Il digitale terrestre in Italia e la diffusione dell`innovazione
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Il digitale terrestre in Italia e la diffusione dell`innovazione
Il digitale terrestre in Italia e la diffusione dell’innovazione di Fausto Colombo Professore Straordinario di Teorie e Tecniche dei media, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano. Una tecnologia in crescita ma ancora lontana dalla maturazione L’obiettivo di questo intervento è una lettura del recente fenomeno del DTT (Digital Terrestrial Television) in Italia alla luce delle teorie della diffusione dell’innovazione. Le ragioni di questa scelta sono equamente suddivise fra la natura del fenomeno, da un lato, e i recenti sviluppi della teoria, dall’altro. Sul primo versante, il DTT – pur essendo solo una delle molteplici facce dei processi di digitalizzazione – per molti versi presenta i tratti di un caso unico: sia perché investe con una radicalità senza precedenti un medium centrale come la televisione analogica, sia perché la sua nascita e la sostituzione del medium precedente sono decise dalle Istituzioni politiche e non dal mercato, sia, infine, perché in Italia l’accelerazione imposta per legge al DTT comporta una rapidità senza precedenti storici tanto nello switch over fra Tv analogica e Tv digitale, quanto nel definitivo switch off della prima. Sul secondo versante, l’attuale stagione della teoria diffusionista presenta alcune interessantissime applicazioni ai fenomeni di digitalizzazione e, in particolare, a Internet e alla telefonia mobile. L’opportunità di verificarne apporti e limiti al DTT è dunque assai appetibile sia come ulteriore verifica dell’approccio, sia – come proverò a dimostrare – come riflessione epistemologica su di esso. Come accennato nella premessa, il DTT deve essere considerato solo uno dei rami di un’offerta televisiva in digitale più ampia, che si declina nella televisione via cavo (con un primo tentativo in Italia da parte di Stream a partire dal 1994 e poi con Fastweb e in parte anche con E-Biscom) e via ADSL; nella Tv satellitare (digitale nel nostro Paese a partire dal 1996 con D+ e dal 1998 anche con Stream), nel fenomeno (che qui lascerò relativamente a margine per ragioni di spazio) delle web-Tv e appunto nel digitale terrestre (avviato con la Legge 66 del 2001, e in fase sperimentale già dal 2002). Tuttavia, proprio il DTT presenta caratteristiche quasi uniche, a partire dalla data prevista dalla legge per la sua sostituzione complessiva alla televisione analogica, il 2006. La scelta nel nostro Paese del DTT risponde a esigenze non soltanto nazionali. In generale, l’Unione Europea spinge nella medesima direzione con lo scopo di liberare utili frequenze da offrire in concessione alle compagnie sia televisive che di telefonia mobile (una frequenza analogica può essere convertita in 4-5 frequenze digitali). Tuttavia il caso italiano, da molti anni caratterizzato da un violento dibattito sul duopolio Rai-Mediaset e, nella penultima legislatura, segnato da sentenze e leggi che chiedevano ai due oligopolisti di rinunciare a una rete a testa, ha costituito uno straordinario banco di prova per l’accelerazione della svolta tecnologica. La possibilità di moltiplicare le frequenze ha infatti consentito di rinviare l’alleggerimento di Rai e Mediaset. Inoltre, l’invocazione delle caratteristiche “interattive” del DTT ha favorito la presentazione dell’operazione come il tentativo di allargare la base di utenti di servizi tecnologici digitali in Italia. Il complesso della Tv digitale in cifre Volendo dare un’idea di come attualmente si ponga l’offerta di Tv digitale nel nostro Paese, possiamo fornire i seguenti dati di sintesi1: nel 2004 la Tv satellitare di Sky ha raggiunto i 3.000.000 di abbonamenti; per quanto concerne la Tv via cavo, il discorso è più complesso: 500.000 sono gli abbonati Fastweb sul territorio nazionale (l’85% dei quali a carattere residenziale, su un territorio coperto solo parzialmente, e in particolare soltanto in 14 capoluoghi di provincia e in pochi altri centri delle medesime province); una quota di utenti di Tv digitale va inoltre reperita fra gli abbonati