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Tra luce e tenebre Letti funerari in osso da Lazio e
indice Tra luce e tenebre Letti funerari in osso da Lazio e Abruzzo → Comunicato stampa e informazioni tecniche → Colophon → Testo di Stefano De Caro → Testo Arcus - società di arte cultura e spettacolo → Testo da catalogo - Marina Sapelli Ragni → Testo da catalogo - Giovanna Rita Bellini → Testo da catalogo - Elena Francesca Ghedini → Scheda catalogo comunicato stampa Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio. TRA LUCE E TENEBRE LETTI FUNERARI IN OSSO DA LAZIO E ABRUZZO Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo 24 aprile – 2 novembre 2008 Nelle sale dell’Antiquarium del Canopo di Villa Adriana a Tivoli la Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio presenta in anteprima la ricostruzione dell’eccezionale letto funerario in osso scoperto ad Aquinum (comune di Castrocielo, in provincia di Frosinone). Il letto è stato trovato nel 2005 in una necropoli che contava ben settantaquattro tombe nell’ambito di uno scavo di archeologia preventiva, finanziato da Autostrade per l’Italia S.p.A., nell’area di servizio Casilina Est dell’Autostrada Roma – Napoli. Ad affiorare per prima dalla terra è stata la gamba del letto, ancora infissa, con la sua anima in ferro rivestita da elementi in osso lavorato. Il letto era probabilmente ricoperto da una lamina d’oro, poiché sono state individuate tracce di doratura a foglia sulla capigliatura, sui panneggi di una veste e su di un’ala. I pezzi in osso raffigurano simbologie misteriche e figure del mito. La straordinaria scoperta ha rappresentato uno stimolo per portare all’attenzione del vasto pubblico che visita Villa Adriana un tema di grande interesse, eppure poco noto: l’uso dei letti funerari con decorazioni in osso nelle cerimonie di sepoltura, collocabili lungo un arco cronologico tra la fine del III sec. a.C. ed il I sec. d.C.. Questi letti vedono il loro massimo centro di diffusione, e forse di produzione, in quel territorio dell’Italia centrale coincidente con le attuali regioni di Lazio e Abruzzo, ed anche in parte dell’Umbria e delle Marche. In mostra, quindi, sono presentati altri tre esemplari ricostruiti di alta qualità: un letto ritrovato a Roma, sul colle Esquilino (conservato alla Centrale Montemartini), e due provenienti dall’Abruzzo (rispettivamente da Bazzano e Fossa, custoditi presso il Museo delle Paludi di L’Aquila). Il letto in osso di Aquinum, è databile tra il I e il II a.C. La ricostruzione è stata seguita da Giovanna Rita Bellini, che ha diretto gli scavi per conto della Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio. Esempi sporadici ma similari, purtroppo raramente documentati da più che qualche frammento spesso anche combusto per via del rito di cremazione che talora riguarda sia corpo del defunto sia letto, si trovano in altre parti d’Italia, dalla stessa area laziale alla Cisalpina, fino alla Germania, con una distribuzione cronologica che, alla luce delle attuali conoscenze, sembra concentrarsi nell’ambito del II sec. a.C. e della prima parte del I sec. a.C., fino a spingersi in età tardo repubblicana e, forse, nel I sec. d.C.. In mostra vengono esposti significativi frammenti di altri rinvenimenti sia del Lazio (Sezze, Ostia, Marino), sia dell’Abruzzo che nel loro insieme documentano l’alta qualità esecutiva e la ricchezza dei temi iconografici, peraltro in genere facilmente riconducibili al repertorio dionisiaco, allusivo a credenze di rinascita dei defunti. Ai letti si aggiungono i ricchi corredi trovati nelle tombe, costituiti da specchi, balsamari, strigili, lucerne, monete e ceramica. La mostra inquadra la nascita e lo sviluppo di questo genere di manufatti, che derivano il loro modello dai lussuosi letti lavorati in avorio trovati nelle tombe regali macedoni e che, traducendo in materiale di uso comune e poco pregio quale l’osso le valenze estetiche dei modelli ellenistici, costituiscono, comunque, per i committenti italici un modo di rappresentare il proprio gusto e la propria appartenenza alla élite locale. Altri contributi specifici nell’ambito del catalogo, pubblicato da Electa, sono dedicati alle problematiche di lavorazione dell’osso ed alle difficoltà di studio della ricomposizione dei manufatti dei quali si è persa, nelle sepolture, la struttura portante e molti dettagli, oltre alle problematiche rituali, sociali e storiche di questa pratica di sepoltura. Nell’esposizione i reperti antichi sono affiancati dalle opere pittoriche di Umberto Passeretti, artista tiburtino cresciuto nel rapporto costante con questo luogo ricco di suggestioni, che sempre ha dato ispirazione all’arte. Alla Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, che ha offerto questo spazio d’eccezione qual è Villa Adriana, è sembrato che le sue figure, evocative di un linguaggio formale della tradizione artistica ellenisticoromana, di cui anche i reperti funerari qui presentati costituiscono documento significativo e ricco di valenze cultuali e mitiche, ben dialoghino con le opere dell’antico e con la villa stessa. informazioni tecniche mostra Tra luce e tenebre Letti funerari in osso da Lazio e Abruzzo curatela Marina Sapelli Ragni soprintendente per i beni archeologici del Lazio responsabili scientifici Benedetta Adembri e Giovanna Rita Bellini catalogo Electa luogo Antiquarium del Canopo Tivoli, Villa Adriana Via di Villa Adriana 204 durata mostra 24 aprile – 2 novembre 2008 come arrivare Il sito è raggiungibile con i mezzi pubblici: da Roma con Metro B fermata Ponte Mammolo e bus Co.Tral direzione Via Prenestina e fermata a circa 300 m. dal sito, oppure bus Co.Tral direzione Via Tiburtina e fermata a circa 1 km dal sito, oppure bus Co.Tral direzione Tivoli/autostrada A24 e fermata a circa 1 km dal sito da Roma con treno FS e fermata Stazione di Tivoli e bus linea CAT numero 4 e fermata a circa 300 m dal sito informazioni 06 39967900 www.pierreci.it orari tutti i giorni dalle 9,00 a un’ora prima del tramonto ufficio stampa Electa Gabriella Gatto tel. +39 06 42029206 cell. 3405575340 [email protected] biglietti 10 euro intero 6,75 euro ridotto Enrica Steffenini - Annalisa Inzana tel. +39 02 21563433/250 [email protected]/[email protected] colophon Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio. TRA LUCE E TENEBRE LETTI FUNERARI IN OSSO DA LAZIO E ABRUZZO Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo 24 aprile – 2 novembre 2008 Progetto scientifico e coordinamento Marina Sapelli Ragni Responsabili scientifici Benedetta Adembri Giovanna Rita Bellini Comitato scientifico Marina Sapelli Ragni Anna Maria Reggiani Francesca Ghedini Claudio Parisi Presicce Angelo Pellegrino Emilia Talamo Giovanna Rita Bellini Benedetta Adembri Vincenzo d’Ercole Giovanna Alvino Nicoletta Cassieri Giuseppina Ghini Annalisa Zarattini Enti prestatori Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo Sovrintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia Servizi aggiuntivi Benedetta Adembri Antonietta Parente Margherita D’Amato Giuliana D’Offizi Servizio restauro Elisabetta Lantos Barbara Caponera Patrizia Cocchieri Segreteria e relazioni con il pubblico Anna Passamonte Luigi Daniele Servizio tecnico Igino Galli Elio Bartolomeo Pietro Di Croce Antonio Russo Bruno Stefanelli Servizio fotografico Quirino Berti Augusto Briotti Pietro Cavallari Giuseppe Tonsini Produzione Electa Apparati didascalici Marina Sapelli Ragni Giovanna Rita Bellini Coordinamento Marta Settis con Anna Grandi Claudia Nardicchia Ufficio stampa Gabriella Gatto Enrica Steffenini Progetto dell’allestimento Andrea Mandara Studio di Architettura, Roma con Fabiana Dore Progetto dell’immagine coordinata e della grafica in mostra Sebastiano Girardi Realizzazione dell’allestimento Meloni Fabrizio srl con la collaborazione di Enrico Vandelli Impianti elettrici e di sicurezza Duilio Ciancarella con Nello Madama Loris Bernardini Fabio Ciancarella Alessandro Fonzi Restauri Paola Aureli Marco Demmelbauer Enrica Montanelli Cristina Rinaldi Trasporti Borghi International spa, Roma Assicurazioni Progress Insurance Broker Si ringrazia vivamente il Soprintendente ad interim per i Beni Archeologici dell’Abruzzo, Giuseppe Andreassi il Soprintendente ad interim per i Beni Archeologici di Ostia, Maria Antonietta Fugazzola il Sovrintendente ai Beni Culturali del Comune di Roma, Eugenio La Rocca e si ringrazia in oltre il personale tecnico e di vigilanza di Villa Adriana testo da catalogo L’occasione di questo evento mi offre il destro per fare alcune brevi considerazioni che riguardano non solo il tema della mostra, ma anche le finalità stesse di una simile manifestazione e il concetto di valorizzazione e fruizione. Il riconoscimento sociale dell’archeologia come disciplina utile alla collettività – al di là della rilevanza che in linea di principio a essa è data dalla Costituzione ma che è poi smentita nella prassi dalla quota del bilancio nazionale assegnata a essa come alle altre componenti del patrimonio storicoartistico – è molto legata per noi “specialisti” alla possibilità di comunicare al pubblico il significato del nostro lavoro, l’importanza della ricerca e, soprattutto, della tutela del patrimonio culturale, dalla nostra capacità di divulgazione, ossia di comunicare attraverso le testimonianze materiali del nostro passato, nel modo più vicino possibile al linguaggio del nostro tempo, i diversi