: “Emmanuel è un giovane brillante. Senza dubbio ha il talento per candidarsi alla presidenza. È sempre rima- Ai detrattori che lo etichettano come banchiere, Macron risponde che ha lasciato un ricco impiego nel settore bancario e accettato uno stipendio molto più basso pur di lavorare all’Eliseo. Sostiene di non aver mai pianificato di “andare all’Ena, diventare banchiere e darsi alla politica”, ma di aver “colto le opportunità man mano che si presentavano”. Quando ha lanciato il suo movimento En marche! (“In marcia!” ma anche “In funzione”) descrivendolo come una piattaforma che “non è né di destra né di sinistra” ma aperta a tutti – un’idea che Valls ha deinito “assurda” – Macron si è attirato una nuova serie di attacchi personali. Ma questo non lo ha scoraggiato: “Il mio obiettivo non è essere popolare, a meno che non serva a fare le cose e a farmi capire. È questo che conta”, ha dichiarato. Secondo Le Monde Macron “sta provocando l’ironia della sinistra e la curiosità della destra”, mentre il conservatore Le Figaro si è chiesto: “Macron è l’ultimo jolly in mano a Hollande? È lui l’unico in grado di creare un improbabile legame tra il libero mercato che sta a cuore ai capi d’azienda e i nobili valori sociali della sinistra ugualitaria? Macron sa che la Francia non sopporterà altre chiacchiere, perché sta sofocando sotto il peso della burocrazia”. Il quotidiano di sinistra Libération è stato decisamente meno benevolo. “Il problema di Macron è che tutta la Parigi che conta gli ha detto che sarà il nuovo Kennedy, e lui ha inito per crederci”, ha dichiarato al giornale un parlamentare socialista. Come Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schröder con la loro “terza via”, almeno per ora Macron potrebbe sembrare il male minore per la sinistra. Questo può suonare familiare agli elettori britannici, e lo è. Con due decenni di ritardo, Macron somiglia sempre di più a una versione francese del New labour. E sappiamo com’è andata a inire. u f Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 75 Viaggi Un puntino nell’oceano L’arcipelago delle Samoa è isolato in mezzo al Paciico. La sua posizione geograica aiuta a preservare la vegetazione e le spiagge A ll’imbarco del traghetto che va da Upolu a Savaii, un signore anziano è appoggiato a una panchina accanto alla versione samoana di una bettola. Incrocia il mio sguardo, solleva una noce di cocco tagliata a metà, sorride e mi fa un cenno. Non sto andando di corsa – anche perché Samoa non è certo il posto dove farsi prendere dalla fretta –, perciò mi avvicino per capire cosa vuole. Il mio nuovo amico intinge un guscio di noce di cocco in una ciotola di plastica azzurra che contiene un liquido non proprio invitante. Mi passa la noce di cocco e, alzando il sopracciglio, dice: “Ava”. Bevo il liquido opaco, amaro e granuloso, e gli restituisco il guscio vuoto. Riempie di nuovo il guscio, beve e sorridendo passa il guscio a un altro amico assetato. Purtroppo tocca di nuovo a me. A questo punto ho le labbra e la lingua anestetizzate, e in testa la tipica sensazione che accompagna la prima sigaretta dopo aver provato, senza successo, a smettere di fumare. Sorrido anch’io. Bere l’ava, un brodo di radici di kava essiccate (una pianta del Paciico occidentale), è una forma di benvenuto. Intanto un maiale si aggira trotterellando nella zona dell’imbarco. Benarrivati a Samoa. Sparpagliate al largo del Paciico meridionale, le isole Samoa sono un posto che bisogna assolutamente visitare. Anche se diicilmente questo arcipelago polinesiano entrerà nella lista delle destinazioni più gettonate per un weekend lungo. Si trova a sei ore di aereo da Sydney e a quattro da Auckland, tra la Nuova Zelanda e le Hawaii. Anche le isole vicine, le Samoa ame- 76 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 ricane, avamposto degli interessi coloniali statunitensi, si tengono a distanza con regole molto rigide sulla concessione dei visti, oltre che con 45 minuti di volo e relativo cambio di data. I disastri provocati dallo tsunami del 2009 hanno avvicinato questo idillio dei mari del sud e il mondo che sta oltre la barriera corallina. Poi nel dicembre del 2011 c’è stato un ulteriore avvicinamento: il paese ha varcato la linea del cambio di data a ovest per avere la stessa settimana lavorativa della Nuova Zelanda e dell’Australia. A gennaio del 2015 è arrivata la prima catena internazionale di alberghi, con uno Sheraton (la catena alberghiera sta ristrutturando anche l’Aggie grey’s hotel, fondato nel 1933 e frequentato in passato da vari attori, tra cui Marlon Brando). Infine il 5 aprile di quest’anno sono partiti i lavori per la posa di un cavo sottomarino lungo 1.300 chilometri, che per la prima volta metterà a disposizione delle nuove generazioni samoane una connessione internet ad alta velocità. Comunque sull’isola di Savaii, nel poco attraente villaggio di Satoalepai, le novità arrivano con il contagocce. Soseina Sue, 28 anni, organizza nuotate con le tartarughe. “Compriamo le tartarughe dai pescatori che le catturano con le reti per sbaglio”, dice. Guardo in direzione di una laguna dove le tartarughe verdi si litigano fette di papaya. L’acqua è torbida. Nessuno fa il bagno. “Avete mai pensato all’allevamento in cattività?”, chiedo. “La tartarughe non si riproducono perché non c’è sabbia”, dice Soseina. “Ne liberiamo due o tre quando sono pronte a deporre le uova”. “Che cosa fareste tu e i tuoi fratelli se non ci fossero le tartarughe?”, chiedo. “I samoani sono poveri”, risponde senza giri di parole. “Solo quando vai all’estero e metti da parte un po’ di soldi puoi pensare di fare qualcosa. Forse andremo tutti a lavorare per i cinesi che qui aprono delle aziende. Non lo sopporto”, dice infervorandosi, “questa è la nostra terra”. L’economia delle isole dipende MICHAeL ByRNe (Getty IMAGeS) Nick Redmayne, The Independent, Regno Unito dall’agricoltura, dal turismo e dagli aiuti di paesi terzi, ma anche dalle rimesse della grande diaspora samoana, con alcuni emigrati che alla ine tornano a casa. A Lefaga, sulla costa meridionale di Upolu, l’isola principale dell’arcipelago, il resort Return to paradise prende il nome dall’omonimo ilm del 1953 con Gary Cooper e Roberta Haynes (in Italia uscì con il titolo Samoa), girato su questa magniica spiaggia. Qui, dietro le palme, c’è una baia incredibile con la sabbia dorata, interrotta da un promontorio. Le onde color acquamarina si infrangono rumorosamente sulle rocce in un trionfo di spruzzi. Inspiro profondamente e i miei polmoni si riempiono dell’essenza del Paciico meridionale . È facile essere cinici e dire “una spiaggia è una spiaggia”, ma se bisogna scegliere un tratto di costa per cui vale la pena di attraversare mezzo mondo, Lefaga è una seria candidata. Dopo anni in Nuova Zelanda, Ramona Su’a Pale Gilchrist è tornata a casa. Parlo con lei mentre facciamo colazione, poco Samoa, maggio 2012. Il To sua, una piscina naturale sull’isola di Upolu Informazioni pratiche u Arrivare Il prezzo di un volo dall’Italia per Apia, la capitale dell’arcipelago delle Samoa, parte da 1.760 euro a/r (Air New Zealand, Singapore Airlines, Vueling). u Clima La temperatura varia poco e la media annuale è di 26 gradi. La stagione secca va da giugno a settembre, quella umida da ottobre a maggio, con picchi di pioggia a dicembre. u I lettori consigliano A Saleapaga, isola di Upolu, il Manusina beach fales ofre alloggi in case tradizionali (su una spiaggia bianca) a partire da 60 samoan tala (22 euro) a notte per persona (manusinabeachfales.ws). E da leggere: Ambrogio Borsani, Stranieri a Samoa, Neri Pozza 2006, 14,50 euro. u La prossima settimana Viaggio nell’Iran meridionale. Avete suggerimenti su tarife, posti dove dormire, libri? Scrivete a [email protected]. dopo che un’anziana Roberta Haynes è venuta a vedere di persona il resort appena aperto.“Questa terra non è nostra. Noi siamo i guardiani”, dice. La terra è un tema ricorrente in queste minuscole isole fertili in mezzo all’oceano. Raz, il iglio di Ramona, racconta: “Mio nonno si trasferì in Nuova Zelanda con la famiglia per cercare un futuro migliore. E mia madre si era ripromessa di portare la famiglia nelle Samoa”. Accendere il fuoco Nello stretto di Apolima, tra Upolu e Savaii, c’è la piccola isola di Manono, che ha 1.200 abitanti, sette chiese, ma nessuna strada o auto. L’elettricità è arrivata da poco. All’ombra di un fale, la caratteristica costruzione dal tetto di paglia, Loaka, 82 anni, sta tessendo alcuni tappeti tradizionali. “Cos’ha visto cambiare di più nel corso della sua vita?”, le chiedo. Smette di cucire ibre di palma e dice: “Non molto, solo l’atteggiamento degli adolescenti”. Proseguo verso il villaggio, attraversando piante di papaya, alberi carichi di arance e frecce blu che indicano la via di fuga in caso di tsunami. Soggiorno al Sunset view fales, una serie di semplici bungalow sulla spiaggia in mezzo alla vegetazione esotica, su una collina afacciata su una piccola baia. Lì incontro Apa Lagaali: “Vengo da Upolu”, dice spaccando con nonchalance una noce di cocco. Apa ci mostra come staccare la polpa da una noce di cocco, come spremere la pasta di cocco attraverso le ibre del guscio e come fare involtini di foglie di taro pronte per essere cotte sulle pietre bollenti del forno umu scavato nel terreno. “Usiamo tutte le parti della noce di cocco, e questi”, indica gli scarti, “se li mangiano i maiali e i polli”. Sfoggiando una destrezza che viene da anni di pratica, in pochi secondi Apa fa un piatto con le fronde di una palma. “Fare dei cestini o dei piatti…”, dice. “I ragazzini non lo sanno fare. Usano i vostri piatti di plastica pelagi (stranieri)”. Dopo il pasto tira fuori un legnetto rudimentale e in un attimo scalda un tizzone e si accende una sigaretta. Ci voglio provare anch’io: mi accovaccio e stroino furiosamente i legnetti. Sudo, mi gira la testa, produco uno sbufo di fumo e questo è tutto. La società samoana, con la sua struttura e i suoi limiti deiniti dalle tradizioni della fa’a Samoa (la via samoana) è stata preservata in un’atmosfera immobile di splendido isolamento. Lo scrittore scozzese Robert Louis Stevenson passò i suoi ultimi anni nelle Samoa, deinendole il luogo in cui “ho trovato la vita più piacevole e gli uomini più interessanti”. Osservò anche, però, che “cambiare le abitudini è più sanguinoso di un bombardamento”. Il lusso di stare lontani e rimanere sempre gli stessi ormai non esiste più. Il fatto che i 180mila abitanti delle isole guardino alla Nuova Zelanda, un paese di 4,5 milioni di persone, come al loro principale partner economico la dice lunga sul delicato equilibrio economico delle Samoa. Seguire la corrente dello sviluppo non è un compito facile e le indicazioni non sono afatto chiare, a diferenza della segnaletica da seguire in caso di tsunami. u fas Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 77 Graphic journalism Cartoline da Milano 78 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Andrea Ferraris è un autore di fumetti, illustratore e scenografo nato a Genova nel 1966. Vive a Parigi. Il suo ultimo libro è Churubusco (Coconino-Fandango 2015). Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 79 Cultura MICHAeL OCHs ARCHIves (Getty IMAGes) Musica Prince durante una data del Purple rain tour, febbraio 1985 Il genio sfuggente Alex Petridis, The Guardian, Regno Unito Ha saputo trasformare la musica pop giocando con regole tutte sue. Prince è morto a Minneapolis il 21 aprile 2016 S embra strano dirlo oggi, ma agli inizi della sua carriera c’era chi dubitava che Prince Rogers Nelson avrebbe avuto successo. Aveva indubbiamente un grande talento e delle convinzioni sulla sua musica al limite dell’ostinazione: per il suo album di debutto del 1978, For you, non solo aveva prodotto, arrangiato e suonato ogni strumento, ma era pure riuscito a ottenere dalla Warner Brothers un contratto che gli garantiva il controllo artistico totale, un privilegio inaudito per un artista emergente. Ma era anche una igura strana, timida, 80 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 impacciata, apparentemente poco propensa a farsi promozione. Le sue interviste erano deliberatamente laconiche. La prima apparizione televisiva che fece, nel programma American bandstand, fu un tale disastro da spingere il presentatore Dick Clark a dire che Prince era stato l’artista più diicile che gli era mai capitato di avere in trasmissione. Come poteva sperare di farcela un musicista così refrattario alle logiche pubblicitarie? Ma, si sarebbe capito poi, Prince sapeva esattamente quello che faceva. Il comportamento adottato agli inizi della sua carriera, alla ine degli anni settanta, gli avrebbe fornito un modello per il resto della vita. Il suo talento andava ben oltre il merito di aver suonato ventisette strumenti diversi in For you. Prince ha realizzato innumerevoli album che abbracciano una miriade di stili musicali diversi: era in grado di fare tut- to, dal rock al funk passando per il jazz e la psichedelia. Alcuni lavori sono migliori di altri – la sua produzione è stata così straripante che nemmeno lui riusciva a mantenere il pieno controllo sulla qualità – ma sono sempre inequivocabilmente album di Prince. Per quarant’anni ha condotto la sua carriera sulla base di una bizzarra logica interna che lasciava perplessi anche i suoi più stretti collaboratori. Interi dischi sono stati inspiegabilmente accantonati, canzoni con il potenziale di grandi hit relegate nel vault (la cassaforte), la leggendaria stanza del suo studio d’incisione di Paisley Park stipata, a quanto pare, di pezzi mai pubblicati. La sua testardaggine nel trattare con le case discograiche era tale che ha rischiato quasi di oscurare la sua musica. Forse un efetto collaterale inevitabile se ti scrivi “schiavo” sulla faccia per protestare contro i termini del tuo contratto discograico. Ma le stranezze e le reticenze che caratterizzarono i suoi primi contatti con i mezzi d’informazione furono tutto fuorché un ostacolo. Prince le rigirò interamente a suo vantaggio con la sua trasformazione in personaggio mitologico e insondabile. Concedeva interviste proverbialmente evasive su tutto ciò che non riguardava la musica. Perfezionò un sistema di abbreviazioni con cui scriveva le canzoni (per esempio u al posto di you ) e a un certo punto decise di fare del proprio nome un simbolo: per un periodo FG/BAUER-GRIFFIN (GETTy IMAGES) Prince con la percussionista Sheila E (a sinistra) e la ballerina Cat (a destra), Rotterdam 1988 volle che ci si riferisse a lui come “Victor”, poi con l’espressione “L’artista un tempo noto come Prince”. “Non sono una donna, non sono un uomo, sono qualcosa che non capirai mai”, cantava in I would die 4 U, pezzo tratto dall’album che nel 1984 lo rese una star globale, Purple rain. E il bello è che non era un’iperbole. Nei primi album Prince sembra maniacalmente determinato a prendere di mira i tabù, come se volesse dimostrare ino a che punto poteva spingersi: una cosa era scrivere pezzi funk dai testi osceni che facevano trasalire il pubblico radiofonico, un’altra era arrivare a scrivere canzoni che parlavano d’incesto, come Sister, dall’album Dirty mind, del 1980. La sua visione musicale si andò evolvendo in fretta e si fece sempre più complessa. Qualcosa che non capirai mai Nel 1982, all’epoca dell’album campione d’incassi 1999, questa visione comprendeva di tutto, dal rockabilly al funk sintetico che diceva ispirato a Blade runner, ino alle ballate per pianoforte e ai pezzi spudoratamente pop. Quell’album può anche sembrare il frutto di un’eccessiva indulgenza verso se stesso o di un lavoro siancante, ma le canzoni che contiene sono tutte di una qualità stupefacente. Negli anni immediatamente successivi Prince non fece neanche un passo falso, producendo quella che è forse la più gran- diosa sequenza di album degli anni ottanta: Purple rain, Around the world in a day, Parade, Sign o’ the times e Lovesexy. Bilanciava perfettamente preoccupazioni commerciali e artistiche: ogni album lo portava un po’ più in là e non somigliava mai al precedente, ed era carico di successi memorabili. Inoltre le sue esibizioni dal vivo erano spettacolari: non era solo un prodigioso chitarrista, ma un performer nato. I suoi show non conoscevano i limiti del pop da stadio: le scalette cambiavano continuamente e c’era sempre spazio per l’improvvisazione. Lovesexy, del 1988, è stato l’ultimo album della sua fase aurea. Forse poi Prince fu distratto, prima di tutto dal suo desiderio di fare ilm (Graiti bridge, del 1990, dimostra che la sua capacità di dirigere e recitare era di gran lunga inferiore a quella musicale) e, in seguito, dall’annosa disputa con la Warner Brothers. I successi continuavano – nel 1994 sfornò il suo unico numero uno nella classiica del Regno Unito, The most beautiful girl in the world – ma i suoi album diventavano palesemente più squilibrati. Contenevano sempre musica fantastica (perino il deriso Come, del 1994, custodiva un gioiello come Letitgo), solo che ora dovevi faticare un po’ per scovarla. Se nei dischi non ritrovò più del tutto la splendida forma musicale raggiunta tra la metà e la ine degli anni ottanta, nelle esibizioni dal vivo era ancora imbattibile. I ventuno concerti che fece a Londra nel 2007 furono osannati, e il suo ritorno nella capitale britannica nel 2014 con una nuova band tutta femminile, le 3rdeyegirl, fu allo stesso tempo un colpo mediatico da maestro e un enorme successo artistico. Prince ha mantenuto la sua carriera in continuo movimento: sempre in tour, sempre con un nuovo album in uscita e immancabilmente con nuove idee per la testa. L’ultima è stata quella di esibirsi da solo al pianoforte. “Devo sidarmi di continuo”, mi disse l’anno scorso, “perché non sono uno che si lascia criticare facilmente”. Ero arrivato a Paisley Park, il suo studio fuori Minneapolis, dove aveva convocato la stampa con poco preavviso e senza un’apparente ragione. Si diceva che volesse annunciare un estemporaneo tour europeo. Tutto fu piuttosto confuso. Volle essere intervistato seduto alla tastiera, con i giornalisti letteralmente raccolti ai suoi piedi. All’inizio non riuscimmo a cavargli fuori un granché. Se una domanda non gli piaceva, scuoteva la testa e suonava il motivo di Ai conini della realtà. Più tardi, quella sera, suonò. Pescava a caso dalla sua discografia: Raspberry beret, Girls and boys, Something in the water (does not compute). Le interpretò tutte in modo magniico. Come sempre: era un talento sovrumano e qualcosa di assolutamente inconoscibile – “qualcosa che non capirai mai”– ma anche un uomo che sapeva esattamente quello che faceva. u nv Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 81 Cultura Cinema Dal Giappone I ilm italiani visti da un corrispondente straniero. Questa settimana lo svizzero Oliver Meiler, corrispondente di Tages-Anzeiger e Süddeutsche Zeitung. I primi, timidi zombi giapponesi 82 In Giappone i ilm dell’orrore tradizionali hanno a che vedere con dei vendicativi fantasmi di donne. Gli zombi, nonostante l’ondata hollywoodiana partita dalla Notte dei morti viventi (1968), non hanno mai avuto molto seguito. Ci sono stati dei tentativi recenti, come Z Airando (2015) di Hiroshi Shinagawa e Gokudo Daisenso (2015) di Takashi Miike, ma non sono riusciti a prendere sul serio il tema dell’apocalisse zombi. I am a hero di Shin- I am a hero suke Sato, tratto dal manga omonimo di Kengo Hanazawa, è il primo ilm che tratta gli zombi in modo drammatico, senza usarli solo come veicolo di facili spaventi o battute. Anzi, fanno talmente paura che il ilm esce con un divieto ai minori di 15 anni, impensabile per il riadattamento di un manga. Ai cultori occidentali I am a hero potrebbe sembrare derivativo, ma per gli standard giapponesi che ofrono una stilizzazione di azione più che azione vera, è un ilm terribilmente realistico e poco ironico. Il protagonista, Hideo Suzuki, è l’assistente trentacinquenne di un famoso realizzatore di manga che si ritrova ad afrontare un’invasione di non morti. Rispetto ai colleghi statunitensi che sparano all’impazzata, Suzuki si dimostra stranamente paciista e ci mette molto prima di fare fuori il suo primo zombi. The Japan Times Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T Re H E gn D o AI U L n Y L E i to T EL Fr F EG an I G ci A R a R A O PH T C HE an G ad L a OB E T A Re H E N D gn G M o UA U A ni R D IL T t o IA Re H E N gn I o ND U n E L I i to P E N Fr BÉ D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST Veloce come il vento Di Matteo Rovere Con Stefano Accorsi, Matilda De Angelis. Italia, 2016, 119’ ●●●●● “Vacca boia!”, a volte una sola battuta del ilm ne coglie il ritmo e le sensazioni. Veloce come il vento racconta la storia vera di una famiglia emiliana di piloti da corsa. Il padre muore, la mamma vive in Canada e Giulia, la iglia diciassettenne (la magniica Matilda De Angelis), si deve occupare del fratellino piccolo. Un giorno riappare il fratello maggiore, Loris, una vecchia gloria dello sport ormai tossicodipendente (un non meno magniico Stefano Accorsi). Mai lucido, il fratello ingombrante pretende di vivere nella casa di famiglia e comincia ad allenare la sorella. Non bisogna amare le gare automobilistiche per amare questo ilm. Nel piccolo cinema romano in cui l’ho visto, trenta posti, c’erano due gruppi di signore piuttosto entusiaste. Alcune metafore sono un po’ ingombranti, come per esempio l’anticipo della prossima curva che suona come un consiglio di vita. E il genere ricorda quei ilm statunitensi un po’ patetici sulle rivincite eroiche nello sport. Ma questo è un ilm italiano, ruvido e bello, veloce come il vento. All’inizio una citazione di Mario Andretti, il pilota italiano naturalizzato statunitense: “Se hai tutto sotto controllo, signiica che non stai andando abbastanza veloce”. Vacca boia! Un thriller cerca di introdurre la paura degli zombi in una cultura che non li ha mai temuti per davvero DR Italieni Media 10 clOverfielD lane 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 13 hOUrs 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 ave, cesare! 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 brOOklyn 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 cODice 999 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 kUng fU panDa 3 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 lOve & Mercy 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 nOnnO scaTenaTO 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 rOOM 11111 zOna D’OMbra 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 11111 11111 I consigli della redazione Il libro della giungla John Favreau (Stati Uniti, 96’) In uscita Sole alto Di Dalibor Matanić Con Tihana Lazović, Goran Marković, Nives Ivanković. Croazia/Serbia/Slovenia, 2015, 123’ ●●●●● Tre estati per tre decenni diversi (1991, 2001, 2011). Tre storie d’amore contrastato dalla guerra e dall’odio etnico in un angolo di paradiso, sulle rive di un lago jugoslavo. In ogni segmento di questa pellicola lei è serba e lui è croato, e i due personaggi sono interpretati dagli stessi due giovani e incandescenti attori debuttanti: Tihana Lazović e Goran Marković. Una bella idea che dà continuità e unità a queste tre storie di coppie sfortunate. Sono tutte appassionanti, ma si tende a preferire la seconda storia, in cui Matanić evoca tensione erotica come un Tennessee Williams dei Balcani. Jérémie Couston, Télérama 10 Cloverield lane Di Dan Trachtenberg Con Mary Elizabeth Winstead, John Goodman. Stati Uniti, 2016, 105’ ●●●●● Senza rovinare nessuna sorpresa, sappiate che la trovata che lega 10 Cloverield lane al riuscitissimo Cloverield del 2008 è la cosa meno interessante del ilm. Questa è una storia semplice che non ha niente a che vedere con mostri o fantascienza, ed è tirata e angosciante abbastanza da fare da sola il suo sporco lavoro. Quello che succede nei primi novanta minuti rende assolutamente irrilevante, e molto poco spaventoso, qualunque cosa possa succedere dopo. Michelle (Mary Elizabeth Winstead), dopo aver perso conoscenza in un incidente d’auto, si ritrova in un bunker sotterraneo con un complottista di nome Howard (John Goodman) e con Emmett (John Gallagher Jr.), l’uomo che lo ha aiutato a costruire il rifugio. Fuori sembra esserci stata una catastrofe, non si sa se causata dai russi o dagli alieni, ma Michelle non sa ino a che punto può idarsi e l’equilibrio, nel claustrofobico bunker, si fa sempre più instabile. Il regista Dan Tratchemberg fa crescere la tensione al punto da farci venire voglia di urlare nel cinema. Eccezionali le interpretazioni dei tre protagonisti, soprattutto quella di Mary Elizabeth Winstead che si rivela una guerriera nata, con riserve di energia inesauribili. A volte quello che vedi può essere più spaventoso di qualunque mostro tu possa immaginare. Will Leitch, New Republic Dr Dr Sole alto Truman. Un vero amico è per sempre Cesc Gay (Spagna/Argentina, 108’) Brooklyn John Crowley (Irlanda/Regno Unito /Canada, 111’) Cavallo denaro Di Pedro Costa Con Tito Furtado, Antonio Santos, Vitalina Varela. Portogallo, 2014, 104’ ●●●●● Pedro Costa torna a Fontainhas, la baraccopoli di Lisbona che ha compatito, dissezionato ed esaltato in quattro ilm celebratissimi in tutto il mondo. Cavallo denaro è una sorta di sogno di un purgatorio posturbano, 104 minuti di esplorazioni non narrative di fabbriche abbandonate e tunnel di cemento. A compierle è un uomo in pigiama in fuga da un ospedale ino all’inevitabile scontro con una spropositata forza militare. Ciò che accade non è mai troppo chiaro, importa solo una cosa: Costa ci immerge in un mondo in disfacimento, nella rabbia e nel rimpianto, nell’alienazione di un’esistenza povera e marginale. Il lavoro di Costa ci sida: vuole che prendiamo seriamente i suoi personaggi poveri e disperati ma allo stesso tempo vuole farci vedere che esiste bellezza anche lontano dalle gallerie d’arte e dai musei. Le immagini meravigliose di questo ilm confermano che il digitale, nelle mani di un maestro, può sidare la pellicola. Alan Scherstul, Village Voice Ancora in sala Mistress America Di Noah Baumbach Con Greta Gerwig, Lola Kirke, Matthew Shear. Stati Uniti, 2015, 84’ ●●●●● Un’irresistibile stravaganza attraversa Mistress America, l’omaggio di Baumbach alla più classica commedia anni ottanta. C’è l’escapismo di Qualcosa di travolgente di Jonathan Demme e di Fuori orario di Martin Scorsese, ma anche un ricordo delle vecchie commedie svitate di Hollywood, in cui Claudette Colbert e Carole Lombard svolazzavano in giro per Manhattan con i loro dialoghi sempre acuminatissimi, nonostante i vari martini che ingurgitavano. Sarebbe inadeguato però ridurre Mistress America a una pura commedia di maniera, per quanto brillante. Il ilm è anche una malinconica rilessione sull’amicizia e un ritratto accurato e misericordioso del tormento e dell’estasi di una ragazza che riesce, inalmente, a diventare se stessa. Il segreto per amare Mistress America è lasciarsi andare ai suoi ritmi di commedia vintage. Ann Hornaday, The Washington Post Cavallo denaro Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 83 Cultura Libri Dal Regno Unito I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Frederika Randall, del setti manale statunitense The Na tion. Shakespeare è una star in Messico Flavia Piccinni Questo iume è la notte Fandango, 234 pagine, 16,50 euro ● ● ●●● Dobbiamo il concetto di orien talismo a Edward Said che con questo termine deiniva i luo ghi comuni sul mondo non oc cidentale tipici del punto di vi sta coloniale. Dunque, quando in un romanzo italiano incon triamo un paese in via di svi luppo sporco, miserabile ma anche misterioso e spirituale, dobbiamo chiederci se non c’entri un po’ la favola orienta lista. Questo romanzo elo quente, ma troppo spesso pro vinciale, racconta le diicili scelte di vita dell’italiana Lea. La storia si svolge in India, do ve la donna è fuggita dopo un aborto, paralizzata dal rimorso e dalla depressione. Da Jo dhpur ad Agra, ino a Varanasi, sul iume Gange, Lea barcolla tra fantasia e nausea davanti alla miseria altrui. C’è l’India che “sogna da sempre... il mi sticismo, la reincarnazione, il senso delle cose”, dove gli abi tanti “parlottano in un modo incomprensibile e musicale” e c’è l’India in cui tassisti, alber gatori e bambini sono attenti alla mancia e parlano bene in glese. A volte l’autrice sembra riconoscere che il punto di vi sta di Lea è limitato, che l’In dia è più complessa di come la vede il suo personaggio. Sce gliendo di raccontare tutto con la voce della donna, non ha strumenti per introdurre un’al tra prospettiva. Un alter ego indiano? Perché no? 84 Un sondaggio del British council svela che gli inglesi non amano molto il loro autore nazionale L’opera di William Shake speare è più popolare e meglio compresa in paesi emergenti come Brasile, India, Cina, Messico e Turchia che nel Re gno Unito. Lo rivela un son daggio realizzato dal British council in occasione dei quat trocento anni dalla morte del drammaturgo inglese. Lo stu dio a campione (18mila perso ne in quindici paesi) ha rivela to che l’89 per cento dei messi cani ama Shakespeare, l’84 per cento dei brasiliani lo con sidera rilevante oggi e l’83 per cento degli indiani dice di ca pirlo. Tra i britannici queste percentuali scendono rispetti vamente al 59, 57 e 58 per cen MANUEL VELASQUEz (LATINCONTENT/GETTy IMAGES) Italieni Una compagnia messicana in scena to. “Non credo che gli inglesi debbano vergognarsi”, dice Rosemary Hilhorst, direttrice del programma Shakespeare lives del British council. “Ora dovremmo pensare a come rendere Shakespeare più ac cessibile, per permettere a più giovani di entrare in contatto con le sue storie fantastiche”. Il problema nasce a scuola: è il lavoro sul testo originale che scoraggia i giovani britannici. All’estero, nota Rosemary Hil horst, agli studenti vengono proposte prima delle traduzio ni sempliicate. Mark Brown, The Guardian Il libro Gofredo Foi Intrecci boliviani Rodrigo Hasbún Andarsene Sur, 120 pagine, 15 euro Una ragione d’interesse per questo romanzo scritto da un boliviano di 35 anni esigente e coraggioso (in originale, Los afectos, un titolo migliore) sta nella brevità o, meglio, nella capacità di concentrare più storie senza nulla perdere in tensione. Anzi guadagnando in interesse ed emozione dalle ellissi, dal non detto, dal fatto che la parola “io” corrisponde, quando il racconto è in prima Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 persona, a un personaggio e non al narratore. Fu un procedimento apprezzato un tempo da tanta avanguardia. In Italia l’egomania o egolatria dei narratori sta guadagnando anche i saggisti, e perino gli storici (vedi certe recenti uscite feltrinelliane). Hasbún narra le vicende di una famiglia del secondo dopoguerra, tedeschi emigrati in Bolivia, attorno a un padre con un passato di operatore per documentari nazisti che organizza spedizioni archeologiche alla ricerca di città andine perdute e, nella seconda parte, attorno a una iglia guerrigliera che riesce a uccidere l’assassino del Che. È una storia che ha basi reali. Intorno ci sono l’America Latina e l’Europa di anni turbolenti e le passioni e le delusioni di due generazioni. Hasbún non confonde mai il lettore, pur spiazzandolo, e mostra i suoi eroi con una sorta di calor freddo che gioca sulla nostra curiosità e permette di immaginare e partecipare lasciandoci un po’ di libertà. u I consigli della redazione Rodrigo Hasbún Andarsene (Sur) Il romanzo Rivka Galchen Innovazioni americane Einaudi, 162 pagine, 16,50 euro ● ● ● ●● Leggere una raccolta di racconti – non importa quanto siano sostanziosi, compatti, armoniosamente intrecciati l’uno all’altro – dà più o meno le stesse sensazioni di quando si ordina una cena cinese: in un primo momento si è sazi ino a scoppiare, ma dopo un po’ si ha fame di qualcosa di più nutriente. La raccolta di esordio della statunitense di origine canadese Rivka Galchen, che fa seguito al suo acclamato romanzo Efetti collaterali dell’amore quando inisce (Piemme 2010), è come un complesso multivitaminico. Tutto ciò di cui il lettore può avere necessità è dispensato attraverso densi, minuscoli e misteriosi granuli. Ciascuna delle storie ofre un’iniezione corroborante di arricchimento letterario, una dose di personaggi, generi e ambientazioni di cui non sapevamo neppure di aver bisogno, ma che adesso ci sembra un ricostituente di vitale importanza. Innovazioni americane è un capolavoro di coesione e di misura. Galchen reinventa alcuni racconti classici (Il naso di Nikolaj Gogol’, L’Aleph di Jorge Luis Borges) e dà un nuovo orientamento alla prospettiva narrativa: tutte le storie sono raccontate in prima persona e dal punto di vista di una donna. La storia che apre la raccolta prende uno dei goi protagonisti di mezza età di Haruki Murakami (in questo caso, Toru dell’Uccello che girava le viti del mondo) e lo trasforma in ROGER KISBY (GETTY IMAGES) Pillole di piacere letterario Rivka Galchen una casalinga che si sente intrappolata nella propria casa. La donna non cerca un gatto ma l’anello nuziale del marito, interrotta da un estraneo al telefono che non le chiede di parlare di ilosoia ma di cucinarle del pollo. In un certo senso, quello di Galchen è un commento critico ma rispettoso all’esasperata mascolinità di Murakami. L’autrice sa destreggiarsi con agilità sul conine che separa l’omaggio dalla venerazione. Un po’ come il