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LA POESIA ITALIANA DAL DUECENTO AL TRECENTO La prima
LA POESIA ITALIANA DAL DUECENTO AL TRECENTO La prima poesia in volgare, cioè nella lingua parlata dal popolo (vulgus), nasce in Italia nel XIII secolo. Fino ad allora le opere letterarie erano state composte in latino. Con il passare del tempo, però, era sempre minore il numero delle persone in grado di parlare e comprendere questa lingua. Ormai la padroneggiavano soltanto i dotti, che erano nella quasi totalità uomini di Chiesa. Il popolo usava una pluralità di dialetti nati dalla fusione tra il latino parlato e le nuove lingue portate dalle popolazioni che avevano invaso l’Italia (Longobardi, Franchi, Arabi, Normanni, Svevi ecc.). Questi dialetti, attraverso i quali la gente comunicava oralmente, a poco a poco cominciarono ad essere adoperati anche per la comunicazione scritta, dapprima per scopi pratici (lettere , documenti ecc.), poi con intenzioni letterarie. Nacque così una letteratura in lingua volgare che si differenziava a seconda delle regioni in cui sorgeva e delle tematiche affrontate. In Sicilia, tra il IX e l’XI secolo si era sviluppata una raffinata produzione letteraria in lingua araba. Molti elementi di questa tradizione confluirono nell’ambiente multiculturale della corte di Federico II di Svevia, che riuniva in sé le due cariche di imperatore e re di Sicilia. Fu lui il fondatore della scuola siciliana, così chiamata perché i poeti componevano le loro liriche in siciliano volgare illustre. In questi componimenti la donna era celebrata come una creatura altera e nobile, indifferente alle pene del poeta innamorato che stava di fronte a lei in atteggiamento di devota sottomissione. Il Umbria fiorì un filone di poesia religiosa con San Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi. A Bologna e a Firenze alla fine del Duecento si affermò la scuola del Dolce stil novo, che arricchiva la poesia d’amore di componenti religiose. A Siena invece si diffuse una poesia di tono popolare che capovolgeva i temi e il linguaggio del Dolce stil novo. Fanno da sfondo a queste esperienze letterarie così diversificate, situazioni politiche, sociali e ed economiche altrettanto differenti: se la Sicilia e l’Italia meridionale sono sotto il dominio della monarchia sveva, l’Italia centro settentrionale vive l’esperienza dei Comuni, città che, pur appartenendo almeno formalmente ai domini dell’Impero e della Chiesa, si autogovernano e soprattutto sono caratterizzate da un fiorente sviluppo economico in campo commerciale, artigianale e finanziario, grazie all’affermarsi di una nuova classe intraprendente e spregiudicata: la borghesia. I centri economicamente più fiorenti si trovano in Toscana, ed è questo, accanto alla posizione geografica della regione, collocata al centro del territorio italiano, uno dei motivi per cui, a partire dal Trecento, la lingua toscana, in particolare quella fiorentina, acquista una supremazia rispetto agli altri dialetti della penisola. Essa inoltre è nobilitata dall’uso che ne vanno facendo autori come Dante, Petrarca e Boccaccio, i quali le conferiscono, i due nella poesia, il terzo nella prosa, eleganza sintattica, ricchezza lessicale e soprattutto la capacità di piegarsi a esprimere i più diversi aspetti della realtà e le più sottili sfumature del pensiero e del sentimento. LA NOSTALGIA DEI POETI ARABI IN SICILIA La dominazione araba in Sicilia, una delle tante che nei secoli si sono succedute nell’isola, ha lasciato importanti testimonianze non solo nella lingua, nelle tradizioni, nei costumi, nel cibo, nelle piante, nell’architettura e nelle decorazioni, ma anche nella letteratura. Scrivevano versi ministri, dignitari, militari e persino gli stessi emiri, tanto che nell’isola fiorirono, accanto agli studi giuridici e scientifici, importanti scuole di poesia che intrattenevano rapporti con le altre sponde del Mediterraneo. La poesia infatti era per gli Arabi uno strumento fondamentale per trasmettere la storia e affermare l’unità delle tribù sparse su un territorio molto vasto che andava dalla Siria all’Atlantico. Quando però l’isola, verso la fine dell’XI secolo venne occupata dai Normanni, molti Arabi preferirono allontanarsi per non assistere alla conquista delle loro città e andarono girovagando attraverso la Spagna, il Marocco, l’Algeria, la Tunisia, senza trovar pace in alcun luogo, perché si sentivano continuamente in esilio. Altri invece rimasero, dato che i Normanni, avendo visto come i loro predecessori avevano reso fertile e ricca quella terra, furono disposti ad accoglierli, purchè facessero atto di sottomissione. Dalla fusione di questi due popoli nacque la civiltà arabo-normanna. I poeti che scelsero l’esilio continuarono a scrivere versi e la loro poesia, che nel vivo della dominazione in Sicilia era stata caratterizzata dalla tensione verso i luoghi di origine, dove il Profeta era vissuto e aveva predicato, divenne la voce del rimpianto per l’isola perduta e costituì uno dei momenti più alti della poesia siculo-araba.