Le memorie di Wong Kar-wai: tra il tempo perduto e il tempo ritrovato
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Le memorie di Wong Kar-wai: tra il tempo perduto e il tempo ritrovato
Laurea magistrale in Lingue e culture dell’Asia Orientale Tesi di laurea Le memorie di Wong Kar-wai: tra il tempo perduto e il tempo ritrovato Relatore Ch. Prof. Paolo Magagnin Correlatore Ch.ma Prof.ssa Nicoletta Pesaro Laureando Elisabetta Zorzi Matricola 813935 Anno Accademico 2013 / 2014 Ai miei genitori, Giorgia, Andrea e Matteo, per il loro supporto e il loro affetto 1 Indice I. 前言 3 1. Introduzione 6 2. Il cinema di Hong Kong 8 2.1 Le origini del cinema fino agli anni Sesssanta 8 2.2 Dagli anni Sessanta alla New Wave 13 2.3 Déjà Disparu: lo spazio della scomparsa e il nuovo cinema di 17 Hong Kong 3. Il mondo cinematografico di Wong Kar-wai 24 3.1 Wong Kar-wai: cenni biografici 24 3.2 Il “metodo” Wong Kar-wai 31 4. La visione del tempo nel cinema di Wong Kar-wai 35 5. La trilogia latina 42 5.1 La leggenda dell’uccello senza zampe: Days of Being Wild (A Fei 42 Zhengzhuan, 1991) 5.2 L’amore in un’epoca d’innocenza: In the Mood for Love 54 (Huayang Nianhua, 2000) 5.3 Una storia da ricordare: Happy Together (Chun Guang Zha Xie, 71 1997) 6. Conclusioni 84 7. Appendice: Filmografia 86 8. Glossario di termini cinematografici 98 9. Bibliografia 105 2 前言 我的毕业论文题目是 《王家卫的记忆:失去的时间与找回的时间》。王 家卫一九五八年七月十八日出生于上海。六零年代初,中国发生了大变化,消 费水平降低了,改革的倾向与毛泽东的斗争变得越来越强,所以王家卫, 他父 母,还有很多人搬迁到上海。 他属于新香港导演的第二潮, 他的电影方式是戏剧性和善感。 这个导演 把他的电影建立在香港。王家卫把这个城市描写得很支离破碎和流离失所。 他的才能是结合不同的电影体裁, 从戏剧,武打片到喜剧。由于很多形象的使 用, 王家卫的革命,创造和试验性的才能受到所有人赞赏,并使他的观众进入 到角色中。 这篇论文的目的是用他的电影来分析和记忆时间,特别是《阿飞正传》, 《花样年华》和《春光乍泄》。 时间的观念散布在他整个的影片中,他的摄影技巧,场面几乎是一样的,但是 人物的刻划,或者其它成分,比如时钟,并不一样。他办事总是那么一板一眼, 注重每一个细节。 在历史和个人的方面,时间和空间统一了:即使时过境迁,但仍记忆犹 新。他对电影的未来充满了担心, 也害怕权力的交接,给自己的身份带来影响。 为了表示乡愁,王家卫的电影中,所有的人物和地点都存在联系。他在这里表 现他的压抑,比如《花样年华》。 为了描写这样的情况,王家卫使用过去的元素和地点,比如歌曲,服穿, 发型。就像张曼玉在《花样年华》中穿的旗袍,她在影片中的经典旗袍秀引领 时代对旗袍美的评价。 王家卫小时候,就和他的父母搬迁到香港,所以他的电影好像一个自传 的小说。因为特指自己的过去,比如《阿飞正传》这部电影中的水手,就有王 家卫父亲的影子。 本文有九章,其中从第二章到第五章,描写最主要的部分,第一章是引 言,它介绍了论文的结构。 3 第二章阐述香港电影的历史,它介绍了电影的起源和现状。从二十世纪 六十年代到九十年代,香港电影变成一种重要的产业,并且在世界各地上演。 香港 是一个资本主义社会,融合了东方和西方的文化。通过了这个艺术工具, 抒写了香港自己的电影产业。三十年代之前,香港还是一个次要的电影市场, 主要的电影市场是在上海和广州。 在一九六零年这个时期电影有了很多类型:从喜剧片到歌舞片,从戏剧 到粤剧,但是最重要还是武侠片。 在六十年代末,经济萧条,学生运动频发,社会动荡,同时由于出现了 有线广播电视,电影产业逐渐萎缩,很少人去电影院看电影,因此广东的电影 院逐渐关门。在这种情况下,导演们纷纷转型,将自己的电影放在电视上供人 们观看。 一九七九年香港出现了一个新导演的浪潮,在这里有很多导演,比如许 鞍华,徐克,谭家明和方育平,他们在外国学习了,接触并了解了西方的电影 风格。 八十年代是一个繁荣的时期,因为建立了新电影发行公司,比如新艺城 和电影工作室。在这个时期香港出现了第二代年轻导演:关锦鹏,刘国昌,罗 卓瑶和王家卫。他们运用传统的元素,还有试验的气魄,这些电影在九十年代 得到了全世界的赞赏。 第三章介绍王家卫的电影世界:他的童年时期,全家搬迁到香港的原因 和他在那的生活,以及他所有的电影。这章也展现了他拍摄电影的手法。他的 手法之一就是由两个人物组成,并且与其它人物的命运相交,比如《花样年 华》,王家卫讲述了一个已婚男子和一个已婚女子偶然相遇,相爱,但不能相 守的故事。王家卫受西班牙文学的影响很大,尤其是 Manuel Puig 和 Gabriel García Márquez. 从 Manuel Puig 身上承袭了细节的用法,感情,手势, 言词, 还有些重要的事件。 第四章是关于时间发展的问题,在王家卫的电影里这个观念很重要。因 为导演要描写各人物对时间的感悟,还有时间的意义。这些是他所关心的事情。 王家卫表达不同形式的时间:限定时间,相爱时间,回忆时间,还有在《春光 乍泄》电影中的两个主人公分手后所表现出的孤独时间。 4 通过 《阿飞正传》,《花样年华》 和《春光乍泄》的画面和音乐,这三 部电影来解说什么是过往的时光。在电影《阿飞正传》,《花样年华》中,王 家卫用他细腻的手法来表达他对六零年代香港的追忆,因为那是他的青年时期。 在《阿飞正传》这部电影中讲述了阿飞从来没见过自己的亲生母亲,从 小就由养母养大,所以他对生命中遇到的每一个女人都冷酷无情。他从养母那 里知道生母的住处,决定去菲律宾,历经千辛万苦,找到了自己的亲身母亲, 但是母亲不愿和他相认,他就带着怨恨离开。 《花样年华》描写了一九六二年的香港,男主人公夫妇和女主人公夫妇 同时搬进了同一栋公寓。直到有一天,男女主人公他们发现自己的另一半成了 一对婚外恋的主角。他们在配偶背叛的阴影下,小心翼翼的接近对方。但这样 的结局注定是没有结局的。这部电影也描述了六十年代,一群上海人如何在香 港生活的。王家卫的这部电影是根据著名文学家刘以鬯的《对倒》小说来改编 的。他巧妙的借鉴了刘以鬯的《对倒》小说中所表达的思念之情,将其充分的 展现在大银幕上,使观众产生共鸣! 《春光乍泄》这部电影叙说了一对同性恋人,黎耀辉和何宝荣。 为了有 新的开始,决定去阿根廷看伊瓜苏瀑布,却在半路中迷路了,之后因为争吵两 人决定暂时分开。只有黎耀辉一个人去看了大瀑布,在瀑布下,他感到非常孤 独,决定返回香港。途中他去了趟台北,却在那里有所领悟,要开开心心地在 外面流浪,就要有一个可以回去的地方。同时在这部电影中也体现出九七香港 回归前两个同性恋男子对回归之后身份归属的担忧。这部电影是在阿根廷拍摄 的,这个地方离香港很远,并且这个地方让王家卫回忆起当时流浪的生活。 第六章介绍了这篇论文的结论,提要。在附录有王家卫的所有电影: 《旺角卡门》, 《阿飞正传》,《东邪西毒》,《重庆森林》,《堕落天使》, 《春光乍泄》, 《花样年华》,《2046》,《手》,《My Blueberry Nights》 和《一代宗师》。 在最后一章附带意大利文,英文和中文电影技术名字的注释词表。这为 观众了解导演的电影世界提供了帮助。 5 1. INTRODUZIONE Wang Jiawei 王家卫, conosciuto a livello internazionale come Wong Kar-wai, è indubbiamente l’autore di un cinema suggestivo e saliente che si pone al di fuori dei soliti metodi di rappresentazione che stanno alla base del cinema narrativo classico. Egli appartiene alla Seconda Nuova Ondata di registi di Hong Kong ed è noto per il suo stile sensibile e melodrammatico, che spesso si focalizza sulla città di Hong Kong, la quale viene rappresentata in maniera dislocata e frammentata. Ha la capacità di fondere linguaggi e generi diversi (melodramma, film d’azione, commedia) in uno stile sperimentale, proprio di quei registi della Seconda Nuova Ondata. La sua fama nel mondo cinematografico contemporaneo si deve in gran parte al suo talento pittorico, alla sua capacità di trascinare lo spettatore all’interno delle proprie opere, grazie anche all’uso suggestivo delle immagini. L’elaborato sviluppa il tema della memoria, ossia il tempo del ricordo e il tempo del passato. In Days of Being Wild, Happy Together e In The Mood For Love emergono i legami del regista con la “sua” Hong Kong, ponendo l’attenzione sugli anni della sua formazione, al rapporto con la storia delle città della sua giovinezza. Il cinema di Wong Kar-wai è radicato nella realtà culturale di Hong Kong, ma è anche influenzato dalla tradizione del cinema moderno occidentale. I suoi film non prevedono mai una sceneggiatura dettagliata, ma solo “poche pagine di appunti da modificare durante il tournage, in base alle suggestioni della location al lavoro di direzione degli attori” come spiega Silvio Alovisio.1 Il lavoro si apre con un profilo storico sul cinema di Hong Kong, dalle origini ad oggi, ponendo l’attenzione sui registi più importanti che hanno contribuito allo sviluppo dell’industria cinematografica della città, approfondendo il concetto di “spazio della scomparsa” e di déjà disparu, tratti dall’opera di Ackbar Abbas.2 Nel terzo capitolo viene tratteggiata la figura di Wong Kar-wai, dagli anni della sua infanzia, dall’esilio a Hong Kong, causato dall’instabilità politica ed economica del paese, dal forte legame con la famiglia, passando alla descrizione del suo metodo di lavoro cinematografico. 1 Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, Il Castoro Cinema, Milano, 2010, p. 43. Ackbar Abbas, Hong Kong: Culture and the Politics of Disappearance, Minneapolis, University of Minnesota, 1997. 2 6 Con il quarto capitolo si viene a delineare il concetto di tempo nelle opere cinematografiche del regista in tutte le sue sfaccettature, sviluppando nel capitolo quinto il tempo della memoria, analizzando il significato della memoria del tempo passato attraverso la sequenza di immagini e di musiche nei film Days of Being Wild, Happy Together e In the Mood for Love. La trilogia presa in considerazione ricostruisce i ricordi del tempo passato, l’incapacità di riconoscere i sentimenti altrui, un tempo che viene smembrato, frantumato e analizzato alla ricerca del suo io. Un flusso di coscienza nel passato dell’autore, ma anche attuale per dare forma alla sua identità. In appendice, infine, è stata inserita tutta la filmografia di Wong Kar-wai, dalle trame di ogni singolo film ai riconoscimenti ottenuti a livello internazionale, seguita da un glossario italiano-inglese-cinese dei termini cinematografici come strumento di supporto al lettore, per cogliere al meglio il mondo cinematografico del regista in ogni sua sfumatura. 7 2. IL CINEMA DI HONG KONG 2.1 Le origini del cinema fino agli anni Sessanta Il cinema arriva in Cina nel 1896 e ricorre al termine diànyǐng 电影 “ombre elettriche”, oppure all’espressione diànguāng yǐngxì 电光影戏, 影 spettacolo di ombre elettriche”, come se volesse mantenere un legame con la tradizione storicoteatrale, che con questo nuovo linguaggio assume la forma di una serie di immagini che vengono riprese e poi proiettate, ossia “elettriche”. Hong Kong, dagli anni ’60 agli anni ’90 del XX sec., è stata sede di una delle industrie cinematografiche più attive del mondo. Società capitalista e consumista, un incrocio tra Oriente e Occidente, ha trovato nel cinema un mezzo artistico attraverso il quale esprimersi. La storia del cinema di Hong Kong, infatti, è legata all’eredità culturale e alle vicende storiche e politiche della Cina. Fino agli anni ‘30, questo cinema ha avuto un ruolo marginale, in quanto i maggiori centri produttivi all’epoca erano Canton e Shanghai. Nel 1923 Li Minwei 黎民伟3, insieme a Liang Shaobo 梁少伯, al fratello Li Beihai 黎北海 e al cugino Li Haishan 黎海山, fonda la prima società hongkonghese, la Minxin 民新电影公司 (China Sun Motion Picture Company), che segna l’inizio dello sviluppo dell’industria cinematografica del territorio. Il primo lungometraggio prodotto fu Yanzhi 胭脂4 di Li Beihai. La casa di produzione, a causa di un attacco contro l’imperialismo occidentale che fece crollare l’economia della colonia5, fu trasferita a Shanghai nel 1926, e in seguito fu assorbita dalla Lianhua Film Company 联华影业公司6 nel 1930. Li Minwei, con l’amico Luo Mingyou 罗明佑 (fondatore della North China Film Company 中国北方影业公司 nel 1927), iniziarono a collaborare, mettendo insieme le due società cinematografiche nella produzione di Gudu Chunmeng 故都春梦 (Spring Dream In The Old Capital) nel 1930. Infine, nel 33 Li Minwei fu direttore teatrale, documentarista e fotografo. Egli dirige il primo film a Hong Kong Zhuangzi Shi Qi 庄子试妻 (Il maestro Zhuang mette alla prova la moglie) nel 1913. 4 Il titolo inglese è Lipstick: il film è ispirato a un racconto fantastico del Liaozhai zhiyi 聊斋志异 (I racconti fantastici dello studio Liao) di Pu Songling 蒲松龄. 5 Stephen Teo, Hong Kong Cinema. The Extra Dimension, London, British Film Institute, 1997, cap.1, pp. 3-8. 6 La compagnia cinematografica Lianhua prediligeva film artistici e letterari, apprezzati dal pubblico intellettuale. 8 1931 Li Minwei e Luo Mingyou stabilirono una terza compagnia cinematografica, la Da Zhonghua Baihe Film Company 大中华百合公司, a cui prese parte anche Huang Yicuo 黄漪磋. 7 La compagnia mantenne il suo studio a Hong Kong, sebbene Shanghai fosse meta per molti registi cinesi in cerca di successo. L’“età d’oro” di Shanghai durò parecchi anni, fino a quando la Cina fu coinvolta prima nella guerra sino-giapponese del 1937, poi nella guerra civile tra nazionalisti e comunisti, in particolare dal 1940. Durante il periodo di guerra, la produzione cinematografica proseguiva in altre città. Dopo la caduta di Shanghai, il 13 agosto del 1937, i giapponesi occuparono tutte le aree della città, eccetto le concessioni straniere.8 Con la prima invasione giapponese nel 1937, molti talenti artistici, cinematografici cinesi dovettero allontanarsi dalla città, trasferendosi a Hong Kong e in altre città della Cina, altri continuarono la loro attività artistica nell’“isola orfana” della concessione straniera di Shanghai, controllata dal Giappone a partire dal 1941. La questione dell’industria cinematografica di Shanghai rimane un “buco nero”, per quanto riguarda quei registi cinesi che, dopo la totale resa della città, hanno continuato a lavorare alla Huaying 华影9, sotto il controllo giapponese, e per questo accusati di essere delle spie e dei traditori. In Cina nasce, anche, un nuovo genere: “il cinema al servizio della nazione”.10 Si trattava di film patriottici che ricostruivano con immagini l’invasione nei villaggi cinesi, le atrocità commesse da parte dei giapponesi. Come detto precedentemente, le vicende della guerra civile in Cina costrinsero molti registi ad abbandonare Shanghai e di conseguenza molte case di produzione trasferirono la propria sede a Hong Kong. La prima fu la Tianyi Yingpian Gongsi 天一影片公司 nel 1934.11 Apparentemente, Hong Kong sembrava più sicura, dato che il governo nazionalista del Guomindang aveva proibito la produzione di film in cantonese, sia quelli fantastici e di arti 7 Il nome completo della compagnia era Lianhua Production and Printing Company 联华影业公司, Stephen Teo, Hong Kong Cinema. The Extra Dimension, London, BFI, 1997. 8 A Shanghai esistevano due concessioni: la concessione internazionale e la concessione francese. La prima fu occupata dai giapponesi a partire dal dicembre del 1941, dopo la dichiarazione di guerra del Giappone sulle potenze occidentali, mentre la seconda fu automaticamente alleata del governo di Vichy. 9 Nome abbreviato della compagnia cinematografica Zhonghua Dianying Lianhe Gufen Youxian Gongsi 中华电影联合股份有限公司 (United China Motion Picture Company Limited), fondata nel 1942 e considerata dagli storici e dai critici cinesi come una società fasulla. 10 AAVV, Ombre elettriche. Cento anni di cinema cinese (1905-2005), Marco Müller ed Elena Pollacchi (a cura di), Milano, Mondadori Electa, 2005, p. 21. 11 Il nome cinese era Great Unity Film Studio. 9 marziali, in cinese wuxiapian 武侠片: la figura del cavaliere errante, infatti, era percepita come una minaccia alle virtù confuciane e fonte di ribellione contro l’autorità paterna; il fantastico, invece, era condannato in quanto favoriva la superstizione. A metà degli anni ‘30 Hong Kong emerse come il centro del cinema cantonese in tutto il Sud-Est asiatico; i generi wuxiapian e del fantastico cominciarono a imporsi come una delle caratteristiche principali del suo cinema, il quale, con l’arrivo del sonoro nel 193312, attinse all’opera cantonese, una forma teatrale autoctona che univa canto, danza e acrobazie. Un altro genere che discende direttamente dal cinema di Shanghai è il wenyipian 文艺片, melodramma di ispirazione letteraria o paraletteraria. Inizialmente il termine wenyi 文艺13 indicava il film d’arte e cultura in opposizione a shenghuai, che evocava superstizione. I shenghuai wuxia 生 淮 武 侠 , wuxiapian fantastici, costituivano un genere alternativo e distinto da quello realista, usando effetti d’animazione disegnati direttamente sul fotogramma, in modo da visualizzare raggi che partono dalle mani dei duellanti, la cosiddetta “palma radiante”.14 Caratteristico del cinema di Shanghai e trapiantato, poi, a Hong Kong è il genere xiansheng 先生 (“sing-song girls” in inglese), è il melodramma con canzoni, di cui sono protagoniste prostitute paragonabili alle geisha giapponesi. Le star di questo genere incarnano il tipo delle femmes fatales, eroine distruttive e fatali, e hanno come partner personaggi maschili deboli ed effeminati. I film sono caratterizzati da intermezzi canori (chaqu 插曲), in cui la protagonista esegue una canzone, accompagnata da sottotitoli, in cui vengono riportati i versi in modo che anche il pubblico possa cantare. Solo negli anni ‘70, grazie a una reinvenzione di questi generi, che si mescolano tra di loro, il cinema cantonese riesce a primeggiare in patria e a espandersi oltre i propri confini. Compaiono i wudapian 武打片, successori dei film di kung-fu, che si uniranno alla comicità nonsense wulituou 无厘头 dando vita a un filone di film d’azione comica che avrà gran successo; i gechangpian 歌唱片, più vicino al mondo occidentale di musical. Infine gli yingxiongpian 英雄片 (film di eroi), chiamati anche film hardboiled, le cui trame hanno solitamente come protagonisti poliziotti o 12 Nel 1933 viene distribuito il primo film sonoro cantonese, Baijin Long 白金龙 (White Gold Dragon) prodotto a Shanghai dalla Tianyi. 13 Il termine wenyi deriva da wenxue 文学, “letteratura”, e yishu 艺术, “arte”. 14 Alberto Pezzotta, Tutto il cinema di Hong Kong. Stili, caratteri, autori. Baldini & Castoldi, Milano, 1999, p. 27. 10 gangster. Ciò che caratterizza il lato dell’azione sono le sparatorie, mentre il lato tematico è caratterizzato dall’amicizia fraterna tra uomini. L’invasione giapponese nel 1937 costrinse molti registi e intellettuali alla fuga verso la colonia britannica. Dal 1941 al 1946 anche Hong Kong subì l’occupazione da parte del Giappone, con un conseguente arresto dell’industria cinematografica. La produzione praticamente si blocca e i giapponesi non riescono a creare “studios collaborazionisti” come a Shanghai. In seguito alla liberazione e alla fine della guerra, i collaborazionisti di Shanghai trovarono comunque asilo a Hong Kong, contribuendo ad arricchire l’industria cinematografica. Durante la guerra civile cinese, dal 1946 al 1949, proseguì la fuga di registi verso Hong Kong, contribuendo al risorgere dell’industria. Nel dopoguerra i film erano una sorta di svago più economico: la televisione a pagamento arrivò solo nel 1957 e la sua distribuzione avvenne solo nella metà degli anni ’60. Il mercato di Hong Kong era ristretto e l’industria cinematografica dipendeva dall’esportazione nel Sud-Est asiatico, dove i film promuovevano un sentimento che Stephen Teo ha chiamato “nazionalismo astratto”15, che esprimeva la nostalgia verso la madrepatria e il legame con le tradizioni. Si tratta di un sentimento nazionalistico che non si identifica con un regime politico particolare, ma guarda alla Cina, tianxia 天下, “Impero celeste”16, come a una grande madrepatria e centro dell’universo. Negli anni ’50 a Hong Kong il cinema girato in cantonese aveva budget più ridotti rispetto al cinema in mandarino.17 Il suo punto di forza continuavano a essere le versioni filmate di opere cantonesi; ma è proprio in questo periodo che emergono personalità impegnate socialmente che cercano di riflettere sul rapporto tra tradizione e modernità. La crescita dell’industria cinematografica si accompagna alla creazione di un sistema nel quale i produttori possedevano teatri di posa e laboratori, e controllavano anche la distribuzione. Dopo la vittoria di Mao, le due Cine continuavano a finanziare le proprie compagnie hongkonghesi, anche se molti registi di sinistra tornarono in Cina. Fino alla metà degli anni ’50 i film erano girati a Hong 15 Stephen Teo, Hong Kong Cinema. The Extra Dimension, London, British Film Institute, 1997, cap.1, p. 23. 16 Letteralmente tianxia significava “il mondo sotto il cielo”. 17 Il cinema girato in mandarino aveva risorse maggiori ed era aperto agli influssi occidentali, dal musical ai melodrammi, che si incrociavano con la versione cinese di mélo, nota con il nome di wenyipian 文艺片, letteralmente “film d’arte e cultura”. 11 Kong, mentre le loro storie erano ambientate a Shanghai, manifestando nostalgia per la patria lontana. Gli studios principali erano la Grandview (o Daguan 大观) e la Great China (o Da Zhonghua 大中华) per i film mandarini e cantonesi, la Yonghua 永华 (che viene poi assorbita dalla MP & GI nel 1957), la Great Wall (Changcheng huapian gongsi 长城画片公司) e la Nanyang 南洋 per i film mandarini. La seconda metà degli anni ‘50 è caratterizzata dalla rivalità tra due case di produzione, la Dianmao 电茂, nota come MP & GI (Motion Picture & General Investment), fondata da Lu Yuntao 陆运涛 nel 1956, e la Shaoshi Xiongdi 邵氏兄弟, nota come la Shaw Brothers Film Company, fondata dal fratello più giovane Shao Yifu 邵逸夫, noto come Sir Run Run Shaw, nel 1957. Entrambe le società cinematografiche puntarono a una maggiore qualità e spettacolarità. Nel 1959 viene prodotto il primo film hongkonghese a colori da parete della Shaw Brothers, Jiang shan meiren 江山美人 (The Kingdom And The Beauty) di Li Hanxiang 李翰祥.18 L’anno successivo fu fondato il grande complesso Shaw Movietown, dotato di teatri di posa e laboratori, ma anche di scuole di recitazione e dormitori per i dipendenti. La fine degli anni ‘50 è anche il periodo del boom dell’economia hongkonghese: il pubblico, infatti, chiede film che rispecchino l’ottimismo di Hong Kong nell’affrontare il mondo moderno.19 18 Li Hanxiang (1926-1996) era uno specialista di melodrammi storici. Per le compagnie cinematografiche si veda Alberto Pezzotta, Tutto il cinema di Hong Kong. Stili, caratteri, autori, Baldini&Castoldi, Milano, 1999, p. 33. 19 12 2.2 Dagli anni Sessanta alla New Wave Il cinema di Hong Kong è uno dei fenomeni più sorprendenti nel panorama cinematografico mondiale. Si è soliti parlare della produzione di film provenienti da quest’area riducendoli agli elementi caratteristici: spade, kung-fu, pistole e fantasmi. Le pellicole di Hong Kong hanno avuto un ruolo importante sul mercato mondiale: nell’esportazione, esse hanno dominato il mercato asiatico e superato quasi tutti i paesi occidentali, a esclusione degli Stati Uniti.20 Alla metà degli anni ’60, il cinema della colonia era dominato da una vasta gamma di generi, andava dalla commedia al musical, dal dramma storico all’opera cantonese. Tuttavia, il rinnovamento linguistico investì in modo particolare le arti marziali: in quegli anni gli scrittori di romanzi di cavalieri erranti iniziarono a presentare personaggi più complessi e innovativi rispetto alla tradizione. In passato, infatti, il cinema di arti marziali si era ispirato all’opera cantonese e pechinese, in cui venivano raffigurate le fantastiche imprese di spadaccini. In questi anni, però, la messa in scena teatrale e poco realista con effetti speciali elementari non erano più sufficienti. Tutto questo pesava sia sul pubblico sia sui produttori, in questi ultimi cresceva il sentimento di competizione con i film giapponesi di samurai e dei western americani. Pertanto produttori come Shaw e Lu Yuntao cominciarono a interessarsi direttamente dei problemi di trasposizione filmica dei loro romanzi, ricercando un maggiore realismo e uno stile più moderno. Due registi importanti rinnovarono profondamente il cinema hongkonghese: Zhang Che 张彻 e Hu Jinquan 胡金铨, noto come King Hu. Il primo legato a un mondo dominato da eroi solitari che lottano per difendere i propri ideali, il secondo più legato alla tradizione di film delle arti marziali di cavalieri erranti nella variante fantastica, con eroi dotati di poteri prodigiosi. Non va trascurato che i suoi wuxiapian hanno proposto tematiche significative diverse, ponendo l’attenzione sui personaggi femminili e trattando temi filosofici e religiosi. Entrambi lavorarono al rinnovamento di un nuovo stile cinematografico hongkonghese guardando ai film giapponesi di samurai (chambara), ai western americani e a quelli italiani. I loro film sono più realistici, veloci, frammentati e violenti. Usano il montaggio, lo spazio e gli effetti 20 Si veda Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Dino Audino Editore, Roma, 2004, p. 5. 13 speciali in modo innovativo. Grazie a loro la figura del martial arts director diventa una figura chiave nella realizzazione dei film. Alla fine degli anni ‘60 il cinema cantonese è in fase di declino, almeno economicamente ed è pervaso da una serie di cambiamenti. Il 1967 è un anno importante sia perché, per la prima volta nel dopoguerra, Hong Kong diventa la sede di violenti scompigli in concomitanza con la Rivoluzione Culturale cinese, con attentati e scontri fra polizia e studenti. Inoltre, è un anno disastroso per il cinema cantonese, poiché con la nascita della televisione pubblica, la TVB, costringe la RTV a diventare pubblica. La conseguenza è che il pubblico, soprattutto femminile e operaio, non frequenterà più le sale. Molti registi cantonesi, disoccupati, vanno a lavorare in televisione. L’inizio degli anni ’70 fu caratterizzato da un senso di incertezza legata alla crisi economica e al diffondersi della criminalità organizzata, questo comportò una serie di cambiamenti: le difficoltà per gli Shaw Brothers si fecero sentire sempre di più con l’affermarsi di un nuovo genere, da parte della Jiahe 嘉禾 (Golden Harvest Film Company), fondata da Zou Wenhuai 邹文怀 (Raymond Chow) nel 1970, quello dei film di kung-fu o gongfupian 功夫片21, che presero il posto dei wuxiapian. La nuova e vera star del momento era Bruce Lee (Li Xiaolong 李小龙), il quale riuscì a ottenere un gran successo a livello internazionale, tanto che i suoi film vennero esportati in tutto il mondo. Era la prima volta che il cinema di Hong Kong arrivava in Occidente. Stilisticamente parlando, il cantonese venne considerato come la lingua ufficiale dei film hongkonghesi, il cinema si affermava come mezzo di intrattenimento e che portava avanti le tradizioni, ma anche come riflessione sul presente. Alla fine degli anni ’60 cominciarono a emergere figure che nutrivano ambizioni più alte.22 21 Il kung-fu è un genere dedicato alle tecniche orientali di combattimento a mani nude sorto a Hong Kong verso la fine degli anni ’60. Il cinema del gongfupian nasce in sostituzione del wuxiapian realistico. L’espressione è composta da gong, che si riferisce a una particolare abilità raggiunta in un qualsiasi campo, non limitata solo alla lotta fisica, e da fu, che indica un uomo adulto, un servo, un lavoratore. Insieme i due caratteri significano “abilità raggiunta da un uomo adulto”. L’altro termine che si accompagna al kung-fu è wushu 武术, composto da wu, che significa “guerra”, e da shu, che si riferisce a un’abilità tecnica, al sapere, all’arte. Dall’unione di kung-fu e wushu si ottiene il significato di “abilità raggiunta da un uomo adulto nell’arte di fare o fermare la guerra”. Giona Antonio Nazzaro, Enciclopedia del Cinema, http://www.treccani.it/enciclopedia/kung-fu_(Enciclopedia-del-Cinema)/, 2003 22 Una di queste figure fa riferimento alla regista Shu Shuen (Tang Shuxuan 唐书璇), autrice di Dong furen 董夫人 (The Arch) del 1969 e Zaijian Zhongguo 再见中国 (China Behind) del 1974. 14 Tuttavia fu la televisione, nella seconda metà degli anni ‘70, più precisamente nel 1979, a formare una nuova generazione di registi che avevano studiato all’estero e conoscevano il cinema occidentale, e che cercano di andare controtendenza tentando di percorrere nuove strade, come successe in Europa con il movimento della Nouvelle Vague. I registi della New Wave sono tutti esponenti della prima generazione nata a Hong Kong, al contrario dei loro predecessori, che erano profughi della Cina popolare o eredi del cinema cantonese. Si tratta di registi di alta professionalità che hanno dato una nuova immagine estetica e produttiva al cinema, come Ann Hui 许鞍华, Tsui Hark 徐克 Patrick Tam 谭家明 e Allen Fong 方育平. Essi introducono elementi di realismo assolutamente estranei agli standard televisivi, girando per la prima volta in ambienti naturali e con una troupe ridotta. Quello che accomuna questi registi sono lo stile realistico-sperimentale, utilizzando le strutture tipiche del genere (noir e poliziesco), la franchezza nell’affrontare i temi, come la violenza e i profughi del Vietnam o semplicemente mettendo in scena una Hong Kong quotidiana vista di rado 23 , lo stile secco e brutale, la disinvoltura nell’attingere dalla tradizione, nell’appropriarsi dei generi e mescolarli, l’uso del montaggio veloce. Proprio quando il governo di Margaret Thatcher si preparava a cedere il suo possedimento alla Cina, l’industria filmica conobbe il suo periodo d’oro. Al crescere degli incassi cinematografici l’unica cosa che contava in quel momento era soddisfare le esigenze di mercato. Gli anni ‘80 furono un periodo di prosperità per il cinema popolare locale, caratterizzato da progressi tecnici, ma anche da cambiamenti relativi ai valori produttivi e all’ampliamento del mercato. In questo periodo si delinea il “supergenere” di Hong Kong 24: una forma unica e nuova di cinema che fonde elementi propri della tradizione locale e del patrimonio culturale cinese con tratti riconducibili al cinema di Hollywood. L’ultimo elemento apportato dalla nuova ondata di cineasti è la maggior attenzione nello sviluppo delle trame e nell’approfondimento dei personaggi. Il pubblico, però, non sembra apprezzare questo nuovo stile di tipo sperimentale, pertanto alcuni registi cercano di riadattare il loro stile alle richieste del pubblico. 23 Si rimanda rispettivamente a Di yi leixing weixian 第一类型危险 (Dangerous Encounter – First Kind) di Tsui Hark del 1980, Liehuo qingchun 烈火青春 (Nomad) di Patrick Tam del 1982, Hu Yue de gushi 胡越的故事 (The Story Of Woo Viet) del 1981 e Tou ben nu hai 投奔怒海 (Boat People) del 1982, entrambi di Ann Hui e Fu zi qing 父子情 (Father And Son) del 1981 di Allen Fong. 24 Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Dino Audino Editore, Roma, 2004, cap.1, pag. 6. 15 In questo periodo emergono nuove case indipendenti, come la Xinyi cheng 新 艺城 (Cinema City), specializzata in film comici, ma anche di film di gangster e noir. Nel 1984 Tsui Hark ha fondato la Dianying gongzuo shi 电影工作室 (Film Workshop), dirigendo film che univano spettacolarità, consapevolezza ironica e riflessione sulle radici storiche. Ancor più significativa è stata la sua attività di produttore, che ha portato al successo di John Woo 吴宇森 e Ching Siu-Tung 程小东 (Cheng Xiaodong).25 Gli anni ‘80 hanno visto affermarsi una seconda generazione di autori, definita la Second New Wave, che ha cercato di svincolarsi dai generi tradizionali. I registi che fanno parte di questa seconda nuova ondata sono Stanley Kwan 关锦鹏, Lawrence Ah Mon 刘国昌, Clara Law 罗卓瑶, Jacob Cheung 张之亮 e Wong Karwai 王家卫. Quest’ultimo ha esordito alla fine del decennio, ma è stato reso celebre con il suo secondo film, A Fei Zhengzhuan 阿飞正传 (Days Of Being Wild) del 1991, ambientato nella Hong Kong degli anni ’60, si è rivelato un film portatore di una nuova estetica definita, in seguito, postmoderna. Dopo la dichiarazione congiunta di Cina e Gran Bretagna nel 1984, il cinema ha iniziato a riflettere sul rapporto con la madrepatria. Molti registi hongkonghesi guardavano al futuro con preoccupazione, soprattutto dopo il massacro di Tian’anmen (4 giugno 1989), mettendo in una cattiva luce il governo di Pechino. All’inizio degli anni ‘90, l’industria cinematografica di Hong Kong ha prodotto oltre duecento film all’anno, presentando una varietà di generi e autori. I film di John Woo e Wong Kar-wai iniziarono a essere apprezzati e distribuiti in Occidente, con l’intento di far conoscere le due facce del cinema hongkonghese: da una parte, tecnica e spettacolarità prese dall’antichità, dall’altra, capacità di raccontare il caos e la malinconia della metropoli con uno stile sperimentale. Questa industria, alla fine del XX sec. e agli inizi del XXI sec., ha dato segni di una probabile crisi: i produttori hanno sfruttato i film per produrre parodie e imitazioni nel giro di pochi mesi, con la conseguenza di abbassare la qualità e di perdere il pubblico. Nell’imminenza del ritorno alla Cina, alcuni registi si sono trasferiti negli Stati Uniti o in altre città 25 John Woo ha esordito come autore di film comici e arti marziali, Ching Siu-Tung ha rinnovato la tradizione dei wuxiapian fantastici arricchendola di effetti speciali. Alberto Pezzotta, Tutto il cinema di Hong Kong. Stili, caratteri, autori, Baldini&Castoldi, Milano, 1999, pp. 283-381. 