naso di Kovalev nel racconto di Gogol’, i personaggi di Galchen spesso scappano via da lei. Sembrano agire senza il suo consenso e in certi casi anche senza il proprio. Vanno a cacciarsi in strani posti, abbandonando vite altrimenti felici, e interrompono continuamente la narrazione di se stessi con dubbi sulle loro azioni. Ma questo non è un difetto della prosa di Rivka Galchen. È il nutrimento speciale che somministra agli incompresi. Hillary Kelly, The New Republic Hans Magnus Enzensberger Tumulto (Einaudi) Dorit Rabinyan Borderlife Longanesi, 384 pagine, 16,90 euro ●●●●● La protagonista del nuovo romanzo di Dorit Rabinyan è Liat, una trentenne di Tel Aviv che, grazie a una borsa di studio, passa un anno a New York. Lì attraverso un amico ebreo ha l’occasione di conoscere Hilmi, un giovane pittore nato a Hebron che ha vissuto a Ramallah prima di trasferirsi a New York. La seconda intifada è scoppiata e Israele ha occupato di nuovo la Striscia di Gaza. Liat e Hilmi si innamorano. Liat tiene nascosto il suo amore agli amici israeliani di New York e alla famiglia in Israele, ma ne parla con gli amici statunitensi e rivela per telefono il suo segreto alla sorella. Mentre si avvicina l’estate, Hilmi ritorna a Ramallah per le vacanze e Liat rientra a Tel Aviv. Lui vuole a tutti costi continuare a sentirla per telefono, inché un giorno muore. La sua morte è dovuta solo in parte al fatto che è un palestinese sotto occupazione. Il modo in cui l’autrice sceglie di mettere ine alla vita di Hilmi e quindi al loro amore indica una visione sottile del retroterra politico. Liat oscilla tra una certa ignoranza della vita nei territori occupati e la capacità di controbattere agli amici e ai parenti di Hilmi. Loro vogliono “uno stato”, lei vuole “due stati per due popoli”. Hilmi vive il suo amore nel presente: è una storia d’amore delicata, ma le scelte dell’autrice non sono abbastanza audaci da sidare i tabù. Soprattutto, spicca la sua incapacità di raccontare genuinamente l’occupazione, i muri e il razzismo dei progressisti israeliani. Yitzhak Laor, Haaretz PP Wong La vita secondo Banana (Baldini & Castoldi) Christopher Moore Anime di seconda mano Elliot, 315 pagine, 17,50 euro ●●●●● “Divertitevi scrivendo”, ha detto una volta Christopher Moore. Ottimo consiglio, che l’autore stesso ha seguito ino all’iperbole. Gremito di personaggi pittoreschi e macabri che si sentirebbero a casa in un ilm di Tim Burton, Anime di seconda mano è il bizzarro e divertentissimo sequel del suo bestseller del 2006, Un lavoro sporco. È passato un anno da quando Charlie Asher risulta morto nella battaglia sotterranea che ha salvato San Francisco dalle forze maligne dell’oscurità. Ma la sua idanzata Audrey, una monaca buddista, lo ha mantenuto in vita, o qualcosa di simile. Ha usato un incantesimo per trasferire l’anima di Charlie in un corpo assemblato con diverse parti di animali e la testa di un coccodrillo. Ora le tenebre sono tornate ad addensarsi. La città è afollata dalle anime dei morti possedute da una misteriosa entità, molto grande e molto spaventosa. E le uniche persone che hanno qualche possibilità di fermarla sono, ovviamente, Charlie e la sua gang di stravaganti. Probabilmente qualcuno si sta chiedendo se si può capire il romanzo senza aver letto il precedente. In realtà è possibile che non lo si capisca neanche se si è letto quello. Ma in ogni caso ci si diverte un mondo. John Wilwol, Washington Post Saleem Haddad, Ultimo giro al Guapa Edizioni e/o, 316 pagine, 18 euro ●●●●● Il romanzo di Saleem Haddad, Ultimo giro al Guapa, racconta una storia d’amore omosessuale ambientata nel Medio Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 85 Cultura Libri Grindr. “Pochi locali, se non nessuno, si pubblicizzano apertamente come gay”, spiega l’autore. Il locale frequentato da Rasa si è ispirato a un posto realmente esistente, “ma preferisco tenerlo segreto”. Ugualmente misteriosa è l’ambientazione del libro, un paese mediorientale senza nome. Haddad voleva che la storia avesse una natura metaforica, anche per rilettere il disorientamento di Rasa mentre attraversa le varie manifestazioni della cultura gay araba. “Il lettore può avere la sensazione di passeggiare per le strade del Cairo e l’attimo dopo di bere in un bar di Beirut”. Mitchell Kuga, Next Magazine Lluís Llach Le donne della Principal Marsilio, 342 pagine, 18,50 euro ●● ●●● In un primo momento il lettore di Le donne della Principal, secondo romanzo di Lluís Llach, può credere che l’auto- re voglia raccontare la storia di tre generazioni di una famiglia che ha un’azienda vinicola nel sud della Catalogna, seguendo le tre protagoniste – nonna, madre e iglia – mentre lottano contro le avversità naturali e storiche per consolidare la loro impresa. Ma ben presto il racconto cambia asse e ci accorgiamo che le dispute per il potere, i tradimenti e le relazioni tra i diversi componenti della famiglia sono solo un espediente per sfociare nel romanzo poliziesco. Finita la guerra civile, un ispettore di polizia, lettore di Agatha Christie, si presenta nella tenuta della famiglia per riaprire il caso di un delitto irrisolto, compiuto proprio il 18 luglio 1936, il giorno in cui era scoppiata la guerra. Llach può sedurre il lettore appassionato da storie di amori diicili e piacerà agli appassionati di serie televisive, ma non è certo un libro che merita una rilettura. Ponç Puigdevall, El País Non iction Giuliano Milani La linea grigia tra guardie e ladri Francesco Benigno La mala setta. Alle origini di maia e camorra. 18591878 Einaudi, 403 pagine, 35 euro Un personaggio memorabile della Commedia umana di Balzac è Vautrin, capo di tutti i malfattori di Francia che, una volta arrestato, passa dall’altra parte diventando un pezzo grosso della polizia. Ispirato a una persona realmente esistita (Eugène-François Vidoq), Vautrin somiglia anche a certi italiani che nei primi anni successivi all’Unità si mossero 86 nel mondo intermedio tra stato e criminalità agendo come spie e informatori: uicialmente per smantellare le organizzazioni criminali, di fatto contribuendo alla loro nascita e stabilizzazione. Di loro parla questo libro che, attraverso fonti giudiziarie, giornalistiche e letterarie, restituisce la complessità della lotta alla malavita da parte dei primi governi italiani. Allora la preoccupazione principale di ministri e prefetti fu la necessità di combattere le organizzazioni rivoluzionarie Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 (come i mazziniani) e resistenti (come i papalini e i borbonici) che arginavano il processo di uniicazione. Per stornare la loro azione non esitarono a reclutare briganti e malviventi. Nel momento in cui avveniva questa nuova interazione tra custodi ed eversori dell’ordine si difuse l’idea secondo cui il crimine costituiva un mondo organizzato che doveva essere combattuto attraverso misure straordinarie. Così il modo di combattere la malavita ne inluenzò l’evoluzione. u Religioni BEN STANSALL (AFP/GETTy IMAGES) Oriente, un contesto molto lontano dai privilegi della narrativa occidentale. Nel corso di una sola giornata il protagonista Rasa lavora come interprete per un giornalista statunitense, paga la cauzione per far uscire dal carcere un amico arrestato in un locale gay e cerca di convincere il suo amante a sposarlo – tutto sotto il peso di un governo tirannico. Di volta in volta politicamente sottile o teneramente romantico, il romanzo rilette le complessità dell’essere gay e arabo nel ventunesimo secolo. Nonostante l’intolleranza religiosa difusa nella regione, Haddad, nato in Kuwait e attualmente residente a Londra, descrive la scena gay come incredibilmente variegata – grandi discoteche con musiche martellanti e droghe, feste private e intime, cofee shop discreti, luoghi per incontrarsi nei cinema, nelle saune e anche tra le antiche rovine romane. Tutto funziona grazie al passaparola e più di recente anche grazie a Jonathan Sacks Not in God’s name. Confronting religious violence Schocken Uno studio sul rapporto tra la violenza e le principali religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo e islamismo). Sacks è stato rabbino capo del Regno Unito ino al 2013. Saba Mahmood Religious diference in a secular age Princeton University Press Prendendo come esempio l’Egitto postcoloniale, Mahmood, che insegna antropologia culturale alla University of California, Berkeley, identiica nel secolarismo politico la fonte principale dei conlitti tra religioni. Donniel Hartman Putting God second Beacon Press La tesi sostenuta dal rabbino israeliano Donniel Hartman in questo suo studio è che il monoteismo contenga in sé i semi della violenza religiosa. Elizabeth Shakman Hurd Beyond religious freedom Princeton University Press Secondo Shakman Hurd, docente di scienze politiche alla Northwestern university di Chicago, gli sforzi dei paesi occidentali per promuovere il dialogo tra fedi diverse sono responsabili delle attuali divisioni tra le religioni. Maria Sepa usalibri.blogspot.com Ragazzi Ricevuti Contro tutti i muri Minna Lindgren Fuga da Villa del Lieto Tramonto Sonzogno, 320 pagine, 17,50 euro Il secondo episodio della trilogia inlandese che mescola suspense, umorismo e attualità con le avventure di due novantenni di una casa di riposo di Helsinki. Autori vari A braccia aperte. Storie di bambini migranti Mondadori, 47 pagine, 9,90 euro L’Icwa è l’associazione italiana degli scrittori per ragazzi. È stata fondata nel 2012 da un gruppo di autori che hanno deciso di mettersi insieme per afrontare una serie di piccole e grandi battaglie della categoria. Ma non pensate che sia solo una sorta di organizzazione sindacale, l’Icwa è molto di più. Sul sito uiciale dell’associazione viene subito detto che “la letteratura per bambini e ragazzi è un universo straordinario che arricchisce e caratterizza il patrimonio culturale di un paese”. A braccia aperte nasce all’interno di questa iniziativa ed è uno dei modi (non l’unico) con cui gli scrittori per ragazzi stanno contribuendo al dibattito sui migranti. Tredici di loro (Manuela Salvi, Marco Bevilacqua, Janna Cairoli, Vanna Cercenà, Fulvia Degl’Innocenti, Anna Lavatelli, Alberto Melis, Daniela Palumbo, Roberto Piumini, Angela Ragusa, Anna Sarfatti, Marco Tomatis e Loredana Frescura) hanno creato storie dove realtà e fantasia si prendono a braccetto. Spiegano di fatto che molti migranti sono solo bambini in viaggio con i loro sogni. Un libro che si schiera contro i muri di chi sta riempiendo l’Europa di ilo spinato e di odio. Un libro che attraversa pericoli, ma che alla ine sa come portare il sorriso sul volto dei piccoli protagonisti. Igiaba Scego Andrej Longo L’altra madre Adelphi, 195 pagine, 17 euro Un sabato pomeriggio in una strada del Vomero, a Napoli, le vite di Genny, sedici anni, e di Tania, quindici, s’incrociano in modo tragico. Fumetti Un bufo messia nuvola Nicolas De Crécy Il celestiale bibendum Eris, 200 pagine, 22 euro Finalmente arriva la trilogia del francese De Crécy, concepita tra il 1994 e il 2002, in un volume unico dall’ottima traduzione. La parola bibendum richiama quella di cumulonembo. E infatti questo bufo messia informe, un po’ nuvola, un po’ foca, un po’ omino Michelin e un po’ fantasma, giunto a salvare un mondo altrettanto informe, una New York incrociata a una metropoli francese, entrambe d’inizio novecento, è tutto e niente insieme. È logo industriale e mascheramarionetta (cioè le due opposizioni su cui si è mossa larga parte del fumetto popolare). Un po’ tutti i personaggi creati dall’autore del resto hanno questa connotazione, da Monsieur Fruit a Salvatore (Panini 9L), passando per Journal d’un fantôme. Il celestiale bibendum è un’opera di mistica che nasce dal putrescente e sull’infanzia dell’arte, fumetto compreso, rivisitando quintali di pittura e graica del secolo scorso, in particolare espressionista (a cominciare da Lyonel Feininger della Bauhaus che fu tra i pionieri del fumetto statunitense). De Crécy realizza un capolavoro di anticipazione, surrealista e un po’ dada, sull’attuale era di vestigia in decomposizione, dal sistema mediatico al mondo politico-inanziario. La forza (apparente) di quest’era ne cela a fatica la fatiscenza e basta un anziano ometto come Bernie Sanders per mandarlo in ibrillazione. Proprio come in quest’opera presagio. Francesco Boille Aldo Grasso e Cecilia Penati La nuova fabbrica dei sogni Il Saggiatore, 238 pagine, 20 euro Una guida completa e ragionata delle serie televisive americane. Bill Bryson Piccola grande isola Guanda, 480 pagine, 22 euro In viaggio attraverso il Regno Unito, da una cittadina marittima dell’estremo sud alla punta selvaggia e tempestosa della Scozia. Gianmaria Testa Da questa parte del mare Einaudi, 102 pagine, 12 euro Una rilessione struggente, per storie e per canzoni, sulle migrazioni umane. Iain Sinclair London orbital Il Saggiatore, 5752 pagine, 28 euro Un viaggio visionario lungo la grande tangenziale circolare che abbraccia Londra. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 87 Cultura Musica Dalla Costa d’Avorio Concerto del primo maggio Skunk Anansie, Tiromancino, Vinicio Capossela e Calexico, Marlene Kuntz, Nada, Asian Dub Foundation e altri, Roma, 1 maggio, primomaggio.net Papa Wemba muore in scena Mario Venuti Milano, 29 aprile bluenotemilano.com Buzzcocks Roncade (Tv), 29 aprile newageclub.it Pinarella di Cervia (Ra) 30 aprile, 392 259 3308 Moderat Roma, 29 aprile spazionovecento.it Troye Sivan Milano, 2 maggio alcatrazmilano.it Marc Ribot Mezzago (Mb), 2 maggio bloomnet.org È morto sul palco ad Abidjan il massimo esponente della rumba africana Papa Wemba, uno dei musici sti più noti nella storia della Repubblica Democratica del Congo, si è accasciato durante un concerto ad Abidjan ed è morto il 24 aprile 2016. La sua morte è un duro colpo per gli appassionati di musica africa na di tutto il mondo, visto che era il più grande esponente vi vente della lingala, o rumba africana. Jules Shungu Wem badio, in arte Papa Wemba, aveva 66 anni e stava suonan do al Festival des musiques ur baines di Anoumabo. Sui so AFP/GETTY IMAGES Dal vivo Papa Wemba ad Abidjan, 24 aprile 2016 cial network circolano alcuni video del momento in cui si è sentito male. I suoi ballerini hanno continuato a danzare per un po’ senza rendersi con to di quel che era successo. Il chitarrista Maika Munan, compatriota di Papa Wemba, ha detto che l’intera Repubblica Democratica del Congo è in lutto. “Prima di esibirsi era stato in ospedale, ma sembrava essersi comple tamente rimesso”, ha aggiun to Munan. Tra le sue canzoni più famose Show me the way e un duetto con Koi Olomide, Wake up. Altri suoi pezzi da ri cordare sono Bakala dia ba e Pole position. Alla ine degli anni settanta Papa Wemba aveva fondato uicialmente la Société des ambianceurs et des personnes élégantes (Sape), associazione che se guiva una corrente giovanile congolese che promuoveva una forma di dandysmo afro centrico e di buon vivere at traverso la musica e la moda. Daily Nation, Kenya Playlist Pier Andrea Canei Yann Tiersen Parma, 4 maggio teatroregioparma.it Kingston, Napoli, Minneapolis Teho Teardo e Blixa Bargeld Roma, 4 maggio quirinetta.com Paolo Baldini Boom (Wah da da deng) Gran sound system, da Pordenone a Kingston. Il passo lo fa sembrare breve, ma il pro ducer Baldini (Mellow Mood, Tre Allegri Ragazzi Morti) ha impiegato un paio di mesi per installarsi in un locale della ca pitale giamaicana con il suo carico di mixer, tastiere, mac chinari e riddim. E suonare, manipolare, far cantare i talen ti locali (come Hempress Sati va, rara donna lead vocalist), e poi produrre sul campo il suo potente nuovo album DubFiles at Song Embassy, Papine, Kingston 6. Come il mixtape di un dj del posto, autentico, stra bordante, da appassionati veri. Peter Hook Milano, 5 maggio serragliomilano.org Roma, 7 maggio whrome.com Teho Teardo e Blixa Bargeld 88 1 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Almamegretta Curre curre guagliò “Jamaica aroma” pure qui, nel pezzo del 1994 o giù di lì di Raiz & co. ripescato per il nuovo album Ennenne, in cui insieme all’überproduttore Adrian Sherwood i grandi chef del melting pot partenopeo tornano a far ribollire carne e spezie delle loro ricette miglio ri, dal dub alla sceneggiata, dall’afro sound al canto dei vi coli, da Nino d’Angelo al rap per Lucariello, dall’attrice del la nuova stagione di Gomorra al buon vecchio groove di Na poli Centrale. E to’, c’è pure Paolo Baldini (al basso) in que sto ritorno che gronda anima, ritmo, centralità napoletana. 