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La lussuria nel Canto V dell`Inferno Un`analisi basata sugli scritti di
Faculteit Letteren en Wijsbegeerte
2010-2011
La lussuria nel Canto V dell’Inferno
Un’analisi basata sugli scritti di Giulio
Giorello, Lorenzo Renzi, Giorgio Inglese e
Emilio Pasquini: quattro guide per una nuova
lectura dantis
Master in de Taal- en Letterkunde: Frans - Italiaans
Masterproef
ingediend door Leen Drieskens
Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
Faculteit Letteren en Wijsbegeerte
2010-2011
La lussuria nel Canto V dell’Inferno
Un’analisi basata sugli scritti di Giulio
Giorello, Lorenzo Renzi, Giorgio Inglese e
Emilio Pasquini: quattro guide per una nuova
lectura dantis
Master in de Taal- en Letterkunde: Frans - Italiaans
Masterproef
ingediend door Leen Drieskens
Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
Ciò che agisce in modo subliminale può essere spesso altrettanto importante di quello che
è palese.1
1
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante,
Bologna, il Mulino, 2007, pp.55.
Parola di ringraziamento
In primo luogo, vorrei ringraziare la mia direttrice di tesi, la prof.ssa Sabine Verhulst, per
mi aver offerto la possibilità di scrivere una tesi su un Canto della Divina Commedia, per
la Sua pazienza e per i buoni consigli Suoi.
Vorrei anche ringraziare il mio amico, il mio sostegno, e i miei genitori, in cui trovo
sempre conforto, per la loro fede incrollabile in me.
Indice
0. Introduzione ........................................................................................................... p.7
1. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo................................................ p.11
1.1. Il settenario .......................................................................................................... p.11
1.2. Il vizio della lussuria............................................................................................ p.12
1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo ................................................ p.12
1.2.2. Vizio del corpo ................................................................................................. p.13
1.2.3. Vizio dell’anima ............................................................................................... p.15
1.2.4. I coniugati e la lussuria. «Se non riescono a contenersi si sposino, meglio
sposarsi che ardere (I Cor. 7,9)» ..................................................................... p.17
2. La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno ........................................... p.19
3. La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno.............................................. p.31
4. La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno ............................. p.44
5. La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno........................................... p.52
6. La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell’Inferno ......... p.61
7. La lussuria nel Canto V dell’Inferno: conclusione ............................................. p.66
Bibliografia................................................................................................................. p.70
0.
Introduzione
“Non v’è dubbio che fra gli’insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo
millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di tutta
un’esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di
una persona, di orientarla al meglio.” Come afferma Emilio Pasquini nel suo libro Dante e
le figure del vero. La fabbrica della Commedia, la lettura della Divina Commedia
dantesca si mostra rilevante anche nel terzo millennio. Ovviamente, un’opera di qualche
secolo fa rischia di non essere più adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca
conosce tendenze critiche differenti per quanto riguarda la Commedia, “ogni generazione
[…] legge il ‘suo’ Dante” 2, e quindi, come lo pone Renzi, “siamo prigionieri anche noi
del nostro tempo”3.
Pasquini segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e
Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi4. L’amore-passione che forma il
nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle idee riguardanti l’uomo tra
cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce legami nei suoi versi. Quelle connessioni
creano la celebre “feconda ricchezza di Dante”, la quale fa sì che tanto all’epoca (quando
si trattava della fede, della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la
nostra coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell’opera5.
Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la “persuasione [di Dante] della
presenza, nella vita di ognuno, di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell’uomo
[…]”. Oggi, asserisce Pasquini,
una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente
terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un’esistenza, le svolte cruciali
che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile direzione,
decidendo del suo destino in terra6.
2
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori
Editori, 2001, pp.257.
3
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.12.
4
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259.
5
Ibidem, pp.269.
6
Ibidem, pp.275.
7
Introduzione
Si può aggiungere che, in generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane Dante
s’inserisce perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale è
completamente fissata sull’acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale
completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l’avvertimento di Dante
adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non alla
magnanimità ma alla folia.7 D’altronde, Inglese segnala che “il carattere ‘realistico’ del
poema, dei suoi personaggi e delle sue scene” illustra che Dante utilizza il mondo terreno
come una “metafora dell’oltremondo”, “l’altro mondo è reso sensibile e leggibile con le
forme del nostro mondo”8. Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi
possono capire abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta.
La conoscenza del mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e
quello del filosofo Giulio Giorello, la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con
la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta
che la lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno disprezzabile. Si
tratta di una caratteristica umana da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta
un punto di vista molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione
della conoscenza9.
Propone un’analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo,
una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d’ispirazione cristiana sul
soggetto. Giorello considera la lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo
luogo, come una libertà: “E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società
aperta e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti”10. Anche se il
concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico,
non viene trascurato il significato cristiano del termine.
L’autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso
può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia, come
inganno… Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle relazioni
significative tra vari testi, autori e concetti.
7
Ibidem, pp.271-273.
Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.9.
9
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, 2010.
10
Ibidem, risvolto della sopraccoperta.
8
8
Introduzione
A mio giudizio la lettura del Canto V dell’Inferno dantesco nell’ottica proposta da
Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro di Dante Alighieri, una
lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei dimostrare
che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del testo dantesco –anzi, tutta
la Commedia- e di agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf.
supra).
Tutte le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto
V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di
presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la religione
cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno soltanto latente (cf.
supra). Anche nel libro di Giorello l’aspetto religioso della lussuria non è quello più
importante, ma è sempre presente in modo velato. Ciò significa che predomina la
ricchezza rappresentata dalle varie manifestazioni del concetto denominato lussuria, a
scapito della visione cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio.
Tutto ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con commenti
da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la presente tesi.
L’accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti. Dato che il mio scopo è
l’elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel celebre Canto V prendendo come
guide alcuni studiosi contemporanei, l’aggiunta di pensieri e di ragionamenti provenienti
dal libro Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di
Dante di Lorenzo Renzi arricchirà ancora l’esposizione, tra l’altro la parte nella quale si
tratta della colpevolezza o dell’innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole
reagire “sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all’interesse privilegiato
mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca”11.
L’autore specifica che l’episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia della
Commedia, “cioè la parte per il tutto: […] drammatizza e presenta in exemplo la palinodia
di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell’amore terreno e della sua
poesia (lo Stil novo), per cominciare l’ascensione”.
Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio di Francesca si rivela
tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare il suo contrario, una “palinodia della
11
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.12.
9
Introduzione
palinodia: una nuova esaltazione dell’amore terreno”12. Accanto al riferimento a Valesi il
testo di Renzi offre ancora molte informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e
commentatori.
Giorgio Inglese, poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento
all’Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia,
una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull’importanza, nel Canto V, di
contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del terzo millennio. La
maturità della disciplina (“la quantità [dei studi] è ormai misurabile solo con i mezzi
dell’elettronica”) non implica però “stagnazione”, “e lo dimostra bene, per quanto riguarda
la Commedia, proprio la vitalità del genere ‘commento’”13.
In ogni capitolo della presente tesi, una nozione filosofica evidenziata nel libro già citato
di Giorello si trova alla base delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei
ragionamenti s’intrecciano varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni
altri commentatori.
12
13
Ibidem, pp.7-8.
Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.12.
10
1.
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
Come capitolo introduttivo presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi
capitali nel Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della
lussuria. Baserò questa visione d’insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati
nel Medioevo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, pubblicato dalle Edizioni Einaudi
nel 2000.
1.1.
Il settenario
Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un’invenzione di un
individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli,
continenti e persone diversi; di un “enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un
efficace schema classificatorio per parlare [...] ‘del mondo’”14. Un topos, per così dire.
Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha
avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici.
Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l’Occidente, la storia medievale di questi sette
vizi inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano e
Gregorio Magno. Cassiano (V° secolo), avendo delineato nelle sue opere l’insieme delle
teorie del suo maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più
significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Fino al XV° secolo,
il settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano –ed Pontico attraverso gli scritti del suo
allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha vissuto in un’epoca
che accordava molto importanza all’idea dei sette vizi capitali. Si deve specificare che
tanto Pontico quanto Cassiano distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola,
lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall’opera di
Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job (fine VI° secolo), ne
distingue sette; non menziona più l’invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job
costituisce un’opera di notevole importanza per la cultura medievale: “è molto più di un
14
C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000,
pp.XVI.
11
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo
respiro”15.
Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l’impronta dell’ambito nel quale è stato
lavorato, cioè l’impronta della società monastica –non solo quella occidentale. Infatti,
Cassiano aveva apportato all’Occidente conoscenze orientali –egiziane, siriane-, adottate
dalla cultura monastica orientale, raccolta nell’Egitto. Anche il suo maestro, Pontico,
aveva imparato molto sui vizi capitali “in quel crogiolo culturale che fu Alessandria
d’Egitto alla fine del IV° secolo”16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale
si sono confuse con questa sapienza proveniente dall’Oriente.
Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà proprie
alla vita nel monastero: “Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il
cammino di perfezione al quale si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi e
contro quel ‘mondo’ che si sono lasciati alle spalle”17.
Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto
riguarda il Medioevo. In quello che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale di
uno dei vizi capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la
lussuria.
1.2.
Il vizio della lussuria
1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo
Non solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già nella cultura
pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano apertamente di sentire tali
voglie. La religione cristiana si è adeguata molto abilmente a queste preoccupazioni,
riunendole in un vizio capitale chiamato lussuria. Denominando così sentimenti vari e
irrequieti, la fede calma, crea ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni
persona che si riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo.
Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione di vita,
tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani.
15
Ibidem, pp.XI.
Ibidem, pp.XII.
17
Ibidem, pp.XV.
16
12
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
Cassiano descrive la lussuria, situandola nell’ambito della natura propria agli uomini,
come un vizio intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno –monaco
e papa-, anzi, pone che essa sarebbe un’attività tutto naturale del corpo, che, per di più,
sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di ateistico), si vede apparire,
in questo discorso, una concezione molto moderna della sessualità umana. Rimanendo nel
contesto cristiano, il papa, sviluppando una tale visione, crea infatti un idea che spiana la
via per la lussuria: se forma un desiderio proprio all’uomo tanto naturale quanto il bisogno
di mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l’alt.
Ma, a dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i secoli
medievali è quella ideata da Agostino.
Secondo lui, l’elemento chiave che trasforma la sessualità dell’uomo in un’attività
peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo
contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi
sessuali, presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come
punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro corpi diventano
insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter
dominare l’anima dell’essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della pena imposta
ad Adamo ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto
che si sta parlando dell’attività responsabile per la generazione: l’uomo trasmette quel
peccato di padre in figlio, per l’eternità. Per forza, i figli nascono peccatori.
Nonostante il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il
Medioevo, si comincia già a rivederla nel XII° secolo. Si osserva infatti “un processo di
‘desessualizzazione’ del peccato originale”18. Implica l’accettazione della concupiscenza
come una delle conseguenze del peccato originale, non come l’effetto principale di questo.
Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall’ambito peccaminoso nel quale era stata
introdotta: “La natura era ormai inevitabilmente corrotta”19.
1.2.2. Vizio del corpo
Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un primo momento, la fornicazione),
tutto come alla gola, lo statuto di vizio carnale, “un vizio cioè che implica
18
19
Ibidem, pp.151.
Ivi.
13
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
necessariamente la partecipazione del corpo”20. Rivendica non solo la cooperazione degli
organi sessuali, ma pure quella di tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi,
le orecchie, il naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio
capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi.
Nel Medioevo, la collaborazione tanto versatile del corpo umano alla fornicazione
approda all’idea che questo corpo non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne
subisce anche le conseguenze. Quelle, naturalmente –si tratta di conseguenze di atti
peccatori-, non appaiono sotto forme agrevoli:
terribili mali di testa che i medici non sanno come curare, progressiva perdita delle
forze, vita breve e, su tutto, l’immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e
maleodoranti consuma lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra21.
Per di più, il debole corpo umano è inestricabilmente connesso con il vizio della
fornicazione: senza la presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio
rivendica la sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un peccato
intrinseco al fisico umano.
A dire il vero, la lussuria non tocca a qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici
maschili. Questo aspetto della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla
di un peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri –abitati
da ecclesiastici maschili (fra le altre “i padri fondatori del settenario dei vizi”22: Pontico,
Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano nel discorso sulla fornicazione,
tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi maschili. Non vengono mai considerate
capaci di intervenire come iniziatrici per quanto riguarda questo peccato. La femmina,
invece, ritenuta un essere più debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle
avance peccatori esibite dal suo corrispondente maschile.
Inoltre, l’insieme di gioielli, profumi, tenute ecc. (l’ornatus, come scrivono Casagrande e
Vecchio) che mette l’accento sull’eleganza femminile si considerava un tutto che serviva
essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di conseguenza, più
sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi. Peraldo descrive “le donne che
si vestono e si truccano per andare a ballare” tramite una metafora memorabile: “[sono
20
Ibidem, pp.152.
Ibidem, pp.153.
22
Ibidem, pp.155.
21
14
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare battaglia per strappare a
Dio l’anima degli uomini”23. Quindi, nonostante il fatto che le donne non possono esibirsi
come istigatrici del vizio della lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro
fisici sui loro complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente,
incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi.
1.2.3. Vizio dell’anima
Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente corporale. A dire il vero,
la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova nell’interiorità più profonda dell’anima
umana.
Proprio i monaci –abitanti dell’ambito nel quale è cresciuta l’idea del vizio capitale
abbordata- hanno (tra l’altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di
natura spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia adito
ad alcun dubbio: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio
con lei nel suo cuore” (Mt. 5, 28)24. Ma questa idea non implica che il corpo non potesse
essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia nell’insieme di fasi propri
all’azione peccaminosa. In primo luogo nascono le idee lussuriose nell’anima dell’uomo;
in seguito si osserva che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa
costituisce quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l’atto
adultero si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa.
A proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al
peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire:
quando l’anima cessa di pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in
una parola servire il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di
quel desiderio eccessivo e disordinato che ha colpito l’uomo dopo il peccato
originale, per tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce
la vita dell’individuo25.
23
Ibidem, pp.157.
Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale
Libri, 2000, pp.47.
25
C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.160.
24
15
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero
e proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l’hanno formulato Casagrande e Vecchio.
In effetti, già nell’ottica agostiniana della lussuria è inclusa l’idea che gli impulsi
concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È
precisamente la condiscendenza dell’anima alle pulsioni carnali che trasforma queste
ultime in impulsi peccatori.
In seguito, si deve segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di
Pietro Abelardo (XII° secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per quanto
riguarda la relazione tra anima e corpo.
Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza quanto l’atto sessuale e i compiacimenti
che lo accompagnano avevano fatto parte della natura dell’uomo a partire dal peccato
originale. Affermava che l’elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell’anima
umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a
dire il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le sue
asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca.
La notevole importanza dell’anima in quest’ambito viene confermata dalle conseguenze
che ha il vizio della lussuria non solo per il fisico dell’uomo ma anche, e specialmente, per
la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo umano, lo rende impuro e
infangato; ma è ancora molto più dannosa all’anima: una volta imbrattata da questo
peccato, lo spirito dell’essere umano, debilitato e confuso, incoerente, è sull’orlo della
rovina. Si tratta di un vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati
dello spirito; si espande in tutti gli angoli della mente.
Il danneggiamento dell’anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave
nell’indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito umano.
Mina il potere della capacità più eccezionale dell’uomo, cioè la potenza di dominare tutti i
suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla ragione.
In effetti, non solo la Chiesa si preoccupava dalla decadenza della ragione sotto l’influsso
di attività sessuali. Prima della tradizione cristiana, un’ampia tradizione pagana aveva
cercato di offrire uno sfogo a simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere,
fra le altre –prima in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l’idea che l’intelligenza –
concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l’uomo nella
16
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
possibilità di controllare gli impulsi carnali –concepiti come negativi. Dato che gli ultimi
avvicinavano l’essere umano dall’animale, il contrasto tra questi di una parte, e la nobiltà
incontestabile della ragione umana d’altra parte, si rivelava grandissimo.
Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in contesto scientifico, per dirlo
così –intellettuale, filosofico ecc.-, la sua importanza per la vita quotidiana dell’uomo
medio è inequivocabile, visto la “funzione [della ragione] di garantire la misura, la
compostezza, l’equilibrio nella vita di ciascun individuo”26.
