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Libro delle Torture - Jirga delle Lame Nere
IL LIBRO DELLE TORTURE Alberi Amputazioni Artiglio Banco di Stiramento Il Cavalletto Il Cavallo Spagnolo La Culla di Giuda Dirupo La Grande Ruota Segati e Lacerati Messa al Palo La Pera Il Rogo Sospensioni Lo Straziaseni Il Supplizio dell'Eretico Torture Mistiche Sull'uso del Fuoco Annegamento Bestie La Cicogna di Storpiatura La Garrota Liquidi Bollenti Pinze e Tenaglie Squartamenti Il Toro di Bronzo La Vergine di Ferro Alberi, canne, gogna La gogna era un modo per esporre il prigioniero all'umiliazione pubblica e alla merce di chiunque. Infatti, il malcapitato veniva bloccato alla gogna per il collo e per le mani e poteva essere torturato da chiunque desiderasse fargli del male e umiliarlo. Era una punizione particolarmente in voga nel 1500 applicata anche per reati di piccola entità: una donna fu sottoposta a gogna nel 1555 per aver picchiato il figlio e nel 1566 una donna fu posta alla gogna per aver "procurato prostitute ai cittadini". Un tipo di gogna in voga nei paesi anglosassoni (fig. A) consisteva nel legare il prigioniero a due legni flessibili, possibilmente degli alberi. Mentre il prigioniero si trovava così bloccato, veniva frustato con uno scudiscio a tre corde, o con un gatto a nove code. In alcuni casi venivano tagliate le corde degli alberi cosicché il condannato dovesse soffrire un dolore estremo mentre si lacerava. Ogni città nel basso medioevo era provvista di questo "dispositivo", che di rado rimaneva libero, essendo utilizzato per punire qualsiasi reato considerato "minore". Nella figura, s'infilano sotto le unghie della vittima canne taglienti o chiodi; una variante consisteva nell’ accendere candele la cui c’era colava sulle unghie stesse. L'artiglio di Gatto e il Ragno Non è difficile immaginare a quali scopi questi due dispositivi venissero usati. Con l'artiglio di gatto si straziavano le vittime, lacerandone la pelle finché non svenivano. Il ragno era utilizzato per stritolare come una morsa i testicoli dei condannati. Il cavalletto Il condannato era fatto sdraiare di schiena sul blocco di legno terminante in uno spigolo tagliente, le mani fissate a due fori ed i piedi legati agli anelli di ferro. In questa posizione (già di per sé atroce, se si pensa che il peso di tutto il corpo gravava sul blocco tagliente) si procedeva al supplizio dell'acqua. Il carnefice, tenendo chiuse le narici della vittima, introduceva nella bocca di questa, per mezzo di un imbuto, un’ enorme quantità d'acqua: data la posizione lo sventurato rischiava di soffocare, ma il peggio veniva quando il carnefice ed i suoi aiutanti gli saltavano sul ventre provocando l'uscita dell'acqua, quindi ancora più volte con la stessa procedura fino alla rottura dei vasi interni con l'inevitabile conseguenza di una emorragia che metteva fine al supplizio. Altro sistema di tortura che si avvaleva dell'uso del cavalletto e riservato alle sospettate di stregoneria, era quello del "filo d'acqua"; l'imputata era messa nuda sotto un getto sottilissimo d'acqua gelata e lasciata in questa posizione per 30 o 40 ore filate. Questo supplizio era chiamato anche "goccia tartara", poiché sembra fosse stato inventato in Russia (paese che ha sempre privilegiato i sistemi di tortura lenti e raffinati). La culla di Giuda Si stringe una cintura all'altezza dell'addome della vittima, alla quel si legano piedi e mani; si pone poi una stecca all'altezza della caviglia in modo che le gambe possano essere mosse solo simultaneamente. Dopo di che, si cala il prigioniero sul dispositivo piramidale appuntito, posto al di sopra di un cavalletto, e gli si tirano in avanti le gambe in modo che la piramide penetri l'orifizio anale (o la vagina). Il condannato rimane