16 straniere. Nel frattempo il pubblico ha cominciato ad apprezzare i film di Hollywood, che erano stati messi da parte nel decennio precedente. 2.3 Déjà disparu, lo spazio della scomparsa e il nuovo cinema di Hong Kong Il nuovo cinema di Hong Kong che raggiunse il suo apice dagli anni ‘80, era definito come un cinema popolare e d’autore, a cui facevano parte registi quali Ann Hui, Tsui Hark, Allen Fong, John Woo, Stanley Kwan e Wong Kar-wai. Essi ottennero non solo un riconoscimento da parte del pubblico locale, ma anche un riconoscimento a livello internazionale. Contrariamente a quello che si può pensare, questo cinema non era essenzialmente un cinema di azione o di “divampante passione”.26 La cosa interessante è che esso risponde a situazioni storiche specifiche e senza precedenti, quello che Ackbar Abbas chiama “lo spazio della scomparsa”, dove “imperialismo” e “globalismo” sono intersecati.27 La storia diventa, quindi, difficile da rappresentare in termini di realismo tradizionale. Ci si chiede perché il cinema ha una posizione privilegiata nella cultura della sparizione di Hong Kong. Molti critici, infatti, sostengono che è nell’immagine del nuovo cinema che la storia della Hong Kong contemporanea, con le sue ansie e contraddizioni, può essere letta. Sembrano esistere due filoni riguardo Hong Kong: coloro che la criticano per il suo spirito commerciale e coloro che la elogiano per le sue esorbitanti qualità. Il cinema di Hong Kong viene elogiato per le sue sequenze d’azione, per il suo montaggio, per la padronanza nell’uso degli effetti speciali, minimizzando il dialogo, la struttura narrativa in modo da fare un cinema che sia un “cinema puro”.28 Come sostiene Abbas, bisogna riesaminare due concetti opposti: lo spirito commerciale e l’arte. Il cinema innovativo di Hong Kong non dà importanza ad affermarsi come un cinema alternativo o artistico. Esistono, però, alcune eccezioni di film girati a Hong Kong che si rifanno alla tradizione, ciò vuol dire che usano generi stabiliti, nomi di star importanti, ecc. Il punto è che l’uso di forme tradizionali nel cinema di Hong Kong non è necessariamente un segno di passività intellettuale o un 26 Ackbar Abbas, Hong Kong: Culture and the Politics of Disappearance, Minneapolis, University of Minnesota, 1997, p. 16. 27 Ibid. 28 Ivi, p. 18. 17 assecondare le masse. L’ambiguità dello spirito commerciale nel cinema di Hong Kong può essere spiegata facendo un paragone con il cinema cinese della terraferma. I primi film di Chen Kaige 陈 凯 歌 , Zhang Yimou 张 艺 谋 , Tian Zhuangzhuang 田壮壮, ecc., nonché i registi della cosiddetta Quinta Generazione, non sono abbastanza commerciali paragonati a quelli di Hong Kong: essi, infatti, cercano di accontentare il pubblico arrivando a dei compromessi. Il 1976 è la data in cui la Rivoluzione Culturale ha fine, ma solo nel 1978 riaprono gli istituti e le scuole di cinema, come l’Accademia Cinematografica di Pechino. Nei primi anni Ottanta, approfittando della confusione creata dall’applicazione delle riforme di Deng Xiaoping, viene a formarsi la “Quinta Generazione”. Il termine faceva riferimento alla quinta classe di studenti che si era laureata all’Accademia Cinematografica di Pechino: iniziarono i loro studi nel 1978, ma si laurearono nel 1982. Sono questi i registi, direttori della fotografia, scenografi che danno vita al Nuovo Cinema. Nel 1983 iniziano a essere distribuite le prime opere di questa Generazione. Inizialmente rappresentavano la transizione dal periodo socialista al periodo del capitalismo, dall’urbanizzazione e alla commercializzazione. La Quinta Generazione eredita il proprio quadro sociale di provenienza, ponendo l’attenzione sulla campagna del periodo socialista. Inoltre attacca il passato sia attraverso l’estetica sia attraverso le trame, utilizzando uno stile ambiguo per denunciare l’oppressione del periodo precedente. Infine, l’affermarsi di questa classe di registi segna il punto in cui l’industria cinematografica si fa largo all’interno della distribuzione cinese cinematografica globale. Questa categoria di registi si dissolve alla fine degli anni ’80. Con i primi anni Novanta, l’industria cinematografica riceve un determinante appoggio di capitali privati, con lo scopo di rafforzare il potenziale di alcuni film di genere, come la commedia, film di arti marziali. Ecco che Ackbar Abbas paragona questi registi con il cinema di Hong Kong, il quale è stato, in parte, d’aiuto alla distribuzione di questi film. Infatti, i registi della Quinta Generazione venivano assegnati d’ufficio alle loro nuove unità lavorative, molto spesso fuori Pechino, nelle province più lontane, e hanno saputo approfittare delle politiche di produzione degli studi del Guanxi e di quelli dello Yunnan nel sud-ovest, di quelli della Mongolia 18 Interna e di quelli di Xiaoxiang nello Hunnan.29 Essi chiedevano, anche se non direttamente, un appoggio finanziario da parte dello Stato. Questa situazione è cambiata dopo il massacro di Tian’anmen del 1989, quando i finanziamenti statali erano ormai esauriti e i registi cinesi iniziarono a guardare verso Hong Kong e Taiwan per un supporto finanziario. Questo contribuì, in qualche misura, a cambiare l’estetica del film. Per esempio Terra Gialla (Huang Tudi 黄土地) del 1984 di Chen Kaige e Sorgo Rosso (Hong gaoliang 红高粱) del 1987 di Zhang Yimou, sono diversi da Lanterne Rosse (Da hong denglong gao gao gua 大红灯笼高高挂) del 1991 e da Addio mia concubina (Bawang bie ji 霸王别姬) del 1994. Questi ultimi, nell’uso della rappresentazione, di una narrativa familiare e di grandi star, vengono definiti dei film commerciali. La Quinta Generazione poteva reinventare il modernismo, considerare le possibilità di fare a meno dell’immagine, sperimentare una narrazione non lineare, senza avere troppe preoccupazioni riguardo a qualsiasi ideale di audience. Diversamente dal cinema cinese, quello di Hong Kong non faceva affidamento su nessuna forma di sovvenzione. Era definito come un cinema popolare. La strategia effettiva, come dichiara Abbas, consisteva “non nel trovare alternative al sistema”, ma trovare “alternative entro il sistema”.30 Il fattore “commerciale” non doveva essere considerato come un elemento di rottura del cinema, e il fattore “non commerciale” non era necessariamente una garanzia di qualità e integrità nel cinema. Emblematico è il caso del regista Allen Fong con la sua opera Father and Son (Fuzi Qing 父子情 ) del 1981. Questo film è girato in uno stile documentaristico e ci mostra un altro lato di Hong Kong, non il mondo del consumismo e della tecnologia, ma un mondo del quotidiano, costituito da gente comune. Il regista, infatti, tende a non fare uso di generi cinematografici attuali ed è indifferente alla pubblicità e alla distribuzione. Father and Son si integra perfettamente con i primi lavori della Quinta Generazione, ma senza ricorrere ai finanziamenti statali. È un film “non commerciale”, in quanto rifiuta l’uso di grandi star e di effetti spettacolari. L’esigenza primaria era, quindi, catturare l’attenzione degli spettatori. Questi registi hanno creato 29 Per i riferimenti al cinema cinese e alla Quinta Generazione si veda AAVV, Ombre elettriche. Cento anni di cinema cinese (1905-2005), Marco Müller ed Elena Pollacchi (a cura di), Milano, Mondadori Electa, 2005, pp. 118-133. 30 Per il rapporto tra cinema di Hong Kong e il cinema della Quinta generazione si veda Ackbar Abbas, Hong Kong: Culture and Disappearance, Minneapolis, University of Minnesota, 1997, cap. 2, pp. 2021. 19 un cinema in cui dominano una serie di informazioni, ricche di dettaglio, veloci e adrenaliniche. Inoltre, questi hanno preferito recuperare certi elementi presenti nel cinema del passato, soprattutto per quanto riguarda la struttura (motivi ricorrenti, storie parallele), la bellezza funzionale dello stile (forti tagli e composizioni dinamiche), l’intensità espressiva (attraverso la manipolazione di tono, colore e fisicità), il richiamo a sentimenti ed esperienze comuni (la solitudine, l’ingiustizia, la sete d’amore, la perdita che scatena la vendetta) e l’originalità. Tornando alla questione della scomparsa, va sottolineata l’importanza dell’anno 1997, in cui Hong Kong viene ridata alla Cina. Mentre il cinema di Hong Kong rimane comunque un cinema popolare, ora la preoccupazione sta nel processo di cambiamento del popolo stesso, che deve ricercare la propria identità culturale, causata da questa situazione socio-politica. Nel cinema di Hong Kong non è “l’apparire” di temi, come il rinnovamento della questione dell’identità culturale di Hong Kong e l’ansia riguardante il 1997, a essere un punto significativo. Questi temi, una volta che appaiono, tendono a essere ripetuti fino alla nausea, come se fossero “gossip”. Non è, quindi, “l’apparire di temi”, bensì è quello che Abbas chiama “a problematic of disappearance”31, vale a dire un senso di irraggiungibilità, sentimenti contrastanti dello spazio culturale di Hong Kong che alcuni registi hanno catturato usando il loro strumento cinematografico, nell’esplorare la storia e la memoria e nell’attenzione ai dettagli. Hong Kong, come soggetto, sarà presentata e rappresentata sotto forma di “vecchi binari”, la cui funzione sarà quella di ristabilire le differenze e i cambiamenti, per esempio il binario tra Occidente e Oriente, fra tradizione e modernità. Tutti i cambiamenti di Hong Kong, per esempio, sono descritti in Chungking Express da Wong Kar-wai attraverso l’uso di immagini rallentate o accelerate della città, che contribuiscono a fornire allo spettatore la visione della metropoli.32 In altre parole, il pericolo ora è che Hong Kong scomparirà come soggetto, non nel senso che verrà ignorata del tutto, ma nel senso che sarà rappresentata alla vecchia maniera, proprio perché esso è un soggetto sfuggente. Inoltre, il binario usato per rappresentare Hong Kong come soggetto ci dà non solo un senso di déjà vu, ma anche un sentimento che noi chiamiamo déjà disparu: ossia, il sentimento riguardo qualcosa che noi riteniamo sia unico, ma che se 31 Ivi, pag. 24. Janice Tong, “Chungking Express: Time and its Displacements”, in Chris Berry (a cura di), Chinese Films in Focus: 25 New Takes, London, BFI, pp. 47-54. 32 20 n’è andato, lasciando spazio ai ricordi, alle memorie, proprio come avviene nel cinema di Wong Kar-wai. Per il regista il paesaggio è il luogo di uno stato d’animo, che stimola le emozioni, come nella pellicola Happy Together: non c’è più Hong Kong, ma ora troviamo l’Argentina. Questa alterità geografica rappresenta lo sradicamento dei personaggi dalla loro terra d’origine, in uno spazio dislocato, che rende estranei i personaggi.33 Tuttavia esiste una relazione importante tra il nuovo cinema di Hong Kong e il concetto di déjà disparu: il suo compito principale è quello di costruire immagini fuori dai cliché, come le rappresentazioni di Wong Kar-wai di scene violente, in As Tears Go by (Wangjiao Kamen 旺角卡门), che non vengono definite con immagini chiare. Esistono cinque aspetti fondamentali che caratterizzano il nuovo cinema di Hong Kong, sulla base dell’ambiguità dello spirito commerciale e sul déjà disparu. La prima sottolinea l’importanza della storia e della sua spazialità. La città, infatti, nel IX sec. è stata colonizzata dalla Gran Bretagna; nella Seconda Guerra Mondiale è stata occupata dalle truppe giapponesi; è stata terra di profughi provenienti dalla Cina comunista dopo il 1949. Questi fatti hanno reso la città un punto di incontro fra Occidente e Oriente, ma hanno fatto sì che le mancasse una prospettiva storica e una coscienza di sé. Tutto questo è stato uno shock per le persone che abitavano Hong Kong, portandole a dimenticare il passato. Però la storia esiste, si vede e si sente per le strade della città. La storia è, quindi, segnata nelle relazioni spaziali, altra caratteristica di questo nuovo cinema. In altre parole un sentimento di distacco, di incertezza, di separazione, di discontinuità e l’adozione di forme narrative definite porta a concepire lo spazio come se fosse significato di un’irraggiungibilità della storia. Legato alla questione dello spazio, troviamo il sentimento di affettività. Quest’ultimo aspetto, infatti, diventa una problematica per quanto riguarda la separazione. Quello che si cerca di rappresentare sono delle emozioni che non appartengono a nessuno e a nessuna situazione, l’intensità affettiva non ha nome. In Days of Being Wild di Wong Kar-wai, per esempio, il regista lavora proprio sulla decostruzione dell’intreccio, sulla moltiplicazione delle storie e dei punti di vista, sul dolore dei personaggi che hanno perso tutto, accettando, invece, cambiamenti, 33 Laurel Wypkema, “Corridor Romance: Wong Kar-wai’s Intimate City”, http://www.synoptique.ca/core/en/articles/wypkema_hk/, Synoptique 7 (consultato il 09 ottobre 2013). 21 spostamenti. L’atmosfera è suscitata dalla presenza della musica, utilizzando vecchie canzoni, che suggeriscono una “passione sbiadita”.34 Il terzo fattore del nuovo cinema è l’uso dei generi. Data la pressione commerciale, è comprensibile che i registi più indipendenti trovino se stessi lavorando con generi più popolari, come il gangster, le storie di fantasmi e il kung-fu, che si mescolano nei modi più originali e folli. Zu: Warriors from the Magic Mountain (Xin Shu Shan Jianxia 新蜀山剑侠)di Tsui Hark resuscita il fantasy degli anni Sessanta con eroi che volano e combattono, dimostrando la creatività dei nuovi effetti speciali americani. A Better Tomorrow (Yingxiong Bense 英雄本色) di John Woo lancia il genere eroico-gangsteristico, dove le pistole sostituiscono le spade. Quarto aspetto si riferisce al linguaggio del nuovo cinema, in questo caso il cantonese. Alla fine degli anni ’70 il sociologo I. C. Jarvie35 aveva diviso i film di Hong Kong in cantonese e in mandarino. Mentre i primi erano considerati film non occidentalizzati e destinati al consumo locale, i film in mandarino, invece, erano multiculturali, esperti tecnicamente e in contatto con il mondo contemporaneo. Tuttavia la questione del “locale” è uno degli aspetti rilevanti nel nuovo cinema di Hong Kong. Nei primi film cantonesi, questa componente definiva uno spazio sociale dove stranieri ed elementi stranieri non erano i benvenuti, sebbene contribuissero a definire la qualità dei film di oggi. Il nuovo significato studia la separazione del locale, dove quest’ultimo è un qualcosa di instabile che cambia davanti ai nostri occhi, come succede per la lingua. Il cantonese di Hong Kong è, quindi, una mescolanza di mandarino, inglese, di parole e di frasi dal suono barbaro. Quinto e ultimo aspetto del nuovo cinema di Hong Kong è la presenza della politica dell’identità. È una politica che si esprime meglio nell’introduzione di nuovi tipi di immagini cinematografiche e nella riscrittura di generi cinematografici, come, per esempio, il kung-fu. Gli anni ’80 sono segnati dai noir di John Woo e Ringo Lam 林岭东, ma è l’era anche di Jackie Chan 成龙 e Sammo Hung 洪金宝 e degli horror comici e dei film comici di Michael Hui 许冠文.36 34 L’espressione viene usata da Ackbar Abbas in Hong Kong. Culture and the Politics of Disappearance, Minneapolis, University of Minnesota, 1997, p. 27. 35 Si riferisce al sociologo inglese Ian Charles Jarvie, autore di varie opere sulla sociologia del cinema, cit. in Ackbar Abbas, op. cit., p. 28. 36 Ringo Lam (Hong Kong, 1955) è un regista, produttore cinematografico e sceneggiatore cinese. È conosciuto per le sue capacità di girare thriller d’azione dal contenuto molto realistico. Jackie Chan (Hong Kong 1954) è un attore, regista e produttore cinematografico, artista marziale, sceneggiatore. È uno dei più famosi attori al mondo di action movie, conosciuto per il suo particolare stile di 22 La mentalità degli anni Novanta è quella di sfruttare i generi fino in fondo e girare film “a ciclo continuo”, come succedeva per gli attori Chow Yun-fat 周润发 e Maggie Cheung 张曼玉, spesso impegnati su più set contemporaneamente. Non mancano, però, fenomeni innovatori, come l’affermarsi di una nuova comicità definita wulitou (nonsense), legato alla cultura e alla società hongkonghese, molto spesso incomprensibile sia per gli occidentali, ma anche per chi parla mandarino. Nel frattempo Wong Kar-wai si afferma come il regista per eccellenza del cinema di Hong Kong. Tsui Hark, insieme a Wong Jing 王 晶 37 , recupera e rinnova i generi, importando dalla Cina popolare una nuova star del kung-fu: Jet Li 李连杰. Nel 1997, con il ritorno alla Cina, l’industria cinematografica ha subito un crollo: la produzione, infatti, si è dimezzata, lasciando spazio al cinema americano. Così il cinema di Hong Kong si è rivolto agli effetti speciali, cercando di trovare spazio nel mercato globale, rischiando di perdere quell’originalità che aveva costituito per oltre trent’anni. A causa di questa incertezza cinematografica, alcuni registi, tra cui Wong Kar-wai, Ann Hui, Stanley Kwan si sono affidati in parte a capitali stranieri per trovare uno sbocco nei festival occidentali. combattimento che fonde arti marziali cinesi alla mimica tipica del cinema muto. Introduce elementi comici che fanno parlare di un kung fu comedy. Sammo Hung Kam-Bo o Sammo Hung (Hong Kong, 1952) è un regista, attore ed esperto di arti marziali. Ha collaborato con Bruce Lee; ha formato il trio Sammo-Chan-Biao (Sammo Hung, Jackie Chan e Yuen Biao), i tre amici della China Drama Academy, lavorando a una serie di film comici a sfondo marziale; infine ha collaborato con Jet Li e Stephen Chow. I suoi film sono caratterizzati da uno spettacolo popolare e per soddisfare lo spettatore, egli accosta elementi antitetici e contradditori. Michael Hui Koon-Man (Canton, 1942) è il fondatore della comicità hongkonghese moderna. Lavora per la Golden Harvest e i suoi film sono caratterizzati da realismo, spettacolarità e comicità. Interpreta personaggi avidi e cialtroni, ma allo stesso tempo buoni. Sono, infatti, persone che non dimenticano le umili origini, sebbene la città sia in preda al consumismo. 37 Wong Jing (Hong Kong, 1955) è un regista, produttore, attore, presentatore e sceneggiatore di Hong Kong. 23 3. IL MONDO CINEMATOGRAFICO DI WONG KAR-WAI 3.1 Wong Kar-wai: cenni biografici Wang Jiawei 王家卫, in seguito meglio noto a Hong Kong e in tutto il mondo con il nome di Wong Kar-wai, nasce a Shanghai il 17 luglio 1958, ultimo di tre fratelli. Il padre, un ex marinaio, era il direttore di un albergo e la madre ne gestiva il foyer. All’inizio degli anni ’60 la Cina comunista attraversava un periodo di crisi: i consumi calavano notevolmente, diventava sempre più forte la lotta tra la corrente riformatrice e la linea ortodossa di Mao Zedong. Erano gli anni precedenti lo scoppio della Rivoluzione Culturale del 1966. A causa dell’instabilità politica ed economica del paese, i genitori di Wong sono costretti ad abbandonare temporaneamente Shanghai, seguendo il flusso di immigrati che già prima del 1949 avevano iniziato a spostarsi dalla Cina continentale a Hong Kong, trasferendo le proprie attività economiche, culture e abitudini in parte estranee alla città. Nel 1963, Wong e la madre partirono per primi; il padre li raggiunse di lì a poco, mentre il fratello e la sorella rimasero bloccati in Cina dalla chiusura delle frontiere. Gli esiti della rivoluzione culturale a Shanghai sono particolarmente sanguinosi e così i due fratelli resteranno per più di dieci anni separati dal resto della famiglia. A Hong Kong la comunità di Shanghai (evocata poi da Wong Kar-wai nel suo film In the Mood for Love), essendo molto legata alle proprie radici, si integra con difficoltà. Un altro ostacolo che contribuisce a complicare l’inserimento di queste persone era la diversità dei dialetti: gli immigrati, infatti, parlavano il loro dialetto, mentre la lingua in uso a Hong Kong era il cantonese. Come diceva Wong: “Loro hanno il proprio cinema, la propria musica e i propri rituali”.38 Sin dai primi anni a Hong Kong, Wong Kar-wai viene incoraggiato dai genitori a vivere un’esperienza di formazione libera. Grazie alla madre che gli trasmette la passione per il cinema, Wong inizia a frequentare le sale cinematografiche della città anche due o tre volte al giorno. Insieme alla madre vede molti film, sia film hollywoodiani (soprattutto western), sia le produzioni in mandarino dei fratelli Shaw, sia il cinema europeo. Il padre, invece, gli trasmette la 38 Si veda l’intervista con Scott Tobias, “Wong Kar-wai”, The Onion A.V. Club, 28 febbraio 2001. 24 passione per la letteratura: legge, infatti, i classici cinesi, ma anche i romanzi dell’Ottocento (Balzac, Tolstoj, Dostoevskij). Dopo le scuole superiori si iscrive al Politecnico di Hong Kong, dove segue corsi di grafica e design, anche se la sua vera passione rimane la fotografia. Dopo due anni lascia gli studi per iniziare uno stage in produzione presso la Hong Kong Television Broadcast Ltd. (HKTVB), la prima stazione televisiva commerciale senza cavo nata a Hong Kong nel 1967. Dopo lo stage, Wong Kar-wai inizia a lavorare come assistente di produzione e sceneggiatore di alcune serie televisive e soap opera di successo. In seguito, nel 1982, il regista lascia la HKTVB e inizia a lavorare nel cinema come sceneggiatore. Debutta nella società di produzione emergente fondata nel 1980 e specializzata nella realizzazione di commedie d’azione, la Cinema City di Karl Mak 麦嘉尚. In questa società lavorano anche alcuni dei registi più famosi e innovativi della New Wave hongkonghese, come Tsui Hark e Ringo Lam. L’esperienza, però, non è positiva, e lascia la società per tentare una carriera come sceneggiatore freelance. Tra il 1982 e il 1987 collabora a oltre cinquanta film di generi diversi, come melodrammi, fantasy, film di kung-fu, ma soprattutto commedie e film di gangster. In veste di sceneggiatore, la collaborazione più significativa negli anni di apprendistato è con Frankie Chan 陈 勋 奇 , Joe Cheung 张 同 祖 e Patrick Tam. Proprio con quest’ultimo inizia, prima, a collaborare come sceneggiatore di The Final Victory (Zuihou Shengli 最后胜利, 1987), diretto da Tam, e, in un secondo momento, lo invita a curare il montaggio di Days of Being Wild e Ashes of Time (Dongxie Xidu 东 邪西毒). Patrick Tam dice di Wong che “era più di una persona creativa e istintiva (dato il legame sentimentale)”.39 Per Wong Kar-wai, Patrick Tam fu un punto di riferimento per la sua carriera. Tam dissuade dal fare qualsiasi confronto tra i lavori suoi e di Wong. Gli fece da guida e lo introdusse alla lettura di autori dell’America Latina, quali Manuel Puig (da cui prenderà spunto per girare alcuni dei suoi film, tra cui Happy Together 春光乍泄), Julio Cortázar e lo scrittore statunitense di romanzi giallo-polizieschi, Raymond Chandler. Si dedicò, inoltre, alla lettura di autori giapponesi come Murakami Haruki e autori locali di Hong Kong, come Jin Yong 金 39 Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p.13. 25 庸 e Liu Yichang 刘以鬯 (il cui romanzo Un incontro sarà da spunto per la realizzazione del film In the Mood for Love 花样年华). Nel 1985 Wong Kar-wai conosce Jeffrey Lau 刘镇伟, futuro regista di successo, che gli fa conoscere Alan Tang 邓光荣 (un ex divo degli anni Settanta) e insieme a quest’ultimo fonda una nuova casa di produzione, la In-Gear Company 影 之杰电影制作有限公司 (che produrrà As Tears Go by di Wong Kar-wai). In un momento felice del cinema di Hong Kong, caratterizzato da un boom produttivo e da un profondo desiderio di rinnovamento, Wong Kar-wai, nel 1988, realizza il suo primo lungometraggio As Tears Go by, di cui ha steso la sceneggiatura mentre lavorava a The Final Victory. I legami con questo film sono importanti: i due film, infatti, erano stati concepiti come parti di una trilogia che avrebbe dovuto raccontare la vita di un giovane gangster, Wah, dall’adolescenza (Hero for a Day era il titolo del primo episodio), passando attraverso la giovinezza (As Tears Go by) fino ad arrivare alla condizione adulta (The Final Victory). Stephen Teo, invece, sostiene che il film (As Tears Go by) era stato inizialmente pensato come il primo episodio della trilogia, incentrato sull’adolescenza. 40 Wong Kar-wai fu costretto ad aumentare l’età dei personaggi, perché la produzione gli richiedeva attori di una certa età. Ecco che la sua scelta ricade sui personaggi come Andy Lau 刘德华 e Jackie Cheung, attori e cantanti non ancora celebri, ma comunque noti. Si può dire, quindi, che i legami tra As Tears Go by e The Final Victory rimangono piuttosto deboli, a parte la scelta della stessa location e il fatto che in entrambi i film sia messo in scena un forte legame tra i due giovani delinquenti. Il film di Wong Kar-wai riscosse un grande successo e guadagnò ben nove nomination all’ottava edizione degli Hong Kong Film Awards. Nel 1991 realizza il suo secondo lavoro, Days of Being Wild (A Fei Zhengzhuan 阿飞正传), affiancato, oltre ai due attori già citati, anche da Maggie Cheung, Leslie Cheung 张国荣 e Tony Leung 梁朝伟. Inizialmente Wong Kar-wai non ha ancora bene in mente che cosa vuole raccontare, ma sa di certo che il suo desiderio prioritario è ritornare agli anni Sessanta, rievocando il mood di un’epoca ormai perduta, come avverrà poi anche in In the Mood for Love e 2046. Per la sua trama fragile e il suo ritmo rallentato, Days of Being Wild scoraggia il pubblico. 40 Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, pp. 14-15. 26 Inoltre, questo film segna, anche, l’inizio della collaborazione tra Wong Kar-wai e Tony Leung. Dopo l’insuccesso di Days of Being Wild il rapporto con la In-Gear entra in crisi, il tutto dovuto anche ai primi segnali di recessione a partire dagli ultimi anni ’90. Infatti, nel 1993 gli incassi dei film di Hong Kong nel mercato locale iniziano a diminuire lasciando spazio ai film di produzione americana. La produzione appare vitale e la ricchezza del mercato sembra consentire la nascita di nuove società. Tuttavia, volendo rafforzare la propria indipendenza, Wong Kar-wai, insieme all’amico Jeffrey Lau, fonda una propria piccola casa cinematografica, la Jet Tone Co. Ltd. 泽东制作有限公司, in cui assumerà anche il ruolo di produttore. Dopo un lungo processo di lavorazione, Wong Kar-wai conclude, nel 1994, Ashes of Time, una rielaborazione del genere wuxiapian, film di cappa e spada, sforando i tempi previsti (ben due anni di riprese, anche nella regione cinese del Xinjiang) e il budget atteso. Durante una pausa forzata di circa due mesi dal film Ashes of Time dedicata alla registrazione della colonna sonora, Wong Kar-wai realizza e distribuisce Hong Kong Express (Chungking Express 重庆森林). Alla sua prima prova come produttore indipendente e dopo l’insuccesso di Days of Being Wild, il regista sa bene che Ashes of Time dovrà cercare il consenso del pubblico, ma non vuole farne un film commerciale. Per questo motivo, e, anche, per la forte pressione dei finanziatori, cerca di mettere il film a “temporanea distanza”, come scrive Silvio Alovisio, come fosse “una terapia o una vacanza per ricaricarsi”.41 Hong Kong Express nasce, quindi, come una reazione ancora incompiuta di Ashes of Time. Il film è girato in fretta e in libertà, senza la preoccupazione che piaccia o meno al pubblico, spinto dall’urgenza quasi gioiosa di filmare. Si gira con una camera sola e spesso portata a spalla per la strada. Hong Kong Express riscuote subito un grande successo di pubblico e anche di critica, mentre Ashes of Time, nonostante le grandi attese, si rivela un film troppo complesso per diventare un grande successo. L’immagine “dell’enfant terrible” del cinema di Hong Kong si riafferma dopo il flop di Ashes of Time, con la realizzazione nel 1995 di Angeli perduti (Duo Luo Tian Shi 堕落天使). Inoltre è un ritorno a Hong Kong Express per quanto riguarda la struttura narrativa, i suoi personaggi, il suo look visivo. Quest’opera solleva la questione della ripetizione, che rinnega l’eterno ritorno, ossia non tornare indietro proponendo una stessa cosa (“There is a difference”, come si legge all’inizio del film su un monitor Ibm a casa di 41 Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2010, pag.79. 