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Tra luce e tenebre Letti funerari in osso da Lazio e
indice
Tra luce e tenebre
Letti funerari in osso da Lazio e Abruzzo
→ Comunicato stampa e informazioni tecniche
→ Colophon
→ Testo di Stefano De Caro
→ Testo Arcus - società di arte cultura e spettacolo
→ Testo da catalogo - Marina Sapelli Ragni
→ Testo da catalogo - Giovanna Rita Bellini
→ Testo da catalogo - Elena Francesca Ghedini
→ Scheda catalogo
comunicato stampa
Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio.
TRA LUCE E TENEBRE
LETTI FUNERARI IN OSSO DA LAZIO E ABRUZZO
Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo
24 aprile – 2 novembre 2008
Nelle sale dell’Antiquarium del Canopo di
Villa Adriana a Tivoli la Soprintendenza
per i beni archeologici del Lazio presenta
in anteprima la ricostruzione dell’eccezionale letto funerario in osso scoperto ad
Aquinum (comune di Castrocielo, in provincia
di Frosinone). Il letto è stato trovato nel 2005
in una necropoli che contava ben settantaquattro tombe nell’ambito di uno scavo di
archeologia preventiva, finanziato da
Autostrade per l’Italia S.p.A., nell’area di servizio Casilina Est dell’Autostrada Roma –
Napoli. Ad affiorare per prima dalla terra è
stata la gamba del letto, ancora infissa, con la
sua anima in ferro rivestita da elementi in
osso lavorato. Il letto era probabilmente
ricoperto da una lamina d’oro, poiché sono
state individuate tracce di doratura a foglia
sulla capigliatura, sui panneggi di una veste e
su di un’ala. I pezzi in osso raffigurano simbologie misteriche e figure del mito.
La straordinaria scoperta ha rappresentato uno stimolo per portare all’attenzione
del vasto pubblico che visita Villa Adriana
un tema di grande interesse, eppure poco
noto: l’uso dei letti funerari con decorazioni in osso nelle cerimonie di sepoltura,
collocabili lungo un arco cronologico tra la
fine del III sec. a.C. ed il I sec. d.C.. Questi
letti vedono il loro massimo centro di diffusione, e forse di produzione, in quel territorio
dell’Italia centrale coincidente con le attuali
regioni di Lazio e Abruzzo, ed anche in parte
dell’Umbria e delle Marche. In mostra, quindi,
sono presentati altri tre esemplari ricostruiti di alta qualità: un letto ritrovato a
Roma, sul colle Esquilino (conservato alla
Centrale Montemartini), e due provenienti
dall’Abruzzo (rispettivamente da Bazzano
e Fossa, custoditi presso il Museo delle
Paludi di L’Aquila).
Il letto in osso di Aquinum, è databile tra il
I e il II a.C. La ricostruzione è stata seguita da
Giovanna Rita Bellini, che ha diretto gli scavi
per conto della Soprintendenza per i beni
archeologici del Lazio.
Esempi sporadici ma similari, purtroppo raramente documentati da più che qualche frammento spesso anche combusto per via del rito
di cremazione che talora riguarda sia corpo
del defunto sia letto, si trovano in altre parti
d’Italia, dalla stessa area laziale alla Cisalpina,
fino alla Germania, con una distribuzione cronologica che, alla luce delle attuali conoscenze, sembra concentrarsi nell’ambito del II sec.
a.C. e della prima parte del I sec. a.C., fino a
spingersi in età tardo repubblicana e, forse,
nel I sec. d.C..
In mostra vengono esposti significativi
frammenti di altri rinvenimenti sia del
Lazio (Sezze, Ostia, Marino), sia
dell’Abruzzo che nel loro insieme documentano l’alta qualità esecutiva e la ricchezza dei temi iconografici, peraltro in
genere facilmente riconducibili al repertorio dionisiaco, allusivo a credenze di rinascita dei defunti. Ai letti si aggiungono i
ricchi corredi trovati nelle tombe, costituiti da
specchi, balsamari, strigili, lucerne, monete e
ceramica.
La mostra inquadra la nascita e lo sviluppo di questo genere di manufatti, che derivano il loro modello dai lussuosi letti lavorati in avorio trovati nelle tombe regali
macedoni e che, traducendo in materiale di
uso comune e poco pregio quale l’osso le
valenze estetiche dei modelli ellenistici, costituiscono, comunque, per i committenti italici
un modo di rappresentare il proprio gusto e la
propria appartenenza alla élite locale.
Altri contributi specifici nell’ambito del catalogo, pubblicato da Electa, sono dedicati alle
problematiche di lavorazione dell’osso ed alle
difficoltà di studio della ricomposizione dei
manufatti dei quali si è persa, nelle sepolture,
la struttura portante e molti dettagli, oltre alle
problematiche rituali, sociali e storiche di questa pratica di sepoltura. Nell’esposizione i
reperti antichi sono affiancati dalle opere
pittoriche di Umberto Passeretti, artista
tiburtino cresciuto nel rapporto costante con
questo luogo ricco di suggestioni, che sempre
ha dato ispirazione all’arte.
Alla Soprintendenza per i beni archeologici
del Lazio, che ha offerto questo spazio d’eccezione qual è Villa Adriana, è sembrato che
le sue figure, evocative di un linguaggio formale della tradizione artistica ellenisticoromana, di cui anche i reperti funerari qui presentati costituiscono documento significativo
e ricco di valenze cultuali e mitiche, ben dialoghino con le opere dell’antico e con la villa
stessa.
informazioni tecniche
mostra
Tra luce e tenebre
Letti funerari in osso da Lazio e Abruzzo
curatela
Marina Sapelli Ragni
soprintendente per i beni
archeologici del Lazio
responsabili scientifici
Benedetta Adembri e Giovanna Rita Bellini
catalogo
Electa
luogo
Antiquarium del Canopo
Tivoli, Villa Adriana
Via di Villa Adriana 204
durata mostra
24 aprile – 2 novembre 2008
come arrivare
Il sito è raggiungibile con i mezzi pubblici:
da Roma con Metro B fermata Ponte
Mammolo e bus Co.Tral direzione Via
Prenestina e fermata a circa 300 m. dal sito,
oppure bus Co.Tral direzione Via Tiburtina
e fermata a circa 1 km dal sito, oppure bus
Co.Tral direzione Tivoli/autostrada A24
e fermata a circa 1 km dal sito
da Roma con treno FS e fermata Stazione
di Tivoli e bus linea CAT numero 4 e fermata
a circa 300 m dal sito
informazioni
06 39967900
www.pierreci.it
orari
tutti i giorni dalle 9,00
a un’ora prima del tramonto
ufficio stampa Electa
Gabriella Gatto
tel. +39 06 42029206 cell. 3405575340
[email protected]
biglietti
10 euro intero
6,75 euro ridotto
Enrica Steffenini - Annalisa Inzana
tel. +39 02 21563433/250
[email protected]/[email protected]
colophon
Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio.
TRA LUCE E TENEBRE
LETTI FUNERARI IN OSSO DA LAZIO E ABRUZZO
Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo
24 aprile – 2 novembre 2008
Progetto scientifico
e coordinamento
Marina Sapelli Ragni
Responsabili scientifici
Benedetta Adembri
Giovanna Rita Bellini
Comitato scientifico
Marina Sapelli Ragni
Anna Maria Reggiani
Francesca Ghedini
Claudio Parisi Presicce
Angelo Pellegrino
Emilia Talamo
Giovanna Rita Bellini
Benedetta Adembri
Vincenzo d’Ercole
Giovanna Alvino
Nicoletta Cassieri
Giuseppina Ghini
Annalisa Zarattini
Enti prestatori
Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Abruzzo
Sovrintendenza ai Beni Culturali
del Comune di Roma
Soprintendenza per i Beni
Archeologici di Ostia
Servizi aggiuntivi
Benedetta Adembri
Antonietta Parente
Margherita D’Amato
Giuliana D’Offizi
Servizio restauro
Elisabetta Lantos
Barbara Caponera
Patrizia Cocchieri
Segreteria e relazioni
con il pubblico
Anna Passamonte
Luigi Daniele
Servizio tecnico
Igino Galli
Elio Bartolomeo
Pietro Di Croce
Antonio Russo
Bruno Stefanelli
Servizio fotografico
Quirino Berti
Augusto Briotti
Pietro Cavallari
Giuseppe Tonsini
Produzione
Electa
Apparati didascalici
Marina Sapelli Ragni
Giovanna Rita Bellini
Coordinamento
Marta Settis con Anna Grandi
Claudia Nardicchia
Ufficio stampa
Gabriella Gatto
Enrica Steffenini
Progetto dell’allestimento
Andrea Mandara
Studio di Architettura, Roma
con Fabiana Dore
Progetto dell’immagine coordinata
e della grafica in mostra
Sebastiano Girardi
Realizzazione dell’allestimento
Meloni Fabrizio srl
con la collaborazione
di Enrico Vandelli
Impianti elettrici e di sicurezza
Duilio Ciancarella
con Nello Madama
Loris Bernardini
Fabio Ciancarella
Alessandro Fonzi
Restauri
Paola Aureli
Marco Demmelbauer
Enrica Montanelli
Cristina Rinaldi
Trasporti
Borghi International spa, Roma
Assicurazioni
Progress Insurance Broker
Si ringrazia vivamente
il Soprintendente ad interim
per i Beni Archeologici dell’Abruzzo,
Giuseppe Andreassi
il Soprintendente ad interim per i Beni
Archeologici di Ostia,
Maria Antonietta Fugazzola
il Sovrintendente ai Beni Culturali del
Comune di Roma, Eugenio La Rocca
e si ringrazia in oltre il personale tecnico
e di vigilanza di Villa Adriana
testo da catalogo
L’occasione di questo evento mi offre il
destro per fare alcune brevi considerazioni
che riguardano non solo il tema della mostra,
ma anche le finalità stesse di una simile
manifestazione e il concetto di valorizzazione
e fruizione. Il riconoscimento sociale dell’archeologia come disciplina utile alla collettività – al di là della rilevanza che in linea di principio a essa è data dalla Costituzione ma che
è poi smentita nella prassi dalla quota del
bilancio nazionale assegnata a essa come
alle altre componenti del patrimonio storicoartistico – è molto legata per noi “specialisti”
alla possibilità di comunicare al pubblico il
significato del nostro lavoro, l’importanza
della ricerca e, soprattutto, della tutela del
patrimonio culturale, dalla nostra capacità di
divulgazione, ossia di comunicare attraverso
le testimonianze materiali del nostro passato,
nel modo più vicino possibile al linguaggio del
nostro tempo, i diversi aspetti della vita quotidiana delle popolazioni che ci hanno preceduto sul territorio italiano.