così in questa posizione, con tutti i muscoli contratti, finché non sviene. La grande ruota Questo supplizio dalle antiche origini, sembra si rifacesse a dei significati religiosi. Era particolarmente in voga nel XVIII secolo per punire criminali. Difficile immaginare una pena capitale più brutale e ripugnante della grande ruota. Il criminale era steso supino su una comune ruota di carro e veniva legato stretto ai raggi successivamente il boia gli fracassava le ossa una a una. Una variante,illustrata nella figura, era che il corpo della vittima, legato ad una grande ruota, venisse lanciato per un dirupo irto di rocce appuntite. Metodologie di messa al palo Si tratta della tortura per eccellenza nell'antichità, amata soprattutto dai popoli del Mediterraneo, ma venne utilizzata spesso e volentieri anche durante il medioevo. La morte sopraggiungeva lentamente, dopo un'agonia indescrivibile e che si protraeva per giorni. Si poteva aumentare la sofferenza del condannato in svariati modi, a seconda della malvagità del boia: a volte venivano fratturate le gambe con dei forti colpi, oppure si laceravano il volto, o i seni, con strumenti spinosi o uncinati; in altri casi s'infilavano stecche o bastoni nel condotto uretrale od anale della vittima. I Romani solevano lasciare i corpi a marcire sulla croce finché non rimanessero solo le ossa nude, mentre gli Ebrei li toglievano non appena sopraggiungeva la morte e li seppellivano il giorno stesso. Alcuni tipi di crocifissione e messa al palo, della figura: A. Sospensione per una gamba. B. Sospensione a due gambe. C. Crocifissione a testa in su. D. Crocifissione a testa in giu. E. Torturato appeso per entrambe le braccia con pesanti oggetti appesi ai piedi. F. Donne sospese per i capelli. G. Torturati appesi per un solo braccio, con pesanti pietre appese ai loro piedi.n solo braccio, con pesanti pietre appese ai loro piedi. Il Rogo Probabilmente si tratta della tortura prediletta inflitta agli eretici durante il medioevo e centinaia di presunte streghe e stregoni la subirono. Il martire veniva appeso molto in alto, in modo che il suo orribile spettacolo colpisse tutta la popolazione venisse colpita dal terrore. Gli si straziavano i fianchi e le costole con dei pettini e degli uncini sino a renderlo una massa deforme che veniva incenerita. Alcune vittime patirono terribili sofferenze, come risulta dal resoconto di un rogo scritto da un reverendo nel XVI sec: "Poiché il fuoco" si legge "era stato appiccato senz'arte, e poiché il vento era contrario, la strega soffrì una tortura indicibile." In seguito divenne normale strangolare il prigioniero prima di affidarlo alle fiamme, ma spesso succedeva che l'operazione non riuscisse "in tempo" e che la vittima subisse ugualmente l'orripilante fuoco sul suo corpo. Altre modalità di rogo, sono illustrate nella figura: A. Appesi al cavallo di legno e bruciati vivi con le fiamme delle torce. B. Sospesi sul proprio piede da una puleggia e torturati alla vecchia maniera. piede da una puleggia e torturati alla vecchia maniera. Lo Straziaseni Il '400 fu il secolo in cui le streghe e la magia nera erano di moda. Le credenze popolari, in questo campo erano talmente radicate che il commercio di olio santo, di ceneri, di ostie consacrate, di grasso di cadaveri, di sangue, di pipistrelli e così via, ai fini di messe nere e di mostruose cerimonie era ormai all'ordine del giorno. Tutte le streghe e gli stregoni venivano parificati agli eretici; la tattica della lotta ad oltranza contro l'eresia fu così portata sul terreno della magia nera. Gli strumenti contro streghe ed eretici erano innumerevoli, ma spesso si preferiva fare ricorso al fuoco e al ferro arroventato, pensando che fossero più efficaci nella lotta contro il maligno. Lo straziaseni faceva parte