Diego Dotto Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare: il
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Diego Dotto Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare: il
Diego Dotto Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare: il frammento II III 131 della Biblioteca Nazionale di Firenze * 1. UN FRAMMENTO, ALCUNI PROBLEMI Nel quadro ampio e frastagliato dei volgarizzamenti della Consolatio Philosophiae di Severino Boezio 1 , occupa una posizione ancora tutta da vagliare, per cronologia, localizzazione, definizione linguistico-stilistica e contestualizzazione storico-letteraria e culturale, un frammento limitato agli ultimi due libri (in particolare a partire da IV.4.17), conservato nel manoscritto II III 131 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 2 . L’edizione del testo costituirà un primo passo per un esame più approfondito delle questioni che il frammento solleva: si anticiperanno qui alcuni elementi che permetteranno di fondare su nuove basi il discorso critico sul volgarizzamento, lasciato * Ringrazio Dario Brancato ed Elisa Guadagnini. Questo contributo rientra nel progetto DiVo (Dizionario dei Volgarizzamenti), finanziato dal MIUR all’interno del programma FIRB – Futuro in Ricerca 2010. 1 Per una rassegna aggiornata dei numerosi volgarizzamenti italoromanzi della Consolatio Philosophiae, cfr. S. Albesano, Consolatio Philosophiae volgare. Volgarizzamenti e tradizioni discorsive nel Trecento italiano, Heidelberg, Universitätsverlag Winter, 2006, pp. 45-53; S. Lunardi, «La victuoria de la terra dona lo cielo»: l’interpretazione del metro IV, VII in un volgarizzamento italiano inedito della Consolatio Philosophiae, «La parola del testo», XII, 2008, pp. 117-63, alle pp. 157-63. Con un ampliamento oltre il medioevo, cfr. ora anche D. Brancato, Readers and Interpreters of the Consolatio in Italy, 1300-1550, in A Companion to Boethius in the Middle Ages, a cura di N. Harold Kaylor Jr. e P.E. Phillips, Leiden-Boston, Brill, 2012, pp. 357-411. Con focalizzazione sull’Italia settentrionale, cfr. T. Ricklin, ... Quello non conosciuto da molti libro di Boezio. Hinweise zur Consolatio Philosophiae in Norditalien, in Boethius in the Middle Ages. Latin and Vernacular traditions of the Consolatio Philosophiae, a cura di M.J.F.M. Hoenen e L. Nauta, Leiden-New York-Köln, Brill, 1997, pp. 267-86. Per la ricezione del testo come libro di scuola, cfr. R. Black e G. Pomaro, La Consolazione della filosofia nel Medioevo e nel Rinascimento italiano. Libri di scuola e glosse nei manoscritti fiorentini, Tavarnuzze (Firenze), SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2000. 2 Per la descrizione del manoscritto, si faccia riferimento a Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, VII Congresso internazionale di studi romanzi (3-8 aprile 1956), Firenze, Sansoni, 1957, pp. 144-46 (n. 83), con la proposta di localizzare la mano che verga la sezione del codice che qui interessa all’area veneta e datarla alla metà del secolo XIV; La leggenda di santa Maria Egiziaca nella redazione pavese di Arpino Broda, a cura di S. Isella Brusamolino, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992, pp. 43-45; I manoscritti della letteratura italiana delle Origini, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, a cura di S. Bertelli, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2002, pp. 88-89 (n. 11); G. Vaccaro, L’arte del dire e del tacere. Un censimento dei manoscritti del De doctrina loquendi et tacendi nei volgari italiani, «Medioevo letterario d’Italia», VIII, 2011, pp. 9-55, a p. 28. Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano, XIX-XX, 2014-2015, pp. 261-302 262 Diego Dotto fin qui alle conclusioni di Giulio Bertoni, meritorie per aver corretto o precisato alcuni assunti della bibliografia precedente e per aver additato il possibile valore storico-culturale del testo, ma allo stesso tempo suscettibili di una riconsiderazione 3 . Il codice II III 131 è un manoscritto composito costituito da tre sezioni: la prima, quattrocentesca (1470), contiene la Storia fiorentina di Goro di Stagio Dati (cc. 1r58v); la seconda, attribuibile a una stessa mano in littera textualis che scrive su due colonne, contiene rispettivamente un volgarizzamento mutilo del De doctrina loquendi et tacendi di Albertano da Brescia e un volgarizzamento acefalo della Consolatio Philosophiae con patina linguistica settentrionale, entrambi anonimi (cc. 59r60v e 61r-72v) 4 ; la terza contiene la redazione pavese, versificata, della leggenda di santa Maria Egiziaca, anch’essa acefala, sottoscritta da Arpino Broda, datata 1384, cui seguono brevi passi dal Vangelo di Giovanni e dalle Lettere di Pietro e Paolo, sempre della mano di Arpino Broda (cc. 73r-80v). Il merito di Bertoni fu doppio: da un lato mise in discussione l’ipotesi di Nicola Zingarelli che identificava con la mano di Arpino Broda anche la mano che aveva vergato la seconda sezione del codice 5 , dall’altro lato, attraverso alcuni confronti testuali, avanzò l’ipotesi che il volgarizzamento avesse un rapporto con la più diffusa e significativa traduzione volgare del testo boeziano, quella di Alberto della Piagentina 6 . Un rapporto che andrebbe in una direzione sorprendente, sancendo la priorità 3 G. Bertoni, Intorno a due volgarizzamenti di Boezio, in Poeti e Poesie del Medio Evo e del Rinascimento, Modena, Editore Cav. Umberto Orlandini, 1922, pp. 203-12, da cui si cita: si tratta di una ristampa di un contributo uscito nel «Bullettino della Società filologica romana», n.s. I, 1911. 4 In realtà l’explicit del volgarizzamento boeziano è stato completamente eraso, di modo che rimangono solo alcune tracce di inchiostro rosso, per cui non si può escludere che contenesse il nome del volgarizzatore (cfr. Bertelli, I manoscritti, cit., pp. 88-89). D’altra parte l’anonimato è una condizione frequente nei volgarizzamenti, a maggior ragione per tipologie traduttive “scolastiche” come quella in questione (cfr. infra). 5 Cfr. N. Zingarelli, I trattati di Albertano da Brescia in dialetto veneziano, «Studi di letteratura italiana», III, 1901, pp. 151-92, dove si ipotizza a p. 163: «Probabilmente quel zibaldone [scil. la seconda e la terza sezione] contiene appena i ruderi della sua attività, per dir così, di studioso e amator di cose patrie». Per la posizione del volgarizzamento di Albertano nel quadro dell’intricata tradizione di questo testo, cfr. Vaccaro, L’arte del dire, cit., pp. 13 e 28. 6 Se Bertoni poteva valersi dell’edizione procurata da Carlo Milanesi (Il Boezio e l’Arrighetto. Volgarizzamenti del buon secolo, riveduti su’ codici fiorentini, a cura di C. Milanesi, Firenze, Barbèra, 1864), l’edizione di riferimento è ancora quella procurata da Salvatore Battaglia (Il Boezio e l’Arrighetto nelle versioni del Trecento, a cura di S. Battaglia, Torino, UTET, 1929). Sulla tradizione del testo, cfr. ora A. Favero, La tradizione manoscritta del volgarizzamento di Alberto della Piagentina del De consolatione philosophiae di Boezio, «Studi e problemi di critica testuale», LXXIII, 2006, pp. 61-116. La centralità del volgarizzamento di Alberto della Piagentina, composto presumibilmente tra il 1330 e il 1332, è ben fissata da Luca Azzetta: la conservazione del prosimetro, quasi un unicum per i volgarizzamenti due- e trecenteschi italoromanzi, il ricorso alla terzina dantesca ad un’altezza cronologica che si pone a ridosso della prima diffusione della Commedia, le tracce di letture che spaziano dai classici alla Bibbia, la Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 263 cronologica del volgarizzamento settentrionale e mutando di conseguenza anche le coordinate storico-letterarie del volgarizzamento fiorentino: Dai saggi citati risulta che la versione veneta non può essere considerata come un travestimento di quella di Alberto della Piagentina, ma sì bene come una delle fonti di essa. Alberto mette un po’ d’ordine, col testo latino sotto gli occhi, in quei passi in cui l’anonimo traduttore erra o si perde in parafrasi o in digressioni. Raccoglie qua e là le frasi e le parole, che meglio gli paiono rendere l’espressione forbita di Boezio, e molto aggiunge di suo. Propostosi di fare una piccola opera d’arte, egli si sforza di dare una certa movenza leggiadra al suo periodo e abbandona spesso l’inelegante dettato del suo predecessore. Ne viene che la copia magliabechiana deve averci conservato un testo composto, al più tardi, nei primi anni del trecento e forse assai prima 7 . Bertoni concludeva ipotizzando che il volgarizzamento veneto (secondo la localizzazione già di Zingarelli e accolta dallo stesso Bertoni) potesse essere stato conosciuto da Alberto della Piagentina in carcere a Venezia, circostanza cui sarebbe legata la scrittura del volgarizzamento secondo la tradizione di un sonetto autobiografico che accompagna il testo in alcuni manoscritti, oltre ad alcuni incipit che fanno esplicito riferimento alla sua prigionia 8 . memoria dantesca estesa anche alle opere di più ristretta circolazione come il Convivio, cui va aggiunta una creatività lessicale di prim’ordine nel quadro dei volgarizzamenti fiorentini coevi, sono elementi che inscrivono di diritto l’esperimento traduttorio di Alberto tra le prove più significative nel panorama dei volgarizzamenti dei classici (L. Azzetta, Alberto della Piagentina, in Autografi dei letterati italiani. Le Origini e il Trecento, t. I, a cura di G. Brunetti, M. Fiorilla, M. Petoletti, Roma, Salerno Editrice, 2013, pp. 25-31). Per lo stile di traduzione di Alberto della Piagentina, cfr. D. Brancato, Appunti linguistici sul Boezio di Alberto della Piagentina, «Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti», LXXVI, 2000, pp. 127-276 e Albesano, Consolatio, cit., pp. 175-86. 7 Cfr. Bertoni, Intorno a due volgarizzamenti, cit., pp. 210-11. La singolarità risiede ovviamente nell’operazione, di fatto inedita, che vedrebbe uno dei più importanti volgarizzamenti fiorentini della prima metà del Trecento, proveniente da quella cultura notarile che ebbe un ruolo fondamentale nella letteratura italiana delle origini (cfr. supra), dipendere da un volgarizzamento di area settentrionale che presenta nel complesso esiti stilistici assai lontani da quelli raggiunti da Alberto della Piagentina, pur nella comune fedeltà al latino. Per riprendere un’illuminante proposta di classificazione di Concetto Marchesi, che distingueva tra «volgarizzamenti, diciamo così, scolastici», «la traduzione fedele, ma letteraria» e «il rifacimento», la traduzione di Alberto della Piagentina si colloca senz’altro nella seconda categoria, mentre il nostro volgarizzamento si può ben definire “scolastico” (cfr. Il volgarizzamento italico delle «Declamationes» pseudo-quintilianee, in Miscellanea di studi critici pubblicati in onore di Guido Mazzoni, 2 voll., Firenze, Galileiana, 1907, vol. I, pp. 279-303, ora anche in Id., Scritti minori di filologia e letteratura, 3 tt., Firenze, Olschki, 1978, t. II, pp. 447-72, alle pp. 45253). 8 Cfr. L. Azzetta, Tra i più antichi lettori del Convivio: ser Alberto della Piagentina notaio e cultore di Dante, «Rivista di studi danteschi», IX, 2009, pp. 57-91, alle pp. 65-67. 264 Diego Dotto Se l’ipotesi di Bertoni di tenere distinte la seconda e la terza sezione del codice è stata accolta, o almeno non è stata contraddetta, dalle descrizioni del II III 131 9 , il problema dell’eventuale dipendenza di Alberto dal volgarizzamento settentrionale è rimasto tale. In particolare è rimasto privo di un approfondimento, rispetto alle conclusioni del Bertoni, il problema del confronto tra due esercizi di traduzione che spiccano per fedeltà nei confronti dell’originale latino: fino a che punto, infatti, è legittimo parlare di poligenesi di fronte a esiti identici o largamente sovrapponibili che potrebbero trovare la loro origine in due traduzioni indipendenti, ma orientate in modo molto simile sul testo e sulla lingua di partenza, e viceversa, secondo quali criteri è possibile qualificare gli stessi esiti come inequivocabili elementi di prova della congiunzione e quindi della dipendenza di un testo dall’altro? Se limitiamo il confronto ai primi due riscontri offerti da Bertoni, è facile riconoscere che l’ipotesi della poligenesi si rivela meno onerosa di quanto si potrebbe pensare, a partire dal confronto col latino, al di là, o per meglio dire, proprio attraverso la forte prossimità del dettato volgare a quello latino 10 : IV.6.34-35 opinioni vero tuae perversa confusio. Sed sit aliquis ita bene moratus ut de eo divinum iudicium pariter humanumque consentiat ma ala toa opinione è perversa confuxione. Ma sia alcuno sie bene costumado che de lui consenta ogualemente lo divino e l’umano çudixio ma alla tua oppinione è perversa confusione. Ma pognamo che sia alcuno sì ben costumato, che di lui il divino iudicio e l’umano igualmente consenta IV.6.6 Quodsi te musici carminis oblectamenta delectant, hanc oportet paulisper differas voluptatem Ma s’el te deleta la dolçeça del verso muxicho, convene che uno pocheto tu la induxii E se dolcezza di musico verso ti diletta, conviensi un pochetto questa volontade raffrenare con indugio 9 Si tratta in effetti di due mani che difficilmente possono essere ricondotte alla stessa persona, sia pure ammettendo un forte scarto temporale tra le due esecuzioni (cfr. Mostra di codici, cit., pp. 144-45, La leggenda, cit., pp. 43-45, Bertelli, I manoscritti, cit., pp. 88-89 e Vaccaro, L’arte del dire, cit., p. 28); ma oltre all’argomento paleografico, è la fisionomia linguistica delle due sezioni a risultare difficilmente conciliabile, essendo la prima riconducibile a un’area tra Veneto e Emilia (cfr. infra) e la seconda all’area pavese (almeno per quanto riguarda la trascrizione di Arpino Broda, anche se occorre avvertire che si esprimono riserve sull’origine pavese del testo nella recensione di M.E. Romano, «Rivista di letteratura italiana», XII.1, 1994, pp. 249-56, a p. 256). 10 Per il testo latino, ricorro a Anicius Manlius Severinus Boethius, De Consolatione Philosophiae. Opuscula Theologica, a cura di C. Moreschini, München-Leipzig, K.G. Saur, 2005; per la traduzione in italiano moderno, citata nel commento, mi fondo su Severino Boezio, La consolazione della filosofia, a cura di C. Moreschini, Torino, Utet, 2006. Le citazioni dal volgarizzamento di Alberto della Piagentina provengono dall’edizione Battaglia (Il Boezio, cit., rispettivamente pp. 165 e 160). Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 265 Il primo raffronto chiama in causa soprattutto il piano sintattico, mentre il secondo il piano lessicale. Se nel primo caso la prossimità sintattica è facilmente spiegabile con una comune aderenza al dettato latino, più significativi sembrerebbero i confronti lessicali con rese traduttive identiche, che tanto più si dispongono serialmente a distanza ravvicinata: oblectamenta tradotto con dolcezza, carmen con verso, paulisper con pochetto 11 . In entrambi i casi, tuttavia, è lecito chiedersi se siano davvero marcate, e non invece poligenetiche in quanto disponibili alla competenza “media” di un volgarizzatore medievale. Solo un esame incrociato dei dati, che abbia come pietra di paragone le rese traduttive nei volgarizzamenti coevi, in particolare in quelli caratterizzati da una forte aderenza al dettato latino, può permettere di porre le basi per conclusioni affidabili. Va infine ricordato che il confronto è possibile soprattutto per le parti in prosa, visto che per la traduzione delle parti in versi il contenitore formale della terzina dantesca determina un dettato meno aderente al latino, un limite che non si pone per il volgarizzamento settentrionale che, riducendo in prosa i metri di Boezio, non presenta significativi discostamenti nello stile di traduzione (al netto, s’intende, dello scarto lessicale tra prosa e poesia che risale però al modello latino). L’altro elemento che anticipo qui è una diversa proposta di localizzazione del testo: fin qui il volgarizzamento boeziano, con il volgarizzamento di Albertano, è stato attribuito all’area veneta, ma alcuni dati portano a identificare uno strato assai compatto e articolato, presumibilmente attribuibile al copista, che non può essere ricon11 Sulla base di questi tre confronti lessicali, concludeva Bertoni: «Inutile continuare con altri raffronti. La parentela fra le due versioni risulta già evidente» (Intorno a due volgarizzamenti, cit., p. 208, nota 1). In realtà, teste il corpus CLaVo (Corpus dei classsici latini volgarizzati, a cura di C. Burgassi, D. Dotto, E. Guadagnini, G. Vaccaro, consultabile all’indirizzo http://clavoweb.ovi.cnr.it), la resa di carmen con verso è del tutto normale, mentre la traduzione di paulisper con pochetto è sì isolata, ma non priva di corrispondenti a partire da pocolino nella redazione V2 di Valerio Massimo. Più spinoso è il caso di oblectamenta reso con dolcezza, che in effetti potrebbe essere specifico dei due volgarizzamenti, ma ad essere specifico è in primo luogo il contesto di traduzione, con la particolare accezione di “diletto” con riferimento alla piacevolezza della melodia dei versi e la necessità di tradurre nello stesso contesto anche delectant. Insomma la soluzione non è marcata in senso stilistico o autoriale, ma culturale e contestuale: nella traduzione, una volta impegnato il lessema dilettare per delectant (nei volgarizzamenti oblectamentum è reso quasi di regola con diletto), il verso assume l’attributo di “dolce” in quanto a sua volta attributo di ciò che dà diletto. Allo stesso modo nel primo passo, la resa di moratus con costumado/costumato è del tutto aspecifica, corrispondendo al traducente più diffuso per il verbo moror. Così anche l’accostamento di induxii e raffrenare con indugio a fronte di differas è meno significativo di quanto si potrebbe pensare se indugiare è il traducente di gran lunga più documentato per differo: nel corpus CLaVo, su 37 volgarizzamenti posti di fronte al problema della resa del lessema latino, ben 27 ricorrono almeno una volta a indugiare o a una perifrasi con indugio per tradurre differo, per il quale va ricordato che il prestito diretto differire è del tutto isolato nella documentazione italiano antica (cfr. TLIO s.v. differire). Insomma sarà il caso di continuare con i raffronti. 266 Diego Dotto dotto all’area veneta. Un’ipotesi di lavoro è che i due volgarizzamenti siano da localizzare verosimilmente in area emiliana, con alcune infiltrazioni venete, probabilmente risalenti all’antigrafo, da valutare in maniera differenziale nei due testi 12 . 2. CRITERI DI EDIZIONE L’edizione è conservativa sul piano della forma: distinguo u da v, riconduco a i anche j, che compare talvolta in fine di parola, di preferenza dopo un’altra i (per es. vicii). Inserisco punteggiatura, divisione delle parole, maiuscole e accenti secondo l’uso moderno. Sono usati accenti o apostrofi con la funzione di disambiguare alcuni monosillabi (per es. dé “deve” da dè “diede”, quest’ultimo anche con funzione di esclamativo “deh”); di norma non si segnalano con accento le numerose forme epitetiche del tipo negarae, çoe, ecc., ma si deroga da questo uso per distinguere forme altrimenti omografe (per es. pòe “può” da poe “poi”). Con il trattino indico le forme deboli dell’articolo o del pronome clitico (per es. ma-l povolo e No-l posso negare). Non ricorro al punto in alto per indicare l’assimilazione della nasale alla consonante seguente ed eventuale caduta (per es. no lo) perché l’ampia attestazione della caduta della nasale anche davanti a vocale rende meno pertinente l’ipotesi di un’assimilazione (per es. no aprovo). Sciolgo le abbreviazioni secondo le scrizioni più frequenti a piene lettere: in particolare n davanti a p e b, m o n davanti alla stessa consonante, nonostante un discreto manipolo di occorrenze di nm a piene lettere (per es. sonma). Notevole è la regolarità con cui il copista alterna q con trattino orizzontale soprascritto per que e q tagliata in gamba nei dimostrativi con o senza metafonesi (per es. quisti, quili a fronte di questa, quela, ecc.), ciò che rende sicuro lo scioglimento in casi come questione o quistione secondo l’abbreviazione usata. Tra quadre indico le integrazioni e le correzioni per sostituzione, tra quadre e in corsivo le ricostruzioni delle parti di testo perdute a causa dell’evanimento dell’inchiostro. Le parti di testo irrecuperabili sono invece segnalate tra quadre con tanti punti quante sono le lettere mancanti congetturabili. 12 A partire dalle forme del verbo avere con -p-, come per es. aipù, aipudo, e di essere, come sipi, che «paiono tipicamente bolognesi» (cfr. P. Larson, Appunti linguistici sugli scritti di Giacomo Scaperzi, «Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano», IX, 2004, pp. 375-82, a p. 382, e M. Corti, Emiliano e veneto nella tradizione manoscritta del «Fiore di virtù», «Studi di filologia italiana», XVIII, 1960, pp. 29-68, anche in Ead., Storia della lingua e storia dei testi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1989, pp. 177-216, a p. 202), cui si aggiungono almeno l’ampia attestazione della metafonesi (per es. frini, sichi, terini, cognusi, prepuxi, guiderduni, ecc.), della riduzione di -li (per es. quai, qua’, ecc.), dell’epitesi (per es. lie, quie, ecc.), che convergono insieme verso l’ipotesi “emiliana”, ma rinvio ad altra sede uno spoglio esaustivo del testo, per tentare una ricostruzione della sua stratigrafia, anche in correlazione con il volgarizzamento di Albertano. Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 267 Con tre asterischi si indica la presenza di uno spazio bianco nel manoscritto (in particolare in IV.6.38, in corrispondenza di un frammento greco nell’originale latino). Nel codice la divisione in capitoli, senza distinzione apparente tra prosa e metri, senza l’inserimento di didascalie, è marcata solo da un capolettera in inchiostro rosso, riprodotto nell’edizione con il grassetto 13 . Allo stesso modo in grassetto è segnalato l’incipit con inchiostro rosso del libro V. La paragrafatura si riferisce invece a quella dell’edizione latina di riferimento, anche nel caso dei metri, dove si assume l’indicazione del verso latino come termine di riferimento per il paragrafo volgare – la numerazione non è quindi sequenziale, e anzi nelle parti corrispondenti alla prosa latina può mancare nel caso dell’omissione di un paragrafo (in particolare in IV.6.53-55, in cui il par. 54, che contiene una citazione omerica, non è stato tradotto). Rientra nella tendenza alla conservazione della forma del manoscritto una serie di scelte di cui si dà conto a testo o nell’apparato posto a piè di pagina: – sono mantenute a testo le lettere con un punto sottoscritto inserito dallo stesso copista o da un’altra mano (comunque di inchiostro simile) per ortoepizzare i raddoppiamenti indebiti, in particolare di l, ma sono segnalate tra parentesi uncinate (per es. fata‹l›le); la scelta corrisponde alla volontà di restituire un testo nella sua facies più genuina al netto di interventi in senso toscaneggiante, probabilmente da parte dello stesso copista (cfr. infra) 14 ; – secondo la stessa finalità e alla luce del fatto che si tratta di un fenomeno complementare a quello appena descritto, sono respinte in apparato le lettere integrate, probabilmente dallo stesso copista, per ridurre gli scempiamenti, in particolare di l (per es. elo con una seconda l aggiunta); – sono segnalate solo in apparato le integrazioni di h nella sequenza sce o sci, in questo caso sicuramente dello stesso copista, che ha abbandonato una scrizione ben documentata nell’Italia settentrionale a favore della scrizione meno equivoca sche o schi (per es. scere o scivare tre volte), probabilmente da interpretare anche in questo caso come un intervento in senso toscaneggiante 15 . 13 L’unico caso di non coincidenza tra l’originaria macrostruttura latina e il testo volgare si ha per il capitolo 6 del libro V, diviso in due unità nel volgarizzamento. 14 Questo espediente, applicato ad un testo che ha conosciuto probabilmente un passaggio settentrionale, se non proprio emiliano, è già stato usato in D. Dotto, «Per una serie copiosissima di rampolli viziosi e invadenti»: l’Etica di Aristotele secondo BNCF II II 47 (versione di Tresor II.2-49), «Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano», XVIII, 2013, pp. 159-236, in particolare alle pp. 178, nota 42, e 180-81. 15 Per la diffusione di questo uso grafico in Italia settentrionale, cfr. Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini, a cura di d’A.S. Avalle, vol. I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992, pp. XCVII-XCVIII. 268 Diego Dotto L’apparato a piè di pagina dà conto degli interventi e delle correzioni da parte dello stesso copista (parti cancellate per biffatura o con punto sottoscritto, integrazioni nell’interlinea o nei margini, lettere ripassate, ecc.). Qui anche le correzioni editoriali secondo una forma diplomatica che si limita a registrare lo stato del manoscritto, suggerendo la presenza (o l’assenza) di condizioni che possano aver agevolato la corruttela, tipicamente il cambio di rigo segnalato da un’asta orizzontale (|). La giustificazione delle scelte editoriali ha luogo invece alla fine di ciascun capitolo, principalmente attraverso il confronto con il latino, valutando di volta in volta l’eziologia dell’errore, da conservare quando si tratti di un errore di traduzione o di una corruttela risalente alla tradizione latina, o da emendare quando sia imputabile alla tradizione volgare. Come aveva già notato Bertoni 16 , il manoscritto contiene un buon numero di errori, per cui non ho esitato a emendare il testo o più prudentemente suggerire possibili emendamenti in questo secondo apparato. Esso ha anche un’altra funzione: evidenziare attraverso un confronto sistematico con il latino la miscela di prestiti, calchi, equivalenti e perifrasi che compone il lessico del volgarizzamento, improntato a una fortissima fedeltà al testo di partenza, ma di tipo “scolastico”, in cui aderenza al modello latino e allo stesso tempo istanza esplicativa ricercano faticosamente un equilibrio non sempre raggiunto 17 . Proprio per questo, sono stati evidenziati anche gli scarti, sia pure minimi, rispetto a un’“ideale” traduzione orientata esclusivamente sul testo di partenza, soprattutto per quel che riguarda l’omissione o viceversa l’aggiunta di materiali lessicali (glosse, dittologie, ellissi colmate rispetto al modello latino o iterazioni con finalità esplicativa, per cui si usa il simbolo “Ø” nelle citazioni dal latino, scioglimenti di metafore o metonimie, ecc.) 18 . 16 Cfr. Bertoni, Intorno a due volgarizzamenti, cit., pp. 211-12, dove si propongono due correzioni al testo, a V.3.6 e V.3.7, che sono state accettate anche nella presente proposta editoriale. 17 In questo secondo apparato non dovranno sorprendere confronti apparentemente inutili come agitada a fronte del latino agitata in V.4.1 o conesione a fronte di conexione in V.1.8, perché corrispondono in realtà a soluzioni lessicali marcate (per la rarità dei due lessemi, cfr. TLIO s.v. agitare e connessione – nel secondo caso si tratterebbe di un hapax, almeno alla luce della documentazione italiano antica recuperabile dai corpora dell’OVI). Questi esempi rientrano nella tipologia dei cosiddetti «latinismi latenti», per cui cfr. C. Burgassi e E. Guadagnini, Prima dell’«indole». Latinismi latenti dell’italiano, «Studi di lessicografia italiana», XXXI, 2014, pp. 5-43. 18 Se è vero in generale che non è possibile conoscere la fonte diretta utilizzata dal volgarizzatore, la “prossimità” del volgarizzamento al dettato latino da un lato e l’esistenza di una vulgata latina della Consolatio dall’altro (cfr. nota seguente) garantiscono al confronto analitico tra modello tradotto e traduzione un sufficiente grado di affidabilità. Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 269 Come detto, l’edizione latina di riferimento è quella di Claudio Moreschini, fruita anche per le lezioni segnalate in apparato che meglio possono ricostruire il dettato latino di partenza: si è rinunciato però a indicare espressamente le sigle dei codici latini, che sono raggruppati semplicemente con la formula “(altri) codd.”, per la buona ragione che, per lo stato degli studi, tali lezioni vanno considerate soprattutto come “possibilità” attestate nella vulgata trecentesca della Consolatio Philosophiae, più che spie utili per l’individuazione della famiglia di codici da cui potrebbe dipendere il manoscritto latino fruito per la traduzione 19 . D’altra parte non si è rinunciato a formulare ipotesi sulla presenza nell’antigrafo servito per la traduzione di lezioni diverse da quelle del testo critico dell’edizione di riferimento e non documentate nell’apparato, sempre, com’è ovvio in questi casi, con la necessaria cautela (cfr. supra). 3. TESTO [L. IV, cap. 4] |61ra| [17] «[...] altro ma‹l›le. No è ’lo da sentenc[iare] più sventurato de quello la cui sagura è reconsolada de parte d’alchuno bene?». «Che meraveia?» disi eo. [20] «Dunqua ànno li rei, quando igli ènno ponidi, alchuna cosa de bene, çò è la pena, la qua‹l›le per raxone de iustixia è bona; e quando ènno sença tormento, ànno oltra quelo alchuna cosa de ma‹l›le, çò è la inpunità, la quale tu ài confesado ch’è rea per merito de iniquità». [21] «No-l posso negare». «Dunqua è molto più sagura dili rei a chi è domandà contra iustixia la inpunità che quilli che ènno ponidi per iusta 20 vendeta. [18] Manifesto è ch’el 21 è iusta cosa li rei esere ponidi e è iniqua cosa quilli pasare sença pena». «Chi negarà çoe?». [19] «Né questo non negarae nesuno, che quello ch’è iusto non sia bono e per contrario quello ch’è iniusto è reo». [22] Alora eo dissi: «Queste cose se segueno bene a quelle le qua’ ènno dite denançi, ma eo te domando: cri tu che le aneme habiano alchuno tormento dopo la morte del corpo?». [23] «Sì ànno grande», respoxe quella, «dele qua’ eo penso che altre ènno de crudeltà là o’ è pena sença pietà e altre ènno cum purgamento de mixericordia; ma parlare de queste al prexente no è mia intencione. [24] Avemo da qui indredo adoverato che tu cognosi che la posança d’i rei no è niente, la quale te pareva molto indegna, e ve- 19 Sulla tradizione latina, cfr. Albesano, Consolatio, cit., pp. 23-25 e bibliografia ivi citata, che insiste sulla formazione di una vulgata medievale del testo. 20 21 iusta ] i(n)usta. el è ] ela con e soprascritta. 270 Diego Dotto disi che coloro d’i quai tu te lamentavi che no erano ponidi no ènno mai sença tormenti de soa malicia. Et avemo adoverado che tu cognusi la bailia, |61rb| la quale tu pregavi che se finise tosto, no esere lunga e che ela è pi[ù] sagurada se ela è durevole, e molto più sagurada se ella fose eternale; e che tu cognosi dopo tute queste cose che più mixeri ènno li rei lasadi sença pena che li ponidi per iusta vendeta. [25] Ala quale sentencia se consegue che finalemente seranno destriti in più grevi tormenti quando credeano esere inponidi». [26] Alora respuxi eo: «Pensando bene ale toe raxoni, parme che niente se posa dire più veraxe; ma tornando ai çudixii deli homini, chi è quello a chi non parano queste co‹s›se non solamente da credere, ma almeno da odire?». [27] Et ela 22 dise: «Così è. Ma igli non ponno levare li ochi, che ènno uxadi ale tenebrie, a vedere la luxe dela neta verità, e somiianose ale oxelle, ale qua’ la note alumina lo vedere e lo die le açegha; e igli non guardando al’ordene de tute cose, ma ale soe voluntadi, pensano ch’el sia biado a chi è licito fare le folie o chi no è ponido. [28] Guarda dunqua che ordena la eterna lege; che tu te conformarai l’anemo ale miiori cose, non te fa mistero altro çudexe, che tu medexemo t’ài açunto ale cose excelenti. [29] E se tu volgerai lo studio toe, overo la intencione, al peçore, non domandare altro vendegadore de fora: tu medexemo t’ài trato al peçore, sì como se tu guardi moe la terra puçolente e po’ lo ce‹l›lo, e toiando via tute le altre chaxoni, puro per raxone de vedere te parà esere moe in lo fangho, poe |61va| tra le stelle. [30] Ma-l povolo non guarda queste cose. Dunqua che guarda? Volemo nui vegnire a quili che nui avemo mostrado che ènno simile ale bestie? [31] Che te pare? Se alchuno avese perduto lo vedere e desmentegasese averlo mai aipudo, no pensarave quello che li manchasse niente ala humana perfecione? E nui che vedemo çoe, no lo tigniravemo nui çego? [32] Né anche questo non confesaraveno igli, che è fermo per altresì forti raxoni, çò è ch’el sia più saguradi coloro che fanno la iniuria che quilli che la receveno». [33] Et eo disi: «Eo voravi odire queste raxone». Et ella respoxe: «Neghi tue che onne reo non sia degno de pena?». «Noe». [34] «E elo è palexe che quili che ènno rei per molte guixe ènno saguradi». «Sì». «Dunqua non dubiti che quilli che ènno digni de tormenti non siano mixeri». E eo dissi: «Convignivele cosa è». [35] «Me se tu fussi sentenciandore, a cui pensarisi tu che fose da dare la pena, o a quello che avesse fata la inçuria o a quello che l’avese soferta?». «Non dubito», dissi eo, «ch’eo satisfarave a colui che l’avese recevuda, cum dolore de quello che l’avese fata». [36] Et ella respoxe: «Dunqua te pare più mixero quelo che fae la inçuria che quello che la receve». [37] «Bene se segue». «E de çò, per altre chaxuni formade suxo questo fundamento, che-l vicio per soa natura fa li homini mixeri, apare che la inçuria fata a çascuno è mixeria non de quello che la receve, ma de quello che la fae. [38] Ma li arengaduri fanno moe lo contrario, che igli se sforçano de chomovere la mixeri|61vb|cordia d’i çudixi per coloro che ànno soferto alchuna cosa dura e greve, cum çò sia cossa che più iustamente la mixericordia se dibia dare a quilli che pecha22 ela ] ela | con l aggiunta. Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 271 no, li quai dai soi acuxaduri, no iradi ma mixericordioxi, era mistero che igli foseno menà al çudixio, sì como li infirmi al medego per torli la infirmitade dela colpa cum lo tormento. [39] E così tuta l’overa d’i soi defendeduri o del tuto cessarave o, se voleseno çoare ali homini, volgeravense al’albitro dele achuxe. [40] E quili medeximi che ènno colpevelli, se igli podeseno vedere la virtù che igli ànno lasada per alchuna via e vedeseno che igli doveseno metere çoxo la immundixia d’i vicii per tormenti de pene, per conpensamento d’aquistare virtù, no diraveno che quisti foseno tormenti e refiudaraveno l’aiturio d’i defendeduri e daravense del tuto ali achuxaduri e ali çudixi. [41] E de çò è che apresso li savii nesuno logo è degno d’odio. E chi arave li boni in odio s’el non fosse sommo mato? E volere male ali ma[l]i 23 no è raxone. [42] Ma sì como la fieveleça è infirmità d’i corpi, così li vicii ènno infirmità deli animi, cum çò sia cosa che nui non çudigemo li infirmi esere digni de odio, ma de mixericordia, molto maoremente no ènno da perseguire, ma da avere mixericordia coloro li quai in la mente soa ènno destriti da malicia, ch’è crude‹l›le più d’one infirmitade. IV.4 17-22 ordine diverso dei par. del volg. rispetto all’ed. lat. di riferimento, che si ritrova già in una parte della tradizione lat. 17 da sentenc[iare] ] censendus lat. più sventurato ] infelicior lat. de parte d’alchuno bene ] boni participatione lat. 21 a chi... inpunità ] Multo igitur infeliciores improbi sunt iniusta impunitate donati quam iusta ultione puniti lat. “Sono pertanto molto più infelici i malvagi che godono ingiustamente dell’impunità, che non quelli che sono puniti giustamente” (Moreschini); per iusta vendeta cfr. infra IV.4.24 iusta ultione trad. per iusta vendeta. 23 pena sença pietà... cum purgamento de mixericordia ] poenali acerbitate... purgatoria clementia lat. 24 Avemo... adoverato... avemo adoverado ] egimus... Ø lat. la bailia ] licentiam lat. più sagurada ] infeliciorem(que) lat. durevole ] diuturnior lat. 27 levare... verità ] oculos tenebris assuetos ad lucem perspicuae veritatis attollere lat. voluntadi ] affectus lat. pensano... ponido ] vel licentiam vel impunitatem scelerum putant esse felicem lat. 28 altro çudexe ] iudice praemium deferente lat. 29 lo studio toe, overo la intencione ] studium lat. al peçore... al peçore ] ad peiora... in deteriora lat. puçolente ] sordidam (humum) lat. 30 Dunqua che guarda? ] Quid igitur lat. 31 nui che vedemo çoe ] errore di trad. indotto prob. da diversa lez. nel modello latino num videntes eadem caeco putaremus? lat. (altri codd. caecos) “Forse dovremmo considerare uguali a questo cieco coloro che vedono?” (Moreschini). 34 per molte guixe ] multipliciter lat. che modifica però liquet trad. elo è palexe. 35 Me se tu fussi sentenciandore ] Si igitur cognitor, ait, resideres lat. 36 Et ella respoxe ] Ø lat. 37 E de çò ] Hac igitur lat. ma è congettura moderna, hac o hinc, haec codd. per altre chaxuni ] aliisque causis lat. ma è congettura moderna, aliisque de o aliis de codd. 39 al’albitro dele achuxe ] in accusationis habitum lat. prob. da emendare in abito per cui cfr. infra V.iii.26 neutro est habitu trad. è né in l’uno né in l’altro habito. 40 per alchuna via ] aliqua rimula lat. “attraverso un piccolo forellino” (Moreschini). igli doveseno... de pene ] vitiorumque sordes poenarum cruciatibus se deposituros lat. diraveno ] ducerent lat. per cui cfr. V.4.13 ducendam trad. da dire (dati 23 male ali ma[l]i ] | male ali mati. 272 Diego Dotto il contesto e il significato di ducere “ritenere”, non è necessario postulare una lez. dicerent, che pure è possibile). 41 degno ] apud sapientes nullus prorsus odio locus relinquatur lat. “nei sapienti non ha assolutamente luogo l’odio” (Moreschini). ma[l]i ] nam bonos quis nisi stultissimus oderit? – malos vero odisse ratione caret lat. “chi, infatti, se non il più stolto potrebbe odiare i buoni? – e d’altra parte, odiare i malvagi è cosa senza senso” (Moreschini), prob. per errore di ripetizione di mato trad. di stultissimus. 42 infirmità... infirmità ] languor... morbus lat. [L. IV, cap. iv (metro)] [1] Che çoa chomovere tanti e sì |62ra| grandi movementi e afreçare la morte cum la propria mano? Se voi la domandati, ela medexema s’aprosima per soa voluntà e non destene sì soi viaçi chavagli. [5] Coloro li quai li serpenti, lioni, tigre, orso e [p]orcho 24 domandano cum lo dente, igli medeximi anpo’ se ofendeno cum la spada. [7] Igli moveno le non iuste scere 25 e le fere bataie per che li soi costumi se descordano, e volno morire l’uno cum le arme del’altro. [10] Questa no è asai iusta raxone 26 de crudeltade; se tu vòi rendere convegnevele vixenda per li meriti, ama li boni segundo raxone e abii mixericordia ali rei. IV.iv 1 afreçare la morte ] fatum sollicitare lat. destene ] remoratur lat. viaçi ] volucres (equos) lat. 5 [p]orcho ] aper lat. per cui cfr. IV.vii.28 saetiger trad. porcho salvadego. domandano cum lo dente ] dente petunt lat. se ofendeno cum la spada ] se... ense petunt lat. 7 Igli moveno... del’altro ] An distant quia dissidentque mores, / iniustas acies et fera bella movent / alternisque volunt perire telis? lat. nel volg. è andato perduto il valore interrogativo della frase. [L. IV, cap. 5] [1] Eo respuxi alora: «Bene vego quale sia la beatitudene o la mixeria posta in l[i] me[ri]ti 27 d’i boni e d’i rei. [2] Ma vego che in questa ventura che-l povolo demanda è alchuna cosa de bene e de ma‹l›le, che nesuno savio vole inançi esere descaçado e povero e tignù a viltà che respiendente de richeçe, esere aipù in honore e reverencia, forte de posança, fiorire stando in soa cità. [3] E così se trata più chiaramente lo officio dela sapiencia quando la beatitudene de quilli che regeno è sparta per alchuno modo in li povoli, cum çò sia cosa che la prexone e la lege e li altri tormenti e pene de lege se dibiano spicialemente dare ali rei citadini, per li quai ele èn24 e [p]orcho ] (e)orcho. scere ] scere | con h aggiunta nell’interlinea. 26 raxone ] raxo‹x›e con n aggiunta nell’interlinea. 27 in l[i] me[ri]ti ] i(n)le me(n)ti. 25 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 273 no ordenade. [4] Perché dunqua se mudano ele per contrario e li tormenti dele felonie premeno li boni e li rei tolno per força li guidirdoni dele virtù molto |62rb| me ne meraveio e desidro savere da tie quale sia la raxone de sì iniusta confuxione. [5] Certo meno me-n meraveiaravi s’eo credese che tute cose se regeseno per caxi de ventura. E mo Deo me alibii lo 28 meo meraveiare. [6] Lo quale spese fiade dà ali boni cose deleteveli e ali rei cose aspre, e per contrario concede ali boni cose dure e ali rei concede le cose che igli ànno desidrado; ma se caxone non li è, che diferencia è da çoe ali caxi dela ventura?». [7] Ella disse alora: «No è meraveia se alchuna cosa d’ordene è [c]reçuda esere confuxa e temente no saipando la raxone; ma tu, avegna che tu non sapi la raxone de tanta dispoxicione, per che bono regedore rege lo mundo, non dubitare che tute cose se fanno dritamente». IV.5 1 in l[i] me[ri]ti ] in ipsis... meritis lat. per cui cfr. IV.iv.11 Vis aptam meritis vicem referre? trad. se tu vòi rendere convegnevele vixenda per li meriti. 2 descaçado ] exsul lat. tignù a viltà ] ignominiosus(que) lat. esere aipù in honore e reverencia ] honore reverendus lat. 3 più chiaramente ] clarius testatiusque lat. la lege ] nex lat. (altri codd. lex). 4 e desidro... confuxione ] quaeque tam iniustae confusionis ratio videatur, ex te scire desidero lat. 5 E mo... meraveiare ] Nunc stuporem meum deus rector exaggerat lat. “Ora, invece, il fatto che Dio sia reggitore del mondo accresce il mio stupore” (Moreschini). 6 dà... concede... concede ] Ø... tribuat... concedat lat. 7 è [c]reçuda ] credatur lat. [L. IV, cap. v (metro)] [1] Se alchuno non sae che le stelle e li corsi de quello segno che àe nome Arturo vada apreso al fermamento de sovra, e no sae perché la stella che à nome Bootes pasi tardi lo Charro e perché tardi stravolga le soe fiame in lo mare, [5] cum çò sia cosa che quella stella, çò è Bootes, conpia tosto li viaçi nasimenti, daràse meraveia dela lege del’alto aere. [7] Perché la luna quando àe le corne piene devegna palida e tinta in li termini dela oscura note [10] e perch’ela descrova le stele le qua’ l’avea nascoxa cum soa luxente faça, questo erore comove la gente e fanno remore in l’aire cum spesi soni. [13] Nesuno se merav[e]ia 29 che-l vento che à nome choro feri lo lido cum |62va| furioxa onda, [15] e non se meraveia che la dureça dela neve se desolve per calore del sole. [17] Perçò che qui è pronto savere le chaxoni del sole, e quelle de sovra, per che ele ènno ascoxe, turbano li cori deli homini. [19] Tute cose le quae nostra etade fae o vede rade volte – lo mobelle povollo vedendole subito se meraveia – s’el se parte l’oscuro erore dela ygnorancia, ades‹s›o staranno de parere meraveie. IV.v 1 le stelle... Arturo ] Arcturi sidera lat. 28 29 lo ] lo ‹quale spell› |. merav[e]ia ] merauaia. e no sae ] Ø lat. la stella che à nome Bo- 274 Diego Dotto otes ] Bootes lat. tardi... tardi ] tardus (Bootes)... seras (flammas) lat. 5 quella stella, çò è Bootes ] Ø lat. viaçi ] celeres (ortus) lat. 7 tinta in li termini dela oscura note ] infecta metis noctis opacae lat. 10 e fanno remore in l’aire cum spesi soni ] lassantque crebris pulsibus aera. lat. 13 -l vento che à nome choro ] flamina Cori lat. 15 e non se meraveia ] Ø lat. la dureça dela neve ] nivis duram... molem lat. 17 qui è pronto... del sole ] Hic enim causas cernere promptum est lat. “Qui, infatti, è facile vedere le cause” (Moreschini). e quelle de sovra ] Hic... illic lat. la trad. perde la correlazione del testo lat. li cori deli homini ] pectora lat. con scioglimento della metonimia lat. per cui cfr. V.i.2 pectoribus figit spicula trad. ficha saiete in lo peto e V.v.3 continuumque trahunt vi pectoris incitata sulcum trad. chomo sì tirano la polvere e in lo continuo solcho del pecto. 19 Tute cose... rade volte ] Cuncta quae rara provehit aetas lat. (altri codd. raro, rare) “se il tempo ci porta quello che è raro” (Moreschini). [L. IV, cap. 6] [1] Alora eo respuxi e dissi: «Bene è cosie. Ma poe che to dono è paleçare le caxoni dele cose ascoxe e avrire le raxoni cuverte de oscuritade, domandote che tu me deçerni de çò e dighimilo, inperçò che questa meraveia masimamente me conturba». [2] Et alora ella me rixe uno pocheto e disse: «Ala maore quistione che se posa domandare tu me chiami, dela qua‹l›le a pena se pòe trare tanto che basti. [3] Per che la materia è ta‹l›le che, tolto l’uno dubio, altri innumerabilli suxo creseno, sì como le teste del’idra, e non li serae alchuno modo s’el no fosse alcuno lo quale destrengese quella cum vivaçe e durente fervore d’ingegno. [4] Che qui se sole domandare dela sinplicità dela provedença, del’ordene dela ventura, deli subitani caxi, del cognosemento e del distinamento divino e dela libertà delo arbitrio; le qua’ tute de quanta greveça elle siano, tu medexemo le pòi vedere. [5] Ma perçò che se tu cognoserai queste |62vb| cose, ello serà alcuna parte de toa medexina, avegna che pocho tenpo abiamo, nui ne sforçaremo anpo’ deliberare alchuna cosa. [6] Ma s’el te deleta la dolçeça del verso muxicho, convene che uno pocheto tu la induxii, tanto ch’eo ordeni le raxoni ligade entro sì per via de ordene». Et eo respuxi: «Como te piaxe». [7] Et alora sì como començando da altro principio, disse in questo modo: «La generacione e-l començamento de tute cose e onne progresso dele cose natura‹l›li e çò che se move in alchuno modo prende le caxuni e l’ordene e la forma dala stabilità dela mente divina. [8] Questa stabilità, conponuda in rocha de soa sinplicità, àe ordenato diverso modo ale cose che se denno fare. E questo modo guardando e considerando in la purità 30 dela inteligencia divina è anomado “provedença”; e referandolo ale cose le qua’ elo move e despone, li antixi l’ànno apelado “fado”. [9] Le qua’ cose como elle ènno diverse, legeramente serà aparente chi guardarae bene cum la mente la força del’uno e del’altro: che la provedença sì è quella medexema raxone divina che è 30 purità ] pa|rita con u soprascritta. Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 275 constituida in lo sommo principio de tute cose; la quale provedença despone tute cose; lo fado sì è la despoxicione dele cose mobile per lo quale la provedença liga tute le cose in ordene. [10] Vero la provedença ogualemente conprende tute, quamvisdeo elle siano diverse e infinite; ma lo fado ordena çascuna cosa in movemento distribuida |63ra| a logi, a forme e a tenpi, açò che questo ordene tenporale retrato e adunado in lo conspecto dela mente divina sia “provedença”; e quello medexemo 31 adunamento partido e destexo per tenpi sia chiamado “fado”. [11] Et avegna chi siano diversi, l’uno pende del’altro: che l’ordene fatale desende dela sinplicità dela provedença. [12] E sì como l’artifeçe inprima vedendo in la mente soa forma dela cosa che se dé fare, conpiese po’ l’efecto del’overa, e quelo ch’elo avea veduto sinplice e voluntariamente mena per ordini tenporali; così Deo cum la soa provedença singulare e stabelemente despone le cose ch’el dé fare, et aministra cum lo fado per molte forme e tenpi le co‹s›se ch’elo àe desponude. [13] Ma overo che per d’alchuni spirti divini la despoxicione dela providença lo fado sia conpiuto, overo per l’obidiencia del’anema, overo che tuta la natura li serva, overo per movimenti de stelle che vegnano dal celo, o per virtù angelicha, o per varia sutiieça de demonii 32 , o per alchuni de quisti, overo per tuti l’ordene fatale sia guidato, manifesto è che la providencia è una forma dele cose che se denno fare sinplice e immobele; e-l fado sì è uno ordene tenporale e ligamento mobele dele cose le quai la divina sinplicità à desponù a fare. [14] Unde çò è che tute cose ch’èno soiete al fado siano eciamdeo soiete ala provedença, ala quale altresì soçaxe |63rb| quello fado; me certe cose le qua’ ènno alogà soto la providença sovromuntano l’ordene del fado; e queste ènno quelle le qua’, ferme ala prima divinità, pasano l’ordene del movemento fata‹l›le. [15] Che sì como lo çerchio più in entro deli altri che se volgeno atorno uno fermamento s’avixina più ala sinplicità del’ameçamento, et è sì como uno fermamento ali altri cerchi de fora, atorno lo quale se volgeno quili de fora, ma quello çerchio più de fora volto cum maore circundamento quanto più se deslunga dal punto indivisibele de meço, tanto se destende in più anpli spacii, e se alcuna cosa se çunge e aconpagni a quello, è constreto esere in quella sinplicità e cessa de movere e descorere; e per simille 33 raxone quello che più se deslunga dala prima mente è involto in maore ligamenti del fato, et alcuna cosa tanto è libera dal fato, quant’è più vixino. [16] E s’ela s’apoçarà ala fermeça de sovra, elo è sença movemento e pasa la necesità del fato. [17] Dunqua sì como è lo raxonamento al’intelecto, quello che è ingenerà a quelo che è 34 , sì como è lo tenpo alla eternitade, sì como lo çerchio al punto de meço, così è l’ordene del fato mobelle ala sinplicità stabele de providencia. [18] Quello ordene move lo ce‹l›lo e le stelle e tenpera li alimenti entro sie, e sì li transforma per avixenda de movemento; e quello 31 medexemo ] medexemo con prima e ripassata. demonii ] demonii ‹de›. 