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Libro delle Torture - Jirga delle Lame Nere

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Libro delle Torture - Jirga delle Lame Nere
IL LIBRO DELLE TORTURE
Alberi
Amputazioni
Artiglio
Banco di Stiramento
Il Cavalletto
Il Cavallo Spagnolo
La Culla di Giuda
Dirupo
La Grande Ruota
Segati e Lacerati
Messa al Palo
La Pera
Il Rogo
Sospensioni
Lo Straziaseni
Il Supplizio dell'Eretico
Torture Mistiche
Sull'uso del Fuoco
Annegamento
Bestie
La Cicogna di Storpiatura
La Garrota
Liquidi Bollenti
Pinze e Tenaglie
Squartamenti
Il Toro di Bronzo
La Vergine di Ferro
Alberi, canne, gogna
La gogna era un modo per esporre il prigioniero
all'umiliazione pubblica e alla merce di chiunque.
Infatti, il malcapitato veniva bloccato alla gogna per
il collo e per le mani e poteva essere torturato da
chiunque desiderasse fargli del male e umiliarlo.
Era una punizione particolarmente in voga nel 1500
applicata anche per reati di piccola entità: una donna
fu sottoposta a gogna nel 1555 per aver picchiato il
figlio e nel 1566 una donna fu posta alla gogna per
aver "procurato prostitute ai cittadini".
Un tipo di gogna in voga nei paesi anglosassoni (fig.
A) consisteva nel legare il prigioniero a due legni
flessibili, possibilmente degli alberi.
Mentre il prigioniero si trovava così bloccato, veniva
frustato con uno scudiscio a tre corde, o con un gatto
a nove code.
In alcuni casi venivano tagliate le corde degli alberi
cosicché il condannato dovesse soffrire un dolore
estremo mentre si lacerava.
Ogni città nel basso medioevo era provvista di
questo "dispositivo", che di rado rimaneva libero,
essendo utilizzato per punire qualsiasi reato considerato "minore".
Nella figura, s'infilano sotto le unghie della vittima canne taglienti o chiodi; una variante consisteva
nell’ accendere candele la cui c’era colava sulle unghie stesse.
L'artiglio di Gatto e il Ragno
Non è difficile immaginare a quali scopi questi due dispositivi venissero usati.
Con l'artiglio di gatto si straziavano le vittime, lacerandone la pelle finché non svenivano.
Il ragno era utilizzato per stritolare come una morsa i testicoli dei condannati.
Il cavalletto
Il condannato era fatto sdraiare di schiena sul blocco di legno terminante in uno spigolo tagliente, le
mani fissate a due fori ed i piedi legati agli anelli di ferro.
In questa posizione (già di per sé atroce, se si pensa che il peso di tutto il corpo gravava sul blocco
tagliente) si procedeva al supplizio dell'acqua.
Il carnefice, tenendo chiuse le narici della vittima, introduceva nella bocca di questa, per mezzo di
un imbuto, un’ enorme quantità d'acqua: data la posizione lo sventurato rischiava di soffocare, ma il
peggio veniva quando il carnefice ed i suoi aiutanti gli saltavano sul ventre provocando l'uscita
dell'acqua, quindi ancora più volte con la stessa procedura fino alla rottura dei vasi interni con
l'inevitabile conseguenza di una emorragia che metteva fine al supplizio.
Altro sistema di tortura che si avvaleva dell'uso del cavalletto e riservato alle sospettate di
stregoneria, era quello del "filo d'acqua"; l'imputata era messa nuda sotto un getto sottilissimo
d'acqua gelata e lasciata in questa posizione per 30 o 40 ore filate.
Questo supplizio era chiamato anche "goccia tartara", poiché sembra fosse stato inventato in Russia
(paese che ha sempre privilegiato i sistemi di tortura lenti e raffinati).
La culla di Giuda
Si stringe una cintura all'altezza dell'addome della vittima, alla quel si legano piedi e mani; si pone
poi una stecca all'altezza della caviglia in modo che le gambe possano essere mosse solo
simultaneamente.