Trasposto in ambito letterario, il dualismo fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in
particolare, la follia nella quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione,
s’impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il culmine
assoluto dell’incostanza confusa che può essere provocata in varie misure dalla lussuria.
1.2.4. I coniugati e la lussuria. “Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è
meglio sposarsi che ardere” (I Cor. 7,9)27
Tra tutte le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati
formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, “non elimina la lussuria”, ma
nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli coniugali [a
quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari per soddisfare le
sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo modo, che commettono
il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce28.
La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della lussuria, si rivela
alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che la ragione per la quale certi
cristiani propendevano per la castità e non per il matrimonio consisteva nel fatto che il
matrimonio limitava solamente la lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo,
questo fatto veniva anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria:
il matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio.
Poi, Agostino aggiunge che “considera l’unione coniugale un bene, certamente inferiore a
quello della castità, ma comunque un bene, e questo ‘non solo per la procreazione dei figli
26
Ibidem, pp.167.
Il nuovo testamento, cit., pp.603.
28
C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.172.
27
17
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
ma anche per la società naturale che l’unione tra i due sessi comporta’”29. Di più, pone che
Dio avrebbe previsto l’unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili prima
del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di organi sessuali
chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. “Il peccato
non sta dunque nel coito [...] ma nell’uso che gli uomini [...] ne fanno.”30 Queste idee
agostiniane sono state molto diffuse durante tutto il Medioevo.
Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame stabilito tra il vizio della lussuria e il
matrimonio fa sì che il peccato si estende dall’essere umano individuale alla comunità
intera. Può corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e
all’anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da
questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica nel settenario
dei vizi capitali.
29
30
Ibidem, pp.173.
Ivi.
18
2.
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza) Giorello asserisce che “la
lussuria […] è mescolanza di tutte le cose del mondo, rotture d’ordine, spezzatura”31. Nel
caso di Paolo e Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una rottura
dell’ordine quotidiano, anzi, dell’ordine del mondo come i due innamorati lo
conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata direttamente dalla potenza
(cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola: potenza come volontà) che
costituisce una parte essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano.
Dal momento in cui cedono alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente,
abbandona suo marito, pone fine al suo matrimonio. Nel v. 107 “Caìn attende chi a vita ci
spense”32 il nome di Gianciotto “è taciuto per disprezzo, non certo per ‘femminile
riserbo’”33. Neanche Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è
irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio chiave nella
loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione, è arrivato il momento in
cui decidono di rinunciare a tutto quello che è familiare, e di perdersi in un’avventura
della quale sanno che gli porterà sia la felicità assoluta sia la perdizione.
La tragica combinazione di tenerezza e di rovina è illustrata dal v. 106 “Amor condusse
noi ad una morte”34: “la prima e l’ultima parola del verso si rispondono fonicamente
‘AMOR condusse noi ad unA MORte’”. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso
s’iscrive nella lunga tradizione “di una diffusa paretimologia (Federigo dall’Ambra, son.
Amor che tutte cose: ‘Amor da’ savi quasi A! mor si spone’)”. Per di più, la parola morte,
nel Canto V dell’Inferno, “conclude la serie di proposizioni principali il cui soggetto è
Amore”35.
In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza di tutte le cose del mondo:
ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre
una gioia senza che, contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo
sentimento. È un dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni
31
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.23.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci
editore, 2007, pp.90.
33
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore,
2007, pp.90.
34
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90.
35
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90.
32
19
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche
per l’aspetto penoso che essa implica.
Da quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata come la
volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà,
non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di
qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti, considerarsi
come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio
dell’altro. Dante presta molta attenzione all’espressione di tale potenza. È probabilmente
una delle più belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica.
Forse la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può
realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche
come, in questo caso, il tragico.
Il desiderio umano, giudicato lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo
nella decisione presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell’Inferno,
cioè all’inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla,
infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all’inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe
desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla via della
perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di
una direzione nella sua vita. Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il
desiderio di Francesca domina su Paolo e vice versa.
Inoltre, Giorello pone che “la laicizzazione è la lussuria dell’emancipazione dalla
soggezione alla natura e/o alla divinità – emancipazione che costituisce la premessa di una
società politica matura”36. Secondo me, l’autore suggerisce che l’assunto che la
laicizzazione sia un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana
della lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie
forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un’azione
peccaminosa. L’idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase, però, è che il
desiderio umano di venir liberati dall’assoggettamento a un potere superiore si rivela
lussurioso, poiché si tratta di un desiderio.
Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce divina
del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi contemporanei. L’opposizione
36
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.26.
20
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
tra la volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista
del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia lussurioso non
dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti essenziali della lussuria è la forza
immensa della potenza umana che fa sì che la lussuria può esistere.
Oltre a ciò, l’autore menziona che “la lussuria istituisce il nesso tra conoscenza e oblio”37.
L’aspetto della lussuria che è analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza,
costituisce la forza che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle
proprie domande. In questo senso, forma, infatti, l’anello che lega l’ignoranza e la
conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera sapere se
e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà, sorgerà la
comprensione dei fenomeni che vuole capire.
Si può pure trasformare la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che
la conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l’oblio di altri fatti conosciuti
nell’essere umano che la ottiene, com’è illustrato dall’epopea mesopotamica la Saga di
Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V, tuttavia, si osserva il contrario.
Quello che era conosciuto nel passato non è dimenticato, come pone appunto Francesca
dopo che Dante le ha chiesto di raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti
amorosi reciproci: “E quella a me: “Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo
felice/nella miseria: e ciò sa ‘l tuo dottore”. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano
benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di conoscere li ha
messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in cui si baciavano e
s’appropriavano la conoscenza dell’altro.
Anzi, in questo passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: “Ma, s’a
conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che piange
e dice”38. Ciò illustra l’importanza ardente del significato del termine.
Per di più, Giorello pone che “la potenza della dea [Venere] è quotidiana […], non solo
eccezionale”39. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica della lussuria
rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si manifesta unicamente in
situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza sempre presente nell’essere
37
Ibidem, pp.28.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91-92.
39
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.35.
38
21
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
umano, gli appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo, però,
gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo essenziale. Senza di essa
non sarebbe più un uomo.
Per di più, rappresenta un impulso troppo gradevole. All’uomo piace infinitamente
provare una tale energia dentro di se. Gli dà l’idea che potrebbe, infatti, realizzare il
progetto che ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il
coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi in
una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È questo il momento in cui la
volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa eccezionale.
Questo momento speciale si osserva pure nella storia di Paolo e Francesca. Dopo un lungo
tempo di voler esser insieme (da solo), arriva quel punto in cui il desiderio di Paolo di
sapere come sarebbe di trovarsi nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La
bacia. Un momento riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa.
Giorello menziona anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi “maestra di
inganno”40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce
suo marito, Paolo suo fratello. All’aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà dedicato
un altro capitolo della presente tesi.
Ciò che colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della
conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un’idea che deduce
da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo Giorello si può capire da quest’opera che,
secondo Agostino, “la fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla forza di quella
divina) sia ben peggio […] di qualsiasi fisica impotentia coeundi”41 perché “nell’ordine
naturale l’anima è anteposta al corpo”. Agostino descrive la “lotta della passione [il corpo]
e della volontà [l’anima]” parlando della lussuria, affermando che esiste “almeno
l’imperfezione della passione nei confronti della pienezza della volontà”42.
Ciò pone l’accento sul valore più grande della forza mentale che è la volontà dell’uomo a
paragone del suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale è
valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe sostenere, quindi, che
si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza, unificatore. L’unione d’idee
40
Ibidem, pp.36.
Ibidem, pp.39-40.
42
Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, 2001,
pp.684-685.
41
22
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli antichi) si ritrova, appunto, nella
Commedia dantesca.
A mio giudizio questa fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell’opera. Si
rivela in modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V
proviene, tra l’altro, dall’enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra, Tristano, e di
tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica menzionati dalla guida di
Dante, Virgilio. Inglese spiega che
sono “donne antiche e cavalieri” (v. 71): insomma, l’intero mondo del romanzo
epico-amoroso, che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico “Troianorum
Romanorumque gesta… et Arturi regis ambages [‘avventure’] pulcerrime” (Dve I
x 2)43.
La loro apparizione conferisce un’atmosfera unica all’Inferno cristiano. Evocano la
grandezza delle storie antiche di alcune coppie famosissime.
Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della
disperazione, dell’amore e della perdizione caratteristico di queste storie si mescola, nel
Canto V, ai sentimenti (simili) di Paolo, Francesca e Dante.
Per quanto riguarda quella relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si
può segnalare che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca,
la visita del pellegrino forma un’opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei
colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua tragica storia
d’amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf. infra). Inglese afferma che
gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i dannati si presentano come un
momento affatto eccezionale nello “svolgersi” (che non ha però vero svolgimento)
della pena di questi ultimi […]: per un motivo superiore – ossia, per l’edificazione
del P. e poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio – la Provvidenza
suscita in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84) [“vegnon per l’aere,
dal voler portate”44]. Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte
drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un’altra
occasione di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento45.
43
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88.
45
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89.
44
23
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
Da quello che precede, risulta che “un estremo atto di personalità” implica una volontà
potente, dato che la volontà costituisce una parte essenziale dell’essere umano.
Si potrebbe dire che, con l’ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché
“dare forma verbale al proprio tormento” può significare “dare forma verbale al suo
peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura”. La seconda parte
della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere interpretata come “dare forma verbale”
al modo in cui entrambi il ricordo del “tempo d’i dolci sospiri”46 e quello della fine tragica
della sua storia d’amore la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si
presenterebbe non solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista.
Ritornando alle “donne antiche e cavalieri”, Renzi asserisce quanto segue:
Se ci sarà ancora una critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi,
qualcuno noterà, per esempio, che la “pietà” di Dante per Francesca, primo segno
della sua partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo
svenimento, era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle “donne antiche e ’
cavalieri”, dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti “peccator
carnali”. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca.47
Mentre Virgilio annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore,
cresce la compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e
silenzioso per tutto quell’amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso la persona
amata. Pasquini pone che “non si ha soltanto il dramma cruento dei due giovani amanti
riminesi; c’è anche il dramma interiore di Dante che si sente personalmente coinvolto in
quella tragedia”48. Questo dramma interiore che sperimenta il pellegrino di fronte “alla
tragedia romagnola” si spiega, secondo Pasquini, dall’atto d’accusa di Beatrice nel
Purgatorio (cf. infra). “Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale
traviamento, sotto la spinta del rigoroso atto d’accusa cui lo sottopone Beatrice; il che
spiega con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento – che non è solo pietà – di
fronte alla tragedia romagnola.”49
46
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91.
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.11-12.
48
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259.
49
Ibidem, pp.262.
47
24
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
Secondo Pierre-Louis Ginguené (1748-1815), autore di Histoire littéraire d’Italie, non è
stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia che ha scritto
l’episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato di Beatrice.50
In questo senso, il Canto V parla da Enea e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e
pure di Dante stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il passaggio di
Dante personaggio attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il
viaggio simbolico di ogni peccatore che desidera ritrovare la retta via.
Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà di Dante, ma “nota che la pena in fondo, se
non è mite, è la più piccola fra tutte quelle previste dal poeta”51. Renzi spiega come questo
“non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza conoscersi
l’uno con l’altro, molti critici, da Foscolo [Discorso sul testo della Commedia52] a
Teodolinda Barolini [Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love):
Inferno V in Its Lyric Context53]”. E ci aggiunge: “Bruno Nardi [Filosofia dell’amore nei
rimatori italiani nel Duecento e in altri54], che era l’unico che di queste cose se ne
intendeva davvero, ha notato che, tra i peccatori nella carne, Dante ha punito i golosi più
gravemente dei lussuriosi, invertendo l’ordine di San Tommaso”55. Forma un argomento
che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l’unico vero autore dell’episodio di
Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e certamente non il Dante teologo.
Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca da Rimini56) e per Benedetto Croce (La
poesia di Dante57), segnala Renzi, Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i
peccati dei lussuriosi. Inglese definisce la pietà di Dante (“pietà mi giunse e fu’ quasi
50
Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d’Italie, citato da Lorenzo Renzi in Le conseguenze di un bacio.
L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.134.
51
Ibidem, pp.135.
52
Ugo Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo,
Firenze, Le Monnier, 1979, pp.175-573.
53
Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its
Lyric Context, in “Dante studies”, 116, 1998, pp.31-63.
54
Bruno Nardi, Filosofia dell’amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura
medievale, Bari, Laterza, 1929, pp.1-88, il passo che interessa con i riferimenti a san Tommaso è alle pp.8182.
55
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.135.
56
Francesco De Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su Dante, a cura di Sergio Romagnoli,
Torino, Einaudi, 1967, pp.633-652.
57
Benedetto Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1966, pp.73-75.
25
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
smarrito”58) un “profondo turbamento in cui sono fusi l’orrore per il peccato e il dolore per
l’umanità peccatrice giustamente punita”59.
Per De Sanctis e per Croce, da un punto di vista emozionale, invece, Dante non condanna i
lussuriosi. Croce sottolinea pure il potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia
di Lancillotto e Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri
poeti, riesce a rompere e a superare l’incantesimo dolce dell’amore. Così, afferma Renzi,
il critico italiano “è riuscito a ottenere un momento di sovrano equilibrio nella storia della
critica [della Commedia], e in particolare dello scontro tra colpevolisti [quelli che
considerano Francesca una peccatrice integralmente responsabile delle vicende] e
giustificazionisti [quelli che si fanno paladino della donna]”60.
D’altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l’innocenza di Francesca, Inglese
segnala che la donna, affermando che “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”61, da un
punto di vista psicologico si rivela sincera, ma che, “nella prospettiva etica del poema, [è]
obiettivamente falsa” poiché “Amore [è] sempre soggetto delle azioni determinanti
[“prese costui della bella persona/che mi fu tolta: e ‘l modo ancor m’offende./Amor, ch’a
nullo amato amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non
m’abandona./Amor condusse noi ad una morte”]”62.
Da quest’angolatura, infatti, tutte le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto
quello dell’innocenza di Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore
come il vero colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si rivela
responsabile per le vicende.
Secondo Inglese, l’aggettivo leggieri che si trova nel v. 75 “e paion sì al vento esser
leggieri”63 farebbe parte di un’idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che
vuole dimostrare, al lettore, “il ‘peso’ carnale del peccato d’amore”. Tutto come questo
formerebbe un suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive “come
anima tormentata dalla passione d’amore”, mentre dalla struttura “è dannata per adulterio
incestuoso”64. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a Dante teologo e
58
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87.
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87.
60
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.144.
61
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.89.
62
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89.
63
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87.
64
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87.
59
26
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
cristiano, nella visione di Inglese (che distingue una struttura e una poesia nella
Commedia) appartiene alla struttura.
Per quanto riguarda la relazione tra la volontà umana, cioè il desiderio, e l’aspirazione alla
conoscenza propria all’uomo (anch’essa parte intrinseca della lussuria, cf. il titolo
dell’opera di Giorello Lussuria. Passione della conoscenza) il filosofo cita, a un certo
momento, Tommaso d’Aquino, il quale “concluderà […] che l’eccesso di conoscenza
(anche sessuale) fa male:”65 “Non bisogna che una vana e peritura curiosità ci attardi
nell’interessarci delle creature”66 “invece che indirizzarci al Creatore”67.
Secondo lui, il desiderio di conoscere Dio dovrebbe, quindi, prevalere su quello di
conoscere la natura, le caratteristiche del mondo che ci attornia, e sul desiderio di
appropriarsi “comprensione, intelligenza e consapevolezza”68. Ovviamente, si tratta della
visione cristiana sulle cose. Anche per Dante personaggio, la scoperta della luce divina
istituisce lo scopo principale del suo viaggio sotterraneo. In Dante autore, invece, si
uniscono tanto il desiderio dell’amore divino quanto l’aspirazione alla conoscenza, alla
sapientia mundi (cf. infra).
Si osserva anche che, quando la passione (ovvero il desiderio) della conoscenza riguarda il
divino, d’Aquino non considera tale desiderio come lussurioso e quindi non si parla di
peccato. Se, invece, concerne le creature che popolano il mondo, è bollato come
peccaminoso.
Dalle pagine precedenti, però, risulta che il desiderio umano si presenta come una
proprietà intrinseca della lussuria, e che, per di più, è lussurioso per definizione. Può
manifestarsi sotto innumerevoli forme, ma sarà sempre lussurioso. Dato che lussurioso,
nell’ottica cristiana, equivale a peccaminoso, la visione del fenomeno adottata nella
presente tesi (e nel testo di Giorello) non concorda con quella di d’Aquino.