2 Prince Forever in my life Nel capolavoro Sign o’ the times (1987) era un pezzo di soul sintetico minimalista da tre minuti, incisivo e poco ap pariscente; nel favoloso tour di quell’album diventava un neo gospel di undici minuti con Prince capobanda alla chitarra acustica. Emblema del puro talento di questo funky/sexy Mozart di Minneapolis: mai più visto nessun altro così. In crociare durante l’adolescen za, tra metà e ine anni ottanta, il suo periodo più scintillante tra dischi e concerti fu un rega lo, un’energia positiva che ri marrà associata alle cose belle della vita, per sempre. 3 Pop/rock Scelti da Luca Sofri Beyoncé Lemonade (Parkwood) precedenti lavori dell’artista e chiuda con il brano più vitale che Stott abbia mai composto: un pezzo che in qualche modo rimanda al sample di Paul Lansky in Idioteque dei Radio head o ai cori di Peder Manne felt e ricrea l’odissea synth di Bamboo houses di David Syl vian e Ryuichi Sakamoto, ma tutto in modo, come avrete in tuito, più umano. Harley Brown, Spin Beyoncé da hit parade. Rivela infatti con orgoglio le sue inluenze pre e post punk, basate su chi tarre agitate, quasi intrattabili: la title track ha una melodia rocambolesca che potrebbe essere stata composta dagli Squeeze, Berlin got blurry ri corda Elvis Costello, One man one city, con i suoi bongo e gli eccessi psichedelici, riscopre il into tonto alla James Murphy. Vale la pena di segnalare an che Two dead cops, che afronta la cultura della violenza negli Stati Uniti. Tim Jonze, The Guardian Andy Stott Too many voices (Modern Love) ●●●●● Andy Stott è sempre stato in costante, passando da schegge di breakbeat a dubstep calanti attraverso un tunnel sotterra neo e abbandonato. A partire da Luxury problems, del 2012, il produttore di Manchester po pola uno spazio post apocalittico con tutta l’umani tà che le potenti variazioni di basso possono contenere. Ba sta un ascolto del suo quarto album, Too many voices, per ca pire a cosa mira Stott. Tracce come New romantic o First night suggeriscono che Voices vuole colpirci appena sopra il plesso solare, più che sotto. Gran parte dell’album suona come se si stesse lentamente decomponendo, per quanto sia più ampio e arieggiato dei Cate Le Bon Crab day (Turnstile) ●●●●● “Il giorno del granchio è un’antica festa. Il giorno del granchio è una nuova festa. Il giorno del granchio non è af fatto una festa”. La cantautrice gallese, che ha scelto il suo no me d’arte dopo avere visto Si mon Le Bon in tv, è scherzosa e criptica sul suo nuovo album, Crab day. Al primo ascolto si viene colpiti da quel gusto per il gioco che ci si aspetta da lei: se in Mug museum (2013) aveva afrontato temi dolorosi come il lutto, Crab day ha il suono di una giornata al mare (però su una spiaggia gallese). Questa ritrovata leggerezza è evidente anche nella scelta di strumenti come lo xilofono e il sassofo no, suonati con spensieratez za. L’andamento più lieve è co munque punteggiato da ritmi nervosi che ricordano i primi Talking Heads. È un bel salto ANGEL CEBALLOS Parquet Courts Human performance (Rough Trade) ●●●●● Con il nuovo album Human performance i Parquet Courts hanno ripulito un po’ il loro sound. Questo non signiica che la band di New York abbia ambizioni mainstream, ma semplicemente che i prece denti lavori sembravano regi strati in posti che perino Daniel Johnston avrebbe dei nito acusticamente indecenti. Il loro quinto album risulta quindi più limpido, anche se sempre lontano da ambizioni DR Album Beyoncé Lemonade (Parkwood) ●●●●● Un nuovo album di Beyoncé si presenta sempre con una tavo lozza di suoni molto diversi e con schiere di collaboratori e produttori importanti, ma Lemonade spinge questa ten denza su territori ancora ine splorati. L’intervento del can tante e produttore inglese James Blake porta a inedite so luzioni di montaggio delle par ti vocali in Pray you catch me. Hold up e Sorry trovano ispira zione nei suoni caraibici ma ci arrivano per vie molto traver se. Don’t hurt yourself impiega un ringhiante Jack White e la batteria di When the levee breaks dei Led Zeppelin. L’equilibrio complesso tra im magini, messaggi, coraggio musicale e racconto autobio graico dimostra che Beyoncé, anche se è all’apice del succes so, cerca spazi per crescere an cora. Non sappiamo se la sto ria di tradimento e perdono narrata da Lemonade sia vera o no, ma sicuramente è raccon tata in modo appassionante. Craig Jenkins, Vulture Bullion Loop the loop (Deek) Cate Le Bon Pet Shop Boys Super (x2) dal garage sporco e folle di Hermits on holiday, pezzo nato l’anno scorso dalla collabora zione con Tim Presley nel pro getto Drinks. Ora Cate Le Bon si scosta un po’ dagli anni ses santa per avventurarsi nel ter ritorio del post punk dei tardi settanta. Forse per alcuni tutto questo non ha senso, ma non deve averlo per forza. In fondo è il giorno del granchio. James F. Thompson, Loud and Quiet Artisti vari Wayfaring strangers. Cosmic american music (Numero Group) ●●●●● A parte l’uso di strumenti non convenzionale per il rock – vio lino, banjo, pedal steel – la ca ratteristica che unisce i pezzi di questa raccolta di rarità country rock poco conosciute è un generale senso di malin conia. Che fossero nei dischi di Gene Clark o Gram Parsons, le botte di slide guitar e i testi introspettivi che hanno segna to tutto il rock americano tra la ine degli anni sessanta e i tar di settanta qui si inseriscono in quella scia di disillusione col lettiva seguita alla guerra del Vietnam e alla ine della rivo luzione giovanile. Tra i pezzi migliori ci sono Me lovin’ you dei Deerield, che unisce le teorie di Aleister Crowley ad armonie in stile Monkees, e Not down this low, in cui Jef Cowell dà sfogo a tutta la sua disperazione ubriaca e viscera le. Ma tutte le canzoni del di sco possiedono lo stesso eica cissimo mix di malinconici orizzonti e cupa angoscia esi stenziale che in quegli anni ca ratterizzava anche il cinema della New Hollywood, con i suoi protagonisti intenti a inse guire le ultime tracce del so gno americano. Andrew Male, Mojo Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 89 Cultura Video In rete Il lato oscuro dell’oro In fabbrica Venerdì 29 aprile, ore 22.30 Rai Storia La storia degli operai italiani dagli anni del boom ino alla marcia dei quarantamila a Torino nel 1980, raccontata da Francesca Comencini con immagini di repertorio. Togliattigrad Domenica 1 maggio, ore 19.00 Rai Storia Quattrocentomila abitanti attorno a una fabbrica di auto nel cuore della steppa: era la città simbolo dell’incontro tra due visioni opposte, da una parte la Fiat di Torino, dall’altra l’Unione Sovietica. Ziggy Stardust and the spiders from Mars Martedì 3 maggio, ore 23.15, Rai5 Il ilm concerto del 1973 di D.A. Pennebaker documenta la storica performance in cui Bowie annuncia l’ultima apparizione di Ziggy Stardust, tra la confusione e lo smarrimento della stessa band e del pubblico. Italie invisibili Giovedì 5 maggio, ore 21.40 Sky Arte Il paesaggio è protagonista in questa nuova serie di documentari su territori, strade e conini che non ci sono più, ma che sono stati nel passato luoghi straordinari per arte, cultura, storia e bellezze naturali. Michel Petrucciani. Body and soul Venerdì 6 maggio, ore 24.00 Rai5 La storia di Petrucciani, un musicista straordinario, colpito alla nascita da una malattia che non gli permise di superare il metro di altezza. Lui però lo considerava un vantaggio, che gli permise di dedicarsi completamente alla musica, tralasciando altre distrazioni. 90 Dvd Donne tra le onde L’olandese Rebecca Gomperts era ancora una giovane dottoressa inorridita dall’irrazionalità delle leggi antiabortiste in molti paesi del mondo, quando, nel 2000, ebbe un’idea. Installare un ambulatorio attrezzato a bordo di una nave che si avvicinava alle coste di paesi come Irlanda, Polonia e Portogallo, abbastanza da accoglie- re le pazienti, e poi sfuggiva a quelle giurisdizioni facendo rotta verso le acque internazionali. Nacque così Women on waves, donne sulle onde. Alle sue battaglie umanitarie, mediatiche e navali, è dedicato Vessel, un documentario di Diana Whitten, uscito in dvd negli Stati Uniti. vesseltheilm.com lasrutasdeloro.com Tutti i paesi del bacino del Rio delle Amazzoni sono esposti agli efetti dell’estrazione e del commercio illegali dell’oro, con gravi conseguenze sull’ambiente e sui diritti umani. La Peruvian society of environmental rights, insieme alla International union for conservation of nature, ha commissionato a un gruppo di giornalisti questo progetto multimediale, per denunciare la devastazione in corso nell’ecosistema amazzonico, una delle oasi di biodiversità del pianeta. Il documentario web fa parte di una campagna coordinata che ha visto la pubblicazione di reportage nei paesi coinvolti, e che per la prima volta ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sul fenomeno. Fotograia Christian Caujolle La guerra dei telefoni È risaputo che gli smartphone possono essere usati anche per telefonare o mandare messaggi. Ed è altrettanto risaputo che uno dei settori più vitali dell’economia contemporanea è quello della telefonia mobile, sia per gli operatori sia per i fabbricanti di apparecchi. È ovvio quindi che in questo settore ci siano grandi e furiose rivalità. È interessante notare come questa battaglia, più che sul terreno di ciò che ci si aspetterebbe da un telefono (durata della batteria o qualità Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 del suono), sia combattuta soprattutto sul terreno delle immagini. Dopo averci oferto risoluzione a milioni di pixel (ma quanto è utile, considerando l’uso che ne fa l’utente medio?), ora i vari marchi si affrontano sul campo dell’estetica, vera o presunta. Apple vende il suo ultimo modello di telefono mostrandoci splendide immagini scattate con quello stesso telefono. L’azienda cinese Huawei, invece, è riuscita ad associarsi con il prestigioso marchio Leica. È un marchio molto antico che, storicamente, unisce tre diverse aziende svizzere e tedesche del settore dell’ottica e da sempre attive nella produzione di microscopi, macchine fotograiche e strumenti geodetici. La nascita di questa collaborazione, tra il marketing e la tecnologia, tra il colosso cinese e la storica azienda europea la dice lunga sullo stato di questa battaglia senza quartiere. Un domani potremmo sentirci dire: “Ehi, mi passi la tua Leica che devo fare una telefonata?”. u Cultura Arte Jules de Balincourt Stumbling pioneer, Victoria Miro, Londra ino al 14 maggio All’inizio del nuovo millennio la pittura era considerata un genere eccessivamente accademico. Il pittore Jules de Balincourt ha contribuito ad abbattere questo pregiudizio. Nei suoi paesaggi urbani, spesso vedute aeree, combina il romanticismo malinconico di giovani colleghi come Peter Doig con quello di Edward Hopper. Acciufato nel 2006 dal gallerista Charles Saatchi e poi lanciato sul mercato, de Balincourt vive a New York. A diferenza dei suoi primi lavori, più politicizzati, gli ultimi dipinti sembrano avvolti in un’atmosfera tranquilla e rilessiva. Ma questi paradisi apparenti, quasi tutti californiani, raramente sono privi di risvolti problematici e inquietanti. The Telegraph Cornelia Parker, Transitional object (PsychoBarn) JuSTIN LANE (EPA/ANSA) Come Rembrandt Nei Paesi Bassi, un gruppo di scienziati, ingegneri e storici dell’arte inanziato da un’agenzia pubblicitaria ha usato programmi e tecnologie di stampa 3d per creare quello che a prima vista sembrerebbe un ritratto inedito dipinto dal giovane Rembrandt. La squadra di studiosi sembra aver fatto meglio dell’artista stesso, costruendo l’immagine con 148 milioni di pixel provenienti da 168 milioni di punti tratti dai dipinti originali. Il risultato è un misto di passione e inzione, che riproduce alcuni efetti tipici dell’arte del suo creatore. Così, procedendo a ritroso dalla inzione, si arriva alle intenzioni dell’artista (anima, intelligenza, emozioni) passando per un’altra strada, probabilmente del tutto legittima. The New Yorker Stati Uniti La casa di Psycho sul tetto del Met Cornelia Parker Transitional object (PsychoBarn), Metropolitan museum, New York, ino al 31 ottobre Il ronzio dei trapani, i colpi di martello e il bip-bip delle betoniere quasi sofocavano le indicazioni di Cornelia Parker sulla terrazza del Metropolitan. Immersa in un’inquietante atmosfera iabesca, l’artista britannica ha supervisionato il lavoro di otto macchinisti alle prese con la costruzione di PsychoBarn, la casa-ienile ispirata al celebre ilm di Alfred Hitchcock installata all’ultimo piano del museo. Alta sette metri e mezzo, rossa, in stile secondo impero francese, con una inta mansarda e un lucernario ovale, ha solo due lati initi, proprio come la casa di Psycho. La parte posteriore della costruzione, enfatizzata per smascherare la inzione, è sostenuta da impalcature di metallo ancorate a terra da grandi serbatoi neri che fanno da zavorra. Fa pensare contemporaneamente alla casa di Psycho e a un ienile rosso. Per Parker, cresciuta nella campagna inglese, il ienile è un’immagine familiare, che si aggiunge all’iconograia delle campagne statunitensi, caratterizzate dai granai rossi di tipo olandese. Il pubblico che sale sul tetto del Met vuole godersi la vista, per questo motivo Parker si è limitata ad aggiungere un elemento in più al panorama consueto. Il materiale edile proviene da un unico ediicio rurale destinato alla demolizione. Il titolo dell’opera, Transitional object, in psicologia, indica gli oggetti di transizione, per esempio gli orsacchiotti, che aiutano il bambino a staccarsi dal seno materno. The New York Times Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 93 Pop Folla a pagamento Davy Rothbart L’ DAVY ROTHBART è un giornalista e scrittore statunitense. Ha vinto un Emmy award come coautore del documentario Medora. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Il cuore è idiota (Baldini & Castoldi 2014). Questo articolo è uscito sul California Sunday Magazine con il titolo Crowd source. 94 sms dice di presentarsi all’hotel Mar- Mason, dovrà fare da guardia del corpo ai motivatori. riott dell’aeroporto di Los Angeles alle Deon è una delle stelle di Crowds on Demand, apprez11 di lunedì mattina. Ma per il sovrap- zato non solo come inta guardia del corpo, ma anche porsi del traico e del mio non essere come modaiolo sputasentenze per le inaugurazioni. E mai puntuale, inisco per scapicollar- io? Adam mi squadra pensieroso e poi decide: “Tu fai mi nell’atrio con dodici minuti di ritar- quello dei selie. Qualsiasi cosa uno debba fare per ottedo, sapendo che non è il miglior modo per far colpo il nerne uno, tu la farai. Ti voglio con la bava alla bocca”. Adam e Del ci danno un paio di testi rafazzonati da primo giorno di lavoro. Sono stato assunto da una ditta che si chiama Crowds on Demand, folla a richiesta. Se provare, dopodiché, nel giro di due minuti, cominciano vi serve una folla di persone – più o meno per qualsiasi ad arrivare i motivatori. E la stanza diventa una bolgia. scopo – Crowds on Demand fa per voi. Da oggi ne faccio Ogni volta che ne entra uno, Lloyd comincia a strillare. parte anch’io, ma i dettagli restano ancora un mistero. Michelle e Secilia implorano autograi. I paparazzi appostati lungo il cordone divisorio fanno Fa uno strano efetto andare a lavorare partire i lash, e Deon e un’altra guardia senza avere idea di cosa vogliono da me. L’albergo ospita una conferenza di del corpo cercano di tenerci tutti a bada. So solo che prenderò 15 dollari all’ora. Nell’atrio dell’albergo, Adam Ste- motivatori. Il nostro Riuscire a farsi un selie con tutti i motivatori signiica perdere ogni freno inibiwart, 24 anni, l’amministratore delegato compito è trattarli tore: devo allungarmi oltre il cordone, dell’azienda, sta dando il benvenuto a da superstar, strillare i loro nomi uno per uno, e schivaun’altra decina di nuovi assunti. È un bel comportandoci re Deon urlando. “Oddio che bello veragazzo atletico in pantaloni e camicia, e come una folla derla! La prego, una foto, solo una, per ricorda tantissimo il presidente della cascatenata favore!”