27 Ming). Nel 1996 il film viene presentato in prima assoluta al Toronto Film Festival. Per molti, Happy Together (Chunguang Zhaxie 春 光 乍 泄 ) segna una tappa fondamentale nella carriera di Wong Kar-wai. Nei primi mesi del 1996 il regista inizia a pensare a un nuovo film e il conto alla rovescia dell’“handover” è quasi alla fine: il 30 giugno 1997 Hong Kong cesserà di essere una colonia del Regno Unito per diventare una regione ad amministrazione speciale della Repubblica Popolare Cinese. Alcuni registi indipendenti esprimono le preoccupazioni di un paese che si sta dissolvendo. Wong Kar-wai, invece, decide di lasciare Hong Kong e va a girare il film in Argentina, lontano dalla madrepatria. Ecco che nel 1997 viene realizzato Happy Together. Grazie al premio come miglior regista ottenuto al 50° Festival del cinema di Cannes, Wong Kar-wai guadagna la fama internazionale. Il film successivo, In the Mood for Love (Huayang Nianhua 花样年华) del 2000, rievoca la Hong Kong degli anni Sessanta, l’epoca che per il regista rappresenta l’adolescenza e la giovinezza. Quello che interessa a Wong Kar-wai, infatti, è riuscire a cogliere l’atmosfera del tempo, il mood nostalgico, in cui il gesto prevale sulla parola. Questo fa sì che il film venga accolto con grande ardore da parte del pubblico internazionale. In the Mood for Love viene presentato al Festival di Cannes nel 2000, dove Tony Leung 梁朝伟 si aggiudica il premio come miglior attore protagonista. Il 20 settembre 2004 viene presentato a Shanghai, in prima mondiale, il nuovo film di Wong Kar-wai, 2046. Al Festival di Cannes, però, il film delude la maggior parte dei critici, sia per la sua incompiutezza sia perché troppo simile a In the Mood For Love. Wong Kar-wai viene accusato di essere un autore sempre più “manierista e autocompiaciuto”.42 Soltanto negli anni successivi, 2046 sarà pienamente rivalutato e considerato una tra le opere di Wong Kar-wai più alte. Nello stesso anno esce una trilogia, Eros, composta da tre cortometraggi diretti da Michelangelo Antonioni (Il filo pericoloso delle cose), da Steven Soderbergh (Equilibrium) e l’ultimo episodio diretto da Wong Kar-wai con La mano (Shou 手). Tutti e tre i film affrontano diverse sfaccettature dell’erotismo e della passione. 42 Per la critica del film si veda la citazione di Silvio Alovisio in Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2005, p. 160. 28 Ispirandosi all’omonimo film diretto da Orson Welles nel 1947, inizia a lavorare al progetto di The Lady From Shanghai, una coproduzione internazionale ambientata negli anni ’30, con protagonista Rachel Weisz (inizialmente la scelta era ricaduta su Nicole Kidman, che nel novembre del 2007 rinunciò). Tuttavia il film non è stato ancora girato e probabilmente non è ancora finito, benché l’uscita sia prevista per il 2015. Il 28 marzo 2008 esce il primo film americano di Wong Kar-wai, My Blueberry Nights (Un bacio romantico), con Norah Jones (al suo debutto cinematografico), Jude Law, David Strathairn, Natalie Portman, Rachel Weisz. Per scegliere la location, Wong Kar-wai viaggia a lungo per gli Stati Uniti, alla ricerca, come sempre, di luoghi reali. Sceglie Norah Jones perché non cerca l’attore, ma la personalità (non a caso le chiede di non prendere lezioni di recitazione). “Il suo lavoro sui personaggi è un tentativo di dare una forma filmica alla personalità di chi li interpreta” spiega Silvio Alovisio nel suo libro Wong Kar-wai.43 Il regista si pone un duplice problema: da un lato conosce poco gli attori e quindi li dirige più intuitivamente; dall’altro, le tecniche di recitazione occidentali sono molto diverse rispetto a quelle in uso a Hong Kong e non sempre si pongono in sintonia con il bisogno di spontaneità e controllo espressivo che ricerca Wong Kar-wai. My Blueberry Nights è presentato al 60° Festival di Cannes, dove viene criticato per la debolezza narrativa (come se fosse una novità nel cinema di Wong Kar-wai), l’impressione di déjà-vu, l’improduttività dell’incontro con la cultura americana. Persino la famosa rivista Cahiers du cinéma ne ospita solamente una breve recensione, descrivendo il nono lungometraggio di Wong Kar-wai come “un’opera minore e di transizione, che spinge il cinema del regista verso una direzione imprevedibile”.44 Dopo otto anni di preparazione, il 19 settembre 2013 esce nelle sale cinematografiche The Grandmaster (Yi Dai Zong Shi 一代宗师). Uno dei titoli più attesi dai cinefili, probabilmente destinato a non centrare appieno tutte le aspettative. The Grandmaster non è semplicemente un film sulle arti marziali, un wuxiapian; esso è una poetica del kung-fu che diventa opera d’arte, basti pensare alla bellezza 43 44 Ivi, p. 193. Ivi, p. 202. 29 profonda dei duelli, con ralenti, sguardi che si incontrano, volti che si sfiorano. Inoltre, la narrazione del film non si sviluppa come semplice biografia di Ip Man, l’uomo che allenò Bruce Lee, ma contemporaneamente a essa si muove la storia della Cina, dal 1936, passando per l’occupazione giapponese per finire, poi, alla Hong Kong degli anni ’50. Il tema dell’amore anelato, mai realizzato ricorrente nel cinema di Wong Kar-wai, si ritrova anche in questo film tra Tony Leung e Zhang Ziyi 章子 怡. 30 3.2 Il “metodo” Wong Kar-wai Wong Kar-wai è un regista con uno stile esecutivo davvero unico. Ogni suo film è riconoscibile e rappresentativo del suo metodo di lavoro. Ha la capacità di fondere linguaggi e generi diversi (melodramma, film d’azione, commedia) in uno stile sperimentale, proprio di quei registi della Seconda Nuova Ondata.45 La sua fama nel mondo cinematografico contemporaneo si deve in gran parte al suo talento pittorico, alla sua capacità di trascinare lo spettatore all’interno delle proprie opere, grazie anche all’uso suggestivo delle immagini. Una delle tecniche usate da Wong Kar-wai nei suoi film consiste nel creare una rete immaginaria tra due personaggi e poi intrecciarne i loro destini con altri due personaggi, fino a esaurire possibili accoppiamenti e relazioni: basti pensare a Hong Kong Express, in cui vengono sviluppate due storie, due incontri probabili nella metropoli di Hong Kong, quello tra il poliziotto in borghese e la trafficante di droga e quello tra il poliziotto in uniforme e la cameriera; in In the Mood for Love viene narrata la relazione tra un uomo e una donna, entrambi sposati; in Happy Together si vede una coppia di omossessuali in esilio a Buenos Aires. La coppia è la vera protagonista nei film di Wong Kar-wai. La narrazione nel film del regista, quindi, è fondata su un incastro di storie, su un intreccio fra due o più episodi che vanno a costituirsi in modo sia autonomo sia complementare. Importante per Wong Kar-wai è stata l’influenza della letteratura ispanoamericana, in particolare lo scrittore Gabriel García Márquez 46 e Manuel Puig. Quest’ultimo è stato letto e ammirato da Wong, il quale ha apprezzato il suo caratteristico modo di scrivere. La costruzione della storia, in Puig, è basata non sulla presenza di un narratore onnisciente, ma sull’utilizzo di materiali diegetici diversi che contribuiscono alla comprensione del testo.47 Wong Kar-wai eredita da Manuel Puig 45 I film dei registi della Seconda Nuova Ondata sono dominati dal tema della preoccupazione del futuro politico e sociale dell’ex colonia, dal tema dell’identità di Hong Kong. 46 Gabriel García Márquez (1927-2014) è stato uno scrittore e giornalista colombiano, che nel 1982 ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Wong Kar-wai ha riconosciuto di essersi ispirato nella stesura di una sceneggiatura. Con la lettura di Cronaca di una morte annunciata (1981), il regista ha riproposto il metodo di raccontare storie dello scrittore, presentando un evento così come viene percepito da più punti di vista. 47 La diegesi va intesa come un costrutto che nasce da una forma di cooperazione fra un racconto e il suo destinatario: il primo presenta degli elementi sparsi di un mondo, il secondo li congiunge fra loro allargando il campo anche a tutto quello che non è espressamente indicato, ma è implicito. Si definisce, quindi, diegetico (o intradiegetico) tutto ciò che fa parte del mondo della diegesi. Per esempio la musica: essa è intradiegetica quando è dentro il mondo diegetico (trasmessa da una radio, prodotta da un’orchestra), quella musica che sentono, o possono sentire, anche i personaggi del film; la musica è 31 l’uso dei dettagli e di indizi, che sono rintracciabili nelle opere, frammenti di emozioni, gesti, parole e avvenimenti importanti. L’influenza dello scrittore spinse Wong a girare un film negli ambienti e nel paesaggio umano che il regista conosceva tramite la letteratura: l’Argentina.48 Un’altra tecnica usata dal regista è la voce-off omodiegetica, in cui un personaggio che appartiene alla storia la racconta allo spettatore dopo molto tempo. La voce-off proviene sempre dall’interno della storia, i personaggi raccontano le loro storie, nella mancanza di un altro personaggio in grado di ascoltarli, essi parlano a loro stessi. In Happy Together viene riscontrata questa tecnica narrativa, con i due personaggi Lai Yiu-fai e Chang che raccontano in voce-off malinconica; in In the Mood for Love viene abbandonata totalmente, lasciando spazio ai gesti, agli sguardi, all’andatura dei personaggi. La voce-off era una tecnica narrativa poco in uso nel cinema di Hong Kong prima di essere utilizzata nei film di Wong Kar-wai, era considerata una “figura troppo letteraria e rischiosa”.49 Prendiamo come esempio i due finali di Happy Together e In the Mood for Love. Nel primo viene raccontata la leggenda che andando nel luogo più a sud per scacciare il proprio dolore e i propri dispiaceri, la persona potrà riprendersi indietro la sua vita. Ecco che la voce di Lai Yiu-fai (il suo singhiozzo) registrata dall’amico Chang, viene liberata al faro di Ushuaia.50 In In the Mood for Love, invece, troviamo un’altra tradizione secondo cui se un uomo ha un segreto che non vuole rivelare, deve sussurrarlo nel foro del tempio di Angkor Wat, perché sia custodito fino all’eternità. Il messaggio in entrambe le sequenze è lo stesso: l’uomo deve imparare dalle proprie sofferenze a diventare migliore. Nel caso di Happy Together l’uomo doveva liberarsi dal passato e dimenticare, mentre in In the Mood for Love l’uomo conserva il suo passato nel tempo della memoria. La funzione di questi monologhi dei personaggi, quindi, è quella di sostituire i dialoghi. extradiegetica, quando è solo di commento e non interna alla diegesi, ma si sovrappone ad essa e che solo gli spettatori possono sentire (si veda in Happy Together quando la voce di Tony Leung narra le sue emozioni accompagnato dalla musica in sottofondo). Gianni Rodolino, Dario Tomasi, Manuale del film. Linguaggio, racconto e analisi, Torino, 1995, pp. 15-16. 48 Il libro di Manuel Puig a cui si fa riferimento è The Buenos Aires Affair del 1973, un romanzo poliziesco con forte valenza psicologica. È un romanzo, infatti, che racconta il disagio di vivere che accomuna i due protagonisti. Sono un uomo e una donna smarriti che ricercano l’amore, incapaci di allontanarsi dal passato, un passato che è stato segnato anche da un episodio buio e sanguinoso, che non cessa di agire e che diventa un’ossessione. Manuel Puig, The Buenos Aires Affair, a cura di Angelo Morino, Palermo, Sellerio, 2000. 49 Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 55. 50 Ushuaia, capoluogo della provincia Argentina, è la città più australe del mondo. Si trova sulla costa meridionale dell’Isola Grande della Terra del Fuoco. 32 La colonna sonora nei film di Wong Kar-wai è un fattore rilevante. Di volta in volta il regista ha dovuto porsi un duplice obiettivo: studiare un accompagnamento che, da una parte ricreasse la realtà musicale e culturale degli anni Sessanta, e dall’altro stabilisse un rapporto di sintonia, un dialogo con lo spettatore e i personaggi. Stupisce, nel caso di In the Mood for Love e 2046, che Wong abbia fatto realizzare solamente un paio di brani, mentre per il resto si è servito di musiche preesistenti. Quasi tutte le canzoni che accompagnano i due film non sono infatti originali. Ne risulta un effetto di “già visto”, dato che il regista gioca a mettere insieme materiali musicali provenienti da ambiti diversi, da un altro paese, da un’altra epoca. Wong Kar-wai mescola, quindi, generi musicali diversi. Sempre in In the Mood for Love e in 2046, per esempio, affianca il valzer a ritmi sudamericani, canzoni in lingua straniera (inglese e spagnolo) a brani della tradizione locale. Questa mescolanza di generi musicali rimanda alla natura multiculturale di Hong Kong, in cui il pensiero orientale e occidentale si combinavano. Oltre alle canzoni in mandarino, negli anni Sessanta, non mancavano quelle in lingua inglese, interpretate da artisti locali e diffuse soprattutto tra i giovani.51 La scelta di numerose canzoni in spagnolo deriva da fattori autobiografici e affettivi52, come avviene in In the Mood for Love, oltre che da un fattore storico, in cui Wong ha spiegato molte volte nelle sue interviste che la musica latina costituisce un “riferimento temporale” nel film.53 Infatti, negli anni Sessanta le musiche latine erano molto popolari a Hong Kong, sia nelle radio sia nelle sale da ballo, perché molti degli artisti attivi nella colonia provenivano dalle Filippine, dove l’influenza ispanica era molto forte. In Happy Together i brani Tango Apasionado di Astor Piazzolla e Cucurrucucù Paloma di Caetano Veloso sono giustificati dal momento che la vicenda si svolgeva per grande parte a Buenos Aires. 51 Bengwan solo (titolo inglese By The River Of Love) eseguita da Rebecca Pan all’inizio degli anni ’60 a Hong Kong e suonata brevemente nel film In The Mood For Love, nel quale interpreta l’affittuaria di Su Li-zhen, Mrs. Suen. 52 La presenza di alcune canzoni del repertorio spagnolo di Nat King Cole, nome d’arte di Nathaniel Adams Coles (1919-1965), come Aquellos Ojos Verdes, Quizas, Quizas, Quizas e Te Quiero Dijiste, deriva da fattori affettivi, perché era il cantante preferito dalla madre di Wong Kar-wai. 53 David Schwartz, A Pinewood Dialogue with Wong Kar-wai, http://www.movingimagesource.us/files/dialogues/3/71112_programs_transcript_html_303.htm, 3 aprile 2008 (consultato il 5 febbraio 2013), Scott Tobias, “Wong Kar-wai”, The Onion A.V. Club, http://www.avclub.com/article/wong-kar-wai-13700, 28 febbraio 2001 (consultato il 28 febbraio 2013). 33 Ciò che contraddistingue tutta la produzione di Wong Kar-wai dagli altri registi riguarda proprio il suo metodo stilistico, uno stile sperimentale, innovativo, non si accontenta della soluzione più semplice, ma è sempre in cerca di nuovi modi di raccontare per immagini. Assegna un ruolo primario alle riprese, non c’è una sceneggiatura ben precisa, o meglio, come dice Silvio Alovisio, “non prevede una dettagliata sceneggiatura ma solo poche pagine di appunti da modificare durante il tournage, in base alle suggestioni delle location e al lavoro di direzione degli attori”.54 I dialoghi vengono modificati continuamente, come anche alcuni personaggi che cambiano identità. Spesso il regista lascia spazio all’improvvisazione sul set. L’effetto che permette di rappresentare visivamente lo stato psicologico dei diversi personaggi avviene attraverso una serie di tecniche, quale il ricorso a riprese accelerate e rallentate, l’uso dei fermi immagine e step-framing, che crea una specie di illusione di rallentamento, pur mantenendo la durata reale dell’azione, quest’ultima bloccata in una serie di freeze frames, che servono a dare un ritmo più lento e serve a far vedere di meno (come avviene, ad esempio, in Angeli Perduti nella scena in cui si vede una fiamma provenire da una pistola, ma non il momento in cui è stato premuto il grilletto), la differenza tra azione e staticità che separano i diversi elementi e i personaggi che sono presenti nella scena, basti pensare a Hong Kong Express in cui il poliziotto Tony Leung beve un caffè sullo sfondo, con l’uso del ralenti, mentre in primo piano vediamo una serie di passanti che attraversano a grande velocità lo schermo. Il tempo è l’altro fondamentale del cinema di Wong Kar-wai che andremo a discutere più dettagliatamente nel capitolo successivo. 54 Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2005, p. 43. 34 4. LA VISIONE DEL TEMPO IN WONG KAR-WAI Wong Kar-wai è considerato il “poeta del tempo” e nei suoi film esso si manifesta in varie forme, come un tempo della velocità, del ricordo, della memoria, dell’attesa.55 Il segno più evidente dell’importanza del tempo è rappresentato dai titoli dei suoi film. Alcuni di essi, infatti, enfatizzano aspetti temporali ed eventi transitori, come As Tears Go by, Days of Being Wild. Altri mettono in rilievo la questione della velocità, come Hong Kong Express, o includono semplicemente la parola “tempo”, come in Ashes of Time. I film di Wong Kar-wai si caratterizzano per la presenza di grandi orologi presenti negli uffici di Chow e di Su Lizhen in In the Mood for Love, o nella stanza di Su Lizhen e nella strada in cui la ragazza incontra il poliziotto di Days of Being Wild, nonché di calendari, che non sono solamente parte dell’immagine scenica, ma sono elementi importanti dal punto di vista narrativo e simbolico dei film.56 Lo sguardo dei personaggi è rivolto a questi soggetti che portano a una serie di commenti, spesso in voce fuori campo sulla questione del tempo, come accade, ad esempio, in Days of Being Wild, in cui si vede una donna che, con cura, strofina un orologio: con questa immagine, il regista vuole manifestare l’importanza del tempo. Nelle pellicole di Wong Kar-wai, il tempo diviene, fin da subito, il vero protagonista: si tratta di un tempo alterato, frantumato, rielaborato secondo una cadenza e una scansione soggettive. L’attenzione è rivolta verso il tempo che è stato e che si cerca in tutti i modi di riafferrare, ma è anche, l’ossessione per il tempo che sarà, per il futuro che scorre via, prima ancora di essere arrivato. Ad esempio In the Mood for Love e Happy Together si basano sul concetto del “momento”, ma descritti in maniera diversa. Il primo è ispirato al romanzo Un incontro di Liu Yichang, i cui protagonisti vagano per le strade di Kowloon, incontrandosi per un solo istante. La stessa cosa accade, in un certo senso, per il giornalista Chow e Su Lizhen, le cui strade si incontrano ma, non riuscendo a manifestare la propria passione, rimpiangeranno quel momento mancato. Nel secondo, i protagonisti, verso la fine del film, comprendono la verità su se stessi e sul mondo. Mentre Lai Yiu-fai fissa le cascate di Iguaçu, dall’altra parte Ho Po-wing, introdottosi nell’appartamento di Lai, gioca con la lampada-souvenir e poi scoppia in lacrime, rendendosi conto che non vedrà mai più Lai. 55 Janice Tong, “Chungking Express: Time and its Displacements”, op. cit., pp. 47-54. Elizabeth Wright, “Wong Kar-wai”, Senses of Cinema, http://sensesofcinema.com/2002/greatdirectors/wong/ (consultato il 09 ottobre 2013). 56 35 Questo tema diventa un elemento attraverso cui Wong Kar-wai può modellare i personaggi delle sue storie. Ciò che interessa al regista, infatti, è descrivere le percezioni del tempo di ogni personaggio e il suo significato impresso nella loro vita, attraverso la rappresentazione del tempo con strumenti di misurazione. La maggior parte di loro vive a Hong Kong, una metropoli sempre affollata da persone che, di corsa, si muovono per la città. Essi appartengono a ciò che Alvin Toffler definisce come “una società usa e getta”.57 I personaggi dei film di Wong spesso mangiano in fast food o per la strada, mentre quando sono a casa lo fanno direttamente dai barattoli. Inoltre, non hanno mai un posto dove vivere, ma solitamente affittano un piccolo appartamento, condividendo il bagno e la cucina con altri residenti. Il possedere qualcosa di valore per i personaggi di Wong, non è del tutto importante: è Yuddy che, in Days of Being Wild, regala all’amico la sua macchina prima di partire per le Filippine, nella speranza di ritrovare la sua vera madre. In seguito l’amico, mostrando la stessa indifferenza di Yuddy per le cose costose, vende la macchina e il denaro ricevuto lo dona alla ragazza di cui è innamorato, Mimi, affinché lei possa raggiungere il suo amato nelle Filippine. Il poliziotto 663 nella seconda storia di Hong Kong Express e Wong in Angeli Perduti non sanno nemmeno che cosa possiedono. Quando sono fuori, le loro case vengono “invase” dalle donne innamorate di loro: esse puliscono e riorganizzano i mobili, riposizionano vestiti, scarpe, oggetti. Al loro rientro, essi si accorgono che qualcosa è cambiato, come la forma del sapone e il colore del portafortuna del poliziotto 663, tutto questo per dire che le cose, come le persone, cambiano sempre e niente è permanente. Ogni cosa è in continuo cambiamento, come la cameriera del fast food in Hong Kong Express che diventa hostess, l’ex detenuto Wong che, in Angeli Perduti, inizia a lavorare in un ristorante giapponese. In In the Mood for Love, il giornalista Chow lascia Hong Kong per andare a Singapore, mentre l’amante della moglie e il marito della signora Chan sono sempre in Giappone per lavoro. Yuddy e Mimi in Days of Being Wild partono per le Filippine; Happy Together, infine, è ambientato tra gli immigrati di Hong Kong e Taiwan a Buenos Aires. Nessuno di loro ha un lavoro fisso o un posto sicuro dove vivere e si muove da un posto all’altro. Molti personaggi, soprattutto i maschi, evitano anche delle relazioni stabili, 57 Alvin Toffler, Future Shock, London: The Bodley Head, 1970, cit. in Ewa Mazierska e Laura Rascaroli, “Trapped in the Present: Time in the Films of Wong Kar-wai”, Film Criticism, Vol. XXV, No. 2, 22 dicembre 2000, p. 5. 36 come nel caso di Yuddy in Days of Being Wild, il quale abbandona le due donne innamorate di lui, per imbattersi in un lungo viaggio solitario alla ricerca della madre, Wong in Angeli Perduti che rifiuta l’amore della sua agente, Lai Yiu-fai e Ho Powing in Happy Together iniziano a vivere insieme, intraprendendo un viaggio verso l’Argentina, ma subito si divideranno. Il risultato, quindi, di questo continuo cambiamento deriva da due fattori: il primo riguarda la professione dei personaggi, come nel caso di Wong, un killer professionista, il quale non riesce a mantenere una relazione stabile, perché costretto a vivere costantemente nel rischio. Il secondo, invece, deriva dalla paura della noia, come per Ho Po-wing in Happy Together, il quale rivolgendosi a Lai Yiu-fai dice: “La vita con te è così noiosa”. La paura della noia spesso si nasconde dietro alla paura di scoprire la vera identità della persona amata. Un’altra forma che assume il tempo è quella di un punto limite sul percorso delle vite umane, vale a dire che tutte le azioni dei personaggi si spiegano e hanno un senso in virtù di una data, che è quella di scadenza. In Hong Kong Express, che riflette in modo più dettagliato sull’alterabilità dei rapporti tra individui, il soggetto si rapporta all’universo dei fast-food, dei chioschi di bibite e prodotti, che sono rapidamente preparati e altrettanto consumabili. In altri termini, si rapporta a una cultura dell’“usa e getta”, dove i rapporti sono violati, e, quando perdono il loro valore, vengono gettati via. Nelle prime sequenze del film la matricola 223 e la donna con la parrucca bionda si scontrano, sospendendo quell’istante per un lungo attimo con lo sguardo rivolto verso l’orologio che scatta segnando le ore 9:00 del 28 aprile. Per ben tre volte quell’orologio ritornerà in dettaglio, facendo scattare ogni nuovo giorno del tempo della storia. Tutto l’episodio è retto da una sola data di scadenza: il 1° maggio, il giorno del venticinquesimo compleanno di 223.58 Se entro tale data la sua amata non sarà ancora tornata, egli allora considererà scaduto il loro amore. Lo stesso giorno è il termine ultimo della donna bionda per completare il traffico di droga. Dopo che l’affare è andato in fumo, il 1° maggio diventa, quindi, un “giornolimite” per lasciare Hong Kong. Alle 6 in punto di quel giorno, la donna lascia un messaggio di auguri al poliziotto 223, e in quell’istante egli si sentirà innamorato di quella misteriosa donna, anche se in modo forzato, a dimostrazione che la sua 58 Il 1° aprile Ah Mei, la fidanzata della matricola 223, lo lascia senza una motivazione. Da quel momento, per superare il lutto della separazione, 223 ogni giorno comprerà un barattolo di ananas (il frutto preferito della sua ragazza) con scadenza il 1° maggio, data del suo compleanno. 37 relazione con la sua ex fidanzata è ormai “scaduta” e appartiene al passato. Un altro esempio di dipendenza dalle date si ritrova anche in Days of Being Wild. All’inizio del film, Yuddy chiede a Su Lizhen di guardare il suo orologio per un minuto, e poi dice: “Un minuto prima delle 3 p.m. del 16 aprile 1960 tu eri con me. Grazie a te, ricorderò questo minuto. Da ora siamo amici per un minuto, questo è un fatto che non si può negare.” Yuddy dimostra di essere una persona molto ansiosa e molto legata a degli eventi particolari, che cerca in tutti i modi di ricordare. L’ossessione per le date trasmette ai personaggi il desiderio di cercare una coerenza nel mondo che cambia velocemente. Il tema del tempo caratterizza anche il legame tra vicende personali e realtà politiche e sociali, ad esempio in Happy Together, al suo rientro a Hong Kong, Lai Yiu-fai apprende dalla televisione la notizia della morte di Deng Xiaoping, nel febbraio del 1997.59 In In the Mood for Love, la didascalia iniziale recita “È un momento di tensione. Hong Kong, 1962”. Le ultime sequenze del film riprendono l’inserto di un cinegiornale d’epoca che documenta la visita ufficiale del generale francese Charles De Gaulle nel 1966 a Phnom Penh, in Cambogia. Il titolo 2046 richiama l’anno in cui Hong Kong cesserà di essere una Special Administrative Region per diventare un territorio di piena sovranità della Repubblica Popolare Cinese. La data viene citata nei titoli di coda, in cui vengono spiegati gli accordi sinobritannici del 1984. Durante questo cinquantennio il governo cinese si impegna a non cambiare nulla all’interno dell’ex colonia britannica. Strettamente legato al tempo è il tema della memoria, presente in maniera diversa in tutta la produzione di Wong Kar-wai, soprattutto In the Mood for Love e Days of Being Wild ambientati in una Hong Kong degli anni ’60 che, per il regista, rappresenta l’epoca dell’adolescenza e della giovinezza. Ciò che interessa a Wong Kar-wai è ritornare agli anni Sessanta, rievocando il mood di un’epoca perduta, come poi avverrà in In the Mood for Love, 2046 e La mano, quest’ultima ambienta, invece, nella Shanghai degli anni ’30. Days of Being Wild suggerisce una nostalgia per i tempi passati e per i legami con Shanghai, la città dove in parte è ambientata la storia. In questi anni, il regista visse con la madre a Hong Kong, mentre il padre e i tre fratelli erano rimasti a Shanghai. La rievocazione di questo periodo finisce per essere la ricreazione di un tempo trasfigurato nella memoria, attualizzato attraverso la sfera 59 Il 30 giugno 1997 avrebbe segnato la data di riconsegna ufficiale di Hong Kong alla madrepatria Cina. 38 dei sentimenti e delle emozioni private. 2046 è, apparentemente, la continuazione di In the Mood for Love, che a sua volta sembra riprendere l’ultima scena di Days of Being Wild, in cui si vede un personaggio misterioso, interpretato da Tony Leung, che si prepara a uscire da un appartamento. È un film ossessionato dal passato e dai ricordi, e ciò è dimostrato dal suo rivolgersi costantemente al film precedente, il suo “aggrapparsi” a nomi, luoghi e situazioni. La signora Chan scompare e rimane Chow che, tornato da Hong Kong dopo aver fatto il corrispondente a Singapore, ci racconta il srapporto con le donne, diventato ormai effimero, provvisorio. Il personaggio di Bai Ling, interpretato da Zhang Ziyi, diviene l’emblema della carnalità della donna, diversa dalla figura elegante e retrò della signora Chan in In the Mood for Love. Con il procedere della narrazione, si scoprono tutta l’amarezza e la superficialità di questa nuova dimensione di Chow, il suo essere vittima del tempo. Con Wang Jingwen (interpretata da Faye Wong 王菲) si illude di poter vivere un nuovo amore e il romanticismo sembra avere il sopravvento. Tuttavia, questa opportunità gli viene negata: la ragazza, simbolo della purezza e della passione, ama un altro. Impossibile si rivela, anche, la storia con la misteriosa Su Lizhen (interpretata da Gong Li 巩俐), avendo lo stesso nome della sua amata, incarna perfettamente l’ossessione per il passato. In ogni donna che incontra, Chow rivede la signora Chan, spettro del suo ricordo: egli è intrappolato dal ricordo dell’amore fallito anni prima, e, incapace di impegnarsi in una relazione stabile, si rivela vittima della sindrome del cosiddetto “momento mancato”.60 Chow è ormai incapace di liberarsi dal passato e il suo costante guardarsi indietro non gli permette di cogliere il presente, che viene a configurarsi come un tempo mancato. L’importanza collegata al tempo presente si esprime nella differenza tra quello che si rivela allo spettatore e quello che si nasconde. Nel cinema d’azione tradizionale, lo spettatore conosceva il presente, mentre era del tutto ignaro riguardo al futuro. Nei film di Wong Kar-wai, invece, il futuro ci viene rivelato fin dall’inizio, in voce fuori campo o con la presenza di immagini. Ad esempio la stessa immagine iniziale della foresta tropicale in Days of Being Wild è riproposta alla fine del film, nella scena della morte di Yuddy; in Hong Kong Express, il protagonista ci rivela, fin 60 Per il rapporto tra tempo e memoria si veda l’articolo di Stephen Teo, “2046: A Matter of Time, A Labour of Love”, Senses of Cinema, http://sensesofcinema.com/2005/35/2046/. 