aspetti della vita quotidiana delle popolazioni che ci hanno preceduto sul territorio italiano. Oltre al linguaggio, diviene quindi fondamentale la scelta del tema di una mostra: è necessario infatti che esso possa prevedere diversi livelli di lettura che vanno dal semplice apprezzamento del manufatto in quanto opera d’arte, all’esame degli aspetti legati alla vita quotidiana, al culto, alla spiritualità, ai legami commerciali e culturali con altre popolazioni, alle vicende storiche legate al periodo rappresentato. Solo in questo modo sarà possibile far sentire l’oggetto antico portatore non solo di una bellezza o di una storia lontana, ma di dinamiche di relazioni articolate e complesse, non diversamente dagli oggetti che ci circondano, e coinvolgere così tutte le variegate tipologie di fruitori, peraltro sempre più esigenti. Da questo punto di vista ritengo che la mostra che si inaugura oggi sia particolarmente riuscita. Alla bellezza e rarità dei materiali esposti unisce, infatti, una serie di problematiche che interessano svariati aspetti della vita delle popolazioni italiche in un momento di particolare interesse storico, tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. Fra gli aspetti più interessanti si possono ricordare, per esempio, quelli legati al rito funebre: le tipologie delle tombe in cui sono stati rinvenuti i resti di letti funebri, le modalità di sepoltura che prevedono, indifferentemente, riti di incinerazione e inumazione. Vanno inoltre considerati in quanto oggetti di lusso, riservati a personaggi di rilievo: il fatto che spesso siano riferibili a inumati di sesso femminile ci consente di gettare nuova luce sul ruolo della donna nelle popolazioni centro-italiche del periodo. È oggetto di discussione se tali oggetti venissero creati appositamente per la cerimonia funebre, oppure se fossero utilizzati in vita dal defunto. Dallo studio dell’iconografia delle decorazioni, legate per lo più al ciclo dionisiaco e alla figura di Ercole (sia Dioniso, “il tre volte morto”, sia Ercole sono strettamente legati al tema della morte, dal momento che hanno concluso positivamente il loro viaggio nell’Aldilà) parrebbe forse più valida la seconda ipotesi, ma la problematica è assai complessa e passibile di ulteriori approfondimenti. Degni di attenzione sono, inoltre, gli aspetti relativi alle influenze artistiche e alla produzione: se è indubbio, infatti, che i modelli cui si ispirano i nostri manufatti sono i ricchi letti in avorio di fabbricazione orientale – noti dai rinvenimenti nelle tombe reali macedoni – interessante è la possibilità di individuare, proprio nelle regioni dell’Italia centrale, i probabili luoghi di produzione di questi oggetti che, pur utilizzando un materiale come l’osso, molto comune e quindi poco prezioso, raggiunsero, grazie al notevole livello tecnico dei loro artefici, standard qualitativi eccezionali. Queste e altre problematiche potranno trovare, se non risposte definitive, quanto meno interessanti spunti di discussione e di approfondimento nei contributi dei diversi studiosi che hanno partecipato all’allestimento di questa mostra. Infine, è a mio avviso importante sottolineare come uno dei più significativi pezzi esposti sia il risultato di un intervento di archeologia preventiva, effettuato con finanziamenti di Autostrade per l’Italia, nell’area di servizio Casilina Est. Infatti è solo mostrando e spiegando al pubblico ciò che è possibile recuperare con queste operazioni, viste solitamente come un freno allo sviluppo o, più semplicemente come una “seccatura” che restituisce solo tracce incomprensibili, che se ne può far comprendere il reale valore. Stefano De Caro Direttore Generale per i Beni Archeologici testo arcus Il letto in osso rivestito di lamine a foglia d’oro è il reperto più prezioso e significativo restituito dallo scavo della necropoli occidentale di Aquinum (a Castrocielo nel Lazio in provincia di Frosinone), luogo di sepoltura della città italica foederata di Roma, poi del florido e popoloso municipium, infine della colonia triumvirale. La necropoli occidentale di Aquinum, sorta all’ esterno della porta verso Roma della colonia ed in prossimità della via Latina, è stata indagata nei primi mesi dell’anno 2005 nell’ambito dello scavo archeologico condotto come archeologia preventiva nell’area di servizio Casilina Est dell’Autostrada A1 Roma-Napoli, progettato e diretto dalla Soprintendenza e finanziato da Autostrade per l’Italia S.p.A. Il restauro, lo studio e la ricomposizione del letto funerario, l’esame delle tecniche di lavorazione, il restauro e lo studio dei corredi delle tombe, le analisi antropologiche, l’informatizzazione dei dati della necropoli per una gestione strutturata e per una immediata con- sultazione, i filmati che consentono una facile e accattivante fruizione “virtuale” del sito archeologico, sono stati possibili grazie al sostegno di ARCUS, Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura edello spettacolo S.p.A., costituita ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n. 291, che ha quindi consentito il raggiungimento sia dell’obiettivo scientifico della conoscenza a tutto campo della popolazione del centro italico di Aquinum in un arco cronologico compreso tra le guerre annibaliche e la deduzione della colonia triumvirale, sia di quello della positiva interrelazione tra beni culturali ed infrastrutture strategiche. Il coinvolgimento della soc. ARCUS sottolinea l’importanza dell’intervento, tanto più in quanto avvio di un più vasto progetto condiviso da Soprintendenza ed Autrostrade per l’Italia in attuazione del protocollo d’intesa per l’ampliamento dell’area di servizio e la valorizzazione del limitrofo anfiteatro di Aquinum, ricadente nella fascia di pertinenza autostradale. testo da catalogo Marina Sapelli Ragni INTRODUZIONE Il fortunato rinvenimento di Aquinum (comune di Castrocielo, in provincia di Frosinone) avvenuto nell’anno 2005 nell’ambito di uno scavo di archeologia preventiva finanziato da Autostrade per l’Italia S.p.A. nell’area di servizio Casilina Est dell’Autostrada Roma-Napoli, ha rappresentato uno stimolo per portare all’attenzione del vasto pubblico che visita Villa Adriana, così come degli studiosi, un tema di grande interesse archeologico e cioè l’uso dei letti funerari con decorazioni lavorate in osso, rinvenuti principalmente nel territorio medioitalico, ma anche in altri luoghi dell’Italia antica, e collocabili lungo un arco cronologico che può approssimativamente comprendersi tra gli inizi del II sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. Il letto in osso della tomba 6 della vasta necropoli occidentale di Aquinum, che è tuttora in corso di studio, ma che risulta preliminarmente inquadrabile tra le guerre annibaliche e la deduzione della colonia triumvirale, è stato sottoposto ad accurato restauro e studio filologico, anche con impiego di un aggiuntivo finanziamento ARCUS, onde ne è stato possibile realizzare un’ipotetica ma convincente ricostruzione, grazie all’ottimo intervento sinergico di vari specialisti, coordinati da Giovanna Rita Bellini, che ha diretto gli scavi per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. I risultati dello studio di molti frammenti del manufatto sono stati, tra l’altro, oggetto di una apprezzata presentazione nell’ambito del III Salone del Restauro di Venezia (novembre 2007). Il rinvenimento di un letto funerario, sul quale era posto uno scheletro femminile e che si trovava all’interno di una tomba monumentale a camera ipogea con deposizioni plurime assegnabili a fasi distinte di uso, rappresenta un recupero di carattere privilegiato all’interno di uno scavo peraltro ampio e ricco di motivi di interesse. Tra i vari filoni di indagine, per i quali la scoperta del centro italico precedente alla colonia latina di Aquinum costituisce nuovo stimolo, è certamente da porre in risalto il fatto che essa si aggiunge a una serie, cospicua per qualità ma limitata per numero, di rinvenimenti analoghi di letti con decorazioni in osso. Essi vedono il loro massimo centro di diffusione, e forse di produzione, in quel territorio medioitalico coincidente con l’attuale area interna del Lazio e dell’Abruzzo, e anche in parte dell’Umbria e delle Marche. Peraltro, come ha ben dimostrato il fondamentale studio catalogico condotto da Cesare Letta nel 1984 a seguito del rinvenimento abruzzese di due letti della Valle d’Amplero, questo uso trova significative attestazioni, sporadiche ma similari (purtroppo raramente documentate da più che qualche frammento), in altre parti d’Italia, dalla stessa area laziale alla Cisalpina, alla Germania, con una distribuzione cronologica che, alla luce delle attuali conoscenze, sembra concentrarsi nell’ambito del II sec. a.C. e della prima parte del I sec. a.C., con ulteriori attardamenti in età tardo repubblicana e, forse, nel I sec. d.C. I modelli di riferimento sono le raffinate decorazioni realizzate in avorio dorato delle klinai macedoni, quali i letti reali delle tombe di Verghina con prevalenti temi dionisiaci, immagini allegoriche di una felice vita nell’aldilà. La conoscenza diretta, in Italia, di oggetti di questo tipo può essere la parata del bottino portato da Gneo Manlio Vulsone a Roma nel 187 a.C. È proprio agli inizi del II sec. a.C. che le élites locali dell’area medioitalica (delle quali sono perduti gli arredi delle case) lasciano testimoniata nelle