. Mentre loro vanno a registrarsi, mera statunitense Paul Ryan, anche se è di fan assetati del noi dobbiamo trattarli da superstar. più giovane di almeno vent’anni. Gira in loro afetto Tra Deon e me diventa una specie di mezzo a noi con un’energia frenetica, coballetto: lui mi spinge via deciso ma bome se avesse in corpo sei tazze di cafè. Mi rimprovera bonariamente per il ritardo, ma sento nario, e solo ogni tanto – se m’impegno davvero – mi che il suo tono signiica: “Per stavolta ti va bene, purché lascia sporgere oltre il cordone per fotografarmi con il non si ripeta”. Poi ci porta al piano di sotto, in una sala motivatore che in quel momento è l’oggetto della mia inta adorazione. Passa così una mezz’oretta, poi un’alda ballo nel seminterrato, e ci dà le informazioni. Il Marriott, spiega Adam, ospita una conferenza di tra: continuiamo a rifare la stessa scena, all’ininito, con motivatori provenienti da tutto il paese. Man mano che gli stessi venti secondi che si ripetono in continuazione. arrivano per registrarsi, prendere i pass e i sacchetti di Ogni volta che qualcuno ci transita davanti, io e Deon omaggi, il nostro compito è trattarli da superstar, com- cambiamo impercettibilmente strategia, in un duello portandoci come una folla scatenata di fan assetati del acrobatico tra il mio iPhone e il palmo della sua mano. La cosa più sorprendente di tutta questa follia è che loro afetto. Scoprirò poi che questo è uno dei servizi di Crowds on Demand più richiesti. Prima che comincino anche se la situazione è completamente inta, la felicità ad arrivare le “star”, Adam e la sua coordinatrice del sul volto dei motivatori è autentica. La maggior parte personale Del Brown, una donna di quasi quarant’anni capisce che è una farsa, eppure posano per gli obiettivi, allegra ed esuberante, assegnano a ognuno di noi un ci abbracciano allegri ed elargiscono gentilmente autoruolo. Piazzano un ragazzo di South Central pieno di grai. Quanto a me, all’inizio avevo qualche riserva , ma energia, Lloyd Johnson, vicino alla porta da cui entre- si è rapidamente dissolta, e la mattinata è diventata diranno i motivatori. Il compito di Lloyd, per usare le pa- vertentissima. Sono iero di essere quello dei selie! role di Del, è “dare completamente di matto” ogni volta Guardandomi intorno, vedo che anche i miei colleghi si che entra qualcuno. Lloyd ride. “Cioè, tipo ragazzina stanno divertendo come matti. Nella vita di tutti i giorni, quando incontriamo dal vivo il nostro musicista, strafatta?”, chiede. “Esatto”, risponde Del. Due amiche di Lloyd, Michelle e Secilia, vengono scrittore o attore preferito, ci hanno insegnato a conscelte come cacciatrici di autograi. Sei o sette fotograi trollare l’entusiasmo, lasciarlo in pace. Mai avrei pensafaranno i paparazzi. Sono dei veri fotograi freelance. to che sbroccare per degli oscuri motivatori di CincinUn ragazzone in abito scuro e occhiali da sole, Deon nati o Tampa fosse così piacevole. Il luogo più asettico e Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Francesca GhermandI noioso immaginabile – una sala conferenze nel semin terrato di un albergone – si è trasformato in un surreale parco giochi dove tutti sono desiderati, tutti sono famo si, e i famosi restituiscono l’abbraccio ai fan. due ore e mezzo dopo, l’evento si conclude. mentre torno alla macchina vedo adam e del con alcuni dei inti fan, che corrono verso il lavoro successivo: la proie zione di un documentario dove devono rimpolpare il pubblico e fare domande ai registi durante il dibattito. adam mi ferma. “stamattina sei arrivato in ritardo”, osserva, “ma ho apprezzato l’impegno che hai messo nella parte. sei pronto per altri lavori?”. “ma certo!”. mi guarda compiaciuto. “Ottimo. Benvenuto a bor do. Ti arriverà presto un messaggio”. adam ha creato crowds on demand quando aveva 21 anni e studiava alla University of california di Los angeles. Lavorando come volontario per la campagna elettorale di Jerry Brown, l’attuale governatore della california, scoprì che radunare gente per i comizi può essere diicile, e cominciò a pensare che un servizio di fornitura folle potesse fare gola ai coordinatori delle campagne elettorali. Una volta creato il servizio, però, si rese conto che le sue folle venivano richieste per scopi che non aveva previsto: non solo per sostenere un candidato, ma an che per contestarlo. Per fare un comizio in un campus universitario, un candidato deve radunare cinquecento sostenitori, ma adam scoprì che bastava mandare an che solo cinque dei suoi dipendenti a protestare davan ti all’aula magna perché i mezzi d’informazione parlas sero in ugual misura del comizio e della protesta. Quello fu solo l’inizio. Poco tempo dopo, a new York lo staf di un dignitario straniero famoso ma controver Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 95 Pop so chiese ad Adam di sguinzagliare in tutta Manhattan gente armata di cartelli e bandiere in suo sostegno. Il dignitario non ne sapeva nulla: la folla doveva servire a dargli la carica prima di un discorso importante. In seguito Adam ha messo insieme il pubblico per la performance di un artista danese e ha organizzato picchetti infuocati davanti a concessionari d’automobili, studi legali e ristoranti. La sua ditta fa pensare a un ilm di Charlie Kaufman divenuto realtà. uando rivelo ad Adam che sono un giornalista incuriosito dalla sua attività, lui m’invita a cena. Adam possiede quello che gli esperti di reclutamento del football americano chiamano “un motore potente”. Parla per raiche di parole sovreccitate e precise, ascolta con grande attenzione, guida una Tesla grigio metallizzato e ogni giorno si allena due ore in palestra, macinando le sue schede di esercizi e spingendo slitte cariche di pesi. Per fondare la sua azienda, Adam ha investito i proitti degli investimenti fatti da adolescente in azioni della Southwest Airlines e di Toys “R” Us. Adesso, appena due anni dopo aver inito l’università, ha un uicio su Wilshire boulevard a Beverly Hills, due dipendenti a tempo pieno e altri part time, e sostiene che l’attività gli frutta più di un milione di dollari all’anno. Crowds on Demand, dice, serve diversi clienti alla settimana, per lo più a Los Angeles, San Francisco e New York, ma sempre più spesso anche in centri più piccoli. Quando lo cercano per un evento, Adam illustra le varie possibilità e fa un preventivo di massima: seicento dollari per dei inti paparazzi a una cena di compleanno; tremila per un lash mob di gente che balla, intona slogan e distribuisce volantini a scopo pubblicitario; diecimila per una settimana di proteste politiche; dai 25 ai 50mila per una campagna di protesta lunga. A sentire Adam, ormai la protesta è il vero settore in crescita della società e, proprio come in pubblicità, per lasciare il segno la ripetizione è fondamentale. “Quando l’obiettivo delle nostre azioni di protesta vede che noi continuiamo a tornare giorno dopo giorno, comincia davvero a farsela sotto”, spiega. “Se siamo intenzionati a rimanere, il problema non si risolverà da solo”. Quando può, Adam cerca di addestrare i dipendenti personalmente, ma il più delle volte per gestire gli eventi si aida a coordinatori locali. A Los Angeles la sua collaboratrice di punta è Del Brown, quella che ho conosciuto al Marriott. Del si è trasferita in California nel 2012 con l’idea di fare l’attrice, e in breve tempo ha ottenuto una parte in uno spot per un marchio di patatine. Ma dopo le hanno oferto solo comparsate in saggi di studenti di cinema e piccoli ilm indipendenti. Ha fatto un evento per Crowds on Demand, e Adam è rimasto così colpito che l’ha immediatamente assunta. Del è riuscita a creare una rete alla quale attingere in base alle esigenze: c’è di tutto, dalle sessanta persone per riempire una festa all’uomo alto due metri in kilt di pelle che faccia l’appassionato di cultura sadomaso alla presentazione di un libro. Molte persone Q Storie vere La polizia di Granite Shoals, in Texas, ha fatto circolare su Facebook un avviso: poiché l’eroina e la metamfetamina in circolazione nella zona erano state contaminate con l’ebola, si raccomandava a chi avesse degli stupefacenti in casa di portarli agli agenti, che li avrebbero controllati con uno strumento speciale in dotazione alla centrale di Granite Shoals. Chastity Hopkins, 29 anni, ci è cascata e ha portato alla polizia le sue scorte per essere sicura che fossero incontaminate. È stata arrestata. 96 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 che lavorano regolarmente con Del sono comparse che ha conosciuto sui set, eppure è sempre a caccia di facce nuove. Al Marriott ho conosciuto Jackie Greig, che incarna il tipo di persona di cui Del e Adam si servono più spesso. Jackie ha cinquant’anni e studia cinema al Los Angeles city college. Un suo insegnante aveva condiviso su Facebook l’annuncio di quella che Jackie pensava fosse una ripresa cinematograica dove servivano aiutanti pagati. Solo una volta arrivata al Marriott aveva scoperto che non era nulla del genere. Certo, le avevano chiesto di puntare la telecamera verso i motivatori, ma che registrasse o meno era indiferente. Jackie l’ha trovato frustrante, ma nel giro di un paio d’ore ha guadagnato 37,50 dollari, con i quali ha potuto regalare a sua iglia il biglietto per un concerto dei Foo Fighters. “Avrei comunque preferito che fossero più chiari sul tipo di lavoro”, mi dice. La vera diicoltà, dice Adam, è che tanti clienti vogliono che il nostro lavoro rimanga segreto. Quando paghi per rimpolpare il pubblico di un comizio elettorale o di una prima cinematograica, l’ultima cosa che vuoi è che si venga a sapere che quel pubblico è pagato. Adam deve mantenere un equilibrio tra l’obiettivo di far conoscere la sua azienda, in modo da attirare nuovi clienti, e i vantaggi del mantenere le persone all’oscuro. “Al momento siamo ancora una specie di arma segreta”, dice. “Possiamo giocare sull’elemento sorpresa. Cioè, si è già sentito parlare di politici che pagano per rinfoltire il pubblico dei loro comizi elettorali, ma la maggior parte delle persone non s’immagina nemmeno che queste folle si possano usare in altri modi. Certo, di qui a cinque anni la situazione potrebbe cambiare”. Dice Adam che Del ha molta libertà nel decidere chi reclutare. Lei, il più delle volte, presenta i lavori come comparsate per attori. Non è del tutto falso: far parte di una di queste folle non serve per il curriculum, ma è un po’ come recitare. E in un mondo dove tutti recitano costantemente una parte, inscenando momenti da condividere sui social network, il conine tra falso e autentico è diventato meno netto. Fare i curatori della propria immagine su Facebook non è poi tanto diverso dal ingersi fan accaniti di un motivatore. Alcuni anni fa, a Chicago, organizzai una serata per il lancio della mia rivista, Found. Per far sembrare Found più importante di quello che era, chiesi a tre amici di mettersi a vendere i biglietti d’ingresso in giro per l’isolato a prezzi da bagarini. I posti non erano esauriti, ma l’impressione che potessero inire e il fatto che fossero arrivati dei bagarini come se dovesse suonare qualche rock star, ebbe un efetto immediato. Cominciai a sentire gente che per strada chiamava gli amici dicendogli di correre lì. Dopo che la serata era decollata, i miei amici bagarini ci raggiunsero dentro. Non avevano fatto molti soldi, ma uno di loro mi indicò un tizio che aveva comprato un biglietto da lui. “È un giornalista del Chicago Tribune”, mi disse. “All’idea di non riuscire a entrare stava dando di matto”. La settimana dopo, sul Chicago Tribune, quel giornalista scrisse una recensione entusiasta di Found. Sarebbe stato così generoso in ogni caso? For- FRANCeSCA GHeRMANDI se sì, ma forse no. Per me, comunque, era chiarissimo: la folla, o più esattamente l’illusione di una folla, aveva ottenuto il suo scopo. Una folla indica che una cosa è importante, di valore. I gruppi musicali sanno bene che per far parlare di sé è meglio il tutto esaurito in un locale piccolo che una grande sala piena a metà, anche se nella seconda possono starci più persone. Quelli che rimangono per strada senza riuscire a entrare sono la pubblicità vivente di una band in ascesa. Ma lo sapete anche voi. Vedete due ristoranti giapponesi uno accanto all’altro: nel primo c’è una decina di clienti, l’altro è semivuoto. In quale dei due si mangia meglio? Non c’è bisogno di andare su TripAdvisor, basta seguire la gente, anche se magari si sbaglia. Il pubblico a noleggio ha una lunga storia. L’imperatore romano Nerone pretendeva che alle sue rappresentazioni assistessero cinquemila dei suoi soldati, e che reagissero con entusiasmo. Jean Daurat, un poeta francese del cinquecento, comprava biglietti per i suoi stessi spettacoli e li regalava a chiunque promettesse di parlarne bene. La folla compiacente e dall’applauso facile prese il nome di claque e nell’ottocento, a Parigi, cominciarono ad apparire agenzie che fornivano claqueurs a teatri di prosa e di lirica che avevano bisogno di riempire posti o inluenzare la risposta del pubblico. Così come ognuno di noi al Marriott aveva un ruolo, anche i claqueurs si specializzavano. C’erano quelli che scambiavano qualche parola con gli spettatori seduti accanto tra un atto e l’altro, sperticandosi sulle loro scene preferite; altri ridevano scompostamente nei momenti divertenti; altri ancora simulavano le lacrime durante quelli tristi; poi c’erano quelli che si limitavano a gridare “bis!” una volta inito lo spettacolo. In Italia i inti spettatori venivano usati per estorcere soldi a cantanti d’opera famosi, con la minaccia di ischiarli se non pagavano profumatamente. Solo intorno alla metà del novecento le claque cominciarono a declinare, ma in Russia, al balletto del Bolšoj, le minacce di ischi vanno ancora forte. Ma torniamo alla nostra cena, dove Adam mi sta illustrando i suoi lavori. A Dallas, una donna che fa parte di una famiglia reale europea si è rivolta a Crowds on Demand per risolvere un problema che la assillava: aveva l’impressione che la sua scorta non le mostrasse il dovuto rispetto, e addirittura non si credesse necessaria. Così Adam ha organizzato una serie di intoppi “casuali” per la donna mentre girava per la città, tipo gente qualunque che vedendola all’aeroporto o in un museo correva da lei per stringerle la mano e farsi una foto. Ha funzionato? “Alla ine della settimana”, risponde Adam sorridendo soddisfatto, “gli uomini della scorta si erano fatti un’idea diversa della sua importanza come igura di riferimento nel mondo”. A sentire lui, un ragazzo si è rivolto a Crowds on Demand per farsi aiutare durante l’udienza in cui si sarebbe discussa la sua eventuale espulsione dal college. La facoltà gli aveva permesso di portare dei testimoni presi dalla comunità universitaria. Due studenti avevano già accettato di testimoniare, e lui ha chiesto ad Adam di fornirgliene altri venti. Uno dopo l’altro, i iguranti si sono presentati come vecchi amici, compagni di classe, colleghi e datori di lavoro, e hanno letto dichiarazioni scritte dallo studente stesso che lo elogiavano molto. Alla ine la commissione non lo ha espulso. I fan dei motivatori sono una cosa, ma con i inti amici dello studente Crowds on Demand si è avventurata in un territorio più delicato. Se si fosse trattato di un’udienza in tribunale, i dipendenti di Adam si sarebbero resi tutti colpevoli di falsa testimonianza. Il fatto che fosse un’udienza scolastica, e quindi non avesse gli stessi vincoli legali, dal mio punto di vista è solo un dettaglio tecnico. Mettiamo che quello studente avesse molestato delle compagne, quindi meritasse l’espulsione . “Io i clienti li valuto uno per uno”, spiega Adam. “In quel caso mi sono convinto che il ragazzo fosse stato accusato ingiustamente. Certo, mi capita anche di lavorare per persone di cui non condivido i valori, ma ci sono limiti ben precisi che non supero”. Spesso Crowds on Demand viene contattata da gruppi che incitano all’odio, ammette Adam. “Quindi, caro Ku Klux Klan, mi dispiace ma una folla per voi non la mandiamo”. Qualche giorno dopo la cena con Adam, mi arriva un altro sms: devo presentarmi a un certo numero di California street, a San Francisco, alle cinque di giovedì pomeriggio. Come la prima volta che ho lavorato per Crowds on Demand, non ho idea di cosa dovrò fare. So solo che devo indossare giacca e cravatta. Sono di nuovo in ritardo. In cima alla salita tra California street e Taylor street, comincio a vedere una serie di coppie vestite bene che entrano in un lussuoso ediicio bianco. Intorno alle coppie si accalcano fotograi e cameraman di telegiornali, mentre un giornalista si piazza sul loro cammino bombardandoli di domande. Avvicinandomi capisco che non è un giornalista televisivo: è Adam, con un microfono da reporter. “Cosa ne pensate dell’editto della Georgia?”, grida a una coppia di settantenni che lo aggira tirando dritto Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 97 FrANCESCA GhErMANDI Pop verso l’ingresso. “No comment”, risponde l’uomo. “Siamo greci”. “No comment?”, strilla Adam, ma nel frattempo i due sono già entrati. “Sta dicendo che i greci non possono opporsi alla discriminazione?”