33 simille ] siuille con u corretta in m. 34 è ] e con e ripassata. 32 276 Diego Dotto medexemo ordene renova tute cose le qua’ moreno e 35 naseno per simili produximenti |63va| de fructi e de sementi. [19] Questo ancora liga cum ligami de chaxoni che non se ponno desoiare li acti e le venture deli homini; lo quale ordene, per che ello vene dali començamenti dela providencia immobele, mistero è ch’elo sia altresì immobelle. [20] E così se rege le bone cose se la sinplicità ch’è in la mente divina conduga l’ordene dele chaxoni che non se ponno scivare 36 ; ma questo ordene destrenge cum soa fermeça le cose mudiveli e che altramente cum prexuncione descorevano. [21] Unde che avegna che a voi che non posì vedere questo ordene, tute le co‹s›se ve parano trasmeschiade e torbedate, niente meno soe ordene dispone tute cose driçandole a bene. [22] Che niente è che eciamdeo da quili 37 rei se faça per caxone de ma‹l›le; li qua’ sì como è mostrado pienamente, domandando lo bene, pravo erore li travolge 38 , non che l’ordene che desende dal fermamento del sommo bene pieghi alcuna cosa dal soe principio. [23] Ma tu dirai: “Qua‹l›le pò esere mai peçore confusione como è che ali boni avegnano sì cose averse como prospere, et ali rei vegnano sì le cose desidrade come le inoioxe?”. [24] Vive li homini cum ta‹l›le integrità de mente che çò sia de necesità che quilli che igli çudigano boni o rei sianno così como igli pensano? [25] Certo li çudixii deli homini in çò se descordano, che coloro che pensano che uno sia degno de guidirdone, altri lo çudigano degno de tormento. |63vb| [26] Ma concedemo che uno posa cognosere li boni e li rei; porà elo vedere quello tenperio dentro dali animi, sì como se sole dire in li corpi? [27] E è simile miracholo a quilli che no-l sanno perché ali corpi sani se convene a quisti cose dulci e a quilli cose amare, perché altresì li infirmi ènno aidati altri dale molle, altri dale agre. [28] De çò non se meraveia lo medego, lo qua‹l›le cognose lo modo e-l tenperamento dela sanità e dela malatia. [29] Ma che pare che sia salute deli animi se no la bontate e che è la malatia se no li vicii? E chi altri è conservadore d’i beni e descaçadore d’i ma‹l›li che Deo, regedore e medegadore dela mente? [30] Lo quale, quando elo guarda dal’alto mistero de soa inteligencia, cognose quelo che se convene a çascuno e dae quello ch’el vede che se convene. [31] E de quie, çò è dal’alta dispoxicione, sì vene quello grande miracholo del’ordene fatale, quando quello che sai fae quelo che fa forte meraveiare quili che no-l sanno. [32] Ma diròte brevemente poche co‹s›se dela divina profundità: de colui che tu pen‹s›si ch’el sia iustisimo conservadore de dritura, ala providencia pare altramente. [33] E Luchano, nostro fameiario, dixe che la caxone vinçidrixe piaque ali dei e la vi[n]ta 39 piaque a Cato. [34] Dunqua çò che tu vì incontrare quie è drito ordene ale cose, ma ala toa opinione è perversa confuxione. [35] Ma sia alcuno sie bene costumado che de lui consenta ogualemente lo di35 e ] e con e ripassata. scivare ] sciuare | con h nell’interlinea. 37 quili ] q(ui)li | con l aggiunta. 38 travolge ] tra|uolge ‹l›. 39 vi[n]ta ] vita |. 36 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 277 vino e l’umano |64ra| çudixio, ma è infermo dela vertù del’animo; al quale 40 , se cosa alchuna d’aversitade incontra, elo lasarà forsi de seguere la innocencia, per la quale elo non pò tignire la ventura. [36] Alora perdona dunqua la savia despensaxone a colui che la aversitade pòe fare peçore, açò ch’ela non sostegna afadigare colui a chi non se convene. [37] Et è alchuno ch’è perfecto in tute le virtude e santo e prosimano a Deo; çudiga la providencia ch’el sia pecado che costui sia tocho d’alchuna aversitade, intanto che ello no lo lasa esere agitato da infermità corporale. [38] Però che sì como uno più excelente de mie, ch’era grecho, dise in soe lenguaço: ***. [39] E incontra spesse volte che ali boni è data la retoria dele cose açò ch’el sia abatuda l’abundante inprobitade; [40] e ad altri distribuise altre co‹s›se mesedade segundo la qualitade deli animi; alchuni remorde açò che per lunga felicitade igli non lusuriino; et altri lasa esere açetadi da dure cose açò che le virtù del’anemo se confirmino per exercicio e uxo de paciencia; [41] altri temeno oltra modo quello che igli ponno portare; altri desprexiano oltra modo quello che igli non ponno portare; quisti mena ella in exsperimento de sì medeximi cum triste cose; [42] alcuni ànno çà conparado la venerabelle nomenança del sego‹l›lo per prexio de glorioxa morte; alcuni inespugnabili per suplicii àno mostrado ali altri in exenpio che la virtù |64rb| non se vinçe per li ma‹l›li. Le qua’ cosse quant’elle 41 se façano dritamente e despostamente e per lo bene de quilli a chi ele incontrano, non è alchuno dubio. [43] Però che ali rei avegnano tale volta le cose triste e tal volta le desidrate, avene de queste medexeme chaxoni. [44] E dele cose triste nesuno se meraveia però che ogn’omo l[i] estima 42 esere digni de ma‹l›le – li tormenti d’i qua‹l›li parte insporise li altri de felonie e parte mendano quilli a chi ele incontrano –, ma le cose alegre danno grande argumento ali boni quelo che igli denno çudigare de così fata felicitade, la quale igli vedeno molte volte esere serva d’i rei. [45] In la quale cosa credo che sia despensado quelo ch’el è alchuno forsi de sì trabuchevele e inportuna natura che la povertade dela co‹s›sa familiare lo pò ligeramente constrengere a felonia. Questa cotale infirmitade medega la providencia cum remedio de pechunia ch’ela li concede. [46] Costui aspetando la consiencia soa machulada de vicii e conperando sego la ventura soa, forsi teme ch’el non ie sia trista la perdeda de quello del quale l’uxo li è deletevele. M[u]d[a]rà 43 dunqua costumi e temando de perdere la ventura elo abandona la nequicia. [47] Altri la indegna felicitade àe trabuchadi in la meritada pestilencia; ad altri è comessa la raxone de ponire açò che per exercicio elo sia chaxone de tormento ali boni e ali rei. [48] Però che sì como tra i boni e li rei no è alchuna convignencia, così li rei tra sì medeximi non se ponno |64va| acordare; [49] i qua‹l›li descordando lungo tenpo çascuno la consiencia da sì medeximi per diversi vicii fanno spesse volte ta‹l›le co‹s›se 40 al quale ] ala quale. quant’ ] q(uan)t nell’interlinea. 42 l[i] estima] le estima |. 43 M[u]d[a]rà ] ma dura. 41 278 Diego Dotto che quando igli le ànno fate, igli cognoseno ch’ele no ènno da fare. [50] Dela qua‹l›le co‹s›sa la somma providencia spesse volte àe mostrado excelente meraveia che li rei ànno fato boni li rei. [51] Però che alchuni parendolli esere fato a sie cose inique dali pesimi homini e infiamadi del’odio d’i noxivilli, ènno tornadi a fruto de vertude in quanto igli se sforçano d’esere desumiiati a quilli che igli odiano. [52] Però che so‹l›lamente è la divina virtude ala quale li ma‹l›li ènno beni, quando, uxando quilli convenevelemente, ella ne trage efecto d’alchuno bene. [53] Inperçò che uno ordene conprende tute le cose, sì che quello che se parte dala raxone asignada descore in ordene, avegna ch’elo 44 sia uno altro, açò che in lo regno dela provedença niente sia licito ala temeritade. [55] Et non è licito al’omo conprendere per ingegno overo explicare per parola tuti li machinamenti del’overa divina. [56] Ma bastisse che Deo, fatore de tute le nature, dispone tute le co‹s›se driçandole ad uno medexemo bene; defino ch’elo se studia de retegnire le co‹s›se ch’elo àe fate in soa similitudene, ello descaça ogne ma‹l›le fora d’i termini dela soa cosa plubicha per l’ordene dela fatale necesitade. [57] Unde incontra che quelle cose ch’èno creçude habundare in terra 45 , se tu guardi la disponente providencia, no te acorgerai che in loro sia |64vb| alcuno ma‹l›le. [58] Ma veçote, çà tenpo è, charegado del pexo dela quistione e stancho dela lunga prolixitade dela raxone, aspetare alcuna dolceça de verso. Toi dunqua questa prexa per la qua‹l›le tu refato più fermo posi contendere più inançi. IV.6 1 domandote... e dighimilo ] quaeso uti quae hinc decernas, quoniam hoc me miraculum maxime perturbat, edisseras lat. 3 suxo creseno ] succrescant lat. vivaçe e durente fervore d’ingegno ] vivacissimo mentis igne lat. 6 la dolçeça del verso muxicho ] musici carminis oblectamenta lat. la induxii ] hanc... differas voluptatem lat. 7 cose natura‹l›li ] mutabilium naturarum lat. 8 Questa stabilità ] Haec lat. ma rif. a divina mentis trad. mente divina. conponuda in rocha de soa sinplicità ] in suae simplicitatis arce composita lat. “ferma e tranquilla nella rocca della sua semplicità” con rif. alla sostanza uniforme e non composta di Dio (Moreschini). guardando e considerando ] cum... conspicitur lat. li antixi l’ànno apelado “fado” ] fatum a veteribus appellatum est lat. 9 la quale provedença ] quae lat. 10 retrato e adunado ] (haec temporalis ordinis explicatio) adunata lat. 12 sinplice e voluntariamente ] simpliciter praesentarieque lat. singulare e stabelemente ] singulariter stabiliterque lat. per molte forme e tenpi ] multipliciter ac temporaliter lat. 13 che vegnano dal celo ] caelestibus (siderum motibus) lat. varia sutiieça de demonii ] daemonum varia sollertia lat. 14 ferme ala prima divinità ] primae propinqua divinitati stabiliter fixa lat. pasano ] excedunt lat. 15 atorno uno fermamento ] circa eundem cardinem lat. 16 E s’ela s’apoçarà ala fermeça de sovra ] Quodsi supernae mentis haeserit firmitati lat. elo è sença movemento e pasa la necesità del fato ] motu carens fati quoque supergreditur necessitatem lat. 18 per avixenda de movemento ] alterna commutatione lat. e quello medexemo ordene ] eadem lat. 19 che non se ponno desoiare ] indissolubili causa44 45 ch’elo ] che‹sa› con lo nell’interlinea. in terra ] i(n)‹cello› te(r)ra |. Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 279 rum conexione lat. elo sia altresì immobelle ] ipsas quoque immutabiles esse lat. (altri codd. ipsam... immutabilem). 20 le bone cose ] Ita enim res optime reguntur lat. “Le cose, infatti, sono governate nel modo migliore” (Moreschini), prob. da un’interpretazione optimae. l’ordene dele chaxoni che non se ponno scivare ] indeclinabilem causarum ordinem promat lat. “un ordine fisso di cause” (Moreschini). cum prexuncione ] temere lat. “a caso” (Moreschini). 21 trasmeschiade e torbedate ] confusa... perturbataque lat. 22 travolge ] avertit lat. 25 che coloro ] et quos lat. (altri codd. ut quos). 26 quello tenperio dentro dali animi ] illam intimam temperiem lat. “quell’interna temperie dell’animo” (Moreschini). 30 dal’alto mistero de soa inteligencia ] ex alta providentiae specula lat. 31 E de quie, çò è dal’alta dispoxicione ] Hic lat. 32 iustisimo conservadore ] iustissimum et aequi servantissimum lat. ala providencia ] omnia scienti providentiae lat. 33 nostro fameiario ] familiaris noster lat. vi[n]ta ] victam lat. 34 tu vì incontrare ] citra spem videas geri lat. 35 al quale ] cui lat. rif. a aliquis trad. alcuno, non escludibile tuttavia un accordo ad sensum con vertù. 37 el sia pecado ] nefas lat. esere agitato ] agitari lat. 38 ch’era grecho, dise in soe lenguaço ] Ø lat. spazio bianco a fronte di Þndròj dÕ ëeroû démaj aêqérej oêkodómhsan (esametro greco di autore sconosciuto). 39 la retoria dele cose ] summa rerum regenda lat. 40 lusuriino ] luxurient lat. esere açetadi ] agitat lat. ma è congettura moderna, codd. agitari. 41 in exsperimento ] in experimentum lat. 42 del sego‹l›lo ] saeculis lat. ma è congettura moderna, codd. saeculi. 44 ogn’omo l[i] estima esere digni de ma‹l›le ] quod eos male meritos omnes existimant lat. insporise ] deterrent lat. quelo che ] quid lat. 45 de sì trabuchevele e inportuna natura ] tam praeceps atque importuna natura lat. 46 aspetando ] spectans lat. (altri codd. exspectans). M[u]d[a]rà ] mutabit lat. 47 indegna ] indigne acta lat. per exercicio elo sia chaxone de tormento ali boni e ali rei ] exercitii bonis et malis esset causa supplicii lat. “servire ai buoni per esercitarsi nel bene e ai malvagi per ottenere la meritata punizione” (Moreschini), forse attraverso una lettura exercitio. 48 convignencia ] foedus lat. 49 i qua‹l›li ] Quidni lat. nel volg. è andato perduto il valore interrogativo della frase. 51 a fruto de vertude ] ad virtutis frugem lat. 54 ŒArgaléon dé me taûta qeòn Ëj pántŒ Þgoreúein om. par. senza spazio bianco come invece in IV.6.38 (citazione omerica da Il. XII, 176). 55 tuti li machinamenti ] cunctas (divinae operae) machinas lat. 56 dela soa cosa plubicha ] rei publicae suae lat. 58 dela lunga prolixitade ] prolixitate lat. prexa ] haustum lat. [L. IV, cap. vi (metro)] [1] Se tu vòi cognosere cum pura mente le raxoni del’alto Tonante, guarda lo cholmo del sovrano ce‹l›lo; lie cum iusto pacto de co‹s›se le stelle servano antiga lege. [6] Lo sole comoso cum lucido fogo non piglia lo gelado axe dela luna; e l’Orsa che in lo sovrano colmo del mundo volge li brevi corsi, che mai non se bagna in l’ocidentale profundo e [v]ede 46 tute le altre stele tramuntare, non desidra d’amortare le so fiame in l’Oçeano. [13] Senpre in ogua‹l›le vixende de tenpo lo Vespro anuncia le tarde onbre e Lucifero retorna lo bello die. [16] E cosie lo vixendevele amore fa e46 e [v]ede ] ene de. 280 Diego Dotto terno corso e così la descor[d]evelle 47 guera è sbandeçada dele contrà dele stele 48 . [19] Questa concordia tenpera li elimenti cum ogualli modi, sì che conbatendo a vixenda dano logo li humidi ali sichi e [l]i fridi 49 conpono fede cum le fiame e lo pendolo fogo vae in suxo e la terra greve per pexo va in çoxo. [25] Per queste chaxoni medexeme lo florifero tenpo la primavera spira oduri e la chalda stade secha le biave e retorna l’autonno pieno de frute e lo vento piovio bagna l’inverno. [30] Questa tenperança nudriga e aduxe onne co‹s›sa che spira vita in questo mondo; |65ra| e quella medexema sopoçandole cum exstrema morte le abate e porta via. [34] Sede tra queste cose l’alto Factore, e regendo piegha le redene dele cose, re e segnore, fontana e nasimento, lege e savio arbitro de iustixia, e quelle co‹s›se ch’elo dà a movere, ello retirandole le retene e ferma quelle vaghe; [40] però che s’elo non constrengesse ancora revochando li driti movementi in obliqui circhi, tute quelle co‹s›se che-l stabelle ordene contene, moe partendose dala soa fontana se frustaraveno. [44] Questo amore sì è comuna‹l›le a tute cose e redomandano d’esere contegnude da fine de bene, però ch’ele non ponno durare altramente s’ele non retornano cunverso d’amore ala chaxone che li à dato esere. IV.vi 1 Se tu vòi cognosere ] Si vis celsi iura Tonantis / pura sollers cernere mente lat. lo cholmo del sovrano ce‹l›lo ] summi culmina caeli lat. lege ] pacem lat. 6 lo gelado axe dela luna ] gelidum Phoebes (impedit) axem lat. “il gelido carro di Febe” (Moreschini). che... in l’ocidentale profundo ] numquam occiduo lota profundo lat. “mai bagnata nelle profondità occidue (l’Orsa)”, cioè l’Orsa non scende mai sotto l’Oceano (Moreschini). e [v]ede ] cernens lat. amortare ] tinguere lat. 13 bello ] almum lat. 16 descor[d]evelle ] (bellum) discors lat. per cui cfr. V.iii.1-2 discors... causa trad. descordevele chaxone. è sbandeçada ] exsulat lat. dele contrà dele stele ] astrigeris... oris lat. 19 e l[i] fridi ] iungantque fidem frigora flammis lat. “e il freddo stringe un patto con le fiamme” (Moreschini). pendolo ] pendulus lat. “leggero” (Moreschini). 25 lo florifero tenpo ] florifer annus lat. la primavera ] vere tepenti lat. lo vento piovio bagna l’inverno ] hiemem defluus inrigat imber lat. “l’acqua che scende dal cielo bagna l’inverno” (Moreschini). 30 e quella medexema... porta via ] eadem rapiens condit et aufert / obitu mergens orta supremo lat. “afferra, nasconde e porta via ciò che è nato, immergendolo da ultimo nella morte” (Moreschini), con eadem rif. a temperies e non a orta. 40 se frustaraveno ] fatiscant lat. 44 cunverso ] converso lat. [L. IV, cap. 7] [1] «Vì tu dunqua che segua tute queste co‹s›se che nui avemo dite?». «Che?» dissi eo. [2] Disse ella: «Che onne ventura è bona». «E como», dissi eo, «pò esse47 descor[d]evelle ] descoreuelle. stele ] stele | con l aggiunta. 