Oltre al linguaggio, diviene quindi fondamentale la scelta del tema di una mostra: è
necessario infatti che esso possa prevedere
diversi livelli di lettura che vanno dal semplice
apprezzamento del manufatto in quanto
opera d’arte, all’esame degli aspetti legati alla
vita quotidiana, al culto, alla spiritualità, ai
legami commerciali e culturali con altre popolazioni, alle vicende storiche legate al periodo
rappresentato. Solo in questo modo sarà
possibile far sentire l’oggetto antico portatore non solo di una bellezza o di una storia lontana, ma di dinamiche di relazioni articolate e
complesse, non diversamente dagli oggetti
che ci circondano, e coinvolgere così tutte le
variegate tipologie di fruitori, peraltro sempre
più esigenti. Da questo punto di vista ritengo
che la mostra che si inaugura oggi sia particolarmente riuscita. Alla bellezza e rarità dei
materiali esposti unisce, infatti, una serie di
problematiche che interessano svariati aspetti della vita delle popolazioni italiche in un
momento di particolare interesse storico, tra
il II secolo a.C. e il I secolo d.C.
Fra gli aspetti più interessanti si possono
ricordare, per esempio, quelli legati al rito
funebre: le tipologie delle tombe in cui sono
stati rinvenuti i resti di letti funebri, le modalità di sepoltura che prevedono, indifferentemente, riti di incinerazione e inumazione.
Vanno inoltre considerati in quanto oggetti di
lusso, riservati a personaggi di rilievo: il fatto
che spesso siano riferibili a inumati di sesso
femminile ci consente di gettare nuova luce
sul ruolo della donna nelle popolazioni centro-italiche del periodo. È oggetto di discussione se tali oggetti venissero creati appositamente per la cerimonia funebre, oppure se
fossero utilizzati in vita dal defunto. Dallo studio dell’iconografia delle decorazioni, legate
per lo più al ciclo dionisiaco e alla figura di
Ercole (sia Dioniso, “il tre volte morto”, sia
Ercole sono strettamente legati al tema della
morte, dal momento che hanno concluso
positivamente il loro viaggio nell’Aldilà) parrebbe forse più valida la seconda ipotesi, ma
la problematica è assai complessa e passibile di ulteriori approfondimenti.
Degni di attenzione sono, inoltre, gli aspetti
relativi alle influenze artistiche e alla produzione: se è indubbio, infatti, che i modelli cui
si ispirano i nostri manufatti sono i ricchi letti
in avorio di fabbricazione orientale – noti dai
rinvenimenti nelle tombe reali macedoni –
interessante è la possibilità di individuare,
proprio nelle regioni dell’Italia centrale, i probabili luoghi di produzione di questi oggetti
che, pur utilizzando un materiale come
l’osso, molto comune e quindi poco prezioso,
raggiunsero, grazie al notevole livello tecnico
dei loro artefici, standard qualitativi eccezionali. Queste e altre problematiche potranno
trovare, se non risposte definitive, quanto
meno interessanti spunti di discussione e di
approfondimento nei contributi dei diversi
studiosi che hanno partecipato all’allestimento di questa mostra.
Infine, è a mio avviso importante sottolineare
come uno dei più significativi pezzi esposti
sia il risultato di un intervento di archeologia
preventiva, effettuato con finanziamenti di
Autostrade per l’Italia, nell’area di servizio
Casilina Est. Infatti è solo mostrando e spiegando al pubblico ciò che è possibile recuperare con queste operazioni, viste solitamente
come un freno allo sviluppo o, più semplicemente come una “seccatura” che restituisce
solo tracce incomprensibili, che se ne può far
comprendere il reale valore.
Stefano De Caro
Direttore Generale per i Beni Archeologici
testo arcus
Il letto in osso rivestito di lamine a foglia d’oro è
il reperto più prezioso e significativo restituito
dallo scavo della necropoli occidentale di
Aquinum (a Castrocielo nel Lazio in provincia di
Frosinone), luogo di sepoltura della città italica
foederata di Roma, poi del florido e popoloso
municipium, infine della colonia triumvirale.
La necropoli occidentale di Aquinum, sorta all’
esterno della porta verso Roma della colonia
ed in prossimità della via Latina, è stata indagata nei primi mesi dell’anno 2005 nell’ambito dello scavo archeologico condotto come
archeologia preventiva nell’area di servizio
Casilina Est dell’Autostrada A1 Roma-Napoli,
progettato e diretto dalla Soprintendenza e
finanziato da Autostrade per l’Italia S.p.A.
Il restauro, lo studio e la ricomposizione del
letto funerario, l’esame delle tecniche di lavorazione, il restauro e lo studio dei corredi delle
tombe, le analisi antropologiche, l’informatizzazione dei dati della necropoli per una
gestione strutturata e per una immediata con-
sultazione, i filmati che consentono una facile
e accattivante fruizione “virtuale” del sito
archeologico, sono stati possibili grazie al
sostegno di ARCUS, Società per lo sviluppo
dell’arte, della cultura edello spettacolo S.p.A.,
costituita ai sensi della legge 16 ottobre
2003, n. 291, che ha quindi consentito il raggiungimento sia dell’obiettivo scientifico della
conoscenza a tutto campo della popolazione
del centro italico di Aquinum in un arco cronologico compreso tra le guerre annibaliche e la
deduzione della colonia triumvirale, sia di
quello della positiva interrelazione tra beni culturali ed infrastrutture strategiche.
Il coinvolgimento della soc. ARCUS sottolinea
l’importanza dell’intervento, tanto più in quanto avvio di un più vasto progetto condiviso da
Soprintendenza ed Autrostrade per l’Italia in
attuazione del protocollo d’intesa per l’ampliamento dell’area di servizio e la valorizzazione
del limitrofo anfiteatro di Aquinum, ricadente
nella fascia di pertinenza autostradale.
testo da catalogo
Marina Sapelli Ragni
INTRODUZIONE
Il fortunato rinvenimento di Aquinum (comune
di Castrocielo, in provincia di Frosinone) avvenuto nell’anno 2005 nell’ambito di uno scavo
di archeologia preventiva finanziato da
Autostrade per l’Italia S.p.A. nell’area di servizio
Casilina Est dell’Autostrada Roma-Napoli, ha
rappresentato uno stimolo per portare all’attenzione del vasto pubblico che visita Villa
Adriana, così come degli studiosi, un tema di
grande interesse archeologico e cioè l’uso dei
letti funerari con decorazioni lavorate in osso,
rinvenuti principalmente nel territorio medioitalico, ma anche in altri luoghi dell’Italia antica, e
collocabili lungo un arco cronologico che può
approssimativamente comprendersi tra gli inizi
del II sec. a.C. e la metà del I sec. d.C.
Il letto in osso della tomba 6 della vasta necropoli occidentale di Aquinum, che è tuttora in
corso di studio, ma che risulta preliminarmente inquadrabile tra le guerre annibaliche e la
deduzione della colonia triumvirale, è stato sottoposto ad accurato restauro e studio filologico, anche con impiego di un aggiuntivo finanziamento ARCUS, onde ne è stato possibile
realizzare un’ipotetica ma convincente ricostruzione, grazie all’ottimo intervento sinergico
di vari specialisti, coordinati da Giovanna Rita
Bellini, che ha diretto gli scavi per conto della
Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Lazio. I risultati dello studio di molti frammenti
del manufatto sono stati, tra l’altro, oggetto di
una apprezzata presentazione nell’ambito del
III Salone del Restauro di Venezia (novembre
2007). Il rinvenimento di un letto funerario, sul
quale era posto uno scheletro femminile e che
si trovava all’interno di una tomba monumentale a camera ipogea con deposizioni plurime
assegnabili a fasi distinte di uso, rappresenta
un recupero di carattere privilegiato all’interno
di uno scavo peraltro ampio e ricco di motivi di
interesse. Tra i vari filoni di indagine, per i quali
la scoperta del centro italico precedente alla
colonia latina di Aquinum costituisce nuovo
stimolo, è certamente da porre in risalto il
fatto che essa si aggiunge a una serie, cospicua per qualità ma limitata per numero, di rinvenimenti analoghi di letti con decorazioni in
osso. Essi vedono il loro massimo centro di
diffusione, e forse di produzione, in quel territorio medioitalico coincidente con l’attuale
area interna del Lazio e dell’Abruzzo, e anche
in parte dell’Umbria e delle Marche. Peraltro,
come ha ben dimostrato il fondamentale studio catalogico condotto da Cesare Letta nel
1984 a seguito del rinvenimento abruzzese di
due letti della Valle d’Amplero, questo uso
trova significative attestazioni, sporadiche ma
similari (purtroppo raramente documentate da
più che qualche frammento), in altre parti
d’Italia, dalla stessa area laziale alla Cisalpina,
alla Germania, con una distribuzione cronologica che, alla luce delle attuali conoscenze,
sembra concentrarsi nell’ambito del II sec. a.C.
e della prima parte del I sec. a.C., con ulteriori
attardamenti in età tardo repubblicana e,
forse, nel I sec. d.C.
