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Le monarchie dell`Europa moderna

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Le monarchie dell`Europa moderna
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capitolo 6
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Le monarchie
dell’Europa moderna
Trionfi di sovrani
I Ferrara, 1452: Borso d’Este, signore, oltre che di quella città, anche di Modena e Reggio, ospita Federico III d’Asburgo, venuto in Italia per farsi incoronare imperatore a
Roma: da lui, in compenso per l’ospitalità ricevuta, ottiene il titolo di duca, trasformando
in tal modo la sua signoria in un principato formalmente riconosciuto.
Un anno più tardi, Borso fa la sua entrata a Reggio, per ricevere omaggio alla sua nuova dignità ducale. Il rituale dell’entrata in città, seguito da una folla di cittadini reverenti,
è fastoso e complesso.
Immediatamente fuori delle mura, il duca e il suo seguito sono accolti da un grandioso
macchinario che sorregge un baldacchino sostenuto da angeli, sotto il quale appare un
figurante in veste di san Prospero, patrono di Reggio; più in basso, su una piattaforma
mobile, altri due figuranti abbigliati da angeli chiedono al santo lo scettro e le chiavi della
città, per consegnarli al duca. Dietro a questo macchinario s’avanza un’impalcatura trai-
Albrecht Dürer, Il grande carro trionfale
di Massimiliano I, 1518-22
Gli apparati scenici usati per gli ingressi trionfali dei
sovrani nelle città erano spesso simili, anche in
contesti cronologicamente e geograficamente
distanti fra loro.
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nata da cavalli nascosti, che sorregge un trono; dietro al trono sta un tableau vivant («quadro vivente»), cioè una rappresentazione composta da attori che, immobili, interpretano
ruoli specifici; in questo caso è messa in scena l’allegoria della Giustizia, attorniata da quattro anziani legislatori, circondati – a loro volta – da sei angeli che sorreggono delle bandiere e da due file di cavalieri in armatura, anch’essi dotati di bandiere. Superate altre raffigurazioni allegoriche, Borso arriva davanti alla chiesa di S. Pietro: dall’alto della facciata
un figurante in veste di san Pietro, sostenuto da una corda coperta di ghirlande, spicca il
volo, per giungere fino a lui e depositare sulla sua testa una corona d’alloro. Infine, dopo
aver seguito il servizio religioso, che viene celebrato nel duomo, il duca, all’uscita dalla
chiesa, viene invitato a prender posto su un alto trono dorato, mentre da un edificio vicino altri tre figuranti abbigliati da angeli si calano per portargli dei rami di palma, simbolo
di pace. Con ciò, le autorità cittadine, mentre rendono omaggio al suo potere, gli offrono
il loro intimorito augurio per il futuro.
I È un’istantanea piuttosto impressionante, questa che stiamo osservando: ci parla di una
città, un tempo sede come molte altre di un libero comune, che ora si piega servilmente di
fronte al suo principe.
Questo, però, non è un episodio isolato. Tra il XV e il XVIII secolo non c’è luogo d’Europa che non assista a rituali pubblici di questo genere: duchi, principi, re, col loro seguito, entrano nelle città tra ali di folla, accolti da apparati festivi sempre più complessi, volti a magnificare la loro sovranità.
Descrizioni e immagini di questo tipo ci ricordano che nell’Europa tardomedievale si è
verificato un netto spostamento nella bilancia dei poteri: allora, attraverso le innumerevoli crisi che abbiamo precedentemente esaminato [² 2-4], tra i vari tipi di regime politico
in competizione, uno solo finisce per imporsi come dominante, perché capace di porre
radici profonde e di assicurarsi un seguito stabile e duraturo: la monarchia.
I I successi di questo specifico sistema politico possono essere esaminati da tre differenti punti di osservazione:
a. in molte parti d’Europa si assiste all’ampliamento dei poteri territoriali e poli-
tici di diverse dinastie monarchiche preesistenti, che si fanno fondatrici di Stati destinati –
in alcuni casi – a un lungo e importante futuro;
b. sul trono imperiale si impone una dinastia (la casa d’Asburgo) che, se non riesce a rivitalizzare veramente le istituzioni imperiali, tuttavia sa sfruttarle magnificamente
per un’impressionante ascesa politico-dinastica;
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c. nella Penisola italiana nessuno Stato di grosse dimensioni è in grado di impor-
si sugli altri, il che apre un gravissimo vuoto di potere, nel quale si inseriscono le grandi
monarchie europee (Francia, Spagna, Impero), che trasformano per molti decenni la penisola in uno dei loro principali terreni di scontro politico-militare; tuttavia, anche in un contesto come quello italiano, che si avvia a essere politicamente sempre più marginale, si assiste al superamento delle istituzioni repubblicane di derivazione comunale, che – salvo
poche eccezioni – vengono cancellate da principati monocratici di varia natura.
Mutamenti di questo genere comportano una notevole serie di trasformazioni nella carta geopolitica d’Europa. Per leggerne le direttrici e, più in generale, per capire le ragioni
del successo della forma monarchica, occorre tenere presenti alcuni aspetti strutturali del
potere regio che, se non tutti inventati in questi anni, vengono tuttavia perfezionati proprio in epoca rinascimentale, fino a definire l’essenza profonda della regalità nell’Europa
dell’Età moderna; si tratta di pratiche, rituali, modalità di organizzazione che rivelano la
coesistenza di quattro distinte concezioni del potere regio: la concezione sacrale, quella
patrimoniale, quella amministrativa e infine quella contrattuale.
Ciascuna di queste concezioni implica una diversa maniera di immaginare le relazioni
che legano il sovrano ai suoi sudditi, ed è
lavorasultesto
per questo motivo che occorre osservarle in
Cerchia nel testo i simboli del potere monarchico.
modo distinto.
2
La concezione sacrale della regalità
I Tanto nel Medioevo quanto nell’Età moderna il potere monarchico si considera derivato in primo luogo dal volere di Dio, e solo in secondo luogo dal consenso del popolo.
Questo secondo elemento – teoricamente e giuridicamente presente nella definizione dei
poteri monarchici – è tuttavia largamente messo in ombra dai rituali di regalità che tendono invece a presentare il sovrano non come una persona qualunque, ma come un soggetto dotato di qualità e poteri soprannaturali, semidivini, sacri.
Il rituale funebre e l’incoronazione di un re sono, da questo punto di vista, due momenti essenziali per il forte significato simbolico che a essi viene attribuito.
I La morte di un sovrano è sempre un momento delicato per una monarchia; la successione deve avvenire senza scosse, in modo da garantire perfetta continuità agli assetti di
governo. Le cose non sempre corrono lisce, specie se il re non ha lasciato un sovrano legittimo. Ma anche quando il successore legittimo c’è, esiste comunque un tempo intermedio
fra la morte di un re e l’incoronazione del successore in cui si crea un vuoto di potere.
Per cancellare ogni incertezza e allontanare ogni pericolosa ambizione, i teorici monarchici inventano una soluzione rituale piuttosto particolare, condensata nell’idea di un doppio corpo del re [² tema in discussione 2.1]. Secondo questa immagine, un re possiede un
corpo naturale e un corpo politico: il primo è sottoposto alle vicissitudini della vita e della
morte; il secondo, invece, è immortale. Molto chiaramente ciò che si vuol dire è che la monarchia come istituzione è immortale; e per meglio fissare questa idea – in Inghilterra sin
dal 1327 (morte di Edoardo II), in Francia sin dal 1422 (morte di Carlo VI) – si mette in scena un rituale funebre durante il quale viene esposto un manichino in cera o in legno del sovrano, ricoperto degli attributi regali, che viene servito e accudito come se si trattasse della
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persona viva, mentre il corpo nudo del sovrano
morto viene deposto in una bara avvolto in un
semplice sudario. Il rituale – che dura sino alla
proclamazione del nuovo re – significa che la
morte fisica di un re non equivale alla morte politica dell’istituzione: e con ciò l’atmosfera di sacralità che si vuole costruire intorno alla figura
del sovrano arriva fin quasi a sfidare la morte.
I Proprio perché chiude definitivamente la fase di interludio inauguratasi con la morte di un
sovrano, il rito della consacrazione e dell’incoronazione, che ha luogo qualche tempo dopo la
proclamazione del nuovo re, ha un’importanza
assolutamente cruciale nel sancire formalmente e simbolicamente il passaggio di sovranità.