49 e [l]i fridi ] esi fridi. 48 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 281 re?». [3] «Atendi», disse ella, «cum çò sia cosa che onne ventura, overo iocunda overo aspra, sia data esere caxone parte de remunerare e exercitare li boni e parte de ponire e de coregere li rei, ogne ventura sì è bona, ch’è overo iusta overo utelle». [4] «Tropo certo», eo dissi, «veraxe raxone è questa, e se eo considro la providença, la quale pocho denançi tu mostrasti esere venture, ella è sentencia proada cum ferme forçe. [5] Ma s’el te piaxe, |65rb| numeremolla tra que‹l›le le qua’ pocho denançi tu dixisti ch’erano inopinabelle». «Como?» disse ella. [6] «Però», dissi eo, «che-l comunale favelare deli homini uxurpa questa co‹s›sa e spese volte dixeno la ventura d’alchuni esere rea». [7] «Vò’ tu dunqua», dise ella, «che nui andamo un pocho al favelare del povolo, açò che nui non paramo eserçe tropo partidi dal’uxo del’umanitade?». «Como te piaxe» dissi eo. [8] «Non confesi tu dunqua esere bene quello che çoa?». «Così è» disi eo. [9] «Ma quella ventura che exercita overo corege çoa?». «Confesolo» disi eo. «Dunqua è ella bona?». «Certo sì è». [10] «Ma questa è la ventura de quilli li quali overo posti in vertude conbateno contra l’aversità overo de coloro che abandonando li vicii piiano la via de virtude». «Non lo poso negare» dissi eo. [11] «Che dunqua la iocunda ch’è data in premio ali boni, çudigala ello lo povollo esere rea?». «Certo no è, ma se ello la çudiga bona como ella è». [12] «Che çudiga ello del’altra, la quale siando aspra 50 constrenge li rei a iusto tormento, çudigala elo lo povolo bona?». [13] «Anci, çudiga ello», dissi eo, «ch’ela sia molto più mixera de tute quelle che se ponno pensare». [14] «Guarda dunqua la opinione del povolo nui no avesemo concluxo una cosa molto inoppinabelle». «Qua‹l›le?» dissi eo. [15] «De queste cose», dise ela, «che ènno dite se segue che onne ventura de coloro ch’ènno in posesione overo in promocione overo in aquixicione de vertude, qua‹l›le ventura ela |65va| sia, ch’ela sia bona; e de coloro che ènno posti in oprobitade ventura è pesima». [16] «Questo è vero», dissi eo, «avegna che nesuno l’osi confesare». [17] «Però», dis’ela, «lo savio homo così non dé portare molestamente quando ello è menado in bataia dala ventura, como al forte homo non se convene d’indegnarse quando el crese remore de bataia. [18] Però che al’uno e al’altro è materia la defichultade, a costui de propagare la soa gloria e al’altro de conformare la soa sapiencia. [19] Per la quale cosa eciamdeo è chiamado “virtude” quello che uxando soa força non sia soperchiado dale cose averse. E vui che siti posti in promocione de vertude non çe sidi vegnudi per descorere cum richeçe e març[i]rve 51 cum delecti carna‹l›li. [20] Fadi forte bataia contra onne ventura, açò che la trista non ve oprima, né la iocunda ve corunpa. [21] Piiadi lo meço cum viva força. Çoe che overo infra stae overo procede più oltra àe desprexio de felicitade e no àe premio de fadiga. [22] Però ch’el è posto in vostra mano 52 qua‹l›le ventura vui ve volì formare, però che onne ventura che pare aspra, s’ela no exercita overo corege, ella ponisse. 50 aspra ] ‹a›aspra. març[i]rve ] ma(r)çarue. 52 mano ] ‹oi› mano. 51 282 Diego Dotto IV.7 3 Atendi ] Attende lat. 4 e se eo considro... venture ] et, si quam paulo ante docuisti providentiam fatumve considerem lat. “se io considero quella che poco fa hai spiegato essere la provvidenza e il fato” (Moreschini). 6 Però... rea ] Quia id hominum sermo communis usurpat, et quidem crebro, quorundam malam esse fortunam lat. “Perché il linguaggio comune degli uomini ripete, e anche spesso, che la fortuna di alcuni è cattiva” (Moreschini). 11 ma se ello la çudiga bona como ella è ] verum, uti est, ita quoque esse optimam censet lat. 13 molto più mixera ] miserrimam lat. 14 la opinione del povolo ] opinionem populi sequentes lat. 15 che onne ventura... ch’ela sia bona ] evenit... omnem... bonam... omnem pessimam esse fortunam lat. con doppio complementatore. in promocione ] in provectu lat. “nell’esercizio” (Moreschini). in oprobitade ] in improbitate lat. 18 propagare... conformare ] (gloriae) propagandae... conformandae (sapientiae) lat. 19 in promocione ] in provectu lat. març[i]rve ] emarcescere lat. [L. IV, cap. vii (metro)] [1] Lo fiiollo d’Atride, façendo guera per X agni, reconciliò le perdute chamare del fradello cum le ruine de Troia. [4] Ello volendo dare vento al navillio de Grecia e reconparando li venti cum sangue, sì se spoiò la paternitade e-l tristo prete pate|65vb|giò la mixera morte dela fiiolla. [8] Ullixe pianse li perdudi conpagni, li qua‹l›li lo feroçe Poliphemo, che stava in una grande speluncha, somerse in lo grande ventre; [11] ma quello foribundo cum çego volto rendé alegreça a Ullisse cum triste lagreme. [13] Herchule è celebrado per dure fadighe: ello domò li superbi centauri; ello trasse la scorça al crude‹l›le lione; elo saietò le arpie cum certe saiete; ello tolse lo pomo del’oro al serpente che le guardava charegandosene più che d’oro; ello trainoe Cerbero cum tre chadene. [20] Disise che lo vincidore dè a mançare uno crude‹l›le signore ali crudili chavagli; ello ancixe l’idra ardendo lo soe tosego; e Archileo vituperado da lui in la fronte nascoxe lo vergognoxo volto in le rive del fiume; [25] ello abaté Anteo in la arena de Libia e per lui Chacho saçò l’ira d’Evandeo e-l porcho salvadego li inpastò le spalle de schiuma, le qua’ dovea premere l’alto ce‹l›lo. [29] E l’ultima fadiga foe ch’elo sostene lo ce‹l›lo no piegando le spale né lo chollo, e meritò lo ce‹l›lo per prexio del’ultima fadiga. [32] Andamo, forti, là ove mena l’alta 53 via de questo grande exenpio. O sença arte, perché volgì vui le spalle? La terra soperchi[a]da 54 , convinta, sì dona le stelle. Explicit liber quartus B. Deo gracias. IV.vii 1 Lo fiiollo d’Atride ] ultor Atrides lat. per X agni ] bis quinis... annis lat. reconciliò ] piavit lat. “espiò” (Moreschini). chamare ] thalamos lat. 4 sì se spoiò la paternitade ] exuit patrem lat. la mixera morte ] miserumque... iugulum lat. 8 conpagni ] sodales lat. 13 la scorça ] spolium lat. elo saietò... cum... saiete ] fixit... sagittis lat. le ar53 54 l’alta ] lalt‹r›a. soperchi[a]da ] sop(er)chi da. Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 283 pie ] volucres lat. cum tre chadene ] triplici catena lat. 20 uno crude‹l›le signore ali crudili chavagli ] immitem... / saevis dominum quadrigis lat. Archileo ] Achelous lat.; per lo sviluppo di -r- cfr. V.i.1 (rupis) Achaemeniae trad. d’Archamenia. 25 de Libia ] Libycis (harenis) lat. Evandeo ] Evandri lat. porcho salvadego ] saetiger lat. 29 no piegando le spale né lo chollo ] inreflexo / ... collo lat. 32 Andamo ] Ite lat. sença arte ] inertes lat. volgì ] nudatis (terga) lat. “denudate (la schiena)”, cioè liberate la schiena da ogni peso (Moreschini). soperchi[a]da, convinta ] (tellus) superata lat. per cui cfr. IV.7.19 superetur trad. sia soperchiado. [L. V, cap. 1] |66ra| Incipit liber quintus B. [1] Ela avea dito e volgea lo corso del soe dire a tratare e spiegare certe altre cose. [2] Allora disi: «Drita è la exortacione e dignisima al pestuto per toa auctoritade, ma eo resento che çae è longo tenpo tu 55 dixisti la quistione dela providencia esere inplichada a molte altre co‹s›se. [3] Domandote se alchuna cosa è e che tu cri che sia lo chaxo». [4] Alora ella disse: «Eo me afreço de pagare lo dibito dela promesa e de avrirte la via per la quale tu torni in la patria toa. [5] Ma queste cose, avegna ch’ele siano utili a savere, ele ènno alquanto diverse dal sintero del nostro propoxito, et è da temere che tu, stanchado per desviamenti, non possi bastare a mexurare lo drito viaço». [6] «Quello», dissi eo, «non temere tu, ch’elo m’è in logo de repo‹s›so a cognosere quelle cose de che eo masimamente desidro de cognosere. [7] E quando onne lado dela toa desputacione serà così fermo per indubitada fe’, niente se dubiti dele cose che segue». [8] Alora dise ella: «Eo t’adurò costume como eo òe fato fino a moe». E adesso disse cosie: «Se alcuno definisca lo caxo esere avignimento producto per temerario movemento e cum nesuna conesione de caxone, eo confermo che-l caxo al pestuto è niente e veço la voxe al pestuto vana sença significacione dela cosa subiecta. Che quale logo pò |66rb| avere la temerità constrengendo Deo tute le cose in ordene? [9] Che elo sì è vera sentencia che negota 56 serà de niente; ala quale non contrastò mai nesuno deli antixi, avegna che igli meteseno questo quaxe uno fundamento, non del principio operante, ma delo subiecto materiale, çò è de natura de tute raxoni. [10] Ma se covele se fae de no alchune raxoni, parerà che quello sia nato de niente; la quale co‹s›sa, s’ela non pòe esere in lo caxo, dunqua [non] pò 57 esere tale qua‹l›le nui l’avemo difinido pocho denançi». [11] «Ch’è elo dunqua?», dissi eo, «È ello niente che de raxone possa esere chiamado “chaxo” overo “fortuito”? È elo chovelle, avegna che lo vulgo no-l sabia a che se convegnano quisti vochabo‹l›li?». [12] Disse ella: «Aristotele meo lo definì in la Fixicha cum breve raxone e propinqua 55 tu ] ‹d›u con t nell’interlinea. negota ] ‹ne› negota. 57 dunqua [non] pò ] du(n)qua | po. 56 284 Diego Dotto del vero». Dissi eo: «In che modo dis’ello?». [13] «Tute le volte che chovelle se fae per gracia d’alchuna co‹s›sa e avene per qualche chaxone altro che quello che se atendeva, sì è apelado “chaxo”; sì como se alchuno per chaxone de chunçare lo canpo, chavando la terra, trovase alcuno peço d’oro. [14] Questo dunqua se crede che sia adevegnudo per fortuito 58 , ma elo no è perçò de niente né per fortuito, ch’elo àe proprie chaxoni, dele qua’ l’inprovixo e lo no pensado cuncorso pare avere fato lo chaxo. [15] Che se-l cultore del canpo [non] chavasse 59 la terra e-l depoxitore non avese seterado lie la pecunia soa, l’oro non serà stà trovado. [16] Queste dunqua ènno le chaxuni del fortuito conpendio |66va| o del’aventurada brevità, çò è del caxo, ch’el provene de confluenti chaxoni e transcorenti, e che se intopa no per intencione de quello che fae. [17] Che né quello che soterò l’oro, né quello che chavò lo canpo no intendea che la pecunia se trovasse, ma, como eo òe dito, el concore e congunsese che questo chavasse là o’ quello avea nascosto. [18] Convense dunqua diffinire lo caxo esere avignimento non pensado 60 de confluenti chaxoni in quele cose che se fanno per alchuno fine. [19] Ma concorere e [con]fluere 61 le chaxoni sì fa quello ordene procedendo cum non vitabelle conesione, lo quale desendendo dela fontana dela providencia, despone tute cose a soi logi 62 e a soi tenpi. V.1 4 afreço ] Festino lat. 3 se alchuna cosa è ] an esse aliquid omnino lat. 5 dal sintero ] a... tramite lat. 7 indubitada ] indubitata (fide) lat. 8 temerario ] temerario (motu) lat. conesione ] conexione lat. veço la voxe al pestuto vana ] inanem prorsus vocem esse decerno lat. 9 negota serà de niente ] nihil ex nihilo exsistere lat. non del principio operante, ma delo subiecto materiale ] non de operante principio, sed de materiali subiecto lat. “non a proposito del principio che opera, ma... a proposito del soggetto costituito dalla materia”, con rif. al discorso di Epicuro che ha un valore fisico, non etico o metafisico (Moreschini). 10 de no alchune raxoni ] nullis ex causis lat. la quale... denançi ] quodsi hoc fieri nequit, ne casum quidem huius modi esse possibile est qualem paulo ante definivimus lat. (altri codd. nec casum). 11 no-l sabia ] lateat lat. 12 dis’ello ] Quonam, inquam, modo? – Quotiens, ait lat. prob. da emendare in Dis’ella con rif. al par. 13. 14 né per fortuito ] Ø lat. cfr. hoc igitur fortuito quidem creditur accidisse, verum non de nihilo est lat. l’inprovixo e lo no pensado ] inprovisus inopinatusque (concursus) lat. 15 [non] chavasse ] nisi... nisi lat. 16 o del’aventurada brevità, çò è del caxo ] fortuiti... compendii lat. “di un guadagno fortuito” (Moreschini). de confluenti chaxoni e transcorenti ] ex obviis sibi et confluentibus causis lat. ch’el provene... e che se intopa ] quod... provenit... Ø lat. 18 avignimento non pensado ] inopinatum... eventum lat. de confluenti chaxoni ] ex confluentibus causis lat. 19 [con]fluere ] (Concurrere vero atque) confluere lat. cum non vitabelle conesione ] inevitabili conexione lat. 58 fortuito ] forttiito con ti corretta in u. canpo [non] chavasse ] canpo | chauasse. 60 pensado ] pe(n)sando. 61 e [con]fluere ] | efluere. 62 logi ] logi con h nell’interlinea. 59 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 285 [L. V, cap. i (metro)] [1] In li scopulli dela riva d’Archamenia, là o’ è bataia fugaçe volta, ficha saiete in lo peto de quilli che inchalçano, [3] nasse Tigris e Eufrates d’una fontana, e incontinenti partide le aque se desconpagnano. [5] Ma se igli se reconçungeno e ancora retornino in uno corso, e conchora quelo che aduxe l’aqua del’uno e del’altro fiume, e conçungase le navi e le choche chavade per lo fiume, e l’aqua mesedada mesidi li fortuiti modi. [9] I qua‹l›li niente meno vaghi caxi regeno la bassura dela terra e lo descorevele ordene del descorente gorgho; [11] così àe frini e va segundo lege la ventura che pare fluitare a redane lasade. V.i 1 In li scopulli dela riva d’Archamenia ] Rupis Achaemeniae scopulis lat. “Dalle rocce della rupe Achemenia”, cioè le montagne della Partia (Moreschini); per lo sviluppo di -r- cfr. IV.vii.23 Achelous trad. Archileo. bataia fugaçe ] pugna fugax lat. con rif. alla tecnica di combattimento dei Parti. 3 se desconpagnano ] dissociantur lat. 5 e conchora ] confluat lat. del’uno e del’altro fiume ] alterni... vadi lat. e conçungase ] convenient lat. (altri codd. conveniant). le navi e le choche chavade per lo fiume ] puppes et vulsi flumine trunci lat. l’aqua mesedada mesidi li fortuiti modi ] mixtaque fortuitos implicet unda modos lat. 9 la bassura ] declivia lat. e lo descorevele ordene del descorente gorgho ] gurgitis et lapsi defluus ordo regit lat. 11 fluitare ] fluitare lat. a redane lasade ] permissis... habenis lat. [L. V, cap. 2] [1] «Eo lo penso», dissi eo, «e consento ch’el sia sì como tu di’. [2] Ma in |66vb| questo ordene de caxoni a sie apoçade, è i[n] ello alchuna libertade de nostro arbitrio, overo la chadena fata‹l›le constrenge li movementi deli animi humani?». [3] «Sì è», disse ella, «ch’el no è nesuna racionale natura ch’el no li sia libertade d’albitrio. [4] Inperçò che quello che naturalemente pò uxare raxone à quello çudixio per lo quale ello deserna çascuna cosa, dunqua per sie cognose quelle cose ch’ènno da fugire e quelle ch’ènno da desiderare. [5] E çascuno domanda quello ch’el çudiga da desidrare e fuge quello ch’elo estima da fugire. [6] Et inperçò in quelle medexeme cose in le quai è raxone, eciamdeo è libertade de volere e de non volere; ma questa libertade, eo no la constituisco esere ogua‹l›le 63 in tuti. [7] Che in le sustancie de sopra e divine è sotile çodixio e incorota voluntade e efichaçe e aprestada posança dele cose desidrate. [8] Ma necesario è che le aneme humane siano più libere quando elle se conservano in la speculacione dela mente divina, e meno libere quando ele descoreno ai corpi, e ancora meno quando elle ènno conligade ali menbri terini. [9] Ma la servitudene de dredo sì è quando elle ènno dade ali vicii e ènno chaçude dela pose63 ogua‹l›le ] ogua‹l›li con i corretta in e. 286 Diego Dotto sione dela propia raxone. [10] Inperçò che dapo’ ch’ele ànno çetadi li ochi dala luxe dela somma veritade ale cose de soto, et incontinenti ènno oscurade 64 da nuvole de ygnorancia et ènno turbade de mortali affecti; ai quali acedendo e consentendo, elle aidano la servitudene |67ra| in la qua‹l›le elle ènno vegnude, et ènno in alcuno modo prexe dela propria libertade. [11] Le qua’ co‹s›se niente meno vede quello guardo che vede tute le cose ab eterno e despone le co‹s›se predestinade ali soi meriti. V.2 2 a sie apoçade ] haerentium sibi (causarum) lat. “che si intrecciano tra di loro” (Moreschini). 