tombe una ricca traccia dell’uso dei letti in ferro e legno con appliques in osso, che reinterpretano nelle decorazioni, in un materiale più modesto, lo stesso gusto e analoghi temi dei raffinati oggetti in avorio usati dai sovrani ellenistici e dalle loro aristocrazie. Mi è sembrato di qualche interesse proporre in questa fase una esposizione mirata di esemplari ricomposti e di frammenti di alta qualità provenienti da rinvenimenti sia laziali (alcuni dei quali inediti) sia abruzzesi, rimandando ad altra occasione la possibilità di raccogliere una più diffusa documentazione dei molti rinvenimenti che ormai, per quanto noto dalle pubblicazioni, assommano ad alcune centinaia di attestazioni. I lavori, in molti luoghi ancora in corso, che comprendono restauro e studio dei più minuti frammenti di decorazioni in osso, spesso anche combusti per via del rito di cremazione che talora riguarda sia il corpo del defunto sia il letto, ci fanno pensare che la materia sarà quanto prima degna di nuovi e più ampi studi di sintesi, alla luce degli aggiornamenti che molti colleghi delle Soprintendenze italiane ci hanno segnalato con grande cortesia in questa occasione. Per il momento, è probabilmente rilevante e utile, per specialisti e non, offrire la visione contestuale di alcuni manufatti ricomposti per intero, o quasi, e quindi il manufatto di Aquinum e di altri due letti, di Bazzano e Fossa, appartenenti alla ricca documentazione abruzzese, nonché del noto letto dell’Esquilino, che sembrerebbe porsi nella fase finale della produzione conosciuta. A corredo di questi esemplari vengono esposti significativi frammenti di altri rinvenimenti sia del Lazio (Acilia, Marino, Sezze, Ventotene) sia dell’Abruzzo che, nel loro insieme, documentano l’alta qualità esecutiva e la ricchezza dei temi iconografici, peraltro in genere facilmente riconducibili al repertorio dionisiaco, allusivo a quelle credenze di rinascita dei defunti che tutti gli studiosi hanno sin qui evidenziato come sottese a questo tipo di produzione. Una delle domande fondamentali che si impone, tra le tante di estremo interesse storico, è per quale via questi gruppi aristocratici italici, nell’orizzonte cronologico tardo repubblicano, alleati ma non ancora soggiogati da Roma, siano venuti in contatto con i modelli di questi manufatti, e per mano di quali artigiani queste opere siano state realizzate. La risposta che possiamo dare, alla luce delle nostre attuali conoscenze, pur nella indeterminatezza e incompletezza, ci fa intravedere una notevole acculturazione di questo mondo medioitalico (oggi coincidente con Lazio interno, Abruzzo, Marche, Umbria) dalla metà del II sec. a.C. all’età augustea; un mondo aperto ai commerci sia mediterranei sia continentali. Un’altra domanda riguarda il sesso dei defunti per i quali più facilmente si usava questo tipo di oggetti suntuari; sembrano predominanti, ma non esclusive, le testimonianze legate a sepolture femminili. In particolare, l’uso di due diversi riti funerari ci mostra in ambito laziale una predominanza delle incinerazioni, onde il letto veniva combusto con il defunto direttamente adagiatovi sopra, mentre in ambito medioitalico, nella fattispecie nel territorio ora abruzzese, ci appaiono dominanti l’inumazione e la sepoltura in tombe a camera. Queste suggestioni, possibili ora in via preliminare, meritano approfondimenti futuri di ampio respiro, che saranno possibili anche grazie al prosieguo di molti interventi di restauro e studio in corso su numerosi contesti di scavo recente. A Francesca Ghedini è stato chiesto di svolgere un inquadramento generale dei diversi problemi legati alla nascita e sviluppo di questo genere di manufatti che, traducendo in materiale di uso comune e minore pregio rispetto all’avorio le valenze estetiche dei modelli ellenistici, costituiscono, comunque, per i committenti italici un modo di rappresentare il proprio gusto e la propria appartenenza alla élite locale, come, in dettaglio, Anna Maria Reggiani analizza nel suo specifico saggio dedicato ai temi della realtà archeologica medioitalica. Altri contributi specifici nell’ambito del catalogo sono dedicati alle problematiche di lavorazione dell’osso, svolte da Mara Carcieri ed Enrico Montanelli, e alle difficoltà di studio della ricomposizione dei manufatti dei quali si è persa, nelle sepolture, la struttura portante e molti dettagli e che è trattato da Stefano Pracchia; uno specifico saggio viene svolto da Giovanna Rita Bellini proprio sugli importanti nuovi rinvenimenti della necropoli occidentale di Aquinum e sui molteplici problemi rituali, sociali e storici che essi ci pongono; altri saggi ancora sono dedicati, rispettivamente da Vincenzo d’Ercole e Alberta Martellone e da Emilia Talamo, alla ricca documentazione del territorio abruzzese, nonchè alla singolare e pregevole testimonianza del letto in osso proveniente dalla necropoli dell’Esquilino, in Roma. Nell’esposizione i reperti antichi sono affiancati dalle opere pittoriche di Umberto Passeretti, artista tiburtino cresciuto nel rapporto costante con Villa Adriana, con questo luogo ricco di suggestioni che sempre ha fornito ispirazione all’arte. Ci è sembrato che le sue figure evocative di un linguaggio formale della tradizione artistica ellenistico-romana, di cui anche i reperti funerari qui presentati costituiscono documento significativo e ricco di valenze cultuali e mitiche, ben dialoghino con le opere dell’antico e con la villa stessa. A quanti con distinte professionalità hanno collaborato al lavoro di restauro, ricomposizione e allestimento della mostra, ai funzionari della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, ai colleghi di altri uffici e agli studiosi che hanno partecipato a questa esposizione, va il più sentito ringraziamento. testo da catalogo Giovanna Rita Bellini UN NUOVO RINVENIMENTO DA AQUINUM: IL LETTO IN OSSO DELLA TOMBA 6 5 maggio 2005 – dalla terra, nella tomba 6 della necropoli occidentale di Aquinum, affiora una figura alata in altorilievo. L’archeologo guida con ansia trattenuta gli attenti strumenti di scavo, ma non ha dubbi: è la gamba di un letto, ancora infissa, con la sua anima in ferro rivestita da elementi in osso lavorato, nel piano pavimentale della camera funeraria. Lì accanto, i raggi del sole pomeridiano illuminano un filo d’oro. «Bagliori dorati si diffondono all’incerta luce delle fiaccole dai ricami delle ricche vesti della defunta adagiata sulla lettiga nel corteo che accompagna l’ultima signora al sepolcro di famiglia nell’antica necropoli. Per preparare la sua sepoltura, sul lato di fondo della tomba di fronte all’ingresso, sul vecchio letto decorato, nei giorni precedenti sono stati rimossi dalla porta voltata i lastroni di travertino, rispettosamente riposte in un angolo le ossa degli antenati (due donne, quattro uomini) e con esse le olle che custodivano i resti incinerati di altre due donne, insieme ai balsamari e agli strigili che a suo tempo li avevano accompagnati nel rito della deposizione, così come per far posto a loro nella camera funeraria, decenni prima, erano stati risepolti in una fossa centrale, davanti all’ingresso, i capostipiti della famiglia (due uomini e tre donne) con i loro corredi. La signora è l’ultima discendente di una famiglia importante, forse un tempo la più importante della città formatasi – dopo le guerre sannitiche – nel cuore della piana del Liri, chiusa tra le Mainarde e i monti della Meta a settentrione, i monti Ausoni e Aurunci verso il mare Tirreno, allo sbocco della via di transumanza che dall’area mesoadriatica e dall’ Appennino abruzzese-molisano si immetteva nei percorsi verso la costa tirrenica, nei pressi di un antico santuario. La tomba di famiglia è al centro della necropoli, punto generante della disposizione delle altre sepolture coeve. Gli avi, nati nel secolo che vede la fine delle guerre sannitiche e i lunghi anni della guerra annibalica, vengono deposti nel sepolcro della nuova necropoli nell’arco di poco più di un cinquantennio, dagli anni del passaggio di Annibale sulla via Latina (quando Aquinum viene menzionata per la prima volta dalle fonti storiche pur se da tempo batteva moneta) alla metà del secolo seguente, deposti sulla terra, con i loro corredi. I discendenti vivono nella città italica pacificata e fiorente, municipium dopo la guerra sociale, centro di produzione di stoffe di porpora, tanto conosciute da diventare proverbiali, e da essere esportate fino a mercati lontani, con una commercializzazione facilitata dalla vicinanza del Liri e dalla presenza di un porto fluviale. Per loro la tomba viene riaperta più volte nell’arco di circa cento anni a cavallo dei due secoli, per uno di loro (probabilmente una delle due donne, probabilmente l’ultima a essere inumata prima delle incinerazioni) viene realizzato il letto rivestito d’oro e ricoperto di cuscini di porpora, ornato con i simboli dei riti orfici e dionisiaci derivati dai misteri eleusini di Demetra e Kore, e con le allegorie della rinascita dell’anima trasportata nell’ultimo viaggio sulle ali aperte delle aurae che avvolgono i sostegni del letto. La prima signora del letto è forse una sacerdotessa di Cerere, venerata nell’antichissimo santuario, ove si perpetuano i riti eleusini della morte e della rinascita, del perenne alternarsi delle stagioni, del risveglio della natura animale e vegetale dopo il sonno invernale, del ritorno sulla terra presso la