ADSL. In particolare, com’è noto, Telecom offre con il servizio Rosso Alice la possibilità di fruire, in modalità in parte gratuita in parte a pagamento o con abbonamento o in pay-per-view, contenuti Tv musicali, informativi o sportivi. Nel giugno 2004 i navigatori su banda larga erano 6.000.000 (il 38% del totale della popolazione dei navigatori in Italia) e si può immaginare che una rilevante quota di essi fruisca almeno in parte di questi servizi. La previsione formulata da Telecom per gli abbonamenti ai propri servizi ADSL era di poco meno di 4.000.000. A questi dati si possono aggiungere quelli relativi agli abbonati alla Tv on-demand del gruppo e.Biscom, equamente divisi tra fibra ottica e ADSL: si tratta di circa 160.000. Lo scenario specifico del DTT Ed eccoci allo scenario del DTT. Il numero di decoder venduti nel 2004 è di circa 700.000, secondo stime ufficiali che devono probabilmente essere prese con una certa prudenza. Tuttavia, poiché la legge prevede la sostituzione complessiva del sistema analogico con quello digitale terrestre, lo scenario di sviluppo di quest’ultima tecnologia è certamente il più roseo, anche considerando del tutto ottimistiche le ipotesi legislative di liquidare l’analogico nel 2006. Non a caso, la mappa di figura 1, che dà l’idea della copertura del segnale digitale sul territorio nazionale, mostra che tale copertura è ormai pressoché totale (con il forte rischio, però, che l’intero territorio non sia mai del tutto servito dal segnale, nemmeno in futuro). Per le ragioni che spiegherò tra poco, può essere utile commisurare la diffusione dei servizi televisivi digitali (o meglio, dell’opportunità tecnologica di riceverli) alla diffusione attuale della televisione analogica: la popolazione italiana è composta da circa 21.000.000 di famiglie; gli abbonamenti al servizio pubblico (canone Rai) sono circa 16.000.000, pari all’80% delle famiglie censite nel 2001. Riassumendo in chiave percentuale i dati sin qui espressi, possiamo affermare con certezza che: • gli abbonamenti a Sky costituiscono ormai oltre il 14% degli householders nazionali e sono solo una parte, per quanto ragionevolmente maggioritaria, delle famiglie dotate di impianto per la ricezione satellitare; • gli abbonamenti a Fastweb costituiscono il 2,3%; • i decoder del digitale terrestre costituiscono il 3,3%; • gli abbonamenti Telecom di ADSL (che sono solo una parte degli abbonamenti ADSL) costituiscono quasi il 20% degli householders. Anche ipotizzando che solo un 20% possa aderire ai servizi di Rosso Alice, potremmo immaginare una percentuale di utenti di Tv via ADSL Telecom del 4% circa sul totale degli householders in tempi ragionevolmente brevi. Queste percentuali aiutano a cogliere la particolare situazione dell’attuale sviluppo del DTT in Italia: pur essendo destinato alla medesima centralità della televisione analogica, questo standard di tv digitale si trova in una fase di sviluppo assai più arretrata di quella del complesso della Tv digitale. Sommando infatti gli abbonamenti Fastweb, E-Biscom e la proiezione degli abbonamenti ADSL, arriveremmo a una percentuale non lontana da quel 10% che segnala l’avvenuto ingresso di una tecnologia nella sua fase di crescita. Cosa che, naturalmente, non si può dire del DTT, appena entrato (sia pur con felici prospettive stabilite per legge) sul mercato. Ma questo discorso ci porta alla necessità di presentare la prospettiva della teoria dell’innovazione. Il contributo delle teorie dell’innovazione Il terreno di cultura delle teorie dell’innovazione è costituito dalla diffusione di tecniche e tecnologie. Sul tema esiste una sterminata letteratura, che non mette conto riprendere qui. Un modello particolarmente affidabile è di solito considerato quello di Rogers, tradizionalmente definito come diffusionismo. Tale modello si applica con particolare efficacia ai processi attraverso i quali una innovazione tecnologica raggiunge via via fasce sempre più ampie della popolazione. Si può trattare dell’hybrid corn in Iowa, o del Rap in America e poi nel mondo, del fax o di Internet: ciò che interessa è lo studio delle leggi attraverso le quali una novità si diffonde (o non si