7 sotile ] perspicax (iudicium) lat. incorrupta ] incorota (voluntas) lat. aprestada ] praesto lat. 9 de dredo ] Extrema (servitus) lat. 10 ale cose de soto ] ad inferiora et tenebrosa lat. et incontinenti ] mox lat. con paraipotassi. prexe ] captivae lat. 11 guardo ] intuitus lat. [L. V, cap. ii (metro)] [1] Homero bocha melada canta: lo So‹l›le è chiaro cum puro lume; [4] el quale Sole per amore de çò non pò vedere cum la inferma luxe deli ochi le interiore dentro dela terra overo del mare. [7] Ma non fa così lo fatore del grande mo[n]do 65 : che costui guardando tute le co‹s›se d’alto, nesuna li contrasta per groseça dela terra e non li contrasta la note per oscure nuvole. [11] Che in uno trato dela mente ello vede tute le cose che ènno e che fono e che dovrano esere; [13] lo quale per che elo 66 solo vede tute le cose, tu lo pòi chiamare “lo veraxe so‹l›le”. V.ii 1 PántŒ æforân kaì pántŒ épakoúein non trad. senza spazio bianco come invece in IV.6.38. bocha melada ] melliflui... oris lat. 4 le interiore dentro ] intima viscera lat. 7 del grande mo[n]do ] magni... orbis lat. per groseça dela terra ] terrae mole lat. 11 in uno trato dela mente ] uno mentis... in ictu lat. “con un unico moto dell’intelletto” (Moreschini). [L. V, cap. 3] [1] Alora dissi eo: «Ancora me confunde più greve dubitacione». [2] «Qua‹l›le è quella?», disse ella, «ch’eo penso çae quello de che tu dubiti». [3] «Tropo», dissi eo, «me pare repugnare e contrariare che Deo inançi cognosca tute le cose e sia alchuno arbitrio de libertade. [4] Inperçò che se Deo vede tute le co‹s›se e non pò esere inganado per alchuno modo, ello è necesario ch’el avegna quello che la providencia àe preveçudo che dé esere. [5] E inperçò se ab eterno ello cognose non so‹l›lamente li 64 oscurade ] ascurade con a- corretta in o. mo[n]do ] modo. 66 elo ] elo con l aggiunta. 65 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 287 facti deli 67 homini, ma |67rb| eciamdeo li consigli e le voluntadi, non serà dunqua alchuna libertà d’arbitrio; che alchuno fato overo voluntade, quale sia, non porà esere se no quella che la divina providença, che non se pò inganare, avrà preveçudo. [6] Inperçò che s’ele ponno esere altramente, sono come elle ènno preveçude, çà non serà ferma presencia de quello che dé vignire, ma serà in[c]er[t]a 68 credença; la qua‹l›le cosa a credere de Deo eo credo pecado. [7] E no aprovo quella raxone per la quale certi se credeno podere solvere questo [n]odo 69 de quistione. [8] Che igli dixeno che nesuna cosa dé vignire 70 per che la providencia abia veçuto che dé esere; ma maoremente lo contrario, çò è per che quello dé avegnire, inperçoe non pòe esere nascosto ala providencia divina, et in quello modo convene 71 che questo returni in la parte contraria. [9] Che ello no è necesario ch’ello avegna quele co‹s›se ch’ènno proveçude, ma è necesario ch’el sia proveçù quelle cose che denno esere; quasi como dubitancia fose quale sia caxone l’uno del’altro, overo la presencia dela necesitade dele cose che denno vegnire overo la necesitade dele cose che denno vegnire dela provedença; ma non çe sforçemo de mostrare questo: per quale modo se abia l’ordene dele chaxoni, elo è necesario l’avignimento dele cose ch’è inançi saipude, avegna che la presencia non parà metere ale cose necesità de vegnire. [10] Però che se alchuno sede, ello è necesario ch’el sia vero la credença che pensa ch’elo seda; et ancora la conversa, s’el è vera |67va| la credença d’alchuno che elo sega, ello è necessario ch’el sega. [11] Dunqua in l’uno e l’altro è necesitade: in l’uno de sedere e in l’altro d’esere vero. [12] Ma non perçò sede alchuno per che la credença è vera, ançi è quella vera per che alcuno sede. [13] Cosie cum çò sia cosa che la caxone dela veritade proceda dal’una dele parte, niente men[o] 72 in l’una e in l’altra è comunale necesità. [14] Simile cose se ponno dire dela providencia e dele cose che denno vegnire: inperçò che s’ele ènno proveçude perçò ch’ele denno esere, e no avene perçò ch’ele siano proveçude, niente meno elo è necesario, overo che cose che denno vignire siano proveçude, overo che le cose proveçude avegnano; la qua‹l›le co‹s›sa so‹l›la basta a removere la libertà dal’albitrio. [15] Ma quanto dexordenada cosa è a dire cha l’avignimento dele cose tenpora‹l›li sia chaxone dela prexencia eterna! [16] Che altro è a credere che Deo prevega le cose che denno vignire perçò ch’ele denno esere, se non pensare che le cose che ènno stade lungo tenpo è, siano caxone de quella summa providencia? [17] Sì como quando eo sòe alchuna cosa, elo [è] necesario 73 ch’ela sia, così, quando eo sòe che alcuna cosa dé avegnire, elo è necesario ch’el’avegna. Dunqua così se segue che lo avignimento dela co‹s›sa nanci saipuda non se possa sciva67 deli ] de ‹h› li. in[c]er[t]a ] i(n)tera |. 69 [n]odo ] modo. 70 vignire ] vignira con a corretta in e. 71 convene ] co(n)veni con i corretta in e. 72 niente men[o] ] nie(n)te mena. 73 elo [è] necesario ] elonecesario |. 68 288 Diego Dotto re 74 . [18] E da seço se alchuno estima la cosa como l’àe, e altramente, questa non solamente è siencia, ma ella è credença falaxe molto diversa dala verità dela siencia. [19] E inperçò se alchuna cosa |67vb| è sì a vignire che-l so avignimento non sia certo e necesario, como se porà dunqua nançi savere che quela dibia avegnire? [20] Che sì como la siencia no è [m]e[s]e[d]ad[a] 75 de falsitade, co‹s›sì quello ch’è concepto da quella non pòe esere altramente se no commo ello è concepto. [21] E per questa medexema caxone che la siencia non àe boxia, è necesario che çascuna cosa sia così como la siencia la conprende. [22] Che dunqua e per che modo precognose Deo queste incerte cose future? [23] Che s’elo çudiga ch’el dé vegnire de necesitade quelle cose che è posibele che non vegnano, ello è inganado; la quale cosa non solamente a credere è gran pecado, ma eciamdeo a profererlo cum la voxe. [24] Ma se ello cognose le cose esere future per lo modo ch’ele ènno, sì ch’elo cognosca che elle ogua‹l›lemente ponno avegnire e non advegnire, che presencia serà questa, che non conprende alcuna co‹s›sa certa né stabele? [25] Overo che diferencia è da questo indivinare a quella çança de Uresia per la qua‹l›le eo diroe d’alchuna co‹s›sa ch’ela serae e non? [26] E che serà meio la providencia divina che la credença deli homini, che così como li homini çudigano incerte le cose dele quai l’avignimento è incerto? [27] Ma se anpo’ quella certisima fontana de tute le cose non pòe esere covelle incerto, certo e necesario è l’avignimento de quelle cose che ello certamente àe proveçudo esere future fermamente. [28] Dunqua no è nesuna 76 libertade in li |68ra| consegli e in li facti humani, li quai la mente divina, vedendo sença alcuno erore de falsitade, ligha e constrenge ad uno avignimento. [29] La qua‹l›le co‹s›sa confesando, è manifesto quanto descagemento dele co‹s›se humane se ne segua. [30] Che indarno è dato li guiderdoni ali boni e le pene ali rei, le qua’ non àe meritado alchuno libero e voluntario movemento d’anemo. [31] E parerà iniquisima co‹s›sa quella che mo pare iustisima, çò è a ponire li malvaxi e guidirdonare li boni; d’i quali l’uno e l’altro non fae la propria voluntade, ma constrengilli la certa necesitade de quello che dé vignire. [32] Dunqua né [li] 77 vicii né le virtude seranno chovelle, ma serà incerta e indiscreta confusione de tuti li meriti; et ancora che non se pòe pensare più soça co‹s›sa, cum çò sia cosa che dala providencia proceda tuto l’ordene dele cose e niente sia licito ali consigli humani, seguese che li pecadi nostri se redugano in lo fatore de tuti beni. [33] Dunqua no è alchuna raxone de sperare o de pregare chovelle; però, che dé sperare overo pregare alchuno [...] l’inflexibele ordene agropa tute le cose da desidrare? [34] Dunqua se torà via quella una conpagnia la quale è tra Deo e l’omo, çò è de sperare e de pregare quello Deo; che se nui meritemo per prexio de iusta humilitade la inestimabele vixenda dela gracia divina, lo qua‹l›le modo è so‹l›lo per lo 74 scivare ] sciuare con h nell’interlinea. [m]e[s]e[d]ad[a] ] necesitade. 76 nesuna ] | nesuna ‹bo(n)tade ouero›. 77 né [li] vicii ] ne | vicij. 75 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 289 quale li homini pareno posere favelare cum Deo e poderse congungere a quella somma luce per raxone |68rb| de pregare inanci che igli inpetrino. [35] Le qua’ co‹s›se, ponendo necesitade dele cose future, s’ele no ènno creçude avere alchuna cosa de virtude, che serà quello per lo qua‹l›le nui posamo conçungere e adhergere a quello sommo princepe de tute le cose? [36] Dunqua serae necesario che l’umana generacione, sì como tu cantavi pocho denançi, partida e desiunta dala soa fontana, se afadighi indarno». V.3 3 inançi cognosca ] praenoscere lat. 6 s’ele ponno esere altramente, sono come elle ènno preveçude ] si aliorsum, quam provisae sunt, detorqueri valent lat. (altri codd. provisa) “se le volontà possono volgersi in una direzione diversa da quella che era stata prevista” (Moreschini). in[c]er[t]a ] incerta (opinio) lat. 7 [n]odo ] (quaestionis) nodum lat. 9 dele cose ch’è inançi saipude ] praescitarum rerum lat. 10 la conversa ] e converso lat. 13 niente men[o] ] tamen lat. 14 a removere la libertà ] ad perimendam (arbitrii) libertatem lat. 15 dexordenada cosa ] praeposterum lat. 17 [è] ] (necesse) est... (necesse est) lat. per cui cfr. qui elo è necesario. dela co‹s›sa nanci saipuda ] praescitae rei lat. non se possa scivare ] nequeat evitari lat. 19 nançi savere ] praesciri (altri codd. praescire). 20 [m]e[s]e[d]ad[a] ] impermixta lat. (per le rese di misceo e del suo perf. mixtus, cfr. IV.6.40 mixta trad. cosse mesedade, V.i.5 mixta... unda trad. aqua mesedada, V.iii.1 mixta trad. mesedate, V.iv.35 miscet trad. meseda, solo V.3.32 mixta atque indiscreta confusio trad. incerta e indiscreta confusione). 23 de necesitade ] inevitabiliter lat. 25 da questo indivinare a quella çança de Uresia ] (Aut quid hoc refert) vaticinio illo ridiculo Tiresiae lat. “da quel ridicolo vaticinio di Tiresia” (Moreschini). per la qua‹l›le... ch’ela serae e non? ] quicquid dicam, aut erit aut non? lat. “Tutto quello che dirò, sarà o non sarà?” (Moreschini). 26 çudigano ] si uti homines incerta iudicat quorum est incertus eventus lat. con soggetto divina providentia. 27 certo e necesario ] certus (eventus) lat. 29 descagemento ] occasus lat. 32 Dunqua né [li] vicii né le virtude ] Nec vitia igitur nec virtutes lat. 33 [...] ] quando lat. per cui si ipotizza una lacuna nella tradizione volgare in quanto richiesta dal senso. inflexibele ] indeflexa lat. agropa ] conectit lat. 34 una conpagnia ] unicum... commercium lat. inestimabele ] inaestimabilem (vicem) lat. somma ] inaccessae (luci) lat. inpetrino ] impetrent lat. 35 conçungere e adhergere ] conecti atque adhaerere lat. 36 partida e desiunta dala soa fontana ] dissaeptum atque disiunctum suo fonte lat. se afadighi indarno ] fatiscere lat. [L. V, cap. iii (metro)] [1] Qua‹l›le descordevele chaxone resolve li pacti dele cose? Qua‹l›le Deo à statuide tante bataie [in] doe 78 veritade che quelle ch’ènno singulare e divixe ènno ferme no se voiano conçungere mesedate inseme? [6] Non è ello nesuna descordancia 78 bataie [in] doe veritade ] bataie doe | ueritade. 290 Diego Dotto in le veritade e adhergenos’ele senpre certe inseme, ma la mente, anuvolad[a] 79 dali çeghi menbri, cum lo fogo del charegado lume, non pò cognosere li sotili nodi dele cose? [11] Ma perché desidra ella cum tanto amore de trovare le chuverte 80 forme dela veritade? Sa ela quello che ella angosoxa desidra de savere? [14] Ma chi se sforça de savere quelle cose ch’elo sae, overo chi pò seguere le cose ch’el no sae, né là o’ ello le trovi? E quale ygnaro pò cognosere la trovada forma, [20] overo quando ella guardava la summa mente, ella cognosea ogualemente le cose singulare e la [s]o[m]ma 81 ? [22] Moe, charegada dala nuvola deli menbri, no è in tuto desmentegada de sie medexema, che ella, perdendo le cose singulare, retene la somma. [25] Dunqua |68va| çascuno che çercha la veritade è né in l’uno né in l’altro habito; e inperçò ch’ello non sae quelle in tuto e non sa onne cosa, ma recordase la somma ch’elo retene, e retratando le cose altamente veçude se conseia, açò ch’el posa çungere le parte desmentegade a quelle ch’èno servade. V.iii 1 descordevele ] discors lat. [in] doe veritade ] quis tanta deus / veris statuit bella duobus lat. per cui cfr. V.iii.6 An nulla est discordia veris trad. Non è ello nesuna descordancia in le veritade. quelle ch’ènno singulare e divixe ènno ferme ] carptim singula constent lat. 6 ma la mente, anuvolad[a] ] sed mens... obruta lat. nodi ] nexus lat. 11 forme ] notas lat. “segni” (Moreschini). angosoxa ] anxia lat. 14 quelle cose ch’elo sae ] nota lat. le cose ch’el no sae ] nescita lat. 20 [s]o[m]ma ] (pariter) summam (et singula norat) lat. “non conosceva... il tutto e le singole cose insieme?” (Moreschini) prob. per errore di ripetizione per cui cfr. V.iii.24 summamque tenet singula perdens trad. perdendo le cose singulare, retene la somma. 25 è né in l’uno né in l’altro habito ] neutro est habitu lat. [L. V, cap. 4] [1] Alora dise ella: «Questa questione de provedença è vechia e fortemente agitada da Tulio quando ello distribuisse la divinacione, e è cosa çà lungo tenpo e molto domandada da ti medexemo, ma no anchora mo sufficientemente spiiada define a quie da nesuno de vui. [2] Dela 82 quale oscuritade è chaxone che-l movemento del raxonamento humano non pòe açungere ala sinplicità dela divina presiencia; la quale se per alcuno modo se pòe pensare, niente al pestuto li remarae d’oscuro. [3] La quale cosa eo cercharò de spiegare e de manifestare in cotale modo s’eo removerò inançi quelle raxoni per le qua’ tu te movi. [4] Ch’eo domando perché tu pensi non efichaçe quella raxone de quilli che solveno la presiencia non esere chaxone de necesitade ale cose che denno vignire, e anche mo pensano la libertà del’arbitrio non esere 79 ma la mente, anuvolad[a] ] | omala me(n)te anuuolade. chuverte ] chuerte con u nell’interlinea. 81 [s]o[m]ma ] forma. 82 Dela ] dela con l aggiunta. 80 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 291 inpedimenti[da] dala presiencia 83 . [5] Trà’ tu argumento de necesitade dele cose future d’altro logo se no che quelle cose ch’ènno nançi saipude |68vb| non ponno stare ch’ele no vegnano? [6] Dunqua se la presiencia non inpone alchuna necesitade ale cose future, la quale cosa tu confesavi pocho 84 denanci, che è per che li esiti voluntarii dele cose siano constriti a necesario avingimento 85 ? [7] Che açò che tu sapi che se segue, per gracia de posicione ponamo che nesuna presiencia sia. [8] Dunqua quanto a questo se apertene, le co‹s›se che venno per arbitrio, seranno ele constrete a necesitade?». «Noe». [9] «Ponamo ancora ch’ela sia, ma ch’ela no meta alchuna necesitade ale co‹s›se: remarà, segundo ch’eo pen‹s›so, quella medexema intera e absoluda voluntà de libertade 86 . [10] Ma tu dirai: “Çà che quamvisdeo che la presiencia non sia chaxone de necesitade ale cose future, ella è segno che elle denno vegnire de necesitade”. [11] Dunqua per questo modo, avegna che la presiencia non fosse, serave necessario l’avingnimento dele co‹s›se future; però che onne segno significha solamente quello che è, non fa quello ch’el significha. [12] Et inperçò se convene inanci mostrare che çascuna cosa vegna de necesitade, açò ch’el para che la presiencia sia segno de questa necesitade; altramente se questa necesitade è nesuna, né la presiencia non porà esere segno de questa cosa che no è. [13] Ma elo è çà fermo che la prova fornida de ferma raxone no è da dire per signi né per argumenti che se domandi de fora, ma de |69ra| convencioni e de chaxoni necesarie che se convegnano inseme. [14] Ma licita cosa serà che tu te acorgi legeramente como pòe esere che ello 87 no avegna quelle co‹s›se le quale ènno preveçude esere future. Quaxi vero nui credemo non devere avegnire le qua’ la providencia precognose esere future, e maoremente non pensemo quello, che quamvisdeo ch’ele avegnano, ma niente meno ch’elle no abiano aipudo alchuna necesità in soe vignire per soa natura. [15] Però che nui guardemo molte cose suiete ali ochi define ch’ele se fanno, sì como quelle che guardano fare li charateri in tenperando [e] piegando 88 le charete e altre cose in questo modo. [16] Dunqua constrenge ello alcuna necesitade nesuna de quelle co‹s›se ch’ele se façano?». «Cosie certo no è, però che invano serave l’efecto del’arte se ogne cosa se movese de necesitade». [17] «Dunqua quelle cose ch’ènno, quando elle se fanno, no ànno necesità d’esere, quelle medexeme inanci ch’ele se façano, ènno future sença necesitade. [18] Et inperçò è certe cose future dele qua’ l’avignimento è asolto da onne necesitade. [19] Che eo non penso che alchuno dixese che quelle co‹s›se che se fanno moe inanci ch’ele se feseno, non foseno future; dunqua queste cose, eciamdeo prechognosude, ànno liberi avegnimenti. [20] Però 83 inpedimenti[da] dala presiencia ] i(n)|pedime(n)ti da la presiencia. pocho ] poche con e corretta in o. 85 avingimento ] avi(n)|gime(n)to. 86 voluntà de libertade ] uolu(n)ta | de libertade. 