Quale sarebbe il punto di vista di Dante scrittore? Adottando l’ottica di Inglese (che, nella
Commedia, individua una struttura e una poesia), si potrebbe sostenere che secondo la
struttura e la poesia elaborate da Dante scrittore, “il volere […] [poeticamente] sembra
eccezionalmente concesso alle anime perdute, [ma] appartiene in realtà [quindi
65
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.41.
Tommaso d’Aquino, La somma teologica, a cura della Redazione delle Edizioni Studio Domenicano,
Bologna, 1996, II-II, qu. 167, art. 1, Concl.
67
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.41.
68
Ibidem, pp.42.
66
27
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
strutturalmente] al ‘Re dell’universo’”69 (cf. v. 91-92 “se fosse amico il Re
dell’universo/noi pregheremmo lui della tua pace”70).
In ogni caso, Dante personaggio vuole ritrovare la retta via ed è, quindi, com’è già stato
segnalato, in ricerca della luce divina; costituisce il suo obiettivo maggiore. Dante
personaggio, però, coltiva più speranze, più desideri. Nel Canto V, appunto, è molto
curioso e vuole sapere chi sono le anime volanti che vede in quell’aria violetta rossastra.
Quando, più tardi, chiede a Francesca come Paolo e lei si sono rivelati i loro sentimenti
amorosi, la sua richiesta viene dal profondo del suo cuore. In quel momento si distingue in
modo molto chiaro la natura profondamente umana del personaggio. Di conseguenza,
mette anche l’accento sul fatto che il desiderio forma una particolarità propria all’essere
umano. Sottolinea che senza esso, l’uomo non sarebbe più un uomo.
Pure questo fa parte dell’evoluzione che deve attraversare ogni peccatore che intraprende
il viaggio verso la luce, e che deve attraversare, più in generale, ogni uomo che capisce
che ha commesso degli errori e che vuole rimettersi sulla buona strada.
Quando l’uomo non è più a contatto con tutto quello che si rivela buono e giusto, perde
anche un po’ l’umanità, in un certo senso. Ritrovando la sua volontà di comprendere e di
conoscere, riscopre in se qualità tipicamente umane. In questo senso, eppure in altri,
l’umanità costituisce, infatti, un elemento centrale nella Commedia.
Ritornando alla relazione tra la lussuria e la conoscenza, para interessante la seguente
citazione.
È l’aver infranto il tabù della “conoscenza proibita” ciò che ha reso vergognoso il
sesso e fatto germogliare la mala pianta della lussuria. Ma la “conoscenza” che il
frutto dell’albero vietato produce in chi ne gusta è la scienza del mondo che
diventa coscienza di sé.71
Giorello si riferisce al passo biblico di Eva, dell’albero con i frutti proibiti e del serpente.
La curiosità di Eva le ha costato il paradiso terrestre. La prima donna su terra ha scelto di
soddisfare la sua volontà di conoscere. L’ampliamento delle proprie conoscenze provoca
necessariamente un cambiamento fondamentale nel suo essere. Non si tratta di una
69
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.88.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88.
71
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.43.
70
28
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
curiosità riguardando l’unico Dio, e quindi, in un ambiente cristiano, è considerata come
peccaminosa (cf. la citazione di d’Aquino), anzi: si parla del peccato originale.
Facendo astrazione dalle conseguenze della decisione di Eva per tutta l’umanità (nel
contesto cristiano), la sua scelta la ha privato di qualcosa molto cara a lei, cioè il paradiso
terrestre. Si potrebbe dire che quello che era il giardino dell’Eden per Eva, è quello che
costituiscono la propria morte e la morte dell’amante per Francesca. Formano, in entrambi
i casi, le conseguenze dell’accondiscendenza delle due donne alla loro volontà di ottenere
una certa conoscenza. In questo senso, ogni indulgenza porta a un arricchimento (si ottiene
qualche conoscenza), eppure a una perdita. Anche ciò è responsabile per il carattere
ambiguo della lussuria.
Inoltre, il filosofo suggerisce che “Forse, è solo la ‘vergogna’ che accompagna la
‘conoscenza’ nell’Eva e nell’Adamo della Bibbia a essere tipicamente umana. Quale altro
animale avrebbe pudore della sua ‘nudità’?”72. Si riferisce ai sentimenti vergognosi che
s’impadroniscono di Eva e Adamo nel momento in cui si realizzano che sono nudi. Arriva
quel momento solo dopo che Eva ha mangiato il frutto proibito. L’autore pone che questa
vergogna potrebbe istituire, infatti, l’unico elemento che si presenta come tipico per
l’essere umano.
Ciò non significa che la conoscenza ottenuta non costituirebbe un’entità tipicamente
umana. Indica, invece, che quello che spinge l’uomo all’acquisizione di questa conoscenza
è la sua volontà (lussuriosa), la quale nasce, paradossalmente, dalla vergogna propria a lui:
“Perché la civiltà, e la cultura, e l’intelligenza, e l’attività, e la morale, e tutto,
insomma, è frutto di scontentezza e di paura o vergogna o senso di colpa che si
vuole nascondere o superare” (parole di Eugenio Colorni, combattente antifascista,
assassinato nel maggio del 1944)73.
Nel caso di Paolo e Francesca, l’acquisizione della conoscenza dell’altro non istituisce una
conseguenza di sentimenti di scontentezza. Forma il risultato della lunga sperimentazione
di paura, senso di colpa, e vergogna: la paura della rivelazione dei loro sentimenti
amorosi, il senso di colpa di Francesca riguardante suo marito, quello di Paolo
concernente suo fratello, e la vergogna dell’esistenza di tali emozioni, che non potrebbero
72
73
Ivi.
Ivi.
29
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno
esistere. A un certo punto, l’essere umano non può più nascondere il caos dentro di se.
Non riuscendo neanche a superarlo, intraprende, infine, delle azioni che lo rivelano. Paolo
e Francesca si baciano leggendo il testo su Lancillotto e Ginevra.
Si può terminare il secondo capitolo con l’accertamento che la volontà umana presenta
vari aspetti interessanti che la rendono molto particolare. È stato provato che forma il
nucleo del fenomeno della lussuria, poiché l’aspetto lussurioso costituisce una
caratteristica intrinseca della volontà umana, la quale istituisce, alla sua volta, una
particolarità intrinseca della lussuria.
La volontà umana e la lussuria si presentano, dunque, come due fenomeni strettamente
legati tra loro. Sono talmente in simbiosi che diventa difficile di determinare se l’uno
nasce dall’altro o vice versa. In ogni caso, la volontà tipica per l’uomo non potrebbe
esistere senza la presenza della lussuria, e non si può parlare di lussuria senza affrontare
questo fenomeno incredibilmente potente che è la volontà umana. La parola potente
annuncia, infatti, il capitolo seguente, il quale tratta la lussuria come potere.
30
3.
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
Anche per questa parte della mia tesi ho preso le mosse dal saggio monografico Lussuria.
Passione della conoscenza. Nel capitolo Cleopatra e le altre. Lussuria come
(contro)potere. L’autore, dopo aver enumerato i “casi esemplari della lussazione/lussuria”
si chiede “Quale trasgressione [sia] più grave – non sotto il profilo morale bensì sotto
quello politico? Quale destabilizza maggiormente ‘la repubblica’, cioè Stati e società?”74.
Sara commentato più in dettaglio l’idea che una manifestazione della lussuria possa
destabilizzare tutta una società.
Come si è spiegato nella parte precedente, la volontà umana, che si trova alla base di ogni
desiderio lussurioso, forma una forza considerabile. Di conseguenza, la tesi che essa
sarebbe in grado di sovvertire l’ordine costituito non è molto sorprendente. Le strutture
che formano e assicurano l’ordine in una società umana sono create da uomini. Si
presentano quindi come intrinsecamente fallibili.
Si ritrova lo stesso meccanismo nella storia di Paolo e Francesca. La potente volontà che
ha reso possibile la conservazione del loro segreto per tanto tempo (“anche la pulsione per
l’ordine può essere tirannica”75) farà pure sì che assecondano i loro sentimenti amorosi.
Dopo tutto, non desiderano altro che cedere a questi pensieri. La lussuria, in questo caso,
non distrugge i fondamenti di tutta una società, ma sovverta di sicuro quelli del mondo dei
due amorosi.
Qui, prima di continuare l’analisi dal punto di vista filosofica di Giorello, conviene
riferirsi a una considerazione di Renzi. Osserva che
“René Girard (l’autore, prima maniera, di Mensonge romantique et vérité
romanesque), ha notato [nell’articolo De la “Divine Comédie” à la sociologie du
roman76] che la storia di Francesca è il primo caso di una donna che agisce
apparentemente per amore, in realtà sotto un impulso letterario. L’osservazione
(del 1963) coincideva con quella di Contini (1958), dalla quale era indipendente.
Per l’uno e per l’altro in Francesca c’è la prima manifestazione della sindrome di
Madame Bovary”77.
74
Ibidem, pp.47-48.
Ibidem, pp.48.
76
René Girard, De la “Divine Comédie” à la sociologie du roman, in “Revue de l’Institut de Sociologie”, II,
1963, pp.264-269.
77
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.15.
75
31
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
Allora, a prima vista, la forza potente che si manifesta in quella situazione non è la
lussuria, ma la letteratura; “la critica moderna pensa che Francesca parli per anafore e
derivazioni perché letterata, femme lettrée, precorritrice di Emma Bovary”78. Anche le
lettere hanno pur sempre subito la collera dei Padri della Chiesa e di persone come fra
Girolamo79.
In questo caso, però, si potrebbe dire che è la lussuria presente nell’opera letteraria come
una fonte d’ispirazione per i lettori, che si rivela responsabile dello svolgimento delle
vicende.
Da questo punto di vista, si rivela una triplice peccaminosità in Francesca: non è solo una
donna e una lussuriosa, ma si presenta anche come una donna che legge. Questo terzo
aspetto, quindi, avendo un’importanza notevole per Dante autore, costituisce anche una
parte intrinseca di uno dei personaggi più celebri della sua Commedia.
Per di più, Renzi evidenzia un passo proveniente dal romanzo Resurrezione (1899) di
Tolstoj, il quale, a suo giudizio, indica uno dei paralleli che possono esser stabiliti tra
Dante autore e lo scrittore russo. Si tratta del loro atteggiamento analogo nei confronti del
aspetto vizioso della letteratura. Renzi cita il paragrafo seguente del romanzo:
C’è una ripugnante bestialità nell’uomo, - pensava [Nechljudov] – ma quando è
allo stato puro la vedi dall’alto della tua vita spirituale e la disprezzi, e sia che tu
cada o resista, rimani quello di prima; ma quando questa stessa animalità si
dissimula sotto una copertura pseudo-estetica, poetica, e pretende considerazione,
allora, divinizzando l’animalità, ti perdi in essa, e non distingui più il bene dal
male. Allora è terribile80.
Ciò vuol dire che il ruolo del libro su Lancialotto nello svolgimento delle vicende si rivela
doppio. Non solo il suo contenuto, la storia dell’amore lussurioso tra la regina Ginevra e
Lancillotto, ha spinto Paolo e Francesca a baciarsi, ma anche la sua forma d’apparizione,
cioè il fatto che costituisce un oggetto di natura letteraria, ha attribuito all’incitamento.
Poi, secondo Giorello, “C’è il fascino della via verso la distruzione. La lussuria, qui, è
sublime. Splende come i due soli su Tebe”81. Nel caso dell’ammirazione per ciò che si
78
Ibidem, pp.72.
Ibidem, pp.16.
80
Lev Tolstoj, Resurrezione, Milano, Garzanti, 1999, 8a ed., parte seconda, p.324.
81
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.49.
79
32
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
perde, la lussuria si rivela, appunto, molto affascinante. Godendosi l’idea della decadenza
di un certo fenomeno o di una certa persona, si desidera anche il declino al quale si pensa.
Si parla quindi di emozioni lussuriose.
Si tratta di una manifestazione particolare della lussuria. La coscienza dell’essere umano
gli segnala che si tratta di sentimenti da negare. Sono erronei, ignobili. La mescolanza di
tale avvertimento morale e del desiderio dubbio dà luogo a una combinazione di due
elementi che si contestano l’uno l’altro. Così nasce una varietà della lussuria che si rivela
sublime, come scrive Giorello. Una varietà brillante per la sua duplicità ambigua. Se si
elimina uno dei suoi due componenti, cambia immagine. Non rappresenta più quella
varietà singolare.
Si potrebbe suggerire che anche questa manifestazione particolare della lussuria sia
presente nel canto V. Paolo e Francesca comprendono che il loro desiderio dell’altro
implica, infatti, non solo la propria rovina, ma anche la perdizione di quell’altro tanto
adorato. Non desiderano questa perdizione, e cercano di non cedere ai loro sentimenti, tra
l’altro per evitare la rovina della persona amata. I versi 121-123 “E quella a me: ‘Nessun
maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella miseria: e ciò sa ‘l tuo dottore”82
esprimono il dolore che sperimentano i due dannati quando, nella bufera infernale,
ripensano ai momenti in cui erano felici. Il ricordo meraviglioso fa sì che la condanna a
un’eternità in Inferno si dimostra ancora più orribile. Inglese afferma che questa
constatazione “non è aperta ad alcuno svolgimento consolatorio”83.
Allo stesso tempo, però, la perdizione comune si presenta come attraente. Sarà
necessariamente comune, poiché, se arriva il giorno della rivelazione del loro amore
proibito, tutti i due vedranno crollare il mondo intorno a loro. Ma allora sarebbero almeno
insieme. Vale più essere insieme, e perduti, che non separati e salvati. In questo senso, si
potrebbe dire che la lussuria si manifesta anche nel suo modo sublime nel Canto V della
Commedia.
L’autore evoca pure un passo della Vita nuova. Si tratta della parte nella quale l’autore
narra un suo sogno molto particolare. Ci figurano non solo Dante e Beatrice, la donna
amata, ma anche Amor, figlio della dea dell’amore Venere. Quest’ultimo, “uno signore, di
82
83
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91.
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.91.
33
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
pauroso aspecto a chi la guardasse”84, costringe Beatrice a cibarsi del cuore del sognatore
Dante.
La donna non si ciba volentieri di quel cuore, ma “con sconcerto e timore”85. In questa
scena, Amor esercita il potere. Dante è solo in grado di osservare quello che succede;
Beatrice non può che obbedire alla volontà del figlio di Venere. Si sente che la lussuria è
presente in tale situazione, e non solo perché Amor è uno dei protagonisti.
In generale, offerto la possibilità di esercitare un certo controllo di questo tipo su un’altra
persona, l’essere umano se ne gode. Però, si tratta sempre dell’obbligo di fare qualcosa
che non disgusta completamente la persona nella posizione passiva. È per questa ragione
che, dal processo che si svolge in tali situazioni, sorge il sentimento piacevolmente
avvincente legato alla lussuria.
La vicenda del cuore mangiato costituisce un topos antico. Come risulta dai paragrafi
precedenti, il suo studio dal punto di vista della lussuria dà adito a qualche considerazione
interessante per quanto riguarda la Vita nuova dantesca. Anche nel Decamerone di
Boccaccio (IV, 9), segnala Giorello, si ritrova un’illustrazione significativa di questo topos
legato strettamente al fenomeno della lussuria:
“Messer Guglielmo di Rossiglione dà a mangiare alla moglie sua il cuore di
messer Guglielmo Guardastagno ucciso da lui e amato da lei”. Per la cronaca, il
primo è il nobile Raimon de Castel-Rossillon, il secondo il suo vassallo Guillem
de Cabestaing […], “trovatore” che nelle sue poesie apprezzava notevolmente le
virtù del suo signore, mentre pare che nella pratica preferisse i vizi della signora
[…]. Il Rossiglione chiede alla moglie se abbia gradito quel “manicaretto troppo
buono”. Alla risposta affermativa, il cavaliere ribatte: “Se m’aiti Iddio, […] io il vi
credo, né me ne maraviglio se morto v’è piaciuto ciò che vivo più che altra cosa vi
piacque”[86]87.
Anche in questa storia la lussuria prende varie forme. Si osserva la relazione chiaramente
lussuriosa della signora di Rossiglione con il vassallo di suo marito. Inoltre, il sentimento
che sperimenta suo marito quando le dà da mangiare il cuore del suo amante si rivela
lussurioso nel senso della parola commentato in questo capitolo: la lussuria come potere.