diffonde) fra la gente. I quattro elementi base di questo processo, ossia le quattro variabili che la teoria prende in considerazione, sono il tipo di innovazione, la qualità e la quantità dei canali comunicativi, il lasso temporale interessato, l’assetto del sistema sociale che ospita la diffusione2. L’applicabilità del diffusionismo ai media è certamente affascinante, ma anche problematica. In un recente saggio, Lehman-Wilzig e CohenAvigdor3 ne hanno esposto una interessante versione, contaminata da altre teorie dell’innovazione, e denominata “Ciclo di vita dell’evoluzione dei new media”, applicandola alla diffusione di Internet. Il modello prevede 6 fasi, inclusa la cosiddetta fase 0, o fase di nascita, che comprende la messa a punto dell’innovazione dal punto di vista strettamente tecnologico, come prodotto di ricerca “di laboratorio”. L’articolazione in fasi del modello è sintetizzata nella tabella 1. Lascio qui da parte la discussione approfondita dell’interessante saggio di Lehman-Wilzig e CohenAvigdor. Per utilizzare il modello appena esposto in modo funzionale allo studio dello sviluppo di un medium come il DTT, devo piuttosto soffermarmi brevemente sui suoi limiti applicativi a un campo come quello dei media, vecchi e nuovi. Come molte teorie dell’innovazione4, anche quest’ultima appare assai utile a definire le questioni tecniche legate ai media, assai più di quelle legate alla natura sociale di questi ultimi. Per chiarire questo punto, prendiamo la Tv: essa è certamente costituita dalla tecnologia che la rende possibile (una tecnologia di ripresa, di trasmissione e ricezione-riproduzione), ma – come ha osservato già a metà degli anni Settanta Raymond Williams5 – a questa tecnologia si salda una forma culturale, ossia un meccanismo sociale di produzione, scambio e ricezione di contenuti che, da un lato, si serve della tecnologia, dall’altro, la plasma a propria immagine. Per esempio, la diffusione della stessa tecnologia negli Stati Uniti e in Europa ha portato allo sviluppo di due modelli televisivi completamente diversi (il modello commerciale in America e quello monopolista pubblico sul nostro continente), che solo negli anni Settanta hanno cominciato a contaminarsi. In particolare, lo sviluppo della digitalizzazione ha portato a marcare in modo crescente la distanza fra i media (un determinato modo di programmare e organizzare determinati contenuti per un determinato modello di fruizione) e le tecnologie della comunicazione (ossia le piattaforme che supportano tecnologicamente i media stessi). In effetti, abbiamo oggi media supportati da più di una piattaforma: la Tv è oggi analogico-terrestre, digitale (e abbiamo visto in apertura la complessità di questa offerta digitale) e anche fruibile via telefono mobile. Contemporaneamente, abbiamo piattaforme (come quella costituita da Internet) che supportano più media (nel caso di Internet, tanto il web, quanto Tv, radio, telefonia, giornali, cinema, musica eccetera). Ciò significa che applicare un modello come quello del ciclo di vita dei new media, presentato sopra, comporta una grande prudenza, perché occorre distinguere tra la sua applicazione al medium in quanto tale e quella alle varie tecnologie che lo supportano. È appunto quanto intendo fare nell’ultima parte di questo intervento. Il DTT nel complesso scenario televisivo Se teniamo ferma la distinzione tra medium televisivo e tecnologie di supporto, possiamo studiare in modo differenziato lo sviluppo del primo e delle seconde. La tabella 2 tenta appunto un’operazione del genere, utilizzando i dati del primo paragrafo per determinare le fasi del ciclo di vita Una lettura approfondita della tabella occuperebbe molte pagine. Qui mi limito ad alcune emergenze che reputo più rilevanti. In primo luogo, risulta chiarissimo che l’andamento del medium televisivo è tipico di un medium maturo, che ha affrontato la sfida dell’innovazione tecnologica e il confronto con altri media concorrenti nell’utilizzo della risorsa tempo dell’utente a partire dagli anni Novanta. La fase difensiva ha ora lasciato spazio a un processo di convergenza complessa, che per esempio, con il digitale terrestre, potrà consentire