39 dall’inizio, che “55 ore dopo ero innamorato di questa donna”.61 I film di Wong Kar-wai, in conclusione, raffigurano fenomeni postmoderni, come il ritmo di vita accelerato, la mancanza di stabilità e permanenza, il totale dominio del presente sul passato e sul futuro. Il fascino del suo cinema è caratterizzato dal suo gusto per la cultura popolare, per la cura del dettaglio estetico, per la “leggerezza” delle trame, ma soprattutto per la capacità di abbinare immagini e musica. In 2046, il tema di Wang Jingwen, la figlia del gestore dell’albergo in cui Chow alloggia, è Casta Diva di Vincenzo Bellini. Questa musica accompagna la sequenza in cui la ragazza si sporge dal terrazzo del Grand Oriental Hotel mentre studia il giapponese, la lingua del suo innamorato lontano. In questo caso si ha la sensazione che le note acute del brano pervadano letteralmente il cielo di Hong Kong, e che la ragazza si sporga nel vano tentativo di afferrarle. In In the Mood for Love, le musiche che s’imprimono nella mente dello spettatore sono quelle extradiegetiche62, come il tema principale Yumeji’s Theme, un valzer scritto dal giapponese Shugeru Umebayashi per un film del ’91 di Suzuki Seijun, intitolato appunto Yumeji. Questo valzer sensuale e malinconico ricorre, infatti, in sequenze sottoposte a ralenti, una tecnica usata dal regista per creare un’equivalenza tra il tempo della musica e l’andamento della colonna visiva, in cui Chow e Su Lizhen sono insieme ma non scambiano nemmeno una parola, come i numerosi incontri fugaci negli stretti vicoli e nelle scale, oppure nella scena in cui, per non destare pettegolezzi, Su Lizhen decide di non andare a trovare Chow in albergo. La donna, “prigioniera” nella stanza dei vicini, dà loro le spalle e si ferma davanti alla finestra aperta, sorseggiando un bicchiere d’acqua. Il movimento lento della macchina da presa e la musica non lasciano dubbi su quale sia l’oggetto dei pensieri di Su in quel momento. Inoltre, l’immagine finale in cui Chow sancisce l’eternità del suo amore, confessandolo dentro la fessura di un muro al tempio di Angkor Wat, è accompagnata da una musica lenta e funebre composta dall’americano Michael Galasso. In questo film, la colonna sonora riveste un ruolo importante, non solo perché fattore necessario per la ricostruzione spazio-temporale del racconto, ma anche per la sua capacità di 61 Per l’importanza del presente si veda l’articolo di Ewa Mazierska e Laura Rascaroli, “Trapped in the Present: Time in the Films of Wong Kar-wai”, op. cit. 62 Il suono extradiegetico è quel tipo di sonoro che udiamo noi spettatori, ma non i personaggi del film, che non si colloca nello spazio della storia narrata, bensì in quello ideale della sua narrazione: in questo caso si riferisce alla cosiddetta musica d’accompagnamento. 40 accompagnare le immagini, facendo trasparire i sentimenti dei personaggi. Le canzoni nei film di Wong Kar-wai, sentite più volte nel corso del film, creano un’atmosfera memoriale, prima ancora che la storia sia finita. La musica diviene uno strumento attraverso cui i personaggi evocano e svelano i propri sentimenti, senza il bisogno di ricorrere al linguaggio parlato. 41 5. LA TRILOGIA LATINA 5.1 La leggenda dell’uccello senza zampe: Days of Being Wild (A Fei Zhengzhuan, 1991) “Per me la cosa più importante riguardo la sceneggiatura è conoscere lo spazio in cui è ambientato. Lo spazio ti dice chi sono i personaggi, perché sono lì, e così via.” Sono le parole dette da Wong Kar-wai in un’intervista con Laurent Tirard nel 2002 riguardo al suo secondo lavoro, Days of Being Wild 阿飞正传.63 “Questo è il film con cui Wong Kar-wai diventa Wong Kar-wai, il più romantico, il più influente e il più passionale della Seconda Nuova Ondata”.64 Il film era concepito come un dittico, data la sua lunghezza. La prima parte, con Leslie Cheung protagonista, era ambientata nel 1960, la seconda parte, con Tony Leung, era ambientata nel 1966 (il 1967 era l’anno della sommossa filocinese a Hong Kong, rievocata poi in 204665), il quale appare alla fine del film. Inizialmente era previsto anche un prologo dedicato alla famiglia di Yuddy e ambientato in un villaggio di pescatori negli anni Trenta. La pianificazione di una seconda parte del film, dimostra il profondo interesse che Wong Kar-wai aveva per la rappresentazione a episodi, che risale ai tempi del silenzio cinematografico e che era la base della letteratura. La seconda parte non è mai stata realizzata, nonostante il regista avesse già girato per il seguito molte sequenze nelle Filippine. Quello che si può notare sono i personaggi che rispecchiano quelli del primo film del regista: Yuddy, Su Lizhen e l’amico di Yuddy in Days of Being Wild si rifanno rispettivamente a Wah, Ngor e Fly in As Tears Go by. Quest’ultimi vanno indietro nel tempo, senza mai entrare in contatto con il presente. La narrazione del film era chiaramente destinata a estendersi 63 “To me, the most important thing about the script is to know the space it takes place in. The space tells you who the characters are, why they're there, and so on”, Laurent Tirard, Moviemakers’ Master Class, Faber and Faber, 2002, cit. in Sean Axmaker, “Turner Classic Movie”, http://www.tcm.com/this-month/article.html?isPreview=&id=770340%7C715173&name=Days-ofBeing-Wild (consultato il 15 gennaio 2014). 64 John Hoberman, “As Years Go by – A Very Wong Engagement: Time-travelling between an Imaginary Past and an Eternal Now”, The Village Voice, http://www.villagevoice.com/2004-1109/film/as-years-go-by/, 9 novembre 2004 (consultato il 23 settembre). 65 La sommossa filocinese del 1967 a Hong Kong fa riferimento ai disordini di sinistra contro il dominio coloniale britannico. I manifestanti si scontrarono violentemente contro le forze di polizia di Hong Kong e, istigati dagli eventi della Rivoluzione Culturale nella Repubblica Popolare Cinese, diedero vita a scioperi e manifestazioni organizzate. Questi scontri diventarono ancor più violenti quando la sinistra attuò degli attacchi terroristici, mettendo delle bombe vere e finte nella città e uccidendo alcuni operatori della stampa. 42 ben oltre la sua struttura, ma il tempo continuo del finale rimanda a un’altra storia che non si è materializzata, trasmettendo un senso di mancanza di una forma di tempo eterna. Days of Being Wild è ambientata in una Hong Kong del 1960. È la storia di un giovane ribelle, disilluso, Yuddy (interpretato da Leslie Cheung 张国荣), che si fa mantenere dalla madre adottiva Rebecca (interpretata da Rebecca Pan 潘迪华), una ex prostituta, la quale gli dà tutto, tranne la cosa di cui lui ha più bisogno, ovvero l’identità della sua vera madre. Questo porta Yuddy a comportarsi in modo cinico e indolente con le altre persone, soprattutto con le figure femminili: inizialmente seduce una ragazza solitaria che lavora come barista, Su Lizhen (interpretata da Maggie Cheung), che si innamora di lui. Quando Yuddy rifiuta di sposarla, la lascia. In cerca di altre relazioni, il giovane si imbatte in una ballerina di un nightclub, Lulù, chiamata anche Mimi (interpretata da Carina Lau), anche quest’ultima innamorata di Yuddy, ma con la stessa sorte di Su Lizhen. Di Lulù, invece, si innamora l’amico d’infanzia Zeb (interpretato da Jacky Cheung), ma la ragazza non lo ricambia. Su Lizhen, non riuscendo a dimenticare Yuddy, si aggira per le strade di Hong Kong, trovando conforto in un giovane poliziotto, Tide (interpretato da Andy Lau), il quale coltiva il desiderio di diventare un marinaio. Dopo una furiosa lite con la madre adottiva Rebecca, Yuddy riesce finalmente ad avere informazioni riguardo la madre naturale. Subito decide di partire per le Filippine, luogo d’origine della donna, senza avvisare nessuno. Disperata, Lulù viene a sapere da Zeb che il suo Yuddy è partito. Zeb vende l’auto che gli era stata regalata dall’amico, offrendo così i soldi del ricavato alla ragazza, in modo che potesse raggiungere il suo amato. Nel frattempo Yuddy è riuscito a rintracciare la casa della madre, ma quest’ultima si rifiuta di incontrarlo. Il giovane si ferma a Manila, dove conosce Tide, il poliziotto che è diventato marinaio e che ben presto lo coinvolgerà nei suoi guai. Prima di morire Yuddy capisce di aver amato Su Lizhen più di ogni altra. Lulù, ignara della sorte del giovane, è arrivata nelle Filippine per cercarlo. Su, invece, tenta di mettersi in contatto con Tide, non sapendo che il giovane ha lasciato Hong Kong. Nell’ultima sequenza, un personaggio misterioso, mai visto per tutto il film, esce da un piccolo appartamento, dopo essersi messo in tasca del denaro, un mazzo di carte e un fazzoletto. È un film caratterizzato da storie che si intrecciano, da personaggi inseguiti dai ricordi, tipico del cinema di Wong Kar-wai Un’altra caratteristica presente nel film è 43 la componente gangster, intesa in modo diverso da quella tipica dello “hero-movie” che troviamo in As Tears Go by. Infatti, la storia è ambientata negli anni ’60, dove la rappresentazione della violenza e dell’eroe con la pistola in mano non era di moda. Al contrario, la variante gangster del periodo era il genere Ah Fei, popolare nel cinema cantonese, che è apparso in seguito al suo successo di James Dean nel film Rebel Without A Cause (Gioventù Bruciata) del 1955 di Nicholas Ray.66 Infatti, Days of Being Wild ricorda quella gioventù bruciata in preda all’angoscia, all’ansia per l’età adulta. Ah Fei è un’espressione cantonese con cui negli anni Cinquanta e Sessanta si indicava un giovane nullafacente, delinquente, teppista. Letteralmente Fei significava volare, metafora riferita a quei “giovani maturi” che non volevano sottostare al controllo dei genitori e che si sentivano oppressi dalla società, l’unico desiderio che avevano era quello di abbandonare la città. All’inizio del film, infatti, si vede il paesaggio di una foresta tropicale, un’immagine fuori dalla realtà hongkonghese, che apparirà prima della morte di Yuddy. Metaforicamente Yuddy allude ad Ah Fei, ricordando all’inizio del film in voce over la leggenda dell’uccello senza zampe che può atterrare una volta solo nella vita, ossia quando muore: “Ho sentito dire che in questo mondo c’è un uccello senza gambe. Può volare e volare e quando è stanco, si addormenta nel vento. Atterra solamente una volta nella sua vita, quando muore.” Ciò che colpisce di più è che l’uccello non ha le zampe. La relazione tra l’uccello e Yuddy è già evidente nella prima parte del film, vale a dire che il “volo obbligato”, come lo definisce Silvio Alovisio67, consiste nel ripetere con donne diverse la ricerca di qualcosa che non riuscirà mai ad avere. Tuttavia il termine Ah Fei è anche simbolo del suo tempo, come l’uso della musica latina, che accompagna Yuddy nella danza, subito dopo aver pronunciato il monologo. La memoria Con Days of Being Wild, Wong Kar-wai vuole rievocare gli anni Sessanta, il mood di quell’epoca. Non fa una semplice riflessione sulla storia del suo paese, né una ricostruzione filologica del passato. Il regista ha un feeling speciale con la Hong Kong degli anni Sessanta. Nel 1963, infatti, egli arriva nella città insieme alla sua 66 Il titolo cinese A Fei Zhengzhuan era anche il titolo cinese per Rebel Without A Cause di Nicholas Ray del 1955, distribuito a Hong Kong. 67 Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2010, p. 50. 44 famiglia. La visibilità del passato è filtrata dai ricordi di un bambino curioso e solitario. Per fare un esempio, il prevalere della memoria sulla ricostruzione è confermato anche dalla scelta di musiche latine, dal ritmo tropicale, che sono caratteristiche per l’atmosfera emotiva del film. Questa scelta deriva da fattori autobiografici e affettivi, ma è anche giustificata da un punto di vista storico. Secondo il regista, queste musiche latine erano un riferimento temporale nel film. Negli anni Sessanta, infatti, le sonorità latine erano molto popolari a Hong Kong, perché molti musicisti attivi nella colonia provenivano dalle Filippine, dove l’influenza ispanica era molto forte.68 La memoria di Wong Kar-wai riguardo a quel periodo è impressa nella sua mente. È l’epoca che rappresenta la sua adolescenza e la sua giovinezza e per questo può essere considerata come un tempo puro, in cui il passato è filtrato dai ricordi di un bambino. La sua purezza si può notare, per esempio, nella scena in cui la signora delle pulizie sta strofinando l’orologio appeso nel corridoio dell’appartamento di Yuddy, come se lo stesse “accarezzando”, apprezzandone il tempo e il trascorrere dei minuti. I personaggi nel film prevalgono sulla storia e rispecchiano un mood nostalgico e melanconico, proprio come nell’esempio citato poco sopra. Un altro esempio di memoria e d’identità si può riscontrare in uno degli ultimi conflitti di Yuddy, in cui, abbandonato dalla madre naturale, è ossessionato dal desiderio di ritrovarla e di conoscerla. Il protagonista è alla ricerca della memoria e dell’amore, più che alla ricerca di una donna che non ha mai visto prima. Quando, finalmente, Yuddy arriva alla casa della madre naturale nelle Filippine, questa ricerca della memoria e dell’amore finisce con il dolore del giovane che viene respinto dalla madre. Ecco che la macchina da presa lo riprende da dietro mentre cammina, senza mai voltarsi verso una meta indistinta. La voce over, una tecnica distintiva del cinema di Wong Kar-wai, lo accompagna con queste parole: “Quando me ne stavo andando via, sapevo che lei mi stava guardando. Però io ero determinato a non girarmi, lei non mi aveva dato l’opportunità di vederla, di conseguenza, non volevo fare la stessa cosa.” (figg. 1-2). 68 Per le sonorità latine si veda Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2010, p. 42. 45 1 2 Il continuo accanimento verso la madre adottiva, da cui cerca di carpire più informazioni possibile riguardo alla madre naturale, porta lo spettatore a credere che Yuddy abbia una propria idea riguardo l’amore della madre che lo ha abbandonato per delle cattive ragioni. L’ironia è che, alla fine, la realtà viene sopraffatta e la memoria svanisce. La madre non vuole rivedere il figlio perduto, e altrettanto Yuddy le risponde negandole l’opportunità di vederlo: “Lei non mi aveva dato l’opportunità di vederla e io feci la stessa cosa con lei.” Tuttavia, lo spettatore non può essere sicuro se questo è davvero ciò che sta accadendo, come la voce over non conferma davvero i pensieri del personaggio, mettendo, così, in confusione lo stesso spettatore. Per esempio, nel monologo già citato sopra risentiamo questa voce over ripetuta verso la fine del film. Potrebbe essere interpretata come il monologo di Yuddy e come Yuddy che incarna l’uccello senza zampe, dato che non ha mai lavorato o non si è mai impegnato seriamente con Su Lizhen o Mimi (Lulù). Ciononostante, Yuddy continua con insistenza a cercare la madre. Le sequenze del paesaggio umido e nebbioso delle Filippine rafforzano l’idea del torpore della natura e del dolore personale, con la voce over che rende il protagonista in uno stato di trance. Anche in questo caso lo spettatore non sa mai con certezza se quello che nel monologo viene detto è reale o meno, e non sa neanche se è il personaggio che sta narrando in quel momento oppure è una riflessione in un tempo distante. Una volta Wong Kar-wai ha detto, a proposito della memoria: “Memory is actually about a sense of loss – always a very important element in the drama. We remember things in terms of time: ‘Last night I met…’ ‘Three years ago, I was…’”.69 È evidente che per Wong la memoria non può essere separata dalla perdita. Il tempo 69 “La memoria in realtà nasce dal senso della perdita, dal sentimento della mancanza, che è sempre un elemento molto importante all’interno del dramma. Ricordiamo ogni situazione in termini di tempo: La notte scorsa ho incontrato…, Tre anni fa ero…”. Queste parole fanno riferimento all’intervista con Jimmy Ngai, cit. in Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 109. 46 passato è il tempo perduto e l’amore irrecuperabile costituisce l’essenza della memoria. Per prima cosa non importa se la memoria sia vera o meno, ciò che importa è che una persona la deve avere. In secondo luogo la memoria è fondamentalmente una cosa immaginaria, vale a dire che se davvero aveva una foto scattata con la madre all’età di cinque anni, non importava il ricordo di quando era stata scattata. Nel film, anche se la memoria “costruita” di Yuddy riguardo la sua vera madre e la possibilità di ricongiungersi a essa alla fine viene frantumata, la narrazione viene incentrata sulla vita di Yuddy prima che la sua memoria venga distrutta. La memoria di Yuddy della madre interessa non solamente lui stesso, ma anche tutti gli altri personaggi del film, come quando, parlando con la sua ragazza, dice che un giorno lascerà Hong Kong per ritrovare la sua vera madre. A un certo punto nel film inizia a raccontare la storia dell’uccello senza zampe come se fosse determinato a non impegnarsi né in alcuna delle sue relazioni né con la città di Hong Kong. L’identificazione di Yuddy con l’uccello senza zampe scatena una serie di drammi attorno a lui. Egli lascia Su Lizhen e seduce Mimi. Più tardi nel film, Mimi scopre che Yuddy se n’è andato e affronta Su Lizhen nella speranza di trovarlo. Dopo essersi reso conto che Su Lizhen non ha più avuto interesse nel prendersi cura di lui, Mimi corre a cercarlo nella casa della madre naturale. L’ultimo tentativo che fa è quello di andare direttamente nelle Filippine a cercarlo. I due terzi degli avvenimenti che accadono nel film sono ambientati a Hong Kong e quasi tutti i personaggi che stanno intorno a Yuddy conducono una vita lenta e stabile, prima dell’apparizione di questo personaggio Ah Fei. La memoria immaginaria è un elemento che risuona nella mente del regista stesso. Wong Kar-wai è cresciuto a Shanghai fino all’età di cinque anni, quando, insieme alla sua famiglia, si è trasferito a Hong Kong. Inizialmente Wong voleva ambientare il film nel 1963, l’anno in cui arrivò nella città, successivamente decise di tornare indietro al 1960, l’anno in cui fu eletto John F. Kennedy. Il regista è molto abile nel ricreare la Hong Kong degli anni ’60 attraverso una serie di scelte stilistiche e tecniche cinematografiche. La Hong Kong degli anni‘60 è costruita attraverso immaginazione e memoria. Benché collocato in quegli anni, in Days of Being Wild non si vedono foto vecchie e vecchi telegiornali e mancano le immagini che identificano lo spazio urbano di quel periodo, come la vecchia stazione dei treni, i vecchi uffici postali, il Victoria Peak, e così via. Anche se il film viene considerato un film nostalgico, in Days of Being Wild non troviamo nessuna vicenda significativa che ci riporti all’epoca del 1960. Ecco che 47 quell’epoca ritorna alla memoria sul piano dello stile, in cui la storia viene costruita attraverso l’arte e gli oggetti tipici degli anni ‘60. Per esempio, lo stesso personaggio di Yuddy, considerato un Ah Fei, si avvicina a questo immaginario, ma con aspetti propri del presente. Non è semplicemente un teppista degli anni ‘60, ma la sua figura viene arricchita dalla memoria e dall’immaginazione del presente. Il giovane Yuddy passa molto tempo davanti allo specchio a pettinarsi, come fosse un narcisista innamorato di se stesso; soffre di sbalzi di umore che a volte sfociano in attacchi di violenza, come accadde, per esempio, con l’amante della madre adottiva; rifiuta di avere una relazione stabile e a lungo termine. L’espressione “teppista” degli anni ’90, diversamente da quella degli anni ‘60 intesa in modo più negativo, suggerisce un’immagine che è resa più nobile grazie anche all’aspetto nostalgico per il passato. L’Ah Fei di oggi possiede un’esperienza di vita in più e vive una crisi d’identità, che porta, in questo caso, Yuddy nelle Filippine a ritrovare le proprie origini.70 Un’altra tecnica stilistica è quella in virtù della quale non troviamo quasi mai gruppi di persone inquadrate insieme (tranne la scena del Queen Café, in cui sullo sfondo vengono inquadrate alcune persone), ma la macchina da presa si focalizza su primi piani, al massimo di tre personaggi, come se Hong Kong fosse una città deserta. La scena con Su Lizhen che lavora al bar non ci fa vedere nessun cliente, a parte Yuddy, l’unica prova che dimostra l’esistenza di altre persone è data dalle bottiglie vuote di Coca Cola che hanno lasciato. Con questo metodo, Wong cerca di rafforzare il sentimento di frustrazione che invade la mente dei personaggi. Una novità strutturale risiede nel ritmo del film. È un ritmo più lento e più esteso rispetto al suo film d’esordio, As Tears Go by. Days of Being Wild è caratterizzato da momenti molto lenti a improvvise accelerazioni, come nel caso del litigio tra Yuddy e Lulù, l’aggressione del giovane all’amante della madre adottiva, la rissa nel bar di Manila, ecc. L’uso dell’inquadratura in Wong Kar-wai è fondamentale per dare un ritmo al film: il regista, attraverso l’utilizzo di questa tecnica, vuole ricreare il ritmo della Hong Kong degli anni Sessanta, percepito nei ricordi d’infanzia di Wong come un tempo della lentezza. Per esempio, le inquadrature su uno spazio vuoto dopo che i personaggi hanno abbandonato la scena; sguardi misteriosi e prolungati al nulla, agli specchi, ai muri, o, meno frequente, alla macchina da presa (gli sguardi di Yuddy e di Rebecca che segnano la loro definitiva separazione in figg. 70 Per l’espressione Ah Fei si veda Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 32-33. 48 3-4-5); lunghe pause tra una battuta e l’altra, scandite dal ticchettio di un orologio; frequenti campi lunghi sull’attore, per esempio il primo piano sul monologo di Su o quello di Tide, nel suo ultimo dialogo con Yuddy oppure il pianto di Lulù al tavolo del bar (fig. 6). 3 4 5 6 Il film dà molta importanza ai personaggi, anche minori, al loro modo di comportarsi, alle loro relazioni umane, ai loro stati d’animo. Sono persone che provengono dalla classe media, intrappolati in un mondo che non appartiene loro, e il passare del tempo rende ancor più difficile la loro esistenza. La scelta delle voci over date ai personaggi complica la struttura, moltiplicando i punti di vista, indebolendone uno unico e coerente. Le voci over in Days of Being Wild sono, più che altro, dei commenti che i personaggi rivolgono a loro stessi. Ad esempio, Su Lizhen quando ripensa ai giorni passati con Yuddy (“Avrà ricordato quel minuto a causa mia? Non lo so”), il ricordo di Tide dopo l’ultima volta che ha rivisto Su (“Non ho mai sperato che mi chiamasse, ma ogni volta mi fermavo ad aspettare davanti al telefono”). È, anche, attraverso questa tecnica che il tema del tempo della memoria è presente, come la voce di Yuddy che ricorda il suo incontro mancato con la madre biologica. 49 Tuttavia, Wong Kar-wai, intorno alla metà del film, si sofferma sui personaggi minori. Dopo che Yuddy decide di partire per le Filippine, il racconto perde di vista il protagonista e si concentra sulle vicende personali di Lulù, Zeb e Su Lizhen. Questi personaggi non riescono mai a guardarsi realmente, infatti, il regista inquadra sempre i due interlocutori in un unico quadro, ma con uno di essi in rilievo rispetto all’altro, vicino alla cinepresa, che dà le spalle all’altro che è più arretrato (fig. 7). 7 L’incontro reciproco è, quindi, sempre a rischio e precario. Questa precarietà del vedere e dell’incontrarsi riporta a una crisi dell’identità, e ciò rimanda alla condizione comune di sradicamento dei personaggi: Yuddy è un cinese delle Filippine, Tide vuole lasciare Hong Kong e Su viene da Macao. Tutti i personaggi sembrano incapaci di assumersi la responsabilità di una storia e l’incontro può esistere solo come un appuntamento mancato e attraverso il ricordo. Gli unici legami affettivi sembrano quelli tra uomini, l’amicizia con l’amico Zeb e poi con Tide, ma il maschio è colui che subisce di più questa crisi di identità, soprattutto per quanto riguarda il protagonista. Egli agisce solo quando deve sedurre una donna, picchiare gli amanti della madre adottiva o ballare da solo davanti allo specchio, mentre in tutti gli altri casi sembra un morto in vita. Ciò che manca a Yuddy è la percezione del dolore. La sua attività di seduzione, infatti, gli serve per riempire la noia nella sua vita, che non è una noia causata dal fatto che non succede nulla, ma è data dall’incapacità di afferrare la propria identità. Annoiarsi è un qualcosa che porta la persona a rinunciare al cambiamento, come lo è per il protagonista, il quale diventa prigioniero di un punto chiave del cinema di Wong Kar-wai: la ripetizione. Quest’ultima viene descritta in tutti gli incontri di Yuddy con le sue donne. L’istante della conquista, che nella sequenza iniziale corrisponde alle tre meno un minuto (che si ripeterà per altre volte), è una sensazione fuggevole. Per esempio, la storia d’amore tra Yuddy e Su Lizhen non ha il tempo di prendere vita e di essere vissuta. Subito dopo l’inizio del film si 50 vedono i due protagonisti nella stessa inquadratura in piano ravvicinato: lei guarda lui, ma è collocata più indietro, leggermente fuori fuoco, mentre lui è inquadrato in primo piano, che guarda altrove. Su si riveste, ma una colonna posta al centro della stanza impedisce di vedere il volto della ragazza: ciò anticipa una sua prossima sparizione dalla vita di Yuddy (figg. 8-9). 8 9 Poco dopo il protagonista seduce un’altra ragazza che si chiama Lulù, o Mimi o Leung Fung-ying, ma questo non ha importanza, come non hanno importanza per i seduttori i nomi. Lulù resta più a lungo, ma solo perché invece di uscire dalla stanza rimane e lo abbraccia, ma la sostanza non cambia. Anche con lei la storia finisce già subito. Questi seduttori, come Yuddy, sono condannati a ripetere l’esperienza dell’abbandono e della delusione. Il desiderio di scoprire l’identità della propria madre biologica porta il protagonista nelle Filippine, luogo d’origine della donna. Questo viaggio fa uscire Yuddy dal circolo chiuso della seduzione e Wong kar-wai cerca, così, di “riaprire” il suo destino. Il momento in cui Yuddy arriva a casa della sua vera madre coincide con il suo contrario, ossia la sua partenza. Infatti, la madre non vuole rivedere il figlio perduto e lo sorveglia solo con lo sguardo, dall’alto di una finestra, mentre il figlio cammina senza mai voltarsi. La musica che accompagna i suoi passi (Siempre en mi corazón di Ernesto Leucona, proposta nella versione dei Los Indios Tabajaras) è la stessa che accompagna le immagini della foresta filippina all’inizio del film e poco prima del finale. Le inquadrature mettono in risalto la relazione tra la natura e l’individuo e il contrasto tra la verde isola di Lantau e la città, che si rivedrà, anche, in Happy Together con le cascate di Iguaçu, e in In the Mood for Love con le rovine di Angkor Wat. La presenza della natura nei film di Wong Kar-wai è uno spazio che incarna un tempo sospeso, un tempo perduto, dove gli uomini, le loro sofferenze, le loro delusioni e le loro fragilità si annullano. La relazione tra i passi di Yuddy e la 51 foresta filippina non è più intesa come meta ultima del viaggio nella ricerca della madre biologica, ma un tempo dell’origine, che non ha nulla a che vedere con quello degli orologi. La scena in cui Yuddy decide di non girare lo sguardo sancisce l’inizio di questo nuovo ritorno. Il personaggio, per la prima volta, riconosce e sceglie qualcosa di unico, di non ripetibile, preservando per sempre il suo passato irrecuperabile. Wong Kar-wai, per riprendere il passo di Yuddy che si allontana, utilizza il ralenti. Subito dopo questa soluzione stilistica, davanti al personaggio si apre un nuovo orizzonte, diverso da quello della ripetizione e dall’ossessione della madre biologica. Yuddy, infatti, si apre all’incontro, conosce Tide e finalmente agisce. Insieme affrontano una serie di situazioni, anche violente. La morte del protagonista chiarisce il suo destino e la sua emancipazione dal tempo chiuso della ripetizione. Il regista non ci fa capire con esattezza quando Yuddy muore e questa è un’incertezza voluta da Wong Kar-wai: il rendere visibile la morte diventerebbe una cosa ripetibile. Prima di morire il protagonista si rivolge a Tide: “Che cosa vorresti vedere nel momento della morte?” “Non saprei, ci sono tante cose nella vita”, gli risponde l’amico. Invece Yuddy sa benissimo cosa vuole vedere: la sua nascita, la sua origine, spiegato nel flashback dell’ospedale, inserito subito dopo l’inquadratura in cui viene colpito a morte; vuole rivedere Su, consapevole di averla amata più di ogni altra donna, ma soprattutto vuole rivedere il paesaggio delle Filippine, un Altrove che corrisponde con la propria Origine. Il finale, quindi, coincide con il ritorno alle origini. Il treno corre in avanti verso il futuro, ma nell’ultima immagine lo si vede entrare dentro la foresta, che è metafora dell’origine. Il tempo dell’amore e il tempo soggettivo Il tempo è un tema di riflessione di fondamentale importanza nei film di Wong Kar-wai. Innanzitutto il tempo viene tradotto dal regista come un desiderio d’amore, come si può notare dalle varie storie amorose intrecciate: l’amore di Su Lizhen per Yuddy, l’amore di Lulù per Yuddy, l’amore di Zeb per Lulù, l’amore di Tide per Su Lizhen e infine la relazione edipica che Yuddy ha con la madre. Ciò che accomuna tutte queste storie è il fatto che l’amore non è mai corrisposto. Questo “amore non corrisposto” diventa un’ossessione per i personaggi, soprattutto per il giovane protagonista, che sono privi di ambizioni e tentano di cercare attraverso l’amore se 52 stessi.71 Tuttavia, il tempo viene anche rappresentato come un’esistenza soggettiva. All’inizio del film, infatti, Yuddy incontra Su Lizhen nel bar di uno stadio alle tre di pomeriggio del 16 aprile 1960 e i due, da subito, diventano amici per un minuto. “Grazie a te ricorderò sempre questo minuto”, sono le parole di Yuddy dette a Su Lizhen e la loro relazione comincia così. In una scena più avanti la ragazza chiede se lui ricorda da quanto tempo si conoscono e le sue ultime parole sono: “Molto tempo, non ricordo.” D’altro canto, nella scena finale del film in cui Tide interroga Yuddy alla fine della loro avventura nelle Filippine, domanda se lui ricorda quello che ha fatto il 16 aprile del 1960 alle tre del pomeriggio. Il ragazzo rivela che non ha mai dimenticato quel giorno e dice a Tide: “Ricorderò sempre quello che c’è da ricordare… ma se la incontrerai, dille che ho dimenticato. È meglio per tutti.” Memoria e tempo sono qui intrecciati tra di loro. Yuddy non solo costruisce la memoria, ma finge di dimenticare. Quello, e quanto il protagonista ricorda e dimentica, è solo un passato irrecuperabile legato al tempo. Altri personaggi nel film sono associati al tempo o agli orologi in altri modi. Per esempio la signora che strofina con ostentazione l’orologio più e più volte; la scena dell’orologio da polso di Zeb. Uno degli aspetti base che troviamo in molti film di Wong Kar-wai è proprio dire “da questo momento” oppure “ricorda questo momento”. I sentimenti dei personaggi di Wong sono associati, quindi, al tempo e quest’ultimo è soggettivo per ogni singola persona. In una scena Su Lizhen dice: “Ho sempre pensato che un minuto può passare in fretta, ma a volte ci vuole tempo.” Days of Being Wild è il punto di partenza per una serie di film di Wong Kar-wai. Una volta, in un’intervista con Jimmy Ngai, Wong ha detto: “Per me tutti i miei lavori sono degli episodi diversi di un solo film.” 72 Il film è diventato una premessa dell’intero mondo cinematografico di Wong Kar-wai e il tema del passaggio inesorabile del tempo, dell’identità, della memoria e dell’amore non corrisposto viene poi sviluppato e ampliato nei film successivi. Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 34. Da un’intervista con Jimmi Ngai “To me, all my works are really like different episodes of one movie”, cit. in Acquarello, “Editions Dis Voir: Wong Kar-wai by Jean-Marc Lalanne, David Martinez, Ackbar Abbas, and Jimmy Ngai”, Strictly Film School, http://www.filmref.com/journal2004.html#wong, 2004 (consultato il 12 novembre 2013). 71 72 53 5.2 L’amore in un’epoca d’innocenza: In the Mood for Love (Huayang Nianhua, 2000) In the Mood for Love 花样年华 è ambientato nella Hong Kong degli anni ’60. È un tentativo di vedere il film come la seconda parte “non ufficiale” di Days of Being Wild, in cui la città era ben descritta. Il legame con il secondo film di Wong è enfatizzato, anche, dall’apparizione di Maggie Cheung. La protagonista recita il ruolo di una donna sposata di nome Su Lizhen, lo stesso nome usato per il personaggio in Days of Being Wild. Probabilmente, nel primo film, è una giovane ragazza che soffre per amore fino a diventare una donna matura, anche se ancora vulnerabile emotivamente, in In the Mood for Love. In termini di cronologia, solo due anni separano i due film: Days of Being Wild inizia nel 1960, mentre In the Mood for Love nel 1962. Le differenze riguardo al tema e all’argomento distinguono i due film: uno riguarda l’insicurezza e la sregolatezza di un giovane scapolo, l’altro racconta la storia di due personaggi in età adulta. La storia ruota intorno ai due personaggi, la signora Chan e il signor Chow. Quest’ultimo, redattore di un quotidiano locale, si trasferisce insieme alla moglie in un edificio abitato prevalentemente da shanghaiesi. Lo stesso giorno, Su Lizhen, segretaria in una società di import-export, trasloca con il marito in una stanza accanto a quella del signor Chow, di proprietà della signora Suen. Il marito di Su viaggia spesso all’estero per affari, soprattutto in Giappone. Su Lizhen e Chow, entrambi molto riservati, si incontrano ogni tanto nel corridoio o quando escono per comprare del cibo. Nel corso del tempo i due capiscono che i loro coniugi hanno una relazione tra loro, così iniziano a frequentarsi, simulando la propria esistenza giocando in modo autodistruttivo con le identità dei rispettivi coniugi e per condividere la sofferenza del tradimento. Nasce, allora, un sentimento che va oltre la solidarietà reciproca, ma che viene ribadito da entrambi: “non saremo mai come loro”. Chow vorrebbe scrivere un romanzo cavalleresco di arti marziali, un genere amato da Su Lizhen, e le propone di farlo insieme. La donna accetta, ma, per non destare sospetto o pettegolezzo, si incontrano in una stanza d’albergo. Un giorno la signora Suen, notando che Su è spesso fuori, le consiglia di tenere la testa sulle spalle. La donna raccoglie l’avvertimento e decide di non vedere più Chow. Quest’ultimo, però, la cerca e le dichiara il suo amore, ma certo che la donna non lascerà mai suo marito, le comunica 54 la sua intenzione di lasciare Hong Kong per trasferirsi a Singapore e le chiede di andare con lui, ma Su rifiuta. Su arriva a Singapore nel 1963 per rivedere Chow, ma non lo trova. L’uomo è a pranzo con un amico che gli racconta di un’antica leggenda: un tempo chi voleva conservare un segreto doveva forare il tronco di un albero e bisbigliarlo all’interno e poi richiuderlo con la terra, in modo da nasconderlo per sempre. Intanto Su è riuscita a introdursi nell’appartamento di Chow; lo cerca al lavoro; gli telefona, ma non parla e attacca il ricevitore. Chow, allora, capisce che la donna è stata lì. Con il passare degli anni, Su si trasferisce in un’altra zona di Hong Kong e un giorno decide di fare visita alla signora Suen. Quest’ultima sta per raggiungere la figlia negli Stati Uniti, preoccupata per la sorte del suo appartamento, si dimostra interessata ad affittarlo. Chow, rientrato da Singapore, ritorna nel suo vecchio appartamento per salutare il suo ex padrone di casa, ma il nuovo inquilino gli dice che l’uomo ha traslocato, la signora Suen si è trasferita e ora il suo appartamento è abitato da una signora con un bambino. Chow capisce che si tratta di Su e del figlio. Nel 1966, lo stesso anno in cui rientra a Hong Kong, viene inviato dal suo giornale in Cambogia per seguire la visita di De Gaulle. Si reca al tempio di Angkor Wat. Qui si avvicina alla piccola fessura di un muro e sussurra il suo segreto. Quindi, chiude il buco con la terra, come diceva l’antica leggenda, e se ne va. Come tutti i lavori di Wong Kar-wai, In the Mood for Love nasce da un’idea più ampia: inizialmente il regista aveva pensato a un film in tre episodi incentrati su personaggi diversi: uno scrittore, un cuoco e un titolare di un fast food. Questa trilogia avrebbe dovuto affrontare la trasformazione delle relazioni tra uomo e donna a Hong Kong negli anni ’60 attraverso i cambiamenti legati all’alimentazione. Nel progetto originario di In the Mood for Love, la storia d’amore tra i due vicini doveva essere girata tra gli anni ’60 e i giorni nostri, sottolineando la continuità dei sentimenti e delle emozioni, ma alla fine Wong decise di ambientare il film interamente negli anni Sessanta. Il racconto si sarebbe dovuto estendere fino al 1972, fino all’apertura di un decennio di svolta nei costumi degli abitanti di Hong Kong, ma l’idea di una storia lunga dieci anni era troppo impegnativa. Così fece concludere definitivamente il film nel 1966, un anno cruciale anche per la storia di Hong Kong, segnata dall’influenza della Rivoluzione Culturale e del conflitto vietnamita. Il titolo 55 cinese del film, Huayang Nianhua 花样年华, letteralmente “Quando i fiori erano in piena fioritura”, deriva dalla stessa canzone degli anni Quaranta, interpretata dalla celebre attrice e cantante Zhou Xuan 周璇 in un melodramma prodotto a Hong Kong, An All-Consuming Love (Chang Xiangsi 长相思) del 1947, e che allude a un periodo di ricordi.73 I suoi anni Sessanta mettono insieme una serie di ricordi degli anni precedenti, attraverso l’evocazione di una cultura popolare. La tradizione cinese, infatti, è evocata dal ricorso a brani musicali, come la canzone citata poche righe sopra di Zhou Xuan, la celebre canzone indonesiana Bengawan Solo, interpretata in inglese da Rebecca Pan, dall’uso di cheongsam (termine cantonese che significa “vestito lungo”, conosciuto in Cina come qipao 旗 袍 ) e dal riferimento al popolarissimo genere di arti marziali (lo stesso Tony Leung vuole scrivere un romanzo cavalleresco di arti marziali).74 La visione del gioco In the Mood for Love racconta la drammatica storia d’amore del signor Chow e della signora Chan, dopo aver scoperto che i rispettivi coniugi li tradiscono, decidono loro stessi di simulare questa relazione per capire il loro tradimento, ma soprattutto per capire come i loro consorti siano giunti fino a questo. Lo spettatore è testimone solo di frustrazione e di questo desiderio d’amore che è continuamente ostacolato dal buon senso e dalla ragione, descritto con frasi come “Non saremo mai come loro” oppure “Ieri la signora Suen mi ha fatto la predica”. Eppure, si può avvertire tutta la carnalità di questo amore doloroso e sospeso; non è importante che esso venga realmente consumato, perché l’emozione viene comunque percepita.75 L’erotismo non è mai ostentato e la sensualità di Su Lizhen viene enfatizzata dalla macchina da presa che segue i suoi movimenti in inquadrature parziali e dettagli 73 Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 119. Stephen Teo, “Wong Kar-wai’s In the Mood for Love: Like a Ritual in Transfigured Time”, Senses of Cinema, http://sensesofcinema.com/2001/13/wong-kar-wai/mood/,17 aprile 2001 (consultato il 09 ottobre 2013). 75 Nel girare In the Mood for Love ha detto di essere stato influenzato da Vertigo di Hitchcock del 1958. Il regista voleva incentrare la storia sulla relazione tra queste due persone in opposizione al vicinato, che erano come delle spie. La storia è governata dalle reazioni di questi due personaggi sotto l’osservazione dei loro vicini. Ecco perché voleva che fosse come un film di Hitchcock, dove tante cose accadono fuori dallo schermo e l’immaginazione dello spettatore crea una specie di suspense, Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 109. 74 56 del suo viso e del suo corpo (quando indossa i cheongsam76), quasi ad accarezzarli, come se lo spettatore si trovasse a spiarla da buco della serratura (figg. 10-11-12-1314-15). 10 11 12 13 14 15 In una scena Su Lizhen recita il ruolo della moglie che sta affrontando il marito (un ruolo assunto da Tony Leung) chiedendogli se ha una relazione con un’altra donna, provando un possibile confronto con la realtà. In un’altra scena, il signor Chow confessa di essere innamorato della signora Chan, cercano di mettere in atto la separazione sulla base che Su Lizhen non lascerà suo marito, ma questa simulazione è per la donna troppo reale e forte da sostenere, e scoppia a piangere sulla spalla del signor Chow. L’unica cosa che l’uomo riesce a dirle per confortarla è che 76 Il cheongsam nasce nel periodo della dinastia Qing, durante il quale emersero in Cina alcuni strati sociali, principalmente manciù. Le donna manciù erano costrette per legge a indossare un abito chiamato qipao, largo e dritto, che copriva le forme femminili. Negli anni successivi il qipao fu adottato come abito tradizionale e modificato nel design. Il moderno cheongsam è un abito consistente in un unico pezzo, generalmente molto aderente, a maniche lunghe o corte. Segno distintivo è il colletto alto in stile coreano, abbottonato con alamari e bottoni che scendono in diagonale dalla base del collo fino all’ascella. La gonna è di lunghezza variabile e molto stretta, dotata di spacchi laterali. Sono, generalmente, realizzati in seta in un colore unico o in fantasia, 57 “È solo una prova”. I due partner giocano con l’idea di essere amanti, provando a ricostruire i pensieri, le azioni e i punti di vista dei propri coniugi. La loro relazione, fatta di brevi incontri, è simpatica e confidenziale, tendente all’intimità, ma la preoccupazione più grande è mantenere la propria dignità e l’impressione che entrambi sono semplicemente amici e vicini di casa. Wong sottolinea questa relazione in due scene successive al primo incontro al ristorante, durante cui i protagonisti sospettano del tradimento dei propri coniugi. La seconda scena (figg. 20-21-22-23) è la ripetizione della prima (figg. 16-17-18-19), con comportamenti diversi da parte dei personaggi: Su Lizhen: È molto tardi e lei è ancora fuori. Sua moglie non le chiede niente? Chow: No, è abituata, non ci fa caso. E suo marito? Non protesta per il ritardo? Su Lizhen: Probabilmente dorme già. Chow: E se non rientrassimo questa notte? (Chow prende la mano di Su, ma lei indietreggia delicatamente) Su Lizhen: Mio marito non l’avrebbe mai detto. Chow: E che cosa avrebbe detto? Su Lizhen: Sicuramente non questo. Chow: Qualcuno deve fare la prima mossa. Probabilmente è stato lui. Subito dopo, Wong ripete la stessa scena, mentre la signora Chan e il signor Chow camminano: Su Lizhen: È molto tardi e lei è ancora fuori. Sua moglie non le chiede niente? Chow: No, è abituata, non ci fa caso. E suo marito non protesta? Su Lizhen: Probabilmente dorme già. (A questo punto Su inizia a flirtare con Chow, ma il suo sorriso svanisce presto e distoglie lo sguardo da Chow) Non riesco a dirlo. Chow: Capisco. Visto che è successo, che importa chi ha cominciato. Su Lizhen: Ma tu la conosci davvero tua moglie? (Su se ne va lasciando Chow da solo in strada). 58 16 17 18 19 (prima scena) 20 21 22 23 (seconda scena) La ripetizione della scena, che può sembrare illusoria, un sogno che probabilmente svanisce, è una tecnica usata dal regista per accompagnarci all’interno di questa relazione. In un’altra scena al ristorante, Su chiede a Chow di ordinare per lei, perché vuole sapere cosa piace mangiare alla moglie. Chow chiede la stessa cosa. L’uomo mette la senape sulla bistecca e in un modo molto dolce le domanda: “Non ti piace?”. Su dà un morso e facendo una smorfia risponde: “A tua moglie piacciono le 59 cose piccanti”. In questo modo Wong Kar-wai insegna ai propri attori a mostrare se stessi, a recitare per quello che sono e non semplicemente recitare il ruolo dell’altra metà. L’infedeltà dei rispettivi coniugi porta Chow e Su Lizhen a vivere un periodo di sintonia, e il senso della loro unione sembra andare ben oltre questo gioco, nel quale si dimostrano due persone discrete e dignitose. Tony Leung interpreta Chow, un uomo vendicativo che sta cercando vendetta per l’infedeltà della moglie e tenta, quindi, di avere una relazione con Su Lizhen, ma ne esce da perdente. Chow viene doppiamente tradito, sia dalla moglie che da Su Lizhen. Questo personaggio richiama Lai Yiu-fai e l’oppressione di Ho Po in Happy Together. Il ruolo interpretato da Maggie Cheung è quello che dimostra di più il lato oscuro del suo personaggio: è una persona dolce e riservata, fredda ma allo stesso tempo attraente, la quale lascia intendere un desiderio che viene sempre soffocato. La Cheung incarna, quindi, Su Lizhen come una donna sadica. Il suo essere sadico è rappresentato nella bravura di negare il suo piacere sensuale e quello del suo partner, senza disonorarlo: suo marito la tradisce, ma lei, per non cadere nella superficialità e per tenersi lontano da possibili pettegolezzi, non riuscirà mai a tradire il marito con il signor Chow.77 Tutte queste contraddizioni sono riflesse nei cheongsam che la donna indossa: essi coprono il collo e il seno, ma gli spacchi laterali del vestito fanno intravedere le cosce: in altre parole, questo personaggio, che si nasconde dietro le apparenze perfette di un modello di donna astratto, è segnato non solo da una “riservatezza tipicamente cinese”, ma anche da una forte repressione interna, visibile nella sua timidezza, nella compostezza trattenuta dai suoi gesti.78 Inoltre la bellezza dei cheongsam ne esalta l’eleganza, ma anche il potenziale erotico. Il loro stringere e coprire il corpo è il sintomo di un adeguamento al controllo sociale e alla repressione della sessualità, ma è anche il segno della separazione dall’altro. Wong Kar-wai non vuole raccontare una storia basata su una morale, piuttosto vuole che i suoi attori vivano entrambe le parti di una relazione, interpretando i ruoli per come sono, mettendo in risalto loro stessi. 77 In the Mood for Love mette in evidenza come negli anni ’60 agisca una morale perbenista, legata alla difesa dei valori tradizionali, prima fra tutti quelli del matrimonio e della famiglia. 78 Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 128. 60 Il tempo del ricordo Si dimentica spesso che Wong Ka-wai è un regista molto letterario e parte della magia che egli esercita in film come Days of Being Wild, Hong Kong Express e Ashes of Time è un modo completo che porta il pubblico ad ascoltare e ad apprezzare la sua narrativa. Wong prende come modello per la sua estetica, soprattutto per quanto riguarda il concetto di nostalgia, le storie dello scrittore Liu Yichang che, come lui, è uno shanghaiese che vive a Hong Kong. In In the Mood for Love, Wong cita parecchi passaggi del romanzo di Liu Yichang Duidao 对倒,tradotto in italiano con il titolo Un Incontro, il quale fu pubblicato per la prima volta in cinese nel 1972. Il titolo cinese è un termine filatelico, che traduce il francese tête-bêche e indica francobolli identici che si fronteggiano, ma uno dei quali è capovolto.79 A proposito del titolo, Wong Kar-wai aveva detto: Il primo lavoro di Liu Yichang che ho letto era Duidao. Il titolo è la traduzione cinese del termine tête-bêche, che descrive dei francobolli che si fronteggiano. Duidao ruota intorno all’incrocio di due storie parallele, un uomo e una giovane donna. Per me il tête-bêche è più che un termine che indica francobolli o incroci di storie. Può essere un incrocio di luci e colori, di silenzio e lacrime. Tête-bêche può essere un incrocio del tempo: per esempio gli occhi giovani in un viso invecchiato, parole riprese da un sogno.80 Duidao è centrato sulla vita di Yaxing, una giovane donna di Hong Kong e Chunyu Bai un migrante di Shanghai, due completi estranei, le cui strade si incrociano solo alla fine del racconto. Il romanzo è ambientato nella città di Hong Kong negli anni ‘70 e lo scrittore descrive le preoccupazioni e i sogni di entrambi i personaggi. La giovane donna vede in ogni angolo della città uno spunto per le proprie fantasie: diventare attrice, sposarsi, raggiungere il successo, mentre lui è immerso nella memoria e coglie nella città solo i segni appartenenti al passato, al suo arrivo a Hong Kong e al difficile cammino fin lì percorso. Opposti e paralleli, per caso i due si incontreranno al cinema uno di fianco all’altra, incontreranno le stesse persone, ma i loro sogni e i loro destini rimarranno separati. 79 “Liu Yichang and Wong Kar-wai: The Class Trap in In the Mood for Love”, in Hsiu-Chuang Deppman Adapted for screen: The Cultural of Modern Chinese Fiction and Film, Honolulu, University of Hawai’i, cap. 4, p. 102. 80 Audrey Yue, “In The Mood for Love: Intersections of Hong Kong Modernity”,.in Chris Berry (a cura di), Chinese Film in Focus: 25 New Takes, op. cit., p. 128. 61 Questi passaggi, che Wong riprende dal romanzo di Liu Yichang, fanno riferimento al mood nostalgico di Chunyu Bai per la sua città, Shanghai, e i suoi rimorsi per il passato. Un Incontro è essenzialmente un romanzo senza trama e consiste nel rappresentare i pensieri dei personaggi così come compaiono nella mente, il cosiddetto flusso di coscienza, rispecchiandone il ricordo e la nostalgia del personaggio. Uno dei temi importanti che si riscontra in Liu è il tempo. Esiste una continuità con il primo romanzo, Jiutu 酒徒 (The Drunkard) pubblicato nel 1962, in cui si riassume il concetto di tempo come un’opportunità persa nella realizzazione dell’amore e della felicità, ma che continua a persistere come fonte della memoria nostalgica.81 Secondo Liu tutto cambia attraverso il tempo, in modo particolare le città che circondano i suoi protagonisti, chi si trasferisce da Shanghai a Hong Kong a Singapore, chi ritorna a Hong Kong, dove la città è cambiata ormai da oltre un decennio (gli edifici sono stati demoliti e hanno preso il sopravvento i grattacieli, la popolazione è aumentata, le tendenze e gli stili sono cambiati, e così via).82 Wong Kar-wai riprende, quindi, da questo scrittore l’idea di uno stato d’animo nostalgico e l’idea del tempo come elemento di cambiamento. La Rivoluzione Culturale ha avuto molte ripercussioni sul continente e ha costretto la gente di Hong Kong a pensare al proprio futuro. Molti di loro erano arrivati ancora negli anni ’40 e si erano fatti una nuova vita. All’improvviso, però, sentirono di doversi muovere di nuovo. In molte interviste il regista sottolinea l’importanza del 1966 come la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro. Gli anni Sessanta alimentano numerosi ricordi per il regista, come per esempio gli scontri tra studenti e polizia, il sovraffollamento degli appartamenti, legato all’intensificazione del flusso migratorio dalla Cina Popolare, che porta alla convivenza forzata tra nuclei familiari.83 Gli anni Sessanta sono anche quelli che vedono crescere, nella comunità della Cina continentale, la prima generazione realmente hongkonghese, che cerca di mantenere un legame con la madrepatria (non è un caso che la prima inquadratura del film si apra su una parete Si veda l’articolo di Stephen Teo, “2046: A Matter of Time, A Labour of Love”, Senses of Cinema, http://sensesofcinema.com/2005/35/2046/, aprile 2005 (consultato il 09 ottobre 2013). Teo sottolinea la grande influenza che lo scrittore Liu Yichang ha esercitato su Wong Kar-wai. Jiutu è considerato uno dei primi e più importanti esemplari della letteratura contemporanea hongkonghese. Si può dire che, mentre Un Incontro è adattato nel film In the Mood for Love, Jiutu, invece, può essere letto in 2046. 82 Si veda Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 127. 83 In un’intervista con Wong Kar-wai citata in Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 108, il regista racconta che all’età di cinque anni si era trasferito insieme alla sua famiglia da Shanghai a Hong Kong. Il problema, in quegli anni, di trovare una casa era tale che potevano esserci anche due o tre famiglie a vivere sotto lo stesso tetto e dovevano, quindi, condividere la cucina, il bagno e persino la loro privacy. 81 62 dove sono appese vecchie fotografie legate al passato della Cina continentale). Il regista ha cercato di ricreare l’ambiente, l’atmosfera, gli abiti e le acconciature, le mode musicali, impresse nella sua memoria. Sia in Days of Being Wild che in In the Mood for Love il regista vuole ricreare la Hong Kong degli anni Sessanta, ma ciò che distingue il secondo film è l’intenzione di ricreare quel periodo con un approccio più realistico e un’attenzione alla cura dei particolari. La cultura di un’epoca e di una comunità si concretizza nei dettagli per risultare comprensibile a un pubblico internazionale. Il peso del passato perduto condiziona il destino di un’intera comunità. Il film, infatti, vuole documentare il mood di questa comunità sradicata, fatta di persone che, come lo stesso Wong ricorda, avevano “il loro linguaggio, il loro cibo, i loro cinema, i loro rituali”.84 Dal momento che non aveva mezzi per poter ricreare in modo realistico il periodo della Hong Kong degli anni ’60, decise di lavorare attingendo alla memoria, che nasce da un senso di perdita, da un sentimento della mancanza. La cura dei dettagli serve, quindi, al regista per rendere evidente il passato e il vuoto della memoria. Gli anni Sessanta, come in Days of Being Wild, sono quasi un elemento poco visibile, in cui abbondano i particolari, ma viene a mancare tutto l’insieme: la vita, il rumore, la folla, i luoghi. La città quasi non esiste, è astratta e fatta da vicoli deserti, muri scrostati, finestre chiuse dalle grate o dalle tende, lampioni instabili, come se nella memoria di Wong Kar-wai quel periodo fosse associato all’idea della riservatezza e del segreto di una piccola comunità. Il rapporto con il passato e la tradizione si esprimono nel film anche con il riferimento al melodramma cinese, conosciuto in cinese con il termine wenyipian. Il termine deriva dall’abbreviazione di wenxue (letteratura), yishu (arte) e pian (film), e indica il melodramma di forte matrice letteraria, diverso dal film d’intrattenimento ma disponibile ad accogliere suggestioni della cultura popolare. Wong identifica questo genere con gli anni ’60, un periodo che implica una serie di riferimenti alla memoria, al tempo e al luogo.85 Fonte d’ispirazione di In the Mood for Love è stato uno dei capolavori degli 84 Gli immigrati di Shanghai, arrivati a Hong Kong prima e dopo la presa del potere dei comunisti nel 1949 (tra cui la famiglia di Wong Kar-wai), si ostinavano ancora, negli anni sessanta, a conservare la propria identità, il proprio stile di vita. Oltre a parlare in mandarino, invece che cantonese (la lingua più diffusa nella colonia), questa comunità aveva la propria musica, i propri cibi, i propri rituali, nonché un proprio cinema. Infatti, l’industria cinematografica mandarina di Hong Kong produceva negli anni ’50 film che sembravano essere stati realizzati nella Shanghai prima del 1949. Si veda Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 10. 85 Stephen Teo, “Wong Kar-wai’s In the Mood for Love: Like a Ritual in Transfigured Time”, Sense of Cinema, aprile 2001. 63 anni ’40, Primavera in una piccola città (Xiao cheng zhi chun 小城之春) di Fei Mu 费穆 del 1948. Il film racconta la dolorosa storia di una donna, Yuwen, sposato con un borghese ex-benestante caduto in disgrazia con il nuovo regime.86 La visita di un amico d’infanzia del marito, che in passato era stato amato dalla moglie, incrinerà l’equilibrio familiare e i rapporti d’amicizia. Il passato offre alla protagonista un’opportunità di riscatto, ma alla fine sceglierà, come farà in seguito anche Su Lizhen, di non rinunciare alla sua vita coniugale, ma di rinunciare all’intensità di quell’amore del passato. In the Mood for Love mette in evidenza come negli anni Sessanta agisca ancora una morale perbenista, legata alla difesa dei valori tradizionali, prima fra tutti il matrimonio e della famiglia. Da questo concetto deriva quel “noi non saremo mai come loro”, che si rivela non tanto come un giudizio morale, quanto piuttosto come il desiderio orgoglioso di affermare l’amore libero dai vincoli sociali, dalle bugie, dagli sdoppiamenti di ruolo. Non si tratta, quindi, di adeguarsi a una morale, ma di affrontare i problemi, assumendo le conseguenze di una scelta. Il peso di questa morale si accentua già dai primi minuti del film, quando i vicini iniziano a chiedere a Su come mai il marito sia sempre fuori per lavoro e perché la moglie indossi sempre abiti molto eleganti solo per uscire a comprarsi degli spaghetti. Un’altra caratteristica presa da Liu Yichang è che il mangiare insieme è un qualcosa di romantico, che contribuisce a creare una certa intimità e preparare il cibo per qualcuno è un segno importante di cura della persona. Wong Kar-wai ha cercato una signora di Shanghai capace di preparare per la troupe i diversi piatti dell’epoca, corrispondenti alle varie stagioni, un qualcosa che il pubblico non avrebbe notato, ma che aiutava a inserirsi emotivamente in quel periodo.87 La vita delle donne di Hong Kong negli anni ’60 stava per cambiare grazie a due importanti novità legate al cibo: gli spaghetti istantanei di riso o di soia e il cuociriso, una macchina che consentiva la cottura rapida e automatica del riso (in una scena del film il marito della signora Chan ne regala alla moglie un esemplare giapponese che viene accolto con molto stupore dai vicini). Il fatto di uscire per comprare i noodles costituiva spesso per le donne un pretesto per riservarsi un momento di fuga dalla routine della vita domestica. Infatti, Chow e Su iniziano a conoscersi uscendo dalle loro “prigioni infelici” per andare ad acquistare del cibo. Tuttavia, il tema reale che sta dietro al cibo è proprio la nostalgia. 86 Si rifà al periodo in cui la Cina era devastata dal secondo conflitto mondiale e dalla guerra civile. In un’intervista con Wong Kar-wai citata nella monografia di Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2010, p. 109. 87 64 I diversi piatti mangiati in tempi e stagioni diverse evidenziano non solo il tempo, ma anche il ricordo del tempo. La fine del film ricorda un passaggio di Un incontro di Liu Yichang: “Quando ripensa a quegli anni lontani è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare. E tutto ciò che vede è sfocato e indistinto”. 