I modelli di riferimento sono le raffinate decorazioni realizzate in avorio dorato delle klinai
macedoni, quali i letti reali delle tombe di
Verghina con prevalenti temi dionisiaci, immagini allegoriche di una felice vita nell’aldilà. La
conoscenza diretta, in Italia, di oggetti di questo tipo può essere la parata del bottino portato da Gneo Manlio Vulsone a Roma nel 187
a.C. È proprio agli inizi del II sec. a.C. che le élites locali dell’area medioitalica (delle quali
sono perduti gli arredi delle case) lasciano
testimoniata nelle tombe una ricca traccia dell’uso dei letti in ferro e legno con appliques in
osso, che reinterpretano nelle decorazioni, in
un materiale più modesto, lo stesso gusto e
analoghi temi dei raffinati oggetti in avorio
usati dai sovrani ellenistici e dalle loro aristocrazie. Mi è sembrato di qualche interesse
proporre in questa fase una esposizione mirata di esemplari ricomposti e di frammenti di
alta qualità provenienti da rinvenimenti sia
laziali (alcuni dei quali inediti) sia abruzzesi,
rimandando ad altra occasione la possibilità di
raccogliere una più diffusa documentazione
dei molti rinvenimenti che ormai, per quanto
noto dalle pubblicazioni, assommano ad alcune centinaia di attestazioni.
I lavori, in molti luoghi ancora in corso, che
comprendono restauro e studio dei più minuti
frammenti di decorazioni in osso, spesso
anche combusti per via del rito di cremazione
che talora riguarda sia il corpo del defunto sia
il letto, ci fanno pensare che la materia sarà
quanto prima degna di nuovi e più ampi studi
di sintesi, alla luce degli aggiornamenti che
molti colleghi delle Soprintendenze italiane ci
hanno segnalato con grande cortesia in questa occasione.
Per il momento, è probabilmente rilevante e
utile, per specialisti e non, offrire la visione
contestuale di alcuni manufatti ricomposti per
intero, o quasi, e quindi il manufatto di
Aquinum e di altri due letti, di Bazzano e
Fossa, appartenenti alla ricca documentazione abruzzese, nonché del noto letto
dell’Esquilino, che sembrerebbe porsi nella
fase finale della produzione conosciuta. A corredo di questi esemplari vengono esposti
significativi frammenti di altri rinvenimenti sia
del Lazio (Acilia, Marino, Sezze, Ventotene) sia
dell’Abruzzo che, nel loro insieme, documentano l’alta qualità esecutiva e la ricchezza dei
temi iconografici, peraltro in genere facilmente riconducibili al repertorio dionisiaco, allusivo a quelle credenze di rinascita dei defunti
che tutti gli studiosi hanno sin qui evidenziato
come sottese a questo tipo di produzione.
Una delle domande fondamentali che si impone, tra le tante di estremo interesse storico, è
per quale via questi gruppi aristocratici italici,
nell’orizzonte cronologico tardo repubblicano,
alleati ma non ancora soggiogati da Roma,
siano venuti in contatto con i modelli di questi
manufatti, e per mano di quali artigiani queste
opere siano state realizzate. La risposta che
possiamo dare, alla luce delle nostre attuali
conoscenze, pur nella indeterminatezza e
incompletezza, ci fa intravedere una notevole
acculturazione di questo mondo medioitalico
(oggi coincidente con Lazio interno, Abruzzo,
Marche, Umbria) dalla metà del II sec. a.C.
all’età augustea; un mondo aperto ai commerci sia mediterranei sia continentali.
Un’altra domanda riguarda il sesso dei defunti per i quali più facilmente si usava questo
tipo di oggetti suntuari; sembrano predominanti, ma non esclusive, le testimonianze legate a sepolture femminili. In particolare, l’uso di
due diversi riti funerari ci mostra in ambito
laziale una predominanza delle incinerazioni,
onde il letto veniva combusto con il defunto
direttamente adagiatovi sopra, mentre in
ambito medioitalico, nella fattispecie nel territorio ora abruzzese, ci appaiono dominanti
l’inumazione e la sepoltura in tombe a camera. Queste suggestioni, possibili ora in via preliminare, meritano approfondimenti futuri di
ampio respiro, che saranno possibili anche
grazie al prosieguo di molti interventi di
restauro e studio in corso su numerosi contesti di scavo recente.
A Francesca Ghedini è stato chiesto di svolgere un inquadramento generale dei diversi
problemi legati alla nascita e sviluppo di questo genere di manufatti che, traducendo in
materiale di uso comune e minore pregio
rispetto all’avorio le valenze estetiche dei
modelli ellenistici, costituiscono, comunque,
per i committenti italici un modo di rappresentare il proprio gusto e la propria appartenenza
alla élite locale, come, in dettaglio, Anna Maria
Reggiani analizza nel suo specifico saggio
dedicato ai temi della realtà archeologica
medioitalica.
Altri contributi specifici nell’ambito del catalogo sono dedicati alle problematiche di lavorazione dell’osso, svolte da Mara Carcieri ed
Enrico Montanelli, e alle difficoltà di studio
della ricomposizione dei manufatti dei quali si
è persa, nelle sepolture, la struttura portante e
molti dettagli e che è trattato da Stefano
Pracchia; uno specifico saggio viene svolto da
Giovanna Rita Bellini proprio sugli importanti
nuovi rinvenimenti della necropoli occidentale
di Aquinum e sui molteplici problemi rituali,
sociali e storici che essi ci pongono; altri saggi
ancora sono dedicati, rispettivamente da
Vincenzo d’Ercole e Alberta Martellone e da
Emilia Talamo, alla ricca documentazione del
territorio abruzzese, nonchè alla singolare e
pregevole testimonianza del letto in osso proveniente dalla necropoli dell’Esquilino, in
Roma. Nell’esposizione i reperti antichi sono
affiancati dalle opere pittoriche di Umberto
Passeretti, artista tiburtino cresciuto nel rapporto costante con Villa Adriana, con questo
luogo ricco di suggestioni che sempre ha fornito ispirazione all’arte. Ci è sembrato che le
sue figure evocative di un linguaggio formale
della tradizione artistica ellenistico-romana, di
cui anche i reperti funerari qui presentati
costituiscono documento significativo e ricco
di valenze cultuali e mitiche, ben dialoghino
con le opere dell’antico e con la villa stessa.
A quanti con distinte professionalità hanno
collaborato al lavoro di restauro, ricomposizione e allestimento della mostra, ai funzionari
della Soprintendenza per i Beni Archeologici
del Lazio, ai colleghi di altri uffici e agli studiosi che hanno partecipato a questa esposizione, va il più sentito ringraziamento.
testo da catalogo
Giovanna Rita Bellini
UN NUOVO RINVENIMENTO DA AQUINUM:
IL LETTO IN OSSO DELLA TOMBA 6
5 maggio 2005 – dalla terra, nella tomba 6
della necropoli occidentale di Aquinum, affiora una figura alata in altorilievo. L’archeologo
guida con ansia trattenuta gli attenti strumenti di scavo, ma non ha dubbi: è la gamba di un
letto, ancora infissa, con la sua anima in ferro
rivestita da elementi in osso lavorato, nel
piano pavimentale della camera funeraria. Lì
accanto, i raggi del sole pomeridiano illuminano un filo d’oro.
«Bagliori dorati si diffondono all’incerta luce
delle fiaccole dai ricami delle ricche vesti della
defunta adagiata sulla lettiga nel corteo che
accompagna l’ultima signora al sepolcro di
famiglia nell’antica necropoli. Per preparare la
sua sepoltura, sul lato di fondo della tomba di
fronte all’ingresso, sul vecchio letto decorato,
nei giorni precedenti sono stati rimossi dalla
porta voltata i lastroni di travertino, rispettosamente riposte in un angolo le ossa degli antenati (due donne, quattro uomini) e con esse le
olle che custodivano i resti incinerati di altre
due donne, insieme ai balsamari e agli strigili
che a suo tempo li avevano accompagnati nel
rito della deposizione, così come per far posto
a loro nella camera funeraria, decenni prima,
erano stati risepolti in una fossa centrale,
davanti all’ingresso, i capostipiti della famiglia
(due uomini e tre donne) con i loro corredi.
La signora è l’ultima discendente di una famiglia importante, forse un tempo la più importante della città formatasi – dopo le guerre
sannitiche – nel cuore della piana del Liri,
chiusa tra le Mainarde e i monti della Meta a
settentrione, i monti Ausoni e Aurunci verso il
mare Tirreno, allo sbocco della via di transumanza che dall’area mesoadriatica e dall’
Appennino abruzzese-molisano si immetteva
nei percorsi verso la costa tirrenica, nei pressi
di un antico santuario. La tomba di famiglia è
al centro della necropoli, punto generante
della disposizione delle altre sepolture coeve.
Gli avi, nati nel secolo che vede la fine delle
guerre sannitiche e i lunghi anni della guerra
annibalica, vengono deposti nel sepolcro della
nuova necropoli nell’arco di poco più di un cinquantennio, dagli anni del passaggio di
Annibale sulla via Latina (quando Aquinum
viene menzionata per la prima volta dalle fonti
storiche pur se da tempo batteva moneta) alla
metà del secolo seguente, deposti sulla terra,
con i loro corredi.
I discendenti vivono nella città italica pacificata e fiorente, municipium dopo la guerra
sociale, centro di produzione di stoffe di porpora, tanto conosciute da diventare proverbiali, e da essere esportate fino a mercati lontani, con una commercializzazione facilitata
dalla vicinanza del Liri e dalla presenza di un
porto fluviale.
Per loro la tomba viene riaperta più volte nell’arco di circa cento anni a cavallo dei due
secoli, per uno di loro (probabilmente una
delle due donne, probabilmente l’ultima a
essere inumata prima delle incinerazioni)
viene realizzato il letto rivestito d’oro e ricoperto di cuscini di porpora, ornato con i simboli
dei riti orfici e dionisiaci derivati dai misteri
eleusini di Demetra e Kore, e con le allegorie
della rinascita dell’anima trasportata nell’ultimo viaggio sulle ali aperte delle aurae che
avvolgono i sostegni del letto.
La prima signora del letto è forse una sacerdotessa di Cerere, venerata nell’antichissimo
santuario, ove si perpetuano i riti eleusini della
morte e della rinascita, del perenne alternarsi
delle stagioni, del risveglio della natura animale e vegetale dopo il sonno invernale, del ritorno sulla terra presso la madre CerereDemetra di Proserpina-Kore dopo il soggiorno nell’Ade presso il marito Plutone.