Dopo di che, si cala il prigioniero sul dispositivo piramidale appuntito, posto al di sopra di un
cavalletto, e gli si tirano in avanti le gambe in modo che la piramide penetri l'orifizio anale (o la
vagina).
Il condannato rimane così in questa posizione, con tutti i muscoli contratti, finché non sviene.
La grande ruota
Questo supplizio dalle antiche origini, sembra si
rifacesse a dei significati religiosi.
Era particolarmente in voga nel XVIII secolo per
punire criminali.
Difficile immaginare una pena capitale più brutale e
ripugnante della grande ruota.
Il criminale era steso supino su una comune ruota di
carro e veniva legato stretto ai raggi
successivamente il boia gli fracassava le ossa una a
una.
Una variante,illustrata nella figura, era che il corpo
della vittima, legato ad una grande ruota, venisse
lanciato per un dirupo irto di rocce appuntite.
Metodologie di messa al palo
Si tratta della tortura per eccellenza nell'antichità,
amata soprattutto dai popoli del Mediterraneo, ma
venne utilizzata spesso e volentieri anche durante il
medioevo.
La morte sopraggiungeva lentamente, dopo un'agonia
indescrivibile e che si protraeva per giorni. Si poteva
aumentare la sofferenza del condannato in svariati
modi, a seconda della malvagità del boia: a volte
venivano fratturate le gambe con dei forti colpi,
oppure si laceravano il volto, o i seni, con strumenti
spinosi o uncinati; in altri casi s'infilavano stecche o
bastoni nel condotto uretrale od anale della vittima.
I Romani solevano lasciare i corpi a marcire sulla
croce finché non rimanessero solo le ossa nude,
mentre gli Ebrei li toglievano non appena
sopraggiungeva la morte e li seppellivano il giorno
stesso.
Alcuni tipi di crocifissione e messa al palo, della figura:
A. Sospensione per una gamba.
B. Sospensione a due gambe.
C. Crocifissione a testa in su.
D. Crocifissione a testa in giu.
E. Torturato appeso per entrambe le braccia con pesanti oggetti appesi ai piedi.
F. Donne sospese per i capelli.
G. Torturati appesi per un solo braccio, con pesanti pietre appese ai loro piedi.n solo braccio, con
pesanti pietre appese ai loro piedi.
Il Rogo
Probabilmente si tratta della tortura prediletta inflitta
agli eretici durante il medioevo e centinaia di
presunte streghe e stregoni la subirono.
Il martire veniva appeso molto in alto, in modo che il
suo orribile spettacolo colpisse tutta la popolazione
venisse colpita dal terrore.
Gli si straziavano i fianchi e le costole con dei pettini
e degli uncini sino a renderlo una massa deforme che
veniva incenerita.
Alcune vittime patirono terribili sofferenze, come
risulta dal resoconto di un rogo scritto da un
reverendo nel XVI sec: "Poiché il fuoco" si legge
"era stato appiccato senz'arte, e poiché il vento era
contrario, la strega soffrì una tortura indicibile."
In seguito divenne normale strangolare il prigioniero
prima di affidarlo alle fiamme, ma spesso succedeva
che l'operazione non riuscisse "in tempo" e che la
vittima subisse ugualmente l'orripilante fuoco sul suo
corpo.
Altre modalità di rogo, sono illustrate nella figura:
A. Appesi al cavallo di legno e bruciati vivi con le fiamme delle torce.
B. Sospesi sul proprio piede da una puleggia e torturati alla vecchia maniera. piede da una puleggia
e torturati alla vecchia maniera.
Lo Straziaseni
Il '400 fu il secolo in cui le streghe e la magia nera erano di
moda. Le credenze popolari, in questo campo erano talmente
radicate che il commercio di olio santo, di ceneri, di ostie
consacrate, di grasso di cadaveri, di sangue, di pipistrelli e così
via, ai fini di messe nere e di mostruose cerimonie era ormai
all'ordine del giorno.
Tutte le streghe e gli stregoni venivano parificati agli eretici; la
tattica della lotta ad oltranza contro l'eresia fu così portata sul
terreno della magia nera. Gli strumenti contro streghe ed eretici
erano innumerevoli, ma spesso si preferiva fare ricorso al fuoco
e al ferro arroventato, pensando che fossero più efficaci nella
lotta contro il maligno.