84
Dante Alighieri, Vita Nuova, a cura di Marcello Ciccuto, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1984,
pp.95.
85
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.50.
86
Giovanni Boccaccio, Decamerone, in Id., Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca,
Milano, Mondadori, 1967-1970.
87
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.50.
34
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
In quel momento a tavola esercita un potere incredibilmente forte sulla moglie. Ha
conoscenza di un dato molto importante e grave che lei ignora, benché le riguardi più che
suo marito, e del quale lui stesso è responsabile. Ha creato dalle sue proprie mani il potere
del quale gode adesso. Ciò rinforza ancora il suo sentimento di soddisfazione e di
controllo.
Accanto a queste due forme della lussuria, si osserva, nella novella boccaccesca, una
caratteristica molto particolare del fenomeno. Dal momento in cui la signora di
Rossiglione scopre la verità sul “manicaretto troppo buono” che ha appena mangiato, si
toglie la vita, mentre suo marito, dal momento della scoperta in poi, perde il potere che
esercitava sulla donna.
Ciò vuol dire che allora va perduto pure la soddisfazione provocata dal sentimento
lussurioso, nato a sua volta dal potere eccezionale esercitato sulla moglie tramite
un’azione tanto straordinaria. Si tratta quindi di un dono che, una volta acquistato, non
rimane in possesso del suo proprietario per molto tempo. Illustra che è soprattutto il
desiderio lussurioso che è desiderato, e non l’oggetto, la persona o la situazione che forma
il soggetto del desiderio. Dopo il suicidio della moglie, il signore di Rossiglione fa sellare
il suo cavallo e si dà alla fuga.
La lussuria come potere compare pure nel Canto V della Divina Commedia. Si rivela in
una maniera abbastanza ovvia, ma anche in un modo più astratto. Risiede, nella sua forma
semplice, nella lirica delle rime:
Se la lirica è ciò che ha a che fare soprattutto con il soggetto, […] il soggetto è
Francesca. Ma, come nota Teodolinda Barolini [88], [nel verso Amor, ch’a nullo
amato amar perdona], non lei è grammaticalmente soggetto, ma Amore, mentre
Francesca è sintatticamente oggetto (nei termini della semantica, si può anche dire
che Amore è agentivo, e Francesca paziente) [cf. anche Inglese, cf. infra]89.
La sua seconda condizione risulta più complessa. Nel momento in cui Dante chiede a
Francesca di narrargli come lei e Paolo si sono rivelato i loro sentimenti amorosi, la donna
si ritrova in una posizione particolare. Desidera ricordarsi quel giorno d’incredibile
88
Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its
Lyric Context, cit., pp.31-63.
89
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.63.
35
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
felicità. Sa, però, che quel giorno forma, allo stesso tempo, il ricordo più doloroso nel
mondo. La scelta (narrare o non narrare) è la sua. Dunque, lei domina la situazione. Il
potere gli appartiene. Decide se Dante avrà conoscenza dei dettagli della loro storia
amorosa, dei bei momenti, e della sua fine tragica.
Si tratta, però, di una scelta impossibile. È la sua natura impossibile, appunto, che
trasforma la scelta che affronta Francesca in un tormento. Non può che perdersi nel
rivivere di quelle ore vissute nelle braccia della persona amata. Sa che è inutile
contrapporsi a quel desiderio. Se ne rendono conto pure Virgilio, ed anche Dante
personaggio.
In questo senso, dopo la preghiera di Dante, la donna perduta può solo guadagnare un po’
di tempo. Il potere che è situato appena nelle sue mani si presenta, quindi, come un potere
apparente. Ma anche se questo potere si rivela, in fondo, solo apparente, i rapporti tra le
tre persone coinvolte nella conversazione non cambiano. L’illusione è abbastanza forte.
Suggerisce in modo convincente che Francesca ha una decisione vera e propria da fare.
Giorello, inoltre, dopo aver menzionato in un primo tempo il Decamerone di Giovanni
Boccaccio, approfondisce un po’ più i pensieri del poeta sul vizio della lussuria. Grande
ammiratore di Dante, Boccaccio ha commentato la lussuria nella sua opera Esposizioni
sopra la Comedia di Dante, cioè nell’esposizione allegorica del Canto V dell’Inferno.
Il filosofo segnala che secondo Boccaccio
“la lussuria è vizio naturale, al quale la natura incita ciascun animale il quale di
maschio e femina si procrea […]”. Senza di essa, terra acqua e aria sarebbero
vuote di qualsiasi “possessore”. […] La lussuria, infatti, ci è “data dai cieli”; e
questa nostra disposizione a “desiderare e amare” piacevoli forme sarebbe
temperata dal nostro “libero arbitrio”, se i nostri calori non “accendessero” la
concupiscenza [90]91.
Se la lussuria è “data dai cieli” (“alla fine è il meno offensivo di tutti gli altri”92), significa
che fa parte del potere esercitato sull’umanità dal “cielo”, cioè da Dio (in questo contesto
cristiano). Vuol dire che l’uomo si ritrova necessariamente sotto l’influenza di tale forza
90
Giovanni Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, in Id., Tutte le opere di Giovanni Boccaccio,
a cura di Vittore Branca, Milano, Mondadori, 1967-1970.
91
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.53.
92
Ivi.
36
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
lussuriosa. Non è lui che determina i suoi sentimenti lussuriosi. Il potere, da questo punto
di vista, rimane nel cielo.
Però, se l’essere umano esagera nelle sue azioni lussuriose, se comincia a credere che lui
stesso determina quello che succede in quest’ambito, finirà nella bufera infernale del
cerchio dei lussuriosi:
E per questo, oltre che fredda, la bufera descritta nel testo dantesco è
“impetuosissima”, come quel desiderio [il desiderio di prendere nelle braccia la
persona amata] fu in vita così forte da trascinare “i desideranti” (cioè i lussuriosi) a
spezzare ogni vincolo. Ma poiché il congiungimento fu ciò che più desiderarono,
per contrappasso ora che sono “morti e dannati” non vorrebbero nemmeno
sfiorarsi, mentre la bufera li sbatte l’un contro l’altro sì che essi possano
apprezzare quanto colpevole sia stato il loro “diletto” in vita93.
Nell’inferno è dimostrato che l’uomo non ha il diritto di decidere della propria sorte
lussuriosa.
Poi, nel ambito della lussuria come potere, si deve evidenziare il caso specifico del verso
103 “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”, il quale,
interpretato come “l’amore costringe chi è amato a riamare”, è il portatore della
supposta tattica autogiustificatoria di Francesca. […] Nello stilnovismo di Guido
Cavalcanti, seguito anche dal primo Dante lirico (come ha indicato
autorevolmente Bruno Nardi [94] e ha ribadito più recentemente Teodolinda
Barolini [95]) c’è posto, è vero, per l’idea della fatalità dell’amore: se qualcuno ne
è preso, non può ribellarsi. La volontà dell’innamorato è annullata96.
Da questo punto di vista, l’amore lussurioso presente nel Canto V supera quindi la volontà
umana dei due protagonisti. Renzi afferma che “nel dantismo contemporaneo vige
[questa] interpretazione: Francesca con questo verso, pregno di reminiscenze letterarie
[…], cerca […] di giustificarsi”97. Inglese asserisce che le parole del verso costituiscono,
93
Ibidem, pp.54.
Bruno Nardi, Filosofia dell’amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, cit.
95
Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its
Lyric Context, cit., pp.31-63.
96
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.65-66.
97
Ibidem, pp.66.
94
37
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
infatti, “una massima […] dell’amore spirituale […], di quell’amore che riflette in sé
l’amicizia (v. 91!) [“se fosse amico il Re dell’universo”98] fra Creatore e creatura”99.
Il verso permette di svelare l’evoluzione di Dante personaggio, la quale ha, infatti, subito
già Dante scrittore nel momento in cui compone la Commedia. Se, nell’Inferno, Dante
sostiene ancora che la volontà dell’innamorato è annullata, nel Canto XVIII del
Purgatorio invece (vv. 70-72)
Dante farà affermare autorevolmente da Virgilio che la volontà è in grado di
dominare l’amore, e che non è possibile ritenersi giustificati perché in preda
all’amore: “Onde, poniam che di necessitate/surga ogne amor che dentro a voi
s’accende/di ritenerlo è in voi la podestate”100.
Per quanto riguarda l’Inferno, quindi, la visione suggerita da Renzi, secondo la quale la
volontà dell’essere umano innamorato è annullata, si rivela parallela alla visione di Dante
autore. Nel Purgatorio, invece, in un certo senso, è l’idea deviata dal testo di Giorello che
si dimostra applicabile al testo dantesco: la volontà umana è capace di superare tutto. Solo,
Dante autore intende che essa può dunque battere la lussuria, mentre l’interpretazione
basata sulle idee di Giorello vuole evidenziare che il desiderio lussurioso si mostra il
culmine della volontà umana, si rivelando, di conseguenza, capace di vincere tutto.
D’altronde, nell’ambito degli atteggiamenti diversi che si rivelano nell’Inferno e nel
Purgatorio, occorre menzionare un’affermazione di Pasquini riguardante “la […] mutata
prospettiva rispetto agl’ideali stilnovistici e ancor più cortesi” di Dante autore. A Purg.
XVIII 19-33 Dante descrive l’amore “come fuoco che tende verso l’alto, ‘moto spiritale’,
in polemica […] coi miti letterari di Francesca”. Per di più, a Purg. XXII 10-12, il poeta
riprende quasi alla lettera la formula “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”,
“convertendola però in una fatalità retta dal sentire etico e ancora espressa attraverso
l’icona del ‘fuoco’: ‘Amore, / acceso di virtù, sempre altro accese’”. Quindi, nel
Purgatorio, la virtù forma un conditio sine qua non dell’amore, “la cui tragica assenza
98
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88.
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90.
100
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.66.
99
38
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
[cioè, della virtù] Francesca aveva dovuto sperimentare, nell’impossibilità di un
pentimento, con la conseguente dannazione (‘Amor condusse noi ad una morte’)”101.
Renzi segnala, però, che il principio della volontà innamorata annullata deve esser distinto
dall’idea che Amore obbliga chi è amato a riamare. Il secondo concetto, dice, “contrasta
infatti con l’esperienza comune […] [e] non ha posto nel codice di amor cortese”, mentre
il primo “corrisponde bene a un’esperienza comune”102.
Si osserva che “L’Amore costringe chi è amato a riamare” forma la spiegazione
tradizionale del verso famoso. Pasquini spiega che Virgilio chiede a Dante “Che pense?”
dopo il racconto di Francesca perché il pellegrino si dimostra “pensieroso”. Dante è
“perturbato, perché si riconosce partecipe di quella stessa colpa, non ignaro di certe
tentazioni, consapevole di aver pure lui ceduto alla forza della passione, per giunta anche
nella scia di mitologie letterarie (come quelle a cui aveva alluso Francesca)”. Ciò vuol dire
che si deve leggere l’episodio come “una palinodia della [sua] propria antica fiducia in
quelle convinzioni (l’amore non può non nascere negli animi nobili ed è una forza fatale
che obbliga a riamare per il solo fatto di sentirsi amati)”. Si tratta di “un radicale
accantonamento di precedenti miti esistenziali: in questo caso, l’idea cortese e
cavalleresca dell’amore”103.
Ma accanto all’interpretazione tradizionale, Renzi ne indica un’altra, secondo la quale
Francesca abbia “esagerato e deformato” il principio della fatalità dell’amore, e “abbia
usato citazioni e versi di poeti a modo suo, a fini autogiustificatori”. Facendo così, avrebbe
dimostrata “la sua natura truffaldina”.
Ciò vuol dire, dice Renzi, che questa seconda teoria “distrugge tutta la risonanza che ha la
figura di Francesca su quella del poeta pellegrino (che avrebbe potuto già dire: ‘Francesca,
c’est moi!’) e che ha provocato a lungo, e provoca ancora, la simpatia del lettore”104. Pone
che neanche quest’interpretazione gli sembra la corretta.
Renzi suggerisce che si potrebbe pensare ancora a un’altra possibilità, prendendo come
punto di partenza le significazioni diverse del verbo perdonare. All’epoca, non poteva
solo significare esimere, ma anche scusare. Perciò, il verso 103 potrebbe rappresentare un
101
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.262-263.
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.66.
103
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.260.
104
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.67-68.
102
39
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
significato molto differente: “Amor, che vieta a ogni amato di riamare”. Allora la volontà
umana sarebbe integralmente responsabile delle vicende lussuriose narrate nel Canto V. Si
tratta di un’interpretazione proposta da Francesco Benozzo nel 1999 (“Amar perdona”
(Inferno, V, 103): nota di semantica dantesca105).
Secondo Renzi, però, questa soluzione non può essere considerata come corretta, poiché,
secondo essa, Francesa “non si giustificherebbe, ma si condannerebbe”, mentre si sa che “i
dannati, tra cui proprio Francesca, restano legati al loro peccato e non si pentono della loro
colpa, in Dante come nella tradizione patristica a cominciare da Agotino – in realtà
Fulgenzio, del De fide ad Petrum – a san Bonaventura e a san Tommaso”106. Preferisce
quindi l’interpretazione tradizionale, secondo la quale il verbo perdonare significa
esimere. Di conseguenza, afferma che la volontà umana lussuriosa supera tutt’altro
desiderio che potrebbe trovarsi dentro un essere umano.
Giorello, inoltre, indica un esempio classico molto rappresentativo della lussuria come
potere. Riguarda alcuni personaggi classici molto famosi dei quali la guida di Dante
personaggio, Virgilio, ne menziona uno spiegando a Dante che vede tra tutti i lussuriosi
nel secondo cerchio dell’inferno.
Si tratta “dell’ultima regina dell’Egitto preromano (69-30 a.C.), amante prima di Giulio
Cesare e poi di Marco Antonio”107, Cleopatra. Si sono sviluppate due storie di lussuria
molto differenti intorno a questa donna non solo bella e amata ma anche potente e tragica.
Si osserva che nella descrizione della regina si ritrovano tutte le caratteristiche della
lussuria. Non è sorprendente, quindi, che intorno a lei si possano identificare varie
manifestazioni del fenomeno.
Uno dei triumviri romani dell’epoca, Ottaviano, rimprovera il suo collega Antonio di
perdersi completamente nella sua relazione con la regina d’Egitto. “Ormai non è più
maschio di Cleopatra, né la regina più femmina di lui.”108 È la sua opinione che Antonio
sta dimenticando i propri progetti politici ambiziosi, il futuro del triumvirato e quindi
quello del regno romano.
105
Francesco Benozzo, “Amar perdona” (Inferno, V, 103): nota di semantica dantesca, in “Quaderni di
semantica”, XX, 1999, pp.363-365.
106
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.70.
107
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.55.
108
Ibidem, pp.56.
40
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
La lussuria è diventata più forte della sua volontà politica, ha turbato la sua mente. Il
potere vero e proprio, quindi, è passato dallo spirito razionale e ambizioso dell’uomo
all’emozione lussuriosa che ha provocato in lui la regina Cleopatra. Per di più, “Ottaviano,
il nemico più eccellente, è tra i primi a capire che la lussuria di Cleopatra l’ha consacrata
come vera sovrana […] la lussuria, che l’ha portata al potere [politico], l’ha pure trascinata
alla rovina”109.
Nel caso di Ottaviano si osserva l’inverso. “Ottaviano […] elidendo la forza disgregatrice
della passione lussuriosa, riesce nel proprio disegno di dominio.”110 La lussuria non arriva
a esercitare il controllo sull’uomo.
Per quanto riguarda Paolo e Francesca, si potrebbe dire che la lussuria, in loro, è riuscita,
infine, ad appropriarsi il controllo assoluto. Pure nel fratello di lui, marito di lei, assassino
di entrambi, ha neutralizzato tutta resistenza. Gianciotto, non riuscendo più à combatterlo,
cede al desiderio di distruggere le due persone che l’hanno ingannato.
Poi, Giorello si riferisce a due altri personaggi classici identificati da Virgilio nel secondo
cerchio dell’Inferno, cioè a Enea e Didone. Dante scrittore, prendendo come modello
Virgilio autore, presenta Didone come
una donna che disfa, sotto irrefrenabile spinta lussuriosa, quel che ha
politicamente costruito, e tutto a causa della passione amorosa per un ‘eroe’
[Enea] destinato a essere fondatore di Stati dopo la devastazione subita dalla sua
patria (anch’essa crollata a cagione di un’altra incontrollabile lussuria, quella di
Elena e Paride)111.