Accanto al suo corpo viene posto un cofanetto decorato con lamine di osso e con un
medaglione che ferma nel tempo il volto della
padrona.
Ancora una volta, tra la metà e la fine del
secolo, la tomba viene riaperta, ancora una
volta per una donna, questa volta combusta
sulla catasta funebre innalzata davanti al
sepolcro. Latte e vino vengono versati sulle
braci ancora ardenti, le coppe frantumate sui
resti della pira. Le ossa raccolte in due olle
riposano anch’esse nel sepolcro.
Nella vicina città, rinnovata come colonia di
Roma sotto il triumvirato di Ottaviano, Antonio
e Lepido, si tracciano strade, si costruiscono
nuove mura, edifici e templi.
Il travertino viene estratto nei pressi della città,
anche vicino alla secolare necropoli, spezzando con i tagli di cava i solchi lasciati dagli antichi aratri. Ma dopo le voragini vengono ricolmate, e i campi della nuova organizzazione
territoriale ancora una volta affidati alle divinità agresti con riti propiziatori, seppellendo religiosamente nelle cavità gli oggetti consacrati
delle stipi più antiche, ormai in frammenti, e
quanto rimane della copertura dell’antico santuario della dea italica.
Forse è proprio l’ultima discendente della
nobile famiglia aquinate a presiedere i riti, a
commemorare nella festa di primavera la fine
del dolore di Cerere per la perdita della figlia
Persefone restituita temporaneamente alla
madre, a intercedere perché si rinnovi il ciclo
vitale delle stagioni e siano protetti i raccolti.
Gli abitanti romanizzati della nuova Aquinum
seppelliscono altrove i loro morti. Ma quando
anche per lei giunge il momento dell’ultimo
viaggio, ancora una volta si riapre l’antico
sepolcro, e si ripetono i gesti che hanno
accompagnato gli avi. All’interno della porta,
prima della definitiva chiusura, viene posta –
sulla terra – una moneta. Segue l’abbandono,
l’oblio, il disfacimento, le violazioni.
Fino a quel pomeriggio di una inoltrata primavera di venti secoli dopo, quando gli strumenti degli archeologi riportano in vita il passato.
E nella tomba violata, nell’antica necropoli,
sulla vicina terra che reca ancora i segni dell’aratro e dei riti propiziatori, si rinnova “l’atmosfera campestre, misteriosa e religiosa, eco di
lontani silenzi, che invita a sostare tra quelle
ombre laminate di luci, fluitando a ritroso nei
secoli scomparsi, un dolce sentimento di
remota umana spiritualità” (Giannetti 1986)1».
La necropoli, la tomba 6
La presenza del letto funerario sottolinea l’importanza della tomba 6 nell’ambito della
necropoli, e della famiglia cui essa apparteneva, anche se al momento sono solo ipotesi le
considerazioni sullo status dei defunti che vi
sono stati sepolti.
Lo scavo archeologico ha portato in luce settantaquattro tombe a inumazione: a cappuccina, terragne, a cassone, monumentali in blocchi di travertino (a camera ipogea o a cassone), oltre a una sepoltura infantile in coppo e
una fossa comune con la deposizione simultanea di tredici individui.
I corredi, costituiti da balsamari fittili fusiformi
e piriformi (ben 209 esemplari), specchi in
bronzo, lucerne, pedine in pasta vitrea, strigili
in ferro, pesi fittili, monete, ceramica a vernice
nera e comune, datano l’inizio della necropoli
tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., con
una frequentazione ininterrotta fino all’inizio
del I sec. a.C. La necropoli occidentale di
Aquinum è quindi il sepolcreto non della colonia ma del centro italico, civitas foederata di
Roma, ove gli abitanti del successivo municipium e poi della colonia, discendenti della
popolazione autoctona, continuano a seppellire in modo sporadico, in tombe presumibilmente di famiglia.
La tomba 6, baricentrica rispetto alla disposizione delle sepolture coeve, è una tomba a
camera ipogea costituita da un ambiente quadrato in blocchi isodomi di travertino, con
ingresso voltato, chiuso da due lastroni di travertino e piano pavimentale in terra.
La tomba, familiare, è l’unica in uso con continuità dal momento della sua costruzione (fine
III – inizi II sec. a.C.) fino all’ultima testimonianza di frequentazione nella prima età imperiale, con la successiva deposizione, in quattro
momenti distinti, di ben tredici individui.
Il primo gruppo (cinque inumati) intorno alla
metà del II sec. a.C. viene ridotto e rideposto
con gli oggetti di corredo (specchio e balsamari) in una fossa rettangolare scavata in cor-
rispondenza dell’ingresso. Nella camera vengono quindi deposti, nell’arco del II secolo
forse fino alla metà del secolo seguente, altri
sei individui con un ricco corredo, costituito da
ventotto balsamari, una coppia di strigili e
quattro astragali.
Nel susseguirsi delle inumazioni, è probabile
che si sia anche avviato il processo delle riduzioni dei resti e quindi delle rideposizioni nell’angolo sud-ovest della camera sepolcrale.
È questo il periodo in cui, presumibilmente,
viene introdotto il letto funerario, cui sembra
fosse associato un banchetto e forse anche il
cofanetto per oggetti di toletta, al quale sono
pertinenti elementi in osso e il medaglione
non pertinenti alla ricostruzione del letto
(Pracchia, Carcieri infra). Alla fine del I secolo a.C. risale l’unica incinerazione di tutta la
necropoli. All’esterno della camera sepolcrale
viene scavata la fossa dell’ustrinum, al cui
interno si allestisce la catasta di legna per la
pira funebre; il fuoco fu spento con aspersione dei liquidi delle libagioni. I resti combusti,
insieme a un balsamario piriforme, vennero
raccolti in una coppia di olle.
Nell’arco del secolo seguì un periodo di
abbandono, documentato dallo strato biancastro carbonatico, formatosi dalla reazione chimica dell’acqua e degli altri liquidi a contatto
della cenere, e dall’essiccazione e fessurazione dello stesso strato con formazione di mud
cracks superficiali. Agli inizi del I sec. d.C., infine, la tomba fu preparata per l’ultima sepoltura, quella dell’individuo di sesso femminile rinvenuto sul letto funerario, riducendo e rideponendo gli inumati e le olle cinerarie nell’angolo sud-ovest, insieme al loro corredo.
L’inumata, probabilmente coperta da una ricca
veste intessuta d’oro (ipotizzata per i filamenti d’oro nella terra vicino al corpo), era accompagnata da un corredo inquadrabile cronologicamente nell’ambito della prima età imperiale (una lucerna di età tiberiana, sei balsamari
piriformi, una moneta augustea, un bastoncino
in vetro a torciglione, un coltellino in ferro).
Tracce di un grande fuoco nell’area esterna a
livello superficiale sono forse da collegare ai
riti funebri di quest’ultima deposizione2
(Bellini 2007; Trigona 2007).
Dallo scavo al restauro
Il rito dell’inumazione ha consentito la conservazione quasi integrale degli elementi costitutivi del rivestimento in osso, e quindi il rinvenimento in giacitura primaria delle quattro
gambe, ancora infisse nel piano pavimentale
della tomba, e in giacitura di crollo delle sponde e dei fulcra. Le modalità di rinvenimento
hanno reso possibile un attento intervento di
recupero degli elementi decorativi, condotto di
concerto con i restauratori e con metodologie
volte all’acquisizione di ogni dato possibile per
la successiva ricostruzione, fin dalle prime fasi
di campo. Tale approccio metodologico è proseguito in laboratorio, mantenendo dei singoli
elementi e del loro contesto i riferimenti di giacitura di crollo, giungendo attraverso successive ipotesi, alla ricostruzione grafica del susseguirsi degli elementi decorativi soprattutto per
il telaio, alla ricomposizione finale sulla struttura di supporto, allo studio delle tecniche di
lavorazione (Bellini 2007b, Pracchia-Carcieri
infra, Montanelli-Carcieri infra).
Lectus auro ac purpura stratus
Il letto funerario, sicuramente l’oggetto più
importante rinvenuto nella necropoli, era
posto sul lato di fondo della tomba.
La struttura slanciata e la decorazione ad
altorilievo dei cilindri delle gambe e a bassorilievo dei fulcra consentono di ricondurre il
letto di Aquinum nell’ambito dei letti in osso
derivati da modelli in avorio di ambiente ellenistico, diffusi nell’area centro-italica tra il II
sec. a.C. e la prima metà del I sec. d.C., mentre il telaio sottile richiama piuttosto le forme
dei letti in osso derivati da modelli in bronzo.
Le gambe erano costituite da una struttura
lignea con anima in ferro e decorate da elementi in osso modulari; la parte figurativa in
altorilievo propone sul lato esterno figure femminili alate con il capo ornato da corone vegetali ed ali sovrastanti il fianco del cilindro, sul
lato interno erme con teste femminili e/o di
putti con acconciatura costituita da nodo di
capelli a fiocco o crocchia al di sopra della
fronte. I fulcra erano rivestiti, sulle due facce
laterali, da lastrine sagomate e decorate in
bassorilievo: nel culmen teste di cigno che
portano nel becco un fagotto, nel campo centrale centauri e/o centauresse accovacciati
con pisside in una mano e oggetto non identificato nell’altra, posta sulla testa in atto di
aspersione; nei medaglioni teste maschili di
profilo con serto vegetale intorno al collo.
Le sponde erano decorate da elementi convessi ricorrenti al centro, e da cornici laterali.
Il letto era probabilmente ricoperto da una
lamina d’oro (tracce di doratura a foglia sono
state trovate sulla capigliatura, sui panneggi di
una veste e su di un’ala), su un materiale sicuramente più povero dell’avorio dei modelli di
riferimento (ma forse dal forte valore simbolico), e come segno di lusso regale (Ghedini
infra).