Lo straziaseni faceva parte di questo genere di strumenti: dopo
averne arroventato le 4 punte il carnefice straziava in masse
informi il seno delle vittime.
In alcune regioni della Francia e della Germania, fino al '700, questo attrezzo prese il nome di
"Tarantola" ed anche "Ragno Spagnolo", con esso veniva straziato il petto delle ragazze madri e
delle colpevoli di aborto spontaneo.
Torture mistiche
A. Le mani vengono riempite d'incenso e carboni
vivi, costringendo il condannato a liberarsi
dell'incenso; si tratta di un sacrificio all'Idolo.
B. La vittima indossa una tunica di ferro rovente e
calzature bollenti che ne consumano la carne fino
all'osso.
C. Seduto sulla sedia metallica mentre un elmo
rovente viene posto sulla testa.
Amputazioni
Presso gli antichi popoli dove non vigeva la pena di
morte, la mutilazione rappresentava la punizione a
cui si ricorreva con più frequenza.
Nella stragrande maggioranza dei casi, si trattava di
castrazioni o amputazioni con moventi religiosi, ma
non penali.
Col passare dei secoli, la pratica della castrazione
come punizione per un reato si è perduta, specie nei
paesi civilizzati, mentre è resistita come forma di
vendetta personale.
Nel medioevo, l'amputazione ha invece dominato i
codici penali di quasi tutti gli stati europei; in
Inghilterra, ad esempio,per molti reati si metteva il
colpevole alla gogna e gli s'infliggeva una qualche
mutilazione.
Nell'anno 1560 una cameriera fu messa alla gogna
per aver somministrato del veleno alla sua padrona.
Così, oltre a dover subire l'umiliazione della gogna,
le fu tagliato un orecchio e bruciato un sopracciglio;
due giorni dopo fu messa di nuovo alla gogna e le fu
reciso l'altro orecchio.
Infine, non era raro che, subita l'amputazione, dovesse accorrere un chirurgo per fermare il
dissanguamento, tanto rozze erano le tecniche di mutilazione.
Il banco di stiramento
Il supplizio dello stiramento o allungamento longitudinale mediante forza di tensione era uso
comune già ai tempi di egizi e babilonesi.
Dal Medioevo fino al tardo Settecento, questo ed altri strumenti per lo smembramento (vedi il
pendolo e la scala) costituivano attrezzi fondamentali in ogni sala di tortura e di inquisizione.
La vittima veniva stesa sul banco con i piedi fissati da due anelli, le braccia allungate all'indietro e
legate con una corda azionata da un argano, a questo punto iniziava lo stiramento che subito
procurava all'inquisito lo slogamento delle spalle e delle articolazioni, seguito dallo smembramento
della colonna vertebrale e quindi dallo strappo dei muscoli, degli arti, dell'addome e del petto.
Prima comunque di questi effetti mortali, il corpo del condannato si allungava orribilmente anche di
trenta centimetri (come racconta Heribert Daney nel suo "Plusieurs temoignages sur la torture en
France aux temps de Marie de Medicis").
Il Cavallo Spagnolo
Durante il Medioevo, il supplizio del cavallo spagnolo era destinato a streghe o donne sospettate di
essere possedute dal demonio; queste venivano poste a cavallo sul blocco di legno in modo che, con
il peso del corpo, lo spigolo penetrasse nella vagina; le gambe infatti venivano tenute divaricate da
legami e al corpo era impedito qualsiasi punto d'appoggio.
La tortura veniva aggravata ponendo accanto al corpo nudo fiaccole accese o fissando al ventre una
ciotola contenente un topo vivo in modo che con le contrazioni provocate dal dolore la vittima
facesse maggiore pressione sullo spigolo che così penetrava sempre di più, con conseguenze facili
da immaginare.
In seguito, durante l'inquisizione, il cavallo spagnolo, detto anche caprone divenne il supplizio per
un adulterio particolare: quello cioè commesso dalle suore a disprezzo del loro voto di castità.