. Quando mi vede viene a salutarmi, e di nuovo mi fa notare il ritardo. Poi m’illustra la situazione. Siamo al California memorial masonic temple, dove i massoni si stanno radunando per la loro conferenza mondiale annuale. La loggia dello stato della Georgia ha da poco approvato uno statuto – noto come “editto della Georgia” – in cui si proibisce l’omosessualità agli iscritti. Il nostro compito? Fingerci giornalisti televisivi e afrontare i massoni che arrivano per il galà di apertura, costringendoli a prendere posizione. “Guarda quello che faccio ”, mi dice Adam, “e capirai tutto”. Con una troupe di varie persone al seguito, Adam intercetta i massoni e li subissa di domande, mentre quelli tentano di schivarlo e proseguire. La maggior parte non risponde, ma ogni tanto una coppia si ferma a parlare. “È una questione che riguarda i diritti del singolo stato”, gli dice un gentile signore della Florida dai capelli grigi. “Mi chiede se sono d’accordo con quel che hanno fatto in Georgia? Per carità. Ma una delle regole di noi massoni è che non bisogna interferire con l’attività delle altre logge”. Adam gli si avvicina un po’ di più e alza la voce. “Ma se non è d’accordo, non ha il dovere di prendere posizione e dirlo?”. Il signore fa spallucce. “Io non sono un maestro di loggia”. Lì Adam perde le stafe. O meglio, osservandolo attentamente capisco che recita il ruolo di chi perde le stafe. “Ma è una vergogna!”, esclama. “Senta, io frequento la palestra Equinox di Santa Monica. Ma se la Equinox di Boston decidesse di vietare l’ingresso ai gay, porca miseria, le garantisco che farei qualcosa!”. Si avvicinano rapidi due poliziotti, un uomo corpulento e una donna con i capelli a spazzola. L’uomo dice: 98 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 “Senta, voi potete tranquillamente fare il vostro lavoro, ne avete il diritto. Ma niente parolacce! Qui ci sono anche dei bambini”. Adam di parolacce vere e proprie non ne ha usate, e qui di bambini non se ne vedono. Ma per un attimo rimane senza parole, e il massone della Florida ha il tempo di svignarsela su per i gradini del tempio. Adam si gira verso di me. “Ok”, mi dice. “Più o meno hai capito?”. A dire il vero no, ma Adam mi nomina immediatamente suo vice passandomi il microfono. Mi assegna anche un gruppetto che deve stazionare vicino a me: sono in tutto sei persone, tra i venti e i sessant’anni. Abbiamo due fotograi, due cameraman, una tecnica del suono con tanto di girafa per il microfono e una ragazza che punta qua e là il rilettore più abbagliante che abbia visto in vita mia. Più che una vera troupe televisiva, sembriamo studenti di una scuola di cinema. Ma i massoni venuti a San Francisco dall’Arkansas, dall’Oregon, dal Portogallo e dall’Uganda forse non se ne accorgeranno. A radunare qui la mia inta troupe è stato un annuncio pubblicato da Adam su Craigslist all’inizio della settimana: “Cerchiamo cineoperatori amanti dell’avventura” e pochi altri dettagli. La ragazza che manovra il microfono sulla girafa si chiama Emily Ivker. È una neolaureata di Wayland, nel Massachusetts, arrivata a San Francisco la settimana scorsa inseguendo il sogno di diventare una blogger di viaggi. “Venti dollari all’ora”, mi dice. “Impossibile non accettare” (la paga di Crowds on Demand varia a seconda del tipo di lavoro e del costo della vita locale: dai 10 dollari all’ora di New Orleans al doppio nella California settentrionale). Nell’ultima mezz’ora, il gruppo ha fatto del suo meglio per improvvisare. Adesso mi si stringono tutti intorno aspettando che attacchi con la mia imitazione di Adam. Davanti all’ediicio continuano a silare taxi che scaricano massoni, ma non riesco a partire subito all’attacco, perché non ho alcuna dimestichezza con l’argomento. Di massoneria so poco o nulla: i massoni non sono quelli della piramide con l’occhio gigante dietro le banconote da un dollaro? C’entrano qualcosa con gli illuminati? Non era un massone anche Tupac Shakur? Ecco, iguriamoci cosa ne so degli editti della Georgia. Adam, che nel frattempo si è messo a lavorare con la sua troupe poco distante, vedendomi in diicoltà si avvicina di nuovo. “Allora”, dice, “l’obiettivo è innanzitutto informarli”. Alcuni di questi massoni, mi spiega, non sanno nemmeno che l’editto della Georgia esiste. Con quelli che invece lo sanno e sono contrari, l’obiettivo è spingerli a fare qualcosa, nel modo che riteniamo più giusto . “E nessun modo è sbagliato”, mi rassicura. È carino a dirlo, ma nel corso dei successivi tre quarti d’ora riuscirò a smentirlo clamorosamente. Il galà è già cominciato, e adesso i massoni hanno fretta di entrare. Quando gli strillo le mie domande sull’editto della Georgia, mi guardano come guarderebbero un pazzo per strada che inveisce contro gli alieni. Altri mi puntano un dito addosso minacciosi, mi danno un bufetto sulla spalla o addirittura mi spingono via. Tanti vengo- no dall’Europa, dal Sudamerica e dall’Africa e non parlano benissimo l’inglese, o almeno così dicono. Avviare una conversazione nei pochi secondi che impiegano ad attraversare il marciapiede è quasi impossibile. Allora decido di tentare una tattica diversa, e anziché aggredirli appena scendono dal taxi li accolgo calorosamente. Cambia tutto. Non allungano più il passo per entrare, si fermano a parlare con me. Mi presento, gli stringo la mano, chiedo come si chiamano e da dove vengono. Rimangono comunque un po’ spiazzati dalle telecamere e dalle luci, ma adesso ho la sensazione che mi credano legato alla massoneria, e che io sia stato messo lì per dargli il benvenuto. Così passo subito alla domanda: cosa pensano dell’editto della Georgia? Alcuni si dichiarano contrari, aggiungendo però di non poterci fare nulla. “Non pensa che una discriminazione così grave rischi di diventare una macchia per tutta la fratellanza?”, chiedo a una coppia di francesi. “La gente potrebbe pensare che i massoni sono tutti omofobi”. “Sì, è possibile”, ammette l’uomo. Riciclo una domanda di Adam: “Perché non chiedete alla massoneria di non riconoscere più la loggia della Georgia?”. “Non è così semplice”, mi risponde. “Ora dobbiamo andare”. È un lavoro siancante, e trascorsa un’altra ora io e Adam facciamo una breve pausa. Il cliente di oggi, mi dice, è una persona molto nota di cui non può rivelare l’identità. In seguito, però, con questo cliente ho uno scambio di mail. Dice di essere un iscritto di vecchia data della massoneria della Bay Area, inorridito non solo dalla discriminazione della loggia della Georgia contro i gay, ma anche da altri esempi di quelle che lui considera discriminazioni contro i neri, gli ebrei e le donne avvenuti in logge di tutto il mondo. Lui e un gruppo di massoni sono convinti che questo genere di intolleranza sia una minaccia per la fratellanza, quindi non potevano tollerare che i massoni di tutto il mondo si ri- trovassero a San Francisco semplicemente per far festa. Così si sono rivolti ad Adam perché le discriminazioni all’interno della massoneria diventassero un argomento inevitabile. “Rovinategli la vacanza”, gli ha ordinato il cliente. “Voglio che ne parlino tutti”. Adam avrebbe potuto inscenare una protesta più tradizionale, ma quella di creare inte troupe televisive è stata una scelta azzeccata. “È più facile ignorare un picchetto che la troupe di un telegiornale”, dice Adam. Si gira verso il tempio massonico. Nell’atrio, i massoni fanno tintinnare i bicchieri e brindano con vino e champagne. “Guarda”, prosegue, “qui fuori siamo in quindici e lì dentro un migliaio, eppure stasera l’argomento di conversazione l’abbiamo imposto noi”. Mentre facciamo una pausa, Emily Ivker, quella della girafa, si fa dare il mio microfono per indossare i panni della giornalista televisiva a caccia della verità. Altri la riprendono e fanno domande a loro volta. Mentre io e Adam parliamo, quelle persone, che erano lì solo per fare un po’ di soldi rispondendo a un annuncio, si sono trasformate in un gruppo di ferventi attivisti. La fantasia è diventata realtà. Di lì a un’ora, il galà si avvia a concludersi e i massoni cominciano a uscire. Adesso molti di loro hanno voglia di parlare. Forse è perché hanno più tempo o forse perché nel frattempo hanno avuto modo di rilettere. Un ragazzo brasiliano con cui avevo scambiato due chiacchiere mentre entrava mi prende da parte. “Quello stupido divieto”, esordisce. “Dentro ne stavano parlando tutti. Lo hanno aggiunto agli argomenti da discutere nel ine settimana”. Si avvicina la mia troupe, il rilettore si accende sfrigolando, ma anziché allontanarsi, il brasiliano sembra rinascere. Si avvicina al mio microfono, sceglie una telecamera e guarda dritto nell’obiettivo. “La loggia della Georgia non ci rappresenta”, sentenzia solenne, come se la sua immagine fosse trasmessa in diretta a Times square. “Noi siamo massoni. Accogliamo tutti”. u mc Scuole Tullio De Mauro Cambiare università negli Stati Uniti Michele è un corrispondente segreto di questa rubrichetta. È “il nostro agente all’Avana” che, quando i pesanti impegni di studio lo permettono, manda qualche rilessione concreta e preziosa sulla sua esperienza di ragazzo italiano che ha deciso di studiare negli Stati Uniti. Nelle settimane passate Michele è stato assorbito dalla preparazione di una, anzi di più d’una essay (Michele usa il femminile nel parlarne): un breve resoconto dei suoi studi e, soprattutto, una presentazione credibi- le dei motivi per cui da una università, dove si trova bene, vuole passare in un’altra. Negli Stati Uniti a chi si accinge a un passo del genere viene richiesto questo “pezzo di carta” che è preso molto sul serio da chi lo scrive e da chi deve valutare la richiesta. Tanto la cosa è impegnativa che esistono siti in cui si comprano modelli di essay. E questa specie di uomini di burro telematici promettono ai pinocchi statunitensi paper writing in a few steps. Non solo a Napoli, ma anche nel- le commissioni statunitensi che esaminano le domande nisciuno è fesso: le domande lioilizzate, non personali, le riconoscono a prima vista. Il fatto è che viene sentita come una cosa molto seria da chi insegna e da chi studia aggregarsi a una università, ai suoi speciici modi di vita che tendono a investire il processo di formazione e crescita di allieve e allievi in una maniera più ampia, attenta e forse profonda che da noi, nella vecchia Europa continentale. u Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 99 wALTER CRANE (CA. 1901) ThE ELIShA whITTELSEy COLLECTION/MET MUSEUM Scienza Favole di seimila anni fa Sid Perkins, Science, Stati Uniti Prendendo in prestito i metodi usati dai biologi per ricostruire l’evoluzione delle specie, un gruppo di ricercatori è risalito alle origini delle iabe più difuse in occidente uando si pensa alle origini delle favole occidentali vengono subito in mente i fratelli Grimm, vissuti nell’ottocento. Anche se in pochi pensano che furono davvero scritte da loro, forse gli studiosi non hanno mai realizzato quanto fossero antiche molte di queste iabe. Secondo una nuova ricerca, che le tratta come una specie in evoluzione, alcune potrebbero risalire a seimila anni fa. Lo studio, pubblicato sulla Royal Society Open Science, parte dall’immenso Indice Aarne-Thompson-Uther, un catalogo online compilato nel 2004 con più di duemila storie provenienti da diverse culture indoeuropee. Anche se non c’è accordo su alcuni aspetti, per la maggior parte degli esperti tutte le moderne culture indoeuropee (che comprendono l’Europa e buona parte dell’Asia) discendono dalla società protoin- Q doeuropea dell’Europa dell’est che risale al neolitico (tra il 10.200 e il 2000 avanti Cristo). Si pensa che moltissime lingue moderne abbiano avuto origine lì. Con queste premesse, l’antropologo Jamshid Tehrani e i colleghi della Durham university, nel Regno Unito, hanno esaminato l’indice limitando l’analisi alle favole con riferimenti alla magia e a elementi soprannaturali, una categoria che include quasi tutte quelle più conosciute. Il campione si è così ridotto a 275 storie, tra cui classici come Hänsel e Gretel e La bella e la bestia. L’albero delle lingue Seguire queste favole a ritroso nel tempo, però, non è un’impresa facile. La documentazione storica scarseggia e molte iabe sono nate come racconti orali. I ricercatori hanno quindi usato metodi statistici simili a quelli impiegati dai biologi per risalire alla genealogia delle specie lungo le ramiicazioni dell’evoluzione, basate sulle moderne sequenze del dna. Ecco come funziona: le favole si trasmettono tramite il linguaggio e visto che i rami dell’albero delle lingue indoeuropee sono ben deiniti, gli scienziati hanno potuto risalire la storia di una favola lungo l’albe- ro a ritroso nel tempo. Se per esempio sia le lingue slave sia quelle celtiche avevano la loro versione di Giacomino e il fagiolo magico (così ha rivelato l’analisi), si potrebbe risalire “all’ultimo antenato comune” della favola, ovvero i protoindoeuropei occidentali da cui le due linee di discendenza si separarono almeno 6.800 anni fa. La biologia evolutiva reputa che due specie discendono da un antenato comune se i loro geni contengono la stessa mutazione assente in altri animali moderni. Ma a diferenza dei geni, che si trasmettono quasi solo in “verticale”, cioè dai genitori ai igli, le favole si possono difondere anche in orizzontale, quando una cultura si mescola a un’altra. Quindi lo studio si è concentrato sull’individuazione e sull’esclusione di quelle che sembravano essersi difuse in senso orizzontale. Una volta fatta la potatura, l’équipe è rimasta con 76 iabe. Il metodo ha permesso ai ricercatori di collegarne alcune alla società protoindoeuropea vissuta migliaia di anni fa, come Il fabbro e il diavolo, una storia che racconta del patto stretto da un fabbro con il diavolo in cambio di un talento insuperato nel suo lavoro. Se l’analisi è corretta, le favole più antiche ancora in circolazione risalgono a un’epoca compresa tra i 2.500 e i 6.000 anni fa. Altre sembrano molto più recenti e appaiono per la prima volta in rami moderni dell’albero delle lingue. Gli autori hanno svolto “il lavoro migliore possibile” con i dati a disposizione, commenta il biologo evoluzionista Mark Pagel dell’università di Reading, nel Regno Unito. In un articolo pubblicato questo mese su Current Biology, Pagel rilette su cosa abbia permesso alle favole di sopravvivere nel tempo. “Perché favole, arte, canzoni, poesie sono così longeve?”. Secondo Tehrani le iabe più note potrebbero aver resistito perché, pur contenendo elementi tipici della dissonanza cognitiva (creature fantastiche o magia), sono semplici da comprendere. Nella Bella e la bestia c’è un uomo trasformato in mostro, ma la storia parla anche della famiglia e dell’amore, e del fatto che non bisogna giudicare dalle apparenze. Se la fantasia contraddistingue queste favole, gli elementi ordinari le rendono facili da capire e ricordare. Il segreto della loro longevità, dice Tehrani, potrebbe essere la fusione dell’insolito con il non troppo insolito. “Ma questo va veriicato”, aggiunge. “Ed è la prossima fase della nostra ricerca”. u sdf Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 101 Scienza il cuore delle donne I problemi di cuore a volte sono più pericolosi per le donne che per gli uomini. A questa diferenza potrebbero concorrere, oltre alla biologia, anche le faccende domestiche e la cura dei igli. Colleen Norris e le sue colleghe dell’università dell’Alberta, in Canada, hanno raccolto i dati clinici e anagraici di un migliaio di donne e di uomini con sindrome coronarica, che include diverse malattie cardiache tra cui l’infarto e l’angina pectoris. A distanza di un anno dalla diagnosi le donne stavano peggio degli uomini. Esaminando una trentina di fattori sociali, scrive New Scientist, è emerso che se la cavavano meno bene le persone con un basso reddito e quelle che con il maggior carico di lavoro in famiglia, cioè le donne. Si stima che in Canada le donne dedichino in media 14 ore a settimane ai lavori domestici, contro le otto degli uomini. Inoltre spesso le donne sottoposte a un intervento di bypass tornano subito a occuparsi della casa e delle altre persone, mentre gli uomini di solito hanno qualcuno che si occupa della loro convalescenza. Salute vulnerabili all’inluenza Science, Stati Uniti La vulnerabilità delle persone anziane all’inluenza potrebbe dipendere più dalla risposta immunitaria dell’organismo che dal virus stesso. ogni anno l’inluenza colpisce milioni di persone nel mondo e si stima che ne uccida ino a mezzo milione. Il 90 per cento delle morti si registra tra chi ha più di 65 anni. Il decesso è in genere causato dalla polmonite che segue all’inluenza vera e propria. un nuovo studio, condotto su cellule umane e sui topi, cerca di spiegare perché negli anziani i batteri riescono ad attaccare più facilmente i polmoni. La minore capacità di combattere il virus inluenzale dipenderebbe da una produzione insuiciente di interferone, una proteina con proprietà antivirali. La proliferazione del virus porterebbe a un’eccessiva attivazione dei neutroili, i