I Misteri di Aquinum: Dioniso e Demetra,
la vite e il grano
La posizione geografica colloca Aquinum in
un importante nodo stradale, e quindi di contatto tra genti di culture diverse: gli Etruschi e
i Latini a nord; gli Aurunci, gli Opici, i Sanniti e
le colonie greche della Campania (Cuma,
Neapolis) a sud-ovest; gli Osci nelle varie articolazioni etniche a est e a sud-est.
Le prime divinità menzionate dai testi epigrafici rimandano a contatti con l’ambiente sabino (Flora Fusa, CIL X 5389), osco (Pupluna,
A.E. 1976, 34 successivamente assimilata a
Giunone A.E. 1973, 184), umbro (Karena, successivamente assimilata a Diana, A.E. 1978,
97, A.E. 1978, 99).
Ma i primi contatti con l’oriente, con le guerre
che portano Roma nelle regioni dell’Asia
Minore, favoriscono l’arrivo dei culti misterici e
dei riti di quelle lontane terre, rielaborati localmente e adattati alla sensibilità italica, in un
sincretismo religioso ove, alcune volte può
essere difficile individuare il culto e la divinità
originari3.
Dioniso-Bacco il dio liberatore dell’energia
vitale, colui che torna dall’oltretomba alla vita,
Demetra-Cerere e Kore-Persefone simboli di
morte e rinascita, di immortalità dell’anima, in
ambiente italico vengono associati in una
nuova triade: Cerere, Libero e Libera, con riferimento ai culti agrari della fertilità.
I Misteri di Eleusi diventano feste di primavera e delle stagioni. Dalle iscrizioni, conosciamo
ad Aquinum nel II sec. a.C. una sacerdotessa
pubblica di Libero (CIL X 5422), una sacerdotessa di Cerere (Giannetti 1969); su una
lastra di calcare rinvenuta nell’area extraurbana sono raffigurati i fasci di spighe sacri a
Cerere (Giannetti 1986); dall’area della selva
degli Aceti, ove l’iscrizione CIL X 5166 ricorda un luogo di culto di Venere, proviene una
lastra di terracotta in frammenti con danzatrice che incede fra tralci e viticci sullo sfondo di
un porticato ionico (Giannetti 1986).
A Iside Regina è dedicata, in età imperiale,
una base di statua (Giannetti 1986), mentre
due aquinati – Germanico e Leda – offrono
una tavoletta votiva Numini Isidis Aponi (CIL X
5387).
All’interno del circuito murario della città, e
quasi a ridosso delle mura, nei pressi della
porta occidentale, sorge un grande tempio su
alto podio. Scavi effettuati agli inizi del secolo
scorso nella stipe del tempio hanno portato al
rinvenimento di una notevolissima quantità di
materiale votivo in terracotta e di due teste
colossali femminili in marmo bianco, evidentemente pertinenti a due statue di culto. Le due
statue sono state interpretate (Cagiano De
Azevedo 1949) come le immagini di Giunone
e Minerva, e sulla base di questa ipotesi il
tempio identificato come il capitolium della
città. Ma fino ad allora l’edificio era stato identificato, per lunga tradizione, con il tempio di
Cerere Elvina. Da un luogo prossimo, tra il
tempio e le mura, provengono inoltre le già
ricordate testimonianze del culto di Iside.
Gli scavi condotti nell’Area di servizio autostradale Casilina Est hanno evidenziato, nella
zona a monte della necropoli, oltre alle tracce
delle lavorazioni agricole di età pretriumvirale,
l’utilizzo dell’area come cava di prestito per il
travertino e il successivo reinterro, funzionale
al recupero agricolo della zona nella nuova
organizzazione agraria coloniale, con scarichi
di materiale pertinente ad un ambito cronologico compreso tra il VII ed il IV sec. a.C., ascrivibili alla cultura della Valle del Liri, attribuito al
momento della scoperta ad abitato. Con lo
stesso materiale era stata riempita anche la
cavità della fornace funzionale alla necropoli
(Bellini 2007c). Lo studio degli ingenti reperti, confermando gli ambiti cronologici e cultu-
rali, ha suggerito, vista l’identificazione del
columen di un grande edificio e di parti delle
antefisse, di attribuire il materiale a uno scarico votivo (Lauria 2007).
È quindi possibile avanzare l’ipotesi che questo materiale, simile a quello della stipe del
non lontano tempio, abbia la stessa provenienza, e quindi sia stato utilizzato con scopi
rituali propiziatori per una riconsacrazione dei
campi, liberando al tempo stesso le favisse
più antiche del santuario – legittimamente a
mio avviso identificabile con quello di Cerere
– nel momento in cui, dopo il riassetto urbanistico della città e con l’avvento del principato,
sul luogo del santuario italico si impostò il
capitolium sigillo del nuovo corso politico,
espressione della triade romana (Giove,
Giunone, Minerva) vittoriosa su quella italica
(Cerere, Libero, Libera).
Ciò spiegherebbe la menzione oraziana di
Cerere come Helvina (Hor. Ep., L, 10, 25), in
quanto divenuta – nell’assetto augusteo –
culto gentilizio della gens italica degli Helvii
(Rizzello 1996).
Il letto di Aquinum
Allo stato attuale delle conoscenze il letto di
Aquinum non sembra rispondere a una moda, ma
a un preciso messaggio di appartenenza: all’aristocrazia italica, all’antico culto.
Lo studio iconologico dei soggetti rappresentati è ancora agli inizi. Si intuisce il riferimento
ai culti dionisiaci, orfici, isiaci, nell’eco dei cortei bacchici (le centauresse), negli accenni alle
stagioni (le figure alate), nelle teste di cigno (il
fagotto nel becco che potrebbe richiamare l’involucro che contiene il corpo smembrato di
Osiride), in un complesso sincretismo di iconografie e di simboli che presenta non poche difficoltà interpretative.
I volti maschili dei medaglioni, dai connotati
ben marcati, sembrerebbero invece ritratti di
famiglia.
È interessante anche rileggere la notizia del rinvenimento di frammenti combusti del rivestimento in osso di un letto funerario, nel corso di
lavori agricoli, in un terreno a settentrione dell’area urbana, in località S. Pietro Vetere, insieme
a materiali pertinenti a un’area funeraria a inumazione (a fossa, a cappuccina, ma anche in
tombe monumentali, vista la presenza di blocchi
di travertino e di lacerti di intonaco dipinto) con
presenze di almeno una incinerazione (quella
del letto funerario)4, datati genericamente al II
sec a.C. con attardamenti nel I sec. a.C.
Ma proprio il confronto con ciò che rimane
del letto combusto, sebbene ancora non
studiato né restaurato, evidenzia l’unicità
del letto della tomba 6 e del forte messaggio, forse di riaffermazione dell’identità
etnica, affidato ai suoi simboli.
Bibliografia: G.R. Bellini, 2001; G.R. Bellini, La necropoli occidentale di Aquinum…, 2007a; G.R. Bellini, Il restauro in Italia…, 2007b; G.R. Bellini, Lazio e Sabina 2005…,
2007c; A. Bottini, 2005;
M. Cagiano De Azevedo, 1949; F. Coarelli, 1996; A.
Giannetti, 1986; M. Lauria, 2007 (in corso di stampa); A.
Nicosia, 2006; M. Rizzello, 1996; S.L. Trigona, 2007; R.
Vargiu et alii, in Lazio e Sabina 2007 (in corso di stampa); L. Virno Bugno, M. Baronio..., 1971.
Il letto funerario in osso di cui si presenta il restauro è
stato rinvenuto nell’ambito dello scavo archeologico della
necropoli occidentale di Aquinum (Regione Lazio,
Provincia di Frosinone, Comune di Castrocielo), condotto nell’Area di servizio Casilina Est dell’Autostrada A1
Roma-Napoli finanziato come archeologia preventiva da
Autostrade per l’Italia S.p.A.
Il restauro (insieme allo studio antropologico, allo studio
dei corredi, alla ricostruzione 3D della necropoli, alla realizzazione di un GIS per la gestione informatizzata dei
dati) è stato condotto con finanziamento ARCUS.
I risultati raggiunti sono stati possibili per l’alta specializzazione della soc. LAND s.r.l. cui è stato affidato l’intero
intervento, per la disponibilità del titolare Dott. Lorenzo
Petrassi e per la professionalità e dedizione del dott.
Raffaele Leonardi direttore tecnico, del dott. Simon Luca
Trigona responsabile scientifico, degli operatori di scavo
Maurizio Forlino, Marcello Paliotta, Adriano Fargnoli,
Giuseppe Maimone, e di tutti gli specialisti che hanno
collaborato nelle varie fasi del lavoro. Un grazie sentito
all’arch. Antonia Pasqua Recchia che ha permesso la
prima presentazione del letto funerario nell’ambito di
Restaura – III Salone del Restauro dei Beni Culturali,
Venezia 2007, e alle dottoresse Anna Maria Reggiani e
Marina Sapelli che hanno colto nel rinvenimento di
Aquinum lo stimolo per portare all’attenzione del grande
pubblico un tema complesso e affascinante.
1 La forma del racconto è sembrata la più agevole per
esporre la complessità della tomba 6 e per cercare di far
chiarezza nella cronologia del letto funerario, oltre che
per una contestualizzazione del rinvenimento.
Aquinum è citata per la prima volta in Liv. XXVI, 9, in riferimento all’anno 211 a.C., ma è sicuramente di formazio-
ne più antica, almeno dopo la fine delle guerre sannitiche
nel 296 a.C. (batte moneta con legenda AQUINO o
ACUINO, a volte retrograda, tra la fine del IV e il III sec.
a.C.). Civitas foederata durante la guerra annibalica,
municipium popoloso dopo la guerra sociale (91-89 a.C.Cic. Phil., II, 41), già dotata di una cinta muraria e di edifici pubblici come il teatro e l’anfiteatro (Bellini 2001, A.E.
1988, 264 per il restauro del teatro in età augustea), è
colonia in età triumvirale, ancora ricordata dalle fonti –
tra la fine del I sec. a.C. ed il I sec. d.C. – come grande
città (Strabo, V, 3, 9; Silio italico, Puniche).