Per avere efficacia, il rito ha bisogno di una
messa in scena teatrale di grande spettacolarità:
un corteo che accompagna il nuovo sovrano nel
luogo deputato, che è sempre una chiesa; l’affollarsi di una gran massa di popolo che osserva
la sfilata, ne attende lo svolgimento, ne saluta il Corteo funebre di Carlo VI di Francia
[Bibliothèque Nationale, Parigi]
compimento; l’entrata in chiesa e l’incontro con
il vescovo (nel caso dei re) o con il papa (nel ca- Alla morte del re Carlo VI di Francia un corteo funebre porta per le vie
della città il feretro del sovrano, su cui giace la sua effigie modellata su
so dell’imperatore), che sono le autorità religio- un manichino di cera: il manichino è abbigliato con le vesti reali ed
esibisce tra le mani i simboli del potere.
se incaricate di celebrare la cerimonia.
Quando il futuro re ha preso posto, con il
suo seguito, nella chiesa destinata al rito, il rito può avere inizio. Certo può variare col
mutare dei contesti, ma in linea generale esso è aperto da una serie di giuramenti che impegnano il futuro sovrano alla protezione della Chiesa, del suo popolo, della sua terra e a non
alienare i poteri della corona. Si ha poi l’unzione del sovrano: uno speciale olio santo viene usato per ungere la testa, il petto, le spalle, le braccia e infine le mani del futuro regnante: è uno dei passaggi più significativi, perché la vera consacrazione avviene attraverso questa specifica operazione (simile, peraltro, a quella usata per l’ordinazione dei vescovi). Ora
il re è qualcosa di diverso, di non più totalmente umano: è diventato una figura veramente sacra.
leparoledellaStoria
La fase successiva è quella dell’attribuzione dei sim- RITI DI PASSAGGIO L’espressione è stata coboli di regalità: una tunica, uno scettro, un anello e poi niata dall’antropologo francese Arnold Van Gennep (1873-1957) nel suo libro I riti di passaggio
l’ultimo, il più importante, la corona, che viene posta (1909). Van Gennep sostiene che in ogni società le
sulla testa del re o dell’imperatore dalle mani dell’auto- fasi della vita di ciascun individuo siano scandite da
rità religiosa. A quel punto il sovrano può sedersi sul speciali momenti di cambiamento: tali sono la natrono, mentre l’acclamazione della folla non si fa atten- scita e la morte, l’ingresso nella pubertà o nella vita attiva, l’acquisizione di una specifica funzione.
dere e saluta con entusiasmo il compimento del rituale. Tali passaggi sono – spesso – sottolineati da rituali
I A che serve una così elaborata messa in scena? È uno
dei molti riti di passaggio che costellano la storia delle civiltà: un individuo (in questo caso il principe di una
appositi, che vogliono sancire l’abbandono di una
precedente condizione e l’acquisizione di un nuovo status (tipici sono, per esempio, i riti dell’investitura a cavaliere, o a sacerdote, o a magistrato e, per
l’appunto, a sovrano).
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casa regnante, normalmente il primogenito) passa da uno stato di «normale umanità», prima della cerimonia, a uno stato di pieno potere derivatogli dall’esser diventato qualcos’altro, il padre del suo popolo; ma anche un simbolo, un soggetto dotato di quel prestigio
sacrale che lo avvicina a un ecclesiastico, a un santo perfino, come leggiamo nel Trattato
della consacrazione di Jean Golein.
doc
In determinati casi l’idea della santità regale si è tradotta in particolari miti attraverso cui si è radicata
nell’immaginario collettivo di generazioni e generazioni la falsa convinzione che alcuni sovrani possedessero il potere di compiere miracoli in virtù della grazia divina ricevuta attraverso l’unzione con uno
speciale olio santo: è il caso dei sovrani francesi e inglesi che sin dal XIII secolo sono ritenuti capaci di
compiere un miracolo particolare, ovvero quello di guarire una malattia – l’adenite tubercolare (volgarmente detta «scrofola») – attraverso l’imposizione delle mani sui rigonfiamenti che quella malattia provoca sul collo dei malati. La storia di questo presunto potere miracoloso è stata narrata in un grande
libro della storiografia del XX secolo, I re taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla
potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, che Marc Bloch ha pubblicato nel 1924 [²
tema in discussione 2.1].
C’è un aspetto della malattia, spiega Bloch, che fa capire come mai si sia sviluppata questa particolare
credenza: la malattia raramente è mortale e non di rado attraversa fasi nelle quali autonomamente recede, anche senza bisogno di particolari cure. Questa la base funzionale, che rende plausibile la credenza. Ma in realtà, osserva Bloch, solo pochi malati, delle centinaia e a volte migliaia di coloro che sono toccati dai re nel corso di un anno, guariscono per davvero. Non importa: la notizia delle guarigioni fa premio sugli insuccessi; e di coloro che restano malati si dirà che lo sono perché hanno ricontratto il morbo
dopo esser stati toccati, o perché non hanno seguito un’adeguata condotta di vita. In breve: per centinaia di anni i sudditi dei re francesi e inglesi vogliono credere al potere miracoloso che il rituale della consacrazione ha dato ai loro sovrani; ed è proprio l’unzione ciò che ne fa degli individui sacri.
Lo spiega bene un trattatello dedicato al rituale della consacrazione scritto da un frate carmelitano,
Jean Golein (1330 ca.-1403).
Il mio temutissimo sovrano e signore1 [...] fu consacrato re di Francia il giorno della Santa Trinità dal mio signore l’arcivescovo di Reims, Jean de Craon nell’anno
13602. Perché, sebbene anche gli imperatori di Roma e
di Costantinopoli siano unti ed anche alcuni re come il
re di Gerusalemme3, quello di Spagna, quello d’Inghilterra e quello di Ungheria [...], Carlo V, come i suoi predecessori, è stato unto non con un olio preparato dall’arcivescovo o da uno speziale, ma con il santo olio celestiale che è nella santa ampolla che è conservata e custodita a Saint Remi a Reims, che è quella che fu portata dal cielo dalle mani degli angeli4 per ungere i nobili e
degni re di Francia più nobilmente e più santamente di
qualunque re, sia dei tempi antichi che dei nuovi. E per
questo il re di Francia è chiamato il nobilissimo e cristianissimo difensore della fede e della chiesa, e non riconosce alcun sovrano temporale sopra di sé. [...]
1. Il mio... signore: si tratta di Carlo V
(1364-80).
2. 1360: in realtà Carlo V viene incoronato il 19 maggio 1364.
[Per questo], quando il re è unto e consacrato [...],
coloro che sono affetti dalla malattia della scrofola, se
sono toccati dalla mano del re, unta con l’olio della santa ampolla, ne vengono guariti e sanati. [...]
[Prima della consacrazione, tuttavia, si procede al
rituale della consegna dei simboli della regalità.]
Allora si mette sull’altare [della cattedrale di Reims] la
corona reale e la spada e il suo fodero, gli speroni d’oro,
e lo scettro d’oro e la verga d’oro [ecc.]. Il fatto di mettere questi gioielli reali sull’altare dimostra che ogni insegna di nobile regalità deve venire da Dio. La corona
significa che nella maestà reale [si trova] la vera lealtà.
Poiché essa è rotonda, senza fine né inizio, allo stesso
modo la nobiltà regia è senza imperfezione né interruzione; e si deve portare sulla testa perché ciò significa che il
re domina su tutti e amministra la giustizia senza favorire una parte piuttosto che un’altra. [...]
3. re di Gerusalemme: si riferisce alla figura biblica di Saul.
4. che fu... angeli: su questa leggenda, creata alla fine del IX secolo, si
basa la convinzione del potere taumaturgico dell’olio conservato nella Cattedrale di Reims.
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Fatte queste cose, e messo il crisma5 sull’altare in un
contenitore consacrato, l’arcivescovo deve preparare la
santa ampolla sull’altare e ne deve trarre, su un ago d’oro,
qualche goccia dell’olio inviato dal Cielo, e mescolarla con
grande diligenza con il crisma che è stato preparato per
ungere il re. Questo già citato crisma sta a simboleggiare
l’unzione che lo spirito santo inviò agli apostoli il giorno
della Pentecoste [...]. La mescolanza dell’olio dell’ampolla e del crisma sta a rappresentare l’unione della qualità regale e sacerdotale [...]. Per questo si devono mescolare
questi due unguenti con la massima attenzione e ne deve
ungere il re con grande devozione. E da ciò deriva che egli
è il re più degno e più gloriosamente unto di ogni altro e
che è privilegiato su tutti per via della divina unzione, inviata dal Cielo.