Molte volte questa tortura veniva esasperata legando
delle pietre o comunque dei pesi, anche di trenta
libbre, ai piedi della vittima che non sempre ,
comunque, era donna, come si può vedere da questa
stampa.
Lanciati da un dirupo
Non c’è dubbio che questo tipo di esecuzione fosse
comune tra i popoli primitivi ed antichi, che avevano a disposizione precipizi o rocce adatti allo
scopo.
Vittime illustri che subirono questo destino furono il matematico Putuanio, l'imperatore Zenone, lo
scrittore Esopo, Perillo (l'inventore del toro di bronzo).
Non si hanno tracce di una sua inclusione nel codice penale in epoca più tarda, anche se è stato
detto che nelle persecuzioni del XVI sec. in Piemonte molte vittime andarono incontro a questa
morte.
La tortura che spesso si associava a questo tipo di esecuzione consisteva nelle sofferenze che si
dovevano sopportare prima di morire.
La vittima giaceva impotente, con gli arti fracassati, fino a quando moriva letteralmente di fame.
È stato detto che molte di queste vittime arrivavano a divorarsi la carne delle braccia in preda alla
disperazione.
Nella fig.: prigioniero lanciato in un forno di calce.
Segati e lacerati vivi
Segare un condannato era una tecnica di tortura facile da
eseguire alla quale bastava uno strumento reperibile in
qualsiasi casa.
Si ricorreva alla sega (si tagliavano prigionieri vivi) per
reati di disobbedienza militare o ribellione.
In figura il condannato viene lacerato coni una sega al
livello dell'addome.
Ben presto questa metodologia venne abbandonata per
lasciar spazio alla segatura del condannato posto a testa in
giù, iniziando a squarciare con la sega al livello dell'inguine
e procedendo verso l'addome.
In questo modo si aumentava la quantità di ossigeno
apportata al cervello e si diminuiva la possibilità che il
condannato svenisse o perdesse conoscenza, in modo tale
da prolungarne la folle agonia: i nervi si scorticavano
immediatamente, le ossa si fracassavano schiantandosi e le
arterie, lacerate, zampillavano sangue.
Una bizzarra tortura, di cui si avvalsero gli Ugonotti durante le loro persecuzioni nei confronti dei
cattolici consisteva nel segare il corpo del prigioniero con una corda: la vittima, ignuda, veniva
tirata avanti e indietro col movimento che ricorda proprio quello di una sega, lungo una corda tesa
di fibra dura o un cavo metallico; la sofferenza patita era terribile poiché la corda lacerava la
carne penetrando fino all'osso.
La pera
Intuibilmente il nome di questo strumento deriva dalla forma.
Il suo impiego consisteva nel porlo nella bocca o nel deretano degli uomini, o nella vagina delle
donne, e di aprirlo progressivamente finché possibile.
La pera orale, rettale o vaginale veniva inflitta a uomini macchiatisi di sodomia, donne adultere o
persone delle quali si sospettavano rapporti sessuali col demonio.
Questa tortura pertanto rappresentava una sorta di punizione "del contrappasso".
Sospensioni
Diverse erano le modalità con cui un condannato
poteva patire la sospensione: nella figura ne vengono
illustrate tre.
Al condannato, appeso per i piedi, viene agganciato
un pesante masso al collo; la vittima viene strangolata
e tormentata finché la colonna vertebrale non si
schianta e va a pezzi.
Oppure, il prigioniero viene cosparso di miele ed altre
sostanze dolci e viene lasciato in balia di molesti
insetti come api, vespe e calabroni.
Nella fig. C invece il condannato, sospeso per un
piede, ha una gamba legata al ginocchio dell'altra,
mentre l'altra è appesantita da un oggetto metallico.
Non raro era assistere a queste esecuzioni durante
l'epoca medievale.
Col passare del tempo le tecniche si affinarono ed in
Germania venne eseguita una tortura estremamente
diabolica:
Vicino a Lindau un malfattore fu appeso al patibolo con delle catene di ferro e con ai piedi due
grossi cani che, essendo tenuti senza cibo, se lo divoravano prima che egli stesso morisse di fame.