madre CerereDemetra di Proserpina-Kore dopo il soggiorno nell’Ade presso il marito Plutone. Accanto al suo corpo viene posto un cofanetto decorato con lamine di osso e con un medaglione che ferma nel tempo il volto della padrona. Ancora una volta, tra la metà e la fine del secolo, la tomba viene riaperta, ancora una volta per una donna, questa volta combusta sulla catasta funebre innalzata davanti al sepolcro. Latte e vino vengono versati sulle braci ancora ardenti, le coppe frantumate sui resti della pira. Le ossa raccolte in due olle riposano anch’esse nel sepolcro. Nella vicina città, rinnovata come colonia di Roma sotto il triumvirato di Ottaviano, Antonio e Lepido, si tracciano strade, si costruiscono nuove mura, edifici e templi. Il travertino viene estratto nei pressi della città, anche vicino alla secolare necropoli, spezzando con i tagli di cava i solchi lasciati dagli antichi aratri. Ma dopo le voragini vengono ricolmate, e i campi della nuova organizzazione territoriale ancora una volta affidati alle divinità agresti con riti propiziatori, seppellendo religiosamente nelle cavità gli oggetti consacrati delle stipi più antiche, ormai in frammenti, e quanto rimane della copertura dell’antico santuario della dea italica. Forse è proprio l’ultima discendente della nobile famiglia aquinate a presiedere i riti, a commemorare nella festa di primavera la fine del dolore di Cerere per la perdita della figlia Persefone restituita temporaneamente alla madre, a intercedere perché si rinnovi il ciclo vitale delle stagioni e siano protetti i raccolti. Gli abitanti romanizzati della nuova Aquinum seppelliscono altrove i loro morti. Ma quando anche per lei giunge il momento dell’ultimo viaggio, ancora una volta si riapre l’antico sepolcro, e si ripetono i gesti che hanno accompagnato gli avi. All’interno della porta, prima della definitiva chiusura, viene posta – sulla terra – una moneta. Segue l’abbandono, l’oblio, il disfacimento, le violazioni. Fino a quel pomeriggio di una inoltrata primavera di venti secoli dopo, quando gli strumenti degli archeologi riportano in vita il passato. E nella tomba violata, nell’antica necropoli, sulla vicina terra che reca ancora i segni dell’aratro e dei riti propiziatori, si rinnova “l’atmosfera campestre, misteriosa e religiosa, eco di lontani silenzi, che invita a sostare tra quelle ombre laminate di luci, fluitando a ritroso nei secoli scomparsi, un dolce sentimento di remota umana spiritualità” (Giannetti 1986)1». La necropoli, la tomba 6 La presenza del letto funerario sottolinea l’importanza della tomba 6 nell’ambito della necropoli, e della famiglia cui essa apparteneva, anche se al momento sono solo ipotesi le considerazioni sullo status dei defunti che vi sono stati sepolti. Lo scavo archeologico ha portato in luce settantaquattro tombe a inumazione: a cappuccina, terragne, a cassone, monumentali in blocchi di travertino (a camera ipogea o a cassone), oltre a una sepoltura infantile in coppo e una fossa comune con la deposizione simultanea di tredici individui. I corredi, costituiti da balsamari fittili fusiformi e piriformi (ben 209 esemplari), specchi in bronzo, lucerne, pedine in pasta vitrea, strigili in ferro, pesi fittili, monete, ceramica a vernice nera e comune, datano l’inizio della necropoli tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., con una frequentazione ininterrotta fino all’inizio del I sec. a.C. La necropoli occidentale di Aquinum è quindi il sepolcreto non della colonia ma del centro italico, civitas foederata di Roma, ove gli abitanti del successivo municipium e poi della colonia, discendenti della popolazione autoctona, continuano a seppellire in modo sporadico, in tombe presumibilmente di famiglia. La tomba 6, baricentrica rispetto alla disposizione delle sepolture coeve, è una tomba a camera ipogea costituita da un ambiente quadrato in blocchi isodomi di travertino, con ingresso voltato, chiuso da due lastroni di travertino e piano pavimentale in terra. La tomba, familiare, è l’unica in uso con continuità dal momento della sua costruzione (fine III – inizi II sec. a.C.) fino all’ultima testimonianza di frequentazione nella prima età imperiale, con la successiva deposizione, in quattro momenti distinti, di ben tredici individui. Il primo gruppo (cinque inumati) intorno alla metà del II sec. a.C. viene ridotto e rideposto con gli oggetti di corredo (specchio e balsamari) in una fossa rettangolare scavata in cor- rispondenza dell’ingresso. Nella camera vengono quindi deposti, nell’arco del II secolo forse fino alla metà del secolo seguente, altri sei individui con un ricco corredo, costituito da ventotto balsamari, una coppia di strigili e quattro astragali. Nel susseguirsi delle inumazioni, è probabile che si sia anche avviato il processo delle riduzioni dei resti e quindi delle rideposizioni nell’angolo sud-ovest della camera sepolcrale. È questo il periodo in cui, presumibilmente, viene introdotto il letto funerario, cui sembra fosse associato un banchetto e forse anche il cofanetto per oggetti di toletta, al quale sono pertinenti elementi in osso e il medaglione non pertinenti alla ricostruzione del letto (Pracchia, Carcieri infra). Alla fine del I secolo a.C. risale l’unica incinerazione di tutta la necropoli. All’esterno della camera sepolcrale viene scavata la fossa dell’ustrinum, al cui interno si allestisce la catasta di legna per la pira funebre; il fuoco fu spento con aspersione dei liquidi delle libagioni. I resti combusti, insieme a un balsamario piriforme, vennero raccolti in una coppia di olle. Nell’arco del secolo seguì un periodo di abbandono, documentato dallo strato biancastro carbonatico, formatosi dalla reazione chimica dell’acqua e degli altri liquidi a contatto della cenere, e dall’essiccazione e fessurazione dello stesso strato con formazione di mud cracks superficiali. Agli inizi del I sec. d.C., infine, la tomba fu preparata per l’ultima sepoltura, quella dell’individuo di sesso femminile rinvenuto sul letto funerario, riducendo e rideponendo gli inumati e le olle cinerarie nell’angolo sud-ovest, insieme al loro corredo. L’inumata, probabilmente coperta da una ricca veste intessuta d’oro (ipotizzata per i filamenti d’oro nella terra vicino al corpo), era accompagnata da un corredo inquadrabile cronologicamente nell’ambito della prima età imperiale (una lucerna di età tiberiana, sei balsamari piriformi, una moneta augustea, un bastoncino in vetro a torciglione, un coltellino in ferro). Tracce di un grande fuoco nell’area esterna a livello superficiale sono forse da collegare ai riti funebri di quest’ultima deposizione2 (Bellini 2007; Trigona 2007). Dallo scavo al restauro Il rito dell’inumazione ha consentito la conservazione quasi integrale degli elementi costitutivi del rivestimento in osso, e quindi il rinvenimento in giacitura primaria delle quattro gambe, ancora infisse nel piano pavimentale della tomba, e in giacitura di crollo delle sponde e dei fulcra. Le modalità di rinvenimento hanno reso possibile un attento intervento di recupero degli elementi decorativi, condotto di concerto con i restauratori e con metodologie volte all’acquisizione di ogni dato possibile per la successiva ricostruzione, fin dalle prime fasi di campo. Tale approccio metodologico è proseguito in laboratorio, mantenendo dei singoli elementi e del loro contesto i riferimenti di giacitura di crollo, giungendo attraverso successive ipotesi, alla ricostruzione grafica del susseguirsi degli elementi decorativi soprattutto per il telaio, alla ricomposizione finale sulla struttura di supporto, allo studio delle tecniche di lavorazione (Bellini 2007b, Pracchia-Carcieri infra, Montanelli-Carcieri infra). Lectus auro ac purpura stratus Il letto funerario, sicuramente l’oggetto più importante rinvenuto nella necropoli, era posto sul lato di fondo della tomba. La struttura slanciata e la decorazione ad altorilievo dei cilindri delle gambe e a bassorilievo dei fulcra consentono di ricondurre il letto di Aquinum nell’ambito dei letti in osso derivati da modelli in avorio di ambiente ellenistico, diffusi nell’area centro-italica tra il II sec. a.C. e la prima metà del I sec. d.C., mentre il telaio sottile richiama piuttosto le forme dei letti in osso derivati da modelli in bronzo. Le gambe erano costituite da una struttura lignea con anima in ferro e decorate da elementi in osso modulari; la parte figurativa in altorilievo propone sul lato esterno figure femminili alate con il capo ornato da corone vegetali ed ali sovrastanti il fianco del cilindro, sul lato interno erme con teste femminili e/o di putti con acconciatura costituita da nodo di capelli a fiocco o crocchia al di sopra della fronte. I fulcra erano rivestiti, sulle due facce laterali, da lastrine sagomate e decorate in bassorilievo: nel culmen teste di cigno che portano nel becco un fagotto, nel campo centrale centauri e/o centauresse accovacciati con pisside in una mano e oggetto non identificato nell’altra, posta sulla testa in atto di aspersione; nei medaglioni teste maschili di profilo con serto vegetale intorno al collo. Le sponde erano decorate da elementi convessi ricorrenti al centro, e da cornici laterali. Il letto era probabilmente ricoperto da una lamina d’oro (tracce di doratura a foglia sono state trovate sulla capigliatura, sui panneggi di una veste e su di un’ala), su un materiale sicuramente più povero dell’avorio