di questo genere di strumenti: dopo averne arroventato le 4 punte il carnefice straziava in masse informi il seno delle vittime. In alcune regioni della Francia e della Germania, fino al '700, questo attrezzo prese il nome di "Tarantola" ed anche "Ragno Spagnolo", con esso veniva straziato il petto delle ragazze madri e delle colpevoli di aborto spontaneo. Torture mistiche A. Le mani vengono riempite d'incenso e carboni vivi, costringendo il condannato a liberarsi dell'incenso; si tratta di un sacrificio all'Idolo. B. La vittima indossa una tunica di ferro rovente e calzature bollenti che ne consumano la carne fino all'osso. C. Seduto sulla sedia metallica mentre un elmo rovente viene posto sulla testa. Amputazioni Presso gli antichi popoli dove non vigeva la pena di morte, la mutilazione rappresentava la punizione a cui si ricorreva con più frequenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, si trattava di castrazioni o amputazioni con moventi religiosi, ma non penali. Col passare dei secoli, la pratica della castrazione come punizione per un reato si è perduta, specie nei paesi civilizzati, mentre è resistita come forma di vendetta personale. Nel medioevo, l'amputazione ha invece dominato i codici penali di quasi tutti gli stati europei; in Inghilterra, ad esempio,per molti reati si metteva il colpevole alla gogna e gli s'infliggeva una qualche mutilazione. Nell'anno 1560 una cameriera fu messa alla gogna per aver somministrato del veleno alla sua padrona. Così, oltre a dover subire l'umiliazione della gogna, le fu tagliato un orecchio e bruciato un sopracciglio; due giorni dopo fu messa di nuovo alla gogna e le fu reciso l'altro orecchio. Infine, non era raro che, subita l'amputazione, dovesse accorrere un chirurgo per fermare il dissanguamento, tanto rozze erano le tecniche di mutilazione. Il banco di stiramento Il supplizio dello stiramento o allungamento longitudinale mediante forza di tensione era uso comune già ai tempi di egizi e babilonesi. Dal Medioevo fino al tardo Settecento, questo ed altri strumenti per lo smembramento (vedi il pendolo e la scala) costituivano attrezzi fondamentali in ogni sala di tortura e di inquisizione. La vittima veniva stesa sul banco con i piedi fissati da due anelli, le braccia allungate all'indietro e legate con una corda azionata da un argano, a questo punto iniziava lo stiramento che subito procurava all'inquisito lo slogamento delle spalle e delle articolazioni, seguito dallo smembramento della colonna vertebrale e quindi dallo strappo dei muscoli, degli arti, dell'addome e del petto. Prima comunque di questi effetti mortali, il corpo del condannato si allungava orribilmente anche di trenta centimetri (come racconta Heribert Daney nel suo "Plusieurs temoignages sur la torture en France aux temps de Marie de Medicis"). Il Cavallo Spagnolo Durante il Medioevo, il supplizio del cavallo spagnolo era destinato a streghe o donne sospettate di essere possedute dal demonio; queste venivano poste a cavallo sul blocco di legno in modo che, con il peso del corpo, lo spigolo penetrasse nella vagina; le gambe infatti venivano tenute divaricate da legami e al corpo era impedito qualsiasi punto d'appoggio. La tortura veniva aggravata ponendo accanto al corpo nudo fiaccole accese o fissando al ventre una ciotola contenente un topo vivo in modo che con le contrazioni provocate dal dolore la vittima facesse maggiore pressione sullo spigolo che così penetrava sempre di più, con conseguenze facili da immaginare. In seguito, durante l'inquisizione, il cavallo spagnolo, detto anche caprone divenne il supplizio per un adulterio particolare: quello cioè commesso dalle suore a disprezzo del loro voto di castità. Molte volte questa tortura veniva esasperata legando delle pietre o comunque