alla Tv di accrescere la propria interattività e di fornire una serie di servizi prima appannaggio del web. In secondo luogo, se dal medium si passa a considerare le tecnologie che lo supportano, si impongono alcune forti distinzioni. La tecnologia analogica risulta infatti oggi in fase di obsolescenza (e il mandato dello switch-off per legge non fa che accelerare questo declino). La Tv analogica, insomma, si avvia a diventare un “tecnosauro”, per usare la felice espressione di Nosengo6, come il 45 giri o il telefono mobile E-tacs. Viceversa, la Tv digitale, nelle sue varie forme, appare come una tecnologia ancor giovane e assai diversificata. Anche se la sua diffusione nel nostro Paese appare in forte crescita, essa è ancora lontana dalla sua maturazione e dall’ingresso pieno nella maggioranza delle case degli italiani. All’interno dello sviluppo delle tecnologie televisive digitali, il DTT appare ancora più arretrato. Ciò è dovuto naturalmente alla sua giovinezza (la fase 0 della nascita si può datare in effetti ai primi anni 2000), ma comunque i dati sulla sua diffusione rimandano alla fase della prima penetrazione sul mercato. E tuttavia, è proprio su questa tecnologia che si punta per sostituire la Tv analogica, forse per la sua semplicità, almeno di installazione, e la similarità con il Tv set analogico. La volontà di spingere questa evoluzione con una fortissima pressione statale (incentivi all’acquisto, per esempio), ha tuttavia determinato nel suo lancio almeno qualche singolare stortura. Per esempio, si è insistito sulle potenzialità interattive del mezzo, che da un lato appaiono per ora piuttosto basse e limitate ad alcuni decoder, dall’altro non sembrano davvero cariche di appeal per il tradizionale pubblico del medium televisivo (che è ancora prevalentemente supportato dalla tecnologia analogica). Oppure si è scelto, come strumento di lancio presso il pubblico, l’incentivazione economica, non tenendo conto che secondo le teorie diffusioniste (ma anche in base a qualunque banale analisi e previsione di marketing), i primi acquirenti di una novità tecnologica (innovators e early adopters, secondo la terminologia di Rogers) sono i cosiddetti technofans, patiti di innovazione e disposti quindi a pagare senza fiatare il prezzo di partenza (soprattutto se tutto sommato basso, come nel caso dei decoder DTT). Ad avvantaggiarsi di questi incentivi sono stati dunque i soggetti che meno di altri ne avrebbero avuto bisogno. Ed è prevedibile che ben altri incentivi occorreranno per convincere i più renitenti (la cosiddetta late majority) a passare dalla comoda e familiare tecnologia analogica a quella digitale terrestre. Come si vede, il modello che ho cercato di discutere e di esporre in chiave lievemente modificata, è in grado di offrire significativi spunti di riflessione, che non soltanto possono avere una ricaduta scientifica, ma possono anzi suggerire strategie di sviluppo e di promozione per il futuro del sistema televisivo del nostro Paese. Note 1. I dati cui faccio qui riferimento sono stati raccolti nel corso di una serie di ricerche dedicate alla digitalizzazione nell’ambito dell’Osservatorio sulla Comunicazione da me diretto. Sono già stati elaborati e presentati in una serie di saggi e interventi da Piermarco Aroldi, Francesca Pasquali e Nicoletta Vittadini. Segnalo, in particolare, il saggio in corso di stampa su “Quaderni di Sociologia”, dal titolo Televisione digitale in Italia: il punto sull’interattività. 2. Cfr. sull’argomento E. M. Rogers, Diffusion of Innovation, Free Press, N.Y. 2003. 3. S. Lehmann-Wilzig, N. Cohen-Avigdor, The Natural Life Cycle of New Media Evolution. InternetMedia Struggle for Survival in the Internet Age, in “New Media & Society”, 6, 2004, pp. 707-730. 4. Cfr. Per uno sguardo sintetico sul problema il classico P. Flichy, L’innovazione tecnologica. Le teorie dell’innovazione di fronte alla rivoluzione digitale, Feltrinelli, Milano 1996 (ed. or. 1995). 5. R. Williams, Televisione, tecnologia e forma culturale, Editori Riuniti, Roma 2000 (ed. or. 1974). 6. N. Nosengo, L’estinzione dei tecnosauri. Storie di tecnologie che non ce l’hanno fatta, Sironi, Milano 2003. *