88 Questa difficoltà legata all’opacità della memoria si esprime con precise scelte stilistiche: la più importante consiste nel ridurre lo spazio abitabile della scena. Le stanze, molto spesso, sono filmate attraverso una porta spalancata o socchiusa, i vetri di una finestra, altre volte viene filmata solamente la struttura della stessa location, come un corridoio, le scale. Si prenda, per esempio, l’inquadratura a pochi minuti dall’inizio del film che riprende una cena tra vicini. La stanza in cui si ritrovano i personaggi è ripresa da un interno, attraverso la fessura di una porta. La scarsa visibilità è data anche da una chiusura degli spazi sull’asse orizzontale (occupata da un tavolo posto nella stanza antistante) e da elementi che ostruiscono la visione, come la lampada, la sedia e una tenda semitrasparente. La macchina da presa viene posta all’esterno di una soglia, contribuendo a rafforzare una divisione tra coloro che guardano e coloro che sono guardati anche quando le distanza sono ridotte (fig. 24). 24 È un punto di vista distaccato, ma anche intrusivo, come se volesse intravedere qualcosa di nascosto. Inoltre lo sguardo rimane limitato, vale a dire che il regista non può farci vedere che cosa accade tra i due protagonisti nel caso delle scene nella stanza d’albergo, non ci fa mai entrare nella cucina della signora Suen, che viene sempre filmata dal corridoio (figg. 25-26-27). Lo spettatore deve, quindi, sentirsi come uno dei vicini, costantemente in osservazione di queste due persone e il colore è 88 “Mentre ascoltava la canzone di Yao Surong, ripensò a quell’epoca ormai svanita. Un passato che poteva vedere attraverso un vetro polveroso, ma non poteva afferrare. E tutto quello che vedeva era sfocato.” Si veda il romanzo di Liu Yichang, Un incontro, Torino, Einaudi editore, 2005, p. 31. 65 così vivo, perché tutto è vivo nel ricordo. In alcuni momenti, però, la cinepresa cerca di incontrare gli sguardi dei personaggi, come avviene con Su. Dopo aver sentito la predica perbenista della signora Suen, si volta e guarda in macchina da presa con un’espressione disperata (fig. 28). Attraverso una serie di campi lunghi, solo lo sguardo della cinepresa sa intuire il dramma che lega i due protagonisti. Il passato è riattivato proprio dallo sguardo della cinepresa, quest’ultimo lo coglie attraverso il “vetro impolverato” del tempo. 25 26 27 28 Un’altra tecnica di riduzione della visibilità della scena e di divisione tra campo e fuori campo è data dall’uso degli specchi. Le immagini che si riflettono fanno riferimento a un qualcosa che esiste, ma che non è visibile direttamente, proprio perché collocato nel fuori campo. Invece di estendere la visione, gli specchi diminuiscono le distanze rispetto a ciò che si riflettono. Nella scena in cui Su è costretta a dormire nella stanza di Chow, lo specchio riflette la donna distesa sul letto, ma poco prima si era vista l’immagine di Chow riflessa sullo specchio, quasi a suggerire l’impossibilità della coppia, in uno stesso spazio, di incontrarsi realmente (figg. 29-30). 66 29 30 Questo suggerimento è rafforzato, nella stessa sequenza, da un’inquadratura che vede Su a sinistra del letto e Chow seduto a destra. Tra i due personaggi c’è un comodino con sopra una lampada a due steli disposti simmetricamente, quasi volesse indicare il riflesso dell’altro. Le immagini creano un disorientamento, al punto che alcune volte non è chiaro se i personaggi sono filmati direttamente oppure attraverso lo specchio. La confusione nasce, anche, dai doppi riflessi: come nella scena in cui Su, sola nella stanza, piange e lo specchio a due ante triplica la sua figura. Ciò che distingue questo film da Days of Being Wild è proprio l’attenzione ai dettagli. Gli oggetti, spesso, vengono messi in primo piano in contrasto con la sfocatura della figura umana, percepibile sullo sfondo (si veda il primo piano dell’orologio a muro nell’ufficio del signor Ho con Su ripresa sullo sfondo in fuori fuoco). Un’altra opacità della figura umana si può vedere nella scena in cui Su, dopo aver sentito la predica della signora Suen, viene ripresa di spalle in mezza figura con la metà destra della schiena coperta dalla tenda (fig. 31). Ciò ci suggerisce la sua scissione interna e la sua distanza da Chow. Gli spazi e gli oggetti, quindi, contribuiscono a ridimensionare la figura umana, soffocandola. Quasi tutte le sequenze sia interne sia esterne sono soffocanti, in quanto non aprono mai a un varco di visibilità. 31 67 Un altro elemento che caratterizza il tempo del ricordo è costituito dagli abiti indossati da Maggie Cheung, in cantonese cheongsam, che contribuiscono a esercitare una forte pressione nel personaggio. Il fatto che Maggie Cheung sia costretta a indossare questi vestiti stretti, a calzare scarpe con il tacco, ad avere un’acconciatura sempre perfetta, è l’immagine più evocativa della nostalgia. Il suo lungo collo, accentuato dalla chiusura del colletto del cheongsam, e i suoi capelli perfetti, la trasformano in un’antica bellezza. È una figura emblematica che rappresenta la moglie e l’amante, che si nasconde dietro le apparenze perfette di un modello di donna, segnata da una riservatezza, ma anche da una repressione interna che si vede nella sua compostezza, nella sua timidezza. La bellezza degli abiti di Su esalta l’eleganza e il potenziale erotico. L’eleganza che troviamo nel film, quindi, contribuisce a ricreare il passato e a catturare il ricordo. Spetta a Maggie Cheung liberare il segreto che Tony Leung ha sussurrato nella fessura del muro al tempio di Angkor Wat. Su Lizhen è insicura di se stessa ed è sopraffatta dall’ansia e dalla paura dei pettegolezzi che lei tradisca non solo il signor Chow, ma anche se stessa.89 Sul piano della durata, Wong Kar-wai ricorre spesso alla tecnica dell’ellissi. In una scena posta quasi all’inizio del film, Chow offre in prestito a Su alcuni dei suoi romanzi wuxia e la donna risponde: “Non adesso, la disturberò un’altra volta”. Nell’inquadratura successiva, la donna suona alla porta del vicino per restituirgli i libri. Ci troviamo davanti di nuovo a un’altra ellissi: Su prepara la zuppa di sesamo per Chow che è malato, ma lo spettatore non vede il loro incontro, perché nella sequenza successiva vediamo Chow, guarito, che incontra Su per strada per ringraziarla. Quest’ultima ellissi è la più importante per capire l’idea del tempo in In the Mood for Love. Infatti, si può dedurre che è più importante il ricordo del passato che il presente, la preparazione della zuppa è esistita solo perché Chow lo ricorda. Il disgregarsi del tempo narrativo avviene anche attraverso la ripetizione, un’altra tecnica caratteristica del cinema di Wong Kar-wai. La struttura ritmica del film è scandita da temi musicali, visivi e narrativi, che si ripetono continuamente. Non solo i vestiti di Su, il taglio sempre uguale e perfetto, o la camminata al ralenti della 89 Il concetto di “gossip” viene ripreso da Wong Kar-wai da un romanzo di Manuel Puig, La traición de Rita Hayworth e Boquitas pintadas, cit. in Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 129. 68 donna, ma anche i colloqui serali tra i due protagonisti, le partite di mahjong dei vicini, Chow in ufficio da solo e così via. La ripetizione serve, quindi, per mettere in luce le loro differenze. Nella prima parte del film riprende una scena che poi si ripeterà in tre momenti diversi: Su, filmata in ralenti, esce per andare a prendersi dei noodles e sulla strada incontra Chow. In due momenti il passo al ralenti di Su è accompagnato dal tema musicale composto da Shigeru Umebayashi per il film Yumeji di Seijun Suzuki (1991).90 La prima volta i due sono ripresi separatamente e la cinepresa coglie la loro solitudine e le loro espressioni tristi. La seconda volta li vediamo che si incontrano sulle scale con Su che sta salendo e viceversa nel terzo incontro (figg. 32-32). È qui che Chow esce di campo, lasciando un vuoto. A questo punto inizia a piovere ed è la pioggia a rendere possibile un nuovo incontro tra i due protagonisti. Subito dopo Su e Chow salgono la scala che li porta ai loro appartamenti, segno che sono ritornati insieme, ma anche qui nulla si sa di che cosa si dicano. 32 33 Quasi tutti i film di Wong Kar-wai hanno a che fare con persone bloccate in certe routine, che non le rendono felici. Vogliono cambiare e l’amore è uno degli elementi che costringe la gente a rompere con le abitudini e a cambiare. Ecco perché il regista ripete sempre le inquadrature: per mostrare i cambiamenti che accadono. L’ossessione del passato diventa il vero nodo in In the Mood for Love. Il film è ambientato negli anni Sessanta, la vicenda dei due protagonisti è collocata in un tempo che è già Storia (come i cinegiornali del finale, la visita del generale De Gaulle, i disordini di Hong Kong e in Cambogia).91 I sofisticati cheongsam, le acconciature, 90 Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2010, p. 150. In una delle sue interviste, Wong Kar-wai parla del finale. Il 1966 è la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro. Per quanto riguarda la Cambogia, voleva trovare qualcosa relativo alla natura, alla storia, che fosse in contrasto con il resto del film. Quando ha scoperto che De Gaulle era stato in visita in 91 69 gli arredamenti, la musica, la letteratura, con la stesura del romanzo a puntate di arti marziali scritto da Tony Leung e in collaborazione con Maggie Cheung tutto contribuisce a ricostruire un’epoca antica. Il passato è al tempo stesso ostacolo e desiderio: un vincolo che si oppone a nuove scelte, ma anche una sorta di paradiso perduto o mancato. È come se il presente venisse a scomparire, oppresso dal prima e disperso nel dopo. Il non mostrare i volti dei coniugi infedeli, il lavoro sul non dire e sul non mostrare sono tutti segni della non rappresentabilità del presente. Il finale al tempio di Angkor Wat, con la struggente musica di Michael Galasso, rende questa perdita irreparabile, una felicità ormai lontana e impossibile. Cambogia proprio quell’anno, ha voluto che nel film ci fosse anche questo, in quanto era parte della storia coloniale. Cf. Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 108. 70 5.3 Una storia da ricordare: Happy Together (Chun Guang Zha Xie, 1997) Happy Together 春光乍泄 segna una tappa fondamentale nella carriera di Wong Kar-wai, per quanto possa essere considerato un film che tratta dell’esilio di due giovani amanti, un tema che emerge, per la prima volta, nel cinema di Wong (se ignoriamo le avventure di Yuddy nelle Filippine in Days of Being Wild, l’esilio non è il tema principale). Il 30 giugno 1997 Hong Kong cesserà di essere colonia del Regno Unito per diventare una Special Administrative Region della Repubblica Popolare Cinese. Alcuni registi indipendenti esprimono le proprie preoccupazioni per un paese che si sta dissolvendo. Wong Kar-wai, invece, in modo spiazzante, decide di lasciare Hong Kong e di girare un film ambientato in Argentina, nella parte opposta del mondo, in un paese che il regista non ha mai visto.92 Happy Together racconta la storia di due giovani omosessuali, Lai Yiu-fai, con la testa sulle spalle, e Ho Po-wing, un ragazzo spensierato, infantile ed egoista, che vivono una storia d’amore difficile, segnata da frequenti litigi e separazioni e altrettanti riavvicinamenti. Durante una di queste crisi, i due amanti decidono di partire per l’Argentina, per vedere le cascate di Iguaçu. Arrivati a Buenos Aires si separano nuovamente: Ho inizia una vita inebriante tra locali notturni e amanti occasionali, mentre Lai si chiude nella solitudine e nella nostalgia, e sognando di ritornare a Hong Kong lavora come usciere in un tango bar, dove una notte incontra di nuovo il suo ex amante. Ho vorrebbe ritornare con Lai, ma quest’ultimo, geloso dei suoi continui tradimenti, lo tiene a distanza, fino a quando una sera Ho si presenta a casa sua con le mani spezzate, dopo essere stato maltrattato per aver rubato un orologio. Lai, dispiaciuto e impietosito, gli offre il suo letto, curandolo con dedizione, e i due ricominciano93, così, la loro storia. Per paura che Ho possa nuovamente lasciarlo, Lai gli nasconde il passaporto, così da impedirgli di partire. Dopo essere stato licenziato dal tango bar per aver aggredito l’uomo che aveva spezzato le mani a Ho, Lai trova lavoro in un ristorante cinese, dove conosce Chang, un ragazzo di 92 Happy Together è girato in Argentina, un paese molto lontano da Hong Kong, e il senso dell’esilio è ancor più evidente. È il primo film di Wong Kar-wai girato interamente in un luogo straniero, “un luogo sconosciuto, in cui si può cominciare da capo”. Stephen Teo, Wong Kar-wai, London British Film Institute, 2005, p. 98. 93 In questo film, il continuo ritorno dell’imperativo ricominciamo viene usato spesso, soprattutto da Leslie Cheung, che interpreta il ragazzo spensierato Ho Po-wing. Questa continua ripetizione fa parte del modello cinematografico di Wong Kar-wai. 71 Taiwan, con il quale instaura da subito un legame d’amicizia. Ho intanto, dopo essere guarito, riprende la sua vita disordinata, facendo ingelosire ancor di più Lai. Dopo aver chiesto più il volte il passaporto, ma senza esito, Ho decide di lasciare definitivamente il compagno. Nel frattempo Lai approfondisce l’amicizia con Chang, ma quest’ultimo lascia Buenos Aires per raggiungere Ushuaia, il luogo più a sud del mondo, lasciando Lai solo. La solitudine lo spinge a vivere una vita disordinata, cercando compagnie sessuali in bagni pubblici o nei cinema. Sempre più forte è il desiderio di comunicare con il padre, il quale lo aveva aiutato a trovare un impiego a Hong Kong, ma prima di partire aveva rubato del denaro dal luogo di lavoro. Così decide di scrivergli una lunga lettera in cui gli chiede di perdonarlo. Dopo aver messo da parte un po’ di soldi, Lai decide di intraprendere il viaggio tanto desiderato alle cascate di Iguaçu, non prima di aver lasciato sul tavolo della sua stanza il passaporto di Ho. Poi inizia il suo lungo viaggio verso Hong Kong. Intanto Ho recupera il suo passaporto e si rende conto che non rivedrà mai più Lai. Quest’ultimo decide di fermarsi a Taipei: in un chiosco riconosce, appesa a un muro, la foto di Chang nella Terra del Fuoco e capisce che si tratta dei genitori del ragazzo. Prima di ritornare a casa, Lai prende con sé una foto di Chang. Happy Together è stato considerato da molti critici come un film sull’handover e lo stesso Wong è costantemente ossessionato dalla questione dell’1 luglio 1997. Il modo migliore per riflettere su Hong Kong nell’imminenza dell’handover è farlo da un punto di vista lontano, che sembra quasi rovesciato, quello dell’esilio e della nostalgia. Il tema dell’esilio è collegato alla scadenza del 30 giugno 1997 che fa ombra su molte vite di Hong Kong, soprattutto sugli omossessuali, i quali sono molto preoccupati per i loro diritti civili e individuali. Ecco perché Wong Karwai ha convinto Leslie Cheung, a lungo identificato come omossessuale, ad apparire in Happy Together, poiché “Hong Kong doveva produrre un film reale omossessuale prima del 1997”. 94 Nel fare questo tipo di film, Wong Kar-wai concretizza la questione del 1997 descrivendo due uomini di Hong Kong che scappano dalla realtà temporale della città per trovare posto in un altro luogo, in un altro tempo. Il distacco dalla madrepatria deve essere immediato, infatti, le prime inquadrature non mostrano la partenza dei due giovani, ma raccontano subito l’arrivo. Ancora prima di conoscere 94 “Hong Kong needed to make a real gay film before 1997.” Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2010, p. 100. 72 i personaggi del film, vediamo i loro volti e i loro nomi sui passaporti britannici in imminente scadenza, così come la nazionalità dei loro intestatari (un agente doganale punta il dito sulla scritta Nationality: British National – Overseas). Il desiderio e la paura del ritorno sono accresciuti dall’esperienza della distanza: questa condizione emotiva non coinvolge solamente i personaggi in Happy Together, ma anche la troupe che sta girando il film. L’esilio di Lai è, probabilmente, il riflesso dell’esilio di una troupe che sopporta questa situazione di sradicamento, e a sua volta la troupe è il riflesso di una comunità che cerca di integrarsi in un posto nuovo e si interroga sulle proprie radici e sul proprio futuro. Per la prima volta il regista sceglie di ricorrere a materiali di repertorio, inserendo le immagini di un telegiornale del 19 febbraio 1997, dove si annuncia la morte di Deng Xiaoping, il grande patriarca della Cina postmaoista.95 Il tournage di Happy Together è molto difficile, com’è raccontato anche nel documentario Buenos Aires Zero Degree del 1990. I fattori che conducono al ritardo sui tempi della lavorazione del film sono molteplici: i problemi di salute del regista, che viene ricoverato in ospedale per due settimane, le difficoltà economiche (la produzione locale iniziò a chiedere più soldi per le riprese in alcune aree, minacciò il regista, avvisandolo che se gli attori si fossero avventurati per le strade, sarebbe accaduto un brutto incidente), il disimpegno di Leslie, che fu costretto ad abbandonare l’Argentina per intraprendere il suo tour internazionale di concerti, ma soprattutto l’incertezza progettuale di Wong Kar-wai. L’idea iniziale era quella di riprendere Tony Leung (Lai Yiu-fai) che arriva nell’aeroporto di Buenos Aires, in cerca del padre che si trovava in difficoltà. Quest’ultimo era venuto in Argentina per cercare una persona che amava, e questa persona era un uomo, Ho Po-wing. Il progetto, però, cambia fisionomia, causato, anche, dall’allontanamento di Leslie Cheung, che costringe il regista a rivedere la struttura del racconto. Ciò che premeva a Wong era conoscere bene il luogo, i suoi abitanti, le loro abitudini, il loro lavoro. È proprio in questo momento di incertezza che Wong pensa a due nuovi personaggi: il giovane ragazzo di Taiwan, Chang Chen, e una donna, Shirley Kwan, che intreccia un legame sia con Lai che con Chang. La scelta finale, tuttavia, sarà quella di eliminare il 95 Deng Xiaoping (22 agosto 1904 - 19 febbraio 1997) era stato l’artefice per la riconsegna di Hong Kong alla Cina, e la sua morte si intreccia in maniera simbolica con l’handover, quasi a ribadire che sia per la Cina Popolare sia per Hong Kong il 1997 chiude un’epoca e ne apre una nuova piena di interrogativi. 73 personaggio di Shirley Kwan e un secondo personaggio femminile, un’infermiera, che si innamora di Lai. Questo spiega la volontà del regista di non aprire un confronto tra l’omosessualità e la dimensione eterosessuale: la conseguenza è che, per la prima volta, nel cinema di Wong Kar-wai le donne sono completamente assenti.96 Lo spettro della memoria Il 1997 rimane una delle questioni molto vicine a Hong Kong, ma anche allo stesso regista Wong Kar-wai. Lo spazio in Happy Together è Buenos Aires, dove il tempo è qualcosa di perduto, in cui le stagioni sono invertite, il presente e il passato sono mescolati da immagini in bianco e nero, che riportano alla memoria, a immagini dai colori caldi del presente. Questo viaggio tocca gli aspetti profondi di una relazione, attraverso il ricordo che ne ha uno dei due, Lai Yiu-fai.97 Il regista sceglie di girare a Buenos Aires non soltanto perché è un paese che si trova nella parte opposta a Hong Kong, ma anche perché Wong è motivato dall’amore per il tango e soprattutto dalla passione per la letteratura sudamericana. Egli, infatti, viene ispirato dal romanzo di Manuel Puig The Buenos Aires Affair, poi non utilizzato per la sceneggiatura, ma Stephen Teo ritiene che sia stato influenzato, anche, da un altro romanzo di Puig, Il bacio della donna ragno, e soprattutto da Il gioco del mondo, un racconto dell’argentino Julio Cortázar.98 The Buenos Aires Affair è la storia di due individui tormentati dalla loro vita e dal loro passato. Sono un uomo e una donna alla ricerca dell’amore, ritratti nell’incapacità di allontanarsi dalle scene vissute nel passato, alle prese con un terribile senso di colpa e pervasi da una serie di ansie sessuali. Wong trasforma il romanzo in una storia di due individui di Hong Kong basata sull’amore impossibile 96 Dal documentario Buenos Aires Zero Degree: The making of Happy Together, diretto da Kwan Punleung e Amos Lee, Hong Kong, Jet Tone Productions, 1999. 97 Nel documentario Buenos Aires Zero Degree, Wong Kar-wai racconta che l’idea iniziale era quella di narrare la storia di due persone, ma a causa delle restrizioni di tempo, dovette focalizzarsi di più su uno dei due personaggi, in questo caso Lai Yiu-fai, interpretato da Tony Leung. 98 Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 103. Il titolo originale è Rayuela, pubblicato nel 1963 e considerato uno dei romanzi più influenti della letteratura ispanoamericana contemporanea. La rayuela (da raya che in spagnolo significa “linea”, “striscia”) è un antico gioco per bambini che consisteva su un tracciato di caselle disegnato per terra. Il primo giocatore lanciava la prima pietra nella casella 1 e con un piede solo, il destro, andava nella casella 2 ed effettuava poi il percorso con un piede solo in corrispondenza delle caselle 3 e con due piedi nelle caselle 4/5 e 7/8. I giocatori dovevano fare attenzione a non toccare mai le righe o a mettere il piede fuori. Durante il percorso di ritorno dovevano raccogliere la pietra depositata nella casella 1 e continuare a giocare, scagliando la pietra sulla casella 2. Ad ogni giro conquistava una casella: chi possedeva una casella poteva utilizzarle nel percorso, al contrario di chi non le aveva. Man mano che si occupavano le caselle, il percorso diventava sempre più difficile. 74 tra due esseri umani, concentrandosi non tanto sulla patologia sessuale, che nel romanzo di Puig ossessiona i due protagonisti, quanto nel concentrare l’attenzione sulla comunicazione tra i due giovani amanti. Il gioco del mondo racconta la storia di uno scrittore argentino, Horacio Oliveira, che si trova a Parigi, e una donna, La Maga, emigrata dall’Uruguay insieme al figlio Rocamadour, che vive alla giornata e tenta una breve carriera da cantante. I due iniziano la loro relazione, che risulta difficile perché Oliveira non sopporta la presenza del piccolo. La vita di La Maga subisce un brutto colpo quando il figlio muore dopo una lunga malattia. Da quel giorno in poi sparirà e Oliveira si sentirà colpevole della sua scomparsa. Lo scrittore decide di ritornare a Buenos Aires e cade in una crisi spirituale del suo essere, della sua esistenza e ossessionato costantemente dalla presenza nella sua mente della donna, che lo ha lasciato. In Happy Together, Parigi sostituisce Buenos Aires, la quale prende il posto di Hong Kong. Le due città, Buenos Aires per Lai Yiu-fai e Ho Po-wing, Parigi per Oliveira e La Maga, sono luoghi dove le persone possono innamorarsi, ma rappresentano al tempo stesso una mancanza, un vuoto e l’impossibilità di trovare la felicità. Il film è ambientato nel periodo compreso dal maggio del 1995, quando il protagonista arriva in Argentina, al febbraio del 1997, quando Lai Yiu-fai si sveglia in una camera d’albergo a Taipei e alla televisione viene annunciata la morte di Deng Xiaoping. Il titolo Happy Together è stato ripreso da una canzone dei Turtles, che si può ascoltare nel finale, nella versione di Danny Chung. Il titolo definitivo si riferisce con ironia alla coppia, ma anche a se stessi e al proprio passato. Inoltre può essere considerata, anche, come la “speranza che tutti potranno essere felici dopo il 1997, anche se nessuno potrà mai dare una risposta su cosa veramente accadrà dopo l’1 luglio 1997”.99 Anche il sottotitolo usato per la promozione, Story about Reunion, può sembrare ironico, perché racconta un congedo, più che un incontro. In questo caso la reunion fa riferimento al ritorno a casa, il ricongiungimento con l’altro a partire con il proprio io. 99 “We could all be happy together after 1997, but no one can give a decisive answer as to what will really happen after July 1, 1997”, cit. in Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005, p. 100. 75 Un altro aspetto importante è che Happy Together riflette anche la vita dello stesso regista, in termini di distacco e sradicamento dalla madrepatria. Il film è una protesta riguardo al tempo, che viene azzerato completamente, ma produce, anche, il sentimento di esilio, di esistenza di Wong Kar-wai dovuto al suo essere estraneo come shanghaiese in una Hong Kong cantonese e la sua reputazione di enfant terrible dell’industria cinematografica della città. Proprio Buenos Aires diventa la città in cui Wong realizza il sentimento di esilio, un tema caro al regista sin dai primi anni della sua carriera. Egli descrive, quindi, Buenos Aires come “il paese di grado zero, in cui non c’è né l’est né l’ovest, non c’è il giorno e non c’è la notte, non è né freddo né caldo, qui ho compreso il sentimento dell’esilio”.100 In questo suo viaggio, egli ha scoperto varie cose che solo gli esiliati possono provare: la barriera delle lingue, quello che si prova a vivere in un paese dove non si comprende né la televisione, né i giornali, né la radio, il sentimento di erranza quando bisogna ricostruire la propria casa altrove.101 La scelta di questa città argentina deriva dal fatto che Wong voleva fare un film ispirandosi al romanzo di Manuel Puig. Il sogno di un amore perduto e l’amicizia tra Lai e Chang In Happy Together assume importanza la dimensione del ricordo, come nei due film citati nei paragrafi precedenti, Days of Being Wild e In the Mood for Love. La memoria di Lai Yiu-fai racconta una perdita, una mancanza e si configura come un’avventura, nel verso senso della parola: andare verso qualcosa che verrà. I tempi verbali usati dalla voce over di Lai per regolare il racconto sono il passato remoto e l’imperfetto, ossia i tempi di una memoria lontana dagli eventi. Tuttavia il regista abbandona l’immagine del passato remoto (gli anni Sessanta di Days of Being Wild) e le voci di un presente veloce, ma anche metaforico di Hong Kong Express e Angeli Perduti: il tempo che controlla meglio l’intero film è piuttosto l’imperfetto. La distanza temporale della voce over è accentuata, anche, dai passaggi tra immagini a colori e in bianco e nero. Le prime inquadrature, infatti, mostrano i due giovani amanti in una camera da letto, ridotta all’essenziale, spoglia e resa ancor più squallida dagli specchi graffiati e anneriti dal tempo. Le scene sono girate con colori caldi e un’illuminazione contrastata, che si ripeterà per buona parte del film, ma quando Lai 100 Si veda il documentario Buenos Aires Zero Degree: “a land of zero degree, with neither east nor west, has neither day nor night, which is neither cold nor warm, I learned the feeling of exile.” 101 Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, cit. p. 98. 76 inizia a ricordare, si passa al bianco e nero, il colore del passato. Quest’ultimo si annulla, lasciando il posto al colore dell’umidità delle cascate argentine, su cui si sofferma la macchina da presa, accompagnate dalla voce di Caetano Veloso in “Cucurrucucu Paloma”, un’atmosfera tranquilla che si ripete alla fine del film. Happy Together non racconta il viaggio di Lai e Ho verso Iguaçu, le cascate sono visibili già all’inizio del film, senza ancora essere raggiunte, come il ricordo di qualcosa che non è ancora stato visto.102 L’attenzione è tutta sulla storia di un amore distruttivo, in cui uno dei due torna di volta in volta ripetendo l’ossessivo ricominciamo, mentre l’altro tenta di rifarsi una vita. È proprio nell’inquadratura iniziale che vediamo la prima crisi tra i due: Ho decide di abbandonare il compagno appena arrivati in Argentina. La separazione trasforma Lai, che non smette di amare Ho, ma cerca di tenerlo a distanza. Il contrasto tra l’istinto emotivo e la razionalità che pervade Lai si esprime in chiave spaziale, in cui vediamo Ho all’interno del locale che amoreggia e Lai all’esterno che guarda, ma anche con la musica (figg. 34-35), con l’alternarsi del tango triste e appassionato (la musica infradiegetica dall’interno) e il jazz-rock di Frank Zappa (la musica extradiegetica dell’esterno). 3 4 35 Il primo tentativo di ricominciare riguarda l’infermità di Ho, che lo rende dipendente da Lai. L’immagine di Ho sanguinante sulla soglia della stanza dell’Hotel Revera permette a Lai di ricominciare, accogliendo la richiesta di Ho. La storia, quindi, riparte da zero, passando da uno stato emotivo in bianco e nero, a una prima immagine a colori che ritrae i due amanti intimi all’interno di un taxi.103 Il tentativo cruciale di riavvicinamento tra Lai e Ho si ha quando i due ballano il tango nella cucina dell’hotel. Wong Kar-wai inquadra in campo totale, chiuso dalle pareti della 102 Il ricordo di qualcosa che non è ancora stato visto, come la California in Hong Kong Express. L’immagine dei due protagonisti all’interno di un taxi è ripetuta con uguale intensità anche in In the Mood for Love. 103 77 cucina e privo di fuori campo, i due amanti stretti in un tango appassionato (fig. 36). 