dei modelli di riferimento (ma forse dal forte valore simbolico), e come segno di lusso regale (Ghedini infra). I Misteri di Aquinum: Dioniso e Demetra, la vite e il grano La posizione geografica colloca Aquinum in un importante nodo stradale, e quindi di contatto tra genti di culture diverse: gli Etruschi e i Latini a nord; gli Aurunci, gli Opici, i Sanniti e le colonie greche della Campania (Cuma, Neapolis) a sud-ovest; gli Osci nelle varie articolazioni etniche a est e a sud-est. Le prime divinità menzionate dai testi epigrafici rimandano a contatti con l’ambiente sabino (Flora Fusa, CIL X 5389), osco (Pupluna, A.E. 1976, 34 successivamente assimilata a Giunone A.E. 1973, 184), umbro (Karena, successivamente assimilata a Diana, A.E. 1978, 97, A.E. 1978, 99). Ma i primi contatti con l’oriente, con le guerre che portano Roma nelle regioni dell’Asia Minore, favoriscono l’arrivo dei culti misterici e dei riti di quelle lontane terre, rielaborati localmente e adattati alla sensibilità italica, in un sincretismo religioso ove, alcune volte può essere difficile individuare il culto e la divinità originari3. Dioniso-Bacco il dio liberatore dell’energia vitale, colui che torna dall’oltretomba alla vita, Demetra-Cerere e Kore-Persefone simboli di morte e rinascita, di immortalità dell’anima, in ambiente italico vengono associati in una nuova triade: Cerere, Libero e Libera, con riferimento ai culti agrari della fertilità. I Misteri di Eleusi diventano feste di primavera e delle stagioni. Dalle iscrizioni, conosciamo ad Aquinum nel II sec. a.C. una sacerdotessa pubblica di Libero (CIL X 5422), una sacerdotessa di Cerere (Giannetti 1969); su una lastra di calcare rinvenuta nell’area extraurbana sono raffigurati i fasci di spighe sacri a Cerere (Giannetti 1986); dall’area della selva degli Aceti, ove l’iscrizione CIL X 5166 ricorda un luogo di culto di Venere, proviene una lastra di terracotta in frammenti con danzatrice che incede fra tralci e viticci sullo sfondo di un porticato ionico (Giannetti 1986). A Iside Regina è dedicata, in età imperiale, una base di statua (Giannetti 1986), mentre due aquinati – Germanico e Leda – offrono una tavoletta votiva Numini Isidis Aponi (CIL X 5387). All’interno del circuito murario della città, e quasi a ridosso delle mura, nei pressi della porta occidentale, sorge un grande tempio su alto podio. Scavi effettuati agli inizi del secolo scorso nella stipe del tempio hanno portato al rinvenimento di una notevolissima quantità di materiale votivo in terracotta e di due teste colossali femminili in marmo bianco, evidentemente pertinenti a due statue di culto. Le due statue sono state interpretate (Cagiano De Azevedo 1949) come le immagini di Giunone e Minerva, e sulla base di questa ipotesi il tempio identificato come il capitolium della città. Ma fino ad allora l’edificio era stato identificato, per lunga tradizione, con il tempio di Cerere Elvina. Da un luogo prossimo, tra il tempio e le mura, provengono inoltre le già ricordate testimonianze del culto di Iside. Gli scavi condotti nell’Area di servizio autostradale Casilina Est hanno evidenziato, nella zona a monte della necropoli, oltre alle tracce delle lavorazioni agricole di età pretriumvirale, l’utilizzo dell’area come cava di prestito per il travertino e il successivo reinterro, funzionale al recupero agricolo della zona nella nuova organizzazione agraria coloniale, con scarichi di materiale pertinente ad un ambito cronologico compreso tra il VII ed il IV sec. a.C., ascrivibili alla cultura della Valle del Liri, attribuito al momento della scoperta ad abitato. Con lo stesso materiale era stata riempita anche la cavità della fornace funzionale alla necropoli (Bellini 2007c). Lo studio degli ingenti reperti, confermando gli ambiti cronologici e cultu- rali, ha suggerito, vista l’identificazione del columen di un grande edificio e di parti delle antefisse, di attribuire il materiale a uno scarico votivo (Lauria 2007). È quindi possibile avanzare l’ipotesi che questo materiale, simile a quello della stipe del non lontano tempio, abbia la stessa provenienza, e quindi sia stato utilizzato con scopi rituali propiziatori per una riconsacrazione dei campi, liberando al tempo stesso le favisse più antiche del santuario – legittimamente a mio avviso identificabile con quello di Cerere – nel momento in cui, dopo il riassetto urbanistico della città e con l’avvento del principato, sul luogo del santuario italico si impostò il capitolium sigillo del nuovo corso politico, espressione della triade romana (Giove, Giunone, Minerva) vittoriosa su quella italica (Cerere, Libero, Libera). Ciò spiegherebbe la menzione oraziana di Cerere come Helvina (Hor. Ep., L, 10, 25), in quanto divenuta – nell’assetto augusteo – culto gentilizio della gens italica degli Helvii (Rizzello 1996). Il letto di Aquinum Allo stato attuale delle conoscenze il letto di Aquinum non sembra rispondere a una moda, ma a un preciso messaggio di appartenenza: all’aristocrazia italica, all’antico culto. Lo studio iconologico dei soggetti rappresentati è ancora agli inizi. Si intuisce il riferimento ai culti dionisiaci, orfici, isiaci, nell’eco dei cortei bacchici (le centauresse), negli accenni alle stagioni (le figure alate), nelle teste di cigno (il fagotto nel becco che potrebbe richiamare l’involucro che contiene il corpo smembrato di Osiride), in un complesso sincretismo di iconografie e di simboli che presenta non poche difficoltà interpretative. I volti maschili dei medaglioni, dai connotati ben marcati, sembrerebbero invece ritratti di famiglia. È interessante anche rileggere la notizia del rinvenimento di frammenti combusti del rivestimento in osso di un letto funerario, nel corso di lavori agricoli, in un terreno a settentrione dell’area urbana, in località S. Pietro Vetere, insieme a materiali pertinenti a un’area funeraria a inumazione (a fossa, a cappuccina, ma anche in tombe monumentali, vista la presenza di blocchi di travertino e di lacerti di intonaco dipinto) con presenze di almeno una incinerazione (quella del letto funerario)4, datati genericamente al II sec a.C. con attardamenti nel I sec. a.C. Ma proprio il confronto con ciò che rimane del letto combusto, sebbene ancora non studiato né restaurato, evidenzia l’unicità del letto della tomba 6 e del forte messaggio, forse di riaffermazione dell’identità etnica, affidato ai suoi simboli. Bibliografia: G.R. Bellini, 2001; G.R. Bellini, La necropoli occidentale di Aquinum…, 2007a; G.R. Bellini, Il restauro in Italia…, 2007b; G.R. Bellini, Lazio e Sabina 2005…, 2007c; A. Bottini, 2005; M. Cagiano De Azevedo, 1949; F. Coarelli, 1996; A. Giannetti, 1986; M. Lauria, 2007 (in corso di stampa); A. Nicosia, 2006; M. Rizzello, 1996; S.L. Trigona, 2007; R. Vargiu et alii, in Lazio e Sabina 2007 (in corso di stampa); L. Virno Bugno, M. Baronio..., 1971. Il letto funerario in osso di cui si presenta il restauro è stato rinvenuto nell’ambito dello scavo archeologico della necropoli occidentale di Aquinum (Regione Lazio, Provincia di Frosinone, Comune di Castrocielo), condotto nell’Area di servizio Casilina Est dell’Autostrada A1 Roma-Napoli finanziato come archeologia preventiva da Autostrade per l’Italia S.p.A. Il restauro (insieme allo studio antropologico, allo studio dei corredi, alla ricostruzione 3D della necropoli, alla realizzazione di un GIS per la gestione informatizzata dei dati) è stato condotto con finanziamento ARCUS. I risultati raggiunti sono stati possibili per l’alta specializzazione della soc. LAND s.r.l. cui è stato affidato l’intero intervento, per la disponibilità del titolare Dott. Lorenzo Petrassi e per la professionalità e dedizione del dott. Raffaele Leonardi direttore tecnico, del dott. Simon Luca Trigona responsabile scientifico, degli operatori di scavo Maurizio Forlino, Marcello Paliotta, Adriano Fargnoli, Giuseppe Maimone, e di tutti gli specialisti che hanno collaborato nelle varie fasi del lavoro. Un grazie sentito all’arch. Antonia Pasqua Recchia che ha permesso la prima presentazione del letto funerario nell’ambito di Restaura – III Salone del Restauro dei Beni Culturali, Venezia 2007, e alle dottoresse Anna Maria Reggiani e Marina Sapelli che hanno colto nel rinvenimento di Aquinum lo stimolo per portare all’attenzione del grande pubblico un tema complesso e affascinante. 1 La forma del racconto è sembrata la più agevole per esporre la complessità della tomba 6 e per cercare di far chiarezza nella cronologia del letto funerario, oltre che per una contestualizzazione del rinvenimento. Aquinum è citata per la prima volta in Liv. XXVI, 9, in riferimento all’anno 211 a.C., ma è sicuramente di formazio- ne più antica, almeno dopo la fine delle guerre sannitiche nel 296 a.C. (batte moneta con legenda AQUINO o ACUINO, a volte retrograda, tra la fine del IV e il III sec. a.C.). Civitas foederata durante la guerra annibalica, municipium popoloso dopo la guerra sociale (91-89 a.C.Cic. Phil., II, 41), già dotata di una cinta muraria e di edifici pubblici come il teatro e l’anfiteatro (Bellini 2001, A.E. 1988, 264 per il restauro del teatro in età augustea), è colonia in età triumvirale, ancora ricordata dalle fonti – tra la fine del I sec. a.C. ed il I sec. d.C. – come grande città (Strabo, V, 3, 9; Silio italico, Puniche). Uno dei fattori determinanti per la ricchezza di Aquinum è indubbiamente la lavorazione della lana e la produzione di stoffe di porpora. Un’iscrizione databile alla fine dell’età repubblicana ricorda un negotiator purpurarius di Piacenza che esportava stoffe locali in altri mercati d’Italia, forse in primo luogo nella valle del Po. L’iscrizione CIL X 5400 del I sec. a.C. su quattro vasche di travertino ricorda il fabbricante di porpora M. Baronio Sura (Coarelli 1996; Virno Bugno 1971). E Orazio, pochi anni dopo, parla di una importante produzione laniera e delle imitazioni di stoffe di porpora aquinati (Hor., Ep, L, 10, 26ss). Il porto è attestato in età severiana (CIL X 5175) ma è certamente più antico. La gens Helvia, sicuramente presente a Fregellae, è probabilmente la proprietaria della villa, poi passata alla famiglia di Giovenale, cui è pertinente un basamento in opera poligonale databile al II sec. a.C. in loc. S. Pietro a Campea (Nicosia 2006). 