E quindi, quando la camicia del re è stata aperta, egli
si pone in ginocchio per ricevere l’unzione più umilmente e in più grande devozione. [...]
Una volta che il re sia stato consacrato, il cancelliere,
se è presente, o l’arcivescovo, in sua assenza, devono
chiamare i pari6 per ordine, prima i laici e poi gli ecclesiastici, e mentre costoro si pongono in piedi e in cerchio,
l’arcivescovo pone la corona sulla testa del re [...] mentre
dice: Ricevi la corona del Regno in nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo. [...] Dopodiché l’arcivescovo
deve condurre il re per la mano attraverso la chiesa
accompagnato dai pari fino al suo trono, dove deve farlo
sedere dicendo questa formula: Sta e conserva la condizione che per trasmissione paterna hai ottenuto per diritto ereditario. [...] Dunque lo fa sedere, tenendolo per mano, e
così il re è insediato7.
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Unzione del sovrano,
metà del XIII sec.
[da Ordo du sacre,
Bibliothèque Nationale,
Parigi]
Le miniature dell’Ordo
costituiscono il primo ciclo
iconografico che descrive
il rituale
dell’incoronazione del re
di Francia, nella fase in cui
assume i caratteri che
saranno conservati fino al
XIX secolo. Questo
specifico manoscritto è
stato consultato per
organizzare
l’incoronazione di
Francesco I (1515) e di
Enrico IV (1594).
Una guarigione
miracolosa, XV sec.
La miniatura racconta di una
guarigione miracolosa
avvenuta sulla tomba di san
Luigi e attesta il potere
sovrannaturale attribuito ad
alcuni sovrani. Nel 1270
Luigi IX, appena giunto in
Tunisia a capo dell’ottava
crociata, morì di peste; suo
fratello Carlo d’Angiò, re di
Sicilia, ne fece trasportare la
salma in Francia. Poco tempo
dopo il re, del quale già in
vita si diceva possedesse
poteri curativi, fu fatto santo
e i suoi resti furono sepolti
nella chiesa di Saint-Denis,
nei pressi di Parigi, per essere
offerti al culto dei pellegrini.
[da Richard A. Jackson, The «Traité du Sacre» of Jean Golein, in «Proceedings of the American Philosophical Society», 1969, vol. 113,
n. 4, pp. 308-9; 312; 314; 316; 318]
5. crisma: balsamo mescolato a olio
benedetto.
6. pari: cioè i più grandi nobili del re-
gno.
7. insediato: cioè, fisicamente seduto
sul trono e simbolicamente pervenu-
to nel pieno possesso di tutti i suoi
poteri.
I Non tutte le dinastie regie sono in grado di esibire, come quella francese e quella inglese, presunti poteri miracolosi; ma tutte fanno ogni sforzo possibile per circondare la persona del sovrano, le sue istituzioni e in definitiva la sua forza di un’aura sacrale, attraverso il rito della consacrazione e dell’incoronazione.
È tuttavia bene sottolineare anche un altro aspetto che il rituale apertamente mette in
scena: la sacralità regale deriva dall’intervento di intermediari ecclesiastici, il papa o i
vescovi, che – officiando i rituali di consacrazione – si frappongono fra Dio e il sovrano.
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Questo passaggio del rituale ha già aperto, nei secoli precedenti, scontri durissimi fra
Papato e Impero, fra Papato e monarchie; il primo interpretando il rituale come segno della superiorità che spetta alle gerarchie ecclesiastiche sulle autorità laiche; gli altri mettendone in risalto la mediazione puramente strumentale e asserendo l’origine direttamente
divina del potere regio. Questa seconda opinione riesce a imporsi nella misura in cui gli
imperatori o i re sono in grado di affermare la loro forza (politica o militare) sulla Chiesa.
Ma non c’è dubbio che nella maggior parte delle monarchie l’equilibrio resta precario e la
sacralizzazione del potere, importantissima come fondamento dell’istituzione monarchica, non può avvenire che attraverso la presenza di rappresentanti del potere ecclesialavorasultesto
Sottolinea e numera a margine del testo le fasi previste dal
stico, capaci di farsi mediatori tra divino e
rito della consacrazione e dell’incoronazione del sovrano.
terreno.
3
La concezione patrimoniale della regalità
I Il matrimonio di un re, la nascita dei piccoli principi, la morte del sovrano e la successione dell’erede al trono sono eventi ben noti a chiunque tutt’oggi segua sulla stampa o in
televisione le vicende delle dinastie ancora regnanti in grandi Stati come la Gran Bretagna
o in minuscoli fazzoletti di terra come il Principato di Monaco. L’attenzione speciale che
si continua a dedicare a questi eventi, abituali e perfino banali quando toccano l’esperienza di famiglie ordinarie, deriva da una questione oggi assai poco rilevante, eppure cruciale nel Medioevo e nell’Età moderna.
Quei passaggi, normalmente considerati privati, hanno per le famiglie regnanti anche
un rilievo pubblico (e quindi politico), poiché allora si considera che la corona, intesa come
sovranità e come territorio geografico su cui essa si esercita, sia – in qualche modo – parte del patrimonio personale delle dinastie regnanti.
È questa la ragione per cui vicende in apparenza marginali (matrimoni, nascite, morti
di singole persone) hanno invece un grande rilievo nella politica europea. Un matrimo-
Albrecht Dürer, Il corteo trionfale
per il matrimonio di Maria
di Borgogna con Massimiliano
d’Asburgo, 1516-18
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nio, infatti, può comportare mutamenti geopolitici considerevoli, quando la principessa
che va in sposa porti con sé una dote che include un regno e la sovranità su di esso; per
questo stesso motivo, la morte di un re o di una regina può provocare mutamenti altrettanto notevoli, se quella morte comporta il passaggio per eredità di terre e del potere di
regnare su di esse, come accade, per esempio, alla morte di Maria di Borgogna, avvenuta nel 1482, quando si devono applicare le clausole che lei stessa ha stabilito nel 1477 in
un fondamentale atto di donazione da lei compiuto a favore di suo marito, Massimiliano
d’Asburgo.
All’inizio del 1477 il duca di Borgogna, Carlo il Temerario (1467-77), muore senza lasciare figli maschi;
il Ducato di Borgogna, le Fiandre e gli altri territori posti sotto la sua sovranità passano dunque a sua
figlia Maria (1477-82) [² 7.1-2]. Intanto il re di Francia, Luigi XI (1461-83), avanza pretese sulle terre del
Ducato, procedendo a un tentativo di occupazione. Anche per difendersi dall’aggressione, il 19 agosto
1477 Maria sposa Massimiliano d’Asburgo (1493-1519), figlio dell’imperatore Federico III [² 3.5], con
cui, peraltro, erano in corso trattative matrimoniali sin dal 1469. Un mese dopo il matrimonio Maria
redige un atto di donazione, scritto in latino e pensato per garantire a Massimiliano la piena sovranità
sulle terre appartenenti al Ducato di Borgogna.
Il documento notarile che registra le volontà di Maria tratta i domìni della corona alla stregua di una proprietà privata: del resto la «donazione» redatta da un notaio è un tipico documento di diritto privato, anche se in questo caso le disposizioni hanno un evidente rilievo pubblico e sono così influenti da determinare l’aggregazione delle terre del Ducato di Borgogna al patrimonio ereditario degli Asburgo.
Lascito di Donna Maria per il duca Massimiliano d’Austria, suo consorte
Maria, per grazia di Dio duchessa d’Austria, Borgogna,
Brabante, Lorena, Stiria, Carinzia, Carniola, Limburgo,
Lussemburgo, Gheldria, contessa di Fiandra, Asburgo,
Tirolo, Pfirt, Borgogna, Artois, Olanda, Zelanda, Namur
e Zutphen, contessa palatina di Hennegau, margravia del
Sacro Impero a Burgau, langravia in Alsazia, signora di
Frisia, della marca di Sclavonia, di Pordenone, di Salins e
di Mecheln1. A perenne memoria di quanto è avvenuto.