Uno dei fattori determinanti per la ricchezza di Aquinum
è indubbiamente la lavorazione della lana e la produzione di stoffe di porpora. Un’iscrizione databile alla fine dell’età repubblicana ricorda un negotiator purpurarius di
Piacenza che esportava stoffe locali in altri mercati
d’Italia, forse in primo luogo nella valle del Po. L’iscrizione
CIL X 5400 del I sec. a.C. su quattro vasche di travertino ricorda il fabbricante di porpora M. Baronio Sura
(Coarelli 1996; Virno Bugno 1971).
E Orazio, pochi anni dopo, parla di una importante produzione laniera e delle imitazioni di stoffe di porpora aquinati (Hor., Ep, L, 10, 26ss).
Il porto è attestato in età severiana (CIL X 5175) ma è
certamente più antico.
La gens Helvia, sicuramente presente a Fregellae, è probabilmente la proprietaria della villa, poi passata alla
famiglia di Giovenale, cui è pertinente un basamento in
opera poligonale databile al II sec. a.C. in loc. S. Pietro a
Campea (Nicosia 2006).
2 Gli studi in corso suggerirebbero la ridefinizione dell’ambito cronologico dell’impianto della necropoli, proposta nel presente contributo, alla fine del III – inizi del II
sec. a.C. rimanendo immutata invece la cronologia relativa. È tuttavia prudente attendere la conclusione dello
studio tipologico dei balsamari, degli strigili, degli specchi
e degli altri reperti, anche alla luce delle associazioni tra
gli oggetti. Per le caratteristiche antropologiche riferibili
ad un ceppo italico piuttosto che romano degli inumati v.
Vargiu et alii 2007.
Le poche monete rinvenute (undici in totale) rimandano
come data di emissione alla metà del II sec. a.C. e alla
zecca di Roma, tranne un asse della fine del III sec. a.C.
di zecca dell’Italia meridionale, le due monete augustee
della tomba 6 (Gn.Piso Frugi magistrato monetale), e il
bronzo dimezzato di zecca italiana del 38 a.C. dalla terra
del riempimento che copre e livella l’ustrinum (lo studio
numismatico è stato condotto dalla dottoressa Serafina
Pennestrì).
3 Per i culti misterici v. Bottini 2005.
4 Giannetti (Giannetti 1986) attribuisce a questa incinerazione la dedica di Vetreia Teti (CIL X 5469), testimonianza in versi dei rituali dell’incinerazione.
testo da catalogo
Elena Francesca Ghedini
I LETTI IN AVORIO E ROSSO:
TIPOLOGIA E APPARATO DECORATIVO
Lo straordinario rinvenimento, in una tomba a
camera di Aquinum, di un letto in osso, conservato in ogni sua parte, apporta nuovi
importanti elementi alla conoscenza della
tipologia e della decorazione delle klinai funerarie, che si diffondono in ambito italico a partire dalla fine del III – inizi del II secolo a.C. e
che perdurano fino alla prima età imperiale
anche in ambito provinciale.
Le prime pubblicazioni relative a tali manufatti possono essere fatte risalire agli anni venti
del Novecento e sono riferibili a ritrovamenti
transalpini (Eckinger 1929), ma è intorno agli
anni ottanta che essi furono oggetto di saggi
di analisi e di sintesi che costituiscono ancor
oggi punto di riferimento obbligato per chi
voglia affrontarne lo studio: all’importante
contributo di Nicholls, dedicato ai letti di
Cambridge (Nicholls 1979), ha fatto seguito
l’ampio e documentato studio di Cesare Letta
che, partendo dalle testimonianze di Amplero,
sviscera le problematiche di carattere tipologico e tecnico, fornendo anche un prezioso
catalogo di tutte le attestazioni allora note
(Letta 1984). Negli anni a seguire si moltiplicarono le pubblicazioni, dedicate non solo ai
nuovi rinvenimenti, ma anche a quei manufatti da tempo conservati nei magazzini, magari
in stato frammentario, oppure già musealizzati, ma non ancora analizzati in modo esaustivo.
Nell’ambito di questa produzione va segnalato
un nuovo approccio che tiene conto anche dei
complessi apparati decorativi, per cui si sono
talvolta avanzate caute proposte di letture iconografico-iconologiche, finalizzate a interpretare il messaggio evocato dalle immagini:
penso agli ottimi saggi della Talamo sul letto
dell’Esquilino (Talamo 1987-1988) e della
Bianchi sui letti di Cremona (Bianchi 2000),
fino al recentissimo contributo che Vincenzo
d’Ercole ha dedicato alle testimonianze di
Fossa (d’Ercole, Martellone 2005, con gli
aggiornamenti bibliografici che qui non è possibile citare per esteso).
Tuttavia, proprio scorrendo la bibliografia specifica, emerge con evidenza che, se i problemi
relativi agli aspetti strutturali e funzionali di tali
manufatti sono stati sufficientemente chiariti,
molte sono le domande ancora inevase, che
riguardano per esempio l’origine delle maestranze che hanno diffuso tale tecnica e le
modalità con cui esse si sono rapportate
all’artigianato locale. Lungi dall’essere risolte
sono anche le problematiche relative al repertorio, che registra, accanto a soggetti banali o
francamente decorativi, iconografie ricercate
e originali, che non possono essere semplicemente ascritte alla fantasia degli artigiani, talvolta modesti, che eseguirono l’opera, ma
debbono essere indagate in una prospettiva
più ampia che tenga conto di un quadro di
riferimento socio-culturale ancora tutto da
definire; infatti, se pure appare evidente che
coloro che affrontarono il loro ultimo viaggio
su tali lussuose klinai ricoprirono un ruolo elevato nella società coeva, non si può però ignorare che ci troviamo di fronte a una committenza diversamente connotata sul piano sia
economico, come si può dedurre dalla differenza del prezzo dell’avorio rispetto a quello
dell’osso e dalla disparità qualitativa dei
manufatti realizzati con l’uno o l’altro materiale, sia socio-culturale, come risulta dal fatto
che i letti funerari furono utilizzati nell’ambito
di rituali diversi, come corredo del defunto in
contesti di inumazione, ma anche come cataletto nel corso della cerimonia dell’incinerazione. D’altronde, che tali manufatti per la ricchezza del loro decoro costituissero un elemento importante nella panoplia del defunto è
confermato dalle fonti letterarie e iconografiche (Toynbee 1971, p. 43 s.): fra le prime pos-
siamo citare la descrizione di Svetonio dei
funerali di Cesare (Caes. LXXXIV, 1), in cui è
fatta espressa menzione di un lectus eburneus auro ac purpura stratus (un letto d’avorio
coperto d’oro e di porpora), a cui due uomini
armati di spada diedero fuoco con fiaccole
accese. Una situazione analoga si ripetè in
occasione della cerimonia funebre di
Augusto, come ci conferma Dione Cassio, che
ricorda il letto fatto d’avorio e d’oro (kline elephantos kai chrysou pepoiemene), ornato di
coperte di porpora e d’oro (Dio LXI 34, 1-4),
su cui era stata posta un’immagine di cera
dell’imperatore abbigliato in abito trionfale. Ma
il costume doveva essere largamente diffuso
anche in contesto privato, se Properzio (El. II,
13, 17-21) si sente in dovere di esplicitare
che ai suoi funerali non vuole né una lunga
processione (del tipo di quella riprodotta nel
famoso rilievo di Amiternum) (fig. 2), né il
suono lamentoso della tromba, né un letto con
spalliera d’avorio (fulcro eburneo).
Il ritrovamento di Aquinum, che si giova di una
completa documentazione relativa al contesto, ottenuta grazie a uno scavo rigoroso,
potrebbe essere dunque di stimolo per riprendere tutte le problematiche riguardanti tali
manufatti, attraverso un approccio sistematico, che metta in serie, utilizzando anche l’ottimo strumento informatico, la documentazione
pervenutaci, spesso dispari e dispersa, al fine
di poter da essa trarre informazioni utili a
meglio comprendere il significato che i letti
funerari ebbero per la società che li utilizzò.
Gli antecedenti
Che nel mondo greco orientale l’uso dei mobili in materiale prezioso (in bronzo con intarsi in
oro o argento oppure in marmo, avorio o altri
costosi materiali) fosse ampiamente diffuso, è
confermato non solo dalle testimonianze letterarie relative al lusso sfrenato delle corti
ellenistiche, ma anche dai recenti, straordinari
ritrovamenti di Vergina, che hanno restituito
troni in marmo, riccamente dipinti, e letti in
pietra o legni pregiati decorati con pitture o
con applicazioni di statuette o rilievi in avorio.
Fra tutte spicca la tomba nota in letteratura
come Tomba di Filippo: al suo interno sono
stati rinvenuti una serie di piccoli ritratti in avo-
rio a tutto tondo (i membri della famiglia reale
macedone?) e delicati rilievi raffiguranti personaggi dionisiaci e apollinei, che sono stati
ritenuti pertinenti alla decorazione di un letto
(Andronikos 1993, p. 123 ss.; da ultimo
Sismanides 1997, pp. 134-153). E il ritrovamento non resta isolato, come conferma, per
esempio, il raffinatissimo gruppo dalla Tomba
del Principe, composto da un giovane Pan che
suona, seguito da un vecchio seminudo, barbato e coronato, che regge una fiaccola e si
appoggia a un’elegante fanciulla con chitone
altocinto (Andronikos 1993, fig. 169).
La documentazione macedone risulta di grande importanza per la definizione dell’origine
della tradizione di usare tali ricchi manufatti in
contesto funerario, perché, confermando che
la moda dei letti decorati con applicazioni
d’avorio incontrò il gradimento della corte,
consente anche di ipotizzare che da lì si sia
poi ampiamente diffusa anche fra i successori di Alessandro.