Il supplizio dell'eretico
Come desumibile dalla figura, questo strumento si componeva di
due forche, una posta sul torace e l'altra sotto il mento.
Un collare veniva legato intorno al collo del prigioniero al quale
venivano legate le mani dietro la schiena.
Il condannato si trovava, in questo modo, impossibilitato al
minimo movimento per non pregiudicare i punti vitali, ma infine
doveva cedere per la stanchezza.
Sull'uso del fuoco
In una terribile esecuzione avvenuta in Francia nel
1757, il prigioniero accusato di parricidio subì le
seguenti torture:
"fu portato su un'impalcatura eretta per l'occasione e
gli vennero bruciate con delle tenaglie roventi il
petto, le braccia e i polpacci;
la mano destra, con la quale commise il delitto di
parricidio, gli fu bruciata nello zolfo;
dell'olio bollente, del piombo fuso e della resina e della cera mischiata allo zolfo, gli furono versati
nelle ferite; dopo tutto ciò il corpo venne lacerato da quattro cavalli e le sue membra e il suo corpo
arsi vivi furono sparsi al vento".
Altre modalità d'uso del fuoco, e vari altri dispositivi ad esso correlati vengono illustrati dalla
miniatura:
A. Gettati in una fornace ardente.
B. Bruciati vivi in botti o barili.
C. Bruciati in una stanza infuocata.
D. Mani e piedi posti su un mucchietto arroventato.
E. Costretti fermi da quattro spine fissate nella terra, con un fuoco che arde sotto di essi.
F. Bloccati con delle corde, bagnati da olio e consumati vivi dal fuoco che viene loro piccato.
G. Gettati in un pozzo di carboni ardenti.
H. Pale di ferro per distribuire il fuoco.
Annegamento
Molti popoli antichi compivano sacrifici , come
affogare gli uomini,per ingraziarsi i demoni delle
acque.
Sembra che l'annegamento fosse uno dei sistemi
prediletti per sbarazzarsi di stregoni e streghe durante
le persecuzioni medievali (fig. A).
Un'altra tecnica era la tortura delle barche, così
descritta: venivano prese due piccole barche,
esattamente della stessa misura e forma.
La vittima veniva fatta stende dentro una delle due,
guardando bene che la testa ed i piedi sporgessero
dalla barca stessa.
Su di essa veniva capovolta la seconda barca in modo
tale che il corpo del condannato si trovasse
perfettamente incastrato tra le due barche.
Poi, gli si offriva del cibo e nel caso lo rifiutasse,
veniva torturato o punzecchiato in altro modo, fin
quando accettava l'offerta.
Il passo successivo consisteva nel riempirgli la bocca
con una mistura di miele e di latte che gli veniva
anche spalmata sul volto.
Così conciato, veniva esposto ai raggi cocenti del sole; in breve tempo mosche ed insetti si
posavano sul viso del prigioniero pungendolo, fino a portarlo alla pazzia.
Nel frattempo, poiché la natura proseguiva il suo corso, all'interno della barca il cumulo degli
escrementi emanava un lezzo terribile ed iniziava a marcire.
Una volta sopraggiunta la morte si sollevava la barca superiore e si trovava il cadavere divorato dai
parassiti, mentre sciami di rumorose creature gli divoravano la carne e pareva gli crescessero dentro
le sue viscere.
Un'altra forma di tortura consisteva nel rinchiudere in un sacco la vittima, assieme a delle bestie
come un gatto, un gallo, una scimmia o un serpente ed annegarlo.
Bestie
Torturare i condannati con le bestie era un antico
supplizio, che nel medioevo andò via via
scomparendo, senza però mai sparire del tutto.
A. Imprigionati in una rete ed esposti ad un toro
selvatico.
B. Lanciati nudi a bestie selvagge.
C. Lasciati divorare ad animali selvatici.
D. Piedi fissati a una grande pietra e punteruoli
bollenti attaccati sotto le unghie, il condannato viene
lasciato al suo destino: divorato da cani affamati.