Poiché l’illustrissimo signor nostro, cui si deve sommo
timore e rispetto, il signore Massimiliano, duca d’Austria, Borgogna ecc., conte di Fiandra e di Tirolo ecc., il
nostro amatissimo consorte, ci tratta con amor coniugale e devoto affetto, e poiché è disposto per la difesa e il
recupero di tutta la nostra eredità e del nostro comune
dominio ad affrontare le alterne vicende della guerra e ad
esporsi ai pericoli della guerra contro tutti i nostri nemici2, rendiamo noto ai presenti e ai futuri che Noi, considerando l’elevatezza del valore e della magnanimità della sua stirpe, intendendo mostrargli gratitudine per il suo
1. Maria... Mecheln: Maria si definisce con i titoli che le derivano dalla
nascita e dal matrimonio con Massimiliano.
doc
amore, riconoscere i pericoli, cui egli si espone, e [volendo] contemporaneamente accrescere di giorno in giorno
la sua benevolenza verso di Noi, i domìni e i sudditi,
abbiamo dato, concesso, donato a questo nostro signore,
cui si deve sommo timore e rispetto, il signore Massimiliano, i beni seguenti (qualora nel tempo di sua vita moriremo senza figli3 pur continuando ad essere unita a lui
nel vincolo del matrimonio) e ancora glieli diamo e concediamo in caso di morte, convalidati da questo documento, con nostra sicura cognizione e speciale grazia:
tutti i principati e domini, tutti i nostri possedimenti, nessuno escluso, mobili e immobili, presenti e futuri, conferendogli piena facoltà di amministrarli a suo genio, di
trarne frutto e di fare qualunque cosa gli piaccia per sé,
per gli eredi e successori, per quelli che ora e in futuro
avranno la stessa facoltà. Gli concediamo inoltre la facoltà [di compiere] azioni utili e dirette e di entrare in possesso di questi principati, signorie e beni valendosi della
sua autorità, superiore a quella di ogni altro, e dei suoi
pieni poteri.
Promettiamo sulla nostra parola di principessa di considerare giuridicamente valida, accetta e incontrovertibi-
2. per la difesa... nemici: allude alla
guerra, già in corso, contro Luigi XI, re
di Francia, per il controllo delle terre del
Ducato.
3. qualora... figli: Massimiliano e Maria
avranno due figli, Filippo e Margherita,
che saranno inclusi da Maria tra i beneficiari della donazione.
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le la suddetta donazione in caso di morte, di non agire o
procedere contro di essa da parte nostra o di qualsiasi
altro. Rimane tuttavia bene inteso che avremo libera
facoltà di approntare documenti, redigere codicilli e far
testamento, istituire eredi, legati e fedecommessi per scopi di pietà fino alla somma di duecentomila fiorini renani4. E se avremo lasciato qualcosa a titolo di eredità, lascito o fedecommesso, il signor nostro Massimiliano, prima
nominato, sarà tenuto a concederlo agli eredi, ai titolari
dei lasciti o fedecommessi, e dovrà adempiere al nostro
testamento.
Affinché poi la suddetta donazione abbia maggior forza giuridica, supplichiamo e preghiamo il vostro serenissimo signore, padre e suocero, il signor vostro Federico,
col favore della divina clemenza imperatore dei Romani5,
di autorizzare e di confermare per scritto questa nostra
donazione. Preghiamo pertanto i titolari dei vostri lasciti o fedecommessi, qualora ve ne dovranno essere, e ordiniamo perentoriamente ai nostri cari e fedeli consiglieri
e tesorieri, ai responsabili dei conti (che hanno l’incarico
di prendere disposizioni in materia di tutte le nostre
finanze e di amministrarle), agli altri magistrati e ai nostri
ufficiali o ai loro rappresentanti e a qualsiasi di essi, presente e futuro, nonché agli altri sudditi nostri, per quel
che a loro compete, di fare in modo che il suddetto signor
4. Rimane... renani: Maria vuol dire
che si riserva la possibilità di fare un testamento che preveda lasciti o donazioni a privati, o a chiese, o a conventi,
abitudine ampiamente diffusa all’epoca. Questo è uno dei punti in cui
meglio si vede come Maria non riesca
a fare una vera distinzione tra i suoi
nostro, cui si deve sommo timore e rispetto, il signore
Massimiliano e i suoi eredi, successori e quelli che ora e
in futuro avranno pieni poteri, usino e godano liberamente e pacificamente questa nostra donazione per grazia nostra e in caso di morte, e non permettano che si tenti qualcosa contro questa disposizione o che vi si apporti qualche modifica. [...]
Questo documento firmato di nostro pugno abbiamo
voluto sia convalidato con l’apposizione del nostro sigillo
affinché rimanga perennemente in vigore. Dato nella città di Bruges, il 17 settembre nell’anno del Signore 1477.
Maria
di mia propria mano
Margherita6
di mia propria mano
Questa donazione è stata eseguita nel modo anzidetto, e io, Georg von Hessler, protonotaio dell’apostolica
e imperiale maestà, qui di mio pugno lo attesto, alla presenza di testimoni, cioè della illustrissima signora duchessa Margherita, che [lo] ha sottoscritto, e del signor
cavaliere Honoris de Irlariis [?] e di altri. Trattato e avvenuto nel giorno, nel tempo e luogo sopra indicato.
[da I Propilei. Grande Storia Universale Mondadori, VI, Il Rinascimento. Le grandi civiltà extraeuropee, a cura di Golo Mann e August Nitschke, Mondadori, Milano 1973]
poteri di duchessa sovrana e i suoi possedimenti privati (le sue risorse finanziarie, per esempio), che vengono trattati alla stessa stregua, nella cornice
dello stesso documento.
5. il signor vostro... Romani: si tratta
dell’imperatore Federico III, padre di
Massimiliano.
6. Margherita: si tratta di Margherita
di York; sorella di Edoardo IV, re d’Inghilterra; è la terza moglie di Carlo il
Temerario (il matrimonio viene celebrato nel 1468) ed è la matrigna di
Maria che, a sua volta, è figlia di Isabella di Borbone, seconda moglie di
Carlo, morta nel 1465.
I Nella mentalità e nella cultura giuridica dell’epoca si riconosce pure che i diritti patrimoniali del sovrano sulla corona debbano incontrare una limitazione invalicabile, che
deriva dalla loro assoluta inalienabilità: ovvero, almeno in linea di principio, un sovrano
può acquistare (per matrimonio, per eredità o in altro modo) territori e potere sovrano,
ma non li può vendere o cedere a estranei, cioè a soggetti non inclusi nella genealogia della dinastia regale; e ciò perché quei territori e quel potere sono – come si dice all’epoca –
res quasi sacrae (beni quasi sacri), e cioè paragonabili alle res sacrae (ovvero all’inalienabile patrimonio della Chiesa). La natura sacra dei beni della corona e della sovranità che
vi si esercita fa sì che il giuramento cui un sovrano è tenuto al momento della sua consacrazione includa anche la formula che lo obbliga a non alienare né territori, né poteri.
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La concezione amministrativa della regalità
I Proprio nel Ducato di Borgogna del XV secolo, dove Maria viene allevata, si consolida una
delle più eleganti corti europee, un modello imitato da numerose altre monarchie dell’epoca.
Ma che cos’è la corte? È il luogo fisico (reggia,
palazzo, residenza temporanea), fino al XVI secolo spesso mutevole e itinerante, in cui risiedono il re e i suoi familiari, insieme con diverse centinaia, a volte addirittura migliaia, di ufficiali,
funzionari, servitori.
È un luogo che risente dell’intreccio tra pubblico e privato, che è proprio della natura delle
monarchie europee: residenza privata, ma anche luogo in cui si mette in scena il teatro del
potere reale e in cui si esercita effettivamente la
sovranità.
Margherita di York alla corte di Carlo il Temerario, XV sec.
Margherita di York, matrigna di Maria di Borgogna, è raffigurata in
I Soffermiamoci sull’aspetto pubblico della questa miniatura nel corso di un banchetto d’onore, a tavola, con la
madre e la sorella di Carlo il Temerario, duca di Borgogna, suo sposo.
corte, che nel complesso è quello più rilevante. L’eleganza formale dell’ambiente e delle posture dei convenuti ricorda
Tanto il luogo quanto le persone che la frequen- che la corte è anche uno dei luoghi in cui si impongono le «buone
tano devono essere in grado di dar testimonian- maniere», come cifra distintiva delle élite europee.
za della natura eccezionale della maestà sovrana. Questo è il motivo per cui, proprio nelle corti italiane ed europee del Rinascimento
(inclusa quella dei pontefici, naturalmente), i più grandi artisti dell’epoca sono chiamati,
accolti e stipendiati affinché adornino magnificamente gli edifici riservati all’esercizio del
potere sovrano.