globuli bianchi che combattono le infezioni. Di conseguenza, i neutroili, oltre a combattere il virus, potrebbero danneggiare il tessuto dei polmoni, rendendolo più vulnerabile all’attacco batterico. Secondo i ricercatori, si potrebbe pensare a dei trattamenti contro l’inluenza in cui venga ridotta l’azione di questi globuli bianchi. u neuroscienze 102 MARk MAkELA (REutERS/CoNtRASto) Durante i lavori per l’ingrandimento del canale di Panamá sono stati trovati dei fossili di scimmia risalenti a 21 milioni di anni fa. È quindi possibile che le scimmie fossero presenti in America Centrale prima della formazione dell’istmo di Panamá, avvenuta circa 3,5 milioni di anni fa. Secondo Nature, la difusione delle scimmie in Nordamerica è stata ostacolata dalla mancanza di foreste adatte, non dalle barriere geograiche. in breve Ecologia È stata trovata tra il Brasile e la Guiana Francese, alla foce del Rio delle Amazzoni, una barriera corallina. La scogliera si trova in acque molto torbide (nella foto) a causa dei detriti portati dal iume, scrive Science Advances. L’habitat ha livelli di salinità variabili ed è popolato soprattutto da spugne. Etologia I babbuini che hanno un’infanzia diicile muoiono precocemente, circa dieci anni prima dei loro simili, scrive Nature Communications. Alcune possibili avversità sono la morte della madre, la siccità, la nascita ravvicinata di un fratello. Poiché i babbuini, al contrario delle persone, non possono modiicare il loro stile di vita, questo tipo di studi aiuta a chiarire il rapporto tra le condizioni di vita nell’infanzia e la sopravvivenza. genetica Paleontologia Scimmie americane tANyA youNG Salute il sonno disturbato dalla novità Quando si dorme in un ambiente sconosciuto, spesso il giorno dopo ci si sveglia poco riposati. Il fenomeno potrebbe essere dovuto a una asimmetria del cervello, che in alcune circostanze dormirebbe in modo profondo solo con l’emisfero destro, mentre il sinistro rimarrebbe parzialmente sveglio, pronto a reagire ai rumori sospetti. Secondo Current Biology, l’asimmetria potrebbe aiutare la sopravvivenza, infatti è presente anche in altri animali, come i delini. u Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Medicina di precisione La casa farmaceutica Astra Zeneca ha irmato un accordo con la Human Longevity, la startup fondata da Craig Venter, il biologo che per primo ha sequenziato il genoma umano. L’obiettivo è raccogliere nei prossimi dieci anni le sequenza del dna e i dati clinici di oltre due milioni di persone, tra cui i 500mila pazienti che hanno partecipato agli studi clinici dell’azienda negli ultimi 15 anni. L’analisi incrociata dei dati permetterà di delineare il proilo di ogni paziente e di studiare cure personalizzate. Al progetto partecipano anche il Wellcome trust Sanger institute di Cambridge e l’istituto di medicina molecolare di Helsinki. Il diario della Terra Ethical living Vacanze sostenibili D. SIDDIQUI (REUTERS/CONTRASTO) sono morte travolte da una frana nell’Arunachal Pradesh, nel nordest dell’India. Pesci Migliaia di pesci sono stati ritrovati morti sulle spiagge del Vietnam centrale. A ucciderli potrebbero essere state le acque di scarico di una fabbrica d’acciaio del gruppo taiwanese Formosa. Latur, India Siccità Il governo indiano ha annunciato che 330 milioni di persone, circa un quarto della popolazione, sono minacciate dalla siccità che ha colpito dieci stati del paese. Alluvioni Le alluvioni causate dalle forti piogge che hanno colpito la provincia di Entre Ríos, in Argentina, hanno costretto dodicimila persone a lasciare le loro case. Cicloni Il ciclone Amos ha siorato il territorio di Wallis e Futuna, nell’oceano Paciico. Frane Quindici persone 104 MIkE SEGAR (REUTERS/CONTRASTO) Terremoti Un sisma di magnitudo 6,9 sulla scala Richter è stato registrato al largo di Barbados, nelle Piccole Antille. Non ci sono state vittime. Scosse più lievi sono state registrate nel centro del Cile e in Israele. u Il bilancio del terremoto in Ecuador è salito a 655 morti e 17mila feriti. Vegetazione Buona parte del pianeta è più verde. I dati satellitari raccolti tra il 1982 e il 2009 mostrano che la stagione vegetativa si è allungata nel 25-50 per cento del territorio coperto da vegetazione, mentre si è ridotta nel 4 per cento del territorio. Secondo Nature Climate Change, l’effetto sarebbe dovuto all’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, provocato dai combustibili fossili. Le altre cause sarebbero l’aumento della disponibilità di azoto, il cambiamento climatico e il diverso uso dei terreni. Clima Il 22 aprile più di 170 delegazioni hanno irmato all’Onu (nella foto), a New York, l’accordo sul clima stipulato a Parigi nel dicembre 2015. Ogni paese dovrà poi ratiicare il patto. Una decina di piccoli stati molto vulnerabili al riscaldamento globale, come le Maldive e Samoa, lo ha già ratiicato. L’accordo entrerà in vigore solo dopo l’approvazione di almeno 55 paesi che rappresentano il 55 per cento delle emissioni globali di gas serra. Gli Stati Uniti hanno annunciato che lo ratiicheranno entro l’anno, la Cina entro settembre. L’Unione europea potrebbe rimanere indietro perché ognuno dei suoi 28 stati dovrà prima completare la procedura in casa. Resta il fatto che gli impegni presi non sono ancora suicienti a garantire un aumento massimo della temperatura entro due gradi rispetto ai livelli preindustriali. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 u Le vacanze si avvicinano e cominciamo a fare progetti. Se vogliamo proteggere il pianeta è meglio rinunciare alle mete lontane, scrive il New York Times. L’ideale per l’ambiente sarebbe restare dietro casa. La seconda migliore opzione è visitare una località vicina e scoprire le opportunità che la regione dove si abita offre. Chi vuole proprio conoscere il mondo può almeno fare in modo di ricompensare un paese, una località o un’amministrazione sensibile alle tematiche ambientali. Per l’Africa, il quotidiano consiglia la Namibia, per l’America Latina la Costarica. Si può partecipare a un campo di lavoro dedicato a qualche tematica ambientale. Oppure ci sono viaggi che offrono la possibilità di lavorare con gli scienziati. L’università di Miami, per esempio, organizza attività per la protezione di squali e coralli. In genere, chi gestisce questo tipo di soggiorni è molto attento agli aspetti ambientali. In realtà, l’inquinamento prodotto da un viaggio di piacere non è dovuto tanto al soggiorno, quanto al viaggio vero e proprio. L’aereo è il mezzo più inquinante, anche se la classe economica, con più persone in meno spazio, è un po’ più ecologica e così i voli diretti. Le auto sono più eicienti degli aerei, soprattutto sulle medie distanze, se si guida a velocità moderata e tutti i posti sono occupati. Gli autobus sono spesso la scelta migliore. I treni diesel sono più eicienti degli aerei e, se sono pieni, anche delle auto. I treni elettrici, come quelli europei, sono quasi sempre meglio delle auto. Il pianeta visto dallo spazio CopErNICuS SENtINEL DAtA (2016), proCESSED By ESA Il Dasht-e Kavir in Iran Nord 10 km u Il Dasht-e Kavir è un grande deserto salato dell’altopiano iranico, che si estende per ottocento chilometri tra i monti Elburz a nordovest e il deserto Dasht-e Lut a sudest. Con temperature che in estate arrivano a 50 gradi, l’escursione termica tra il giorno e la notte può essere di decine di gradi. Nella zona ci sono poche precipitazioni, ma le acque di delusso dei monti circostanti creano laghi e paludi stagionali. A causa dell’evaporazione, il terreno è argilloso e sabbioso e contiene un’alta concentrazione di minerali. I motivi che ricordano le pennellate di un dipinto astratto sono gli strati geologici erosi soprattutto dal vento. Lungo il lato sinistro dell’immagine si vede una parte delle “dune del diavolo”, chiamate così perché si credeva fossero infestate da spiriti maligni. La credenza è nata probabilmente a causa delle condizioni ostili del luogo. L’immagine è il risultato della fusione di tre scansioni radar fatte dal satellite Sentinel1A il 21 gennaio, il 14 febbraio e il 9 marzo 2016. I colori brillanti, come gli azzurri, i rossi e i verdi presenti soprattutto nella Grazie al radar con cui sono equipaggiati, il satellite Sentinel-1A e il suo gemello appena lanciato Sentinel1B possono osservare la Terra anche di notte e attraverso le nuvole. u metà di sinistra, indicano che si sono veriicati dei cambiamenti tra uno scatto e l’altro. Queste zone sono laghi salati e i colori mostrano le oscillazioni del volume dell’acqua presente di volta in volta. Dopo alcuni tentativi falliti a causa del cattivo tempo e di problemi tecnici, il 25 aprile è stato lanciato il satellite Sentinel 1B, la nuova sentinella del pianeta che fa parte del programma Copernicus dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Il lancio è avvenuto dalla base di Kourou, nella Guyana Francese, con un razzo Soyuz.–Esa Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 105 Economia e lavoro Schäuble scomunica Draghi Mark Schieritz, Die Zeit, Germania olfgang Schäuble e Mario Draghi non avrebbero potuto scegliere un luogo più simbolico per il loro incontro sulla crisi. Il 15 aprile il ministro delle inanze tedesco e il presidente della Banca centrale europea (Bce) hanno parlato per più di due ore in un ristorante di Washington, il 1789, l’anno in cui migliaia di parigini marciarono verso la Bastiglia dando inizio alla rivoluzione francese. Quella che si prepara ora non è certo una rivoluzione, ma gli somiglia. Per afrontare la crisi del debito nell’eurozona, Schäuble e Draghi avevano stretto un patto: il presidente della Bce avrebbe concordato i suoi piani con il governo tedesco, e in cambio Berlino avrebbe smesso di criticare le politiche monetarie dell’istituto. Non era un accordo scritto né c’è mai stata una comunicazione uiciale, anche perché gli accordi tra governi eletti e organi indipendenti come le banche centrali non sono la norma in Europa. Eppure persone bene informate confermano che il patto esiste. Ora, però, ai vertici della Bce molti si chiedono se l’incontro di Washington sia l’inizio della ine dell’insolita alleanza. Il più potente ministro delle inanze e il più potente banchiere d’Europa non sono in cattivi rapporti personali. Draghi ammira il costante impegno di Schäuble per un’Europa unita, Schäuble sa quant’è diicile per la Bce issare un tasso d’interesse unico per l’intera eurozona, dove ci sono paesi, come la Germania e la Grecia, in situazioni finanziarie molto diverse. Ma Schäuble è anche convinto che Draghi si sia spinto oltre il dovuto. Da navigato uomo politico sa che i bassi tassi d’interesse possono far perdere consensi in politica, perché mettono a rischio le pensioni dei risparmiatori. In vista delle elezioni del prossimo anno, il partito di Schäuble, la KAI PFAFFENBACh (REUtERS/CONtRAStO) Il ministro della inanze tedesco crede che i tassi vicini allo zero danneggino i risparmiatori e chiede alla Bce di cambiare rotta W 106 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Francoforte sul Meno, Germania. Il presidente della Bce Mario Draghi Cdu, invoca già un “cambio di rotta” e vuole che il successore di Draghi sia un tedesco. In questo caso le rivendicazioni della Cdu vanno incontro all’opinione di molti tedeschi e anche a quella di banche e assicurazioni, che sofrono dei bassi tassi d’interesse e hanno già avviato una campagna per il loro innalzamento. È su questo sfondo che Schäuble ha dichiarato, suscitando accese reazioni, che la Bce è responsabile del successo politico del partito euroscettico Alternative für Deutschland (Afd). Finora Draghi è stato un utile alleato del governo tedesco. Nel 2012 ha contribuito a calmare i mercati inanziari dichiarando che avrebbe difeso l’euro a ogni costo. In questo modo Berlino ha evitato delle misure impopolari per la stabilizzazione dell’unione monetaria, come una politica inanziaria unitaria a livello europeo. Non a caso la cancelliera Angela Merkel aveva pubblicamente garantito la sua protezione a Mario Draghi, e lo stesso Schäuble aveva difeso la Bce quando dei cittadini tedeschi avevano sottoposto alcune sue misure al vaglio della corte costituzionale. Ma la fase acuta della crisi è passata da tempo. A parte la Grecia, i paesi indebitati dell’eurozona non dipendono più dagli aiuti dei loro alleati. E a diferenza di due o tre anni fa, ora la Germania potrebbe vivere bene anche con tassi alti. Gli interessi in gioco sono cambiati, e lo spirito di solidarietà è messo alla prova dalla crisi dei profughi. Riforme strutturali Non si tratta però solo di tattica politica. Schäuble crede che con il costo del denaro così basso possano scoppiare altre bolle inanziarie e venga meno lo stimolo alle riforme. Per questo invoca un’inversione della politica dei bassi tassi d’interesse, ispirata all’esperienza degli Stati Uniti. Schäuble vuole che si ponga l’accento sulle riforme strutturali, come l’introduzione di maggiore lessibilità sul mercato del lavoro. I suoi collaboratori sottolineano soddisfatti che nel G20 la posizione della Germania è condivisa da paesi come la Russia e la Cina. In Europa Schäuble vuole sfruttare questo sostegno e vincolare l’erogazione dei fondi europei all’applicazione delle cosiddette “raccomandazioni speciiche” per i paesi, cioè le misure suggerite dalla Commissione europea per raforzare le economie, che inora di fatto nessuno ha preso sul serio. Draghi potrebbe essere d’accordo. Anche per il presidente della Bce le riforme strutturali sono importanti, ma ritiene che il suo compito sia provvedere alla crescita economica e far risalire il tasso d’inlazione al 2 per cento, il valore issato come obiettivo dall’istituto. Per Draghi, inoltre, le banche centrali non sono andate troppo in là, hanno ancora ampi margini di manovra. Ha iducia nella legge economica su cui le banche centrali di tutto il mondo basano le loro politiche, quella che lui stesso ha imparato al Massachusetts institute of technology (Mit): le riduzioni dei tassi d’interesse generano crescita. Anche quando gli interessi sono negativi e i cittadini non sono d’accordo. Se l’economia non si riprende, Draghi insisterà: la Bce potrebbe comprare ancora più titoli di stato per mettere altro denaro in circolazione. Alcuni governatori delle banche centrali stanno già preparando l’infrazione del prossimo tabù: vogliono che gli acquisti della Bce, il cosiddetto quantitative easing, siano estesi alle azioni, in modo da dare un sostegno diretto alle borse. Finora nessuno ha osato lanciare quest’idea, ma le cose potrebbero cambiare. Schäuble sa che non ha strumenti giuridici per fermare Draghi. I suoi predecessori hanno semplicemente fatto in modo che la Bce agisse liberamente sul modello della Bundesbank, la banca centrale tedesca. Ma anche Draghi non può limitarsi a ignorare gli umori della Germania, dato che è la maggiore economia dell’eurozona. Per questo ha cercato il contatto con Berlino, e per lo stesso motivo le dichiarazioni di Schäuble fanno preoccupare la Bce. Queste polemiche sono raforzate dal fatto che diverse banche centrali temono l’arrivo di nuovi problemi sui mercati inanziari. La Spagna non ha raggiunto i suoi obiettivi di risanamento del debito, la Grecia è ai ferri corti con i creditori per l’erogazione della nuova tranche di aiuti, il debito pubblico del Portogallo potrebbe essere declassato, costringendo la Bce a non comprare più titoli di stato di Lisbona. Lo scenario più nero è quello che vede i britannici votare a favore della Brexit, l’uscita dall’Unione europea, precipitando Bruxelles in una crisi esistenziale che potrebbe mettere in discussione di nuovo la moneta unica. A quel punto gli investitori andrebbero nel panico e fuggirebbero. Tornerebbero la crisi acuta e le richieste d’aiuto alla Bce. Questa volta Schäuble riiuterebbe ogni appoggio ai paesi in diicoltà. E Merkel? u nv L’opinione Un tentativo inaccettabile Financial Times, Regno Unito ell’ultimo mese Mario Draghi è stato spesso attaccato dai politici tedeschi. Da sempre ostili alle politiche monetarie espansive, criticano le misure di stimolo decise dal presidente della Banca centrale europea (Bce), in particolare l’adozione di tassi d’interesse negativi sui depositi degli istituti di credito presso la Bce. E attribuiscono a questi provvedimenti la responsabilità delle diicoltà dei risparmiatori tedeschi, il cui malcontento sta raforzando i partiti populisti e mettendo in diicoltà le istituzioni inanziarie. Queste critiche non aiutano. È inaccettabile il tentativo di esercitare pressioni sulla Bce perché cambi rotta, arrivando a invocare “una maggiore presenza tedesca nella stesura” delle misure e un futuro presidente tedesco. Il 21 aprile