2 Gli studi in corso suggerirebbero la ridefinizione dell’ambito cronologico dell’impianto della necropoli, proposta nel presente contributo, alla fine del III – inizi del II sec. a.C. rimanendo immutata invece la cronologia relativa. È tuttavia prudente attendere la conclusione dello studio tipologico dei balsamari, degli strigili, degli specchi e degli altri reperti, anche alla luce delle associazioni tra gli oggetti. Per le caratteristiche antropologiche riferibili ad un ceppo italico piuttosto che romano degli inumati v. Vargiu et alii 2007. Le poche monete rinvenute (undici in totale) rimandano come data di emissione alla metà del II sec. a.C. e alla zecca di Roma, tranne un asse della fine del III sec. a.C. di zecca dell’Italia meridionale, le due monete augustee della tomba 6 (Gn.Piso Frugi magistrato monetale), e il bronzo dimezzato di zecca italiana del 38 a.C. dalla terra del riempimento che copre e livella l’ustrinum (lo studio numismatico è stato condotto dalla dottoressa Serafina Pennestrì). 3 Per i culti misterici v. Bottini 2005. 4 Giannetti (Giannetti 1986) attribuisce a questa incinerazione la dedica di Vetreia Teti (CIL X 5469), testimonianza in versi dei rituali dell’incinerazione. testo da catalogo Elena Francesca Ghedini I LETTI IN AVORIO E ROSSO: TIPOLOGIA E APPARATO DECORATIVO Lo straordinario rinvenimento, in una tomba a camera di Aquinum, di un letto in osso, conservato in ogni sua parte, apporta nuovi importanti elementi alla conoscenza della tipologia e della decorazione delle klinai funerarie, che si diffondono in ambito italico a partire dalla fine del III – inizi del II secolo a.C. e che perdurano fino alla prima età imperiale anche in ambito provinciale. Le prime pubblicazioni relative a tali manufatti possono essere fatte risalire agli anni venti del Novecento e sono riferibili a ritrovamenti transalpini (Eckinger 1929), ma è intorno agli anni ottanta che essi furono oggetto di saggi di analisi e di sintesi che costituiscono ancor oggi punto di riferimento obbligato per chi voglia affrontarne lo studio: all’importante contributo di Nicholls, dedicato ai letti di Cambridge (Nicholls 1979), ha fatto seguito l’ampio e documentato studio di Cesare Letta che, partendo dalle testimonianze di Amplero, sviscera le problematiche di carattere tipologico e tecnico, fornendo anche un prezioso catalogo di tutte le attestazioni allora note (Letta 1984). Negli anni a seguire si moltiplicarono le pubblicazioni, dedicate non solo ai nuovi rinvenimenti, ma anche a quei manufatti da tempo conservati nei magazzini, magari in stato frammentario, oppure già musealizzati, ma non ancora analizzati in modo esaustivo. Nell’ambito di questa produzione va segnalato un nuovo approccio che tiene conto anche dei complessi apparati decorativi, per cui si sono talvolta avanzate caute proposte di letture iconografico-iconologiche, finalizzate a interpretare il messaggio evocato dalle immagini: penso agli ottimi saggi della Talamo sul letto dell’Esquilino (Talamo 1987-1988) e della Bianchi sui letti di Cremona (Bianchi 2000), fino al recentissimo contributo che Vincenzo d’Ercole ha dedicato alle testimonianze di Fossa (d’Ercole, Martellone 2005, con gli aggiornamenti bibliografici che qui non è possibile citare per esteso). Tuttavia, proprio scorrendo la bibliografia specifica, emerge con evidenza che, se i problemi relativi agli aspetti strutturali e funzionali di tali manufatti sono stati sufficientemente chiariti, molte sono le domande ancora inevase, che riguardano per esempio l’origine delle maestranze che hanno diffuso tale tecnica e le modalità con cui esse si sono rapportate all’artigianato locale. Lungi dall’essere risolte sono anche le problematiche relative al repertorio, che registra, accanto a soggetti banali o francamente decorativi, iconografie ricercate e originali, che non possono essere semplicemente ascritte alla fantasia degli artigiani, talvolta modesti, che eseguirono l’opera, ma debbono essere indagate in una prospettiva più ampia che tenga conto di un quadro di riferimento socio-culturale ancora tutto da definire; infatti, se pure appare evidente che coloro che affrontarono il loro ultimo viaggio su tali lussuose klinai ricoprirono un ruolo elevato nella società coeva, non si può però ignorare che ci troviamo di fronte a una committenza diversamente connotata sul piano sia economico, come si può dedurre dalla differenza del prezzo dell’avorio rispetto a quello dell’osso e dalla disparità qualitativa dei manufatti realizzati con l’uno o l’altro materiale, sia socio-culturale, come risulta dal fatto che i letti funerari furono utilizzati nell’ambito di rituali diversi, come corredo del defunto in contesti di inumazione, ma anche come cataletto nel corso della cerimonia dell’incinerazione. D’altronde, che tali manufatti per la ricchezza del loro decoro costituissero un elemento importante nella panoplia del defunto è confermato dalle fonti letterarie e iconografiche (Toynbee 1971, p. 43 s.): fra le prime pos- siamo citare la descrizione di Svetonio dei funerali di Cesare (Caes. LXXXIV, 1), in cui è fatta espressa menzione di un lectus eburneus auro ac purpura stratus (un letto d’avorio coperto d’oro e di porpora), a cui due uomini armati di spada diedero fuoco con fiaccole accese. Una situazione analoga si ripetè in occasione della cerimonia funebre di Augusto, come ci conferma Dione Cassio, che ricorda il letto fatto d’avorio e d’oro (kline elephantos kai chrysou pepoiemene), ornato di coperte di porpora e d’oro (Dio LXI 34, 1-4), su cui era stata posta un’immagine di cera dell’imperatore abbigliato in abito trionfale. Ma il costume doveva essere largamente diffuso anche in contesto privato, se Properzio (El. II, 13, 17-21) si sente in dovere di esplicitare che ai suoi funerali non vuole né una lunga processione (del tipo di quella riprodotta nel famoso rilievo di Amiternum) (fig. 2), né il suono lamentoso della tromba, né un letto con spalliera d’avorio (fulcro eburneo). Il ritrovamento di Aquinum, che si giova di una completa documentazione relativa al contesto, ottenuta grazie a uno scavo rigoroso, potrebbe essere dunque di stimolo per riprendere tutte le problematiche riguardanti tali manufatti, attraverso un approccio sistematico, che metta in serie, utilizzando anche l’ottimo strumento informatico, la documentazione pervenutaci, spesso dispari e dispersa, al fine di poter da essa trarre informazioni utili a meglio comprendere il significato che i letti funerari ebbero per la società che li utilizzò. Gli antecedenti Che nel mondo greco orientale l’uso dei mobili in materiale prezioso (in bronzo con intarsi in oro o argento oppure in marmo, avorio o altri costosi materiali) fosse ampiamente diffuso, è confermato non solo dalle testimonianze letterarie relative al lusso sfrenato delle corti ellenistiche, ma anche dai recenti, straordinari ritrovamenti di Vergina, che hanno restituito troni in marmo, riccamente dipinti, e letti in pietra o legni pregiati decorati con pitture o con applicazioni di statuette o rilievi in avorio. Fra tutte spicca la tomba nota in letteratura come Tomba di Filippo: al suo interno sono stati rinvenuti una serie di piccoli ritratti in avo- rio a tutto tondo (i membri della famiglia reale macedone?) e delicati rilievi raffiguranti personaggi dionisiaci e apollinei, che sono stati ritenuti pertinenti alla decorazione di un letto (Andronikos 1993, p. 123 ss.; da ultimo Sismanides 1997, pp. 134-153). E il ritrovamento non resta isolato, come conferma, per esempio, il raffinatissimo gruppo dalla Tomba del Principe, composto da un giovane Pan che suona, seguito da un vecchio seminudo, barbato e coronato, che regge una fiaccola e si appoggia a un’elegante fanciulla con chitone altocinto (Andronikos 1993, fig. 169). La documentazione macedone risulta di grande importanza per la definizione dell’origine della tradizione di usare tali ricchi manufatti in contesto funerario, perché, confermando che la moda dei letti decorati con applicazioni d’avorio incontrò il gradimento della corte, consente anche di ipotizzare che da lì si sia poi ampiamente diffusa anche fra i successori di Alessandro. La documentazione italica e provinciale: tipologia, distribuzione, cronologia A partire dalla fine del III secolo a.C., ma con maggior incisività dagli inizi del II fino alla prima età imperiale, l’uso dei letti in avorio, e dei loro succedanei più poveri in osso, appare attestato in area centro italica (le testimonianze più antiche sembrano venire da Ostia e da Ancona) (Letta 1984), ma