dei pesi, anche di trenta libbre, ai piedi della vittima che non sempre , comunque, era donna, come si può vedere da questa stampa. Lanciati da un dirupo Non c’è dubbio che questo tipo di esecuzione fosse comune tra i popoli primitivi ed antichi, che avevano a disposizione precipizi o rocce adatti allo scopo. Vittime illustri che subirono questo destino furono il matematico Putuanio, l'imperatore Zenone, lo scrittore Esopo, Perillo (l'inventore del toro di bronzo). Non si hanno tracce di una sua inclusione nel codice penale in epoca più tarda, anche se è stato detto che nelle persecuzioni del XVI sec. in Piemonte molte vittime andarono incontro a questa morte. La tortura che spesso si associava a questo tipo di esecuzione consisteva nelle sofferenze che si dovevano sopportare prima di morire. La vittima giaceva impotente, con gli arti fracassati, fino a quando moriva letteralmente di fame. È stato detto che molte di queste vittime arrivavano a divorarsi la carne delle braccia in preda alla disperazione. Nella fig.: prigioniero lanciato in un forno di calce. Segati e lacerati vivi Segare un condannato era una tecnica di tortura facile da eseguire alla quale bastava uno strumento reperibile in qualsiasi casa. Si ricorreva alla sega (si tagliavano prigionieri vivi) per reati di disobbedienza militare o ribellione. In figura il condannato viene lacerato coni una sega al livello dell'addome. Ben presto questa metodologia venne abbandonata per lasciar spazio alla segatura del condannato posto a testa in giù, iniziando a squarciare con la sega al livello dell'inguine e procedendo verso l'addome. In questo modo si aumentava la quantità di ossigeno apportata al cervello e si diminuiva la possibilità che il condannato svenisse o perdesse conoscenza, in modo tale da prolungarne la folle agonia: i nervi si scorticavano immediatamente, le ossa si fracassavano schiantandosi e le arterie, lacerate, zampillavano sangue. Una bizzarra tortura, di cui si avvalsero gli Ugonotti durante le loro persecuzioni nei confronti dei cattolici consisteva nel segare il corpo del prigioniero con una corda: la vittima, ignuda, veniva tirata avanti e indietro col movimento che ricorda proprio quello di una sega, lungo una corda tesa di fibra dura o un cavo metallico; la sofferenza patita era terribile poiché la corda lacerava la carne penetrando fino all'osso. La pera Intuibilmente il nome di questo strumento deriva dalla forma. Il suo impiego consisteva nel porlo nella bocca o nel deretano degli uomini, o nella vagina delle donne, e di aprirlo progressivamente finché possibile. La pera orale, rettale o vaginale veniva inflitta a uomini macchiatisi di sodomia, donne adultere o persone delle quali si sospettavano rapporti sessuali col demonio. Questa tortura pertanto rappresentava una sorta di punizione "del contrappasso". Sospensioni Diverse erano le modalità con cui un condannato poteva patire la sospensione: nella figura ne vengono illustrate tre. Al condannato, appeso per i piedi, viene agganciato un pesante masso al collo; la vittima viene strangolata e tormentata finché la colonna vertebrale non si schianta e va a pezzi. Oppure, il prigioniero viene cosparso di miele ed altre sostanze dolci e viene lasciato in balia di molesti insetti come api, vespe e calabroni. Nella fig. C invece il condannato, sospeso per un piede, ha una gamba legata al ginocchio dell'altra, mentre l'altra è appesantita da un oggetto metallico. Non raro era assistere a queste esecuzioni durante l'epoca medievale. Col passare del tempo le tecniche si affinarono ed in Germania venne eseguita una tortura estremamente diabolica: Vicino a Lindau un malfattore fu appeso al patibolo con delle catene di ferro e con ai piedi due grossi cani che, essendo tenuti senza cibo, se lo