La Cicogna di Storpiatura
La parola "cicogna" riferita a questo strumento di tortura è citata da Ludovico Antonio Muratori nel
suo "Annali d’Italia" (1749) che ne attribuisce l'uso ai tribunali giudiziari ed inquisizionali romani
nel periodo 1550-1650.
Un altro strumento, quasi identico, viene mostrato in Inghilterra nella famosa "Torre di Londra" e
viene chiamato "la figlia dello spazzino" senza però chiarirci il motivo nè l’etimologia del termine.
Anche se a prima vista può sembrare uno dei tanti metodi di costrizione e d’incatenamento, questo
strumento provocava nella vittima, solo dopo pochi minuti, fortissimi crampi prima ai muscoli
addominali e rettali, in seguito a quelli pettorali e degli arti; crampi che con il passare delle ore
portavano la persona incatenata in questa posizione a stati quasi di pazzia.
Spesso poi, il ferro, lacerando la carne al minimo movimento, procurava al condannato infezioni
gravissime, quali la setticemia, che portavano inevitabilmente alla cancrena.
La Garrota
La garrota è stato lo strumento di pena capitale della Spagna
in uso fino alla morte di Franco (l'ultima esecuzione ufficiale
risale al 1975 quando fu giustiziato uno studente di appena
25 anni, riconosciuto in seguito innocente) e quindi fino
all'abolizione della pena di morte nella penisola Iberica.
Lo strumento serviva allo strangolamento dei condannati e
nella sua forma più diffusa un meccanismo tirava indietro
l'anello messo al collo della vittima fino a procurarne
l'asfissia, ma molte furono le varianti apportate sia per scopo
di torture inquisitorie che di morte.
La garrota presente in questa foto è un esempio di strumento
di tortura usato fino all'inizio del nostro secolo in Catalonia
ed in alcune località dell'America Latina.
Il condannato veniva fissato al palo con un collare, quindi
mentre l'aculeo penetrava e schiacciava le vertebre cervicali,
la vite spingeva il collo in avanti, forzando la trachea contro
la fascia di ferro e procurando una morte atroce, sia per
asfissia che per lo stritolamento delle vertebre.
In Ungheria, sino a qualche anno fa , era usato il Gibetto in tutto simile alla Garrota spagnola; era
composto da un palo al quale il condannato veniva fissato con un cappio cortissimo.
Liquidi bollenti
La bollitura e la friggitura dei prigionieri
rappresentavano due torture dal modus operandi
molto semplice: si riscaldava un enorme calderone
pieno d'acqua o, preferibilmente, olio fino alla
bollitura, dopo dichè vi si immergeva la vittima,
molto spesso inserendo prima la testa.
Un'altra modalità d'esecuzione era friggere in una
vasca o su una griglia il condannato.
Ancora, quando i carnefici desideravano prolungare
l'agonia del prigioniero, lo legavano e lo
immergevano in una vasca colma d'acqua od olio,
cosicché rimanesse fuori la testa, dopodichè si
accendeva un fuoco.
Pinze e Tenaglie
Le pinze, le cesoie e le tenaglie erano sempre presenti nel corredo di attrezzi da tortura dei carnefici
medioevali.
L'uso di questi strumenti, anche a freddo ma preferibilmente arroventate, procurava alle vittime o
agli inquisiti dolori incredibili e mutilazioni atroci.
Le tenaglie erano principalmente usate per strappare i capezzoli, unghie o brandelli di carne; le
pinze tubolari invece erano destinate allo straziamento degli organi genitali maschili.
Solo in tempi recenti è stato stabilito che le ustioni, nella scala di intensità del dolore fisico, sono
seconde soltanto al parto, ma i carnefici del Medioevo avevano già capito che genere di atroce
tormento può procurare il ferro rovente, specialmente (come nel caso delle tenaglie) se questo viene
usato su parti sensibilissime quali i capezzoli.
Un altro sistema di punizione legato al ferro arroventato, e usato sino a metà del secolo scorso, era il
"marchio rovente"; veniva impresso a fuoco sulle guance dei vagabondi, zingari, bestemmiatori, e
lasciava nelle carni di costoro una cicatrice che accompagnava il condannato sino alla fine dei suoi
giorni.