Draghi è passato al contrattacco. La banca centrale obbedisce alle leggi e non ai politici, ha osservato, e infatti il suo consiglio direttivo ha difeso all’unanimità la posizione attuale e l’indipendenza dell’istituto. Descrivere le politiche della Bce come prodotto di una presidenza italiana è assurdo, ha aggiunto Draghi, dal momento che misure simili sono state adottate in tutto il mondo sviluppato. Inoltre le misure stanno funzionando: senza le politiche decise nel 2014 sarebbe arrivata la delazione, la crescita dell’eurozona sarebbe stata molto più bassa. I bassi tassi d’interesse sono una condizione necessaria per qualsiasi possibilità di ripresa. Chi mette in discussione la credibilità della Bce, ha sottolineato Draghi, rischia di far crollare la iducia degli investitori, con l’unico risultato di costringere la Bce a prolungare le sue politiche espansive. Draghi ha preso atto delle preoccupazioni che hanno reso le posizioni della Bce diicili da digerire per i politici tedeschi. Il primo anno di interessi negativi non ha impedito alle banche eu- N ropee di diventare nel complesso più redditizie, ma la misura si sta rivelando punitiva per le piccole casse di risparmio tedesche e per i fondi pensione e le aziende che stipulano assicurazioni sulla vita, costrette per legge a garantire un tasso di rendimento isso. Il problema è di Berlino Una politica monetaria sensata per l’eurozona potrebbe nel lungo termine rivelarsi rovinosa dal punto di vista inanziario per l’economia più importante del blocco. Ma la risposta a questo problema non è fare pressione sulla Bce ainché faccia gli interessi di un singolo paese. Come Draghi ha giustamente fatto notare, i fondi pensione e le assicurazioni statunitensi non sono crollati nonostante il prolungato periodo di tassi d’interesse vicini allo zero. Gli istituti inanziari tedeschi sono in soferenza soprattutto a causa delle regolamentazioni nazionali e del loro modello economico. Berlino deve assumersi la responsabilità del problema, anche se è in un momento diicile per il malcontento causato dalle sue politiche sui profughi. Lo statuto della Bce impone di riportare l’inlazione al livello stabilito, non di proteggere il sistema del risparmio tedesco. E dal momento che Berlino continua a opporsi a molte possibili alternative, Draghi potrebbe continuare a tenere bassi i tassi di interesse anche in futuro. Draghi è stato cauto sull’adozione di ulteriori misure espansive, ma è arrivato il momento di parlare delle scelte possibili nel caso che fosse necessario intraprendere nuove azioni. Il tentativo di descrivere le politiche della Bce come una battaglia tra interessi nazionali mina le basi dell’euro. Questo non è negli interessi della Germania. Se Berlino vuole che l’unione monetaria abbia successo deve fare un passo indietro. u gim Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 107 economia e lavoro TORu HANAI (ReuTeRS/CONTRASTO) arabia Saudita BanChe Goldman Sachs apre alle masse Dopo il petrolio “Per quasi 150 anni la Goldman Sachs è stata la banca di riferimento dei ricchi e dei potenti. Ma ora il colosso di Wall street ha deciso di aprire alle masse offrendo conti di risparmio online per i quali basta il deposito di un dollaro”, scrive il Financial Times. Questa svolta è dovuta al fatto che l’istituto ha bisogno di trovare nuove fonti di entrate. Le grandi banche d’investimento statunitensi sono in diicoltà a causa della volatilità dei mercati e delle regole più rigide per il settore inanziario. Il lancio del conto di risparmio è arrivato dopo l’acquisizione della Ge Capital, un’azienda inanziaria da cui Goldman Sachs ha ereditato 145mila correntisti. Goldman Sachs ofre un tasso annuale dell’1,05 per cento, “superiore a quello di altre grandi banche”. Bloomberg Businessweek, Stati Uniti Consumi truccati “Il produttore di automobili Mitsubishi Motors ha ammesso di truccare i test sui consumi di benzina dei suoi modelli dal 1991”, scrive la Bbc. L’ammissione arriva dopo recenti rivelazioni secondo cui l’azienda giapponese avrebbe falsiicato i dati sui consumi di più di 600mila vetture vendute in Giappone. Nella maggior parte dei casi di tratta di modelli che hanno avuto successo per i loro bassi consumi. Il presidente della Mitsubishi Motors, Tetsuro Aikawa (nella foto), ha aperto un’inchiesta interna, da cui potrebbero emergere altre irregolarità. Il numero di auto coinvolte nello scandalo è ancora ignoto. Germania auStralia l’afare degli studenti “Le università australiane sono frequentate da più di 266mila studenti stranieri. Il 40 per cento di loro arriva dalla Cina”, scrive Le Monde. Con la caduta dei prezzi delle materie prime, spiega il quotidiano, “l’Australia cerca nuovi settori trainanti per la sua economia, e il governo ha individuato nell’istruzione internazionale una soluzione”. Nel 2015 gli studenti stranieri hanno garantito al paese entrate per 13,1 miliardi di euro, la voce più alta dopo le esportazioni di ferro (36,5 miliardi di euro) e di carbone (25,3 miliardi). Banchieri assolti “Il 25 aprile si è conclusa con un’assoluzione una delle vicende giudiziarie a sfondo economico più spettacolari della storia tedesca”, scrive la Süddeutsche Zeitung. Il tribunale di Monaco di Baviera ha assolto cinque ex manager della Deutsche Bank – tra cui gli ex amministratori delegati Jürgen Fitschen, Joseph Ackermann e Rolf Breuer – dall’accusa di falsa testimonianza nei processi seguiti al crollo dell’impero editoriale del magnate Leo Kirch. “Nel 2002 Breuer, all’epoca amministratore delegato, mise in dubbio in un’intervista la solvibilità delle imprese di Kirch, tra cui la casa editrice Axel Springer e la tv privata Sat1. Quelle parole furono interpretate dai mercati come la volontà della Deutsche Bank di abbandonare al suo destino il gruppo Kirch, che infatti poche settimane dopo dichiarò fallimento” senza riuscire a trovare nuovi inanziamenti. L’imprenditore, scomparso nel 2011, considerò “per il resto della sua vita” la banca la principale responsabile del fallimento. “Le accuse fecero aprire una serie di processi, che nel 2014 hanno portato la Deutsche Bank a versare agli eredi di Kirch un risarcimento di 925 milioni di euro”. In seguito, tuttavia, il tribunale di Monaco ha messo sotto accusa i cinque manager per aver mentito in quei processi. Ora, però, è arrivata la sentenza di assoluzione. DR Giappone “Negli ultimi due anni il principe Mohammed bin Salman, l’erede al trono dell’Arabia Saudita, ha lavorato a profonde riforme economiche, amministrative e sociali” per superare la totale dipendenza del paese dalle entrate del petrolio, scrive Bloomberg Businessweek. Il principe Mohammed ha un potere senza precedenti nel regno: controlla la produzione di greggio, il fondo d’investimento nazionale, la politica economica e il ministero della difesa. Il 25 aprile ha presentato uno “storico progetto di riforme” che prevede la creazione di un fondo sovrano da duemila miliardi di dollari grazie al collocamento in borsa dell’azienda petrolifera di stato, la Saudi Aramco. Il fondo inanzierà soprattutto investimenti per la diversiicazione dell’economia nazionale. Finora, spiega il settimanale, la monarchia saudita si è retta su un preciso contratto sociale: l’obbedienza assoluta del popolo in cambio di generosi sussidi inanziati dal petrolio. Il calo del prezzo del greggio, però, ha fatto saltare il sistema, rendendo il bilancio pubblico insostenibile a causa di un deicit di oltre duecento miliardi di dollari. ◆ in Breve Stati Uniti Il dipartimento del tesoro statunitense ha annunciato che sulle nuove banconote da venti dollari ci sarà il volto di Harriet Tubman, un’attivista che nell’ottocento si battè per l’abolizione della schiavitù. In seguito militò anche nel movimento per il diritto di voto alle donne. Tubman è la prima donna a comparire su una banconota statunitense da più di cento anni. Mercati Secondo il Fondo monetario internazionale, il calo del prezzo del greggio ha fatto perdere ai paesi esportatori di petrolio 500 miliardi di dollari. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 109 Annunci 110 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti Sephko Gojko Franulic, Cile Fingerpori Pertti Jarla, Finlandia Mediocri Tuono Pettinato, Italia Strisce Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 111 L’oroscopo Rob Brezsny Sei in una fase in cui sarai ricompensato per la tua innocenza e originalità. Più coltiverai la “mentalità del principiante”, più ti dimostrerai intelligente. Quello che desideri diventerà possibile a tal punto da farti dimenticare tutto quello che pensavi di sapere su quello che desideri. Come diceva Henri Matisse, se un pittore veramente creativo vuole dipingere una rosa “deve prima dimenticare tutte le rose che ha dipinto”. E tu cosa dovresti dimenticare? ARIETE Il tuo oracolo di questa settimana forse è discutibile. Contiene consigli che la maggior parte degli astrologi non darebbe mai a un Ariete. Ma sono convinto che in questo momento tu sia più disponibile del solito a raccogliere la sida, e anche che tu ne abbia particolarmente bisogno. Quindi studia questa citazione dello scrittore Mark Z. Danielewski: “La passione ha poco a che vedere con l’euforia e molto a che vedere con la pazienza. Non è una questione di benessere, ma di sopportazione. Come pazienza, anche passione deriva dalla radice latina pati”. GEMELLI “Sono un’eroina anche se tra tutti salvo solo me stessa?”, si chiede la poeta B. Damani. Se in questo momento tu mi facessi la stessa domanda, ti risponderei: “Sì, Gemelli”. Se mi chiedessi di spiegartelo meglio, aggiungerei: “In questo momento puoi essere un eroe solo salvando te stesso. Non puoi redimere nessun altro ino a quando non avrai redento te stesso”. E se mi chiedessi come risolvere il problema, concluderei: “Abbi il coraggio di essere il tipo di eroe che hai sempre temuto di non poter essere”. ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI CANCRO “Nella nostra vita abbiamo bisogno di persone con cui poter essere più sinceri possibile”, dice lo psicoterapista Thomas Moore. Sono d’accordo con lui. Per la nostra salute mentale, la cosa migliore è poter parlare apertamente con qualche spirito libero che non si censura e non si aspetta che ci autocensuriamo. Questo è sempre vero, naturalmente, ma per te nelle prossime settimane sa- rà una necessità assoluta. Perciò ti consiglio di fare tutto il possibile per trovarti in compagnia di menti curiose che amano ascoltare e dire la verità. Cerca ogni opportunità di esprimerti ino in fondo e con estrema chiarezza. “Parlare veramente con qualcuno può sembrare una cosa semplice”, dice Moore, “ma richiede coraggio e disponibilità a correre qualche rischio”. ciante del quale sei schiava? Le prossime settimane saranno il momento ideale per liberartene. BILANCIA “Chiunque abbia costruito un nuovo paradiso ha trovato la forza per farlo solo nel proprio inferno”. Questa nobile verità è stata espressa dal ilosofo della Bilancia Friedrich Nietzsche, e sono sicuro che per il resto del 2016 sarà particolarmente importante per te. La cattiva notizia è che negli ultimi mesi hai dovuto esplorare il tuo personale inferno più di quanto avresti voluto. La buona notizia è che le esplorazioni stanno per inire. Quella fantastica è che ti stai già facendo un’idea su come usare quello che hai appreso. Quando arriverà il momento di cominciare a costruire un nuovo paradiso sarai ben preparata. LEONE Qualche tempo fa ho visto il ilmato di un elicottero che cercava di atterrare sul piccolo ponte di una nave danese di pattuglia nel mare del Nord. C’era vento e il mare era in burrasca. Sembrava un’impresa diicile, al limite dell’impossibile. Il pilota continuava a volteggiare intorno alla nave in balìa delle onde. Ma a un certo punto c’è stato un momento di calma e lui ne ha approittato per atterrare senza problemi. Secondo la mia analisi dei presagi astrali, nei prossimi giorni potresti trovarti in una situazione simile. Per uscirne, non dovrai fare altro che aspettare un breve momento di calma e agire con decisione e rapidità. VERGINE “Mostratemi un uomo che non è schiavo”, scriveva Seneca. “Uno è schiavo della lussuria, un altro dell’avidità, un terzo dell’ambizione; tutti sono schiavi della speranza o della paura”. Commentando questa rilessione, il blogger Ryan Holiday dice: “Sono amareggiato dal mio asservimento all’insicurezza, dal mio risentimento nei confronti delle persone che non mi piacciono, dal potere che l’approvazione e il favore di certe persone hanno su di me”. E tu? C’è qualche stato emotivo, pensiero assillante o desiderio bru- SCORPIONE Zugzwang è una parola di origine tedesca che si usa negli scacchi e in altri giochi per indicare la situazione in cui un giocatore è in diicoltà perché qualunque mossa scelga ne uscirà indebolito. Ti propongo di coniare una nuova parola che abbia un signiicato opposto: zugfrei, che d’ora in poi indicherà una situazione in cui tutte le opzioni che hai davanti sono positive o costruttive, quindi non puoi fare una mossa sbagliata. Penso che questo colga l’essenza dei tuoi prossimi giorni, Scorpione. SAGITTARIO “Dobbiamo imparare a vivere con le nostre debolezze”, afermava il poeta Stanley Kunitz. “Le persone migliori che conosco sono inadeguate e non se ne vergognano”. Questo è l’atteggiamento che spero adotterai nelle prossime settimane. Per quanto tu sia forte e capace, per quanto ti sforzi di fare del tuo meglio, sei ben lontano dalla perfezione. E questa è una fase speciale del tuo ciclo astrale in cui puoi imparare ad accettare questa realtà. CAPRICORNO Come si riproducono le piante? Generando semi de- stinati a viaggiare. I semi delle orchidee e dei denti di leone sono così leggeri che possono percorrere lunghe distanze luttuando nell’aria. Quelli di asclepiade sono un po’ più pesanti, ma si lasciano facilmente trasportare dal vento. Quelli di digitale e di platano riescono a galleggiare anche sull’acqua. Gli uccelli e altri animali sono i mezzi di trasporto dei semi di bardana, che si attaccano a piume e pellicce. Spero che queste considerazioni stimolino in te idee creative su come disperdere i tuoi semi metaforici, Capricorno. È ora che tu esprima con forza la tua natura, lasci il tuo segno e difonda la tua inluenza. ACQUARIO “È un errore voler essere compresi senza esserci prima chiariti con noi stessi”, diceva la ilosofa Simone Weil. Spero che questa rilessione ti metta un po’ a disagio e ti spinga a cercare di capire meglio certe tue idee vaghe, confuse immagini di te stesso e intenzioni fumose. Presto verrà il momento in cui dovrai chiedere più empatia e riconoscimenti alle persone alla cui opinione tieni particolarmente. È ora che tu sia apprezzato e visto per quello che sei veramente. Ma prima che queste belle cose possano succedere, è necessaria una fase di introspezione. Dovrai chiarire e approfondire il rapporto con te stesso. PESCI “Non ho mai permesso che l’istruzione interferisse con la mia educazione”, diceva lo scrittore Mark Twain. È un ottimo consiglio, e nelle prossime settimane dovresti applicarlo anche tu. In generale, le conoscenze che hai accumulato e le capacità che hai sviluppato sono beni preziosi. Ma nell’immediato futuro potrebbero impedirti di apprendere le lezioni che ti servono di più. Per esempio, potrebbero indurti a pensare che sei più intelligente di quanto tu non sia in realtà. Oppure impedirti di cogliere certe verità semplici e apparentemente ovvie che dal tuo soisticato punto di vista sei troppo orgoglioso per vedere. Cerca di essere uno studente umile, mio caro. Internazionale 1151 | 29 aprile 2016 113 internazionale.it/oroscopo TORO COMPITI PER TUTTI Racconta come sei sfuggito alla seducente moda del cinismo senza diventare un ingenuo che crede a tutto. bertraMS, paeSI baSSI L’ultima È morto prince. “Un nuovo vicino di casa”. pIraro, StatI UnItI cHappatte, tHe InternatIonal new york tIMeS “Il generico è meno caro, sì. Ma se vuole risparmiare davvero prenda il placebo”. ScHwartz abbaS, l’Hebdo, SvIzzera william Shakespeare: “la vita è una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non signiica nulla”. “troppo lungo”. “Sembra l’ennesimo caso del quarantenne che prova a capire Snapchat”. Le regole Carta igienica 1 Quando sei in bagno e hai inito la carta è uno dei momenti in cui sei felice di avere dei igli. 2 Quella dei bagni pubblici non è carta igienica: è carta vetrata. 3 Hai di nuovo intasato il bagno. Ma non potevi farti un bidet? 4 Quando iniscono i tovaglioli di carta usa la tovaglia, le mani, tutto. Ma la carta igienica a tavola no. 5 Un cucciolo che gioca con un rotolo di carta è dolce solo quando lo fa in tv. [email protected] 114 Internazionale 1151 | 29 aprile 2016