I La corte si configura come uno spazio concepito affinché si mettano in scena le più raffinate strategie della distinzione, ovvero affinché chiunque vi entri debba constatare l’evidente superiorità del sovrano, come di tutti coloro – uomini o donne – che gli gravitano attorno: sono i cortigiani, ampiamente ritratti da Baldassarre Castiglione nel suo Libro del
Cortegiano.
Andrea Mantegna,
La corte, 1467-74 ca.
[Camera degli sposi, Palazzo
ducale, Mantova]
Il carattere ibrido, pubblico e
privato insieme, di una corte
principesca è mostrato anche
da questo celebre affresco
che Mantegna esegue per la
Camera degli sposi del
Palazzo ducale di Mantova: vi
sono ritratti Ludovico III
Gonzaga e sua moglie
Barbara di Brandeburgo,
oltre alla loro famiglia e al
personale della corte.
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UNITÀ 2 Il potere e il sapere nel Rinascimento
Castiglione nasce nei pressi di Mantova nel 1478; studia a Milano e si forma, come gentiluomo, alla
corte di Ludovico il Moro. Svolge poi attività di diplomatico e di militare presso le corti di Francesco
Gonzaga a Mantova, di Guidubaldo da Montefeltro e poi di Francesco Maria della Rovere a Urbino, di
papa Clemente VII a Roma. È ancora al servizio del papa, in missione diplomatica in Spagna, quando
viene contagiato dalla peste e muore, nel gennaio del 1529. Castiglione è dunque un uomo che conosce benissimo la vita nelle corti, cosicché il suo libro si presenta come una sorta di raffinato ed elaborato manuale di comportamento per chi vive a corte, oltre che come un elogio idealizzato del regime
monarchico.
Il libro del Cortegiano, pubblicato nel 1528, finge di essere un resoconto della conversazione che avviene ai primi del Cinquecento alla corte di Urbino tra alcuni dei più famosi personaggi dell’epoca, tra cui
la duchessa Elisabetta Gonzaga, la principessa Emilia Pio, il cardinal Bibbiena, Pietro Bembo, Giuliano
de’ Medici e altri ancora.
Il cortigiano viene presentato come una persona di estrazione nobiliare, di atteggiamento virile, esercitato all’arte della guerra; i commenti che vi sono racchiusi richiamano l’attenzione su una funzione
importante della corte, ovvero quella di fungere da spazio di relazione e di raccordo tra il sovrano e
una delle principali componenti delle società per ceti: la nobiltà (I, 14; 17). Torneremo più avanti sui
caratteri della nobiltà, e sui rapporti non di rado conflittuali che i vari gruppi che la compongono hanno con i poteri monarchici; per il momento basti ricordare che col passare del tempo l’accesso a corte diventa infinitamente più facile per soggetti di estrazione nobiliare che per individui di livello sociale inferiore.
Castiglione poi (III, 9) scrive sulle qualità che devono essere possedute dalle donne ammesse a corte;
in questo specifico universo le presenze femminili sono ammesse tanto nelle occasioni cerimoniali,
quanto in altri più specifici momenti di vita collettiva. Le ragioni di questa presenza vanno ricercate nel
carattere spurio della corte che è – come si è detto – spazio pubblico, ma anche privato: se è per questo secondo aspetto che la presenza delle donne è considerata accettabile, le dame di corte possono
tuttavia prender parte anche alle cerimonie pubbliche e, se sono particolarmente abili, ai giochi di potere. Del resto, in questo stesso ambiente anche le figure della regalità femminile acquistano uno statuto insolito rispetto alle donne comuni: madri, mogli, figlie di sovrani possono riuscire a partecipare attivamente alla vita di corte, talora anche con funzioni istituzionali riconosciute (di reggenti o perfino di
regine in carica).
Fin da questo periodo negli ambienti di corte, e – più tardi – negli ambienti aristocratici in generale, la
condizione della donna acquista margini di libertà e di potere impensabili nei contesti normativi delle
repubbliche o delle città: un divario che avrà importanti effetti anche sulle teorie politiche che daranno sostegno al repubblicanesimo moderno.
Infine, dopo aver riassunto le qualità fondamentali del buon cortigiano, si idealizza ciò che ormai è un
dato di fatto, ovvero il predominio del regime politico monarchico; Castiglione lo fa insistendo sul carattere – a un tempo naturale e divino – del regime di uno solo (IV, 5; 19; 22-23).
Voglio adunque1 che questo nostro cortegiano sia nato
nobile e di generosa famiglia. [...]
Per venire a qualche particularità, estimo che la principale e vera profession del cortegiano debba esser quella dell’arme; la qual sopra tutto voglio che egli faccia vivamente2 e sia conosciuto tra gli altri per ardito e sforzato3 e
fidele a chi serve. E ’l nome4 di queste bone condicioni si
acquisterà facendone l’opere in ogni tempo e loco, imperò che non è licito in questo mancar mai, senza biasimo
1. Voglio adunque...: è il conte Ludovico di Canossa il personaggio al quale
Castiglione affida questo discorso sulla nobiltà del cortigiano.
2. vivamente: appassionatamente.
estremo; e come nelle donne la onestà, una volta macchiata, mai più non ritorna al primo stato, così la fama
d’un gentilom che porti l’arme, se una volta in un minimo punto si denigra per coardia5 o altro rimproccio6,
sempre resta vituperosa al mondo7 e piena d’ignominia.
Quanto più adunque sarà eccellente il nostro cortegiano
in questa arte, tanto più sarà degno di laude. [...]
Voglio che8 ella abbia cognizion de ciò che questi signori hanno voluto che sappia il cortegiano; e de quelli eser-
3. sforzato: valoroso.
4. ’l nome: la fama.
5. coardia: viltà.
6. rimproccio: rimprovero.
7. vituperosa al mondo: esposta al di-
sprezzo dell’opinione pubblica.
8. Voglio che...: è il Magnifico Giuliano
de’ Medici il personaggio che parla
della perfetta donna di corte.
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cizi che avemo detto che a lei non si convengono, voglio
che ella n’abbia almen quel giudicio9 che possono aver
delle cose coloro che non le oprano10; e questo per saper laudare ed apprezzar i cavalieri più e meno, secondo i meriti. E per replicar in parte con poche parole
quello che già s’è detto, voglio che questa donna abbia
notizie di lettere, di musica, di pittura e sappia danzar e
festeggiare; accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinion di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano. E così sarà nel
conversare, nel ridere, nel giocare, nel motteggiare, in
somma in ogni cosa graziatissima; ed intertenerà accommodatamente11 e con motti e facezie convenienti a lei
ogni persona che le occorrerà. E benché la continenzia,
la magnanimità, la temperanzia, la fortezza d’animo, la
prudenzia e le altre virtù paia che non importino allo intertenere, io voglio che di tutte sia ornata, non tanto per
lo intertenere, benché però ancor a questo possono servire, quanto per esser virtuosa ed acciò che queste virtù
la faccian tale, che meriti esser onorata e che ogni sua
operazion sia di quelle composta. [...]
«Il fin12 adunque del perfetto cortegiano, del quale insino a qui non s’è parlato, estimo io che sia il guadagnarsi
per mezzo delle condicioni attribuitegli da questi signori talmente la benivolenzia e l’animo di quel principe a
cui serve, che possa dirgli e sempre gli dica la verità
d’ogni cosa che ad esso convenga sapere, senza timor o
periculo di despiacergli [...].»
Quivi avendo fatto il signor Ottaviano un poco di pausa come per riposarsi, disse il signor Gaspare: «Qual
estimate voi, signor Ottaviano, più felice dominio e più
bastante a ridur13 al mondo quella età d’oro di che avete fatto menzione, o ’l regno d’un così bon principe, o
’l governo d’una bona republica?». Rispose il signor Ottaviano: «Io preporrei sempre il regno del bon principe, perché è dominio più secondo la natura e, se è licito comparar le cose piccole alle infinite, più simile a
quello di Dio, il qual uno e solo governa l’universo. [...]
Però14, così come nel cielo il sole e la luna e le altre stelle mostrano al mondo, quasi come in specchio, una certa similitudine di Dio, così in terra molto più simile imagine di Dio son que’ bon prìncipi che l’amano e reveri9. giudicio: conoscenza.