La documentazione italica e provinciale:
tipologia, distribuzione, cronologia
A partire dalla fine del III secolo a.C., ma con
maggior incisività dagli inizi del II fino alla
prima età imperiale, l’uso dei letti in avorio, e
dei loro succedanei più poveri in osso, appare
attestato in area centro italica (le testimonianze più antiche sembrano venire da Ostia e da
Ancona) (Letta 1984), ma con rinvenimenti
anche dall’Italia meridionale e dalle isole, dalla
Cisalpina e da alcune province occidentali;
oltralpe spiccano le testimonianze della
Narbonense (concentrate lungo il Rodano) e
della Germania Superior e Inferior, dove gli
esemplari più tardi raggiungono anche la fine
del I sec. d.C. (per la distribuzione delle attestazioni v. Bianchi 2000, p. 125 ss., figg. 3233). Va detto però che la documentazione
pervenutaci fa riferimento a una tipologia ben
diversa dagli antecedenti macedoni, sia per la
forma sia per il materiale utilizzato (cfr. Letta
1984; sui letti in generale v. da ultimo De
Carolis 2007, p. 69 ss.): i letti rinvenuti in contesti centro italici e provinciali sono caratterizzati da telaio ligneo di vario spessore (su cui
erano applicate le decorazioni in osso), retto
da gambe che, anziché a tavola lavorata a
giorno come quelli macedoni, sono in genere
costituite da verghe di ferro su cui era infilata
una sequenza di elementi di diversa forma
(puntali, anelli, campane, cilindri, rocchetti,
calici eccetera), in analogia di quanto documentato in alcuni mobili della prima età ellenistica rinvenuti in ambito orientale ad Ai
Khanoum e Nisa (Bernard 1970). Essi erano
poi caratterizzati dalla presenza di una spalliera (il fulcrum), talvolta reduplicata da testa e
da piedi (amphikephalos), costituita in genere
da un sostegno di legno sagomato a S, rivestito poi da elementi d’avorio e d’osso e foderato di pelle nella parte destinata a fungere da
appoggio (per i fulcra, v. Faust 1989; per la
classificazione tipologica v. anche Bianchi
2000, p. 95 ss., con precedente bibl.).
L’apparato decorativo
Il ricco e diversificato repertorio figurato a cui
si ispirarono i decoratori dei letti, non è mai
stato indagato nella sua totalità; credo invece
che un’analisi tematica, seguita poi da un’attenta lettura iconografico-iconologica (che
non è certo possibile fare in questa sede)
potrebbe suggerire considerazioni interessanti anche in merito alla provenienza degli artigiani.
La decorazione si disponeva sia sulle spalliere sia sui supporti orizzontali e sulle gambe; i
fulcra presentavano in genere, nella parte
superiore, teste di animale (per lo più di equino, di felino oppure di uccello acquatico eccetera), mentre in quella inferiore protomi
umane o divine; i supporti orizzontali del telaio presentavano pannelli con girali vegetali o
palmette, talvolta completati da medaglioni
con teste di profilo e/o piccoli riquadri figurati; più articolata e diversificata era la decorazione delle gambe, in cui elementi lisci si alternavano ad altri ricoperti da raffigurazioni
anche a carattere narrativo. Scorrendo la
documentazione pervenutaci (v. Letta 1984;
Bianchi 2000, p. 95 ss., a cui vanno aggiunti i
rinvenimenti più recenti), la prima caratteristica che mi sembra si possa sottolineare riguarda la varietà del repertorio: anche le tematiche
più ripetute (penso ai satiri e alle menadi, agli
eroti, alle figure femminili con grandi ali, alle
teste arcaizzanti, alle teste di fronte o di profi-
lo eccetera) (vedi in particolare il saggio di
Bellini in questo catalogo) presentano sempre
una certa originalità nell’impaginazione o nelle
associazioni; ciò, se da un lato depone contro
una pratica artigianale ripetitiva (fenomeno
più che comprensibile dal momento che questo tipo di materiale rende difficile la realizzazione seriale), dall’altro sembra suggerire che
nella scelta delle tematiche fosse tutt’altro
che ininfluente la volontà del committente. E a
conferma di ciò vorrei ora soffermarmi su
alcuni esempi che mi sembrano particolarmente significativi.
Uno dei soggetti che ha maggiormente attratto la mia attenzione è l’Apollo con tripode che
ornava il cilindro della gamba del letto della
tomba IV di Aielli (Faita 1989): la raffigurazione, originale e fortemente connotata in senso
ideologico, comprende il dio di Delfi, stante a
gambe divaricate sopra l’omphalos, con arco
nella mano sinistra, ed Ercole, pure stante a
gambe divaricate, con clava nella mano sinistra (fig. 3); fra i due dei è l’oggetto della contesa, il tripode, che entrambi afferrano con
piglio deciso. Ma, se l’identificazione del soggetto non crea soverchi problemi (si tratta
all’evidenza della messa in scena della mitica
lotta che contrappose Eracle ad Apollo per il
possesso del simbolo oracolare del santuario
delfico), la sua presenza nel contesto in
esame merita, invece, una qualche riflessione.
L’originalità della scelta appare evidente, dal
momento che il tema, che godette di grande
fortuna nel repertorio arcaico greco (vascolare soprattutto, ma anche monumentale, come
illustrano il famosissimo frontone del thesaurus dei Sifni e quello perduto, ma descritto da
Pausania, X, 13, 7, dei Focèi) sembra precocemente cadere in oblio, per ricomparire poi
in ambito centro italico su alcuni rilievi della
metà circa del I sec. a.C., che precedono dunque la grande affermazione del soggetto, collocabile agli inizi dell’età imperiale (cfr. Faita
1989, p. 300 s.). Sono le terrecotte del tempio di Apollo sul Palatino che ce ne forniscono testimonianza: e la presenza di questo soggetto in un contesto fortemente connotato in
chiave ideologica ne definisce l’ambito
semantico in relazione allo scontro fra
Antonio e Ottaviano, simboleggiati dalle due
divinità con le quali i due antagonisti terreni si
identificavano (Strazzulla 1990, p. 17 ss.),
decretandone, di conseguenza, la fortuna ma
anche la precoce fine. Certo, l’iconografia
scelta dal coroplasta augusteo, che punta fortemente all’equilibrio fra le due figure che si
fronteggiano levando il simbolo oracolare,
appare ben diversa da quella utilizzata nel
letto di Aielli, dove sembra avere la meglio
Ercole, verso cui il tripode è inclinato; ben
diverso è anche lo stile, raffinato e severizzante nelle terrecotte dal tempio palatino, più
rozzo e immediato nel cilindro d’osso, opera di
un artigiano piuttosto modesto. Tuttavia non
credo si possa sfuggire all’ipotesi di collegare
questo soggetto così particolare (il cui gradimento appare confermato dalla sua presenza
in un altro cilindro d’osso pertinente ad analogo manufatto rinvenuto in un’area prossima e
ora conservato a Berlino: Faita 1989, p. 301),
all’intervento di una committenza di alto livello, che potrebbe averlo scelto proprio per le
sue forti implicazioni simboliche. Quanto al
significato che a esso era attribuito, resta da
chiedersi se dobbiamo ricollegarlo alla propaganda augustea, e in tal caso leggerlo in chiave di spontanea imitazione del repertorio
imperiale, fenomeno ben noto in periodo
augusteo e acutamente indagato da Paul
Zanker (1989), oppure non si possa ipotizzare una più sottile lettura in chiave escatologica, dal momento che l’insistita presenza di
Ercole (la cui protome ornava anche i medaglioni del fulcrum) sembra suggerire che si sia
inteso recuperare la contrapposizione fra
l’Ercole buono (dei fulcra) e l’“altro Ercole” (del
cilindro), a cui un filone della tradizione letteraria aveva imputato la responsabilità del ratto
(Faita 1989).
Un altro soggetto che merita un approfondimento, proprio nell’ottica di sottolineare la
varietà delle scelte e l’eterogeneità dei modelli scelti dalla committenza di questi lussuosi
mobili, è il personaggio barbato, pertinente
alla decorazione del fulcrum di un letto da
Fossa (d’Ercole, Martellone 2005) (fig. 1).
La problematicità di tale soggetto, per cui non
mi sembra sia stata, fino a oggi, proposta
un’interpretazione sicura (l’identificazione con
Ercole è probabilmente indotta dalla presenza
della protome leonina), nasce soprattutto
dalla mancanza di confronti probanti; e tuttavia, a ben guardare, ci sono elementi che
sembrano indirizzarci verso una possibile
identificazione: l’aspetto selvaggio, che si
coglie sotto l’ordinata acconciatura arcaizzante, la posizione particolare, con una gamba
tesa e l’altra piegata, a cui si aggiunge il fatto
che il piede nascosto sembra essere calzato,
sembrano indirizzarci verso un’identificazione
con il re trace Licurgo, personaggio assai
complesso che svolge un ruolo importante
nella mitologia dionisiaca, in quanto esempio
del potere punitivo del dio. Scorrendo la tradizione iconografica a esso relativa, emerge
infatti che, pur essendo la maggior parte delle
testimonianze concentrata in due momenti
apparentemente non contigui (la tarda classicità greca e l’età imperiale romana: Farnoux
1992, p. 318), esse presentano forti analogie
con la piccola scultura da Fossa. D’altronde,
non desta meraviglia il ritrovare Licurgo in un
contesto funerario, dal momento che i particolari della posizione e del monosandalismo, su
cui si è spesso soffermato G.L. Grassigli
(1995), possono essere intesi come indicatori di un cambiamento di condizione: ecco dunque che il feroce re, condannato alla pazzia da
Dioniso, diventa il simbolo di un passaggio di
stato che ben si accorda con la destinazione
del manufatto.