36 Dopo la guarigione, Ho inizia a cercare distrazioni, anche con altri uomini, mentre Lai ricomincia a vivere con l’ansia dell’abbandono e della gelosia. Lai ricorda in voce over quel periodo in cui accudiva il suo amante, riconoscendolo come il migliore del loro rapporto. Le immagini in bianco e nero sono legate a un amore che si compie quasi a insaputa dell’altro: Ho dorme ed è ignaro degli sguardi e dei gesti pieni d’amore che gli riserva il suo partner. L’imminente abbandono da parte di Ho è annunciato da alcune inquadrature che costituisce un’estetica della sparizione: Ho è ripreso di profilo in campo totale, seduto al tavolo che guarda fuori dalla finestra. Dopo un jump cut e un successivo ritorno alla stessa inquadratura, il campo è vuoto e si vedono le tende mosse dal vento.104 Quando Lai rientra a casa, preoccupato perché Ho non c’è più, il regista mette in scena l’ansia per la sparizione dell’altro, inquadrando il volto di Lai, ripreso in primo piano accanto al battente della porta aperta, fuori fuoco rispetto agli elementi sullo sfondo (figg. 37-38-39-40).105 37 38 104 Il jump cut è un termine utilizzato nell’ambito del montaggio discontinuo e si riferisce a uno stacco che comporta un improvviso salto spaziale o temporale tra un’inquadratura e quella successiva. 105 Avviene un rovesciamento dei principi della gerarchia visiva: una delle regole fondamentali del cinema classico era la gerarchizzazione. All’interno di ogni inquadratura, essa determina ciò che è più importante e ciò che lo è meno, ciò che è visibile e ciò che è più nascosto (spesso l’elemento principale è l’attore). 78 39 40 La sparizione di Ho coincide con lo sviluppo dell’amicizia tra Lai e Chang. L’importanza di questo personaggio è data dal fatto che si esprime in voce over (fino a quel momento era associata a Lai). Egli “crea un’alterazione temporale, in quanto legata al presente: i suoi pensieri a occhi chiusi aprono nel racconto al passato di Lai un vettore imperfettivo, che aderisce al tempo interno del racconto nel suo farsi”.106 In Happy Together molte cose si ripetono, come i litigi tra i due amanti, le immagini delle cascate di Iguaçu, le scene di tango, i primi piani della lampada-souvenir, le chiacchiere tra Lai e Chang ecc. “Ci sono cose che tornano ciclicamente”, dice Lai in voce over, e la memoria stabilisce delle connessioni tra gli eventi e le immagini, dando importanza allo scarto temporale che li divide, facendo progredire il racconto. La relazione tra presente e passato, relativa al legame tra Lai e Chang, è percepibile non soltanto dalle conversazioni nella cantina Tres Amigos, ma anche dalle tre diverse partite di calcio, filmate in modo quasi identico per sottolinearne le differenze: nella prima partita Lai litiga con un avversario e abbandona la partita, nella seconda Chang cerca di scontrarsi con Lai, come a cercare un contatto per far crescere l’amicizia, nell’ultima partita Lai e Chang fanno squadra, vincendo e dividendosi la vittoria, come una coppia. Un’altra analogia si stabilisce nel momento del congedo, quando i due si abbracciano. La memoria dello spettatore ricorre all’abbraccio in cucina tra Lai e Ho, inteso in modo completamente diverso tra quello di Lai e Chang. Il primo, infatti, diventava un gesto più narcisista, in cui Ho stringeva Lai solo per sentire meglio se stesso, mentre il secondo è più profondo, privo di attribuzioni di ruoli. Ciò che interessa a Wong Kar-wai è scolpire l’immagine pura di un abbraccio in quanto tale (figg. 41-42). Questo incontro con Chang porta Lai a ritrovare il proprio Io, senza avere la sensazione di smarrimento, che attenderà, invece, il destino di Ho. Subito dopo la partenza di Chang, Lai si trova a vivere due sentimenti contrastanti: il 106 Silvio Alovisio, Wong Kar-wai, cit., Milano, Il Castoro Cinema, 2010, p. 122. 79 desiderio di fondersi con l’altro e la paura di essere come l’altro. In diversi momenti del film Lai ripete a Ho: “Io non sono come te”, la stessa cosa accadeva anche in In the Mood for Love (“Noi non saremo mai come loro”), ciò serviva a non creare una rottura della propria identità. Lai assume la consapevolezza della sua diversità rispetto a Ho solo quando inizia a comportarsi come lui, ricercando sesso occasionale e comprende che “quando si è soli siamo tutti uguali”. Non ci sono persone migliori o peggiori, ma solo scelte diverse da non giudicare, convinzione che emergerà, anche, in In the Mood for Love. 41 42 L’ultima parte del film mette in scena i destini dei tre personaggi. Il primo coinvolge Ho, il cui spostamento spazia tra il Bar Sur e l’Hotel Revera e sembra voler ripercorrere il viaggio di Lai dell’inizio, sostituendo la propria identità in modo da rimediare la perdita del partner: riordina la camera, come aveva fatto tante volte Lai, riattiva il meccanismo della lampada-souvenir che dava l’illusione del movimento dell’acqua e la guarda intensamente come aveva fatto tante volte Lai (fig. 43).107 Il viaggio di Ho si conclude, quindi, dentro un particolare del disegno sulla lampada che raffigura una coppia che guarda le cascate. Da questo momento, Ho si rende conto che Lai non tornerà mai più e, per la prima volta, avverte la scissione del proprio Io. Se il viaggio di Ho alle cascate di Iguaçu finisce davanti a un disegno, quello di Lai invece è reale. Già all’inizio del film la macchina da presa, in un movimento lento, riprendeva il paesaggio delle cascate, che indicava la meta di un progetto condiviso, accompagnata dalla canzone di Caetano Veloso, riproposta qui in una versione più nostalgica e sofferente. La stessa inquadratura viene riproposta da Wong Kar-wai nella sequenza finale del film, associata questa volta alla musica di Piazzolla, più drammatica. L’acqua, nel suo precipitare e nel suo cambiare colore, acquista una 107 L’elemento della lampada è metafora del cinema come un dispositivo che produce illusioni e doppi. 80 valenza simbolica, come fosse una metafora della distanza, che divide il presente dal passato: il flusso del tempo che precipita nel ricordo e immediatamente evapora (fig. 44). L’acqua, nel cinema di Wong Kar-wai, è associata alle lacrime e agli addii: basti pensare alla scena in Days of Being Wild, quando Lulù respinge definitivamente Zeb durante un violento temporale. L’acqua si collega al dolore della perdita, ma anche alla liberazione. Il terzo spostamento coinvolge Chang, il quale si spinge fino al faro di Ushuaia, la città più a sud del mondo (figg. 45- 46). Il faro di Ushuaia è associato a una leggenda, simile a quella del buco nell’albero di In the Mood for Love. In una sequenza del film alla cantina Tres Amigos, Lai racconta all’amico Chang che in quel posto c’è un faro dove le persone molto tristi possono liberarsi dai loro pensieri, scaricare i propri problemi. In quel momento Chang estrae dalla tasca del suo giubbino un piccolo registratore e lo rivolge a Lai: Chang: “Dì qualcosa. Lai: Che devo dire? Chang: Sei l’unico amico che ho qua. Lasciami un ricordo, le foto non mi piacciono. Lai: Non so cosa dire. Chang: Dì quello che ti pare, purché sia la verità, va bene qualsiasi cosa. Se ti va di dire una cosa triste la scarico al faro per te. (Dice sorridendo) Lai: Ma io non sono triste. Chang: Allora dì qualcosa di allegro. (Qualche istante di silenzio) Allora facciamo così, mentre tu incidi, io vado a ballare. (Si alza e va a ballare, lasciando il registratore in mano a Lai). Lai, rimasto solo al tavolo, prende in mano il registratore e inizia a piangere: sarà poi Chang a sciogliere le lacrime dell’amico al faro di Ushuaia. 43 44 81 45 46 Tuttavia, il viaggio che è considerato il più importante in Happy Together riguarda Lai: il ritorno a Hong Kong e alle sue origini. Il protagonista prima di ritornare nella sua città natale, fa sosta a Taipei con l’intento di cercare l’amico Chang, proprio come quest’ultimo aveva fatto con lui a Buenos Aires, aprendosi a un possibile incontro. Il regista, però, non vuole filmare questa eventualità, così come non filma il ritorno di Lai a Hong Kong e il confronto con il padre, confermando la sua preferenza per un finale aperto. Happy Together è, quindi, un film a tematica omossessuale e ciò che interessa a Wong Kar-wai non è raccontare l’intolleranza, l’accettazione da parte della società e di se stessi, le difficoltà a integrarsi, piuttosto è definire in modo utopico la relazione amorosa come luogo dove le identità si confondono e si rovesciano. L’incontro con la diversità è anche un confronto con i luoghi della lontananza, che nel film sono principalmente due, il Bar Sur e l’Hotel Revera. Il primo è uno dei tango bar più celebri di Buenos Aires, situato in centro, nel barrio di San Telmo, questo spiega perché nel film il luogo sia una metà turistica. L’Hotel Revera, invece, si trova in una parte degradata della città, a La Boca, intorno al porto. Pertanto, filmare la lontananza significa ricongiungersi con la prossimità, così facendo, il regista non vuole soffermarsi sugli argentini, né vuole esplorare il paesaggio, anche perché il viaggio non è un prendere le distanze, ma il tentativo di colmarle. Ecco perché Buenos Aires è identificata come uno spazio altro, ma vicino, perché è possibile ritrovare qualcosa di Hong Kong, soprattutto a La Boca, dove Wong riconosce la dimensione soffocante, di degrado e malfamata di Mongkok, dove si incrociano lingue diverse, come lo spagnolo, l’inglese, il mandarino e il cantonese, dove è possibile giocare a mahjong, nel Chino Central, il ristorante in cui Lai trova lavoro e conosce Chang.108 Il viaggio diventa, quindi, un ritrovamento di se stessi e 108 Silvio Alovisio, Le ceneri del tempo, il cinema di Wong Kar-wai, Piombino, TraccEdizioni, 17-19 settembre 1997, p. 53. 82 delle proprie radici, un distacco dalla madrepatria in vista dell’handover e di conseguenza una speranza per essere felici dopo il 1997, in uno spazio che sembrava diverso, addirittura opposto, quasi rovesciato. Il modo migliore per farlo è dal punto di vista dell’esilio e della nostalgia, in un posto altrove. Il film si chiude con le immagini di Taipei che ricordano molto la città di Hong Kong: il regista filma la modernità avanzata, globalizzata della capitale taiwanese con un montaggio intensivo di luci, persone, mezzi di trasporto, il tutto accompagnato dalla canzone Happy Together, un’interpretazione di Danny Chung, che assegna il nome al film. Queste immagini accelerate e a tratti rallentate sono il segno di un’insicurezza, di un’incertezza legata al futuro della nazione e sono descritte attraverso la tecnica dello stop motion che si vede alla fine del film, relativa alla corsa in metropolitana di Lai. Dopo il 30 giugno 1997, Taiwan sarà l’ultimo luogo in cui saranno visibili le ferite di una Cina non unita. Ritornare a casa significa anche incontrare il proprio amico (Chang), riflettere sull’identità cinese e, di conseguenza, confrontarsi con se stessi e le proprie origini. “Happy Together è un fermarsi completamente, la fine di un certo periodo di vita”, in cui il tempo si arresta dopo l’1 luglio 1997, mentre l’immagine delle cascate di Iguaçu persiste in un tempo reale o illusorio, riflessa della lampada-souvenir.109 109 Si veda il documentario Buenos Aires Zero Degree: The making of Happy Together, diretto da Kwan Pun-leung e Amos Lee, Hong Kong, Jet Tone Productions, 1999, in cui Wong dice “Happy Together is a full stop, the end of a certain period of life”. 83 6. CONCLUSIONI Come indicato dal titolo, l’obiettivo principale di questa tesi è stato quello di analizzare il concetto del tempo della memoria, prendendo in considerazione i tre film di Wong Kar-wai: Days of Being Wild, In the Mood for Love e Happy Together. La nozione del tempo pervade tutta la produzione cinematografica del regista: il suo “catturare” il tempo è evidente soprattutto nel momento in cui, con la macchina da presa, Wong riprende delle sequenze apparentemente uguali, ma che differiscono nella gestualità dei suoi personaggi o nell’uso dettagliato di alcuni elementi, come gli orologi. Il tempo e la memoria sono due concetti legati tra di loro, sia nella sfera personale sia storica. Il regista, infatti, descrive la transitorietà della vita e rivela che niente è duraturo nel mondo, tutto cambia di continuo, ma allo stesso tempo tutto rimane impresso in modo nitido nella mente dell’autore. Le sue produzioni presentano, anche, un sentimento di ansia per un futuro ignoto, di paura per l’incombente handover e di incertezza riguardo la propria identità. La nostalgia per la storia coloniale di Hong Kong viene rappresentata attraverso l’utilizzo di personaggi, associati a uno spazio che risulta oppressivo, claustrofobico, talvolta anche soffocante come in In the Mood for Love. Nella cinematografia di Wong Kar-wai, nel descrivere il presente, il regista utilizza elementi e spazi del passato, quali le canzoni, l’abbigliamento, i costumi e le pettinature (come i cheongsam di Maggie Cheung in In the Mood for Love), affinché il tempo trascorso rimanga nella memoria. Il suo vivere il presente, descrivendolo come istante in scadenza in Chungking Express, come esilio esotico in Happy Together, come fuga nella memoria in In the Mood for Love e come ricerca del proprio Io e delle proprie origini in Days of being Wild, può essere compreso attraverso i luoghi incontrati da Wong stesso. Prima Shanghai, in transizione alla nuova Cina Popolare, poi Hong Kong, multietnica, vissuta però attraverso una comunità chiusa come quella degli emigrati cinesi, ha contribuito ha una percezione del tempo molto particolare. Il presente, per Wong, allontanatosi dal resto della famiglia (mentre si trasferisce a Hong Kong, i fratelli rimangono a Shanghai, bloccati dalla Rivoluzione Culturale) si scompone in una serie di spazi che vivono epoche diverse. Da una parte egli partecipa come abitante di Hong Kong, dall’altra vede formarsi nella colonia 84 britannica questa piccola comunità di shanghaiesi. La sua produzione sembra prendere la forma di un romanzo autobiografico, che fa riferimento al proprio passato (il marinaio Tide in Days of Being Wild allude al padre marinaio, l’essere un emigrato allude a Lai Yiu-fai e Ho Po-wing in Happy Together). Il cinema di Wong Kar-wai fa emergere, quindi, un tempo che è già stato, che si è fatto cenere, ma che è ancora impresso nella mente e viene descritto attraverso il ricordo di un bambino “quando ripensa a quegli anni lontani, come se li guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare, e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto.” (da In the Mood for Love) 85 7. APPENDICE: FILMOGRAFIA As Tears Go by (1988) - Wangjiao Kamen – Mentre scorrono le lacrime Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Andrew Lau; montaggio: Peter Chiang; scenografia: William Chang; musica originale: Danny Chung; musica non originale: Take my Breath Away, Giorgio Moroder e Tom Whitlock (versione cantonese); interpreti: Andy Lau, Maggie Cheung, Jacky Cheung, Alex Man, William Chang; produzione: Alan Tang per In-Gear Production Co., Ltd; origine: Hong Kong; durata: 102’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (8° ed.): miglior direzione artistica, miglior attore non protagonista. Trama Wah (Andy Lau) è un piccolo malvivente di Kowloon, legato da un affetto sincero e fraterno con Fly (Jacky Cheung), un giovane molto impulsivo e immaturo. Un giorno Wah ospita la cugina Ngor (Maggie Cheung), giunta da Lantau per una visita medica. Prima di lasciare Hong Kong, Ngor invita Wah a passare l’estate a Lantau. Wah, però, è sempre occupato ad aiutare il suo “fratello minore”, in difficoltà per un debito non saldato nei confronti di Tony (Alex Man), un piccolo boss. Una volta risolti i problemi, Wah raggiunge Ngor a Lantau, dove inizia una relazione sentimentale e Wah inizia a intravedere la possibilità di una vita diversa. Nel frattempo, a Hong Kong, la situazione rimane tesa, perché Fly si caccia nuovamente nei guai. Il ritorno di Wah in città per salvarlo un’ultima volta segnerà poi la sua fine. Days of Being Wild (1991) – A Fei Zhengzhuan - I giorni in cui si era selvaggi Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: Patrick Tam; scenografia: William Chang; musica originale: Terry Chan; musica non originale: Always In My Heart, Maria Elena, Los Indios Tabajaras; El Cumbanchero, Jungle Drums, My Shawl, Papa Loves Mambo, Perfidia, Maria Elena, Siboney, Xavier Cugat; Jungle Drums, Anita Mui; interpreti: Leslie Cheung, Maggie 86 Cheung, Carina Lau, Andy Lau, Jacky Cheung, Rebecca Pan e Tony Leung; produzione: Alan Tang per In-Gear Film Production Co., Ltd; origine: Hong Kong; durata: 94’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (10° ed.): miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, migliore fotografia, migliore direzione artistica; Taiwan Golden Horse Awards (28° ed.): miglior regista, miglior attrice non protagonista, migliore scenografia, migliore progettazione scenica, miglior montaggio, miglior colonna sonora; Asian Pacific Film Festival (36° ed.): premio della critica, miglior regista, miglior attrice non protagonista, migliore fotografia. Trama Yuddy (Leslie Cheung) seduce Su Lizhen (Maggie Cheung), una ragazza che lavora nel negozio di un centro sportivo. Su si innamora di lui, ma quando Yuddy si rifiuta di sposarla, lei lo lascia. Yuddy, ragazzo cinico, cerca allora una nuova relazione e la ragazza che seduce è Lulù (Carina Lau), detta anche Mimì, ballerina in un night club. Anche quest’ultima si innamora di Yuddy, senza però essere veramente riamata. Invece, di lei si innamora Zeb, un amico d’infanzia di Yuddy, ma la ragazza non lo ricambia. Il desiderio più grande di Yuddy è quello di ritrovare la madre biologica. Dopo una scenata con Rebecca, la prostituta che lo aveva allevato, riesce ad avere maggiori informazioni sulla madre: Rebecca gli rivela che è ancora viva e che si trova nelle Filippine. Nel frattempo Su non riesce a dimenticare Yuddy e si aggira insonne per le vie di Hong Kong. Una sera incontra Tide (Andy Lau), un poliziotto che coltiva il sogno di diventare marinaio. Yuddy decide di lasciare Hong Kong e di andare nelle Filippine alla ricerca della madre biologica. Durante il viaggio incontra un marinaio (Tide, l’ex-poliziotto) con il quale instaura da subito un rapporto di amicizia, coinvolgendolo nei suoi guai: entrambi vengono coinvolti in una sparatoria, prima di morire, Yuddy si rende conto che l’unica donna che ha veramente amato era Su Lizhen. Ignara della sorte del suo amato, Lulù parte per le Filippine, mentre Su Lizhen tenta inutilmente di contattare Tide. Il film si conclude con la comparsa di un uomo misterioso (Tony Leung) che esce dal suo piccolo appartamento e si prepara, a sua volta, a una partenza. 87 Ashes of Time (1994) – Dongxie Xidu – Le ceneri del tempo Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: Patrick Tam, William Chang, Kai Kit-wai; scenografia: William Chang; musica: Frankie Chan, Roel A. Garcia; interpreti: Leslie Cheung, Tony Leung Karfai, Tony Leung, Brigitte Lin, Maggie Cheung, Carina Lau, Jacky Cheung, Charlie Young; produzione: Jet Tones Production Co., Ltd con Scholar Films Co. Ltd, Beijing Film Studio, Tsui Siu Ming Production, Pony Canyon; origine: Hong Kong; durata: 96’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (14° ed.): miglior fotografia, migliore direzione artistica, migliori costumi e progettazione scenica; Hong Kong Film Critics Society Awards (1994): miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura, migliore attore. Trama Ouyang Feng (Leslie Cheung), nativo della Montagna del Cammello, che lascia la sua terra d’origine per il deserto. Anni prima era partito in cerca di fortuna, allontanandosi dalla donna che amava (Maggie Cheung), quest’ultima aveva rinunciato ad aspettarlo sposando il fratello di lui. Nel deserto diventa un “agente per i killer”, assumendo giovani spadaccini in cerca di fama disposti a fare il lavoro sporco per conto di altri. Ogni anno l’amico Huang Yaoshi (Tony Leung Kar-fai) viene a fargli visita da Oriente: una volta questi offre a Ouyang un vino magico che cancella la memoria, ma quest’ultimo si rifiuta di assaggiarlo, mentre Huang lo beve e inizia a dimenticare. Ouyang Feng e Huang Yaoshi incontrano una serie di personaggi, le cui vicende si confondono e si intrecciano nella loro vita e nella loro memoria: Murong Yin/Murong Yang (Brigitte Lin), il guerriero cieco (Tony leung), che era stato migliore amico di Huang Yaoshi, e la sua bellissima moglie (Carina Lau), la quale cerca vendetta per fratello in cambio di un mulo e di un cesto di uova (Charlie Young), infine il vagabondo Hong Qi (Jacky Cheung), l’unico disposto ad aiutarla. Anni dopo Ouyang Feng, desideroso di cambiare vita, lascerà il deserto, diventerà Occidente Velenoso e regnerà a Ovest, Huang Yaoshi sceglierà di vivere come eremita nell’Isola del Fiore 88 di Pesco, dominando l’Est, Hong Qi, dopo il duello con Ouyang Feng sulla Montagna Innevata, prenderà il nome di Mendicante del Nord. Hong Kong Express (1994) – Chungking Express Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Cristopher Doyle, Andrew Lau; montaggio: William Chang, Kai Kit-wai, Kwong Chi-leung; scenografia: William Chang, Alfred Yau; musica originale: Frankie Chan, Roel A. Garcia; musica non originale: Baroque, Michael Galasso; Dream Person (cover di Dreams, The Cranberries); Bluebeard, Faye Wong; California Dreamin’, The Mamas and The Papas; Things in Life, Dennis Brown; Only You, The Flying Pickets; What a Difference a Day Makes, Dinah Washington; interpreti: Tony Leung. Kaneshiro Takeshi, Faye Wong, Brigitte Lin, Valerie Chow; supervisione: Jeffrey Lau; produzione: Jet Tone Production Co., Ltd.; origine: Hong Kong; durata: 97’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (14° ed.): miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, miglior montaggio; Taiwan Golden Horse Awards (31° ed.): miglior attore protagonista; China Times Express Awards (7° ed.): premio speciale della critica; Festival Internazionale del cinema di Stoccarda (1994): migliore attrice protagonista, miglior film. Trama L’agente matricola 223 (Kaneshiro Takeshi) è appena stato lasciato dalla fidanzata Ah Mei, ma non ha ancora trovato il modo per dimenticarla. La sera, nei pressi nel take away Midnight Express, dove un tempo aspettava Ah Mei che finisse di lavorare, cerca compagnia, telefonando persino ai suoi famigliari. Per superare il lutto della separazione, 223, dall’1 aprile (data in cui è stato lasciato), ha comprato ogni giorno una scatola di ananas (il cibo preferito di Ah Mei) con scadenza l’1 maggio, data del suo compleanno. Se entro quel giorno Ah Mei non sarà ritornata, il giovane si promette di mangiare tutte le scatole di ananas e di dimenticarla. Una donna con la parrucca bionda e gli occhiali da sole (Brigitte Lin) è una trafficante di droga. Una sera, inseguita da alcuni indiani che la vogliono uccidere, finisce in un bar dove incontra casualmente 223 e passano la notte insieme. La sera dopo, la donna gli lascia 89 sul cercapersone un augurio per il suo compleanno. In seguito 223 incontra la nuova dipendente del fast food dove va solitamente per mangiare (Faye Wong), ma sei ore dopo quest’ultima si innamora di un altro poliziotto, la matricola 663 (Tony Leung), anche lui appena lasciato dalla sua ragazza, una hostess. Faye è una ragazza molto bizzarra e poco loquace, il cui sogno è quello di andare in California e ascolta ripetutamente California Dreamin’ dei Mamas and Papas. Una sera la ragazza dell’agente lascia una lettera di addio per il fidanzato, con dentro le chiavi di casa dell’agente. Questi, che intuisce il contenuto della lettera, ma non sa delle chiavi, non la ritira. Così, Faye usa le chiavi per introdursi nell’appartamento di 663, quando il poliziotto è in servizio: ogni volta la ragazza gli pulisce la casa, introducendo qualche piccola modifica. Un giorno, tornato inaspettatamente a casa, si imbatte nella ragazze e capisce i suoi sentimenti. Il poliziotto la invita ad uscire, dandole appuntamento il giorno dopo al bar California, ma lei non si presenta. Faye gli ha lasciato una lettera che l’agente apre solo dopo molto tempo: un biglietto aereo su cui non si riesce a leggere la destinazione. Angeli perduti (1995) – Fallen Angels – Duoluo Tianshi Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: William Chang, Wong Ming-lam; scenografia: William Chang; musica originale: Frankie Chan, Roel A. Garcia; musica non originale: Karmacoma, Massive Attack (versione di Frankie Chan); Only You, The Flying Pickets; Go Away From My World, Marianne Faithfull; Speak My Language, Laurie Anderson; Wang Ji Ta, Forget Him, Shirley Kwan; Simu de ren ( Thinking of You), Chyi Chin; interpreti: Leon Lai, Kaneshiro Takeshi, Michele Reis (Michelle Lee), Charlie Young, Karen Mok; produzione: Jet Tone Production Co.,Ltd.; origine: Hong Kong; durata: 96’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (15° ed.): miglior fotografia, migliore attrice non protagonist, miglior musica; Hong Kong Film Critics Society Awards (1995): film raccomandato; Hong Kong Golden Bauhinia Awards (1° ed.): miglior fotografia, miglior attrice non protagonist, top ten Chinese Language Film; Taiwan Golden Horse Awards (31° ed.): miglior montaggio, miglior scenografia. 