Squartamenti e spellamenti
Lo squartamento fu una pratica che durò a lungo.
Essa consisteva nell'aprire l'addome e strappare con
violenza le viscere del condannato prima che il corpo
venisse fatto a pezzi.
A volte la richiesta di giustizia veniva soddisfatta
facendo ingoiare al prigioniero le sue stesse viscere,
appena estirpate dal ventre.
L'esecuzione più in voga nel medioevo consisteva
però nel seguente procedimento: il prigioniero veniva
legato con una grossa fune, sia all'altezza delle
braccia che delle gambe; le funi erano poi assicurate a
una grossa sbarra di legno o di metallo che a sua volta
veniva legata a dei cavalli, uno per ogni estremità
della vittima.
Si costringeva poi i cavalli a dare dei piccoli strattoni
che obbligavano la vittima ad implorare pietà.
Quando i carnefici si ritenevano infine soddisfatti,
frustavano le bestie contemporaneamente, incitandole
in direzioni opposte, in modo da fare a brandelli le
membra.
Spesso e volentieri il corpo della vittima opponeva resistenza, cosicché i boia lo facevano a pezzi
con delle accette, come fa un macellaio con la carne, fino a quando le membra si staccavano dal
busto del prigioniero ancora vivo.
Altre volte invece, al prigioniero viene tolta la pelle con uno strumento appuntito, come un
pungiglione.
Il toro di bronzo
Altre torture per mezzo del fuoco sono presenti nella
figura: la vittima viene amputata ed infine i carnefici
ne friggono le membra.
Arrostiti vivi nel toro di bronzo: l'ingegno di questa
macchina da tortura consisteva nella predisposizione
ad arte di alcuni flauti cosicché quando la vittima,
inserita nel congegno che si scaldava a dismisura,
gridava dal dolore per mezzo di questi condotti
sapientemente studiati il toro emetteva un musicale
muggito.
La leggenda vuole che il suo inventore, il greco
Perillo, alla presentazione del diabolico
marchingegno al suo sovrano, sia stati costretto dal
sovrano a venire lui stesso arrostito nel toro,
fornendo, citando Ovidio "...la prima prova del suo
crudele mestiere".
Infine, nella figura è illustrata una persona fritta sulla
griglia.
La vergine di ferro (di Norimberga)
Chi veniva accusato di eresia o di atti blasfemi contro
Dio o i Santi, se si rifiutava ostinatamente di confessare
la propria colpa, veniva condotto in una cella, il cui lato
estremo ospitava numerose lampade, posizionate intorno
al recesso, che gettavano una luce variegata sull'aureola
dorata, sulla testa della figura e sul vessillo che questa
teneva nella mano destra.
Su un piccolo altare, il prigioniero riceveva i sacramenti;
in seguito due ecclesiastici lo esortavano insistentemente
a confessare in presenza della Madre di Dio.
"Vedi" dicevano "quanto amorosamente la Vergine ti
apre le braccia! Sul suo petto si scioglierà il tuo cuore
duro; lì confesserai!".
Tutt’a un tratto, la figura cominciava a tendergli le
braccia: il prigioniero, sopraffatto dallo stupore, veniva
all'abbraccio ed ella se lo portava sempre più vicino,
arrivando a stringerselo al petto finché i pungiglioni e gli
aculei lo trafiggevano.
Tenuto fermo in quella stretta dolorosa, il prigioniero
veniva interrogato e se si rifiutava di confessare, le braccia della statua stringevano sempre più il
suo corpo, inesorabilmente e lentamente, ammazzandolo.
La parte anteriore di questo marchingegno consisteva in due porte che si chiudevano. C'erano una
gran quantità di pugnali inseriti sia nella parte interna del petto che dentro la statua in modo da
trafiggere con precisione il fegato, i reni e gli occhi.
Chi subiva l'abbraccio della vergine di ferro, dopo essere stata stritolato, rimaneva attaccato alle
punte dei chiodi e delle lame quando la Vergine riapriva le braccia.
Fly UP