Ciò vuol dire che in entrambi i casi (Enea e Didone, Elena e Paride) si ritrova un potere
lussurioso responsabile per la distruzione di progetti politici, di piani costruiti su base di
ambizione, intrinsecamente progetti di potere. Di conseguenza, formano delle belle
illustrazioni della forma di lussuria commentata nel capitolo presente. Nella storia di Elena
e di Paride, il marito della prima, Menelao, abbandona pure il suo regno per poter
riconquistare sua moglie a mano armata.
109
Ibidem, pp.58.
Ibidem, pp.56.
111
Ibidem, pp.61.
110
41
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
Un’altra idea molto interessante di Giorello, nel contesto della lussuria come potere, è
quella che stabilisce un legame tra paradigmi teologali e cardinali, e gli errori commessi
dai lussuriosi che figurano nel Canto V della Commedia. L’esposizione di questa idea
illustra che sono tutti lussuriosi, ma ciascuno in un altro modo. In altre parole, la loro
lussuriosità presenta sempre un carattere particolare. Il cedere alla volontà lussuriosa si
verifica sempre in un modo diverso:
E se gli eroi maschili incarnano, uno ciascuno, l’opposto delle tre virtù teologali:
fede, speranza e carità (Paride, un fedifrago; Tristano, uno che si dispera
nell’amore; Achille, uno spietato che infierisce sui cadaveri, oltre che sui vivi),
con “Semiramìs” si completa il ribaltamento delle quattro virtù cardinali: giustizia,
fortezza, temperanza, prudenza. Elena si rivela dissennata, dunque “imprudente”;
la debolezza di Didone è antitesi della fortezza […]; Cleopatra brilla per
intemperanza (troppo libidinosa […]); Semiramide è, per eccellenza, la
sovvertitrice della giustizia112 .
Da questo punto di vista, Paride e Paolo si rivelano, a un certo livello, dei lussuriosi simili:
sono tutti i due fedifraghi. Individuare un parallelo tra Francesca e una delle lussuriose
classiche sembra più difficile. Si potrebbe suggerire che ne c’è uno tra lei e Elena, poiché
Francesca, imprudentemente, si avventura su un terreno minato nel momento in cui si
lascia baciare da Paolo. D’altra parte, dopo quel momento, alea jacta est, e la lussuriosa si
rivela quasi tanto sfrenata e libidinosa che la regina d’Egitto.
Giorello, tramite il passo appena citato, prova che accanto alla distinzione tra varie forme
di lussuria che ha operato nel suo saggio (e che è utilizzata pure come base della presente
tesi), si può, per di più, attribuire ancora qualche sfumatura, qualche caratteristica
particolare alle varie manifestazioni del fenomeno. Si potrebbe dire che ogni forma di
lussuria è resa unica dalla combinazione sempre differente di particolarità e di strati dai
quali è composta.
Della Semiramide storica Giorello scrive ancora che era “dotata di un genio politico che
pare mancasse a non pochi colleghi di sesso maschile: il suo piegare le leggi a piacimento
andrà inteso anche come capacità autenticamente rivoluzionaria di cambiare il potere e le
sue forme”113. Ciò illustra la sua potente ambizione politica e indica, di conseguenza, la
112
113
Ibidem, pp.64-65.
Ibidem, pp.66.
42
La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno
forza del desiderio lussurioso che risulta capace di appropriarsi tutto il potere (e tutta la
volontà di potere) che la donna ha in se.
Il filosofo menziona un passo di un’opera scritta da Polieno, “storico di cose militari del II
secolo d.C.” 114. In modo splendido, fa prova tanto dell’ambizione politica di Semiramide
quanto della forza immensa che deve possedere la lussuria una volta che si è appropriata
questa volontà potente, e l’oggetto del potere non è più di natura politica ma di natura
lussuriosa. È Semiramide che prende la parola.
La natura mi ha donato un corpo di donna, ma le mie azioni mi hanno resa pari
agli uomini più valorosi. Ho retto l’impero di Nino che verso oriente arriva fino al
fiume Inamene, verso sud al paese dell’incenso e della mirra, verso nord alla
Scizia e alla Sogdiana. Prima di me nessun assiro aveva visto mai il mare, io ne ho
visti quattro, che mai alcuno aveva raggiunto perché troppo lontani. Io ho costretto
i fiumi a scorrere dove io volevo e li ho incanalati in luoghi dove fossero utili: ho
fecondato la terra sterile irrigandola con le loro acque. Ho innalzato fortezze
inespugnabili, ho perforato con picconi montagne impraticabili per farne delle
strade. Ho procurato ai miei carri delle vie, là dove neanche bestie feroci si erano
mai inoltrate. E in mezzo a tutte queste occupazioni, ho trovato il tempo per i miei
piaceri e i miei amori.115
114
115
Ibidem, pp.66.
Polieno, Stratagemata, citato da Giulio Giorello in Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.67.
43
4.
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
Come risulta dai capitoli precedenti, la lussuria si presenta sempre come un fenomeno
ambiguo. Questa natura particolare viene fuori particolarmente chiaro quando si
analizzano i due elementi da cui è generata: il piacere e il dolore.
““Tentazione” cui alla fine cederà […] con la stessa emozione e solennità di chi ha
compreso che è venuta l’ora della morte e dell’amore insieme”116 scrive Giorello, parlando
di un passo di Nella colonia penale (1914) di Franz Kafka117. È una frase che ricorda il
bacio di Paolo e Francesca. Cedono alla tentazione dell’altro, alla quale hanno resistito per
tanto tempo.
Scrivendo semplicemente emozione, senza aggiungerci qualche aggettivo per sottolineare
l’incredibile forza delle emozioni che sorgono in un tale momento, l’autore pone l’accento
su questa forza. Dopo il loro bacio, i due lussuriosi comprendono che non c’è più una via
d’uscita. È finito. E allo stesso tempo, è l’inizio di tutto.
Dopo le emozioni sconvolgenti viene la solennità. La combinazione delle trepidazioni e
della lucidità costituisce una contrapposizione parallela alla riunione paradossale di
piacere e di dolore propria alla lussuria. Una doppia ambiguità, quindi. Paolo e la sua
donna amata accettano della propria sorte, nel senso che si rendono conto che, prima o
poi, questo momento doveva arrivare necessariamente.
Per di più, l’ultima parte della frase del filosofo sembra scritta non come commento alla
Colonia penale, ma ai due personaggi più celebri del Canto V. Dopo esserci baciati,
capiscono che è venuta l’ora della morte e dell’amore insieme. Gianciotto Malatesta,
infatti, non risparmierà la vita né a suo fratello, né a sua moglie, i quali avevano appena
trovato un amore sincero e eterno.
Il carattere tragico di queste vicende, narrate da Francesca, proviene in gran parte dalla
presenza delle varie ambiguità appena commentate. Rischiano, talvolta, a mettere in
minoranza la bellezza che precede la morte e l’inferno. La tragicità, però, è lenita dalla
maniera benevola in cui Dante scrittore trattiene i lussuriosi. Si ritrovano nel secondo
cerchio dell’Inferno. Sono puniti, quindi, in modo abbastanza mite.
116
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.72.
Franz Kafka, Nella colonia penale, in Id., La metamorfosi e altri racconti, a cura di R. Paoli, Milano,
Mondadori, 1994.
117
44
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
Inoltre, Giorello pone che “quasi mai il reale è razionale”118, e che l’irrazionalità del reale
costituisce la causa di tutte le storie lussuriose finite male. Questa idea sembra applicabile
al Canto V. Se Paolo e Francesca avessero continuato a ragionare a mente fredda, non
avrebbero ceduti alla tentazione lussuriosa, personificata dall’altro.
Ciò vuol dire che la lussuria, come libertà, sfida l’essere umano. Gli presenta varie
possibilità. L’uomo è in grado di fare una scelta. Possibilità, in questo senso, diventa quasi
sinonimo di libertà. Se la lussuria non offrisse scelte diverse, non rappresenterebbe una
libertà.
Una delle opzioni presentate dalla lussuria è, appunto, quella della razionalità. Per quale
ragione Paolo e Francesca non la scelgono? Sono troppo potenti il fascino e la forza
d’attrazione della lussuria? La combinazione di piacere e dolore –che non appartiene
esclusivamente alla lussuria, ma che si rivela in modo schiacciante in essa- sembra
esercitare, infatti, un’attrazione eccezionale sugli esseri umani. L’ambiguità intriga, attira.
Quello che non è univoco si rivela più interessante di quello che lo è realmente, e “ciò che
agisce in modo subliminale può essere spesso altrettanto importante di quello che è
palese”119.
La combinazione del piacere e del dolore non rappresenta la sola opposizione
contraddittoria nel Canto V. Il Canto scoppia dai contrasti (cf. Pasquini: “tutto si lega in
Dante, in una vitalità pluriprospettica che non esclude debolezze o contraddizioni, ma che
apre orizzonti sempre nuovi”120). Come segnala Renzi, l’atteggiamento contraddittorio
circa la letteratura mondana dei Padri della Chiesa si riflette non solo in Boccaccio, ma
anche in questo testo dantesco.
Anche in Dante la materia classica era debitamente anestetizzata (almeno in
superficie) grazie all’interpretazione allegorica. Ma non c’erano ormai le sole
fabulae classiche. Intanto, provenendo da Oltralpe, una folla di letteratura profana
in volgare aveva invaso la scena, e Dante e gli amici suoi ne avevano fatto una
bella scorpacciata: poeti provenzali, “prose di romanzi” in francese. La tematica
amorosa era dappertutto.121
118
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.72.
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.55.
120
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.268.
121
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.89.
119
45
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
Ciò evidenzia come si fa che l’amore puro brilla nell’atmosfera religiosa di un Canto su
uno dei vizi capitali. Mitiga il sentimento di contraddizione che sperimenta vagamente il
lettore della Commedia quando legge le rime narrando la storia di Paolo e Francesca. A
mio giudizio, quest’integrazione di aspetti profani ed elementi cristiani costituisce uno dei
meriti più importanti del poeta, poiché si rivela rinnovatrice e molto riuscita.
A questo proposito, Pasquini chiarisce che “uno studio matto e disperatissimo” era
responsabile per la presenza di varie idee compromettenti nello spirito del giovane Dante,
cioè di affermazioni “sul primato della ragione […], sull’elogio della Filosofia e sull’uso
di sapienza […], sull’amore della sapienza che cancella ogni altro amore […] e sull’abito
della sapienza mediante il quale si giunge alla felicità terrena”122. Ulisse, spiega, si rivela
il “doppio” di Dante: “eroe di conoscenza [cf. le colonne d’Ercole], senza però l’aiuto
della grazia divina, quindi condannato al fallimento”123.
A questa “superbia intellettuale”, però, si sostituisce, progressivamente, “una
magnanimità” di natura diversa. Si tratta di un’evoluzione che si rivela anche nelle tre
cantiche dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. In quest’ultima Cantica, infatti, “pur
pagando un suo tributo al fascino che su di lui aveva esercitato […] [la] sapientia mundi e
[l’] intellectus speculativus […], Dante arriva alla tranquilla certezza che il summum
bonum non va posto in una ragione umana sottratta a ogni vincolo, accettando egli di
affidarsi […] al mistero della provvidenza divina”124. “La parentesi” che contiene tutti i
personaggi positivi dell’Inferno (i quali, del resto, sono conformi “la struttura stessa del
primo regno oltremondano”) riguarda quindi “il segreto di una coscienza, il meccanismo
di certe scelte fatali e irreversibili”125.
Renzi spiega che tale mescolanza notevole di elementi cristiani e profani si ritrova nel
Canto V e non soltanto in un altro Canto perché Dante scrittore, quando Dante
personaggio si trova davanti a Francesca, si rende conto quanto perderà se rinuncia alla
letteratura classica e profana, per diventare un poeta esclusivamente cristiano (anche se
non la abbandona completamente). In quel momento, Dante personaggio perde i sensi. Lo
svenimento rappresenta le emozioni che sperimenta l’autore, ma anche Dante personaggio
122
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.273.
Ibidem, pp.266.
124
Ibidem, pp.274-275.
125
Ibidem, pp.277.
123
46
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
si realizza quanto sta perdendo andando alla ricerca della luce divina, cioè le gioie che
erano legate ai peccati commessi.
Anche Inglese asserisce che
come i suoi maestri, Dante tenta di sintetizzare prospettive filosofiche
radicalmente diverse: il creazionismo cristiano; la dottrina aristotelica della
potenza e dell’atto, ossia di un divenire senza inizio e senza termine; la visione
neoplatonica di una forza creatrice che genera il molteplice dall’uno grazie a una
serie di intelligenze intermedie126 .
Ma, più dei suoi maestri, Dante “lascia che si mostri la forza dei contrasti […] la
riflessione dantesca ha una drammaticità che non si lascia iscrivere in una semplice linea
evolutiva”127. Il poeta-filosofo, inoltre, aspira all’armonizzazione dei contrasti.
La grandiosa ouverture filosofica della terza cantica, il “sistema del mondo” di
Beatrice, è una tessima e “impossibile” conciliazione fra la nozione aristotelica di
materia prima, il creazionismo cristiano e la dottrina neoplatonica delle
intelligenze inferiori e mediatrici della potenza divina.128
Nel capitolo terzo è stato segnalato come, prendendo in considerazione l’Inferno e il
Purgatorio, Dante autore cambia idea per quanto riguarda la fatalità dell’amore. Nella
seconda cantica, sostiene chiaramente il punto di vista cristiano, contraddicendo quello
che aveva suggerito nel Canto V dell’Inferno. Colpisce, quindi, l’apparizione del nome di
Ginevra nel Paradiso (XVI, 14-15), poiché evoca “la regina splendidamente adultera,
sottinteso nell’Inferno”. Vuol dire che “decisamente le ‘ambages pulcerimme’ non
avevano perduto il loro fascino” per Dante autore:
dopo averle dimostrato la più sentita solidarietà (“pietà”), Dante smette di
ascoltare le voci dei Padri della Chiesa, e si sente libero di ripensare alle più belle
poesie d’amore, sue e dei suoi predecessori e amici. Il Purgatorio […] gli sembra il
posto migliore per incontrare i confratelli purganti 129.
126
Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.10.
Ivi.
128
Ibidem, pp.11.
129
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.91.
127
47
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
Ora, come Renzi, ci si può chiedere che significano tali apparizioni brillanti della
letteratura e della poesia profana nella Commedia per l’immagine dell’amore nei Canti
successivi. Una volta narrata la storia di Paolo e Francesca, ci sarebbero ancora dei
riferimenti al amore umano puro, accanto alle rappresentazioni di amore divino? Non ci si
aspetterebbe a una risposta positiva a quella domanda, e infatti, non lo è. Ciò rende il
Canto V ancora più splendente nell’insieme della Commedia.
Pasquini, però, asserisce che “la vicenda di Francesca […] non si chiude col V
dell’Inferno, neppure nella dimensione mentale dell’autore”, che la storia dei due amanti,
per Dante, costituisce “una ferita da rimarginare”. Per di più, segnala Pasquini, Dante,
“attraverso la cellula generativa del ‘che pense?’ [“Quand’io intesi quell’anime
offense/chinai il viso, e tanto il tenni basso/fin che ‘l poeta mi disse: ‘Che pense?’”130]
[…] sormonterà dal ‘perché te ne stai così pensieroso?’ al ‘che vuoi fare di te?’, dal
traviamento amoroso a un più generale traviamento morale”131. L’episodio di Paolo e
Francesca forma quindi un filo rosso che, anche se dopo il Canto V abbandona il suo
aspetto amoroso (nel senso di amore terreno) s’infila nei versi di tutta la Commedia.
Giorello, d’altronde, si riferisce alle “storie delle sante e dei santi cristiani, messi a morte
nei modi più perversi e ingegnosi, ma capaci nella loro stessa passività di tramutare la
sofferenza in (divino) piacere”132. Pone che, nella loro situazione, dolore e piacere si
ritrovano pure insieme. Anche in questo caso si tratta di una vicenda che lega strettamente
la morte e un desiderio ultimo.
La differenza con una storia come quella di Paolo e Francesca è che per i due ultimi
l’acquisizione di quello che volevano significa la loro dannazione. Per i santi cristiani,
però, dopo il loro martirio, implica la loro benedizione. Vogliono rimanere fedeli al loro
Dio, a qualsiasi prezzo, anche se la loro fede li conduce alla morte. Il sacrificio della loro
vita costituisce l’ultima prova del loro amore per Dio.