87 ello ] elle con e corretta in o. 88 in tenperando [e] piegando ] i(n)te(n)pera(n)do (con)piega(n)do. 84 292 Diego Dotto che sì como la siencia dele cose prexenti no inpone alcuna necesitade ale cose che se fanno, così nela presiencia ale cose che ènno fu|69rb|ture. [21] Ma tu di’ che questa medexema cosa se dubita, çò è s’el pòe esere alcuna precognocione dele co‹s›se che no ànno necesarii avegnimenti; [22] e pensi, s’ele ènno preveçude, che ele 89 conseguano necesitade, e se la necesitade mancha, ch’ele non siano nançi saipude, inperçò che per siencia non se possa conprendere se no cosa certa. [23] Ma se quelle cose ch’ènno de [in]certo 90 avegnimento ènno preveçude quaxi certe, tu pensi quello esere oscurità de oppinione e no veritade de siencia; che a pensare che altramente se abia la co‹s›sa, tu cri ch’el sia diverso dala fermeça dela siencia. [24] Del quale erore la chaxone sì è che tute le cose che çascuno cognose, ello pen‹s›sa ch’elle se cognoscano per força e per natura de quelle cose che ènno cognosude. [25] La quale cosa è tuto per lo contrario: però che onne cossa ch’è cognosuda non se conprende segundo la soa virtude, ma segundo la facultade de quilli che la cognoseno. [26] Che açò che questo se manifesti per breve exenpio, una medexema rotondità de corpo, altramente la cognose lo vedere e altramente lo tochare; quello siando da lungi, çetando ragi lo vede tuto inseme, ma questo adhergendose ala rotonditade e conçuntoli e mosso intorno al circhuito, cognose la rotonditade per le parti. [27] E lo homo medexemo, altramente lo cognose lo sentire, altramente l’imaginacione, altramente la raxone e altramente l’inteligencia. [28] Però che-l sentire conprende la figura constituida in la materia subiecta, |69va| ma l’imaginacione çudiga so‹l›la la fegura sença materia. [29] Ma la raxone passa molto questa e conprende cum universa‹l›le consideracione la specie che è in li singulari. [30] Ma l’ochio del’inteligentia sì è 91 più alto: però transendendo lo circhuito del’universitade, ela guarda cum la pura achuitade dela mente quella medexema forma sinpla. [31] In la quale cosa è maximamente da notare questo, che la vertù de cognosere ch’è de sovra conprende quella ch’è de sota, ma quella ch’è de soto non pò per alcuno modo açungere a quella de sovra. [32] Che lo sentire non pò conprendere alchuna co‹s›sa fora dela materia, né la imaginacione guarda le cose universale, né la [raxone] conprende 92 la forma sinpla; ma l’inteligencia, quaxi guardando de sovra, conprendendo la forma, cognose eciamdeo tute le co‹s›se che ènno de soto, ma conprende la forma per quello modo per lo quale ella non pòe esere cognosuda altro. [33] Che ela cognose l’università dela raxone e la fegura del’imagina-cione e le materiale sensibele, e non però uxando la raxone né la ymaginacione né-l sentire, ma guardando tute le cose in uno solo batere dela mente formalemente, digamo così, ela vede tute le co‹s›se. [34] E la raxone, quando ella guarda alcuna co‹s›sa universale, no uxando l’imaginacione né-l sentire, conprende le co‹s›se ymaginabele e le sensibele. [35] Però che questa è quella che 89 ele ] ele con l aggiunta. de [in]certo avegnimento ] de ce(r)to auegnime(n)to |. 91 inteligentia sì è ] in|teligenti asie. 92 né la [raxone] conprende ] | Ne la (con)pre(n)de. 90 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 293 diffinise l’universale dela soa concepcione così: l’omo è animale da dui pèi racionale. [36] La qua|69vb|le difinicione, siando cognicione d’universale, nesuno non dubita ch’è ella eciamdeo immaginabelle e sensibelle; la quale cosa considera la raxone non per ymaginacione né per sentire, ma per racionale consideracione. [37] E l’imaginacione, quamvisdeo ch’ela pigli dal sentire començamento de vedere e de formare le figure, niente meno, remosso lo sentire, ella cognose le co‹s›se sensibelle non per çudixio sensibelle, ma per ymaginario. [38] Vì tu dunqua como çascuna cosa in cognosere uxa più la soa facultade che quela dele co‹s›se ch’ènno cognosude? [39] E no è questo inçuria; però che cum çò sia cossa che onne çudixio sia per acto del çudigante, ello è necesario che çascuno conpia l’overa soa per la soa podestade, e non per l’altrui. V.4 1 questione ] querela lat. agitada ] agitata lat. distribuisse ] distribuit lat. sufficientemente ] diligenter ac firmiter lat. spiiada ] expedita lat. 4 non efichaçe ] (rationem) minus efficacem lat. non esere inpedimenti[da] dala presiencia ] nihil impediri praescientia arbitrii libertatem putat lat. 5 ènno nançi saipude ] praesciuntur lat. non ponno stare ch’ele no vegnano ] non evenire non possunt lat. 6 esiti ] exitus lat. 7 per gracia de posicione ] positionis gratia lat. 9 voluntà de libertade ] voluntatis (integra atque absoluta) libertas lat. 10 chaxone de necesitade ] eveniendi necessitas lat. fa ] efficit lat. 12 né la presiencia ] ne illa quidem lat. 13 da dire ] ducendam lat. per cui cfr. IV.4.20 ducerent trad. diraveno (dati il contesto e il significato di ducere “basare”, ma anche “enunciare”, non è necessario postulare una lez. dicendam, che pure è possibile). ma de convencioni e de chaxoni necesarie che se convegnano inseme ] ex convenientibus necessariisque causis lat. 14 ma niente meno ] tamen lat. con paraipotassi. 15 Però che ] quod hinc facile perpendas licebit. Plura etenim lat. guardano ] spectantur lat. charateri ] aurigae lat. in tenperando [e] piegando le charete ] in quadrigis moderandis atque flectendis lat. 16 de necesitade ] coacta lat. 18 avignimento ] exitus lat. 19 Che eo non penso che alchuno dixese ] Nam illud quidem nullum arbitror esse dicturum lat. 21 precognocione ] praenotio lat. 22 e pensi ] dissonare etenim videntur, putasque lat. siano nançi saipude ] praesciri lat. 23 [in]certo avegnimento ] incerti... exitus lat. 25 ma segundo la facultade de quilli che la cognoseno ] sed secundum cognoscentium potius comprehenditur facultatem lat. 28 conprende ] Sensus enim figuram in subiecta materia constitutam, imaginatio vero solam sine materia iudicat figuram lat. “Infatti la sensazione giudica la figura calata nella materia sottostante, mentre la immaginazione giudica la figura da sola, senza la materia” (Moreschini). 29 conprende ] perpendit lat. 30 transendendo ] supergressa lat. lo circhuito del’universitade ] universitatis ambitum lat. cum la pura achuitade ] pura (mentis) acie lat. 31 conprende ] amplectitur lat. pò... açungere ] consurgit lat. 32 pò conprendere ] valet lat. le cose universale ] universales species lat. [raxone] ] ratio lat. conprende ] capit lat. conprendendo la forma ] concepta forma lat. ènno de soto ] subsunt lat. conprende ] conprehendit lat. 33 università ] universum lat. le materiale sensibele ] materiale sensibile lat. “la materia, che è della sensazione” (Moreschini). in uno solo batere ] illo uno ictu lat. formalemente ] formaliter lat. da dui pèi ] bipes lat. 36 La quale difinicione ] Quae lat. consideracione ] conceptione lat. per cui cfr. V.4.35 conceptionis suae universale trad. l’universale dela soa concepcione. 38 in cognosere ] in cogno- 294 Diego Dotto scendo lat. schini). 39 E no è questo inçuria ] Neque id iniuria lat. “E non senza motivo” (More- [L. V, cap. iv (metro)] [1] Ma logia adunoe çae antixi tropo oscuri, i quali credevano che sentire e le ymagine se inpremeseno in le menti dal’intrinseçi corpi 93 , [6] sì como çà fo costume cum viaça pena de metere le inprexe litere in la pianura dela carta, che no àe alchuna nota. [10] Ma se la mente vigoroxa per proprii 94 movementi non manda de fora covelle, ma puro se sta paciente sotoposta ale figure d’i corpi e in modo de spiecho rende chasse le ymagine dele cose, unde è questa cognicione che vede tute le co‹s›se s’ela habunda in li animi? [18] Qua‹l›le virtù cognose tute le cose overo quale le parte da inseme çà cognosude? Overo quale le rachoie |70ra| çà partide, e piiando l’uno e l’altro sentero, mo meseda la testa ale cose de sovra e moe descade in quelle de soto e mo retornando a sì medexema reproa la falsitade cum la veritade? [26] Questa è maoremente chaxone eficiente molto più posente che quela 95 che in modo de materia receve le figure inprexe. [30] Ma niente 96 meno la pasione in lo corpo vivo va inançi desendando e movendo le virtude del’animo quando overo la luce fere li ochi overo la voxe sona in le orechie. [35] Alora lo vigore dela mente desendando, chiamando le forme ch’ello tene dentro a similli movementi, le aplicha ale note de fora, e meseda le ymagine ale forme che ènno reposte dentro. V.iv 1 logia ] Porticus lat. con rif. alla stoà. antixi... oscuri ] obscuros... senes lat. dal’intrinseçi corpi ] e corporibus extimis lat. “dai corpi esterni” (Moreschini), prob. da emendare in extrinseçi. 6 viaça pena ] celeri stilo lat. in la pianura dela carta ] aequore paginae lat. 10 vigoroxa ] vigens lat. manda de fora ] explicat lat. se sta paciente ] patiens iacet lat. sotoposta ] subdita lat. in modo de spiecho ] in speculi vicem lat. unde è... s’ela habunda in li animi ] unde haec sic animis viget / cernens omnia notio? lat. (ma forse da una lez. si in luogo di sic nel modello lat.). 18 descade ] decedit lat. (altri codd. decidit). reproa ] redarguit lat. 30 va inançi ] Praecedit lat. desendando e movendo ] excitans... movens lat. sona ] instrepit lat. 35 desendando ] excitus lat. de fora ] exteris lat. 93 dal’intrinseçi corpi ] dalintri(n)seçi | corpi. proprii ] p(ro)p(ri)ij. 95 quela ] quela con l aggiunta. 96 niente ] nie(n)to con o corretta in e. 94 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 295 [L. V, cap. 5] [1] Ma se in sintire li corpi, quamvisdeo che le qualitade de fora afficia li instrimenti 97 del sentire e la pasione del corpo proceda lo vigore del’anemo agente, che tira in sie l’acto dela mente e a tanto deseda le forme che posano dentro, se in sentire, digo, li corpi, l’anemo no è insignido d’alcuna pasione, ma per soa virtude çudiga la pasione subiecta al corpo quando maoremente quelle cose che ènno asolte da tute le afficioni d’i corpi non segueno li obiecti de fora in cognosendo, ma conpieno l’ato dela soa mente. [2] E per questa raxone molte e diverse cognicioni ènno concesse a diverse e differente sustancie. [3] Però che-l sentire solo, privado de tute le altre cognicioni, è concesso ali animalli |70rb| che non se moveno, sì como è le chochie 98 del mare e çascuna altra co‹s›sa che, stando adherta ali sassi, se nudriga; ma l’imaginacione è concessa ale besti’ che 99 se ponno movere, le qua’ parno avere alcuno effecto de desidrare o de fugere. [4] Ma la raxone sì è puro dela generacione humana, sì como l’inteligencia è so‹l›lo dela divina generacione; per la qua‹l›le co‹s›sa è che quella cognicione è sovrana de tute le altre, la qua‹l›le achunçamente per soa natura non solamente cognose lo proprio, ma eciamdeo quello de tute le altre cognicioni. 100 [5] Che dunqua se-l sintire e l’immagina[ci]one reprovase ala raxone dicendo che quello soe universa‹l›le non fosse chovelle lo quale la raxone se pensa de vedere? [6] Però che quello ch’è sensibelle overo ymaginabelle non possa esere universale, e disese dunqua che overo lo çudixio dela raxone è veraxe e no è chovele sensibelle, overo, però ch’el è manifesto che molte cose ènno subiecte al sentire e al’inmaginacione, dixese ch’el sia vana la concepcione dela raxone, la quale considera quello ch’è sensibelle e singulare in modo de cosa universale. [7] E se la raxone respundese contra queste cose che ella cognose per modo de universitade quello ch’è sensibelle e quello ch’è ymaginabelle, e che-l sentire e l’inmaginacione non ponno açungere ala cognicione del’universitade 101 , però che-l soe cognosemento non pò pasare le figure corporale, e che questo è da credere de più ferma cognicione dele cose e de più perfeto çudixio, in questa così fata |70va| tencione, nui che avemo virtude del raxonare e delo ymaginare e del sintire, no aproaremo nui la caxone dela raxone? [8] Simile cosa è che la raxone humana non pensa che la inteligencia divina cognosca le cose future se no per lo modo che cognose ella. [9] Che tu dixivi cosie: “Se alcuna cosa no àe certo e necesario advegnimento, ella non se pò inançi savere ch’ela dibia venire certamente”. [10] Dunqua de queste co‹s›se no è alcuna presiencia; la qua‹l›le, se nui la credemo esere eciamdeo in queste cose, non serà chovelle che provegna de necesitade. [11] Se dunqua como nui participemo dela raxone, cosie podesemo avere lo 97 instrimenti ] i(n)strime(n)ti. chochie ] choche con i nell’interlinea. 99 che ] che | no(n). 100 immagina[ci]one ] i(m)maginare o(n)ne |. 101 del’universitade ] del‹i› | vniuersitade. 98 296 Diego Dotto çudixio dela mente divina così como nui çudighemo che-l sintire e l’imaginare convene meno posere che la raxone, così çudigaremo esere cosa iustisima che la raxone humana se sotomete ala mente divina. [12] Et inperçoe driçemone in la sumitade de quella somma inteligencia se nui posemo; però che la raxone vedrà lie quello ch’ela non pòe vedere in sie; e quello sì è como la certa e diffinida precognicione vega quelle cose che no ànno certo advignimento e che quella no [è] oppinione 102 , ançi è sinplicitade de sonma siencia che no è incluxa da alchuni termini. V.5 1 de fora ] forinsecus lat. afficia ] afficiant lat. proceda ] antecedat lat. agente ] agentis lat. e a tanto deseda ] excitetque interim lat. afficioni ] affectionibus lat. de fora ] extrinsecus lat. in cognosendo ] in discernendo lat. 2 molte e diverse ] multiplices (cognitiones diversis ac differentibus cessere substantiis) lat. 3 che non se moveno ] immobilibus (animantibus) lat. chochie ] conchae lat. stando adherta ] haerentia lat. che se ponno movere ] mobilibus lat. effecto ] affectus lat. 4 è sovrana ] praestet lat. quello de tute le altre cognicioni ] ceterarum quoque notitiarum subiecta lat. 5 l’immagina[ci]one ] imaginatio(que) lat., imaginatio trad. quasi sempre con i(n)maginacione con l’eccezione di V.5.11 imaginationem sensumque rationi cedere trad. -l sintire e l’imaginare convene meno posere che la raxone. reprovase ] refragentur lat. “si opponessero” (Moreschini). 7 açungere ] aspirare lat. tencione ] lite lat. 9 inançi savere ] praesciri lat. 11 participemo ] participes sumus lat. meno posere ] (rationi) cedere lat. se sotomete ] summittere lat. 12 in la sumitade ] in (illius summae intellegentiae) cacumen lat. che quella no [è] oppinione ] neque id sit opinio lat. [L. V, cap. v (metro)] [1] Dè, quante varie figure anima‹l›li vanno per la terra! Che alcuno è cum lo corpo destexo e chomosi tirano la polvere in lo continuo solcho del pecto 103 , e ène alcuno d’i quali la ligereça dele aile bate in venti e cum liquido volamento noda li spacii |70vb| del grande aere; [6] e alcuno ghode per andamenti d’inprimere le pedeghe in la terra overo pasare per li virdi canpi overo andare soto per le selve. [8] I qualli, quamvisdeo tu li veghi tuti esere diferenti per diverse forme, niente meno la proclinada faça pò agravare li soi grossi sent[i]ri 104 ; [10] e sola la generacione deli homini leva in suxo la sumità de sovra, e siando ligera, stae drita cum lo corpo e desprexia la terra. [12] Queste cose te insegna la figura, se tu tereno no èi malamente 105 amatido: tu, lo quale guardi al ce‹l›lo cum lo volto drito e teni la fronte levada, leva l’anemo in alto, açò che la mente molto agrevada non stia de sotto e lo corpo sia levado più alto. 102 no [è] oppinione ] no oppinione |. pecto ] peto con c nell’interlinea. 104 sent[i]ri ] senterj. 