divoravano prima che egli stesso morisse di fame. Il supplizio dell'eretico Come desumibile dalla figura, questo strumento si componeva di due forche, una posta sul torace e l'altra sotto il mento. Un collare veniva legato intorno al collo del prigioniero al quale venivano legate le mani dietro la schiena. Il condannato si trovava, in questo modo, impossibilitato al minimo movimento per non pregiudicare i punti vitali, ma infine doveva cedere per la stanchezza. Sull'uso del fuoco In una terribile esecuzione avvenuta in Francia nel 1757, il prigioniero accusato di parricidio subì le seguenti torture: "fu portato su un'impalcatura eretta per l'occasione e gli vennero bruciate con delle tenaglie roventi il petto, le braccia e i polpacci; la mano destra, con la quale commise il delitto di parricidio, gli fu bruciata nello zolfo; dell'olio bollente, del piombo fuso e della resina e della cera mischiata allo zolfo, gli furono versati nelle ferite; dopo tutto ciò il corpo venne lacerato da quattro cavalli e le sue membra e il suo corpo arsi vivi furono sparsi al vento". Altre modalità d'uso del fuoco, e vari altri dispositivi ad esso correlati vengono illustrati dalla miniatura: A. Gettati in una fornace ardente. B. Bruciati vivi in botti o barili. C. Bruciati in una stanza infuocata. D. Mani e piedi posti su un mucchietto arroventato. E. Costretti fermi da quattro spine fissate nella terra, con un fuoco che arde sotto di essi. F. Bloccati con delle corde, bagnati da olio e consumati vivi dal fuoco che viene loro piccato. G. Gettati in un pozzo di carboni ardenti. H. Pale di ferro per distribuire il fuoco. Annegamento Molti popoli antichi compivano sacrifici , come affogare gli uomini,per ingraziarsi i demoni delle acque. Sembra che l'annegamento fosse uno dei sistemi prediletti per sbarazzarsi di stregoni e streghe durante le persecuzioni medievali (fig. A). Un'altra tecnica era la tortura delle barche, così descritta: venivano prese due piccole barche, esattamente della stessa misura e forma. La vittima veniva fatta stende dentro una delle due, guardando bene che la testa ed i piedi sporgessero dalla barca stessa. Su di essa veniva capovolta la seconda barca in modo tale che il corpo del condannato si trovasse perfettamente incastrato tra le due barche. Poi, gli si offriva del cibo e nel caso lo rifiutasse, veniva torturato o punzecchiato in altro modo, fin quando accettava l'offerta. Il passo successivo consisteva nel riempirgli la bocca con una mistura di miele e di latte che gli veniva anche spalmata sul volto. Così conciato, veniva esposto ai raggi cocenti del sole; in breve tempo mosche ed insetti si posavano sul viso del prigioniero pungendolo, fino a portarlo alla pazzia. Nel frattempo, poiché la natura proseguiva il suo corso, all'interno della barca il cumulo degli escrementi emanava un lezzo terribile ed iniziava a marcire. Una volta sopraggiunta la morte si sollevava la barca superiore e si trovava il cadavere divorato dai parassiti, mentre sciami di rumorose creature gli divoravano la carne e pareva gli crescessero dentro le sue viscere. Un'altra forma di tortura consisteva nel rinchiudere in un sacco la vittima, assieme a delle bestie come un gatto, un gallo, una scimmia o un serpente ed annegarlo. Bestie Torturare i condannati con le bestie era un antico supplizio, che nel medioevo andò via via scomparendo, senza però mai sparire del tutto. A. Imprigionati in una rete ed esposti ad un toro selvatico. B. Lanciati nudi a bestie selvagge. C. Lasciati divorare ad animali selvatici. D. Piedi fissati a una grande pietra e punteruoli bollenti attaccati sotto le unghie, il condannato viene lasciato al suo destino: divorato da cani affamati. La Cicogna di Storpiatura La parola "cicogna" riferita a questo strumento di