La scelta irrazionale può, quindi, dare luogo a delle situazioni molto diverse. Forse il
carattere imprevedibile della lussuria contribuisce al fascino per lei. Non può essere
controllato completamente dalla mente umana; dove condurrà l’uomo resta incerto.
Rimane sempre un po’ imponderabile.
130
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90-91.
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.260.
132
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.76.
131
48
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
Oltre a ciò, Giorello, a un certo punto, evoca qualche idea cristiana sulla donna.
Non è stata forse una donna (Eva) a portare nel cosmo maschile la colpa – cioè il
disordine e la morte? La donna non è altro che “la seduttrice che introdusse nel
mondo il peccato, e dev’essere fuggita come la porta dell’Inferno”, diceva
Tertulliano nel De cultu foeminarum: l’inferiorità del secondo sesso è insieme
ontologica (Eva è stata creata dopo) e morale (ma è stata la prima a peccare)133 .
L’origine del peccato in generale, e quindi del peccato della lussuria in particolare,
sarebbe femminile. Per questa ragione, e poiché la donna è stata creata dopo l’uomo, il
sesso femminile costituirebbe il sesso inferiore. Questa idea cristiana è completamente
assente dal Canto V, e dalla Divina Commedia in generale. Anzi, si potrebbe dire che la
donna, nell’opera dantesca, rappresenta la creatura più pregevole nel mondo.
Leggendo il Canto V da questo punto di vista, si osserva che Dante scrittore cerca di
attribuire, nel processo lussurioso, un ruolo uguale a Paolo e a Francesca. Anzi, pone quasi
l’accento sul fatto che l’uno non è più responsabile dell’altro per quello che succede. La
ricerca di un’illustrazione dell’uguaglianza dei sessi in una tale situazione forma un’azione
rinnovatrice.
La responsabilità condivisa dai due amanti contribuisce all’evocazione della bellezza
amorosa. Mitiga l’aspetto peccaminoso delle vicende. Illumina l’amore tra le due giovane
persone, e fa sì che si dimentica quasi di trovarsi in inferno. Il lettore, alla stregua di Dante
personaggio, si perde nell’evocazione delle vicende narrate da Francesca. O, come pone
Renzi:
Dante investe di “pietà” la figura di Francesca, del suo compagno […]. […]
l’episodio di Francesca drammatizza e presenta in exemplo la palinodia di Dante,
il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell’amore terreno e della sua
poesia (lo Stil novo), per cominciare l’ascensione. La povera Francesca resta giù
nell’Inferno, coi lussuriosi; Dante soffre con lei, sviene, ma si incammina verso
l’alto. E noi, i lettori? Noi un po’ seguiamo Dante, e un po’ rimaniamo giù
nell’Inferno con Francesca […]134.
133
Ibidem, pp.84.
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.7-8.
134
49
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
D’altronde, occorre notare il pianto particolare di Paolo. Piange mentre parla Francesca, e
lo fa in silenzio. “Il pianto muto di Paolo fa da contropartita alla (quasi) esclusiva e
irrefrenabile verbosità maschile della lirica italiana del Duecento.”135
Com’è già stato segnalato, Pasquini spiega come “qualcosa di Francesca ritorna in Dante e
nel suo personale traviamento, sotto la spinta del rigoroso atto d’accusa cui lo sottopone
Beatrice [Purg. XXXI 49 ss.: “e se ‘l sommo piacer sì ti fallìo/per la mia morte, qual cosa
mortale/dovea poi trarre te nel suo disio?”136]”137. Tale domanda illustra l’uguaglianza tra
la donna e il pellegrino, anzi, in questo caso, la superiorità di lei.
È assente ogni giudizio su qualunque possibile differenza tra i due sessi che avrebbe
potuto essere presente nel Canto V. Dante scrittore supera il contesto esclusivamente
cristiano creando un universo atemporale, senza restrizioni di sorta.
Per di più, Giorello, in un passo su Enrico Tudor e sulle donne nella vita del re inglese,
menziona che
Alla morte della sorellastra (1558), Elisabetta, figlia della Bolena che era non solo
immagine ma personificazione di lussuria, riprisinterà la riforma di Enrico con
grande equilibrio politico, accentuando alcuni dei tratti comuni col
Protestantesimo continentale ma guardandosi dal concedere troppo ai Puritans o
Precisians che vorrebbero “una riforma nella riforma”, insofferenti come sono dei
vincoli di una Chiesa di Stato: Elisabetta è vera signora della propria lussuria
privata, che controlla in modo esemplare, e perciò è meritoria castigatrice della
pubblica lussuria altrui (come constaterà a proprie spese la regale cugina Maria
Stuart di Scozia, processata nel 1586 e decapitata nel 1587)138 .
Nel caso di Elisabetta, il cercare di controllare la lussuria si dimostra l’aspetto doloroso
del fenomeno. Anche nella storia di Paolo e Francesca gli innumerevoli tentativi di negare
e di nascondere la lussuria si rivelano terribilmente difficili.
Nell’analisi che fa il filosofo della situazione di Elisabetta, suggerisce che lei sarebbe
meritoria castigatrice della pubblica lussuria altrui poiché riesce in modo meraviglioso a
controllare i propri sentimenti lussuriosi. A mio giudizio, si risente qualche ironia in
quest’osservazione.
135
Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.93.
Dante Alighieri, La divine comédie, traduction de L. Espinasse-Mongenet, texte italien établit sur la
dernière édition de la Società Dantesca Italiana, Paris, Les Libraires Associés, 1965, pp.353.
137
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.262.
138
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.86.
136
50
La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno
Nonostante ciò, si potrebbe dire, infatti, che colui che riesce a nascondere o a vivere i
propri desideri lussuriosi in privato, sia più forte di quello che li vive in pubblico. La
prima persona fa prova di furbizia, mentre la seconda, apparentemente, non ha più
l’energia o è tanto frastornata dalla lussuria che non arriva più a nascondere le vicende alla
comunità.
In un certo senso, quindi, l’ultima persona è più sincera della prima. Si ritrova nel Canto
V: Paolo e Francesca dovrebbero essere guardati come appartenenti al secondo gruppo di
persone. La sincerità con la quale vivono il loro amore dopo esserci baciati, anzi, dopo
esser scoperti da Gianciotto, contribuisce alla commozione che sente Dante personaggio e
che regna nel Canto V.
La sincerità, non solo da un punto di vista cristiano, ma anche, più in generale, da un
punto di vista morale e umano, rappresenta una caratteristica preziosa. Perciò piace tanto a
Dante scrittore. Emerge dal testo che la stima importante e ammirevole.
Per di più, la sincerità contribuisce all’evocazione di un sentimento d’identificazione non
solo in Dante personaggio, ma anche nel lettore del testo dantesco. Anche se non tutti
sarebbero tanto aperti per quanto riguarda un loro amore lussurioso, lo vorrebbero essere.
E, riferendosi ancora una volta all’inglese lussuriosa già menzionata, Elisabetta, le persone
che riescono a nascondere la loro lussuria sono, senza dubbio, invidiose di quelle che la
vivono apertamente.
51
5.
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
Saranno commentate, nel capitolo seguente, varie idee riguardanti i rapporti tra lussuria e
filosofia. Si tratterà qualche proposta concernente il soggetto di Giorello, Giordano Bruno,
Leone Ebreo.
A un certo punto, quest’ultimo scrive che
la coesione religiosa è un freno a quella lussuria della coscienza privata,
intellettuale e carnale insieme, che altrimenti spingerebbe qualunque sedizioso a
sostenere che la sua fede e il suo culto sono gli unici ad avere quella “purezza” che
potrebbe redimere i suoi concittadini139 .
Letta nella luce del Canto V, questa frase contiene due idee molto interessanti. Nella sua
prima parte, l’autore sostiene che il potere della fede supera quello della lussuria della
coscienza privata. Pone quindi l’accento sul carattere non individuale ma comune della
fede; si tratta di un sentimento religioso che non solo è condiviso da varie persone ma che
le unisce pure. Supera dunque il livello dell’individuo da due punti di vista. Ciò accentua
l’aspetto individuale della lussuria, la quale è presentata come un fenomeno appartenendo
a una sola coscienza.
Si potrebbe comunque dire che, nel caso di Paolo e Francesca, si può anche parlare di
un’unione di due coscienze. Ma perfino in questo contesto di amore vero, di compassione
dalla parte di Dante personaggio, rimane il sentimento che ci sia presente qualcosa di più
grande valore, un fenomeno il cui potere unificatore è ancora molto più grande.
Nella seconda parte della frase citata, ci interessa la nozione di purezza, cioè la purezza
propria alla fede. Anch’essa è presente nell’Inferno: “O animal grazïoso e benigno/che
visitando vai per l’aere perso/noi che tignemmo il mondo di sanguigno/se fosse amico il
Re dell’universo/noi pregheremmo lui della tua pace/poi c’hai pietà del nostro mal
perverso”140. Come un raggio di sole, contrasta con l’atmosfera infernale. L’oscurità
dell’Inferno la accentua, e rende ancora più candida la fede. La luce della fede lascia nelle
ombre i due amanti protagonisti del Canto V. In questo senso, contrasta pure con loro e
con la loro storia.
139
140
Ibidem, pp.97.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88-89.
52
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
Parlando della lussuria in termini filosofici, Giorello si riferisce al filosofo italiano
Giordano Bruno, e al passo seguente che ha scritto:
Ma che fo io? Che penso? Son forse nemico della generazione? Ho forse in odio il
sole? Rincrescemi forse il mio et altrui essere messo al mondo? Voglio forse ridur
gli uomini a non raccòrre quel più dolce pomo che può produr l’orto del nostro
terrestre paradiso? Son forse io per impedir l’instituto santo della natura?141
Bruno critica la visione della Chiesa sui rapporti tra uomini e donne. Si chiede perché,
infatti, l’istituzione rappresentando la fede cristiana solleva tanti argomenti per restringere
e controllare un fenomeno così ovvio. In un certo senso, quindi, si fa paladino di Paolo e
Francesca, poiché non solo la procreazione ma anche l’amore vero tra i due sessi si
presenta come una caratteristica tipica dell’essere umano. In parole appassionate, Bruno
invoca la libertà di amare. Si potrebbe dire che, di conseguenza, i suoi pensieri possono
pure essere invocati in un contesto di compassione per i poveri peccatori del Canto V.
Inoltre, Giorello descrive le idee di Bruno sull’ermeneutica cristiana, la quale parla, tra
l’altro, della trinità divina. Bruno vorrebbe sostituire un’altra visione a quella concezione
tradizionale; non sottoscrive l’affermazione che Gesù sarebbe stato divino. Suggerisce
invece che l’unità divina sia presente nella natura infinita, e quindi anche nei corpi
femminili. Di conseguenza, la lussuria giocherebbe un ruolo importante nella decifrazione
di quel gran segreto.
Una volta preso in considerazione queste riflessioni riguardanti la presenza divina su terra,
si vede il Canto V con altri occhi. Da questo momento in poi, la lussuria, il desiderio
dell’altro, potrebbe incarnare l’amore divino stesso. Apre nuove prospettive. Cambiano i
rapporti tra Paolo e Francesca, Dante personaggio e il potere divino che ha creato e
domina l’Inferno.
Prima, le relazioni tra i vari protagonisti nel Canto V sembravano abbastanza ovvie: i
lussuriosi erano puniti dalla potenza divina, e Virgilio, condannato, quanto a lui, a
un’eternità nel Limbo, guidava il pellegrino Dante attraverso il mondo sotterraneo
dell’Inferno. Adesso, però, i peccatori nel secondo cerchio infernale sembrano essere
141
Giordano Bruno, Eroici Furori, in Id., Le opere italiane di Giordano Bruno, testi critici e nota filologica
di G. Aquilecchia, introduzione e coordinamento generale di N. Ordine, Torino, Utet, 2002.
53
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
condannati per aver cesso a un desiderio che fa parte della stessa unità divina che regge
l’Inferno.
Per di più, la modificazione di quel vincolo (cf. infra) influenza il legame tra i lussuriosi e
Dante personaggio, e la condizione del pellegrino. Dante prova pur sempre una
compassione considerevole per Paolo e Francesca. Questi sentimenti mitigano il suo
giudizio. Ciò vuol dire che, infatti, è toccato dall’unità divina stessa, la quale si manifesta,
tra l’altro, nella lussuria, almeno dal punto di vista di Bruno. Il calore della presenza
divina si riflette sul pellegrino. Di conseguenza, per un momento, si trova già più vicino
alla retta via che sta cercando che si pensava prima di aver letto la teoria filosofica di
Bruno riguardante la trinità divina.
Secondo Giorello, studiando gli scritti di Bruno dal punto di vista della lussuria, occorre
riferirsi al filosofo Leone Ebreo, ovvero Yehudah Abrahamel, dato che i due dotti
sembrano trattare il fenomeno lussurioso in modi abbastanza simili. 142
Giorello cita un passo rilevante dai Dialoghi d’amore. Ne risulta un’affermazione già
menzionata nella presente tesi, cioè l’idea che solo attraverso il desiderio si può arrivare a
conoscenza vera e propria.
Ebreo pone l’accento sul fatto che il desiderio ci conduce alla conoscenza poiché la
volontà di essere esaudito è una sua caratteristica intrinseca. Una volta il desiderio è
soddisfatto, si ottiene la conoscenza perseguita. Rendendo la sua teoria astratta un po’ più
concreta, Ebreo dà un esempio molto semplice. Un affamato, dice, farà tutto per ottenere
quello che desidera il più, cioè l’alimento, il pane. Non si fermerà finché sa che sapore ha.
E mediante questo amore e desiderio veniamo alla vera cognizione unitiva del
pane, la quale è quando in atto si mangia: ché la vera cognizione del pane è
gustarlo. Così accade che l’uomo con la donna: che conoscendola esemplarmente
s’ama e desidera, e da l’amore si viene al conoscimento unitivo che è il fine del
desiderio. E così è in ogni altra cosa amata e desiderata: ché in tutte l’amore e
desiderio è mezzo che ci leva da l’imperfetto conoscimento a la perfetta unità che
è il vero fior d’amore e desiderio.143
142
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.104.
Leone Ebreo, Dialoghi d’amore, a cura di D. Giovannozzi, Introduzione di E. Canone, Roma-Bari,
Laterza, 2008.
143
54
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
Ebreo sostiene quindi che ogni desiderio offre a ogni uomo la possibilità di perfezionarsi,
di completare le proprie conoscenze, e dunque di diventare un essere umano superiore.
Parla della perfetta unità che si nasconde dietro le voglie, tutto come Bruno affermava che
nella natura infinita si trovava l’unità divina.
La combinazione delle parole desiderio, amore e unità invoca naturalmente il Canto V.
Tenendo in mente Ebreo e Bruno, si potrebbe dire che Paolo e Francesca sono riusciti a
trovare questa unità ideale. Dopo tutto, hanno ottenuto la conoscenza desiderata.
Si deve segnalare, però, che il loro caso è diverso da quelli illustrati dal esempio di Ebreo.
L’affamato al quale si riferisce avrà cercato di negare la sua fame per dimenticarla per un
momento, come Paolo e Francesca hanno voluto negare e nascondere i loro sentimenti per
non dover cederci. Una volta presentato il cibo, però, l’affamato non dubiterà, e lo
mangerà. I due protagonisti del Canto V, invece, sono continuamente confrontati con
l’oggetto del loro desiderio, cioè l’altro, e non prendono la palla al balzo la prima volta
che avrebbero potuto farlo.
Per di più, grazie all’unione con l’altro, si crea un vincolo, e “non solo l’amore è ‘vincolo’,
ma lo è anche la fede, che esprime il nostro amore e desiderio del divino”144, scrive
Giorello, parafrasando le idee di Bruno (secondo il quale “l’amore è il vincolo
fondamentale, il vincolo dei vincoli”145, e “la vera religione è, in essenza, vincolo, forza
vincolatrice, potenza di vincolare”146). Un legame religioso costituisce quindi sempre un
vincolo d’amore (cf. Inglese: “amore che riflette […] l’amicizia […] fra Creatore e
creatura”, cf. supra); l’inverso, invece, non è vero.
Nel Canto V si osservano vari vincoli di natura diversa. Il legame tra Paolo e Francesca ne
è una di amore ma siccome si tratta di un amore lussurioso, certamente non si può parlare
di un legame religioso. Neanche il rapporto tra Virgilio e Dante personaggio (e quello tra
l’autore classico e Dante scrittore) è di natura religiosa, ma sì di natura amorosa, nel senso
che Dante ammira infinitamente l’opera virgiliana.