con rinvenimenti anche dall’Italia meridionale e dalle isole, dalla Cisalpina e da alcune province occidentali; oltralpe spiccano le testimonianze della Narbonense (concentrate lungo il Rodano) e della Germania Superior e Inferior, dove gli esemplari più tardi raggiungono anche la fine del I sec. d.C. (per la distribuzione delle attestazioni v. Bianchi 2000, p. 125 ss., figg. 3233). Va detto però che la documentazione pervenutaci fa riferimento a una tipologia ben diversa dagli antecedenti macedoni, sia per la forma sia per il materiale utilizzato (cfr. Letta 1984; sui letti in generale v. da ultimo De Carolis 2007, p. 69 ss.): i letti rinvenuti in contesti centro italici e provinciali sono caratterizzati da telaio ligneo di vario spessore (su cui erano applicate le decorazioni in osso), retto da gambe che, anziché a tavola lavorata a giorno come quelli macedoni, sono in genere costituite da verghe di ferro su cui era infilata una sequenza di elementi di diversa forma (puntali, anelli, campane, cilindri, rocchetti, calici eccetera), in analogia di quanto documentato in alcuni mobili della prima età ellenistica rinvenuti in ambito orientale ad Ai Khanoum e Nisa (Bernard 1970). Essi erano poi caratterizzati dalla presenza di una spalliera (il fulcrum), talvolta reduplicata da testa e da piedi (amphikephalos), costituita in genere da un sostegno di legno sagomato a S, rivestito poi da elementi d’avorio e d’osso e foderato di pelle nella parte destinata a fungere da appoggio (per i fulcra, v. Faust 1989; per la classificazione tipologica v. anche Bianchi 2000, p. 95 ss., con precedente bibl.). L’apparato decorativo Il ricco e diversificato repertorio figurato a cui si ispirarono i decoratori dei letti, non è mai stato indagato nella sua totalità; credo invece che un’analisi tematica, seguita poi da un’attenta lettura iconografico-iconologica (che non è certo possibile fare in questa sede) potrebbe suggerire considerazioni interessanti anche in merito alla provenienza degli artigiani. La decorazione si disponeva sia sulle spalliere sia sui supporti orizzontali e sulle gambe; i fulcra presentavano in genere, nella parte superiore, teste di animale (per lo più di equino, di felino oppure di uccello acquatico eccetera), mentre in quella inferiore protomi umane o divine; i supporti orizzontali del telaio presentavano pannelli con girali vegetali o palmette, talvolta completati da medaglioni con teste di profilo e/o piccoli riquadri figurati; più articolata e diversificata era la decorazione delle gambe, in cui elementi lisci si alternavano ad altri ricoperti da raffigurazioni anche a carattere narrativo. Scorrendo la documentazione pervenutaci (v. Letta 1984; Bianchi 2000, p. 95 ss., a cui vanno aggiunti i rinvenimenti più recenti), la prima caratteristica che mi sembra si possa sottolineare riguarda la varietà del repertorio: anche le tematiche più ripetute (penso ai satiri e alle menadi, agli eroti, alle figure femminili con grandi ali, alle teste arcaizzanti, alle teste di fronte o di profi- lo eccetera) (vedi in particolare il saggio di Bellini in questo catalogo) presentano sempre una certa originalità nell’impaginazione o nelle associazioni; ciò, se da un lato depone contro una pratica artigianale ripetitiva (fenomeno più che comprensibile dal momento che questo tipo di materiale rende difficile la realizzazione seriale), dall’altro sembra suggerire che nella scelta delle tematiche fosse tutt’altro che ininfluente la volontà del committente. E a conferma di ciò vorrei ora soffermarmi su alcuni esempi che mi sembrano particolarmente significativi. Uno dei soggetti che ha maggiormente attratto la mia attenzione è l’Apollo con tripode che ornava il cilindro della gamba del letto della tomba IV di Aielli (Faita 1989): la raffigurazione, originale e fortemente connotata in senso ideologico, comprende il dio di Delfi, stante a gambe divaricate sopra l’omphalos, con arco nella mano sinistra, ed Ercole, pure stante a gambe divaricate, con clava nella mano sinistra (fig. 3); fra i due dei è l’oggetto della contesa, il tripode, che entrambi afferrano con piglio deciso. Ma, se l’identificazione del soggetto non crea soverchi problemi (si tratta all’evidenza della messa in scena della mitica lotta che contrappose Eracle ad Apollo per il possesso del simbolo oracolare del santuario delfico), la sua presenza nel contesto in esame merita, invece, una qualche riflessione. L’originalità della scelta appare evidente, dal momento che il tema, che godette di grande fortuna nel repertorio arcaico greco (vascolare soprattutto, ma anche monumentale, come illustrano il famosissimo frontone del thesaurus dei Sifni e quello perduto, ma descritto da Pausania, X, 13, 7, dei Focèi) sembra precocemente cadere in oblio, per ricomparire poi in ambito centro italico su alcuni rilievi della metà circa del I sec. a.C., che precedono dunque la grande affermazione del soggetto, collocabile agli inizi dell’età imperiale (cfr. Faita 1989, p. 300 s.). Sono le terrecotte del tempio di Apollo sul Palatino che ce ne forniscono testimonianza: e la presenza di questo soggetto in un contesto fortemente connotato in chiave ideologica ne definisce l’ambito semantico in relazione allo scontro fra Antonio e Ottaviano, simboleggiati dalle due divinità con le quali i due antagonisti terreni si identificavano (Strazzulla 1990, p. 17 ss.), decretandone, di conseguenza, la fortuna ma anche la precoce fine. Certo, l’iconografia scelta dal coroplasta augusteo, che punta fortemente all’equilibrio fra le due figure che si fronteggiano levando il simbolo oracolare, appare ben diversa da quella utilizzata nel letto di Aielli, dove sembra avere la meglio Ercole, verso cui il tripode è inclinato; ben diverso è anche lo stile, raffinato e severizzante nelle terrecotte dal tempio palatino, più rozzo e immediato nel cilindro d’osso, opera di un artigiano piuttosto modesto. Tuttavia non credo si possa sfuggire all’ipotesi di collegare questo soggetto così particolare (il cui gradimento appare confermato dalla sua presenza in un altro cilindro d’osso pertinente ad analogo manufatto rinvenuto in un’area prossima e ora conservato a Berlino: Faita 1989, p. 301), all’intervento di una committenza di alto livello, che potrebbe averlo scelto proprio per le sue forti implicazioni simboliche. Quanto al significato che a esso era attribuito, resta da chiedersi se dobbiamo ricollegarlo alla propaganda augustea, e in tal caso leggerlo in chiave di spontanea imitazione del repertorio imperiale, fenomeno ben noto in periodo augusteo e acutamente indagato da Paul Zanker (1989), oppure non si possa ipotizzare una più sottile lettura in chiave escatologica, dal momento che l’insistita presenza di Ercole (la cui protome ornava anche i medaglioni del fulcrum) sembra suggerire che si sia inteso recuperare la contrapposizione fra l’Ercole buono (dei fulcra) e l’“altro Ercole” (del cilindro), a cui un filone della tradizione letteraria aveva imputato la responsabilità del ratto (Faita 1989). Un altro soggetto che merita un approfondimento, proprio nell’ottica di sottolineare la varietà delle scelte e l’eterogeneità dei modelli scelti dalla committenza di questi lussuosi mobili, è il personaggio barbato, pertinente alla decorazione del fulcrum di un letto da Fossa (d’Ercole, Martellone 2005) (fig. 1). La problematicità di tale soggetto, per cui non mi sembra sia stata, fino a oggi, proposta un’interpretazione sicura (l’identificazione con Ercole è probabilmente indotta dalla presenza della protome leonina), nasce soprattutto dalla mancanza di confronti probanti; e tuttavia, a ben guardare, ci sono elementi che sembrano indirizzarci verso una possibile identificazione: l’aspetto selvaggio, che si coglie sotto l’ordinata acconciatura arcaizzante, la posizione particolare, con una gamba tesa e l’altra piegata, a cui si aggiunge il fatto che il piede nascosto sembra essere calzato, sembrano indirizzarci verso un’identificazione con il re trace Licurgo, personaggio assai complesso che svolge un ruolo importante nella mitologia dionisiaca, in quanto esempio del potere punitivo del dio. Scorrendo la tradizione iconografica a esso relativa, emerge infatti che, pur essendo la maggior parte delle testimonianze concentrata in due momenti apparentemente non contigui (la tarda classicità greca e l’età imperiale romana: Farnoux 1992, p. 318), esse presentano forti analogie con la piccola scultura da Fossa. D’altronde, non desta meraviglia il ritrovare Licurgo in un contesto funerario, dal momento che i particolari della posizione e del monosandalismo, su cui si è spesso soffermato G.L. Grassigli (1995), possono essere intesi come indicatori di un cambiamento di condizione: ecco dunque che il feroce re, condannato alla pazzia da Dioniso, diventa il simbolo di un passaggio di stato che ben si accorda con la destinazione del manufatto. Ad ambito dionisiaco ci riporta anche l’originale decorazione del letto dell’Esquilino, accuratamente indagato da E. Talamo (19871988): sui cilindri delle gambe troviamo delicate fanciulle che tengono fra le braccia un neonato, in cui, a ragione, la studiosa ha riconosciuto Dioniso accudito dalle ninfe di Nisa (vedi saggio di Talamo in questo catalogo); il soggetto sembra affermarsi nelle corti ellenistiche, come risulta dalla descrizione di Ateneo di Naucrati della famosa processione tolemaica (su cui Rice 1983) e da alcuni