tortura è citata da Ludovico Antonio Muratori nel suo "Annali d’Italia" (1749) che ne attribuisce l'uso ai tribunali giudiziari ed inquisizionali romani nel periodo 1550-1650. Un altro strumento, quasi identico, viene mostrato in Inghilterra nella famosa "Torre di Londra" e viene chiamato "la figlia dello spazzino" senza però chiarirci il motivo nè l’etimologia del termine. Anche se a prima vista può sembrare uno dei tanti metodi di costrizione e d’incatenamento, questo strumento provocava nella vittima, solo dopo pochi minuti, fortissimi crampi prima ai muscoli addominali e rettali, in seguito a quelli pettorali e degli arti; crampi che con il passare delle ore portavano la persona incatenata in questa posizione a stati quasi di pazzia. Spesso poi, il ferro, lacerando la carne al minimo movimento, procurava al condannato infezioni gravissime, quali la setticemia, che portavano inevitabilmente alla cancrena. La Garrota La garrota è stato lo strumento di pena capitale della Spagna in uso fino alla morte di Franco (l'ultima esecuzione ufficiale risale al 1975 quando fu giustiziato uno studente di appena 25 anni, riconosciuto in seguito innocente) e quindi fino all'abolizione della pena di morte nella penisola Iberica. Lo strumento serviva allo strangolamento dei condannati e nella sua forma più diffusa un meccanismo tirava indietro l'anello messo al collo della vittima fino a procurarne l'asfissia, ma molte furono le varianti apportate sia per scopo di torture inquisitorie che di morte. La garrota presente in questa foto è un esempio di strumento di tortura usato fino all'inizio del nostro secolo in Catalonia ed in alcune località dell'America Latina. Il condannato veniva fissato al palo con un collare, quindi mentre l'aculeo penetrava e schiacciava le vertebre cervicali, la vite spingeva il collo in avanti, forzando la trachea contro la fascia di ferro e procurando una morte atroce, sia per asfissia che per lo stritolamento delle vertebre. In Ungheria, sino a qualche anno fa , era usato il Gibetto in tutto simile alla Garrota spagnola; era composto da un palo al quale il condannato veniva fissato con un cappio cortissimo. Liquidi bollenti La bollitura e la friggitura dei prigionieri rappresentavano due torture dal modus operandi molto semplice: si riscaldava un enorme calderone pieno d'acqua o, preferibilmente, olio fino alla bollitura, dopo dichè vi si immergeva la vittima, molto spesso inserendo prima la testa. Un'altra modalità d'esecuzione era friggere in una vasca o su una griglia il condannato. Ancora, quando i carnefici desideravano prolungare l'agonia del prigioniero, lo legavano e lo immergevano in una vasca colma d'acqua od olio, cosicché rimanesse fuori la testa, dopodichè si accendeva un fuoco. Pinze e Tenaglie Le pinze, le cesoie e le tenaglie erano sempre presenti nel corredo di attrezzi da tortura dei carnefici medioevali. L'uso di questi strumenti, anche a freddo ma preferibilmente arroventate, procurava alle vittime o agli inquisiti dolori incredibili e mutilazioni atroci. Le tenaglie erano principalmente usate per strappare i capezzoli, unghie o brandelli di carne; le pinze tubolari invece erano destinate allo straziamento degli organi genitali maschili. Solo in tempi recenti è stato stabilito che le ustioni, nella scala di intensità del dolore fisico, sono seconde soltanto al parto, ma i carnefici del Medioevo avevano già capito che genere di atroce tormento può procurare il ferro rovente, specialmente (come nel caso delle tenaglie) se questo viene usato su parti sensibilissime quali i capezzoli. Un altro sistema di punizione legato al ferro arroventato, e usato sino a metà del secolo scorso, era il "marchio rovente"; veniva impresso a fuoco sulle guance dei vagabondi, zingari, bestemmiatori, e lasciava