10. oprano: esercitano.
11. intertenerà accommodatamente:
saprà intrattenere in modo adeguato.
Raffaello Sanzio, Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1514-15
[Musée du Louvre, Parigi]
scono, e mostrano ai populi la splendida luce della sua
giustizia, accompagnata da una ombra di quella ragione
ed intelletto divino; e Dio con questi tali participa della
onestà, equità, giustizia e bontà sua, e di quegli altri felici beni ch’io nominar non so, li quali rappresentano al
mondo molto più chiaro testimonio di divinità che la luce
del sole, o il continuo volger del cielo col vario corso delle stelle.
Son adunque li populi da Dio commessi sotto la15
custodia de’ prìncipi, li quali per questo debbono averne
diligente cura, per rendergline ragione come boni vicari16 al suo signore, ed amargli ed estimar lor proprio ogni
bene e male che gli intervenga, e procurar sopra ogni
altra cosa la felicità loro».
[Baldassarre Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di Ettore
Bonora, Mursia, Milano 1972, pp. 47; 51; 216; 287; 300; 303-4]
12. Il fin...: è Ottaviano Fregoso a concludere sui doveri fondamentali del
buon cortigiano e sul miglior regime
politico.
13. ridur: ricondurre, riportare.
14. Però: perciò.
15. commessi sotto la: affidati alla.
16. vicari: delegati, sostituti.
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UNITÀ 2 Il potere e il sapere nel Rinascimento
Hans Holbein il Giovane,
Gli ambasciatori francesi
alla corte d’Inghilterra, 1533
[National Gallery, Londra]
Oltre a dover restare
impressionati dalla
magnificenza delle corti che
visitano, gli ambasciatori
devono presentarsi in modo
adeguato al loro rango e alle
ambizioni dello Stato che
rappresentano, così da destare
essi stessi ammirazione. Il
quadro, che esalta la qualità
sociale e intellettuale dei due
ambasciatori francesi alla corte
di Enrico VIII, contiene diverse
raffinate complessità. A sinistra
è rappresentato Jean de
Dinteville, un elegante nobile
ventinovenne. A destra
Georges de Selve, un brillante
umanista venticinquenne, da
poco nominato vescovo di
Lavaur. Il cassettone sul quale si
appoggiano ospita una
congerie di oggetti che
testimonia della vastità e della
qualità dei loro interessi. Un
globo celeste; strumenti
astronomici; strumenti
segnatempo; un globo
terrestre; un libro tedesco di
aritmetica per mercanti; un
liuto e altri strumenti musicali
(forse dei flauti).
Per terra, tra i due, è
rappresentata una forma
piuttosto enigmatica. Si tratta
di un teschio in anamorfosi,
cioè deformato in modo tale
che lo si possa riconoscere solo
da una determinata
angolazione o con l’uso di una
lente particolare. La forma
richiama, come in uno specchio
deformante e amplificante, la
figurina di un teschio che orna
una spilla posta sul berretto di
de Dinteville, l’uomo sulla
sinistra. Questi simboli (come
altri nel quadro: per esempio,
una corda del liuto, che si è
rotta), fungono da antidoto
contro l’esagerato orgoglio;
anche le grandi qualità sociali e
intellettuali, di cui i due sono
fieri, sono niente in confronto
all’eternità.
Compito dei cortigiani – ci ricorda Castiglione – è offrire buoni consigli ai propri principi, poiché costoro possano svolgere efficacemente la loro azione di governo: il suggerire è particolarmente pertinente, giacché la corte è anche il luogo di prima articolazione del governo e dell’amministrazione degli Stati monarchici. A corte, infatti, si incontrano i più diretti collaboratori del sovrano, coloro che siedono nel Consiglio della corona, o comunque nei principali organi di governo. Certo non tutti i funzionari dell’amministrazione degli Stati si trovano a corte; figure di grande importanza cominciano a essere dislocate stabilmente in varie parti del territorio statale, come lo sono, per esempio, i
giudici dei tribunali regi, lo strumento principale dell’amministrazione della giustizia che
emana dal sovrano. Dalla corte rinascimentale comincia dunque a irradiarsi un primitivo sistema di funzionari, braccio esecutivo sul territorio delle decisioni e delle volontà
del re.
I Alla corte rinascimentale giungono i rappresentanti di altri Stati in visita temporanea,
o permanentemente accreditati. Nasce così la diplomazia, un elemento di significativa novità nei rapporti tra gli Stati europei: è una forma organizzativa che all’epoca comportava tanto lo svolgimento di missioni ufficiali quanto l’incessante raccolta di informazioni
più o meno riservate da far pervenire al governo di provenienza degli ambasciatori.
La sistematica internazionalizzazione della politica, e con essa il ricorso a costanti contatti diplomatici, non serve tanto a sciogliere le tensioni e le rivalità tra gli Stati quanto piuttosto a comporre sempre mutevoli alleanze aggressive, preludio di guerre che incessantemente vengono combattute anche in questi decenni; e un esempio impressionante degli
effetti di questa diplomazia di guerra potrà vedersi quando seguiremo le fasi delle «guerre d’Italia» [² 7.4].
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Le monarchie dell’Europa moderna capitolo 6
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La concezione contrattuale della regalità
I Ogni sovrano europeo della prima Età moderna non governa «da solo», in un assoluto vuoto istituzionale, col mero ausilio del proprio governo, della propria corte e dei propri funzionari; perché ogni sovrano ha degli interlocutori istituzionali con i quali deve contrattare aspetti più o meno significativi della propria politica [² tema in discussione 1].
Questi interlocutori istituzionali sono le assemblee cetuali, ovvero gli organismi collettivi
che raccolgono i rappresentanti dei ceti o corpi più importanti presenti sul territorio su cui
si esercita l’autorità del sovrano. In Spagna queste assemblee si chiamano Cortes; in Francia Stati generali; in Inghilterra Parlamento; nell’Impero e nell’Europa centro-orientale
Diete. Le loro modalità organizzative sono varie, ma in linea generale si può dire che esprimono le istanze dei gruppi sociali più influenti e – nelle varianti più articolate – ospitano
i rappresentanti dei tre corpi principali che, nei secoli precedenti, si sono conquistati il
diritto di manifestare legalmente la propria voce: la Chiesa, le nobiltà, le città:
a. all’interno delle assemblee siedono intanto dei rappresentanti delle istituzioni
ecclesiastiche (normalmente i vescovi);
b. siedono poi certamente i rappresentanti dei gruppi nobiliari, su cui ora è oppor-
tuno un chiarimento: la nobiltà non è un gruppo compatto, né sul piano europeo, né all’interno dei singoli Stati. Il termine «nobiltà» identifica un insieme di famiglie che possiedono
(normalmente per diritto ereditario) una serie di privilegi giuridicamente riconosciuti dal
sovrano: possono essere esenzioni fiscali; oppure diritti speciali o feudali di amministrazione delle proprie terre (tra questi, particolarmente importanti i diritti di gestione dei tribunali signorili, i cui magistrati sono nominati dal nobile che vi possieda il diritto di giurisdizione); oppure il diritto di accedere alla corte regia; o il diritto di portare armi e di occuparsi della professione delle armi; oppure il diritto di essere giudicati da tribunali speciali.
Ciò che rende complicato il mondo delle nobiltà è che questi diritti sono posseduti in modo vario dalle famiglie nobili; ci sono quelle che possiedono titoli particolarmente prestigiosi, cui si accompagnano molti (se non tutti) i privilegi che si ricordavano prima (e queste sono le élite nobiliari); e ci sono quelle che ne possiedono solo alcuni, ciò che determina una
sorta di stratificazione interna alle nobiltà. Inoltre, le famiglie nobili sono di solito ricche, a
volte incredibilmente ricche; ma ce ne sono anche di quelle che, nel corso del tempo, si sono
impoverite e che possiedono modesti patrimoni terrieri, magari gravati da pesanti debiti. Insomma si tratta di un mondo estremamente complesso, tuttavia avente diritto, attraverso norme che variano da Stato a Stato, a una propria rappresentanza nelle assemblee;
I dodici membri del Consiglio cittadino di Tolosa, 1369
c. infine, negli organismi rappre-
sentativi possono trovare spazio anche i
delegati eletti dalle città o nominati dal re
in loro rappresentanza: possono essere i
più ricchi e autorevoli mercanti; oppure
degli esperti giuristi; oppure i rappresentanti delle corporazioni artigiane. Non di
rado queste istanze sono tutte quante rappresentate (quando gliene viene riconosciuto il diritto) in difesa di interessi economici e sociali dinamici e variegati.