Ad ambito dionisiaco ci riporta anche
l’originale decorazione del letto dell’Esquilino,
accuratamente indagato da E. Talamo (19871988): sui cilindri delle gambe troviamo delicate fanciulle che tengono fra le braccia un
neonato, in cui, a ragione, la studiosa ha riconosciuto Dioniso accudito dalle ninfe di Nisa
(vedi saggio di Talamo in questo catalogo); il
soggetto sembra affermarsi nelle corti ellenistiche, come risulta dalla descrizione di
Ateneo di Naucrati della famosa processione
tolemaica (su cui Rice 1983) e da alcuni
manufatti, quali uno specchio in bronzo da
una tomba di Philippopolis (Plovdiv) e un alabastron d’argento da Palaiokastro (Talamo
1987-1988, figg. 46, 47). I raffronti addotti,
oltre a confermare la molteplicità di fonti a cui
attingevano gli artigiani che creavano questi
eleganti manufatti, ci riportano, significativa-
mente, verso l’ambito macedone e tessalo,
dove le tematiche dionisiache, rilanciate dalla
propaganda di Alessandro, risultano ben attestate. I tre esempi citati illustrano bene la
varietà del repertorio, che recupera soggetti
che appartengono a una tradizione arcaica (la
lotta per il tripode), classica (Licurgo) o ellenistica (infanzia di Dioniso), mediati verisimilmente da ambito greco continentale e/o
greco orientale. E questa considerazione (unitamente a quella sopra espressa relativa alla
tipologia delle gambe) ci induce a ripensare al
problema delle direttrici attraverso cui tale
moda, che è spesso ricondotta al mondo alessandrino (ma più per una posizione di comodo che per un reale approfondimento), sia
giunta e si sia radicata in Italia.
Una moda venuta da lontano
Che alla radice di questa tradizione ci siano
artigiani fatti venire dall’esterno è fuori di dubbio; altrettanto plausibile appare l’ipotesi che a
queste maestranze itineranti si siano presto
affiancati artigiani locali meno abili che imitano, talvolta anche innovando, i prodotti di
maggior qualità: ne abbiamo conferma dal
fatto che la produzione presenta, come d’altronde abbiamo sopra sottolineato, una grande disparità sul piano qualitativo. Ma tale considerazione rilancia la primitiva domanda: da
dove arrivarono i primi artigiani? Qualche
spunto per una possibile risposta sembra
venire se raffrontiamo le suggestioni emerse
dal cursorio esame di alcune iconografie con
il quadro storico relativo ai secoli dell’affermazione della moda, ma soprattutto alla fase
della sua introduzione.
Gli inizi del II sec. a.C., epoca a cui sono fatte
comunemente risalire le prime attestazioni di
letti in osso, fu un momento cruciale per il
mondo romano, in cui si susseguirono eventi
che mutarono non solo il panorama politico
mediterraneo, ma anche la società a cui
appartenevano i conquistatori: le date e i nomi
cardine di questa “rivoluzione” sono il
197/196 a.C. (vittoria di Tito Quinzio
Flaminino su Filippo di Macedonia e concessione della libertà alle città greche) e
189/187 (vittoria di Scipione Asiageno su
Antioco III e pace di Apamea; vittoria di Manlio
Vulsone sui Galati d’Asia). Nulla fu come
prima dopo questi avvenimenti che segnano
l’intensificarsi dei rapporti fra Roma e il
mondo della grecità ellenistica, continentale e
orientale, la cui conseguenza, percepita anche
dai contemporanei, fu quel fenomeno dell’ellenizzazione dei costumi contro cui tuonarono
invano i rigidi custodi della tradizione.
In questo quadro politico i rapporti con il
mondo tolemaico furono senz’altro più marginali, soprattutto sotto l’aspetto dell’“importazione” di quegli artisti e artigiani che sciameranno invece verso Roma dopo la sconfitta
dell’ultima regina d’Egitto; naturalmente, non
si esclude qualche occasionale presenza nella
capitale prima della caduta del regno tolemaico (v. per esempio l’aneddoto riportato da
Valerio Massimo: V, 1,1), ma il quadro di riferimento, tracciato con grande precisione da F.
Coarelli (1996), mostra che nella prima metà
del II sec. a.C. c’era nell’urbe un deciso predominio della cultura di tradizione greca e asiatica, non a caso i medesimi ambiti verso cui ci
ha portato anche l’analisi iconografica dei
nostri tre soggetti.
Se dunque è vero che nel corso della prima
metà del II sec. a.C. furono soprattutto le maestranze già al servizio dei sovrani macedoni e
siriaci ad arrivare in massa, come sfuggire
all’ipotesi che la moda dei letti d’avorio e d’osso, espressione di quella luxuria asiatica di cui
ci parla Plinio (N.H. XXXIII, 148), sia pervenuta al mondo italico anzitutto per il tramite della
capitale, ma poi anche grazie ai contatti con
l’altra sponda dell’Adriatico, che con il mondo
delle aristocrazie italiche aveva antichi e consolidati rapporti?
Queste poche considerazioni non bastano
certo per dare confini netti a un problema che
è lungi dal poter essere considerato risolto, e
sarà dunque necessario in futuro rivedere l’intera problematica, analizzandola per ambiti
topografici e cronologici: non è escluso infatti
che nel corso dei più di due secoli in cui la tradizione dell’uso funerario dei letti d’osso è
attestata, siano mutati i referenti e i modelli e
anche Alessandria abbia potuto svolgere un
ruolo importante.
Per un’interpretazione del letto
di Aquinum: spunti di riflessione
A conclusione di questa breve nota mi sembra
doverosa una breve riflessione sullo straordinario rinvenimento di Aquinum, che per l’ottimo stato di conservazione in cui ci è giunto
bene illustra la vitalità dell’artigianato locale,
pronto ad assimilare e a rielaborare i molteplici spunti che provenivano dall’esterno, come
dimostra la ricchezza della decorazione su cui
vorrei ora brevemente soffermarmi.
Per quanto riguarda l’iconografia, colpisce
anzitutto la compresenza di elementi tradizionali con altri, invece, assolutamente originali:
se consideriamo per esempio le teste di cigno
che costituiscono la terminazione superiore
del fulcrum, possiamo osservare che esse, pur
trovando ampi raffronti nel repertorio dei letti
funerari, presentano una significativa variatio
per la presenza del lembo di stoffa che l’uccello scosta con il becco, nell’atto, forse, di
svelare la scena che si svolge in basso.
Analogamente, le figure femminili alate che
ornano le gambe, pur risultando ben documentate anche in altri manufatti, sono qui
caratterizzate dai serti fra i capelli e dagli attributi retti nella mano destra. Del tutto originali
sono le Centauresse inginocchiate che, se da
un lato evocano il mondo dionisiaco, dall’altro
si connotano più precisamente in relazione
alla cerimonialità del sacrificio, grazie alla presenza della pisside. Non sembrano infine trovare confronto nel repertorio più tradizionale
le quattro teste giovanili di profilo, poste nei
medaglioni che costituiscono la parte terminale inferiore del fulcrum: esse infatti risultano caratterizzate dalle corpose collane di fiori
(rese peraltro in modo assai schematico), che
sembrano alludere a momenti del culto e/o
del rito. Se poi passiamo all’analisi stilistica,
notiamo un forte divario qualitativo: da un lato
ci sono raffigurazioni di grande qualità, come
per esempio le teste di cigno, rese con grande acribia e forte impianto naturalistico, che si
estende all’accurata trattazione del piumaggio, o le figure alate, che sembrano far riferimento a modelli attici della fine del V-IV sec.
a.C., dall’altro realizzazioni decisamente modeste, come le centauresse, in cui la sproporzione del corpo e la goffaggine della posizione
mostrano con evidenza che l’artigiano si è
mosso senza avere riferimenti iconografici
codificati.
Non meno articolato e complesso appare il
programma decorativo, giocato fra riferimenti
cultuali e allusioni simboliche, forse in chiave
funeraria: le figure femminili alate infatti, a un
primo e immediato livello di lettura possono
evocare il trasporto dell’anima del defunto (o
della defunta), mentre le erme, recuperando il
loro originario significato di elemento di confine, starebbero a simboleggiare il passaggio
fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.
Ma si tratta, all’evidenza, di nulla più che suggestioni, che dovranno essere accuratamente
verificate attraverso un’attenta analisi che
tenga conto anche del contesto sociale per
cui il manufatto è stato creato, dal momento
che, nel realizzare la complessa decorazione,
l’artigiano è stato fortemente condizionato
dalla volontà del committente.
Bibliografia: M. Andronikos, 1993; P. Bernard, 1970; Ch.
Bianchi, 2000; F. Coarelli, 1996; E. De Carolis, 2007; V.
d’Ercole, A. Martellone, 2005; T. Eckinger, 1929; M. Faita,
1989; A. Farnoux, 1992; S. Faust, 1989; G.L. Grassigli,
1995; C. Letta, 1984; R.V. Nicholls, 1979; E.E. Rice, 1983;
K. Sismanides, 1997; M.J. Strazzulla, 1990; E. Talamo,
1987-1988; J.M.C. Toynbee, 1971; P. Zanker, 1989.
scheda catalogo
www.electaweb.com
TRA LUCE E TENEBRE
LETTI FUNERARI IN OSSO DA LAZIO E ABRUZZO
Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo
24 aprile – 2 novembre 2008
Catalogo
Formato
Pagine
Illustrazioni
Prezzo
Electa
A cura di
Marina Sapelli Ragni
17x24 cm
128
50
euro 18
Sommario
Pag. 11
Introduzione
Marina Sapelli Ragni
Pag. 15
I letti in avorio e osso: tipologia e apparato decorativo
Elena Francesca Ghedini
Pag 26
Archeologia medioitalica. Il senso di una mostra fra Lazio e Abruzzo
Anna Maria Reggiani
Pag 39
Un nuovo rinvenimento da Aquinum: il letto in osso della tomba 6
Giovanna Rita Bellini
Pag. 49
Elementi in osso dalla tomba 6 della necropoli di Aquinum.
Dal contesto alla ricostruzione
Stefano Pracchia, Mara Carcieri
Pag. 59
Letti funerari in osso dall’Abruzzo alla luce delle ultime acquisizioni.
Simboli delle aristocrazie italiche
Vincenzo d’Ercole, Alberta Martellone
Pag. 69
Un letto funerario da una tomba dell’Esquilino
Emilia Talamo
Pag. 74
Tracce di lavorazione sugli elementi in osso della tomba 6 di Aquinum
Mara Carcieri, Enrico Montanelli
Pag. 81
Sol me rapuit. Fantasmi di antenati, immagini del sentire e dell’essere,
icone del ricordo: opere di Umberto Passeretti
pag. 97
Catalogo
pag. 121
Bibliografia
Fly UP