105 malamente ] male | me(n)te con e corretta in a. 103 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 297 V.v 1 vanno per la terra ] terras... permeant lat. e chomosi... del pecto ] pulveremque verrunt / continuumque trahunt vi pectoris incitata sulcum lat. bate in venti ] verberetque ventos lat. cum liquido volamento ] liquido... volatu lat. 6 per andamenti ] gressibus(que) lat. le pedeghe ] vestigia lat. pasare per li virdi canpi ] virides campos transmittere lat. andare soto per le selve ] subire silvas lat. 8 proclinada ] prona lat. sent[i]ri ] sensus lat. 12 èi malamente amatido ] male desipis lat. [L. V, cap. 6] [1] Cum çò sia co‹s›sa dunqua, sì como mostrado è pocho denançi, che onne cosa ch’è saipuda non se sae per soa natura, ma per natura de quilli che la sanno, guardemo quanto è licito, quale è lo stado dela sustancia divina, açò che nui posamo eciamdeo cognosere quale è la soa siencia. [2] Dunqua el è comunale sentencia de tuti quili che viveno per raxone che Deo sia eterno. [3] Dunqua consideremo che è la eternitade; che questa natura ogualemente è manifestare la siencia divina. [4] La eternitade dunqua sì è interminabele e perfecta posesione de vita tuta inseme; la quale cosa è più manofesta per conparacione ale co‹s›se tenporali. [5] Però che çò che vive in tenpo, quello prexente procede dale |71ra| cose preterite in le future e non è covele constituido in tenpo che possa abraçare inseme tuto lo spacio dela vita soa, ma quello de domane, elo non l’àe ancora prexo e quello 106 die d’eri à çà perdudo; et in la vita d’anchoi voi non vivì più che in quello mobelle e transitorio momento. [6] Dunqua quello 107 che tene la condicione del tenpo, avegna, sì como dise Aristotele del mundo, ch’elo non abia aipudo mai començamento e non manchi mai de esere e la vita soa se perlunghi cum infinitade de tenpo, niente meno ello no è ta‹l›le che de raxone el se dibia credere ch’el sia eterno. [7] Però ch’ello non conprende e no abraça tuto lo spacio dela vita inseme, avegna ch’ela sia infinita, ançi non àe anchora quello che è a vegnire e àe perdudo çà quello ch’è pasado. [8] Dunqua quello che conprende e posede la plenitudene dela vita tuta inseme, al qua‹l›le no manchi chovele 108 del futuro e non sia pasado chovele 109 del preterito, quello raxonevelemente è chiamado “eterno”, e è necesario che quelo 110 , conposevele de sì medexemo, senpre sia prexente e che ello abia presente l’infinitade del tenpo mobelle. [9] Unde non pensano bene certi che, odendo ch’el fo vixo a Plato che questo mundo no ave començamento de tenpo e non dé avere fine, pensano che per questo modo questo mundo sia choeterno a Deo. [10] Però che altra co‹s›sa è esere perlungado per infinita vita, la quale co‹s›sa Plato atribuise al mundo, et altra co‹s›sa è abraçare la 106 e quello ] e ‹de› q(ue)llo. quello ] ello con e corretta in q(ue). 108 chovele ] chouele con l aggiunta. 109 chovele ] chouele con l aggiunta. 110 quelo ] q(ue)lo con l aggiunta. 107 298 Diego Dotto prexencia dela vita interminabele tut[a] 111 inseme, |71rb| la quale cosa è manifesto ch’ela è propria dela mente divina. [11] E non dé parere che Deo sia più antigo che cose facte per quantità de tenpo, ma maoremente per proprietade dela sinpla natura. [12] Che quello infinito movemento dele cose tenporali segue questo stado prexentario dela vita immobele; e cum çò sia co‹s›sa ch’ello non se posa somiiare né adoguaiare, ello mancha dala immobilitade in movemento e descresse dela sinplicità dela prexencia in la [in]finita 112 quantitade del preterito e del futuro; e cum çò sia cosa ch’elo non possa posedere la plenitudene soa tuta inseme, per questo che per alchuno modo ello non mancha mai d’esere, ello pare qualchemente seguire quello che non pòe adinplere 113 né exprimere aligandose a qual che sia presencia de questo breve e volubelle momento. La quale, per ch’ela porta alchuna senbiança de quella stabele prexencia, concede a tute le co‹s›se a che ella tocha ch’ele parano esere. [13] Et inperçò ch’ela non pò esere stabelle, ella prexe andamento in infinito, et è fato in questo modo açò che, andando ella, continuase la vita, dela qua‹l›le ella non pò abraçare la plenitudene stando stabelle. [14] Et inperçò se nui volesemo inpore li nomi digni ale cose, seguando Plato, nui diravemo che Deo è eterno e che lo mundo è perpetuo. [15] Cum çò sia co‹s›sa dunqua che onne cognicione conprende segundo la natura soa le cose che li ènno subiecte e lo stado de Deo è senpre eterno e prexentario, e la siencia soa, pasando sovra onne movemento |71va| de tenpo, è stabelle in la sinplicitade dela soa presencia, e conprendendo li infiniti spacii del preterito e del futuro, considera in la soa sinpla cognicione tute le cose quaxe como ele foseno. [16] Inperçò se tu volisi pensare la presencia per la qua‹l›le ello cognose tute le co‹s›se, tu estimarai dritamente che quella non presiencia sì como de cosa futura, ma è siencia de presiencia, che non mancha mai. [17] Unde ella no è chiamada “prevedencia”, ma “provedencia”, però ch’ela, consituida sença le cose de soto, quasi dal’alta somitade dele cose le vede tute. [18] Como di’ tu dunqua ch’el sia necesarie quelle cose ch’ènno veçude dal lume divino, cum çò sia cosa che li homini non fanno necesarie quelle che igli vedeno? [19] Però che in le cose che tu vì, meteli elo 114 lo to guardare alchuna necesitade? Non. [20] Ma s’el è degna la conparacione dela presencia divina e dela humana, sì como vui vedì certe co‹s›se in questo vostro prexente tenporale, così vede ello tute le cose per lo soe eterno. [21] Et inperçò questa prechognicione divina non muda la natura e la proprietade dele cose e vedele prexente apo sie cotale quale ele ènno çà stade overo denno 115 vegnire. [22] E non confunde li çudixii dele cose, ma per uno solo guardo dela mente soa ello cognose le cose future, così le necesarie como le non necesarie, sì como quando voi vedì inseme 111 tut[a] ] tute. in la [in]finita ] i(n)lafinita. 113 adinplere ] adi(n)pli|re con i corretta in e. 114 elo ] elo con l aggiunta. 115 denno ] da(n)no con a corretta in e. 112 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 299 alcuno homo andare per terra e levarse lo sole in ce‹l›lo, avegna che voi vegà l’uno e l’altro inseme, niente meno voi decer|71vb|nì che l’uno è voluntario e l’altro necesario. [23] Così dunqua lo guardo divino, guardando le cose, non permuda la quantità dele cose, che ènno apo lui prexenti, ma ala cognicione del tenpo ènno future. [24] Per la quale cosa è che questo no è oppinione, ançi è cognicione fornida de veritade quando elo cognose che alchuna co‹s›sa dé esere, la quale non sae non bramare necesitade de esere. V.6 3 che questa natura ogualemente è manifestare la siencia divina ] haec enim nobis naturam pariter divinam scientiamque patefacit lat. 4 interminabele ] interminabilis lat. 5 quello de domane ] crastinum lat. quello die d’eri ] hesternum lat. in la vita d’anchoi ] in hodierna... vita lat. 6 abia aipudo... començamento ] coeperit lat. 8 dela vita ] interminabilis vitae lat. conposevele de sì medexemo ] sui compos lat. “padrone di sé stesso” (Moreschini). 9 Unde non pensano bene... pensano ] Unde non recte... putant lat. fo vixo ] visum lat. questo mundo sia choeterno a Deo ] conditori mundum fieri coaeternum lat. 10 per infinita vita ] per interminabilem... vitam lat. la prexencia... tut[a] inseme ] totam pariter... praesentiam lat. dela vita interminabele ] interminabilis vitae lat. 12 somiiare ] effingere lat. adoguaiare ] aequare lat. in la [in]finita ] in infinitam (futuri ac praeteriti quantitatem) lat. a meno d’ipotizzare un’aplografia nell’antigrafo lat. (o una lettura mentale erronea del volgarizzatore), ciò che renderebbe l’emendamento ingiustificato. la plenitudene soa ] vitae suae plenitudinem lat. qualchemente ] aliquatenus lat. seguire ] aemulari lat. a qual che sia presencia ] ad qualemcumque praesentiam lat. de questo breve e volubelle ] huius exigui volucrisque (momenti) lat. porta alchuna senbiança ] quandam gestat imaginem lat. 13 non pò esere stabelle ] manere non potuit lat. stando stabelle ] permanendo lat. 15 e la siencia ] scientia quoque lat. pasando sovra onne movemento de tenpo ] omnem temporis supergressa motionem lat. è stabelle ] manet lat. 16 siencia de presiencia ] scientiam... instantiae lat. 17 sença le cose de soto ] porro a rebus infimis (constituta) lat. 19 lo to guardare ] tuus... intuitus lat. 20 in questo vostro prexente tenporale... per lo soe eterno ] vestro hoc temporario praesenti... suo... aeterno lat. 22 per uno solo guardo ] unoque (suae mentis) intuitu lat. 23 non permuda la quantità... ènno future ] qualitatem rerum minime perturbat apud se quidem praesentium, ad condicionem vero temporis futurarum lat. “non confonde affatto la qualità delle cose, le quali sono, sì, presenti presso di lui, ma sono destinate a verificarsi secondo la condizione del tempo” (Moreschini), passo corrotto prob. da emendare rispettivamente con qualità in luogo di quantità e condicione in luogo di cognicione. 24 bramare ] carere lat. [L. V, cap. 6] [25] Se tu di’ quie che quello che Deo vede ch’el dé vignire non possa non vegnire e quello che non pò non vegnire vene de necesitade e constringime a questo nome de “necesitade”, confesaròte cosa de salda veritade, ala qua‹l›le niente meno a pena 300 Diego Dotto pò açungere alchuno se no lo speculadore dela divinitade. [26] Che eo respunderò che una medexema co‹s›sa futura, in quanto ela 116 se referisse ala cognicione divina, è necesaria, et in quanto ella se considera in soa natura, ella pare in tuto libera e asolta. [27] Però che le doe necesitade, l’una sì è sinpla, sì como è necesario che tuti li homini sianno morta‹l›li, l’altra sì è cum condicione, sì como se tu sai che alchuno homo vae, ell’è necesario ch’el vada. [28] Però che quello che alcuno sae non pò esere altramente cha como ello se sae, ma questa condicione non tira sego questa sinpla necesitade. [29] Però che questa necesitade, non la fae la propria natura, ançi la fae l’açunta dela con|72ra|dicione; però che nesuna [necesita]de constrenge d’andare colui che vae de voluntade, avegna che necesario sia che quelo che vae, quando [ello] vae, ch’ello vada. [30] Dunqua per questo medexemo modo se la providencia prexente vede alchuna cosa, necesario è ch’ela sia, avegna ch’ella no abia alchuna necesitade de 117 natura. [31] E Deo vede prexente le cose future che proveno da libertade d’arbitrio; dunqua queste ènno aconparade al guardo divino ènno necesarie cum condicione dela cognicione divina, ma considerade per sie, non manchano dal’asolta libertade dela soa natura. [32] Dunqua sença dubio ello avene tute le cose le qua’ Deo precognose esere future, ma alchune de quelle venno da proprio arbitrio, le quale, quamvisdeo ch’ele avegnano, niente meno perçoe siando non perdeno la propria natura per la qua‹l›le, inançi ch’ele foseno, podevano no adevegnire. [33] Che le fa dunqua differire ch’ele non siano necesarie, cum çò sia cosa che per condicione dela siencia divina ele avegnano a modo de necesitade per tuti li modi? [34] Questo çò è quello che fae defenire quele 118 ch’eo prepuxi pocho denançi, çò è lo sole che se leva e l’omo che vae, le quale, da che elle se fanno, ele non ponno non 119 esere, ma l’una de quelle, inançi ch’ela se fesse, era necesario ch’ela fosse, ma l’altra noe. [35] Così eciamdeo quelle [.....] prexenti sença dubio [........................................] desende da necesitade [...............] da libera podestade [.............] fanno. |72rb| [36] Dunqua no avemo [........................] queste co‹s›se esere necesarie se elle se referiseno ala cognicione de Deo, e esere asolte de necesitade se ele se considrano per sie; sì como onne co‹s›sa che se cognose per lo sentire, se tu la referissi ala raxone, ela è universa‹l›le, e se tu la guardi in sì medexema, ella è singulare. [37] Ma tu dirai: “S’elo è posto in mia libertade de mudare proponemento, eo anichilarò la providencia, cum çò sia co‹s›sa che forsi eo mudarò quelle cose ch’ela avrà precognosude”. [38] Respunderòte che tu pòi mudare lo proponemento toe, ma perçò che la prexente veritade dela provedença sa che tu lo pòi fare e se tu lo farai e a che tu lo convertirai, dirò che tu non pòi scivare 120 la divina prexencia, sì como tu 116 ela ] ela con l aggiunta. de ] da con a corretta in e. 118 quele ] q(ue)le con l aggiunta. 119 ponno non ] po | no(n) con no nel margine sinistro (prob. no(n) ma l’inchiostro è evanito). 120 scivare ] sciuare con h nell’interlinea. 117 Per la fortuna settentrionale del Boezio volgare 301 non pòi fugire lo guardo del’ochio prexente, avegna che tu te sipi revolto per propria voluntade in diversi facti 121 . [39] “Che” – dirà’ tu – “dunqua mudaràs’elo la divina sentencia per la mia dispoxicione, sì che quando eo voroe moe questa moe quella, ella chanbii così le vixende del cognosere?”. Non. [40] Però che-l guardo divino prevede ogne cosa futura e sì la retorçe e rechiama ala prexencia dela soa recognicione, e non muda, segundo che tu pensi, la vixenda del cognosere mo questo moe quello, ançi in uno trato, stiando fermo, ello precognose e prevede tute le toe mutacioni. [41] La qua‹l›le prexencia de conprendere e de vedere tute le co‹s›se è tochada a Dio non dal provignimento dele cose future, ma solamente da propria sinplicitade. [42] Ver |72va| la qua‹l›le [............................................................................] [43] tute le co‹s›se cum prexentaria cognicione constituise modo a tute le cose, e no è tignuda in chovelle ale co‹s›se posteriori. [44] Le qua’ cose, cum çò sia co‹s›sa ch’ele siano cosie, ello romane ali mortali salda la libertade del’arbitrio, e siando le voluntà asolte da onne necesitade, le lege non propono malegnamente li guiderduni e le pene. [45] Remane eciamdeo fermo 122 lo guardadore de sovra, Deo, nançi sapevele de tute [co]‹s›se e la prexente senpre eternitade dela soa vixione, quando ella concorre cum futura qualitade d’i nostri acti, despensando li guiderdoni ali boni e li tormenti ali rei 123 . [46] E no ènno poste indarno le spe[ran]çe in Deo e li preghi: quando ènno driti, non pono esere sença efecto. [47] Dunqua guardàve dali vicii, seguì le virtude, levai l’anemo ale drite sperançe, porgì humile preghere in alto. [48] Grande necesitade de prodeça v’è inposta, se voi no ve volì infingere, quando voi vivì e fadi denançi ali ochi del çudexe che vede tute cose». V.6 25 il cap. 6 del modello lat. è diviso in due unità nel volg. constringime ] adstringas lat. lo speculadore dela divinitade ] divini speculator lat. pò açungere ] accesserit lat. 27 Però che le doe necesitade, l’una sì è sinpla ] Duae sunt etenim necessitates, simplex una lat. 28 questa sinpla necesitade ] illam simplicem lat. 29 nesuna [necesita]de ] nulla... necessitas lat. 31 dunqua queste ènno aconparade ] haec igitur, ad intuitum relata divinum, (necessaria fiunt per condicionem divinae notionis) lat. 32 proprio ] libero lat. 34 Questo çò è quello fae defenire ] Hoc scilicet lat. con ellissi di refert in V.6.33 Quid igitur refert trad. Che le fa dunqua differire, prob. da emendare in differire. non ponno non esere ] non fieri non possunt lat. 36 esere asolte de necesitade ] necessitatis esse nexibus absoluta lat. 37 in mia libertade ] in mea... potestate lat. anichilarò ] evacuabo lat. 38 mudare ] (mutare... mutavero...) deflectere lat. scivare ] vitare lat. tu te sipi revolto ] te... converteris lat. propria ] libera lat. 39 la divina sentencia ] scientia divina lat. moe questa moe quella ] nunc hoc nunc aliud lat. (altri codd. illud). chanbii ] alternare lat. 40 prevede ] praecurrit lat. mo questo moe quello ] nunc hoc nunc illud lat. (altre ed. aliud, ma illud codd.). in uno trato ] uno ictu lat. stiando fermo ] manens lat. pre121 facti ] fati con c aggiunta nell’interlinea. fermo ] ‹log› fermo. 123 ali rei ] ali ‹sa› | rei. 122 302 Diego Dotto cognose e prevede ] praevenit atque complectitur lat. 41 provignimento ] proventu lat. 44 salda ] intemerata (libertas) lat. malegnamente ] iniquae leges lat. (ma prob. da una lettura e interpretazione inique). 45 guardadore ] spectator lat. nançi sapevele ] praescius lat. de tute [co]‹s›se ] cunctorum lat. 46 spe[ran]çe ] spes lat. sença efecto ] inefficaces lat. 48 è inposta ] est... indicta lat. vivì e fadi ] agitis lat.