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UNITÀ 2 Il potere e il sapere nel Rinascimento
I Che cosa fanno queste assemblee? Essenzialmente, tutte hanno il diritto di discutere la
politica fiscale del re. Il sovrano, per le sue cerimonie, per la sua amministrazione e ancor
più – lo vedremo fra un momento – per le sue guerre, ha bisogno di soldi; e questi soldi
solo in minima parte possono venire dai beni che egli possiede personalmente. Il re ha dunque bisogno di imporre ai suoi sudditi dei prelievi di entità variabile a seconda che vengano applicati agli enti ecclesiastici, alle famiglie nobiliari, alle città, o ai contadini: mentre
questi ultimi, di solito, sono privi di rappresentanze, gli altri corpi possono discutere col
re della misura e della ripartizione dei contributi fiscali.
Si tratta, come si può ben capire, di un punto delicato, che comporta non solo contrattazioni ma a volte anche veri e propri scontri; e, in una certa misura, una monarchia va considerata tanto più potente quanto più riesce a far tacere le assemblee dei suoi ceti e a imporre la propria politica (in primo luogo quella fiscale).
I Ciò detto, occorre introdurre una seconda considerazione, che serve a distinguere sia le
assemblee sia le monarchie. Vi sono assemblee che hanno anche il diritto di eleggere il sovrano – di solito scegliendolo all’interno di una dinastia; e vi sono assemblee che non possiedono questo diritto: in tal caso la successione al trono è di natura esclusivamente ereditaria.
Diverse monarchie dell’Europa centro-orientale (Polonia, Ungheria, Boemia) appartengono al primo tipo; e – in una forma un po’ particolare – vi appartiene anche l’Impero, poiché, come si ricorderà, l’imperatore è eletto dai setleparoledellaStoria
te grandi elettori designati dalla Bolla d’Oro [² 3.5]. VicePARLAMENTO Anche in Francia esistono
versa, le monarchie dell’Europa occidentale (Portogallo,
organismi che hanno lo stesso nome del ParSpagna, Francia, Inghilterra, Napoli, Sicilia, Sardegna)
lamento inglese, ma svolgono funzioni assai
diverse. I Parlamenti francesi nascono nel XIII
appartengono al secondo tipo.
secolo come organi giudiziari, e sono distinti
Ne discende che nell’Europa centro-orientale il potere
dagli Stati generali che, nell’ordinamento deldelle assemblee – dominate soprattutto dalle nobiltà – è nola monarchia francese, occupano un ruolo astevole, a differenza di quello delle monarchie relativamente
similabile – con qualche cautela – a quello rivestito dal Parlamento nell’ordinamento della
ridotto, poiché la legittimità del sovrano deriva anche dalmonarchia inglese. Tra XVI e XVIII secolo i Parl’elezione dell’assemblea [² 7.3]; nell’Europa occidentale,
lamenti francesi sono importantissimi organi
all’inverso, le monarchie sono più forti e solide, perché non
giudiziari, controllati dai nobili; il possesso di
derivano la loro legittimità dalle assemblee ma solo dal diritun seggio parlamentare conferisce al titolare
anche la qualità nobiliare. Ve ne sono una deto divino e dalla discendenza genealogica; non desta troppa
cina, attivi in varie città del Regno di Francia;
sorpresa, dunque, che tra XV e XVI secolo
tra di essi il più importante è il Parlamento di
Parigi, che svolge la funzione di Suprema Corte di giustizia e che, per tale ragione, ha anche
il diritto di registrare gli editti reali e, se necessario, di sollevare eccezioni sulla loro legittimità. Il re, tuttavia, può rendere obbligatori gli
editti nel corso di una speciale seduta del Parlamento di Parigi, chiamata lit de justice («letto di giustizia»). Come si vedrà, i Parlamenti –
e quello di Parigi in primo luogo – avranno un
ruolo significativo nella crisi della monarchia
francese, che culminerà nella rivoluzione del
1789, finché nel 1790 verranno aboliti e sostituiti da Corti di giustizia. Dopo quella data, nel
lessico politico francese ed europeo il termine
«parlamento» indicherà solo ed esclusivamente un’assemblea rappresentativa elettiva
dotata di compiti legislativi.
a. in Spagna, Inghilterra e Francia i sovrani siano
effettivamente in grado di imporsi sulle assemblee e sui ceti
(sulle nobiltà in primo luogo, di cui iniziano anche a limitare con successo i privilegi), creandosi delle strutture di potere e di governo autonome (i consigli della corona);
b. in Boemia, Polonia o Ungheria le case regnanti
continuino invece a dover dipendere dalle Diete e dalle
grandi famiglie nobiliari (che – di conseguenza – mantengono essenzialmente intatti i propri privilegi).
I Si osservi infine che, pur essendo un’assemblea priva del
diritto di eleggere il sovrano, il Parlamento inglese esibisce fin da questo periodo dei tratti che lo differenziano
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Le monarchie dell’Europa moderna capitolo 6
Jean Fouquet, Lit de justice,
tenuto da Carlo VII nel 1458
[Bayerische Staatsbibliothek,
Monaco]
Il lit de justice è una seduta
speciale del Parlamento di Parigi,
alla quale partecipano il re con il
suo cancelliere, i principi di
sangue e altri membri della corte.
Questa occasione istituzionale
serve al sovrano per forzare
l’approvazione di editti contestati
o per annunciare affari di Stato
che hanno una speciale rilevanza
(per esempio, il raggiungimento
della maggiore età del sovrano,
le dichiarazioni di guerra, i
trattati di pace); in alcune
circostanze, davanti al lit de
justice vengono celebrati
processi ad aristocratici accusati
di gravi reati. L’espressione lit de
justice deriva dal fatto che il
sedile riservato al re è corredato
di numerosi cuscini, su cui può
sedersi e appoggiare le braccia e
i piedi.
piuttosto chiaramente dalle altre assemblee dei ceti esistenti in Europa occidentale. Formatosi a metà del XIII secolo come
organismo di tipo puramente nobiliare, il
Parlamento inglese definisce la sua struttura intorno alla metà del XIV secolo: da
allora si articola in due Camere, quella dei
Lord, dove siedono – per diritto ereditario – i membri primogeniti delle più importanti
famiglie nobiliari del regno (i cosiddetti Pari); e quella dei Comuni, dove siedono i rappresentanti delle città e delle contee: ai seggi di questa seconda Camera si accede per elezione, secondo norme molto varie da località a località ma tutte regolate dal principio per cui
solo i più ricchi possono votare; non sorprende, dunque, che vi vengano eletti soprattutto
membri della nobiltà meno titolata (la cosiddetta gentry), oltre che prestigiosi non nobili
– giuristi o ricchi mercanti, per esempio.
Le prerogative che il Parlamento inglese riesce a conquistare sin dal tardo Medioevo
sono piuttosto notevoli: come le altre assemblee continentali, anche il Parlamento ha il
diritto di discutere la politica fiscale del re; ma oltre a ciò ha anche il potere di promulgare le leggi regie e di emanare norme relative alle attività produttive e commerciali: cioè si
propone come un’istituzione che – almeno potenzialmente – ha uno spazio di intervento
normativo maggiore di quello posseduto
dalle altre assemblee dei ceti. Questi aspetlavorasultesto
Cerchia nei §§ 2-5 un’espressione o una parola-chiave per
ti originari avranno un’incidenza enorme
ciascuna delle quattro concezioni del potere regio.
nella successiva storia politica inglese.
6
La forza delle armi
I Una risorsa assolutamente essenziale all’affermazione del potere regio continua a essere la capacità di reclutare eserciti e di usarli per conquistare nuove terre, altri uomini e donne, maggiori imposte da introdurre nelle casse dello Stato.
Nel corso del XV secolo si sperimentano forme nuove e più efficaci di organizzazione
degli eserciti [² 3.1], che oltre a ricorrere a reparti mercenari cominciano a disporre anche
di unità reclutate tra i sudditi; ma, cosa ancora più importante, l’uso delle armi da fuoco,
sporadicamente impiegate già nel XIV secolo, diventa – a metà del Quattrocento – militarmente efficace e capace di una potenza distruttiva prima non immaginata.