90 Trama Due storie apparentemente parallele nella notte di Hong Kong. Da un lato il rapporto tra il killer Ming (Leon Lai), il quale lavora con una socia, innamorata di lui (Michelle Lee), che gli procura i clienti, perché Ming preferisce che siano gli altri a decidere per lui. Dall’altro un giovane, Ho Chi Moo (Kaneshiro Takeshi), muto dall’età di cinque anni per aver mangiato una scatola di ananas scaduta. Egli vive con il padre e ogni notte si intrufola di nascosto nei negozi chiusi per racimolare qualche soldo. Un giorno incontra Charlie (Charlie Young), appena abbandonata dal suo ragazzo. Il giovane, allora, la aiuta a vendicarsi di Blondie, la rivale che le ha rubato il fidanzato. Ho si innamora di Charlie, ma non viene ricambiato. Nel frattempo, Ming, nonostante abbia trovato una compagnia femminile, Baby, vuole lasciare la sua professione. Decide, quindi, di dare appuntamento alla sua socia e porre fine al loro rapporto d’affari. Deciso a iniziare una nuova vita, Ming, mentre sta svolgendo la sua ultima missione, viene ucciso. Senza più l’uomo che amava, l’agente lavora senza soci fissi. Una sera, in un ristorantino, incontra casualmente Ho Chi Moo e gli chiede un passaggio. In moto, i due, sembrano ritrovare, per poco, la gioia di vivere. Happy Together (1997) – Chunguang Zhaxie Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: William Chang, Wong Ming-lam; scenografia: William Chang; musica originale: Danny Chung; musica non originale: Cucurrucucu Paloma, Caetano Veloso; I Have Been In You, Chunga’s Revenge, Frank Zappa; Prologue (Tango Apasionado), Finale (Tango Apasionado), Milonga For Three, Astor Piazzola; Happy Together, The Turtles (versione di Danny Chung); interpreti: Tony Leung, Leslie Cheung, Chang Chen; produzione: Jet Tone Films con Block 2 Pictures, Seowoo Film Co., Prenom H Co.; origine: Hong Kong; durata: 97’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (17° ed.): miglior attore protagonista (Tony Leung); Hong Kong Film Critics Society Awards (1997): film raccomandato; Taiwan Golden Horse Awards (34° ed.): migliore fotografia; Festival di Cannes (50° ed.): migliore regia; Arizona International Film Festival (1998): premio del pubblico per il miglior film 91 straniero. Trama Lai Yiu-fai (Tony Leung) e Ho Po-wing (Leslie Cheung) sono due omosessuali che decidono di partire per l’Argentina, per vedere le cascate di Iguaçu, ma subito dopo l’arrivo si perdono. I due si ritrovano per caso a Buenos Aires, dove Ho vive prostituendosi, mentre Lai lavora come usciere in un tango bar. Ho vorrebbe rimettersi con Lai, ma quest’ultimo, ingelosito dai suoi continui tradimenti lo tiene a distanza. I due alternano momenti di tenerezza ad altri di fredda indifferenza, che porta le loro strade a dividersi. Ho abbandona Lai, che incontra Zhang (Chang Chen), un giovane di Taiwan, ma il ragazzo lascia presto Buenos Aires per raggiungere Ushuaia, la località più a sud del mondo. Finalmente Lai può fare il tanto desiderato viaggio alle cascate. Durante il viaggio di ritorno a Hong Kong, si ferma a Taipei, dove riesce ad avere dai genitori di Zhang una sua fotografia e si rimette in viaggio verso casa. In the Mood for Love (2000) – Huayang Nianhua Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle, Mark Lee; montaggio: William Chang; scenografia: William Chang; musica originale: Michael Galasso; musica non originale: Yumeji’s Theme, Shigeru Umebayashi; Aquellos Ojos Verdes, Te Quiero Dijiste, Quizas, Quizas, Quizas, Nat King Cole; Shuang Shuang Yan, Deng Bai Ying; Hua Yang De Nian Hua, Zhou Xuan; Bengawan Solo, Rebecca Pan; Si Lang Tan Mu, Tan Xin Pei; Zhuang Tai Bao Xi, Zhu Xue Qing & Xie Hui Jun; Hong Niang Hui Zhang Sheng, Zheng Jun Mian & Li Hong; Yue Er Wan Wan Zha Jiu Zhou, Chiu Wai Ping; interpreti: Tony Leung, Maggie Cheung, Rebecca Pan, Chang Chen, Siu Ping-lam; produzione: Block 2 Pictures, Jet Tone Films, Paradis Films; origine: Hong Kong / Francia; durata: 98’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (20° ed.): migliore attore protagonista, migliore attrice protagonista, miglior montaggio, migliore direzione artistica, migliori costumi e realizzazione tecnica (Christopher Doyle, Mark Lee e William Chang); Hong Kong Film Critics Society Awards (2000): migliore regista, film raccomandato; 92 Taiwan Golden Horse Awards (37° ed.): migliore attrice protagonista, miglior montaggio, migliori costumi; Festival del Cinema di Cannes (53° ed.): migliore attore protagonista, premio speciale della commissione tecnica; Festival del Cinema di Amburgo (2000): Premio Douglas Sirk; Asian Pacific Film Festival (2000): migliore fotografia, miglior montaggio; European Film Awards (2000): Screen International Award; International Festival of New Cinema and New Media (2000): miglior lungometraggio; Montreal World Film Festival (2000): premio speciale della giuria; Premio César (2001): miglior film straniero; German Film Awards (2001): miglior film straniero; British Independent Film Awards (2001): migliore film indipendente straniero; Boston Society of Film Critics Awards (2001): migliore fotografia, miglior film straniero; New York Film Critics Circle Awards (2001): migliore fotografia, miglior film straniero; Hong Kong Golden Bauhinia Awards (2001): migliore fotografia; Argentinean Film Critics Association Awards (2002): condor d’argento per il miglior film straniero; National Society of Film Critics Awards (2002): migliore fotografia, miglior film straniero. Trama Hong Kong, 1962. La Signora Chan/Su Lizhen (Maggie Cheung), una giovane impiegata in una società import-export, affitta una stanza per lei e suo marito, che è sempre in viaggio in Giappone, in uno stabile abitato prevalentemente da shanghaiesi. Il giorno del trasloco fa conoscenza con il signor Chow (Tony Leung), un giornalista che ha appena preso in affitto una stanza nell’appartamento accanto, la cui moglie è sempre assente per ragioni di lavoro. I due cominciano a passare molto tempo insieme, diventando sempre più amici, tanto più che a unirli ulteriormente c’è il sospetto comune che i loro rispettivi coniugi abbiano una relazione. Per evitare pettegolezzi e soprattutto per “non essere come loro”, si incontrano di nascosto. Un giorno, il signor Chow, temendo che la sua padrona di casa cominci a sospettare, 93 decide di interrompere gli incontri e invita Su Lizhen a seguirlo a Singapore, dove ha trovato un nuovo lavoro, ma la donna non accetta. Singapore, 1963. Il signor Chow trova un mozzicone di sigaretta con tracce di rossetto sul posacenere del suo appartamento ed è convinto che Su sia stata lì. Hong Kong, 1966. Mr Chow ritorno in quel vecchio condominio, ma la gente non è più la stessa. Alla fine del film lo troviamo a Phnom Penh in Cambogia, a visitare l’antico tempio in rovina di Angkor Wat e lì sussurra il suo segreto nella fessura di un muro. 2046 (2004) Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle, Lai Yiu-fai, Kwan Pun-leung; montaggio: William Chang; scenografia: William Chang; musica originale: Umebayashi Shigeru, Peer Raben; musica non originale: Siboney, Xavier Cugat; Sway, Dean Martin; Julien et Barbara, Georges Delerue; Siboney, Connie Francis; Casta Diva (soprano Angela Gheorghiu), Oh, se potessi…, Vincenzo Bellini; Decision, Zbigniew Preisner; Adagio, Secret Garden; The Christmas Song, Nat King Cole; interpreti: Tony Leung, Gong Li, Faye Wong, Zhang Ziyi, Kimura Takuya, Carina Lau, Chang Chen, Siu Ping-lam, Maggie Cheung; produzione: Jet Tone Films, Block 2 Pictures Inc./ Paradis Film / Classic SRL / Shanghai Film Group Corporation / Orly Films / Precious Yield Ltd., con la partecipazione di Arte France Cinéma, France 3 Cinéma, ZDF Arte; origine: Hong Kong / Cina / Francia / Germania; durata: 129’. Riconoscimenti: Hong Kong Film Awards (24° ed.): migliore attore protagonista, migliore attrice protagonista, migliore fotografia, migliore direzione artistica, migliori costume e progettazione scenic, migliore colonna sonora originale; Hong Kong Film Critics Society Awards (2004): migliore attore protagonista, migliore attrice protagonista; Taiwan Golden Horse Awards (41° ed.): migliore scenografia, migliore colonna sonora originale; European Film Awards (17° ed.): miglior film non europeo; Premio Pasolini di poesia (2004); 94 Festival Internazionale del Cinema di Valladolid (49° ed.): premio FIPRESCI (Fédération Internationale de la Presse Cinématographique). Trama È il 1967 e Chow Mo-wan, tornato a Hong Kong da Singapore, alloggia nella stanza 2047, dove, per guadagnarsi da vivere, scrive romanzi. Incontra numerose donne: Su Lizhen (Gong Li), giocatrice d’azzardo che aveva conosciuto a Singapore; Lulu/Mimi (Carina Lau), ballerina di un night club; Bai Ling (Zhang Ziyi), che abita nella stanza accanto, la 2046; la signora Wang (Faye Wong), figlia della padrona di casa e appassionata di scrittura. Chow inizia a mettere insieme i fatti e a ricordare tutte le persone conosciute, scrivendo una serie di romanzi a puntate, tra cui 2046, immaginando di riunirsi alla sua amata. La mano (2004) – The Hand – Shou Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: William Chang; scenografia: William Chang, Alfred Lau; musica originale: Peer Raben; musica non originale: Gen Ni Kai Wan Xiao, Yao Li; Quiang Wei Chu Chu Kai, Gong Qiu Xia; Hong Deng Lu Jiu Ye, Hao Chen Xiao, Wu Yingyin; Wo You Yi Ke Xin, Yi Min; interpreti: Gong Li, Chang Chen; produzione: Jet Tone Production Co., Ltd., Block 2 Pictures Inc.; origine: Hong Kong; durata: 40’. Trama Hong Kong, anni Sessanta. Xiao Zhang (Chang Chen), il giovane allievo dell’anziano sarto Jin, subisce il fascino di un’affascinante prostituta, Hua (Gong Li). La donna capisce che Xiao non ha mai toccato un corpo femminile e così viene iniziato dalla sua mano esperta. Con il passare degli anni il giovane sarto continua a confezionare con amore gli abiti che Hua indossa per altri clienti. La donna si trasferisce in una pensione squallida, raccogliendo clienti occasionali e cadi in disgrazia fino ad ammalarsi. In punto di morte, per ripagare la devozione di Xiao Zhang, vorrebbe offrirgli il proprio corpo, ma lui le si avvicina e la bacia. 95 My Blueberry Nights (2007) – Un bacio romantico Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai, Lawrence Block; fotografia: Darius Khondji; montaggio: William Chang; scenografia: William Chang, Judy Rhee; musica originale: Ry Cooder, Shigeru Umebayashi; The Story, Norah Jones; Yumeji’s Theme (Harmonica Version), Chikara Tsuzuki; The Devil’s Highway, Hello Stranger; musica non originale: Living Proof, Greatest, Cat Power; Try A Little Tenderness, Otis Redding; Looking Back, Ruth Brown; Eyes On The Prize, Mavis Staples; Skipping Stone, Amos Lee; Harvest Moon, Cassandra Wilson; Pajaros, Gustavo Santaolalla; interpreti: Norah Jones, Jude Law, Rachel Weisz, Natalie Portman, David Strathairn, Chan Marshall; produzione: Jet Tone Films, Block 2 Pictures, Studio Canal; origine: Hong Kong / Francia; durata: 95’. Trama Jeremy (Jude Law), inglese trasferitosi a New York, gestisce una tavola calda a Soho. Una notte il suo destino si incrocia con quello di Elizabeth (Norah Jones), dopo che la ragazza è entrata nel suo locale alla ricerca del fidanzato che la tradisce. Tra i due si instaura subito un rapporto confidenziale: Elizabeth vorrebbe capire perché il suo rapporto è fallito e Jeremy le dice che forse non esistono ragioni specifiche. La ragazza affida le chiavi dell’appartamento del suo ragazzo a Jeremy. Quest’ultimo le mette in un barattolo di vetro insieme ad altre chiavi di altri clienti che non sono mai state ritirate: ognuna di esse sono legate a una storia d’amore fallita. In seguito Elizabeth decide di partire per ritrovare una propria dimensione e attraversa gli Stati Uniti, incontrando vite tormentate: Arnie (David Strathairn), poliziotto alcolizzato e in crisi perché la giovane moglie Sue Lynne (Rachel Weisz) l’ha lasciato; la giovane Leslie (Natalie Portman), abile e spericolata giocatrice di poker. Dopo questo viaggio on the road, ritorna a New York da Jeremy, concludendo in voice over “in fondo non è stato difficile attraversare la strada, tutto dipende da chi ti aspetta dall’altra parte”. 96 The Grandmaster (2013) – Yi Dai Zong Shi Regia: Wong Kar-wai; sceneggiatura: Wong Kar-wai, Zou Jingzhi, Xu Haofeng; fotografia: Philippe Le Sourd; montaggio: William Chang; scenografia: William Chang; musica: Nathaniel Méchaly, Shigeru Umebayashi, Stefano Lentini; interpreti: Tony Leung, Zhang Ziyi; produzione: Block 2 Pictures, Sil-Metropole Organisation, Bona International Film Group, Jet Tone Films; origine: Hong Kong; durata: 130’. Trama Ip Man (Tony Leung), leggendario maestro di Bruce Lee e della scuola di kung-fu Wing Chun, nasce a Foshan, nel sud della Cina, in una famiglia benestante. La moglie Zhang Yongcheng (Song Hye Kyo) è una discendente della dinastia Manciù. Ip Man frequenta il Padiglione d’Oro, un elegante bordello dove si incontrano i maestri di kung-fu di Foshan e dove anche le donne custodiscono alcuni segreti delle arti marziali. Nel 1936 i giapponesi hanno invaso la provincia del nord-est, la Manciuria. Costretto a lasciare la Manciuria occupata, il Gran Maestro delle arti marziali della Cina del nord, Gong Baosen (Wang Qingxiang), giunge a Foshan. In quell’occasione festeggia al Padiglione d’Oro il suo imminente ritiro. La cerimonia prevede, infatti, una sua esibizione di arti marziali con un uomo più giovane. Per assistere alla cerimonia arriva anche la figlia del vecchio maestro, Gong Er (Zhang Ziyi), unica erede delle “tecnica delle 64 mani”, creata da Gong Baosen. Qui incontrerà Ip Man che rivedrà in seguito, negli anni ’50, a Hong Kong: un mondo nuovo, popolato da frammenti di vite e desideri passati. Aprirà una scuola di Wing Chun a Hong Kong, ben presto conquisterà molti discepoli devoti (tra cui Bruce Lee) e diffonderà questa forma di kung-fu, che è ancora insegnata e praticata nelle scuole di arti marziali di tutto il mondo. 97 8. GLOSSARIO DI TERMINI CINEMATOGRAFICI ACCELERAZIONE (ing. fastmotion, cin. kuàidòngzuò 快动作): effetto di ripresa ottenuto girando a una velocità inferiore rispetto a quella di proiezione, corrisponde a una forma estrema di sommario, cioè di contrazione del tempo del racconto rispetto a quello della storia. ADATTAMENTO (ing. adaptation, cin. gǎibiān 改编): elaborazione scritta di un testo letterario, teatrale o musicale, sottoposto a un lavoro di contenimento, a una serie di tagli, a un processo di selezione, nonché a un insieme di variazioni che daranno vita a una sceneggiatura cinematografica. AMBIENTAZIONE (ing. setting, cin. chǎngjǐng 场景): insieme di elementi scenografici, di luci, suoni, costumi che definiscono l’ambiente storico, geografico e sociale in cui si svolge il film. ANGOLAZIONE (ing. camera angle, cin. pāishèjiǎodù 拍摄角度): posizione da cui avviene la ripresa, che si distingue in normale, quando la cinepresa è sullo stesso piano dell’oggetto ripreso; rialzata, quando la cinepresa riprende dall’alto; abbassata, quando la cinepresa riprende dal basso. ANTICIPAZIONE (ing. flashforward, cin. shǎnqián 闪前): procedimento narrativo consistente nella rappresentazione di un evento futuro seguito da un ritorno al presente, contrapposto al flashback. ATTORE (ing. actor, cin. yǎnyuán 演员): chi interpreta il personaggio previsto da una sceneggiatura scritta, scelto dal regista; può essere sostituito da una controfigura nelle scene più pericolose o acrobatiche. CAMPO (ing. shot, cin. jǐng 景): quantità di spazio mostrata dall’inquadratura, è usato spesso per costruire forti effetti drammatici e se ne intuisce la presenza e la natura per mezzo delle espressioni dei personaggi o dei movimenti della macchina da presa. CAMPO LUNGHISSIMO (ing. extreme long shot, cin. dàyuǎnjǐng 大远景): tipo di inquadratura che abbraccia una porzione di spazio particolarmente estesa, in cui la figura umana presente al suo interno risulta piccola e distante, subordinata alla rappresentazione del paesaggio. Serve a dare una visione d’insieme dei luoghi in cui si svolge un’azione o a presentare un ampio paesaggio. CAMPO LUNGO (ing. long shot, cin. yuǎnjǐng 远景): inquadratura in esterna, in cui la figura umana rappresentata, benché distante, appare definita. Serve a presentare l’azione di una o più persone inserite in un ambiente preciso. 98 CAMPO MEDIO (ing. medium shot, cin. zhōngjǐng 中景): un’inquadratura abbastanza ravvicinata, in cui l’attenzione è rivolta ai personaggi presenti nell’ambiente in cui agiscono, ma non arrivano a toccare con testa e piedi i margini superiori e inferiori del quadro. CAMPO TOTALE (ing. full shot, cin. quánjǐng 全景): rappresenta per intero, o quasi, un ambiente, un interno o un esterno circoscritto, mettendo in campo tutti i personaggi che prendono parte alla scena, detto anche piano d’insieme. CAMPO/CONTROCAMPO (ing. shot/reverse shot, cin. zhèng/fǎnpāi 正/反拍): tecnica cinematografica della ripresa e del montaggio consistente nel far seguire a un’inquadratura un’altra analoga, ma presa dall’angolo opposto (usata spesso nella ripresa di un dialogo per contrapporre un personaggio all’altro. CINEMA INDIPENDENTE (ing. independent cinema, cin. dúlì diànyǐn 独立电影): film a basso costo prodotti senza l’intervento di una grande casa di produzione; può essere autoprodotto dal regista o coprodotto da privati, da alcuni degli attori o da istituzioni locali. COLONNA SONORA (ing. soundtrack, cin. shēngdài 声带): sul piano tecnico è la registrazione sonora di dialoghi, musiche ed effetti che vengono mescolati insieme che accompagnano le varie scene del fil. COPIONE (ing. script, cin. jùběn 剧本): composizione scritta definitive della sceneggiatura di un film, che viene consegnato a ogni attore e agli aiuti del regista prima dell’inizio delle riprese. DIALOGO (ing. dialogue, cin. duìbái 对白): scambio di battute tra due o più attori. DIDASCALIA (ing. caption, cin. zìmù 字幕): testo filmato con la cinepresa e introdotto nel mezzo del film, generalmente per informare lo spettatore di quei dati essenziali necessari alla comprensione del racconto, che le immagini da sole non sono in grado di fornire. DIEGESI (ing. diegesis, cin. gùshìcéng 故事层): costruzione spazio-temporale che riporta azioni ed eventi di personaggi, nonché l’insieme di tutti gli elementi che appartengono alla storia raccontata e al mondo proposto e supposto della finizione. La diegesi nasce, anche, da una forma di cooperazione fra un racconto e il suo destinatario: il primo presenta degli elementi sparsi nel modo, il secondo li congiunge fra loro allargando il campo a tutto ciò che non è espressamente indicato, ma la cui esistenza è in qualche modo implicita. Si definisce diegetico (o intradiegetico), tutto ciò che fa parte del mondo della diegesi, ed extradiegetico, tutto ciò che vi esula, sebbene sia parte del film (ad esempio il caso della musica: si dice intradiegetica quando è trasmessa da una radio, prodotta da un’orchestra, che sia lo spettatore sia i personaggi del film possono sentire, musica extradiegetica, è quella di commento che non è interna alla diegesi, ma si sovrappone a essa e che solo gli spettatori possono sentire). 99 DISSOLVENZA (ing. fade, cin. jiànxiǎn 渐显 /jiànyǐn 渐隐): effetto visivo cui si ricorre per passare da una inquadratura all’altra del film senza stacco netto. Consiste nel far lentamente apparire o svanire l’immagine, variando la luminosità: in apertura il soggetto appare dal fondo; in chiusura viene fatto scomparire in modo graduale attraverso la tecnica dell’oscuramento. Quando l’immagine scompare e contemporaneamente ne compare un’altra, si ha la dissolvenza incrociata. ELLISSI (ing. ellipsis, cin. shěnglüè 省略): procedimento che determina una soppressione temporale che interviene fra due azioni differenti, fra due scene, due sequenze o all’interno di una stessa sequenza. Elimina i cosiddetti tempi morti, ovvero i dettagli non essenziali allo sviluppo del racconto; accentua il ritmo della narrazione; crea un effetto di suspense eliminando un evento di rilievo per poi mostrarlo in un momento più opportuno; interrompe bruscamente un’azione. FERMO IMMAGINE (ing. freeze frame, cin. tínggé 停格): un’inquadratura composta da un singolo fotogramma che viene fissato, in modo da creare allo spettatore un’illusione che l’azione si sia fermata. FILM (ing. film, movie, cin. diànyǐng 电影): opera cinematografica. FLASHBACK (ing. flashback, cin. shǎnhuí 闪回): procedimento narrativo che consiste in un salto indetro della storia, un ritorno a ciò che è già accaduto, attraverso la rievocazioni di un evento del passato nel presente della narrazione. Non disorienta lo spettatore, in quanto risistema mentalmente l’ordine degli eventi in modo cronologico sul piano della storia. In genere è annunciato da una voce fuori campo, ovvero un narratore diegetico, ma anche da dissolvenze, rallentamenti. FOTOGRAFIA (ing. photography, cin. shèyǐng 摄影): immagine ottenuta attraverso un processo di registrazione di forme luminose presenti sul set, nonché l’insieme dei fotogrammi che compongono un’opera. FOTOGRAMMA (ing. frame, cin. jǐngkuàng 景框): singola immagine impressa su una pellicola cinematografica, il cui movimento scorre alla velocità di 24 fotogrammi al secondo. Ciò che si vede sullo schermo non è il fotogramma, bensì un’immagine che nasce dalla proiezione di una serie di fotogrammi. FUORI CAMPO (ing. off screen, cin. huàwài 画外): tutto ciò che, escluso dal campo, è presente nei sei luoghi intorno al campo, ovvero ai Quattro lati del campo, dietro la scenografia, dietro la cinepresa. Il fuori campo può essere attivo, in cui ciò che vediamo o ciò che sentiamo ci spinge farci delle domande; fuori campo passivo, è quello in cui il suono crea un ambiente che avvolge l’immagine, senza suscitare nessuna domanda, nessuna ipotesi; fuori campo concreto è quello spazio che è escluso dal piano di ripresa, che si è già avuto modo di vedere; 100 fuori campo immaginario è quel fuori campo a cui allude a una determinata inquadratura, che non si è potuta vedere e che non si vedrà mai. ILLUMINAZIONE (ing. lighting, cin. dēngguāng 灯光): tecnica che, con l’uso di apparecchiature, permette di riprendere una scena creata con effetti di luce (giorno, notte, ombra, controluce, ecc.), gestita dal direttore della fotografia. Può essere di tipo naturale (luce solare) o artificiale (riflettori, lampade). INQUADRATURA (ing. shot, cin. jìngtóu 镜头): l’inquadratura è l’unità base del discorso filmico e può essere definita come una rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo tempo. Dal punto di vista spaziale, essa è costituita dalla porzione di realtà rappresentata da un certo punto di vista e delimitata da una cornice, entro cui è racchiuso il soggetto dell’immagine cinematografica; dal punto di vista temporale, ripresa in continuo di un’identica azione scenica, ovvero l’immagine che sta ininterrottamente sullo schermo. Può essere oggettiva quando la macchina da presa guarda la scena con gli occhi di un ipotetico spettatore, soggettiva quando la macchina da presa vede con gli occhi di un personaggio, condividendo il suo punto di vista con lo spettatore. INQUADRATURA D’AMBIENTAZIONE (ing. establishing shot, cin. dìngchǎng jìngtóu 定场镜头): inquadratura che introduce una scena permettendo allo spettatore di capire dove si svolge l’azione. INTRECCIO (ing. plot, cin. jùqíng 剧情): si intende l’ordine degli eventi così come essi si danno nel racconto. MACCHINA DA PRESA (ing. camera, cin. shèyǐngjī 摄影机): si intende un apparato che registra una sequenza di immagini fotografiche in rapida successione temporale su una pellicola cinematografica, detta anche cinepresa, composto di obiettivo, otturatore, motore per l’avanzamento della pellicola e camera oscura. MESSA IN SCENA (ing. staging, cin. shàngyǎn 上演): espressione che indica il lavoro di organizzazione, da parte del regista, dei materiali di ogni inquadratura, ovvero significa parlare di quei codici che il cinema ha in comune con il teatro: scenografia e personaggi, luci e colori. Il regista costruisce il suo profilmico, cioè tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa, che è lì per essere filmato ed è parte della storia narrata (ambienti, oggetti, personaggi). MONOLOGO (ing. monologue, cin. dúbái 独白): riflessione o pensiero recitati da un attore in presenza o meno di altri personaggi. MONTAGGIO (ing. editing, cin. jiǎnjiē 剪接): fase nella quale due inquadrature o intere scene potranno essere eliminate, modificate o collocate in un momento diverso del racconto dal quale erano state originariamente previste, ovvero consiste nell’unire la fine di un’inquadratura con l’inizio della successiva. 101 MONTAGGIO ACCELERATO (ing. accelerated montage, cin. kuàisùjiǎnjiē 快速 剪接): accostamento di inquadrature di breve durata, susseguirsi di tagli per dare una sensazione di tensione. MONTAGGIO ALTERNATO (ing. cross-editing, cin. jiāochā jiǎnjiē 交叉剪接): tecnica di montaggio in cui l’azione si sposta da una scena all’altra fra luoghi diversi, in cui l’inquadratura di due o più eventi si svolgono, non nello stesso piano, ma nello stesso tempo. MONTAGGIO DISCONTINUO (ing. jump-cut, cin. tiàojiē 跳接): salto spaziale e temporale improvviso tra un’inquadratura e quella successiva, che trasgredisce le regole della continuità classica, come la violazione del sistema a 180° (vengono usati piani a 360° che permettono alla macchina da presa di girare attorno ai personaggi). MOVIMENTO DI MACCHINA (ing. camera movement, cin. shèyǐngjī yùndòng 摄影机运动): spostamento della macchina da presa durante le riprese per cambiare il punto di vista e per mettere in evidenza i personaggi o delle situazioni. I principali movimenti di macchina sono: la panoramica (movimento della macchina da presa attorno al suo asse e può essere orizzontale, a 360°, circolare, verticale, diagonale), la carrellata (detta anche travelling, in cui la macchina da presa è collocata su un carrello che scorre su binari predisposti e può essere: in avanti, indietro, circolare, laterale e verticale), la camera-car (un tipo particolare di carrellata, in cui la macchina da presa è montata su veicolo opportunamente attrezzato), la steady-cam (intelaiatura dotata di ammortizzatori indossata dall’operatore su cui viene fissata la macchina da presa, può correre, salire o scendere le scale, senza alterare la stabilità dell’immagine), dolly o gru (la macchina da presa è fissata su un braccio mobile, collocato su una piattaforma a sua volta sistemata su un veicolo a ruote, dolly, o a una vera gru), louma (braccio meccanico in grado di spostarsi in qualsiasi direzione, che supera i 7 metri, dove l’operatore può controllare le operazioni attraverso uno schermo video), macchina a mano (la macchina da presa è tenuta dall’operatore o appoggiata sulle spalle). OBIETTIVO (ing. lens, cin. jìngtóu 镜头): parte ottica della cinepresa, costituiti da un sistema di lenti che si spostano lungo l’asse su cui sono disposte, in modo da riprendere un’immagine catturando la luce emessa dal soggetto inquadrato e mettendola a fuoco. PIANO MEDIO (ing. medium shot, cin. zhōngjǐng 中景): piano in cui il soggetto è ripreso dalla vita in su. PIANO-SEQUENZA (ing. long take, cin. chángpāijìngtóu 长拍镜头): sequenza composta di una sola inquadratura nella quale la macchina da presa esegue diversi movimenti riprendendo un’intera narrativa. PRIMISSIMO PIANO (ing. very close-up, cin. dàtèxiě 大特写): inquadratura nella quale viene ripreso solo il volto dell’attore. 102 PRIMO PIANO (ing. close-up, cin. tèxiě 特写): inquadratura nella quale l’attore è ripreso dalle spalle in su. PROFONDITA’ DI CAMPO (ing. depth of field, cin. jǐngshēn 景深): immagine in cui tutti gli elementi rappresentati, sia quelli in primo piano che quelli sullo sfondo, sono perfettamente a fuoco, dipendente dalla distanza dell’obiettivo dell’oggetto messo a fuoco. PUNTO DI VISTA (ing. point of view, cin. guāndiǎn 观点): prospettiva della macchina da presa che riprende una scena, prospettiva da cui un personaggio assiste alla scena. RALLENTATORE (ing. slow motion, cin. màndòngzuò 慢动作): tecnica di ripresa cinematografica in cui un movimento è riprodotto a una velocità più lenta del reale. REGISTA (ing. director, cin. dǎoyǎn 导演): responsabile artistico e tecnico di un film, il quale controlla il lavoro dei tecnici e guida tutti i suoi collaboratori, prepara il lavoro con lo sceneggiatore, segue le riprese e il montaggio. RIPRESA (ing. shot, cin. jìngtóu 镜头): atto di riprendere con la macchina da presa un’immagine e di registrarla sulla pellicola cinematografica. SCENA (ing. scene, cin. chǎngmiàn 场面): registrazione di un episodio in cui il tempo del racconto è uguale a quello della storia, che può essere composta da un insieme di inquadrature unite tra loro da una continuità di spazio, di tempo e di azione, formando una sequenza. SCENEGGIATURA (ing. screenplay, cin. biānjù 编剧): elaborazione scritta di un film, che costituisce il primo e fondamentale passo nella realizzazione di tutte le opere cinematografiche. Si tratta di un testo che descrive una serie di eventi, personaggi, dialoghi connessi fra loro. È come un processo del racconto cinematografico che avviene attraverso diverse fasi: il soggetto, il trattamento, la scaletta e il découpage tecnico. SCENOGRAFIA (ing. scenery, cin. bùjǐng 布景): consiste nel modificare o creare un ambiente in funzione della ripresa cinematografica e della realizzazione di un film, nonché di ideare elementi scenici in uno spettacolo cinematografico. SEQUENZA (ing. sequence, cin. chǎngzǔ 场组): insieme di immagini o inquadrature che costruiscono un episodio narrativo, il quale presenta al suo interno dei salti spaziali o temporali. STACCO (ing. cut, cin. jiǎnqiē 剪切): passaggio diretto e immediato da un piano a quello successivo, senza ricorrere a 103 dissolvenze. STOP-MOTION (ing. stop-motion, cin. dìnggé 定格): tecnica di ripresa cinematografica che consiste nel riprendere un soggetto fotogramma per fotogramma utilizzando la macchina da presa come una macchina fotografica, in modo da impressionare un fotogramma alla volta. TITOLI DI CODA (ing. end titles, cin. piànwěi 片尾): elenco dei nomi dei collaboratori secondari alla realizzazione dell’opera. TITOLI DI TESTA (ing. movie credits, cin. piàntóu 片头): elenco dei collaboratori principali, citato durante una breve sequenza oppure inserendo immagini che possono preludere all’opera rappresentata. TRAMA (ing. plot, cin. qíngjié 情节): successione di eventi che costituiscono la vicenda principale del film. VOCE FUORI CAMPO (ing. voiceover, cin. huàwàiyīn 画外音): il parlato che non è all’interno del quadro. Può trattarsi della voce di un personaggio non inquadrato, della voce corrispondente ai pensieri di un personaggio solo sulla scena o semplicemente una voce narrante o un commento esplicativo delle immagini. ZOOM (ing. zoom, cin. biànjiāo 变焦): obiettivo a lunghezza focale che consente di allontanarsi o avvicinarsi otticamente dal soggetto della ripresa. 104 9. BIBLIOGRAFIA 9.1 TESTI IN LINGUA OCCIDENTALE • AAVV, Ombre elettriche. Cento anni di cinema cinese (1905-2005), a cura di Elena Pollacchi e Marco Muller, Milano, Mondadori Electa, 2005. • ACKBAR, Abbas, Hong Kong. Culture and the Politics of Disappearance, Minneapolis, University of Minnesota, 2008. • ALOVISIO, Silvio, Le ceneri del tempo. Il cinema di Wong Kar-wai, Piombino, TraccEdizioni, 1997. • ALOVISIO, Silvio, Wong Kar-wai, Milano, Il Castoro Cinema, 2010. • DEEPMAN, Hsiu-Chuang, Adapted for the Screen. The Cultural Politics of Modern Chinese Fiction and Film, Honolulu, University of Hawai’i, 2010. • GLIATTA, Leonardo, Wong Kar-wai. Saggio critico, foto, filmografia, dichiarazioni del regista, antologia della critica, Roma, Dino Audino Editore, 2004. • LEWIS, Jon, Essential Cinema: An Introduction to Film Analysis, Boston, Wadsworth, Cengage Learning, 2014. • LIU, Yichang, Un incontro, Torino, Einaudi, 2005. • PEZZOTTA, Alberto, Tutto il cinema di Hong Kong. Stili, caratteri, autori, Milano, Baldini&Castoldi, 1999. • PUIG, Manuel, The Buenos Aires Affair, a cura di Angelo Morino, Palermo, Sellerio, 2000. • RODOLINO, Gianni e TOMASI, Dario, Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi, Torino, UTET, 1997. • TONG, Janice, “Chungking Express: Time and its Displacements”, in BERRY, Chris, Chinese Films in Focus: 25 New Takes, London, BFI, 2003, pp. 47-54. • TEO, Stephen, Hong Kong Cinema. The Extra Dimension, London, BFI, 1997. • TEO, Stephen, Wong Kar-wai, London, BFI, 2005. 105 • YUE, Audrey, “In the Mood for Love: Interesction of Hong Kong Modernity”, in BERRY, Chris, Chinese Films in Focus: 25 New Takes, London, BFI, 2003, pp. 128-36. 9.2 ARTICOLI TRATTI DALLA RETE • AAVV, “The Cinema of Wong Kar-wai – A Writing Game”, Senses of Cinema, http://sensesofcinema.com/2001/13/wong-kar-wai/wongsymposium/, aprile 2001 (consultato il 09 ottobre 2013). • ACQUARELLO, “Editions Dis Voir: Wong Kar-wai by Jean-Marc Lalanne, David Martinez, Ackbar Abbas, and Jimmy Ngai”, Strictly Film School, http://www.filmref.com/journal2004.html#wong, 2004 (consultato il 12 novembre 2013). • ATKINSON, Michael, “Heartbreak Hotel: In the Mood for Mood”, The Village Voice, http://www.villagevoice.com.com/2005-07-26/film/heartbreakhotel/, 26 luglio 2005 (consultato il 23 settembre 2013). • HOBERMAN, James Lewis, “As Years Go by. 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