nelle carni di costoro una cicatrice che accompagnava il condannato sino alla fine dei suoi giorni. Squartamenti e spellamenti Lo squartamento fu una pratica che durò a lungo. Essa consisteva nell'aprire l'addome e strappare con violenza le viscere del condannato prima che il corpo venisse fatto a pezzi. A volte la richiesta di giustizia veniva soddisfatta facendo ingoiare al prigioniero le sue stesse viscere, appena estirpate dal ventre. L'esecuzione più in voga nel medioevo consisteva però nel seguente procedimento: il prigioniero veniva legato con una grossa fune, sia all'altezza delle braccia che delle gambe; le funi erano poi assicurate a una grossa sbarra di legno o di metallo che a sua volta veniva legata a dei cavalli, uno per ogni estremità della vittima. Si costringeva poi i cavalli a dare dei piccoli strattoni che obbligavano la vittima ad implorare pietà. Quando i carnefici si ritenevano infine soddisfatti, frustavano le bestie contemporaneamente, incitandole in direzioni opposte, in modo da fare a brandelli le membra. Spesso e volentieri il corpo della vittima opponeva resistenza, cosicché i boia lo facevano a pezzi con delle accette, come fa un macellaio con la carne, fino a quando le membra si staccavano dal busto del prigioniero ancora vivo. Altre volte invece, al prigioniero viene tolta la pelle con uno strumento appuntito, come un pungiglione. Il toro di bronzo Altre torture per mezzo del fuoco sono presenti nella figura: la vittima viene amputata ed infine i carnefici ne friggono le membra. Arrostiti vivi nel toro di bronzo: l'ingegno di questa macchina da tortura consisteva nella predisposizione ad arte di alcuni flauti cosicché quando la vittima, inserita nel congegno che si scaldava a dismisura, gridava dal dolore per mezzo di questi condotti sapientemente studiati il toro emetteva un musicale muggito. La leggenda vuole che il suo inventore, il greco Perillo, alla presentazione del diabolico marchingegno al suo sovrano, sia stati costretto dal sovrano a venire lui stesso arrostito nel toro, fornendo, citando Ovidio "...la prima prova del suo crudele mestiere". Infine, nella figura è illustrata una persona fritta sulla griglia. La vergine di ferro (di Norimberga) Chi veniva accusato di eresia o di atti blasfemi contro Dio o i Santi, se si rifiutava ostinatamente di confessare la propria colpa, veniva condotto in una cella, il cui lato estremo ospitava numerose lampade, posizionate intorno al recesso, che gettavano una luce variegata sull'aureola dorata, sulla testa della figura e sul vessillo che questa teneva nella mano destra. Su un piccolo altare, il prigioniero riceveva i sacramenti; in seguito due ecclesiastici lo esortavano insistentemente a confessare in presenza della Madre di Dio. "Vedi" dicevano "quanto amorosamente la Vergine ti apre le braccia! Sul suo petto si scioglierà il tuo cuore duro; lì confesserai!". Tutt’a un tratto, la figura cominciava a tendergli le braccia: il prigioniero, sopraffatto dallo stupore, veniva all'abbraccio ed ella se lo portava sempre più vicino, arrivando a stringerselo al petto finché i pungiglioni e gli aculei lo trafiggevano. Tenuto fermo in quella stretta dolorosa, il prigioniero veniva interrogato e se si rifiutava di confessare, le braccia della statua stringevano sempre più il suo corpo, inesorabilmente e lentamente, ammazzandolo. La parte anteriore di questo marchingegno consisteva in due porte che si chiudevano. C'erano una gran quantità di pugnali inseriti sia nella parte interna del petto che dentro la statua in modo da trafiggere con precisione il fegato, i reni e gli occhi. Chi subiva l'abbraccio della vergine di ferro, dopo essere stata stritolato, rimaneva attaccato alle punte dei chiodi e delle lame quando la Vergine riapriva le braccia.