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UNITÀ 2 Il potere e il sapere nel Rinascimento
Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo in Germania viene realizzata la polvere da sparo, un miscuglio di carbone finemente triturato
unito a salnitro e zolfo; si tratta di una miscela altamente infiammabile
che, posta all’interno di un contenitore resistente, produce
un’esplosione di notevole potenza. L’invenzione trova ben
presto una sua applicazione nella produzione di armi, specie quando si riescono a mettere a punto affusti tubolari
resistenti di metallo cavo (in ghisa, in bronzo e poi in ferro), appoggiati su strutture di legno sempre più sofisticaUna bombarda
te; nella bocca della canna si introducono il composto
esplosivo e una palla, che inizialmente è di pietra e poi di
metallo; dopodiché si dà fuoco al composto, la cui esplosione proietta violentemente la
palla verso l’esterno.
L’arma da fuoco all’epoca meglio perfezionata è la bombarda, che spara pesanti palle di
pietra, uno strumento rivelatosi decisivo nell’assedio di Costantinopoli e nelle ultime fasi
della guerra dei Cent’anni.
I L’adozione di armi di questo tipo impone una completa ristrutturazione dell’edilizia
difensiva; in primo luogo, poiché i proiettili hanno un effetto devastante quando usati contro le semplici mura verticali, si aumenta lo spessore delle mura con la costruzione di terrapieni che le fanno diventare molto più resistenti; e poi si costruiscono mura «bastionate», dotate, cioè, di sistemi di protezione che rendono irregolare il tracciato delle mura e
lo forniscono di strutture proiettate verso l’esterno (i bastioni, appunto), in grado di minimizzare ulteriormente il danno prodotto dall’impatto dei proiettili.
2
1
Esempi di fortificazioni:
1. Giuliano da Maiano
e Francesco di Giorgio Martini, Rocca di Sarzanello,
lo «spontone», fine XV sec.;
2. Baccio Pontelli e Giuliano da Sangallo,
Rocca di Ostia, 1483-86;
3. Giuliano e Antonio da Sangallo, Forte Sangallo
a Nettuno, inizio XVI sec., pianta.
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Le monarchie dell’Europa moderna capitolo 6
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I Insieme con i pezzi di artiglieria pesante si perfezionano anche le armi da fuoco di piccolo formato, più pratiche e più facilmente utilizzabili dai reparti di fanteria (l’archibugio
e poi il moschetto, relativamente più leggero e maneggevole), che sparano palle di più piccolo calibro, con lo stesso principio dei cannoni di dimensioni maggiori.
Fin dal Trecento, poi, sulle navi da guerra vengono montati piccoli pezzi d’artiglieria, impiegati nelle operazioni di arrembaggio. Ma a fine Quattrocento la concezione delle navi da
guerra cambia. I progressi nella tecnologia bellica consentono di montare intere serie di pezzi d’artiglieria sulle fiancate di navi più grandi e capienti, il che muta la tecnica di approccio:
nel corso del Cinquecento le nuove navi da guerra si usano sempre meno come mezzi per lo
speronamento e l’arrembaggio della nave nemica, sempre più per il bombardamento sistematico a distanza, con l’obiettivo di disalberare o affondare le navi attaccate.
I Questa complessa svolta tecnologica ha pesanti conseguenze finanziarie e politiche,
poiché il costo per la costruzione e l’acquisto dei cannoni, della polvere da sparo, delle
munizioni, delle nuove architetture militari, delle navi da guerra va ad aggiungersi alle spese per il reclutamento e il mantenimento dei soldati (mercenari o regolari che siano): e tutta questa serie di operazioni è consentita solo a quelle strutture statali che siano in grado
di garantirsi flussi di finanziamento cospicuo e costante, in primo luogo attraverso il prelievo fiscale.
Il personaggio raffigurato è stato
identificato con Francesco Maria
della Rovere da alcuni storici, ma
l’identificazione è dubbia. Indubbio
è, invece, il senso del simbolismo costruito da Carpaccio (1460-1526). Il
cavaliere, attento ma sereno, è pronto a sfoderare la spada per seguire la
norma etica ricordata nel cartiglio
che sta ai suoi piedi, a sinistra di chi
guarda: Malo mori quam foedari
(«Preferisco morire che essere disonorato»); il senso è rafforzato dalla
presenza, in basso a sinistra, dell’ermellino, all’epoca considerato un
simbolo di purezza e integrità, mentre il pavone raffigurato sull’elmo del
cavaliere che esce dalle mura della
città può essere considerato come
un simbolo di immortalità (nel senso
che la fama delle belle azioni compiute da nobili cavalieri merita di diventare immortale).
Vittore Carpaccio,
Ritratto di un cavaliere, 1510
[Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid]
doc
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UNITÀ 2 Il potere e il sapere nel Rinascimento
La crisi politico-militare cui vanno incontro tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento
numerosi Stati di piccole dimensioni (come gli Stati italiani, per esempio) nasce in certa
misura anche dalla loro difficoltà di fronteggiare, non solo militarmente ma anche finanziariamente, il peso della guerra «moderna», mentre vecchi e nuovi Stati territoriali di
dimensioni significative si impongono come le nuove potenze sulla scena europea e – in
breve tempo – anche su quella mondiale.
I I mutamenti nella tecnologia bellica, peraltro, mettono in crisi le tradizionali tecniche
belliche «cavalleresche» (uso del cavallo e ricorso alle armi da taglio). Si apre adesso
un’evoluzione che porta in direzione di una sorta di «democratizzazione» della guerra,
attraverso la quale un artigliere o un semplice fuciliere, soldati che colpiscono da lontano,
senza nemmeno vedere in faccia i loro nemici, diventano anche più importanti, con le loro
armi, dei nobili cavalieri. Ciò non toglie, tuttavia, che continui a resistere una tenace fascinazione per una idea «nobile» della violenza attraverso le armi, illustrata, per esempio,
lavorasultesto
Sottolinea sul testo le conseguenze della svolta tecnologica
dal Ritratto di un cavaliere di Vittore Carrappresentata dall’introduzione delle armi da fuoco.
paccio [² p. 115].
sintesi capitolo6
Tra le varie forme politiche emerse nel
corso del tardo Medioevo una in particolare riesce a imporsi sulle altre: la monarchia. La sua autorità è strutturata attraverso quattro concezioni della regalità, da
cui derivano pratiche, rituali e modi specifici di costruire le relazioni tra sovrano e
sudditi.
Secondo la concezione sacrale della
regalità il sovrano è considerato un soggetto sacro, dotato di una qualità quasi
divina, un’idea espressa dai rituali funebri
riservati ai monarchi così come dai rituali
di consacrazione e di incoronazione dei
nuovi sovrani.
Il potere di un sovrano sopra il territorio
del suo regno è considerato pure – in una
certa misura – parte integrante del suo
patrimonio personale. La concezione
patrimoniale della sovranità spiega
perché i matrimoni o le successioni siano
eventi così importanti: essi possono
determinare il passaggio di un territorio
dalla sovranità di una casa regnante alla
sovranità di un’altra.
L’intreccio di privato e pubblico, che è
proprio della concezione patrimoniale,
appare evidente anche nella struttura della corte, che è al tempo stesso l’abitazione privata della famiglia del sovrano e il
luogo in cui si esercita il potere sovrano;
per questo la corte ospita anche i più
diretti collaboratori del sovrano; inoltre,
in questo periodo, il re comincia a consegnare a funzionari specializzati (magistrati, ambasciatori) il compito di rappresentarlo lontano dalla corte. Prende forma, in
tal modo, una concezione amministrativa della regalità.
loro misure (soprattutto quelle fiscali) con
le assemblee dei ceti: questo aspetto
delinea una concezione contrattuale
della regalità, secondo la quale il potere del sovrano ha bisogno di fondarsi
pure su una sorta di patto sottoscritto con
i sudditi.
Infine i sovrani non perdono un loro fondamentale tratto originario, ovvero quello di essere i massimi signori della guerra. Solo che ora importanti innovazioni
tecnologiche (polvere da sparo, armi da
fuoco, cannoni, mura bastionate) rendono l’equipaggiamento degli eserciti molto più costoso di prima e costringono i
sovrani a chiedere maggiori contributi
fiscali ai propri sudditi: è un aspetto della
storia delle monarchie moderne che non
cessa di provocare tensioni e conflitti
interni.
I sovrani devono governare discutendo le
esercizi
capitolo 6, p. 407 unità 2, p. 417
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