L’ultimo vincolo presente nel secondo cerchio infernale che va menzionato è quello fra
Dante personaggio e la luce divina di cui sta cercando il calore. Com’è già stato segnalato,
nell’Inferno, la presenza divina è nascosta nella lussuria stessa (almeno dal punto di vista
144
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.105.
Michele Ciliberto, Esistenza e verità: Giordano Bruno e il “vincolo” di Cupido, introduzione a Eroici
Furori, Giordano Bruno, Roma-Bari, Editori Laterza, 2000, pp.XVI.
146
Ibidem, pp.XIV.
145
55
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
di Bruno), e si rivela quindi già abbastanza presente nell’Inferno, comunque la parte più
buia della Commedia. Qui, si tratta del vincolo più potente del Canto, poiché si tratta di
una legatura consistente non solo in amore puro, ma anche in fede. È il solo caso in cui
questi due tipi di vincoli descritti da Bruno si sovrappongono.
In questo contesto, occore segnalare una frase di De Magia – De vinculis in genere con cui
il Nolano descrive quello che considera “il vincolo di Cupido”: per Bruno,
l’amore è il fondamento di tutte le passioni: chi non ama nulla, infatti, non ha
motivo di temere, sperare, gloriarsi, insuperbirsi, osare, disprezzare, accusare,
scusare e umiliarsi e gareggiare e infuriarsi, turbarsi insomma in altre guise
analoghe147 .
Chiarendo la nozione del vincolo nei scritti di Bruno, si può citare Michele Ciliberto, il
quale spiega quanto importante erano per il Nolano il vincolo e il vincolare. Bruno, infatti,
sviluppa “un nuovo concetto di religio – di vincolo ‘civile’ e ‘naturale’” senza il quale,
secondo lui, non si potrebbe realizzare qualunque riforma sul piano del sapere scientifico e
filosofico. Afferma che si ha bisogno di “una religio che vincoli in modi nuovi gli uomini
fra loro e gli uomini con Dio, attraverso la natura”, poiché il cristianesimo, sostiene
Bruno, “spezza i vincoli tra fratello e fratello, fra padre e figlio, fra uomo e natura, fra
uomo e Dio sostituendo alla pace la guerra, alla concordia la discordia, alla conoscenza
l’ignoranza e l’asinità”.148 Ciliberto segnala che quelli pensieri bruniani fanno parte della
riflessione etico-politica e religiosa elaborata dal filosofo in Inghilterra, e che si ritrovano
nei suoi testi Spaccio e Cabala del Cavallo pegaseo.
Secondo la visione del Nolano, il mondo, unificato e vincolato, si avvicina da un’unità
“viva, dinamica, mai statica, mai ferma: tramata da infinite ‘differenze’, da infinite
‘distinzioni’ unificate e vincolate da una ‘comunicazione’ continua, perenne, universale
tra tutti i piani della conoscenza e della realtà”149.
Inoltre, gli scritti di Bruno permettono di svelare i legami tra la lussuria come filosofia e la
lussuria come potere (cf. supra). “Da un lato, [il Nolano] attribuisce all’eros (prima
carnale poi ‘filosofico’) la forza che può scalzare anche la più consolidata tradizione […];
147
Giordano Bruno, De magia – De vinculis in genere, a cura di A. Biondi, Pordenone, Edizioni Biblioteca
dell’Immagine, 1986, pp.177.
148
Michele Ciliberto, Esistenza e verità: Giordano Bruno e il “vincolo” di Cupido, cit., pp.XIII-XIV.
149
Ibidem, pp.XV.
56
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
dall’altro, l’intero processo a livello politico deve contribuire ‘a mantenere la pace’[cf. De
magia – De vinculis in genere150].”151 Illustra in un modo molto chiaro che anche l’aspetto
conoscitivo della lussuria attribuisce alla sua forza.
In generale, si può affermare che la filosofia presenta un carattere intrinsecamente infinito,
poiché in ambito filosofico le risposte definitive non esistono, e la quantità di domande da
porsi si rivela illimitata. Anche la passione della conoscenza umana, cioè la lussuria, si
mostra senza limiti. “La lussuria che sperimentiamo in questa vita non è la fine del
processo, bensì il processo stesso, nella consapevolezza che la quête – la ricerca, la
‘caccia’ – non termina mai.”152
Si potrebbe suggerire che pure la quête di Paolo e Francesca non finirà mai. Hanno
scoperto un amore vero, ma si dimostra un amore che non ha futuro; la felicità non durerà.
Ciò vuol dire, infatti, che, interiormente, i due lussuriosi continueranno ad anelare al
ideale che hanno in mente. Tutto come la filosofia, il desiderio lussurioso descritto nel
Canto V si presenta quindi senza fine. Non è sempre così; forma una caratteristica propria
alla storia di Paolo e Francesca. Com’è già stato segnalato, tutte lussurie danno prova di
tratti particolari.
Poi, sempre per quanto riguarda le nozioni di lussuria, fine, e limite, Giorello segnala
un’idea bruniana tirata dal poema De immenso153 secondo la quale “solo la limitatezza
dell’esistenza rende finito [il numero di conoscenze ottenute]”154. Per i due lussuriosi del
Canto V, questi tre termini sono ancora più legati tra di loro che per un caso di lussuria
qualsiasi. L’acquisizione della conoscenza più desiderata implica la fine della loro
esistenza, cui durata sarebbe stata limitata in ogni caso, ma che, adesso, è accorciato in un
modo molto brusco.
Accanto al nucleo di queste nozioni, si osserva ancora un altro elemento negli scritti di
Bruno che permette di fissare un legame tra lussuria e filosofia:
Nei Furori [155 ] il Nolano precisa che “l’amor suo” è l’opposto del “desiderio”
della farfalla: questa fuggirebbe lontano se conoscesse la potenza distruttiva della
150
Giordano Bruno, De magia – De vinculis in genere, cit.
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.106.
152
Ivi.
153
Giordano Bruno, Opere latine, a cura di C. Monti, Torino, Utet, 1980.
154
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.108.
155
Giordano Bruno, Eroici Furori, cit.
151
57
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
fiamma (che per questo le è “discara”); mentre l’amore filosofico “vien guidato da
un sensatissimo e pur troppo oculato furore” che rende piacevole il fuoco
distruttore.156
In effetti, la farfalla, in uno dei due sonetti che si trovano alla base degli Eroici furori,
costituisce uno dei tre animali ai quali si riferisce Bruno per illustrare tanto l’irresistibilità
quanto il potere distruttivo del desiderio. La morte sorprende lei, il cervo e l’unicorno. Nel
saggio Farfalle Sabine Verhulst commenta il sonetto in cui appariscono le tre immagini,
riferendosi al libro Non al suo amante più Diana piacque. I miti venatori nella letteratura
italiana di Janis Vanacker157:
Se il furioso condivide il destino funesto dei tre animali, a differenza di essi però
opta consapevolmente per una caccia al “primo e sommo bene” aliena da ogni
prudenza, anzi, quella del furioso eroico è una passione (filosofica) che implica la
piena “disponibilità all’autodistruzione” (Vanacker).158
Richiamandosi al topos della farfalla bruciata nella fiamma, Bruno s’iscrive in una lunga
tradizione, poiché rappresenta “un’immagine molto diffusa e particolarmente fortunata
nella letteratura italiana” che, con il Nolano, per esempio, ha fatto pure “qualche notevole
incursione nel campo filosofico”159. Come segnala Verhulst, appare, tra l’altro, in
Petrarca, Leonardo da Vinci e Pirandello.
Lei osserva che, nella lirica italiana, “prevale l’idea dell’irresistibilità della passione […].
Il chiarore della fiamma simboleggia il fascino della bellezza femminile, il fuoco il
carattere distruttivo della passione”, mentre in generi moralistici domina l’idea
“dell’inevitabile punizione spettante a chi soggiace al piacere”160. Si potrebbe dire che, nel
Canto V, queste idee si riflettono tutte e due. Di conseguenza, nell’Inferno dantesco, si
sente anche la presenza dell’ “interpretazione tradizionale della farfalla come simbolo
dell’anima”161. Le due anime lussuriose del Canto V, Paolo e Francesca, potrebbero essere
paragonate a due farfalle affascinate e bruciate dal lume. Si pensa pure “al singolare ciclo
156
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.108.
Janis Vanacker, Non al suo amante più Diana piacque. I miti venatori nella letteratura italiana, Roma,
Carocci editore, 2009.
158
Sabine Verhulst, Farfalle, in, AA.VV., Animali della letteratura italiana, Gian Mario Anselmi, Gino
Ruozzi, Roma, Carocci editore, 2009, pp.104.
159
Ibidem, pp.99-103.
160
Ibidem, pp.100.
161
Ibidem, pp.98.
157
58
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
vitale dei lepidotteri, caratterizzato dalle metamorfosi”162 che si rivela responsabile per le
associazioni numerose della farfalla e il trapasso dalla vita alla morte.
Il topos della falena illustra benissimo la differenza tra la maggioranza delle storie
lussuriose e le vicende raccontate da Francesca. Al contrario della farfalla che si approccia
sempre di più del fuoco e infine brucia viva poiché non comprende che vola verso la
morte (com’è il caso per molti che desiderano ardentemente), loro, si avvicinano al calore
mentre hanno piena consapevolezza del pericolo che rappresenta. Questa coscienza è
molto presente nelle rime del Canto V. Anzi, contribuisce in gran parte alla forza di quelle
righe dantesche.
Il filosofo, sostiene Bruno, è molto simile al lussurioso. Il suo sensatissimo furore fa sì che
continua ad aspirare ai suoi scopi (conoscitivi), anche se, per questo, è necessario correre
il rischio di perdere tutto. In effetti, secondo il Nolano,
chi teme, chi spera, chi si gloria, chi s’insuperbisce è il furioso: vincolato da
Cupido, dall’Amore, egli vive dentro di sé – nell’anima e nel corpo – tutte le
passioni […]. Il “furioso”, impegnato con tutte le sue forze nella “venazione” della
più profonda e nascosta Verità […] oltre l’indifferenza sceglie la contrarietà, oltre
la vicissitudine l’unità, oltre la virtù egli sceglie il vizio. Del resto, questo, un
vizio, è in essenza l’eroico furore […]163 .
Ciò vuol dire, chiarisce Ciliberto, che il vizio, l’esperienza di tutte le passioni, cioè il
“vincolo di Cupido” forma l’unico mezzo con cui si può scoprire la felicità e la Verità
assoluta. Gli unici a trovarle sono quelli che sperimentano nella loro carne il “vincolo”;
sono quelli che possono “cogliere oltre il cerchio il punto, oltre il tempo l’eternità, oltre la
‘indifferente’ sapienza ‘l’unica verità’ [Bruno propone una distinzione molto netta tra “il
sapiente” e “il furioso”: “il sapiente è estraneo al vincolo, a tutte le passioni di cui l’amore
è fondamento”164]”.165
Inoltre, per il Nolano, esiste una relazione parallela a quella tra il sapiente e il furioso, cioè
il legame tra l’intelletto e la volontà. Ciliberto spiega come l’intelletto, tutto come il
sapiente, è attirato dalla Verità assoluta, ma, poiché non animato da passione, non riesce a
coglierla, al contrario della volontà e del furioso. Bruno pone che l’intelletto precede la
162
Ibidem, pp.105.
Michele Ciliberto, Esistenza e verità: Giordano Bruno e il “vincolo” di Cupido, cit., pp.XX-XXII.
164
Ibidem, pp.XX.
165
Ibidem, pp.XXII-XXIII.
163
59
La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno
volontà e che la virtù precede il vizio, ma che solo la volontà, e quindi anche il vizio, si
rivelano capaci di dischiudere “nuovi orizzonti all’occhio umano”.166
Però, per quanto riguarda la relazione tra la passione e l’intelletto (o la conoscenza),
quello che colpisce nella teoria bruniana è che chiarisce come il corpo costituisce un
elemento necessario per arrivare alla Verità (il che sottolinea le similitudini tra il
lussurioso e il filosofo):
la conoscenza della prima Verità passa attraverso l’amore e l’amore, a sua volta,
passa attraverso il sacrificio all’anima del corpo e della bellezza corporale a quella
spirituale […]. Ma senza corpo non c’è passione, non c’è vincolo d’amore. Non si
può dare cioè ‘eroico furore’167.
Senza dubbio, “il massimo contributo” alla modernità di Bruno è “una ricerca della verità
e una riforma della ragione che ne allarga a dismisura le potenzialità, congiunte, l’una e
l’altra, a una radicale ‘esperienza’ di se stessi attraverso il ‘vincolo d’Amore’”168 nella sua
opera Eroici Furori.
166
Ibidem, pp.XL.
Ibidem, pp.XXIV.
168
Ibidem, pp.XXX.
167
60
6.
La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V
dell’Inferno
Sono già stati commentati parecchi aspetti della lussuria, e l’inganno è già stato
menzionato qualche volte. Dato che forma un elemento tanto importante nel Canto V
(poiché Francesca, baciando Paolo, tradisce suo marito) ci sarà consacrato un capitolo.
Dopo, l’idea della lussuria come sovversione sarà messa in relazione con esso.
Si potrebbe dire che “ubbidire unicamente ‘alla propria voce’”, come, infine, lo fa
Francesca, “è il nucleo della libertà individuale”169. Infatti, il culmine della libertà
individuale si trova nella possibilità di fare le sue scelte. L’abbandono della ragione, il
cedere al loro unico desiderio costituisce una delle opzioni che i due lussuriosi del Canto
V hanno a disposizione, e si rivelerà la loro scelta preferita.
Tuttavia, si può suggerire che Francesca “si crede libera, ma è solo in balia delle proprie
‘voglie’”170. Infatti, la volontà facendo parte del desiderio può diventare tanto potente che
l’essere umano che la sperimenta ne diventa l’oggetto. Da quel momento in poi, in quale
misura si può ancora parlare di libertà e di scelte?
Facendo astrazione dalla causa (libera volontà o no) che si trova alla base della decisione
lussuriosa presa durante la lettura del Lancialotto, si deve affermare che ha avuto come
conseguenza il tradimento di Francesca, la quale è sposata. L’infedeltà dovrebbe esser
rimasto nascosto; sfortunatamente, Gianciotto l’ha scoperto, e la lussuria diventa
“dissoluzione: generatrice di vita, ma anche dispensatrice di morte”171. Però, si può
chiedersi se si osserva solo inganno dalla parte di Francesca. Paolo, pur sempre, tradisce
anche lui.
Il tradimento costituisce un fenomeno molto intrigante. Spesso, è immediatamente legato
alla lussuria. Non è solo la loro frequente coincidenza che ci attribuisce, sono anche le loro
caratteristiche comuni. Per esempio, il tradimento rompe la fiducia sulla quale è basata
una relazione tra due esseri umani. Perciò, i feriti causati da esso si dimostrano tanto
profondi. Se non si può avere confidenza nelle persone amate (cioè, in tutte quelle in cui si
169
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.120.
Ivi.
171
Ibidem, pp.132.
170
61
La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell’Inferno
ha fiducia), si ritrova da solo, e si sa che un essere umano non sopporta la solitudine, vuole
vivere in compagnia. La lussuria, quanto a lei, addolora in un modo molto simile.
Pure la discussione sulla libertà e sulle scelte (cf. supra) costituisce un tratto comune alla
lussuria e al tradimento. Nell’esposizione qua sopra, si riconosce la descrizione delle
conseguenze della lussuria, e di questa volontà fortissima che forma una sua parte
indispensabile. Può anche essere individuato il tipico cedere a un desiderio del quale
l’essere umano è diventato l’oggetto, e non ne è più il padrone.
Ovviamente, studiando la relazione fra tradimento e lussuria, non si può dimenticarsi della
terza parte, la persona tradita, cioè Gianciotto. Si tratta di un doppio tradimento, poiché
non è legato solo alla parte femminile della coppia lussuriosa, ma anche al protagonista
maschile. Si dimostrano due tipi diversi di tradimento, e la combinazione dei due dà luogo
a un intreccio complesso.
Il tradimento lussurioso implica almeno un triangolo di persone. Quella figura si rivela
molto più intrigante che, per esempio, una coppia, perché sottintende un numero elevato di
rapporti più irrequieti. Nel caso del Canto V, il livello di complessità e, di conseguenza,
quello di ansia sono ancora aumentati dalla natura diversa dei due tradimenti.
Differiscono, ma il disordine che causano è lo stesso. Lo sconvolgimento forma un’altra
nozione fondamentale che fa parte della trama lussuriosa e ingannevole.