manufatti, quali uno specchio in bronzo da una tomba di Philippopolis (Plovdiv) e un alabastron d’argento da Palaiokastro (Talamo 1987-1988, figg. 46, 47). I raffronti addotti, oltre a confermare la molteplicità di fonti a cui attingevano gli artigiani che creavano questi eleganti manufatti, ci riportano, significativa- mente, verso l’ambito macedone e tessalo, dove le tematiche dionisiache, rilanciate dalla propaganda di Alessandro, risultano ben attestate. I tre esempi citati illustrano bene la varietà del repertorio, che recupera soggetti che appartengono a una tradizione arcaica (la lotta per il tripode), classica (Licurgo) o ellenistica (infanzia di Dioniso), mediati verisimilmente da ambito greco continentale e/o greco orientale. E questa considerazione (unitamente a quella sopra espressa relativa alla tipologia delle gambe) ci induce a ripensare al problema delle direttrici attraverso cui tale moda, che è spesso ricondotta al mondo alessandrino (ma più per una posizione di comodo che per un reale approfondimento), sia giunta e si sia radicata in Italia. Una moda venuta da lontano Che alla radice di questa tradizione ci siano artigiani fatti venire dall’esterno è fuori di dubbio; altrettanto plausibile appare l’ipotesi che a queste maestranze itineranti si siano presto affiancati artigiani locali meno abili che imitano, talvolta anche innovando, i prodotti di maggior qualità: ne abbiamo conferma dal fatto che la produzione presenta, come d’altronde abbiamo sopra sottolineato, una grande disparità sul piano qualitativo. Ma tale considerazione rilancia la primitiva domanda: da dove arrivarono i primi artigiani? Qualche spunto per una possibile risposta sembra venire se raffrontiamo le suggestioni emerse dal cursorio esame di alcune iconografie con il quadro storico relativo ai secoli dell’affermazione della moda, ma soprattutto alla fase della sua introduzione. Gli inizi del II sec. a.C., epoca a cui sono fatte comunemente risalire le prime attestazioni di letti in osso, fu un momento cruciale per il mondo romano, in cui si susseguirono eventi che mutarono non solo il panorama politico mediterraneo, ma anche la società a cui appartenevano i conquistatori: le date e i nomi cardine di questa “rivoluzione” sono il 197/196 a.C. (vittoria di Tito Quinzio Flaminino su Filippo di Macedonia e concessione della libertà alle città greche) e 189/187 (vittoria di Scipione Asiageno su Antioco III e pace di Apamea; vittoria di Manlio Vulsone sui Galati d’Asia). Nulla fu come prima dopo questi avvenimenti che segnano l’intensificarsi dei rapporti fra Roma e il mondo della grecità ellenistica, continentale e orientale, la cui conseguenza, percepita anche dai contemporanei, fu quel fenomeno dell’ellenizzazione dei costumi contro cui tuonarono invano i rigidi custodi della tradizione. In questo quadro politico i rapporti con il mondo tolemaico furono senz’altro più marginali, soprattutto sotto l’aspetto dell’“importazione” di quegli artisti e artigiani che sciameranno invece verso Roma dopo la sconfitta dell’ultima regina d’Egitto; naturalmente, non si esclude qualche occasionale presenza nella capitale prima della caduta del regno tolemaico (v. per esempio l’aneddoto riportato da Valerio Massimo: V, 1,1), ma il quadro di riferimento, tracciato con grande precisione da F. Coarelli (1996), mostra che nella prima metà del II sec. a.C. c’era nell’urbe un deciso predominio della cultura di tradizione greca e asiatica, non a caso i medesimi ambiti verso cui ci ha portato anche l’analisi iconografica dei nostri tre soggetti. Se dunque è vero che nel corso della prima metà del II sec. a.C. furono soprattutto le maestranze già al servizio dei sovrani macedoni e siriaci ad arrivare in massa, come sfuggire all’ipotesi che la moda dei letti d’avorio e d’osso, espressione di quella luxuria asiatica di cui ci parla Plinio (N.H. XXXIII, 148), sia pervenuta al mondo italico anzitutto per il tramite della capitale, ma poi anche grazie ai contatti con l’altra sponda dell’Adriatico, che con il mondo delle aristocrazie italiche aveva antichi e consolidati rapporti? Queste poche considerazioni non bastano certo per dare confini netti a un problema che è lungi dal poter essere considerato risolto, e sarà dunque necessario in futuro rivedere l’intera problematica, analizzandola per ambiti topografici e cronologici: non è escluso infatti che nel corso dei più di due secoli in cui la tradizione dell’uso funerario dei letti d’osso è attestata, siano mutati i referenti e i modelli e anche Alessandria abbia potuto svolgere un ruolo importante. Per un’interpretazione del letto di Aquinum: spunti di riflessione A conclusione di questa breve nota mi sembra doverosa una breve riflessione sullo straordinario rinvenimento di Aquinum, che per l’ottimo stato di conservazione in cui ci è giunto bene illustra la vitalità dell’artigianato locale, pronto ad assimilare e a rielaborare i molteplici spunti che provenivano dall’esterno, come dimostra la ricchezza della decorazione su cui vorrei ora brevemente soffermarmi. Per quanto riguarda l’iconografia, colpisce anzitutto la compresenza di elementi tradizionali con altri, invece, assolutamente originali: se consideriamo per esempio le teste di cigno che costituiscono la terminazione superiore del fulcrum, possiamo osservare che esse, pur trovando ampi raffronti nel repertorio dei letti funerari, presentano una significativa variatio per la presenza del lembo di stoffa che l’uccello scosta con il becco, nell’atto, forse, di svelare la scena che si svolge in basso. Analogamente, le figure femminili alate che ornano le gambe, pur risultando ben documentate anche in altri manufatti, sono qui caratterizzate dai serti fra i capelli e dagli attributi retti nella mano destra. Del tutto originali sono le Centauresse inginocchiate che, se da un lato evocano il mondo dionisiaco, dall’altro si connotano più precisamente in relazione alla cerimonialità del sacrificio, grazie alla presenza della pisside. Non sembrano infine trovare confronto nel repertorio più tradizionale le quattro teste giovanili di profilo, poste nei medaglioni che costituiscono la parte terminale inferiore del fulcrum: esse infatti risultano caratterizzate dalle corpose collane di fiori (rese peraltro in modo assai schematico), che sembrano alludere a momenti del culto e/o del rito. Se poi passiamo all’analisi stilistica, notiamo un forte divario qualitativo: da un lato ci sono raffigurazioni di grande qualità, come per esempio le teste di cigno, rese con grande acribia e forte impianto naturalistico, che si estende all’accurata trattazione del piumaggio, o le figure alate, che sembrano far riferimento a modelli attici della fine del V-IV sec. a.C., dall’altro realizzazioni decisamente modeste, come le centauresse, in cui la sproporzione del corpo e la goffaggine della posizione mostrano con evidenza che l’artigiano si è mosso senza avere riferimenti iconografici codificati. Non meno articolato e complesso appare il programma decorativo, giocato fra riferimenti cultuali e allusioni simboliche, forse in chiave funeraria: le figure femminili alate infatti, a un primo e immediato livello di lettura possono evocare il trasporto dell’anima del defunto (o della defunta), mentre le erme, recuperando il loro originario significato di elemento di confine, starebbero a simboleggiare il passaggio fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Ma si tratta, all’evidenza, di nulla più che suggestioni, che dovranno essere accuratamente verificate attraverso un’attenta analisi che tenga conto anche del contesto sociale per cui il manufatto è stato creato, dal momento che, nel realizzare la complessa decorazione, l’artigiano è stato fortemente condizionato dalla volontà del committente. Bibliografia: M. Andronikos, 1993; P. Bernard, 1970; Ch. Bianchi, 2000; F. Coarelli, 1996; E. De Carolis, 2007; V. d’Ercole, A. Martellone, 2005; T. Eckinger, 1929; M. Faita, 1989; A. Farnoux, 1992; S. Faust, 1989; G.L. Grassigli, 1995; C. Letta, 1984; R.V. Nicholls, 1979; E.E. Rice, 1983; K. Sismanides, 1997; M.J. Strazzulla, 1990; E. Talamo, 1987-1988; J.M.C. Toynbee, 1971; P. Zanker, 1989. scheda catalogo www.electaweb.com TRA LUCE E TENEBRE LETTI FUNERARI IN OSSO DA LAZIO E ABRUZZO Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo 24 aprile – 2 novembre 2008 Catalogo Formato Pagine Illustrazioni Prezzo Electa A cura di Marina Sapelli Ragni 17x24 cm 128 50 euro 18 Sommario Pag. 11 Introduzione Marina Sapelli Ragni Pag. 15 I letti in avorio e osso: tipologia e apparato decorativo Elena Francesca Ghedini Pag 26 Archeologia medioitalica. Il senso di una mostra fra Lazio e Abruzzo Anna Maria Reggiani Pag 39 Un nuovo rinvenimento da Aquinum: il letto in osso della tomba 6 Giovanna Rita Bellini Pag. 49 Elementi in osso dalla tomba 6 della necropoli di Aquinum. Dal contesto alla ricostruzione Stefano Pracchia, Mara Carcieri Pag. 59 Letti funerari in osso dall’Abruzzo alla luce delle ultime acquisizioni. Simboli delle aristocrazie italiche Vincenzo d’Ercole, Alberta Martellone Pag. 69 Un letto funerario da una tomba dell’Esquilino Emilia Talamo Pag. 74 Tracce di lavorazione sugli elementi in osso della tomba 6 di Aquinum Mara Carcieri, Enrico Montanelli Pag. 81 Sol me rapuit. Fantasmi di antenati, immagini del sentire e dell’essere, icone del ricordo: opere di Umberto Passeretti pag. 97 Catalogo pag. 121 Bibliografia