Il tradimento, tutto come la lussuria, stravolge la situazione, travisa l’immagine che i
protagonisti avevano del loro mondo e della loro vita. Però, per quanto riguarda questo
choc, si osserva una variazione notevole tra lussuria e tradimento, la quale ha un ruolo
importante nel Canto V. Per i lussuriosi, lo choc non si presenta completamente
inaspettato. Per quello che è tradito, invece, sì. Nel secondo cerchio dell’Inferno, si
ritrovano entrambi, poiché si tratta, tra l’altro, dell’infedeltà di una moglie.
Dai paragrafi precedenti, si può concludere che i rapporti tra lussuria e tradimento
consistono tanto in paralleli quanto in contrari, i quali non possono esser separati gli uni
dagli altri. La loro combinazione dà luogo a una rete complessa di relazioni di natura
differente strettamente legate tra di loro.
Quanto al aspetto peccaminoso dell’inganno lussurioso, si osserva che presenta una
doppia viziosità. Quel tipo di tradimento è considerato vizioso non solo perché costituisce
una parte di un fenomeno classificato tradizionalmente come un vizio capitale, ma anche
62
La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell’Inferno
poiché esiste un legame tra l’infedeltà del lussurioso a sua sposa e la slealtà del apostata
alla fede.
Giorello lega quest’ultima idea al riformatore Giovanni Calvino172, il quale, in 1545,
sosteneva che “come l’uomo stanco della propria moglie si stacca da lei, così il libertino
può separarsi dai veri insegnamenti di Cristo e rappresentare un pericolo per l’istituzione
della religione cristiana”173.
Inoltre, il filosofo si riferisce a una versione particolare “della tesi di Spinoza [174] per cui
l’ordine delle idee e l’ordine delle cose coincidono, sicché l’alterazione del corpo
corrisponde all’affetto della mente”175 di Julio Romero de Torres (1874-1930). In un
dipinto, l’artista afferma l’esistenza di “sei forme del sentimento: l’amore atteso, puro,
simbolico, religioso, profano, consumato (e consunto)”176.
Si rimarca che il sentimento provato dai due protagonisti del Canto V si trasforma da un
amore atteso in un amore puro, simbolico, profano e consumato, ma che, invece di
diventare anche religioso, si presenta pure come ingannevole. La sesta forma nella quale
un sentimento può manifestarsi, secondo la teoria di de Torres, è rappresentata nel Canto
V dall’amore di Dante personaggio per la purezza divina, il quale si sta sviluppando già
all’inizio del suo viaggio sotterraneo.
Infatti, in un primo momento, Paolo e Francesca non fanno che desiderare di vivere
l’amore che sperimentano. Dopo, la storia che narra lo scoperto e la consumazione del
loro amore puro e profano è diventata iconica, e il suo carattere ingannevole la avvolge in
un alone di ansia e tensione.
Nella luce della nozione d’inganno, pure l’idea di Giorello che dal momento in cui si
nasce, si comincia già a morire177, si rivela interessante. Se si considera Paolo e Francesca
già come morendi nel momento in cui si baciano, quel bacio non costituisce la sola causa
della loro morte. L’infedeltà di Francesca e il tradimento di Paolo non formerebbero
172
Giovanni Calvino, Contro la setta visionaria e rabbiosa dei libertini, che si definiscono spirituali, in Id.,
Opere scelte, vol. II, a cura di L. Ronchi De Michelis, Torino, Claudiana, 2006.
173
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.129.
174
Baruch Spinoza, Ethica, a cura di S. Giametta, Torino, Bollati Boringhieri, 2004 (si è tenuto anche conto
dell’edizione italiana a cura di E. Giancotti, Roma, Editori Riuniti, 1988, e dell’edizione bilingue, testo
originale latino e versione di G. Durante, prefazione di G. Agamben, Vicenza, Neri Pozza, 2006).
175
Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.137.
176
Ivi.
177
Ibidem, pp.138.
63
La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell’Inferno
quindi i soli colpevoli delle vicende tragiche raccontate al pellegrino attraversando
l’inferno.
Per di più, de Torres si fa anche paladino dei due traditori affermando che “la lussuria,
lungi dall’essere antitesi della virtù e prototipo del vizio, è condizione di vizio e virtù
insieme, poiché non si dà l’una senza l’altro”178. Si potrebbe sostenere quindi che,
considerando l’inganno come peccaminoso, l’amore vero che provano Paolo e Francesca
ne costituisce il rovescio virtuoso.
Poi, si può facilmente stabilire un legame tra l’aspetto ingannevole della lussuria e il suo
carattere sovversivo, poiché la slealtà può pur sempre avere come conseguenza alcuni
cambiamenti drastici nella vita dei lussuriosi, come succede, appunto, nel Canto V.
Nel ambito della sovversione lussuriosa, Giorello cita un passo dell’Ethica di Spinoza, il
quale si dimostra illustrativo di ciò che accade con Paolo e Francesca:
Dopo essersi persuasi che tutto ciò che avviene, avviene per loro, gli uomini hanno
dovuto giudicare principale, in ciascuna cosa, ciò che è più utile a loro stessi […].
Quindi hanno dovuto formare queste nozioni per spiegare le cose naturali, cioè
bene, male, ordine, confusione, caldo, freddo, bellezza e deformità. E dato che si
ritengono liberi, sono poi sorte queste nozioni, cioè lode e vituperio, peccato e
merito. […] ([l’Ethica], postuma, 1677; la citazione è tratta dall’Appendice alla
Parte I)179.
Spiega, in parte, la forza eversiva delle vicende raccontate nel Canto V, poiché rivelano il
carattere stratificato della peccaminosità lussuriosa invocata. Paolo e Francesca si
mostrano già viziosi dal momento in cui pensano in termini di peccato e virtù, poiché si
appropriano la libertà di pensare su se stessi in un tale modo. Per di più, si servono di una
tale terminologia per commettere, infine, un vizio capitale.
Per quanto riguarda la maniera in cui i due lussuriosi pensano l’uno su l’altro e il modo in
cui vedono la situazione nella quale si trovano, sono “i modi della percezione” che
superano i “modi dell’essere delle cose percepite”180. C’è stato un certo momento in cui
Paolo ha cominciato a guardare Francesca non più come sua cognata, ma come una donna
da desiderare, indifferentemente dalla condizione di Francesca, la quale non ha cambiato:
178
Ivi.
Ibidem, pp.143.
180
Ibidem, pp.144.
179
64
La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell’Inferno
era sempre stata una donna che poteva essere desiderata. Ma da un momento al altro,
Paolo non vede più una cognata guardandola, ma osserva un altro suo aspetto, quella
esplicitamente femminile. La prima tappa della sovversione risiede nel passare da un
profilo al altro.
La lussuria può anche nutrire la sovversione nel senso di rivoluzione. Si mostra un
fenomeno lussurioso assente dal Canto V, però, la sua descrizione può attribuire
all’esposizione generale della lussuria come sovversione. Contiene pur sempre alcuni
elementi che, anche loro, fanno parte del carattere versatile della lussuria; s’infiltrano
sempre in una certa misura in ogni dimostrazione del fenomeno.
Quando la lussuria è repressa, diventa ancora più potente. Le sue forze si agglomerano a
causa della soffocazione. Qui, infatti, si tratta di qualcosa che si risente pure nel Canto V.
Più Paolo e Francesca cercano di nascondere i loro sentimenti, più essi diventano
prominenti.
Dal punto di vista di una comunità, quando la soppressione ha una rivoluzione come
conseguenza, “per i veri patrioti la garanzia migliore della conservazione di una
repubblica è l’assenza di dominio anche virtuale. Ciò vale, ovviamente, pure nei confronti
del controllo pretesco delle coscienze”181. Perciò, le restrizioni impostate dalla religione
(quella riguardante la lussuria, tra l’altro) non sono più accettate. In questo senso, la
lussuria libera se stessa.
Ma questa libertà non durerà. Finirà male, distruggerà se stessa. Quale altra fine potrebbe
avere una storia di lussuria? Qui, di nuovo, si pensa al Canto V. Il desiderio ardente di
libertà assoluta può facilmente cadere in terrore totale. Giorello, formulando un commento
ad alcuni scritti del Marchese di Sade, scrive: “il problema è che egli ha spinto così
all’estremo la critica libertina che essa divora il libertinismo stesso”182. Illustra il processo
appena evocato. Significa anche che la lussuria non costituisce necessariamente una
minaccia per la fede; è solo il caso di forme sue estreme.
181
182
Ibidem, pp.149.
Ibidem, pp.157.
65
7.
La lussuria nel Canto V dell’Inferno: conclusione
Facendo parte del settenario peccaminoso, un insieme di concezioni creato per poter
parlare di tutto ciò che esiste in questo mondo, il concetto della lussuria si è rivelato molto
ricco e sorprendentemente versatile. La lussuria, appunto come una delle sette parti del
topos, si è dimostrata una mescolanza di “tutte le cose del mondo”, come l’ha formulato
Giorello, poiché si rivela una verità generale che ogni elemento gioioso ha il suo rovescio,
tutto come la lussuria nasce sempre dalla combinazione di piacere e dolore.
È stato evidenziato che la volontà umana forma una parte intrinseca della lussuria. Anzi, il
desiderio si è mostrato lussurioso an sich. Dal volere dell’essere umano nasce la sua
curiosità, la quale lo porterà a nuove conoscenze. È stata sottolineata l’importanza
maggiore della forza mentale rispetto a quella fisica, visione adottata tanto dai cristiani
quanto dai laici. Appunto questo tipo di elementi unificatori si è rivelato tipico della
Commedia dantesca. Inglese ha sostenuto che qualcosa di Francesca ritorna in Dante, cioè,
dopo il Canto V, l’amore del poeta per “donne antiche e cavalieri” (Renzi), per la
letteratura profana, continua a scintillare attraverso tutta l’opera.
Per Ginguené, per De Sanctis e per Croce, Dante teologo e cristiano condanna
severamente i peccatori lussuriosi. Da un punto di vista emozionale, invece, solidarizza
con loro. Nonostante ciò, Croce ha posto l’accento sul fatto che Dante riesce a superare
l’incantesimo dell’amore. Indica quanto sia Dante, come autore, sia Croce, come
commentatore, costituiscono casi unici. Inglese ci ha aggiunto la sua duplice visione dei
versi danteschi. Distinguendo una struttura e una poesia, prova come Dante, nella struttura
della sua opera, condanna Francesca per adulterio, e come, da un punto di vista poetico,
lui la considera “un’anima tormentata dalla passione d’amore”.
È stato dimostrato come la volontà umana spinge alla conoscenza, e come, nella
Commedia in generale e nel Canto V in particolare, la ricerca matta e disperata di Dante
autore della sapientia mundis e il suo desiderio dell’amore divino si combinano in un
modo fenomenale. Il volere forma, infatti, il nucleo della lussuria. I due fenomeni sono
così strettamente legati l’uno con l’altro che, talvolta, appare difficile determinare se l’uno
nasce dall’altro o vice versa.
Si è anche puntato su una varietà particolare, sublime, della lussuria, cioè su quella in cui
si ritrova una mescolanza di avvertimento morale e di un desiderio dubbio. Paolo e
66
La lussuria nel Canto V dell’Inferno: conclusione
Francesca sono disperati perché non desiderano la morte della persona amata, ma, allo
stesso tempo, la perdizione gli pare deliziosa poiché comune. Per quanto riguarda il verso
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona”, Amor è stato rivelato come la forza che supera
tutte le altre. In Paolo, Francesca e Gianciotto, la lussuria vince la loro volontà. Si sono
mostrati resistenti neppure i desideri ambiziosi, di natura politica per esempio (cf. la storia
di Cleopatra –menzionata nel Canto V-, di Giulio Cesare e di Marco Antonio).
Dall’analisi nei capitoli precedenti è anche risultato che la lussuria nasce dalla
combinazione di piacere e dolore. Presentandosi, infatti, come una libertà, la lussuria sfida
l’essere umano, offrendogli varie possibilità. Forma un fenomeno ambiguo, affascinante,
che agisce in modo subliminale. Il suo carattere intrigante è illuminato dalla presenza, nel
Canto V, d’innumerevoli contrasti, che appaiono appunto in questo Canto poiché il
confronto con Paolo e Francesca costituisce un momento decisivo tanto per Dante scrittore
quanto per Dante personaggio.
La tesi di Bruno secondo la quale l’unità divina sia presente nella natura infinita ha aperto
nuove prospettive per l’analisi della lussuria nel Canto V, cioè per la descrizione dei
rapporti tra quattro protagonisti del Canto: Paolo, Francesca, Dante e il potere divino;
descrizione nella quale si è inserita l’affermazione di Ebreo che ogni desiderio offre
all’uomo la possibilità di perfezionarsi.
Attraverso il topos della farfalla bruciata nella fiamma della candela, tra l’altro, si è
dimostrato che la disciplina della filosofia si rivela molto simile alla lussuria, tutto come il
filosofo, secondo Bruno, è molto simile al lussurioso. Accanto a questo, è stato provato
che anche il tradimento presenta delle similitudini con la lussuria: il loro modo di
addolorare, il triangolo di persone necessario per tutti i due, il disordine analogo che
causano. Sono, però, non solo i loro aspetti consimili che li legano; sono pure vincolati dai
loro aspetti contraddittori. Com’è stato segnalato, “dà luogo a una rete complessa di
relazioni di natura differente strettamente legate tra di loro”.
Pasquini afferma che, anche se “tutto questo può sembrare lontano dall’orizzonte culturale
e antropologico del terzo millennio […] certi dati restano perenni nel meccanismo mentale
dell’uomo”183. L’autore sottolinea come pure li innumerevoli laici di oggi possono
scoprire “un ricco patrimonio morale” nella Commedia. Asserisce quanto vale l’idea
dantesca dell’ “acquistare consapevolezza che certe scelte decidono irrevocabilmente della
183
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.263.
67
La lussuria nel Canto V dell’Inferno: conclusione
nostra sorte terrena”, e quanto importano l’invito di Dante a ognuno di noi “a saper partire
da zero, […] [arricchito] però di tutte le esperienze precedenti, superate ma non negate né
taciute” e, in generale, “il sapere che è meglio conoscere a fondo pochi grandi testi
decisivi per la propria crescita spirituale piuttosto che perdersi nel marasma dei messaggi
contingenti o superficiali, nello zapping della pseudo-cultura di consumo”.
Secondo Pasquini, quell’abbondanza d’idee e di concezioni potrà significare qualcosa
anche ai lettori contemporanei perché si presenta sotto la forma di “una grande e
insuperata poesia” 184, o, come ha segnalato Inglese, “il poema dantesco è opera unitaria di
‘poesia’, nel senso che mai, in esso, il momento espressivo, la creazione di forme è
coartata e banalizzata dalla pressione dei contenuti morali e intellettuali”185.
Terminando la conclusione della presente tesi, occorre ancora segnalare qualche domanda
formulata da Renzi, cioè quale sarebbe stata l’interpretazione del Canto V che Dante
aveva in mente scrivendo questi versi? E quali commentatori si troverebbero più vicini a
quella visione dantesca? La risposta, secondo Renzi, è che “in Dante (cioè nel testo di
Dante) c’è tutto quello che ci hanno visto gli antichi, i romantici, che ci vediamo noi, e che
ci vedranno altri ancora”, e spiega come, al tempo di Dante,
questa idea sarebbe sembrata probabilmente contraddittoria, incomprensibile, e
forse anche stupida […], ma oggi, dopo i progressi fatti dalla concezione della
letteratura dal Romanticismo in poi, e dopo lo Storicismo, ci sembra irrinunciabile.
Pone che “in Dante c’erano le potenzialità di tutte le interpretazioni”, vecchie, recenti e
future, che tutte, in un certo senso, si mostrano corrette ma allo stesso tempo almeno
parzialmente sbagliate.186 Mi sembrava una bella e interessante idea da comunicare alla
fine di una lectura dantis. Conduce a un ventaglio di possibilità e variazioni, quindi non fa
altro che ampliare gli orizzonti del lettore della Commedia.
Spero che, facendo la presente analisi della lussuria nel Canto celebre di Paolo e
Francesca, abbia potuto illustrare un po’ l’idea dei meccanismi inalterabili della mente
umana (cf. Pasquini). Com’è stato segnalato nell’introduzione, lo studio dantesco, sottile e
184
Ibidem, pp.292-293.
Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.11.
186
Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit.,
pp.119.
185
68
La lussuria nel Canto V dell’Inferno: conclusione
ricchissimo, dello spirito umano si rivela pur sempre degno di esser passato alle
generazioni del terzo millennio.
69
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